Nel
2010, in
occasione dell’anniversario di due eventi decisivi della vita messicana, il
bicentenario dell’Indipendenza e il centenario della Rivoluzione, la
coordinatrice dei lavori sulla valorizzazione dell’arte latinoamericana,
Mercedes de Vega, presenta il progetto come necessario per la “riappropriazione”
del proprio destino attraverso la cultura, non solo con il fine di “avvicinarci
ad un anelito di verità” ma soprattutto con l’obiettivo di “aiutarci a vivere”.
Parla di cultura “sequestrata” per fini “meschini” e aggiunge “non sono la
tecnologia, il mercato e il consumismo i motori fondamentali dello sviluppo,
come vorrebbe fare credere la storia recente del mondo; lo sono stati, invece,
l’educazione e la cultura sostenuti dall’Umanesimo, dal riconoscimento
dell’essere umano come valore supremo, ricco di principî etici e di conoscenze
utili animate dal proposito di procurare a tutti gli individui condizioni di
vita degne, che favoriscano il loro perfezionamento. Questo è, precisamente,
l’intelligente vincolo tra razionalità e spiritualità nell’evoluzione della
razza umana”.
Riprendendo
quello che José Vasconcelos Calderón,
politico, filosofo e nono rettore dell’Università Nazionale Autonoma di Città
del Messico (oggi riconosciuta, a livello internazionale, come la più
importante del Paese), aveva scritto appena un secolo prima nel suo celebre
trattato su La razza cosmica (la
quinta, quella mista di tutte le razze del mondo, in nome di un nuovo
Umanesimo),
immaginando un’università che lavori per il popolo e lo “spirito” che parli per
una intera razza,
i musei universitari di arte contemporanea (il MUAC e lo Spazio Scultorico, il
MUCA, il Chopo, l’Eco) hanno assunto un ruolo educativo e sociale che trova la
sua forza proprio nel diventare il legame concreto tra l’università e l’intera
città.
Una volta conclusasi la guerra civile e formatosi il
primo governo rivoluzionario, nell’intento politico di una ricostruzione
nazionale, fu fondata nel 1921 la Secretaría de Educación Pública di cui
Vasconcelos fu ministro. Si
cercò di attuare un rinnovamento culturale e sociale attraverso l’educazione.
L’insegnamento estetico giocò un ruolo di primo ordine in questo senso e
numerosi furono gli artisti che credettero alla democrazia attuata con la
crescita spirituale e culturale delle masse, con l’apprendimento gratuito e per
tutti di capacità tecniche artigianali, con la comprensione dell’importanza di
una politica giusta e di una socializzazione per il bene comune attraverso
l’arte. Questo progetto è oggi raccontato da una
esposizione realizzata da Itzel Rodríguez e Dafne Cruz Porchini al Museo della
Rivoluzione di Città del Messico. Più di cento foto e accurati apparati
didattici spiegano il progetto ufficiale di educazione artistica popolare
avvenuto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso.
La
comunità scientifica si è interrogata più volte su quanto il progetto di
Vasconcelos, come ministro e come rettore, potesse oggi essere attuale e su
come la sua attualizzazione oscillasse tra realtà e utopia. Le linee politiche
da lui dettate in ambito culturale, educativo, universitario rimarranno
costante monito per chi verrà dopo di lui. Circa cinquanta anni dopo, nel 1964,
Jaime Torre Bodet (ministro dell’educazione e presidente dell’UNESCO negli anni
Cinquanta) lo citerà come esempio durante l’inaugurazione del Museo Nazionale
di Antropologia; circa cento anni dopo, oggi, ancora lo si ricorda e lo si
prende come esempio nelle più disparate occasioni.
Il ministero di Vasconcelos considerò l’istruzione e
la cultura parti di un tutto, non ragiona per compartimenti stagni e valorizza
contemporaneamente tre branche: Scuola, Biblioteche e Belle Arti. Come
strategia prioritaria propone l’istruzione degli strati popolari e più
emarginati con il fine di sradicare l’analfabetismo. Coinvolge anche le donne e
i bambini e chiunque avesse qualcosa da insegnare a chi non sapeva niente.
Riesce ad ottenere dal presidente degli Stati uniti Messicani, Alvaro Obregòn,
una donazione milionaria, superiore al tradizionale stanziamento per la difesa
militare, e fa costruire scuole, centri culturali, biblioteche in tutta la
nazione. Promuove tutte le arti, compreso il teatro e la danza. Fa ristampare i
grandi classici: Platone, Virgilio, Dante, Omero, Cervantes. Crea il Dipartimento della Cultura Indigena con
l’obiettivo di porre fine alla segregazione degli indios perché fossero
inseriti nella comunità nazionale (prima che indigeni erano messicani e
avrebbero contribuito alla grande cultura meticcia e alla “razza cosmica”).
Diffonde in tutto il paese lo sviluppo dell’istruzione tecnica e artigianale.
Pubblica due pregevolissimi tomi illustrati dedicati alle arti applicate,
grazie a una ricerca realizzata dal pittore Gerardo Murillo (Dr. Atl), che
titola Las Artes Populares en México
(1922). Offre agli artisti (Siqueiros, Rivera, Guerrero) i muri degli edifici
pubblici affinché possano esaltare i valori spirituali, morali e un “sentimento
nazionale nella sostanza ma universale nelle finalità”. Invita pittori e
letterari a mettere al servizio del bene sociale e dell’istruzione delle masse
popolari tutto il loro talento. Più volte ripete che l’arte è il principale
veicolo per conquistare una società democratica nella quale dominino i valori
dello spirito, della sensibilità, della morale.
Durante la prima metà del 1900, il nazionalismo
politico degli stati dell’America Latina trovò fondamentale il tema
dell’educazione universitaria: per creare una nuova classe dirigente, per
radicare un’identità propria e per cercare di emanciparsi dalle dipendenze europee
o statunitensi facendo del complesso passato storico la propria forza. Da qui
l’ambiziosa iniziativa di creare prestigiosi campus. La città universitaria
dell’UNAM fu considerata da molti come un’opera totale a cielo aperto, grazie
all’intervento congiunto di artisti e architetti e all’intensa relazione tra
facoltà, musei, teatri, biblioteche, istituti di ricerca, archivi, edifici
sportivi e spazi aperti di verde e pietra lavica. Costituì un termine di
paragone per molti altri campus e un nuovo “stile” per quanto riguardava il
sistema d’educazione, il linguaggio artistico e architettonico, il processo di
emancipazione.
Non bisogna dimenticare che appartiene storicamente
agli anni ’60 del Novecento latino-americano la pedagogia rivoluzionaria di
Paolo Freire (Brasile, 1921-1997), il suo tentativo di
liberazione attraverso: il processo di alfabetizzazione, l'apprendimento e
l'approfondimento della parola data, la concessione della
parola a coloro che non sono autorizzati aparlare, la parola agli oppressi per affrontare il processo dialettico di storicizzazione (ed
essere una persona nella storia), le tecniche di
apprendimento per mezzo dell’immagine (con cui il soggetto - autore impara, a poco a poco, ad essere testimone della propria storia, a “immaginare” attraverso la concettualizzazione del disegno e
a “scrivere”la propria vita, consapevole della sua esistenza, protagonista della
storia) .
Come
ha sottolineato Luis Gerardo Morales Moreno, però, il museo nazionale sviluppa
un linguaggio demistificatore del passato, in relazione alle necessità
simboliche delle società postcoloniali. Nella museologia messicana degli anni
1939 – 1987, nei musei local-nazionali (di storia, etnologia e archeologia),
“l’ancestralità” rappresentò per il XX secolo messicano l’“atto di lutto” per i
dimenticati e i vinti. La museografia storico-archeologica servì da “alchimia
della presenza di un’assenza”.
Grazie ai suoi riferimenti mitologici e immaginari, il Messico mantiene una
grande autonomia e preserva con orgoglio il suo passato, le rovine
archeologiche, i musei di storia e antropologia, i monumenti storici e
artistici radicando una certezza nei messicani di ogni fascia sociale,
culturale e d’età.
Oggi l’investimento culturale degli intellettuali e
quello economico del governo del Messico nella Città Universitaria continuano a
correre parallelamente anche quando si rivelano opposte le rispettive
ideologie, dando alcuni dei suoi più importanti frutti proprio nel
coinvolgimento trasversale di differenti classi sociali, nell’ampliamento dell’accessibilità
al sapere, nella costituzione di una più radicata e formata classe docente
latino-americana. Sembrerebbe che i frutti dell’educazione artistica
postrivoluzionaria e l’impegno intellettuale abbiano portato a questa alta
considerazione della cultura come motore di sviluppo e all’arte come mezzo
espressivo della critica sociale.
L’arte dell’America Latina si rivela al mondo con
distinte attitudini, all’inizio ancora spesso compromessa con la politica,
successivamente di completa rottura, alcune volte debitrice alle correnti
occidentali, altre volte ostinata a ricercare le proprie radici, in ogni caso
ritenuta necessaria, figurativa o astratta, popolare o colta, concreta o
concettuale, riconosciuta come “concentrata sulla propria catarsi come unica via
di liberazione”.
L’ampliarsi del campus universitario, accogliendo le
nuove tendenze, si manifesta simbolicamente in questo pensiero collettivo che
riunisce gli artisti pur non snaturando le individualità, come si vede dalla
realizzazione dello Spazio Scultorico (molto si deve alla poetica della docente
e artista Helen Escobedo);
dall’internazionalizzazione dell’esposizioni del MUCA; dalla nascita di sedi
distaccate, fuori dal campus, nella città, dei musei universitari EL ECO, CHOPO
e MUCA ROMA; dall’inaugurazione del MUAC.
Escobedo fu la prima ad interrogarsi sull’importanza
di portare l’arte dentro il campus della Città Universitaria. Riconosciuta
artista, direttrice del MUCA (Museo Universitario de Ciencias y Arte) dal 1966
al 1977, direttrice di diverse gallerie dell’UNAM e nel 1979 anche del CHOPO,
direttrice del Museo di Arte Moderna dal 1975 al 1989. Afferma nella sua
direzione come una Università, meglio di qualunque altra istituzione, possa
coltivare pluralismo, analisi, critica e rivolgerle ad un pubblico vasto ed
eterogeneo. Un “auditorio ambulante” e complesso, lo chiama, che l’Università
può catalizzare attraverso un comune denominatore che comprenda differenti
temi, in chiave interdisciplinaria e con un lavoro di squadra che generi una nuova
visione. Ripeteva spesso che era finita l’epoca degli eroi, insieme a quella
dei dittatori, e che in questa nuova società non si possono risolvere i
problemi restando soli ma solo lavorando uniti in maniera distinta ma plurale.
Le discipline scientifiche, i programmi curriculari
e l’attività museale all’interno della UNAM non funzionano per linee separate,
come generalmente è successo ai musei universitari (allontanando la teoria
dalla pratica, lo studio di cattedra da quello delle collezioni, l’élite culturale
accademica dalla gente comune, le biblioteche e gli archivi come luoghi
unicamente per “addetti ai lavori”) ma trovano nella ricerca, nell’apertura al
vasto pubblico, nella dimensione educativa una completa integrazione. Nel
settembre del 2006, viene organizzato dall’UMAC (University Museums and
Collections dell’ICOM) e dall’UNAM (in particolare dalla Dirección General de
Artes Visuales, la Oficina de Colaboración Interinstitucional e la Coordinación
de Difusión Cultural), un convegno dal titolo “Nuevos Caminos para
los Museos Universitarios” che propone una riflessione su queste istituzioni,
sulla specificità delle collezioni, sull’indagine dei pubblici, sui modelli di
gestione, avanzando una proposta di “modello messicano”, peculiare in questo
genere. Un
genere codificato abbastanza recentemente: in Europa grazie alla costituzione
dell’European Academic Heritage and
Universities e la Dichiarazione di Halle del 2000 in cui per la prima
volta si pone l’attenzione alla valorizzazione integrata del patrimonio
universitario; nel mondo con la nascita dell’UMAC (organizzazione interna a
ICOM che si dedica alle sedi museali legate all’Università) e la costituzione
di una rete di circa tremila musei universitari in tutto il mondo (di cui circa
cento di arte contemporanea).
Il convegno di Città del Messico (sede della
prima università d’America, la Real y Pontificia Universidad de México del
secolo XVI),
rimane una pietra miliare per gli studi di museologia universitaria. Si
riflette su un momento cruciale di perdita di valori nella cultura, nell’arte,
nella educazione e si risponde con una presa di posizione di impegno delle
università nella società e sul territorio. Ci si confronta con realtà vicine e lontane
di ogni continente, giungendo ad una consapevolezza: il profilo dei musei
universitari si è trasformato, in un mondo contemporaneo e globalizzato nuove
sono le domande e le risposte della società, maggiori sono le conoscenze per
una più accurata catalogazione e per l’accrescimento delle collezioni, è
aumentato il valore e l’importanza dell’educazione, dell’insegnamento, della
ricerca nel dovuto compromesso con la comunità.
Come ha sottolineato Montserrat Galì Boadella, il
modello neoliberale minaccia l’autonomia universitaria, attacca l’università
pubblica e impone un pensiero unico e acritico. E al modello nordamericano dei
musei con patrocinio privato strettamente connessi al mercato contrappore il
modello messicano di museo universitario basato sullo sviluppo scientifico e
pedagogico, della ricerca e dell’educazione della comunità.
Principali punti di forza di questo sistema, già
avviati e in via di consolidazione sono:
- il coordinamento tra i Dipartimenti dell’UNAM e la
programmazione dei musei universitari;
- le strategie di promozione (che i rispettivi uffici
stampa dei musei e il dipartimento di Diffusione Culturale dell’università
realizzano con pubblicazioni, programmi radio e una televisione di proprietà
dell’università, TVUNAM);
- la gestione integrata di turismo culturale e servizi
per la comunità (conciliando l’attrattiva della Ciudad Universitaria, sede
dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco per i suoi storici edifici,
dipinti da alcuni dei più noti artisti messicani, con l’offerta museale e le
attività correlate);
- l’inserimento delle collezioni in ambito
internazionale, nazionale e la promozione dei giovani artisti;
- lo sviluppo di un sentimento identitario all’interno
e all’esterno dell’università;
- la capacità d’incremento del pensiero critico e
della politica culturale del Paese.
Forza
che viene riconosciuta a questo sistema anche da Thomas Lentz che propone un
museo di arte anche per la prestigiosa Harvard, come una scelta semplice e
necessaria.
Il
merito di questa “rivoluzione messicana” va in buona parte a Graciela de la
Torre, socia fondatrice dell’Asociación Mexicana de Profesionales de Museos che
dal 2004 occupa la Dirección General de Artes Visuales en la UNAM, responsabile
del MUAC e della collezione di arte contemporanea dell’UNAM. Pioniera del
concetto di Servizio Educativo negli spazî espositivi, da sempre difende l’idea
che la visita al museo debba essere un’esperienza di apprendimento. Quando
inaugura il MUAC (Museo Universitario de Arte Contemporaneo) lo definisce un
“post-museo”, un museo del futuro che adesso è già presente: centrato sul
pubblico e sulle possibilità di interazione con il lavoro artistico
contemporaneo. Il
museo aspira: ad essere una istituzione di avanguardia con una costante
vocazione come veicolo di apprendimento e di costruzione della conoscenza; a
mantenere l’eccellenza dell’offerta ed essere un riferimento creativo a
servizio della comunità universitaria, nel campo nazionale e internazionale; a
convertirsi in uno standard di qualità e a generare le espressioni dell’arte e
della cultura visuale messicana. Inoltre, le aree educative si presentano come
uno spazio aperto che permette al visitatore di stabilire un legame emozionale
e intellettuale nell’interazione con l’arte contemporanea. Tre sono le
modalità: l’Agorà, concepita come area d’incontro e assimilazione, rivolta a
tutti i tipi di pubblico; l’Isola, più orientata ai piccoli e ai giovani, per
sostenere il pensiero creativo e la libera espressione; la Zona, a cui s’invita
il pubblico universitario e il pubblico adulto in generale, affrontando temi ed
esperienze di arte e cultura contemporanea. Le diverse modalità curatoriali
riflettono l’interdisciplinarietà e l’originalità della proposta. I diversi
ambiti coinvolti sono principalmente la filosofia contemporanea, l’antropologia
sociale, la psicologia, la cultura visuale. Si considera la costruzione e la
decostruzione delle letture differenti come la base museale della proposta
legata alla produzione universitaria e trasversale del sapere. La stessa pianta
architettonica e lo spazio museale si propongono al visitatore come possibilità
per un viaggio nella simultaneità e nella giustapposizione di percorsi che
dinamizzano la sua temporalità.
Come
hanno rilevato molti studiosi, tra cui Jesùs Pedro Lorente, l'America Latina ha
dimostrato un fermento ideologico anticonformista e solidale che, se ha
costellato la sua storia politica recente di rivoluzioni e tentazioni
populiste, non è stata meno determinante in altre aree come la religione, la
cultura, con fenomeni come la teoria della liberazione e, in conseguenza, una
museologia molto compromessa socialmente.
Un evento che ha contribuito molto al coinvolgimento dei professionisti dei
musei a favore di una maggiore implicazione nell’attivismo sociale è stata la
Conferenza di Santiago del Cile del 1972 in cui si organizzò una tavola rotonda
interdisciplinare coordinata dal messicano Mario Vàsquez Ruvalcaba. Furono
invitati specialisti dei musei ma anche persone comuni a discutere
sull’importanza del museo come luogo di sviluppo delle aspirazioni solidali e
sociali dell’America Latina. È qui che fu coniata la denominazione di “museo
integrale”,
specificando lo stretto legame tra museo e territorio. In questi anni Miriam
Arroyo Quan (pioniera della “nuova museologia”, internazionalmente
riconosciuta, insieme a Hugues de Varine e a Georges Henri Rivière) contribuì a
diffondere il modello di museo integrale (poi chiamato dell’ecomuseo). Nel 1972
fu creato all’interno del Museo di Antropologia il primo “museo comunitario”,
con annesso un Programma di museo scolare promosso dall’architetto e
museografo Iker Larrauri dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH),
con il proposito di stabilire un museo popolare in ogni scuola del paese,
allestito dai bambini con l’aiuto dei maestri.
In
questi anni nascono nelle grandi capitali anche i primi musei di Arte moderna
(San Paolo, 1948; Buenos Aires, 1956; Rio de Janeiro, 1958; Città del Messico,
1964) e di Arte contemporanea gestiti dall’università (Santiago del Cile, 1947;
Bogotà, 1955). E, con il coinvolgimento di luoghi più periferici, importanti
esempi di arte contemporanea e museologia sociale: come nel quartiere popolare
di Minuto de Dios a ovest di Bogotà, il Museo di arte Contemporanea, fondato da
padre Rafael Garcìa Herreros con l’appoggio della comunità artistica colombiana;
come il progetto del Museo di Arte Moderna di Città del Messico con
l’integrazione degli abitanti del quartiere Tepito che entrarono per la prima
volta in un museo grazie ad un piano di proposta di riurbanizzazione presentato
da un collettivo di artisti negli anni Settanta.
I
temi “caldi”
oggi, per il continente americano ma validi ad ogni latitudine, sono ancora
legati: al razzismo (diversità di idee, pelle, cultura, sesso, religione,
malattie o handicap); alla violenza interiore e psicologica (sulle donne, sui
bambini, dentro le case) e esteriore (strade, città, lavoro); all’ambiente
(inquinamento, raccolta differenziata, consumismo e ineguale distribuzione
delle risorse); alla legalità (corruzione, ingiustizia, democrazia mancata). A
questi problemi, a cui troppo spesso non hanno potuto rispondere i politici e
il governo, hanno risposto i luoghi di cultura (musei, università, scuole,
biblioteche, cinema, teatri) generatori di pensiero critico e costruttivo e
promotori di una nuova visione educativa, etica, spirituale e produttori
consapevoli di una reale ricerca di qualità della vita. Una rivoluzione in
apparenza più silenziosa ma con armi altrettanto potenti. Si è recentemente
concluso il 5 ottobre a San Luis Potosì un convegno sull’educazione nei musei De la teorìa a la pràtica y viceversa.
Generando pensamiento critico che ha visto, tra gli altri la partecipazione
di Peter Mclaren, esponente della Pedagogia critica, che più volte ha
affrontato questi temi .
L’inizio
dell’anno accademico 2012 -2013 di Città del Messico propone tre alternative,
che si compensano amplificando la forza espositiva (e la proposta educativa
annessa), esaustive di questo prolifico sistema contemporaneo: la prima, al
MUCA Roma, evidenzia il nesso tra ricerca, università, impulso museografico; la
seconda, al CHOPO, l’aspetto generatore di pensiero critico e consapevolezza
storica del momento attuale; la terza, al MUAC, la coopresenza di artisti di
fama internazionale e lo spazio dedicato ai giovani artisti, la riflessione sociale
e l’attività educativa correlata. Ecco alcune delle proposte.
Al
MUCA la prima generazione di studenti del programma di Studi curatoriali della
Specializzazione in Storia dell’Arte dell’UNAM (il primo di questo genere in
un’università pubblica, pensato per formare in maniera professionale, teorica e
pratica, il personale che lavorerà nei musei) seleziona alcune opere che
narrano, in maniera critica le implicazioni ideologiche e la conformazione
delle collezioni pubbliche e private che costituiscono un museo. Colecciòn: El crimen fundacional,
attraverso opere di artisti contemporanei di differenti generazioni riflette
sul valore dell’archivio, sul processo di acquisizione, classificazione,
revisione e esibizione dei pezzi.
Al
CHOPO tre mostre. La prima di fotogiornalismo, EXPOFOTOPERIODISMO2012, è una collettiva
fotografica che denuncia una società assalita quotidianamente dal crimine,
dalla violenza, con foto documentarie della vita nelle strade, nelle città di
confine, sui treni della speranza che molti latinoamericani prendono
illegalmente per raggiungere il sogno del nord, in condizioni pericolose che
ogni giorno causano la morte di molti di loro. La
seconda, attraverso opere individuali e collettive, documenti d’archivio e
video racconta il Festival Internacional por la Diversidad Sexual. Bodas de plata e la
storia dei diritti dei gay conquistati in Messico negli ultimi venticinque anni
con grandi sforzi, con il riconoscimento della legge ma non ancora del tutto
con un reale riconoscimento dell’opinione pubblica. La terza è una panoramica
sull’ambiente, Medios y ambientes,
con istallazioni, opere interattive, fotografie, di artisti latino-americani
pensate site specific come risposta estetica alla nozione di spazio e memoria, come
riflessione sul consumo del territorio, dell’aria, dell’acqua, della vita, alla
ricerca di un (im)possibile equilibrio.
Al
MUAC, due esposizioni in particolare, riflettono sul tema della frontiera
mettendo al confronto l’ultima e la precedente generazione di artisti
messicani. Per la nuova generazione, Edgardo
Aragón: por amor a la disidencia all’interno del ProyectoSextaSur (programma curatoriale, 2012-2013, che promuove
artisti emergenti, nazionali e stranieri, individualmente ma come in una
partitura di quattro incontri) esplora l’intersezione tra il sociale e il
politico, il personale e il pubblico, il rurale e l’urbano. Con video e foto,
Aragón conduce il visitatore in luoghi che si manifestano come zone di
conflitto all’interno del paesaggio messicano. Le sue videoinstallazioni
rivelano una frattura all’interno del sistema. Con l’opera Tinieblas (buio, ombre), per esempio, riflette sulla migrazione della frontiera e
indaga i limiti territoriali della sua città natale Ocotlán de Morelos,
Oaxaca, uno degli stati più grandi del territorio messicano che risulta
frazionato in 570 municipi tra cui si generano conflitti territoriali causati
da diversità culturali e politiche di appropriazione dello spazio, dove il
codice strategico per stabilire i confini è rappresentato da una grande pietra
che si chiama mojón (tumulo), segnale
permanente che si pone per fissare i limiti di una proprietà o frontiera. Su
alcune di queste pietre distanti tra loro chilometri e chilometri pone dei
musicisti, una banda ognuno col suo strumento, che nella sala del museo,
attraverso un sistema di video, suonerà riunita e vicina.
Per la generazione precedente, La Promesa di Teresa Margolles si inscrive all’interno di
un lungo progetto che l’artista iniziò a Città Juarez molti anni prima. Una
città di frontiera, di transito verso il nord, fu costruita come luogo di
opportunità, generando aspettative nelle migliaia di migranti di tutte le
regioni del paese che si istallarono lì con l’idea di costruire un futuro
migliore. La crisi economica, gli interessi del narcotraffico, la crescente
violenza hanno generato flussi migratorio di ritorno evidenziando la “promessa”
fallita e il declino di un sogno. Prova di questo, le migliaia di case
abbandonate, disabitate, vandalizzate che disegnano il nuovo paesaggio urbano
della città. Il muro di cinta di una di queste case viene trasportato
dall’artista all’interno del museo e poi sgretolato in una lunga azione
perfomativa sotto gli occhi dei visitatori. Il progetto, in chiave più
universale, pone l’evidenza sul fenomeno migratorio, sul movimento forzato di
moltissime persone, sulla ricerca di strategie di sopravvivenza.
Nel resto
del mondo, si sviluppano buone pratiche soprattutto per quanto riguarda i musei
universitari scientifici, molto meno i musei universitari si occupano di arte
e, nello specifico, di arte contemporanea (unico esempio in Italia è il centro
di ricerca Museo Laboratorio d'Arte Contemporanea di Roma, La Sapienza). Per
questo il caso dei musei universitari di arte contemporanea di Città del
Messico diventa un modello e un caso di studio. Il legame tra università e
museo viene qui valorizzato in ogni suo aspetto: ricerca, educazione,
formazione, presidio territoriale, crescita connessa. Si sta dimostrando un
grande impegno e una coraggiosa presa di posizione sui temi dello sviluppo
culturale e della coscienza critica come antidoto alla violenza diffusa, alle
logiche legate al narcotraffico piuttosto che all’immigrazione clandestina,
alla povertà o all’illegalità. Il “modello” Città del Messico è un’importante
premessa per lo sviluppo e una grande “promessa” da mantenere per il Paese e
non solo.
NOTE
Cfr. Paulo Freire: Alfabetização
e conscientização. Porto Alegre, 1963;
Educação como prática da liberdade, Río de Janeiro 1967; Educação
e conscientização: extencionismo rural, Cuernavaca (México): CIDOC/Cuaderno
25, 1968; Pedagogia do oprimido, New York 1970 (manoscritto in
portoghese del 1968).
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