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Fig. 1. National Museum of Qatar, Doha, 2014
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Jean
Nouvel nasce il 12 agosto 1945, quando la Seconda Guerra Mondiale, evento che
comunicò al mondo la terribile devastazione che le tecnologie belliche erano in grado di
compiere, era già terminata nel suo Paese e nell’Europa Occidentale,
ma continuava a mietere vittime dall’altra parte del globo terrestre, in
Giappone, attraverso quell’horribile
instrumentum che è la bomba atomica
e che, presto, avrebbe fatto arrendere
lo stesso Giappone alla supremazia degli Stati Uniti d’America.
A
quell’Oriente dissidente nei confronti degli USA appartiene anche lo stato
arabo del Qatar, il cui popolo è da sempre stato assoggettato alle supremazie
di turno,
soprattutto per la sua ricchezza di petrolio, che oggi gli consente, in parte,
di tenere in pugno alcune tra le più grandi potenze mondiali,
pena la mancata esportazione del cosiddetto oro
nero.
La
tragica guerra che aveva portato morte e devastazione, che aveva assoggettato
popoli ad alte potenze economiche per le loro risorse del sottosuolo, aveva però avuto anche una ricaduta positiva rendendo possibile anche l’avanzata
della tecnologia e l’applicazione
di quest’ultima a tutte le attività umane, architettura compresa.
Questo
Stato di recente costituzione ha bisogno di un luogo culturale dove riunire i
manufatti della propria storia, le tracce della propria civiltà e questa
istituzione deve rappresentare, nelle forme e nei simboli, le vicende di quella
terra.
L’obiettivo
di Jean Nouvel è rendere l’edificio custode della civiltà qatariota più
possibile inserito, anzi fuoriuscente dalla natura e dal paesaggio circostante,
desertico e dalle particolari, quanto mai esotiche, condizioni ambientali.
L’architetto
francese Nouvel, formatosi presso la Scuola di Belle Arti di Parigi, dove si è
diplomato nel 1972, seguì l’estetica e la pratica architettonica di Claude
Parent,
noto per i suoi edifici con pavimenti inclinati e per la realizzazione, durante
il secondo conflitto mondiale, di particolari bunker sulle dune di sabbia.
Saranno
proprio queste prime esperienze a metterlo in contatto con il mondo arabo, per
il quale elabora dei particolari edifici, come l’Istituto del Mondo Arabo di Parigi,
aperto al pubblico nel dicembre del 1987, e realizzato in collaborazione con
altri architetti insieme ai quali vinse il bando di realizzazione nel 1981.
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Fig. 2. Institut du monde arabe, Parigi, 1987
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Oltre
alla conoscenza di Parent, è importante ricordare la collaborazione con
François Seigneur, con
il quale apre il suo primo studio nel 1970, e l’incontro con il critico d’arte
Georges Boudaille,
che lo farà accedere, a partire dal 1971, alla Biennale di Parigi.
L’amicizia
con Boudaille è senza dubbio, per Nouvel, la matrice più importante della sua
conoscenza dell’arte, in particolare novecentesca, ma non solo, che lo condurrà
a realizzare architetture strettamente riconducibili alle arti visive,
imitandone i prodotti finali trasformati in strutture architettoniche.
Questi
tre fondamentali tasselli della formazione tecnica e culturale di Jean Nouvel
sono le basi per produrre una chiave di lettura quanto più completa possibile
della struttura del National Museum of
Qatar.
Ancora
una piccola postilla merita la posizione geografica di questo stato della
Penisola Arabica, costituito da una lingua di sabbia candida che si affaccia
sul Golfo Persico, che a sua volta fa parte dell’Oceano Indiano.
Come
tutte le capitali di ogni nazione, Doha
attendeva la costruzione del tempio della propria cultura, che esprimesse non
solo lo stretto legame esistente tra la popolazione che edifica e il paesaggio
circostante, ma anche il livello di ricchezza raggiunto grazie a quelle risorse
naturali.
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Fig. 3. confronto tra un esemplare di rosa del deserto e uno dei corpi di fabbrica del Museo
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Il
progetto nouveliano fonde in sé sia le componenti indigene del Quatar, quegli
elementi identificativi che devono far sentire ciascun abitante dello Stato
arabo in casa propria nel momento della visione dell’edificio, sia le
componenti della cultura figurativa europea anticlassica
e dell’arte del XX secolo.
L’edificio,
ad un’analisi asettica, risulta
essere composto da una serie di dischi che si intersecano tra di loro e i cui
spazi vuoti sono completati da vetri, conferendo una grande luminosità
all’interno della struttura, la stessa luce che è propagata dal diafano bianco
dell’esterno. La condizione luminosa, fondamentale componente ai fini della
fruizione dell’opera d’arte, è uno dei principi basilari a cui gli architetti
si rapportano per quanto riguarda gli edifici ospitanti istituzioni museali, in
particolare se si fa riferimento a quelli di recente realizzazione. Un esempio
su tutti di questa tipologia di pratica architettonica e museale può essere
rappresentata dal Guggenheim Museum di
New York, progettato da Frank Lloyd Wright, la struttura del museo Maxxi di Roma, realizzata da Zaha Hadid,
il progetto di Richard Meier
per la teca dell’Ara Pacis a Roma.
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Fig. 4. tre esempi di interni architettonici dove si è prestata attenzione alla naturalezza della luce: Guggehneim Museum of New York (Frank Lloyd Wright, 1943), Museo MAXXI di Roma (Zaha Hadid, 2010), progetto per l'Ara Pacis (Richard Meier, 2006)
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La
prima immagine evocata dalla visione complessiva dell’edificio del Museo è
quella della Rosa del Deserto, una
formazione minerale
tipica dei Paesi desertici
di tipo sedimentario evaporitico:
il suo colore, che va dall’arancione al rosa, dipende dalla aggregazione di
gesso e cristalli di quarzo di colore rossastro, che conferisce a questo
minerale una particolare conformazione, assimilabile ad un insieme di petali,
ciascuno dei quali si assottiglia sempre più verso l’esterno, che, posti uno sopra l’altro, vanno a comporre una forma paragonabile, a
sua volta, a quella di una rosa.
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Fig. 5. Carta geografica che illustra la posizione del Qatar
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L’evocazione
della Rosa del Deserto per l’edificio
del Museo Nazionale del Qatar soddisfa la volontà di racchiudere i tesori di
questa civiltà entro una forma che ne ricordasse la storia, ma, al tempo
stesso, risulta essere una soluzione ottimale anche per soddisfare il gusto
estetico e programmatico dell’architetto.
Se
facciamo riferimento alla seconda componente, per così dire, etimologica dell’edificio, ovvero le
dune di sabbia mosse, spazzate dal vento, comprendiamo come questo sia una
struttura completamente ascrivibile alle architetture
liquide descritte dal Marcos Novak,
ovvero degli edifici nati in un contesto virtuale, di scultura digitale, entro un nuovo e
frenetico spazio contemporaneo,
denominato Cyberspazio, progettato nella virtualità liquida, fluida,
perché realizzato tramite le tecnologie e le tecniche più moderne nella realtà
sensibile. Sono dunque i fattori esterni a modificare la struttura, esattamente
come l’aridità nel minerale e il vento sulla sabbia modificano le forme
iniziali per dar luogo a nuove e più sorprendenti immagini che, talvolta, il
nostro cervello associa a degli oggetti sensibili ben definiti e riconoscibili,
sostanzialmente quotidiani.
Le
forme sinuose descritte dall’edificio del Museo, che sembrano elaborate dal
contesto paesaggistico circostante, fanno di questa architettura un importante
punto di svolta per due linee di ricerca:
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Fig. 6. Umberto
Boccioni, Forme uniche nella continuità dello spazio, 1913, Milano, Museo del Novecento
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Il concetto di scultura e di architettura futurista: a partire dai Manifesti di Boccioni
e Sant’Elia,
apprendiamo come la definizione delle due arti plastiche da parte degli
avanguardisti italiani sia assimilabile al progetto nouveliano per quanto
concerne le forme dissolte da agenti esterni, l’utilizzo di particolari
materiali come il vetro ed altri surrogati,
così come vengono citati, e la cessazione dell’utilizzo di forme prestabilite, canoniche per gli edifici. Dalle parole dei due Manifesti:
La pittura s'è rinsanguata,
approfondita e allargata mediante il paesaggio e l'ambiente fatti simultaneamente
agire sulla figura umana o sugli oggetti, giungendo alla nostra futurista compenetrazione
dei piani[20] .
Così la scultura troverà nuova sorgente di emozione, quindi di stile,
estendendo la sua plastica a quello che la nostra rozzezza barbara ci ha fatto
sino ad oggi considerare come suddiviso, impalpabile, quindi inesprimibile
plasticamente.
Noi
dobbiamo partire dal nucleo centrale dell'oggetto che si vuol creare, per
scoprire le nuove leggi, cioè le nuove forme che lo legano invisibilmente ma
matematicamente all'infinito plastico apparente e all'infinito plastico
interiore. La nuova plastica sarà dunque la traduzione nel gesso, nel
bronzo, nel vetro, nel legno e in qualsiasi altra materia, dei piani
atmosferici che legano e intersecano le cose. Questa visione che io ho
chiamato trascendentalismo fisico
potrà rendere plastiche le simpatie e le affinità misteriose che creano le
reciproche influenze formali dei piani degli oggetti. La scultura deve
quindi far vivere gli oggetti rendendo sensibile, sistematico e plastico il
loro prolungamento nello spazio, poiché nessuno può più dubitare che un oggetto
finisca dove un altro cominci e non v'è cosa che circondi il nostro corpo:
bottiglia, automobile, casa, albero, strada, che non lo tagli e non lo sezioni
con un arabesco di curve e di rette. […]
PROCLAMO:
Che l'architettura
futurista è l'architettura del calcolo,
dell'audacia temeraria e della semplicità; l'architettura del cemento armato,
del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei
surrogati del legno, della pietra e del mattone che permettono di ottenere il massimo
della elasticità e della leggerezza;
Che l'architettura futurista non
è per questo un'arida combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte,
cioè sintesi, espressione;
Che le linee oblique e quelle
ellittiche sono dinamiche, per la loro stessa natura, hanno una potenza
emotiva superiore a quelle delle perpendicolare e delle orizzontali, e che non
vi può essere un'architettura dinamicamente integratrice all'infuori di esse;
Che la decorazione, come qualche
cosa di sovrapposto all'architettura, è un assurdo, e che soltanto dall'uso e
dalla disposizione originale del materiale greggio o nudo o violentemente
colorato, dipende il valore decorativo dell'architettura futurista;
Che, come gli antichi trassero
ispirazione dell'arte dagli elementi della natura, noi - materialmente e
spiritualmente artificiali - dobbiamo trovare quell'ispirazione negli elementi
del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato, di cui l'architettura deve
essere la più bella espressione, la sintesi più completa, l'integrazione
artistica più efficace;
L'architettura come
arte delle forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è finita;
Per architettura si
deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà e con grande audacia,
l'ambiente con l'uomo, cioè rendere il mondo delle cose una proiezione diretta
del mondo dello spirito;
Da un'architettura così concepita
non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri
fondamentali dell'architettura futurista saranno la caducità e la
transitorietà. Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà
fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento dell'ambiente
architettonico contribuirà alla vittoria del Futurismo, che già si afferma con
le Parole in libertà, il Dinamismo plastico, la Musica senza quadratura e
l'Arte dei rumori, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria
passatista.
La volontà di dover rimandare ad elementi naturali o di dover contestualizzare
ambientalmente le strutture: questa tipologia di progetto è da sempre un
elemento portante della ricerca artistica di tutti i tempi. Già i poeti antichi,
in tempi non sospetti, utilizzavano, nei loro testi, delle metafore naturali
per dare voce alla loro teoria poetica, in campo artistico ed architettonico è
assai più frequente trovare dei seguaci di tale ideologia.
In
età romana, illustre esempio è l’Ara
Pacis, che con i suoi girali di acanto esterni e il suo recinto in legno
interno, è sicuramente il monumento che meglio rappresenta l’interesse
dell’uomo di celebrare le gesta della propria civiltà e, al tempo stesso, di
contestualizzarlo nella rigogliosa natura mediterranea.
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Fig. 7. Registro inferiore esterno dell'Ara Pacis, girali di acanto
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Procedendo
cronologicamente il Rinascimento, assimilando come natura anche l’antico,
vede l’esplosione sia di studi naturali che hanno lo scopo di realizzare
progetti per macchinari bellici o civili al fine di facilitare l’uomo,
sia la nascita dei cosiddetti giardini di
antichità,
dove una natura brulla, ricreata artificialmente, mostrava la dimensione
originaria della civiltà nelle antiche rovine.
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Fig. 8. da sinistra: una delle monumentali e mostruose archisculture del Sacro Bosco di Bomarzo e il gigante Appennino di Giambologna
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Quest’ultima
tendenza verrà più e più volte ripresa durante il XVI secolo da originali ed
insoliti progetti, come quello ligoriano del Sacro Bosco di Bomarzo e il gigante Appennino del Giambologna.
Altro
esempio di come l’architettura sia stata messa a servizio dell’imitazione della
natura, in questo caso per un
nobilissimo intento, è rappresentato dalla lunghissima facciata dell’Ospedale San Gallicano di Roma ad opera
di Filippo Raguzzini:
la forma polilobata che si ripete modularmente lungo il prospetto esterno
dell’edificio ricorda i giardini
all’italiana,
quindi un abbellimento estetico per rendere meno noiosa e gravosa la permanenza
nel nosocomio, ma, al tempo stesso, questa vuole essere la rappresentazione di
una natura contenuta dall’azione
umana, nel medesimo modo in cui i malati erano trattenuti all’interno della
struttura.
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Fig. 9. confronto: da sinistra, modulo della facciata dell'Ospedale S. Galicano e modulo del giardino all'italiana della Certosa di Pontignano, Siena
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Le
vicende più recenti riguardanti questa annosa questione sono ottimamente
rappresentate dagli edifici di Frank Lloyd Wright
e Alvar Aalto, due
tra gli esponenti della cosiddetta Architettura
Organica, il
cui fine ultimo è stabilire un’armonia tra uomo e natura.
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Fig. 10. due esempi di Architettura Organica: da sinistra, Frank Lloyd Wright, Casa sulla Cascata, 1935; Alvar Aalto, Municipio di Säynätsalo, 1951
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Come
questi pochi e brevi esempi possono dimostrare, la celebrazione della natura e,
al tempo stesso, della civiltà attraverso un’opera sono sempre stati
un’importante prerogativa del genere umano: anche le stesse piramidi egizie o
la Sfinge di Giza
sembrano essere un tutt’uno con il paesaggio circostante, pur nella loro
maestosità e nel loro profondo significato culturale.
Le
moderne tecnologie e l’humus
intellettuale, la ricerca del dettaglio peculiare e l’originalità conferiscono
all’opera di Jean Nouvel le fondamentali caratteristiche delle opere
dell’architetto contemporaneo, che elabora i suoi progetti tenendo conto delle
esigenze della committenza, celebrandola, e realizzando una vera e propria scultura/struttura digitale, ipermediale e intermaterica.
Riprendendo
il titolo della celeberrima opera di Zygmunt Bauman,
la modernità liquida, la popolazione
contemporanea, frenetica nei ritmi e nei movimenti vitali, ha l’esigenza di
apprendere velocemente, dunque in modalità compatibili con la loro
quotidianità, gli edifici contenenti la storia e l’arte della popolazione che
si apprestano a conoscere, per motivi di studio, di turismo, di lavoro o di
semplice curiosità.
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Fig. 11. Fariq Al Salatah Palace, già sede del National Museum of Qatar
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Tornando alla costruzione dell’edificio nouveliano, si può osservare come
l’architetto francese abbia deciso di progettare la nuova struttura a partire
da una pre-esistenza, ovvero una costruzione già ospitante l’abitazione dello
sceicco Absullah Bin Jassim Al Thani, conosciuta come Fariq Al Salatah Palace, utilizzata, successivamente, come sede governativa.
Nel 1975, questo antico palazzo regale subì un restauro e, contestualmente, un
cambio di destinazione da edificio amministrativo a sede museale.
Questo edificio precedente è stato mantenuto all’interno della struttura
contemporanea, che ne è, al contempo, involucro protettivo e prolungamento
espositivo: il nucleo dell’intero complesso è l’antico caravanserraglio, la
struttura generalmente porticata tipica delle popolazioni persiane, che aveva
la funzione di raccogliere i carovanieri del deserto: questo rimane il luogo
dell’accoglienza, da cui si aprono molteplici ambienti per circa 40000 m2
di spazi espositivi e ricreativi.
Questo monumento architettonico contemporaneo del Rinascimento arabo
sarà il primo edificio visibile ai viaggiatori che approdano nella capitale del
Qatar. A metterlo in maggior risalto la particolare forma anulare ellittica e
circolare dei componenti murali, il cui assemblaggio dall’apparenza instabile e
movibile, riluce nella sua candida estetica sabbiosa, nebulosa, fluida, quasi
fosse un miraggio che si dissolve alla vista dello spettatore.
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Fig. 12. le ellissi barocche: da sinistra, Gian Lorenzo Bernini, Piazza colonnata di San Pietro in Vaticano, XVII secolo; Francesco Borromini, Cupola di San Carlo alle Quattro Fontane, 1634-1644
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Molto interessante è anche la scelta della figura geometrica – base dell’intero edificio, ovvero il
cerchio e le sue deformazioni, come, ad esempio, l’ellisse.
Il primo elemento geometrico viene utilizzato nelle opere d’arte per
rimandare al concetto di infinito, di natura, idea-chiave anche di questo
monumento.
L’ellisse è, invece, una forma che tradizionalmente rimanda alla
ribellione verso i canoni, al Barocco:
celeberrime sono le piante, le decorazioni degli edifici berniniani e
borrominiani che fanno uso di questa, come di altre forme distorte rispetto alla loro natura.
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Fig. 13. Boulée, Cenotafio di Newton, progetto, 1784 circa
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Il progetto, perché tale è
rimasto, che meglio rappresenta il desiderio di innovazione tecnologica,
scientifica, architettonica, senza rinunciare all’utilizzo di geometrie
essenziali e primordiali, che indicano la matrice naturale che ne è alla base,
è il Cenotafio di Newton, frutto
della architettura utopica, redatto
dall’architetto francese Étienne–Louis
Boullée:
in questo caso le forme geometriche elementari erano indice
dell’ideale-principe del monumento illuminista, oltre ad essere celebrazione
dello studio e delle scoperte dello scienziato a cui il cenotafio era destinato.
Lo
scopo ultimo di questa utopica realizzazione era quello di far vivere al
visitatore del monumento la sensazione dell’armonia del cosmo, della natura, la
quale doveva accedere alla struttura mediante delle fessure che avrebbero fatto
penetrare la luce notturna degli astri, la quale si sarebbe incrociata con una
sfera armillare
posta alla sommità interna dell’edificio.
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Fig. 14. confronto, partendo da sinistra, tra una finestra moderna (National Museum of Qatar) e una finestra antica (la cosiddetta finestra inginocchiata attribuita a Michelangelo, Palazzo Medici, Firenze)
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L’intersezione dei piani
bidimensionali circolari della struttura nouveliana dà luogo ad un poliedro
irregolare scientificamente perfetto nelle sue forme mineralogiche e ancestrali
che, nei suoi moduli-base architettonici, rispetta perfettamente i canoni
dell’architettura moderna e anticlassica: se si pensa alla descrizione
realizzata da Zevi
di una finestra moderna, rispetto ad una finestra classica, la prima
irregolare, dai contorni non canonici, delle forme più diverse, l’una diversa
dall’altra, la seconda geometricamente perfetta, costruita secondo le regole
tradizionali, progettata con ogni cura dei dettagli affinché risulti il più
possibile realizzata alla maniera degli
antichi, si riesce perfettamente ad inquadrare l’edificio qatariota di
Nouvel nella sua contemporaneità e, al tempo stesso, nella tradizione culturale
di quei luoghi mediorientali.
Questa fluida visione architettonica è un vero e proprio complesso
celebrativo dell’arte, della storia, della cultura e dell’economia del Qatar:
l’accesso dei visitatori, dopo lo spettacolare affaccio sul mare davanti a
Doha, avviene attraverso l’antico caravanserraglio, accanto al quale è stato
sistemato un giardino aromatico, a
ricordo delle materie prime che
forniscono le spezie, una volta vendute nei mercati e trasportate in occidente
tramite le vie carovaniere; sempre all’esterno degli edifici, si trova un vero
e proprio giardino con la presenza di vegetazione tipica del clima desertico.
Dopo aver guadagnato l’accesso, il visitatore potrà accedere alle gallerie, ciascuna delle quali avrà come
tema portante uno degli elementi naturali, ambientali, storici, culturali o economici
che hanno reso grande e continueranno a far crescere la nazione:
ciascuna di queste ripartizioni è predisposta a trasformarsi, all’occorrenza,
così come l’acqua cambia di stato, in sala cinematografica o ad accogliere
delle installazioni visive e, in particolar modo, sonore, al fine di celebrare
la memoria orale della cultura qatariota; al centro di ciascuna delle sale
espositive, a partire dal livello del pavimento, dimensione assai cara alla
vita quotidiana orientale, delle teche conterranno i gioielli, i tesori, le
testimonianze della tradizione mediorientale, dalle radici persiane
all’indipendenza, alla ricchezza dell’oro
nero.
Concludendo, in opere di architettura contemporanea, definibile liquida, come il National Museum of Qatar, c’è, da parte del progettista, sia la
volontà di realizzare un edificio che rispetti
i canoni della contemporaneità,
riconducibili non solo alla modalità di progettazione tramite mezzi
tecnologici, come i CAD,
ma anche alla tipologia di fruizione e di quotidianità che il beneficiario dell’istituzione possiede,
proprio secondo la teoria di Zygmunt Bauman, sia l’intenzione di rendere contemporanei e attuali indirizzi
di ricerca e idee architettoniche che traggono il loro fondamento nelle epoche
più remote della progettazione, nella dimensione
naturale dell’architettura.
Quanto scrisse Pietro Aretino
a Giulio Romano,
commentando l’operato di quest’ultimo, è applicabile alla realizzazione qatariota,
che può essere riconosciuta come un’architettura in cui sono nettamente
percepibili i concetti anticamente
moderni e modernamente antichi,
che solo la capacità di un architetto con una conoscenza tecnica, tecnologica e
culturale come Jean Nouvel poteva riuscire a portare a compimento, rispettando
gli ideali estetici, progettuali ed intellettuali posti come meta finale, in
piena considerazione della tradizione e dell’innovazione.
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Fig. 15. National Museum of Quatar, Jean Nouvel, plastico dell'intero complesso
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NOTE
L’esempio più celebre
di questa tipologia collezionistica è il Cortile
del Belvedere in Vaticano, così come doveva essere al momento dell’acquisto
del primo nucleo di statue da parte di Papa Giulio II della Rovere. Si veda
MUSEI VATICANI 2012.
Nato Giulio Pippi,
pittore ed architetto, Roma, 1499 – Mantova, 1546.
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2014 – Carlo Franza, Il nuovo Museo Nazionale di Doha (Qatar) è
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Guida al codice anticlassico, Torino, Einaudi, 1973
ZEVI
1995 – ID., , Barocco Illuminismo, Roma, Newton
Compton, 1995
Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA
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