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L’arte di Duchamp attraverso il gioco. Analisi delle opere della mostra “Duchamp. Re-made in Italy” mediante le categorie elaborate da Roger Caillois

 

Elena Lago
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 28 Aprile 2014, n. 714
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Ludus e Paidia          

Il gioco come chiave di lettura dell’opera di Duchamp. Tra ironica dissacrazione, metamorfosi e interazione con il pubblico, ho cercato di analizzare il carattere ludico delle opere della mostra “Duchamp. Re-made in Italy”, alla GNAM dall’8 ottobre 2013 al 9 febbraio 2014, usufruendo delle categorie di giochi elaborate dal sociologo Roger Caillois, nel 1958 [1] . Già, prima di lui, Johan Huizinga, storico olandese, in Homo ludens del 1939, aveva affermato che il gioco, inteso come atto puramente libero e istintuale, fosse precedente alla nascita della cultura e come quest’ultima si sia manifestata inizialmente in forma ludica [2] . Il gioco, per Huizinga è un’attività disinteressata, grazie alla quale si genera un mondo fittizio, non soggetto alle norme della vita ordinaria, ma a regole proprie che, essendo inconfutabili, se infrante, comportano il crollo della parentesi ludica.         Caillois, nel suo saggio, amplia le concezioni di Huizinga (che si occupa soprattutto del gioco soggetto a regole), ed esamina anche le componenti più oscure e ambigue del gioco, mettendo in evidenza come esso non sia dotato di un carattere unitario, ma di infiniti aspetti diversi che possono essere ricondotti a quattro tipologie principali: Agon, Alea, Mimicry e Ilinx, (competizione, caso, maschera e vertigine). A loro volta, queste categorie, si inseriscono in due insiemi di carattere opposto: quello della paidia e quello del ludus. Il primo, contiene in sé l’indole fantasiosa, incontrollata, esuberante del gioco, mentre il secondo, al contrario,  ne presenta il carattere disciplinato, calcolatore, soggetto a regole ben precise e basato sul superamento di ostacoli e sull’ottenimento di un risultato [3] . Secondo Caillois, in ogni categoria di gioco è rintracciabile la presenza della paidia o del ludus.  
Partendo dall’agon, categoria che presuppone una competizione regolata, in cui il giocatore tende a dimostrare le sue capacità fisiche o mentali, per il raggiungimento di un traguardo, Caillois evidenzia il suo stretto rapporto con il ludus: in entrambi, ciò che conta è il superamento di difficoltà e la dimostrazione della superiorità di un giocatore su un altro. Ciò vale per le gare sportive, quanto, ad esempio, per una partita a scacchi. Entrambe, infatti, implicano disciplina e perseveranza.      
La categoria dell’alea, comprende tutti quei giochi soggetti alla sorte [4] , che, contrariamente all’agon, non dipendono dalle qualità competitive dei giocatori (che rimangono passivi), ma dal favore o dallo sfavore del destino. In questo caso, non si premiano il lavoro e l’allenamento, ma allo stesso tempo, esiste, al contrario di quanto si possa pensare, una combinazione tra ludus e alea, poiché, nonostante l’elemento decisivo della sorte, il giocatore è soggetto a regole ben precise. E, del resto, non c’è nessun collegamento tra la fantasia e la turbolenza della paidia e la passiva attesa del verdetto del caso, tipica dell’alea.         
Caillois sottolinea che il gioco è spesso caratterizzato dalla creazione di un mondo fittizio, illusorio (da in-ludere, entrare in gioco) e quindi presuppone che i partecipanti accettino di entrare nei panni di un personaggio immaginario, in una realtà inventata. Già Huizinga aveva scritto che il gioco si svolgeva entro un mondo temporaneo, un «cerchio magico [5] » che, dunque, comportava un “travestimento” momentaneo. Caillois ha usato, per designare questa categoria, il termine mimicry che in inglese indica la capacità mimetica di alcuni insetti. La mimicry comporta un costante uso della fantasia, un’invenzione continua. Per tale motivo passa continuamente dalla modalità di gioco della paidia a quella del ludus, nel loro eterno contrasto che oppone «il chiasso a una sinfonia, lo scarabocchio all’applicazione sapiente delle leggi della prospettiva [6] ». Non troviamo nessuna regola nel travestimento di carnevale e per questo, la mimicry potrebbe essere ricondotta alla spensieratezza della paidia, ma allo stesso tempo, la trasformazione e la maschera conducono alla sfera teatrale o ai giochi di ruolo, ricchi di tecniche, norme e convenzioni che la avvicinano inevitabilmente al ludus, quale fondatore di istanze culturali e dunque di civiltà.
L’ultima categoria elaborata da Caillois è quella dell’ilinx, il gioco come ricerca della vertigine, della perdita di lucidità, nell’abbandonarsi all’ebbrezza. L’autore porta l’esempio di un gioco haitiano, il maïs d’or, in cui due bambini, uno di fronte all’altro, tenendosi per mano, iniziano a girare vorticosamente fino a perdere l’equilibrio. Non a caso, Caillois, per individuare tale categoria, usa il termine ἷλιγξ –ιγγος che i greci utilizzavano per indicare il vortice, il gorgo d’acqua. Spesso l’ilinx può avere un contatto con la mimicry, basta pensare all’uso delle maschere nei riti sacri dei popoli primitivi, nei quali si giungeva ad uno stato di trance o estasi, visibile capovolgimento della vita quotidiana, in cui l’officiante si trasforma in Dio o in ogni sorta di spirito importante per la tribù [7] . In questo senso, Caillois afferma che l’ilinx è una categoria strettamente legata alla paidia, nel suo carattere di pura e spontanea veemenza.      

Duchamp attraverso Caillois.           

Nella prima sala della mostra “Duchamp. Re-made in Italy”, alla GNAM dall’8 ottobre  2013 al 9 febbraio 2014, leggiamo, su una delle pareti, «il gioco è un’altra espressione mentale, intellettuale che ha dato qualcosa in più alla mia vita e alla mia personalità [8] ».  Questa frase dà avvio al percorso espositivo, quasi a voler invitare lo spettatore a capire come il gioco sia un  elemento fondamentale del processo artistico di Duchamp.  
L’oggetto dello studio è stato l’analisi delle opere di Duchamp mediante le tipologie di gioco sviluppate da Caillois, esposte precedentemente. Un percorso attraverso il ludus e la paidia che mette in relazione l’arte con il gioco, nell’intenzione di dimostrare come il camuffamento, la vertigine, il capovolgimento, il caso e l’enigma siano alla base della creatività dadaista e come tali elementi siano in grado di coinvolgere lo spettatore.

Dagli scacchi ai giochi di parole, la forma pura del ludus.

Gli scacchi, la grande passione di Duchamp. Nella mostra era esposta una piccola scacchiera portatile e tre incisioni intitolate Studio per giocatori di scacchi, del 1911, ad indicare che Duchamp praticò questo gioco dall’età giovanile, fino a gareggiare a livello internazionale. Nel 1924, recita nel film Entr'acte di René Clair, con sceneggiatura di Picabia: gioca a scacchi con Man Ray su una terrazza parigina, in una partita dalla durata di 15 secondi. Nello stesso anno, diventa campione di scacchi dell’Alta Normandia.   
Al di là del carattere competitivo, per Duchamp, gli scacchi sono l’esempio migliore dell’arte come attività mentale. Già partendo da questo presupposto, notiamo che nel pensiero dell’artista, arte e gioco sono legati da un filo sottile, quello della libertà della “materia grigia”. La partita a scacchi è un gioco di pazienza, di concentrazione e allenamento. Inevitabilmente, Caillois lo inserisce nella categoria dell’agon e nella modalità del ludus. Non c’è nulla di aleatorio, non c’è nulla del turbinio e della sregolatezza della paidia. Si tratta di ragionamento e competizione regolata. Inoltre, per Duchamp, gli scacchi sono un hobby. Caillois lo definisce «una forma particolare di ludus», un’attività intrapresa senza un secondo fine, per puro diletto [9] .       
Calvesi interpreta il gioco degli scacchi «un impegno puro e gratuito del pensiero» che può essere ricondotto alla simbologia alchemica, per la presenza de Re e della Regina (come maschile e femminile, “fisso e volatile”), della torre (come athanor per la distillazione della materia) e dei colori bianco e nero della scacchiera (come equilibrio dei contrari) [10] . Quindi, anche l’alchimia potrebbe essere vista come gioco, prevalentemente nella sua accezione di ludus puerorum, una delle fasi finali del processo di trasmutazione della materia, operazione culminante e difficile che necessita di forze quali la libertà, la fantasia e la regola, elementi tipici dei giochi infantili. Dunque, alchimia come insieme di ludus e paidia, regola e disordine.          

Caillois inserisce «i cruciverba, i giochi matematici, gli anagrammi, i versi olorimi, i vari logogrifi» nella forma di gioco del ludus, dove, spesso, può anche manifestarsi la presenza dell’agon, della competizione. Di conseguenza, i giochi di parole di Duchamp che costellano gran parte dei suoi ready-made possono essere inseriti nella sfera del ludus, del superamento di difficoltà, anche poste dall’artista stesso, nel raggiungimento di una soluzione finale, sempre diversa, come avviene nella partita di scacchi. Si tratta, però, anche di sovvertire le regole tradizionali del linguaggio, di ricercare altri significati all’interno delle parole, attraverso “l’umorismo di precisione [11] .” Duchamp, a proposito dei giochi linguistici  afferma: «Si sa, i giochi di parole sono sempre stati considerati una bassa forma d’ingegno, ma io li trovo una fonte di stimolo sia per il loro suono attuale, sia per il significato inatteso legato ai reciproci rapporti tra disparate parole. Per me questo è un campo infinito di divertimento ed è a portata di mano. Qualche volta emergono quattro o cinque diversi livelli di significato [12] ». Dunque, i giochi di parole, come forma di ingegno da una parte, e come divertimento, diletto, dall’altra. La competizione si può nascondere anche nella sfida che Duchamp lancia agli spettatori, riguardo la risoluzione degli enigmi che costellano le sue opere. Basta pensare a L.H.O.O.Q., al Grande Vetro, a Fountain o agli altri ready-made attraverso cui Duchamp invita l’osservatore a riflettere sulle connessioni tra linguaggio e oggetto, a trovare un’interpretazione. Anche qui, l’agire artistico di Duchamp si inserisce all’interno di un quadro che comprende il ludus, come elemento di fecondità culturale (inteso anche nella sua accezione di mimicry, in quanto un termine assume, mediante i giochi di parole, più identità) e la paidia, come puro piacere di giocare.           

«Une goutte de hasard», l’alea in Duchamp.          

Nel gioco duchampiano, non troviamo solamente la dimensione dell’agon, ma anche quella dell’alea. È, infatti, impossibile non ravvisare la componente aleatoria, anche nel resto della poetica dadaista che, spesso, assume il caso come elemento princeps del processo compositivo. Farei riferimento al testo di Pour faire un poème dadaïste di Tristan Tzara [13] , dedicato a Duchamp con le parole Une goutte de hasard (“Una goccia di caso”), in cui l’autore invita a ritagliare parole di un articolo di giornale, inserirle in un sacchetto, agitarlo ed infine ad estrarle per disporle nell’ordine in cui sono uscite dal sacchetto, in modo da formare una poesia. Segue le indicazioni di Lewis Carroll che consiglia: “Prima scrivi una frase e poi tagliala in piccoli pezzi; mescolali e riprendili a caso proprio come capitano: l’ordine delle frasi è del tutto indifferente. [14]          

Molti ready-made di Duchamp si basano sull’aleatorietà, a cominciare da 3 Stoppages Étalon: l’artista faceva cadere [15]   tre fili, per tre volte, dall’altezza di un metro, su tele dipinte, dove essi, precipitati in modo casuale, generavano linee ondulate e diverse che divenivano delle unità di misura totalmente arbitrarie e fuori dalle comuni leggi della misurazione. A proposito di tale opera Duchamp scrisse: “Questa esperienza fu realizzata nel 1913 per fissare e conservare forme ottenute dal caso, dal mio caso […] [16] ”. Alla mostra sono presenti altre opere interessate dal caso, ad esempio Obligations pour la roulette de Monte-Carlo, un collage, con una foto eseguita da Man Ray di Duchamp (sullo sfondo di una roulette) con la testa insaponata e i capelli che ricordano le ali di mercurio, dio del commercio e protettore dei ladri. Il tutto sul fondo verde del tavolo da gioco, inquadrato da una cornice che riporta un gioco di parole, scritto senza soluzione di continuità: moustiquesdomestiquesdemistock. Intorno al 1924-25 Duchamp comincia a giocare alla roulette e per questo ha bisogno di finanze. Fonda un’associazione e vende obbligazioni del valore di cinquecento franchi l’una, sistema secondo lui infallibile, ma che in realtà gli procurerà la vendita di sole due obbligazioni. In questo modo, perciò, il caso vuole essere quasi messo da parte, come se Duchamp intendesse introdurre la rigida regola degli scacchi nel gioco della sorte [17] . In effetti, in quest’opera riaffiora il ludus nell’accezione di competizione, di raggiungimento di uno scopo ben preciso, senza aspettare la casualità del destino.          

La maschera. 

Duchamp si traveste, cambia nome,  diventa donna. Alla mostra, troviamo un foglio che ci ricorda per tre volte il mutamento avvenuto: da Marcel diventa Rrose Sélavy e questo pseudonimo richiama, mediante l’anagramma di Rose, l’Eros. Duchamp si vestì da donna e fu fotografato da Man Ray nel 1920. Il travestimento rivelava un’allusione all’androginia, ma anche il bisogno di un continuo cambio d’identità, la  costante ricerca di qualcosa “che va al di là” di quello che vediamo, non solo negli oggetti dei suoi ready-made, ma anche in se stesso. In un’intervista a Pierre Cabanne [18] , Duchamp, a proposito della sua metamorfosi, disse: «Volevo cambiare la mia identità e dapprima ebbi l’idea di prendere un nome ebraico. Io ero cattolico e questo passaggio di religione significava già un cambiamento. Ma non trovai nessun nome ebraico che mi piacesse, o che colpisse la mia immaginazione, e improvvisamente ebbi l’idea: perché non cambiare il mio sesso? Era molto più facile! […].» Questa ricerca del doppio è costante in tutta la sua opera: utilizza l’identità femminile anche per la fotografia del profumo Belle Haleine, Eau de Voilette [19] , del 1921. Come sottolinea Calvesi, Haleine significa respiro, alito ed indica la risalita dell’essenza in ambito alchemico. Ma è anche Hèléne, quindi, Duchamp, ancora una volta assume un’altra identità, diventa Elena di Troia, “donna per eccellenza”. E non a caso, l’opera Air de Paris, indicherebbe, per Calvesi, non solo Parigi, ma anche Paride, eroe effeminato che si accoppia con Elena e ha in sé l’essenza dell’androginia che alberga nell’alambicco alchemico.  L’etichetta del profumo presenta un altro dettaglio importante: ci sono una “R” e una “S” scritte dorso a dorso, forse a voler indicare l’altro nome Rrose Sélavy e che i due pseudonimi si corrispondono nel loro significato di unione dei contrari e di trasformazione della materia e della personalità.    

Nella sala  iniziale della mostra, possiamo trovare Tonsure, una foto fatta da Man Ray, nel 1919 che ritrae la testa di Duchamp vista da dietro. I capelli sono rasati e al centro della nuca è incisa una stella, segno di elezione. Anche quest’azione potrebbe essere ricondotta alla sfera della mutazione, del cambiamento, dato che la testa, vista come Vas hermeticum, rappresenta la trasmutazione spirituale e mentale, tanto più che Duchamp si camuffa anche attraverso lo pseudonimo di Richard Mutt che, non a caso, attraverso il suo anagramma bilingue, rivela la frase hic art de muter (“questa [è] arte di mutare”), secondo l’interpretazione della Humbert [20] . E in senso più stretto, se guardiamo all’ambito specifico dei rebus, potremmo dire che questo particolare tipo di gioco è un mascheramento, tramite figure – insieme a lettere – di una frase. Dunque, la mimicry, intesa come gusto della variazione, del cambiamento d’identità, della ricerca del doppio, ma anche della trasformazione del pensiero e del linguaggio è un paradigma nell’arte di Duchamp.     

 Movimenti vertiginosi.          

Project for the rotary demisphere, del 1924 e i Rotoreliefs, del 1935, esposti alla mostra, riguardano gli studi che Duchamp fece nel campo del movimento e degli effetti che esso produceva sulla percezione umana. Man Ray, a proposito degli esperimenti di Duchamp, in particolare, di Lastra rotante di vetro (ottica di precisione), del 1920, scrisse: «Oltre a dedicarsi tenacemente agli scacchi, in quel periodo era impegnato nella costruzione di una strana macchina costituita da stretti pannelli di vetro, su ognuno dei quali aveva tracciato parti di una spirale, montandoli poi con cuscinetti a sfera su un asse collegato ad un motore. La sua idea era che i pannelli avrebbero assunto un movimento rotatorio ricostituendo, se visti di fronte, la spirale completa. Quando il congegno fu pronto, portai la macchina fotografica per immortalare l’esperimento e la sistemai dove si presumeva stesse o spettatore […]» [21] . La studio di Duchamp, infatti è teso ad osservare gli effetti del movimento rotatorio nel tempo. Calvesi trova il modello dei dischi rotanti nella Rota cabalistica, sia per un richiamo alla ciclica salita e precipitazione dei vapori nell’alambicco, sia per il riferimento alla vita stessa dell’uomo che ha il movimento circolatorio, «del divenire che torna su se stesso» [22] . Tra l’altro, anche Man Ray, realizza, nel 1946, l’opera La fortune III, assemblaggio che contiene una “ruota della fortuna” che, nel Medioevo designava l’alternanza di vizi e virtù e l’imprevedibilità della sorte [23] , a richiamo dell’alea. 

Carla Subrizi mette in relazione l’ottica di precisione con l’erotismo: «I dischi, ruotando, provocano un movimento oscillatorio, verso l’alto e verso il basso, molto simile all’atto sessuale […]» [24] . Quindi, le macchine rotanti di Duchamp producono movimenti vertiginosi e in chi guarda, un senso di stordimento che potrebbe essere ricondotto alla categoria dell’ilinx. Secondo Caillois, essa non è altro che un richiamo alla dimensione onirica, all’allucinazione, alla perdita di stabilità. Duchamp, con i giochi ottici, da una parte, dà valore al moto vorticoso, dall’altra pone l’attenzione sul movimento erotico. Entrambi sono due elementi che richiamano la sfera dell’abbandono dei sensi, del gioco come manifestazione esuberante e spontanea, come la paidia. La vertigine è provocata anche al fatto che le parole non sono disposte in modo lineare e dunque, creando una spirale, spesso formata da frasi non-sense, provoca un capovolgimento, non solo ottico, ma anche della consueta logica letteraria.     

 

Dall’agon all’ilinx, dunque, la poetica di Duchamp è permeata dal gioco. Esso permette di concepire l’artista come un giocatore che passa incessantemente dal ludus alla paidia, dalla regola al caso, dalla finzione alla realtà.      

 

 

 


NOTE

[1] Nel saggio I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, Bompiani, 1981.

[2] «[…] La cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stati d’animo ludici. In tale «dualità-unità» di cultura e gioco, gioco è il fatto primario, oggettivo, percettibile, determinato concretamente; mentre la cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico al dato caso.» In Johan Huizinga, Homo ludens, Torino, Einaudi, 1946.

[3] «Una simile potenza primaria d’improvvisazione e spensieratezza, che chiamo paidia, si incontra con il gusto della difficoltà gratuita, che propongo di chiamare ludus, per dare origine ai vari giochi cui si può attribuire senza esagerazione, una funzione civilizzatrice». In Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, Bompiani, 1981, p. 46.

[4] Umberto Eco analizza il gioco dei dadi, il “ludere alea” dei latini: «il soggetto innesca il processo (“alea iacta est”) ma non sa cosa succederà: il gioco si articola da solo. A tal punto che esso assume lo stesso nome della fortuna, della sorte, dell’azzardo, talché nel corso della cultura posteriore giunge a significare tecnicamente la casualità […].» In «Homo ludens» oggi, saggio introduttivo a J. Huizinga, Homo ludens, Torino, Einaudi, 1973, p. XX.

[5] Johan Huizinga, op. cit., p. 15.

[6] In Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, Bompiani, 1981, p. 71.

[7] Anche Huizinga, a proposito della maschera scrive: «L’essere-diverso e la misteriosità del gioco sono espressi ambedue visibilmente nel travestimento. In esso si completa il carattere “insolito” del gioco. Il travestito o mascherato “gioca” un altro essere. Egli “è” un altro essere. Spavento infantile, divertimento sfrenato, rito sacro e rappresentazione mistica si uniscono indissolubili in tutto quel che è maschera e travestimento.» In Homo ludens, Torino, Einaudi, 1946, p.17.

[8] Intervista a J.J. Sweeney, 1946.

[9] Riporto le parole di Duchamp: «Gli scacchi sono un hobby, un gioco, qualsiasi persona può giocare a scacchi. Ma io mi sono dedicato ad essi seriamente e mi è piaciuto perché ho trovato dei punti in comune tra scacchi e pittura. Effettivamente quando giochi a scacchi è come disegnare qualcosa o costruire un meccanismo di qualche genere per mezzo del quale si vince o si perde. L’aspetto competitivo del gioco non ha importanza, ma la cosa in sé è molto plastica e questo è probabilmente quello che mi ha affascinato nel gioco[…]». In A conversation with Marcel Duchamp, intervista di J.J Sweeney, 1946.

Inoltre, a tale proposito, richiamo l’articolo di Antonella Sbrilli,  Il Tristram Shandy sulle soglie del Dada, in “Storia dell’arte” n. 118, 2007, pp.105-126, in cui l’hobby, o meglio, l’hobby-horse (il cavalluccio a dondolo, il “dispositivo per ingannare il tempo”),  viene accostato al termine dada, usato nella prima traduzione del Tristram Shandy in francese, per sostituire “cavallo a dondolo”.    

[10] Calvesi evidenzia che Duchamp «ha persino scritto un saggio sui casi speciali di chiusura di partita nel gioco degli scacchi, significativamente intitolato: Opposition et les cases conjuguées sont réconciliées». In Duchamp invisibile. La costruzione del simbolo, Roma, Officina, 1975.

[11] Carla Subrizi, Introduzione a Duchamp, Laterza, Roma, 2008, p. 17

[12] In The artist’s voice; talks with seventeen artists, conversazione con Katherine Kuh, Londra, 1962.

M. Humbert, a proposito dei vari livelli di significato che emergono da una parola, fa riferimento ai sistemi linguistici trasmessi dalla Kabbala, dove ogni parola possiede tre significati diversi, ai quali corrispondono tre tipologie interpretative. Per approfondire, Giochi linguistici e linguaggio in Marcel Duchamp: dalla ruota di bicicletta a “With mi tongue in my cheek”, in Studi in onore di Giulio Carlo Argan, Firenze, La Nuova Italia, 1994, p. 321.

[13] Riporto qui il testo originale: Prenez un journal. / Prenez des ciseaux. /Choisissez dans ce journal un article ayant la longueur que vous comptez donner à votre poème./ Découpez l’article./ Découpez ensuite avec soin chacun des mots qui forment cet article / et mettez-le dans un sac. / agitez document./ Sortez ensuite chaque coupure l’une après l’autre. / Copiez consciencieusemente / dand l’ordre où elle ont quitté le sac. / Le poème vous resemblera. / Er vous voilà un écrivain infiniment original et d’une sensibilité charmante, encore qu’encomprise du vulgaire. In Dada Manifeste sur l’amour faible et l’amour amer.

[14] Nella poesia Poeta Fit, non Nascitur, in Phantasmagoria, 1869.

[15] Calvesi in Duchamp invisibile, fa notare che “caduta” in latino si dice casus che significa anche caso, evento occasionale.  Quindi c’è uno stretto rapporto tra la caduta dei fili e la creazione di un’unità di misura soggetta al caso, di un «metro che è metro di se stesso». Inoltre, Calvesi in Un Coup dada. Il caso nell’arte contemporanea, facendo riferimento sempre alla corrispondenza tra caduta e caso, fa risalire all’italiano “dado” il nome “Dada”, intrinsecamente legato al caso. È anche da Mallarmé che il Dada apprende l’elemento dell’aleatorietà. Infatti, nel 1897 pubblica Un Coup de Dés jamais n'abolira le Hasard, (“Mai un lancio di dadi eliminerà il caso”), poesia scritta sotto forma di calligramma, non con un vero e proprio disegno, ma a voler indicare che i versi sono “precipitati” casualmente sul foglio.

[16] Estratti di note redatte da Duchamp e presenti in Marcel Duchamp, in Riga, n.5, a cura di Elio Grazioli, Milano, Marcos y Marcos, 1993.

[17] Calvesi associa il significato di questa litografia al numero tre e alle leggi cabalistiche: «Per chi comprende questa legge, la vincita è infallibile, anche perché la vincita consiste nella comprensione della stessa, cioè nella sapienza, che è la massima ricchezza.» Inoltre, il gioco di parole sullo sfondo nasconde, secondo l’autore, la lettura Demistock de Mistique, come se l’obbligazione contenesse «mezzo stock di mistica». In Duchamp invisibile. La costruzione del simbolo, Roma, Officina, 1975.

[18] Marcel Duchamp, Ingénieur du temps perdu. Entreniens avec Pierre Cabanne, Parigi, 1967.

[19] Voilette è la combinazione di due termini: violette  e toilette. La violetta in ambito alchemico indica il Rebis, o l’unione degli opposti, rappresentato dall’Ermafrodito. Infatti anche la foto di Duchamp, travestito da donna rimanda all’androginia.

[20] L’autrice mette in evidenza che Duchamp, firmandosi con questo pseudonimo su Fountain, ebbe cura di non rivelare che l’opera fosse sua. In questo senso, offre un’altra lettura anagrammatica di Richard Mutt: ttr mar duch, ovvero taire Marcel Duchamp (“tacere Marcel Duchamp”) che nasconderebbe l’intenzione di non rivelare la sua vera identità. In Giochi linguistici e linguaggio in Marcel Duchamp: dalla ruota di bicicletta a “With mi tongue in my cheek”, in Studi in onore di Giulio Carlo Argan, Firenze, La Nuova Italia, 1994.

[21] In Man Ray, Autoritratto, Milano, Mazzotta, 1975.

[22] In Duchamp Invisibile. La costruzione del simbolo, Roma, Officina, 1975, pp. 280-281

[23] Per approfondire: Matilde Battistini, Astrologia, magia, alchimia, in Dizionari dell’Arte, Milano, Electa, 2004.

[24] In Introduzione a Duchamp, Laterza, Roma, 2008, p. 106.




BIBLIOGRAFIA:

Matilde Battistini, Astrologia, magia, alchimia, in “Dizionari dell’Arte”, Milano, Electa, 2004.

Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, Bompiani, 1981.         

Maurizio Calvesi, Duchamp Invisibile. La costruzione del simbolo, Roma, Officina, 1975.           

Maurizio Calvesi, Un Coup dada. Il caso nell’arte contemporanea, 1975-1976, in Avanguardia di massa, Milano, Feltrinelli, 1978.        

Marcel Duchamp, Ingegnere del tempo perduto. Conversazione con Pierre Cabanne, Milano, Abscondita, 2009.             

Umberto Eco, «Homo ludens», oggi, 1973, saggio introduttivo a Johan Huizinga, Homo ludens, Torino, Einaudi, 1946.  

Elio Grazioli, Marcel Duchamp, in “Riga”, 5, Milano, Marcos y Marcos, 1993.   

Johan Huizinga, Homo ludens, Torino, Einaudi, 1946.       

Michèle Humbert, Giochi linguistici e linguaggio in Marcel Duchamp, dalla ruota di bicicletta a “With my tongue in my cheek”, in Studi in onore di Giulio Carlo Argan, Roma, La Nuova Italia, 1994.         

Janis Mink, Marcel Duchamp, Colonia, Taschen, 2004.

Katherine Kuh, The Artist’s Voice: talks with Seventeen Artists, New York, Harper & Row, 1962.         

Man Ray, Autoritratto, Milano, Mazzotta, 1975.     

Carla Subrizi, Introduzione a Duchamp, Bari, Laterza, 2008.

J.J. Sweeney, A conversation with Marcel Duchamp, intervista televisiva, 1946.  



          



 

 

Fig. 1
MARCEL DUCHAMP, Incisione d'après l'“Étude pour les joueurs d'échecs”, 1911-1966
acquaforte su carta giapponese, mm. 500 x 650,
Roma, GNAM

Fig. 2
MARCEL DUCHAMP, Stoppages-étalon, 1913-1914 (1964)
ready-made, scatola di legno con lastre di vetro, assi sagomate di legno e fili incollati su strisce di tela, cm. 28 x 129 x 22,5,
Roma, GNAM

Fig. 3
MARCEL DUCHAMP, Éros c'est la vie, 1968
inchiostro su carta, cm. 27 x 21,
Roma, GNAM

Fig. 4
MAN RAY, Tonsure, 1919-1977
ristampa fotografica b/n, mm. 285 x 225
Roma, GNAM

Fig. 5
MARCEL DUCHAMP, (Da una foto di Man Ray), Project for the Rotary Demisphere, 1924
stampa su carta, mm. 285 x 270,
Roma, GNAM



	

Foto 1, 3, 4 e 5 cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Foto 2 cortesia Elena Lago

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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