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La xilografia del Trionfo di Vertumno e Pomona dell'Hypnerotomachia Poliphili

Hypnerotomachia Poliphili, scheda della xilografia n. 66

Francesca Blasi
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 4 Agosto 2014, n. 722
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TESTO ORIGINALE

“La Nympha per altri belli lochi, lo amoroso Poliphilo conduce, ove vide innumere nymphe solennigiante et cum il triumpho di Vertuno et di Pomona dintorno una sacra ara alacremente festigianti. Da poscia per veneron ad uno miraveglioso templo. Il quale ello in parte descrive, et l'arte aedificatoria. Et come nel dicto templo, per admonito della antistite, la Nympha cum molta cerimonia la sua faocla extinse, manifestantise essere la sua Polia a Poliphilo. Et poscia cum la scrificabonda antistete, nel sancto sacello intrata, dinanti la divina ara invoco le tre gratie.

Contrastare gia non valeva io alle caeleste e violente armature, e dicio havendo la elegantissima Nympha amorosamente adepto, de me misello amante irrevocabile dominio. Seco piu oltra (imitante io gli moderati vestigii) abactrice pare allei verso ad uno spazioso littore me conduceva, il quale era contermine della florigera e collinea convalle, ove terminavano a questo littore le ornate montagniole, e vitiferi colli, cum praeclusi aditi, questa aurea patria, piena di incredibile oblectamento circumclaustrando. Leqnale erano di siluosi nemori di conspicua densitate, quanto si fusseron stati gli arbusculi ordinatamente locati amoene, quale il Taxo cyrneo, e lo Arcado, il pinastro infructuoso e resinaceo, alti Pini, driti Abieti, negligenti al pandare, e contumacial pondo, Arsibile Picee, il fungoso Larice, Tede aeree. E gli colli amanti, celebrati e cultivati da festigiante oreade, quivi ambidui per el virente, e florido plano, septo io d'amoroso foco, la insigne Nympha ductrice guidando, iva io e lei tra l'altissimo Cyparisso, tra patenti fagi, tra frugifere e verdole Quercie, di novelli fructi incupulati ubere, alaltitonante Iove amate e grate, e duri Roburi cum aspre cortice, e gli pungenti Iuniperi amanti la aeternitate, e fragili Coryli, e lo astibile fraxino, e lo baccante Lauro, e umbriferi Esculi, e torosi Carpini, e Tilie, iniquietati dal fresco fiato dil suave Zephyro spargentise per gli teneri ramuli, cum benigno impulso.

I quali tutti arbori non erano de densa fultura, ma cum exigente distantia dispensati, e tutti debitamente distribuiti al conveniente loco e aspecto, a gli ochii grandemente delectabili, e vernantemente fogliosi. Frequentavano quivi le rurigene Nymphe, e le vage Dryade, cincte di molle e torqueabile fronde l'agile corpuscolo, e sopra gli ampli fronti le resultante come inseme cum gli cornigeri fauni della anane canna coronati, e de medulosa ferula, e cum acuto pino praecincti, cum gli saltanti lascivi, e celeri Satyri, solennigianti le faunalie ferie, dora venuti de questo amoeno e venerando Temeno, cum piu tenelle, virente, e novelle fronde, che non EVIRUISSE tale penso el nempre di Feronia Dea quando gli incole trasferire volevano per lo incendio il suo simulachro.

Intrassimo dunque, ove erano commensi spatii quadrati circumsepti delimiti de strate late recte quadrivie, alte uno passo di Cynacanthe, o vero de uva senticosa, e di chamaeiuniperi, e densissimamente colligati alli bella murale di coaequatissimi buxi, includendo le quadrature degli floribondi e madenti prati. Nell'ordine degli dicti septi mirai symmetriatamente com piantate le victrice Palme sublime, cum gli foecundi racemi di pendenti Dactyli fori degli corticii, tali nigri, alcuni Phoenicei, molti gialli quali nella rosida Aegypto non sa ritrovarebbeno. Et forsa non e cusi praecipuo agli Scaeniti Arabi Dabulan, e paraventura tali non produce Hiereconta. Gli quale extavano alternati cum verdissimi Citri e Narancii, Hippomelides, pistacii, maligranati, Meli Cotoni, Dendromyrthi, e de Mespili, e sorbi, e de moltaltri nobili e di foecunditate ornatissimi fruteti negli campi quali di nuovo veritati.

Quivi sopra el virore degli florulenti prati, e alle fresche umbre, cum agregaria moltitudine io vidi grande turma de insueta gente e raro visa promiscuamente latebondi, vestiti ruralmente de pelle alcuni del Hinuli de macule candide, gutate e depicte, e altri de Lynci, e de Pardi, altri de fogliace de bardana, alcuni de Psilopato, e decolocasia, de Mixe, e del maiore farfugio, e de altre fronde cum gli varii fiori e fructi instrophiati. Festigianti cum religioso tripudio plaudendo e iubilando, quale erano le Nymphe Amadryade, e agli redolenti fiori le Hymenide, rivirente, saliendo iocunde dinanti e da qualunque lato del floreo Vertunno stricto nella fronte de purpurante e meline rose, cum el gremio pieno de odoriferi e spectatissimi fiori, amanti la stagione del lanoso Ariete, sedendo ovante sopra una veterrima Veha, da quatro cornigeri Fauni tirata, invinculati de strophie de novelle fronde, cum la sua amata e bellissima moglie Pomona coronata de fructi cum ornato defluo degli biondissimi capigli, parea ello sedente, e a gli pedi della quale una coctilia Clepsydria iaceva, nella mane tenente una stipata copia de fiori e maturati fructi cum imixta fogliatura. Praecedente la Veha agli trahenti Fauni propinque due formose Nymphe antisignane, una cum uno hastile trophaeo gerula, de ligoni bidenti sarculi e falcionetti, cum una appendente tabella abaca cum tale titulo:

INTEGERRIMAM CORPOR, VALITUDINEM, ET STABILE ROBUR, CASTASQUE MEMSAR, DELITIAS, ET BEATAM ANIMI SECURITA TEM CULTORIB.M.OFFERO.

Et l'altra gestava uno Trophaeo de alcuni germuli e viridanti surculi connexi e instrumenti rurestri saltando cum antico rito e plauso, solennemente gyrando e ad una sacra Ara quadrangula circinanti, Nel medio del comoso e florigero, e de chiarissimi fonti irriguo prato, religiosamente constituita. La quale cum tuti gli exquisiti liniamenti de excellentissima factura, era exscalpta egregiamente, in candido e luculeo marmoro.”

PARAFRASI

La ninfa conduce l'innamorato Poliphilo per altri bei luoghi, dove vede innumerevoli sue compagne celebrare con entusiasmo il trionfo di Vertumno e Pomona attorno a un sacro altare. Giungono poi in un meraviglioso tempio di cui Poliphilo descrive l'architettura. Al suo interno la ninfa, ammonita dalla somma sacerdotessa, spegne ritualmente la sua fiaccola e si rivela a Poliphilo come la sua Polia. Entrata poi nel sacro sacello con la sacerdotessa dei sacrifici, invoca le tre Grazie davanti il divino altare.

Non avevo più la forza di contrastare le celesti e violente armature, avendo, l'elegantissima Ninfa amorosamente conseguito un dominio assoluto su di me, miserabile amante. Quella seduttrice mi conduceva con sè più avanti verso un luogo spazioso che era contiguo a una fiorita e collinosa convalle dagli accessi preclusi, dove terminavano ornate montagnole e colli di vigne che conchiudevano questo luogo aureo pieno di incredibili piaceri. I rilievi erano coperti di boschi molto densi nonostante gli arbusti fossero stati disposti ordinatamente: si potevano vedere il Tasso cirneo e l'Arcado, il pinastro privo di frutti e resinoso, alti pini, Abeti dritti che non si piegano e resistenti al peso, Picee da ardere, il Larice fungoso e Tede aeree. Gli amabili colli, celebrati e coltivati dalle festanti oreadi (ninfe dei monti) e da qui entrambi (Poliphilo e la Ninfa) ci incamminammo per la florida pianura - io preso dal fuoco dell'amore per la Ninfa che mi conduceva con sè. Passammo tra altissimi cipressi, faggi, Querce verdeggianti e feconde di nuove ghiande amate e grate all'altisonante Giove, duri Roveri dall'aspra corteccia, pungenti Ginepri amanti dell'eternità, fragili noccioli, il frassino da cui si ricavano aste, l'Alloro di Bacco, ombrosi Esculi, forti Carpini e Tigli mossi dal fresco soffiare del soave Zefiro che con benevolo impulso spirava fra i teneri ramoscelli. Tutti questi alberi non creavano un denso bosco ma erano posizionati a una voluta distanza, tutti debitamente distribuiti nel luogo che gli si confaceva, dilettavano grandemente la vista. Questo luogo era abitato dalle Ninfe rurali e dalle Driadi che avevano cinto il loro agile corpo di fronde morbide e assieme ai cornuti fauni, coronati di canne vuote e ferula midollosa e cinti di aghi di pino, celebravano le feste del Fauno con i saltellanti, lascivi e svelti Satiri che erano venuti fuori da questo luogo ameno dalle fronde più tenere e fresche che ci siano, penso non ce ne fossero nel bosco della dea Feronia, quando i suoi abitanti volevano trasferire dopo l'incendio il suo simulacro.

Entrammo dunque dove c'erano simmetrici spazi quadrati suddivisi e delimitati da ampie strade lastricate che formavano quadrivi guarniti, per l'altezza di un passo, da fitti Cinacanti, ovvero di uva spina, ginepri e folti bossi livellati a muricciolo; questi circoscrivevano le quadrature di prati umidi e pieni di fiori. Nell'ordine di queste siepi ammirai, piantate simmetricamente, le palme della vittoria con i fecondi rami dai datteri pendenti, alcuni neri alcuni rossi e molti gialli che nemmeno in Egitto si troverebbero. Alle palme si alternavano a verdissimi Cedri e Aranci, Ippomelidi, pistacchi, melograni, Cotogni, Dendromirti, Nespoli, sorbi e molti altri nobili alberi carichi di frutti come nei campi dove si rinnova continuamente la primavera.

Qui, sui verdi e floridi prati, all'ombra fresca, vidi che si erano radunate molte strane persone mai viste: felici in quella confusione, vestiti di pelli alla rustica, alcuni di Cerbiatto a macchie candide come gocce dipinte, altri di Lince e di Pantera, altri ancora di foglie di bardana o di Psillio e colocasia, di Mixe e di farfaro grande e di altre fronde con fiori e frutti diversi.. Con coturni di foglie di ossalide e incoronati di fiori esultavano con religioso tripudio, fra applausi e grida di gioia. Si trattava delle Ninfe Amadriadi e delle Imenidi che, coperte di foglie e fiori odorosi, danzavano gioconde davanti e ai lati del florido Vertumno, il quale aveva la fronte cinta di rose purpuree e bianche, il grembo pieno di fiori profumati amanti della stagione del villoso Ariete (Aprile, la Primavera). Sedeva trionfante sopra un antichissimo carro, trainato da quattro Fauni cornuti attaccati con ghirlande di foglie novelle. Gli stava accanto Pomona, la sua amata e bellissima sposa, incoronata di frutti, i biondissimi capelli sciolti con grazia: ai suoi piedi giaceva una Clessidra di terracotta e in mano teneva una cornucopia di fiori e frutti maturi misti a foglie. A precedere il carro, vicino ai Fauni che lo trainavano, due belle Ninfe: una portava in cima a un'asta un trofeo di zappe bidenti, sarchielli e falcetti con appesa una tavoletta con scritto:

OFFRO AI MIEI SEGUACI LA PERFETTA SALUTE DEL CORPO, UN ETERNO VIGORE, LE CASTE DELIZIE DELLA MENSA, LA BEATA QUIETE DELL'ANIMO

L'altra portava un trofeo di germogli, verdi virgulti intrecciati e strumenti agricoli. Danzavano entusiaste secondo un antico rito, volteggiavano solennemente e formando un cerchio intorno a un sacro altare quadrangolare, elevato al centro di un folto prato fiorito irrigato da limpidissime fonti. L'ara, egregiamente scolpita in marmo candido e lucente era squisitamente modanata e di incomparabile fattura.















La xilografia numero 66 del Poliphilo illustra le nozze di Vertumno - dio italico della natura, la cui caratteristica è la metamorfosi - e Pomona - dea latina dei frutti. La loro storia viene raccontata da Ovidio nel XIV libro delle Metamorfosi. Properzio invece racconta la storia di come sia arrivato a Roma il dio Vertumno nel IV libro delle Elegie.

Pomona ebbe questo nome perchè nessuna fra le latine Amadriadi fu più attenta ai frutti degli alberi e coltivò frutteti con più amore di lei. Il suo compito era proteggere i campi e i rami che sostenevano pomi maturi. Potava i rami che si espandevano disordinatamente e inseriva nei tagli di una corteccia un innesto dando vita a una nuova pianta grazie a una falce a mezzaluna che portava con sè. Provvedeva ad abbeverare le radici assetate e, poichè essa temeva la violenza degli uomini dei campi, teneva lontana, disdegnandola, la presenza maschile. Molti hanno voluto possederla: i Satiri, i Pan, Sileno e anche Priapo. L’unico che col suo amore li sconfisse fu Vertumno. 1

Egli poteva trasformarsi in mietitore, raccoglitore di frutti, soldato - se avesse recato con sè una spada - oppure pescatore - se avesse portato con sè una canna. Un giorno si finse una vecchia ed entrando nei frutteti ben curati ne ammirò i frutti e iniziò a tessere le lodi di Pomona - autrice di tanta bellezza – e le diede dei baci che una vecchietta non avrebbe mai dato. Presso i due si ergeva un olmo sul quale poggiavano floridi grappoli d’uva. Vertumno-vecchia allora disse: “se il tronco fosse solitario, senza la vite, non avrebbe motivo di attirarci a parte le fronde; lo stesso vale per la vite che se non si poggiasse sull’olmo con fiducia e non fosse a lui accoppiata crescerebbe distesa al suolo. L’esempio di quest’albero non ti persuade dato che continui a fuggire da chi vuole congiungersi a te. Mille sono gli uomini che ti desiderano: dèi, semidei e tutte le divinità che abitano i Colli Albani. Se vuoi sposarti bene dammi retta ! Io sono vecchia ma ti amo più di quanto credi ! Non sposare il primo che passa e sposa Vertumno. Lo conosco meglio di quanto egli conosce sè stesso e posso assicurarti che abita questi vasti luoghi e non si brucia d’amore per una donna appena vista: sarai tu il suo unico desiderio e a te sola consacrerà i suoi anni. Egli ha dalla natura il dono della bellezza e può trasformarsi in qualunque cosa, anche se tu gli chiederai l’impossibile. Inoltre avete passioni in comune: egli riceve i frutti che tu coltivi e felice con la sua destra porta i tuoi doni; egli desidera le stesse cose che desideri tu. Abbi quindi pietà per lui che si strugge e supponi che ciò che egli brama te lo chieda qui e adesso con la mia bocca. Abbi inoltre timore delle vendette dei numi: di Venere che odia i cuori insensibili e della dea Nemesi, la cui ira nulla dimentica.”. 2

La vecchia iniziò dunque a raccontare a Pomona la storia di Anassarete e di Ifi per piegarla e intenerirla. La storia racconta di un ragazzo innamorato della bellissima Anassarete la quale però non ricambia i suoi sentimenti e lo spinge al suicidio a causa della sua freddezza. Il giovane sperava che con quel gesto estremo avrebbe vinto il carattere gelido della donna, nonostante la morte, ma Anassarete ancora una volta mostrò un cuore senza amore. Venere punì la ragazza dal cuore di pietra trasformandola interamente in statua. 3

Con questo racconto Pomona avrebbe dovuto cedere e innamorarsi di Vertumno anche per paura di una vendetta di Venere. Concluso il racconto, il dio si rese conto di aver parlato invano. Riprese dunque l'aspetto di giovane e apparve alla dea bello come il sole. Egli si accinse a farle violenza ma non fu necessario: grazie al suo aspetto la ninfa cadde ai suoi piedi e si innamorò finalmente di lui. 4

Nell'opera di Properzio, Vertumno ci parla in prima persona delle sue origini e del suo mutare. Egli è “Tosco”, ossia è un dio etrusco, e non è triste per aver lasciato la sua patria fra le battaglie. Ha una gran folla di fedeli ma non vuole un tempio d'avorio: gli basta affacciarsi sul Foro di Roma. 5

Vertumno discute le false etimologie del suo nome. La prima è che un tempo il Tevere aveva un altro corso ma un giorno si ritrasse e per questa diversione del fiume egli fu detto Vertumno. La seconda etimologia sarebbe da ricondurre al volgere dell'anno, dopo essere state raccolte, le primizie vengono offerte a Vertumno, per festeggiare il dio. In suo onore l'uva cambia colore sui grappoli e le spighe si gonfiano. Suoi attributi sono le ciliegie dolci, le prugne autunnali e le more che rosseggiano durante l'estate. L'innestatore scioglie il voto al dio offrendogli una corona di pomi prodotti dal pero innestato a forza. 6

Tutte queste però sono menzogne nocive, poichè altra è la causa del suo nome: egli può assumere qualsiasi forma. Indossando una veste di Coo sarà una donna; con una toga un uomo; con una falce in mano e un covone in testa diventerà mietitore. Un tempo egli fu un bravo soldato; si prestò anche a tagliare l'erba. Egli non ama le risse e di vino non eccede mai ma talvolta s'inghirlanda il capo – tanto da far pensare che il vino gli sia salito al cervello. Con la testa cinta da una fascia assume le sembianze di Bacco e quando ha con sè una cetra quelle di Apollo. Se va a caccia portandosi appresso i panioni (verghe impaniate che servono a prendere i pettirossi e altri piccoli uccelli) diventerà un uccellatore divino come Fauno. Egi si muta anche in auriga, pescatore, mercante ambulante, pastore o venditore di cesti di rose. Ciò che però gli riesce meglio è scegliere i doni dell'orto: il cocomero, la zucca e il cavolo sono i suoi attributi. Non sboccia fiore sui prati che non languisca in ghirlande che gli ornano la fronte. 7

Vertumno ci svela finalmente il motivo del suo nome: semplicemente perchè egli si trasforma. Il nome deriva però dalla sua lingua madre, l'etrusco. 8

A Roma questo nome è giunto attraverso il Vico Etrusco. Nei versi finali il dio benedice Roma e capiamo che a parlare è un'iscrizione – è una statua del dio esposta nella città. Prima delle regolamentazioni dei culti attuate da Numa Pompilio, una sua statua di legno era stata portata dall'Etruria ma, grazie all'artista Mamurio, fu realizzata una statua in più nobile bronzo. Vertumno elogia lo scultore che lo ha fuso in tante e differenti figure dicendo “nonostante sia una sola, l'opera riscuote tanti onori”. 9

Il Calvesi ci spiega che sono ben cinque i trionfi che introducono a Venere “physizoa”: i primi quattro (di Europa, Leda, Danae e Semele) celebrano gli altrettanti amori di Giove, mentre il quinto, (di Vertumno e Pomona) è trattato a parte. 10

Venere “physizoa” è dea dell'amore e della terra nonchè immagine della terra stessa. Il trionfo di Vertumno e Pomona è il trionfo dei prodotti della terra. Ciò è confermato da una scritta su un cartello, issato da una ninfa che promette ai cultori delle due divinità “salute, forza, caste delizie e beata tranquillità d'animo”. Nel prato si trova un'ara scolpita con, ai quattro lati, le figurazioni delle quattro stagioni (Flora, Cerere, Bacco e Giove Pluvio). Su quest'ara, tra quattro “pali” sorreggenti una cupola floreale, si erge Priapo per il quale viene immolato un asinello. 11

Questi riti che il Colonna descrive potrebbero ricordare le “Palilia” che proprio l'accademia di Pomponio Leto riporta in auge: l'insistenza nel testo della parola “pali” non sarebbe altro che un'assonanza con le feste delle Palilia. I festeggiamenti consistevano in riti agresti e nel sacrificio di un cavallo nella ricorrenza del Natale di Roma, cosa che darebbe maggior significato al sacrificio dell'asinello legato a Priapo. 12

Probabilmente esiste un'altra assonanza tra la festa di Pales, dea dei pastori - nominata nell'Arcadia del Sannazaro accanto a Vertumno, Pomona e Priapo – e descritta come circondata di satiri, ghirlande e ninfe (esattamente come la Pomona dell'Hypnerotomachia). Le dee praticamente si equivalgono: una produce “lieti paschi” e l'altra “non solo gli alberi, ma tutte le piante e i verdi prati”. 13

La clessidra che si trova ai piedi di Pomona è probabilmente il simbolo del tempo necessario affinchè i frutti, cui essa provvede, maturino. Le stagioni raffigurate sull'ara sarebbero da collegare al fatto che Vertumno nelle Elegie sia così chiamato per il volgere dell'anno e delle stagioni. Properzio però afferma anche che egli è simbolo del fiume Tevere: ciò potrebbe rimandare a Roma (celebrata attraverso Pales) e al Lazio (con Venere da cui discese Enea). Le feste delle Palila e la dea Pales, da assimilare a Pomona e alle cerimonie in suo onore, rimanderebbero anche per assonanza a Palestrina. 14

Nei primi vent'anni del XVI secolo la villa medicea di Poggio a Caiano subisce importanti interventi decorativi, così come progettò Lorenzo il Magnifico negli ultimi anni della sua vita. I lavori si dovettero fermare a causa della morte del Magnifico (avvenuta nel 1492) e nel 1494 dopo l'esilio di Piero de' Medici e della sua famiglia. Tra il 1495 e il 1513 i lavori subirono un arresto dovuto all'instaurarsi di un governo ostile alla famiglia e al disinteresse per ciò che Lorenzo promosse e creò. 15

Nel lato breve - che guarda verso Firenze - del salone centrale della villa di Poggio a Caiano si trova una lunetta affrescata da Jacopo da Pontormo. Essa gli fu commissionata nel 1521 da Ottaviano de' Medici, cugino di Leone X, il quale lo incaricò di tradurre in un linguaggio più accessibile il programma allegorico stilato dal dotto Paolo Giovio per la famiglia Medici tornata in patria nel 1512 dopo l'esilio. Giovio voleva ribadire la legittimità della restaurazione medicea dopo l'assenza quasi ventennale. Il tema simbolico del rinnovarsi della buona stagione legata alla fioritura e al raccolto dei campi è un concetto allegorico ben descritto dalla lunetta di Pontormo. 16 La ciclicità del tempo segna anche il rinnovamento della stirpe Medicea nell'affresco simboleggiato dall'alloro (associato a Lorenzo il Magnifico) che torna a germogliare sul tronco antico e secco, custodito dalle divinità protettrici del lavoro nei campi. 17

L'intitolazione della lunetta a Vertumno è ribadita da un passo dalle Vite in cui il Vasari si esprime sull'affresco pontormesco. “[...]Onde avendo a fare un Vertunno con i suoi agricultori fece un villano che siede con un pennato in mano, tanto bello e ben fatto, che è cosa rarissima, como anco sono certi putti che vi sono, oltre ogni credenza vivi e naturali. Dall'altra banda, facendo Pomona e Diana con altre dee, le avviluppò do panni forse troppo pienamente, nondimeno tutta l'opera è bella e molto lodata”. 18 La prima edizione delle Vite è completata nel 1550 ed è l'unica fonte attendibile relativa all'esecuzione della lunetta 19 , completata intorno al 1525. 20 É impossibile che Vasari non conoscesse il messaggio cifrato allusivo contenuto nella scena mitologica affrescata da Pontormo a conclusione del programma iconografico di Giovio. Vasari però si concentra a descrivere più la qualità artistica dell'esecuzione che il contenuto concettuale. 21

La composizione della lunetta si articola in una serie di figure arditamente scorciate poggianti su due gradoni - divise in due gruppi dall'apertura luminosa di forma rotonda che determina forzatamente la composizione. Sulla destra Pomona, raffigurata con il falcetto in mano, rappresenta la primavera medicea e introduce lo spettatore nell'hortus conclusus. Essa è seguita da una figura allungata in una posa quanto mai michelangiolesca: ossia l'Estate. All'altro capo della lunetta si trovano due divinità maschili: il giovane Autunno e il vecchio Vertumno, quest'ultimo accompagnato dal cane. 22

Dopo i restauri è stata rinvenuta, proprio sotto la figura del vecchio, la scritta “PAN”. Ciò rafforza l'ipotesi di una composizione dal significato criptico ed esoterico, legata alle infinite metamorfosi della natura e dei suoi cambiamenti. In questa composizione Pan giunge a identificarsi con Vertumno, dio che impersonava i mutamenti delle stagioni e che con Pomona era da considerarsi protettore dei frutti. 23

fig. 2. Pontormo, Vertumno e Pomona, Poggio a Caiano

Cortesia Wikipedia, public domain image (http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pontormo,_Jacopo_-_Vertumnus_and_Pomona_-_1519-21.jpg)


NOTE

1 Ovidio 1994, p. 775.

2 Ibidem, pp. 775-779.

3 Ibidem, 779-783.

4 Ibidem, 785.

5 Properzio 1956, p. 207.

6 Ibidem, pp. 207-209.

7 Ibidem, pp. 209-211.

8 Ibidem.

9 Ibidem.

10Calvesi 1980, p. 194.

11 Ibidem.

12Ivi, p. 196.

13 Ibidem.

14 Ibidem.

15Medri 1995, p. 7.

16Fabbri 1995, p. 38.

17 Ibidem, p. 38.

18Medri 1995, p.11.

19 Ibidem.

20Fabbri 1995, p. 39.

21Medri 1995, p. 11.

22Ibidem, pp. 11-13.

23 Ibidem, p. 13.




BIBLIOGRAFIA

  • Ovidio, Le Metamorfosi, a cura di E. Oddone, Milano 1994

  • Sesto Properzio, Elegie, testo latino e traduzione in versi italiani di G. Lipparini, Bologna 1956

  • Calvesi M., Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980

  • Medri L.M., Jacopo Pontormo “Vertumno e Pomona” di Poggio a Caiano, in Pontormo a Poggio a Caiano, 1995, pp.7-15

  • Fabbri M.C., La genesi grafica di “Vertumno e Pomona”, in Pontormo a Poggio a Caiano,1995, pp. 38-41.




	
Vedi nel BTA: LE XILOGRAFIE DELL'HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI






 

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