Polifilo
sogna di ritrovarsi in una selva oscura e pericolosa e, spaventato,
di uscirne assetato per ristorarsi presso una fonte. Giunge in un
luogo ameno dove, all’ombra di una quercia, si riaddormenta e ci
narra una nuova avventura.
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«La
spaventevole silva, et constipato nemore evaso, et gli primi altri
lochi per el dolce somno che se havea per le fesse et prosternate
membre diffuso relicti, me ritrovai di novo in uno più delectabile
sito assai più che el praecedente. El quale non era de monti
horridi, et crepidinose rupe intorniato, né falcato di strumosi
iugi. Ma compositamente de grate montagniole di non tropo altecia.
Silvose di giovani quercioli; di roburi, fraxini et Carpini, et di
frondosi Esculi, et Ilice, et di teneri Coryli, et di Alni, et di
Tilie, et di Opio, et de infructuosi Oleastri, dispositi secondo
l’aspecto de gli arboriferi Colli. Et giù al piano erano grate
silvule di altri silvatici arboscelli, et di floride Geniste, et di
multiplice herbe verdissime, quivi vidi il Cythiso, la Carice, la
commune Cerinthe. La muscariata Panachia el fiorito ranunculo, et
cervicello, o vero Elaphio, et la seratula, et di varie assai nobile, et de molti
altri proficui simplici, et ignote herbe et fiori per gli prati
dispensate. Tutta questa laeta regione de viridura copiosamente
adornata se offeriva. Poscia poco più ultra del mediano suo, io
ritrovai uno sabuleto, o vero glareosa plagia, ma in alcuno loco
dispersamente, cum alcuni cespugli de herbatura. Quivi al gli ochii
mei uno iocundissimo Palmeto se appraesentò, cum le foglie di
cultrato mucrone ad tanta utilitate ad gli Aegyptii, del suo
dolcissimo fructo foecunde et abundante. Tra le quale racemose
palme, et picole alcune, et molte mediocre, et l’altre drite erano
et excelse, electo Signo de victoria per el resistere suo ad
l’urgente pondo. Ancora et in questo loco non trovai incola, né
altro animale alcuno. Ma peregrinando solitario tra le non densate,
ma intervallate palme spectatissime, cogitando delle Rachelaide,
Phaselide, et Libyade, non essere forsa a queste comparabile. Ecco
che uno affamato et carnivoro lupo alla parte dextra, cum la bucca
piena mi apparve » .
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«Scampato alla spaventosa selva e alla fitta boscaglia e lasciati i trascorsi
paesaggi, con le membra stanche e prostrate per il dolce sonno che
le aveva pervase, mi ritrovai in un luogo molto più ameno del
precedente. Il quale non era contornato da orrendi monti e scoscese
rupi, né era tagliato da aspre giogaie. Ma composto da grandi
montagne non troppo alte ricche di selve di giovani querce, di
roveri, frassini, carpini, di ischi frondosi e lecci, di teneri
noccioli, ontani, tigli, aceri, sterili oleastri disposti a seguire
l’andamento degli arboriferi colli. E giù nella valle vi erano
grandi selve di altre piante selvatiche, di floride ginestre, di
molte erbe verdissime. Qui vidi sparsi sui prati il citiso, la
carice, la cerinta comune, la panachia muscaria, il ranuncolo
fiorito, il cervicello o elafio, la serratula, molte specie assai nobili e molte altre
semplici ed ignote erbe sparse nei prati. Si offriva tutta questa
lieta regione coperta di verde.
Poco oltre trovai una piaggia
sabbiosa e piena di ghiaia, punteggiata qua e là di radi cespugli
erbosi. Qui si presentò agli occhi miei un delizioso palmeto, le
cui foglie sono tanto utili per gli Egizi, dal suo dolcissimo frutto
fecondo ed abbondante. Per i cui rami, alcuni piccoli e mediocri,
altri dritti ed eccelsi, fu eletta simbolo di vittoria a causa del
suo resistere anche sotto un gran peso. Ancora, in questo luogo, non
trovai abitanti né animale alcuno. Ma camminando solitario tra le
non dense ma intervallate palme, pensando a Rachelaide, Phaselide e
Libyade, non esserci forza a queste comparabile. Ecco che, dalla
parte destra, mi apparve un affamato e carnivoro lupo con la bocca
piena ».
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Polifilo sogna di assopirsi
grazie alla frescura di un albero e di passeggiare solitario in un
luogo puntellato da «non dense ma intervallate palme»,
in uno scenario di rovine antiche che trasformano il suo doppio sogno
in preludio del sogno archeologico dove molti sono i riferimenti
all’antico .
La stessa vegetazione fatta di
palme
racchiude in sé molteplici significati. Essa, infatti, è sia indice
topografico, come Calvesi sostiene,
che ci aiuta ad identificare il luogo con il litorale laziale dove
la palma cresce spontaneamente, sia riferimento alla cultura egizia,
in cui tale pianta viene spesso assimilata al dio Thot, signore del
tempo
e conservata nella mano destra del dio dell’oltretomba Anubi .
I suoi rami, infine, sono il materiale con cui vengono intrecciati i
sandali della dea Iside e le corone sul capo dei suoi iniziati.
In questa pianta coesistono i simboli della vittoria e della forza
essendo resistente e sempreverde.
Erasmo nei suoi Adagia,
menzionando Aulo Gellio e a sua volta Aristotele e Plutarco, scrive
«palmam ferre» per indicare il grado di sopportazione
della fatica del suo
legno che, sottoposto ad un grosso peso, né cede e né si curva
come sottolineano anche Leon Battista Alberti nel De
Re Aedificatoria
e Francesco Colonna nella stessa Hypnerotomachia .
Negli Emblemata
Henkel e Schone ci offrono l’immagine di una palma assediata da
tanti paffuti fanciulli che tentano di conquistare i datteri odorosi,
ma solo colui che più tenacemente riuscirà a tenersi potrà averli
come meritati premi
a monito di restar sempre saldi contro le difficoltà per ottenere le
vittorie. Ed infine è proprio la personificazione della vittoria
ad avere tra le sue insegne oltre all’aquila, simbolo di tenacia,
ed il lauro, altra sempreverde, la palma.
Ma i significati celati dietro
questa pianta non sono solo due. Ve ne è anche un terzo che dal
cristianesimo in poi si diffonde ma affonda le sue radici già
nell’antichità: la resurrezione.
Una credenza accosta la palma all’immortalità e racconta come
l’araba fenice quando sta per morire e rinascere, scelga la palma
per il suo ultimo nido, costruendolo sulla cima dell’albero.
Un’antica leggenda, narrata da Plinio, vuole che insieme al mitico
uccello anch’essa prenda fuoco per poi rinascere spettacolarmente
dalle sue ceneri.
A supportare la leggenda vi sarebbe anche una correlazione
linguistica tra le parole greche “fenice” e “palma”, scritte
entrambe «φοινιξ»
Interessante è il verso di una
medaglia del 1526 circa, fatto effigiare dal duca d’Urbino
Francesco Maria della Rovere, su cui vi è una palma con i rami
inclinati dal peso di una pietra ed un cartiglio che recita
«inclinata resurgo».
Mentre cammina Polifilo è
spaventato da una famelica lupa che gli sbarra la strada alla sua
destra, tanto da sentire i capelli arricciarsi sulla nuca e da non
poter urlare.
Essa, in rapporto alle rovine che
la circondano, suggerirebbe un immediato richiamo alla fondazione del
mito di Roma. Ma se prestiamo attenzione alla posizione del suo corpo
e alla ferocia della sua espressione, possiamo supporre che racchiuda
in sé un significato ben più complesso e meno semplicistico. Il
lupo è da sempre un simbolo molto discusso e dalla duplice valenza:
generativa da un lato e distruttiva dall’altro. Nell’antica
Grecia fu consacrato ad Apollo, dio del sole, poiché come questi
attira i greggi con i suoi raggi, così l’animale rapisce le bestie
e le dilania. Possiede, inoltre, una buona vista notturna per
cacciare, riuscendo metaforicamente a squarciare le tenebre così
come fa la luce del sole. Proprio per quest’attribuzione divina,
presso il tempio di Apollo a Delfi è conservato un bellissimo lupo
di metallo narrando, il mito stesso, che Latona, fatta gravida da
Giove, fu tramutata in lupa dando poi alla luce il dio del sole. Si
racconta anche che un lupo uccise un ladro che tentava di rubare al
tempio, salvandone così i tesori.
Il potere di questo animale di generare stirpi nobili e durature,
come quella romana, si ravvisa in alcune immagini che lo raffigurano
con la scritta «suprimenda
semina».
Tornando propriamente alla lupa che atterrisce Polifilo, la forma del
suo corpo rivolto all’indietro è rintracciabile in un geroglifico
che Horapollo l’Egiziano esamina interpretandone un significato di
ostilità ed avversione, esattamente quello che l’animale sta
facendo con il protagonista dell’Hypnerotomachia.
La lupa sta allo stesso tempo
minacciosa e fiera, a guardia e protezione delle antichità come se
fossero i “suoi figli romani”, ormai sventrati dal tempo. Sbarra
famelica la strada a Polifilo, creando un subitaneo parallelo
letterario con la fiera dantesca che impedisce al sommo poeta di
procedere nel suo viaggio.
Insieme alla palma, su cui si è
già lungamente discorso, anche la lucertola,
altro animale presente nel paesaggio, è simbolo di rinascita,
rigenerando per natura le vertebre caudali una volta tagliate. Nella
mitologia classica questo animale si presenta con significati
ambivalenti. Simbolo della saggezza
e della fortuna,
era considerata emblema del dio Ermes e dell’egizio Serapide. Al
tempo stesso però era associata ai serpenti, dei quali condivideva
gli aspetti ctonî e i valori più oscuri della simbologia. Era
credenza diffusa presso i Romani che durante l’inverno la lucertola
andasse in letargo per risvegliarsi in primavera, per questo assumeva
un significato simbolico anche in
ambito funerario,
rappresentando la morte e la rinascita e, spesso, era riprodotta in
questo contesto sulle lastre tombali romane, oppure, in relazione con
il tema del sonno, accanto a immagini di amorini dormienti. Per
quanto concerne l’accostamento che gli alchimisti fecero tra
lucertola e lussuria,
ciò deriverebbe da alcune proprietà del rettile essendo in grado di
stare a lungo esposto al sole sulle pietre e capace di entrare ed
uscire agilmente dagli anfratti, rappresentando così il “fuoco
tellurico”, cioè la
sessualità
elementare.
L’ambiente “rovinoso” che
circonda il protagonista è intriso di una Roma
“trattata male”,
con busti acefali, colonne spezzate, architravi e capitelli sparsi.
Ciò riporta alla mente i discorsi di alcuni umanisti che, recandosi
nell’antico Foro allora interrato, si lamentavano per l’incuria
dell’antico che declassava la città e che le fece perdere la Palma
d’Atene del Rinascimento, vinta invece da Firenze. Poggio
Bracciolini, segretario apostolico con Martino V (Oddone Colonna)
devoto al cardinale Prospero, zio di Francesco Colonna, nel De
Variaetate Fortunae
riporta come lo stesso Oddone Colonna osservasse dall’alto del
Campidoglio le rovine romane, tra cui il Bracciolini enumera anche
Palestrina, dominio di Francesco Colonna, meditando sull’instabilità
della fortuna.
Nel 1700 Piranesi riuscì a
trasformare tale “rovinismo”
in poesia archeologica romana, in riflessione filosofica e infine
tutela del patrimonio culturale e archeologico. Il bacino
ovale che affianca la
lupa, secondo alcuni studiosi, era immagine del Colosseo ma la forma
non ellittica bensì circolare suggerirebbe, invece, un percorso di
rigenerazione. Rigenerazione di una città in dissesto che può
guarire e dove la prima rovina è Palestrina, la casa di Francesco
Colonna.
La circolarità nel Polifilo è
piuttosto presente, basti pensare alla forma dell’isola di Citera,
luogo cruciale del racconto.
Unendo i simboli finora trattati:
la lucertola, le rovine, la lupa e il bacino ovale, ci rendiamo conto
di come siamo dinnanzi ad un cammino iniziatico. Un percorso che
nasce dall’incontro di Polifilo con la lupa, feroce custode di una
Roma ormai maltrattata, allegoria delle difficoltà che qualunque
iniziato deve affrontare per bere alla fonte della sapienza ma che
possono essere superate se si persevera, come i fanciulli attaccati
alla palma per godere dei suoi frutti. Un cammino che conduce ad una
rigenerazione e resurrezione in cui il rovinismo è premessa della
ricostruzione fondata sulla sapienza e sulla conoscenza. Un invito
che non si ferma nel 1499 con la stampa dell’Hypnerotomachia
ma che è oggi più che mai attualizzabile in un’ epoca come la
nostra in cui il patrimonio culturale italiano è diventato ruota di
scorta dell’economia quando dovrebbe essere maggiormente tutelato e
valorizzato perché gancio di traino di una ripresa sostanziale.
Tornando al nostro Polifilo, che
le mie riflessioni hanno lasciato atterrito di fronte al lupo, egli
volge gli occhi dove i colli sembrano convergere e scopre una
“mirabile e portentosa” piramide con un eccelso obelisco che la
corona. Incantato da tanta magnificenza si avvicina.
NOTE
BIBLIOGRAFIA
ALBERTI
1989
Leon
Battista ALBERTI, De Re Aedificatoria, Milano, Il Polifilo,
1989.
ALCIATI
A. 1977
Andrea
ALCIATI, Emblematum liber, Hildesheim; New York, Olms, 1977.
APULEIO
2005
Apuleio,
Metamorfosi, a cura di
L. Nicolini, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2005.
BROEK
1972
Roelof
van den BROEK, The myth of the Phoenix, Leida, E. J.
Brill, 1972.
CALVESI
1980
Maurizio
CALVESI, Il sogno di Polifilo Prenestino, Roma, Officina
Edizioni, 1980.
CARTARI
1996
Vincenzo
CARTARI, Immagini degli dei degli antichi, Vicenza, N. Pozza,
1996.
COLONNA
F. 1499
Francesco
COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, A. Manuzio Sr.,
1499.
FERRARI
2006
Anna
FERRARI, Dizionario di
Mitologia Greca e Latina,
Torino, UTET, 2006.
HENKEL
– SCHONE 1976
Arthur
HENKEL – Albrecht SCHONE, Emblemata : Handbuch zur Sinnbildkunst
des XVI und XVII Jahrhunderts, Stuttgart, J. B. Metzler, 1976
HORAPOLLO
L'EGIZIANO 2002
Horapollo
l’Egiziano, Trattato sui geroglifici,
a cura di Franco CREVATIN e Gennaro TEDESCHI, Napoli, Il
Torcoliere, 2002.
Vedi nel BTA:
LE XILOGRAFIE DELL'HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI
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