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Le varici del cavallo di Donatello

 

Alfredo Musumeci
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 30 Agosto 2014, n. 724
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Area Didattica

Fig. 1 Fig. 2
Figg. 1 e 2. DONATELLO, Monumento equestre al Gattamelata,
Padova, Piazza del Santo

Mi trovo nella piazza antistante il “Santo”, la famosa basilica di Padova. Non è un caso, mezz’ora prima della lezione. Ogni volta che vengo in questa città ne approfitto per una visita allo splendido santuario anche se oggi la ragione per cui son venuto è diversa.

Davanti al “Santo” campeggia la famosa statua del condottiero Gattamelata, capitano di ventura al servizio della Serenissima. Il condottiero ormai non lo ricorda quasi nessuno, ma la statua sì. Sarà l’armonia della scultura bronzea, sarà la stupenda bravura con cui l’artista ha saputo “copiare” la natura, sarà la fierezza del portamento del cavaliere, sarà … Donatello.

A me oggi però interessa un particolare, in fondo perchè è sempre da un particolare che si conosce il tutto.
Non lo indovinerete mai, ce lo ha fatto notare il prof. ieri per l’appunto. Si tratta delle vene delle zampe del cavallo di Gattamelata (figg. 1 e 2).
Non sorridete ! Non è una banalità.
Sapete che i cavalli equestri nel nord Europa sono scolpiti senza vene ? Lo avete mai notato ?
Parto da lontano per arrivare molto vicino.

Durante il corso ci hanno presentato una metodica che mediante laser studia la vasomozione, cioè gli adattamenti dei vasi del micro (micro !) circolo agli stimoli provenienti dal cuore. In sostanza si mette un trasduttore su un centimetro di pelle sul dorso della mano, si vede cosa succede nel microcosmo e si notano tante cose interessanti. Nella sostanza la periferia del corpo, la più distante, risente dei movimenti del centro e tuttavia, cosa ancora più stupefacente ha anche vita autonoma, si autoregola. E poi … c’è periferia e periferia, microcircolo e microcircolo. Non vorrete mica paragonare il microcircolo del palmo della mano a quello del dorso, tantomeno a quello del fegato. Probabilmente è per questo che la pelle risente persino del nostro umore o del nostro stress … chissà. La periferia ci “parla” del centro.

Torniamo alle vene del cavallo di Gattamelata. Durante la lezione il professore domandava: avete visto come sono le vene delle gambe del cavallo di Gattamelata ? Turgide, dilatate, tortuose. Perchè queste invece non sono visibili nelle state equestri del nord Europa? Il motivo è che al nord c’è freddo che causa vasocostrizione ed al sud c’è caldo che determina vasodilatazione. La funzione delle  vene superficiali non è appena quella di condurre il sangue al cuore ma anche di disperdere il calore e dilatandosi favoriscono la termodispersione. Le vene risentono dell’ambiente che le circonda, ergo Donatello ha scolpito un cavallo del sud Europa.

Ogni cosa, persino le vene di un singolo individuo, persino le statue che le rappresentano, ha una relazione “plastica”, di adattamento rispetto l’ambiente (l’universo) che la circonda. L’organismo umano si adatta a cio’ che lo circonda.

Perchè gli uomini hanno una frequenza cardiaca media di 70-80 battiti al minuto ? E le giraffe sono bradicardiche rispetto all’uomo, hanno cioè una frequenza inferiore mentre il criceto è tachicardico rispetto all’uomo ? Ve lo siete mai chiesti ? Evidentemente il centro risente della periferia, la frequenza cardiaca della distanza che il sangue deve percorrere. Eppure il Gattamelata in persona, come ogni persona abituata agli sforzi fisici, avrà avuto una frequenza media di 40-50 invece di 70 battiti al minuto come la maggioranza degli uomini ... Cosa vorrà dire questo ? In realtà esiste una variabilità non solo tra le specie ma anche individuale.

Questo mi porta a riflettere su un altro aspetto ancora più misterioso rispetto al primo: l’individualità. Voglio dire: esistono delle leggi generali (fisiologia, da fusis, greco, cioè una legge generale della natura), che descrivono grossolanamente quella che è la risposta della maggioranza dei soggetti ad un determinato stimolo che viene dall’ambiente.  Tuttavia il meccanismo generale non descrive esaustivamente la realtà individuale, esso va visto piuttosto come uno schema che aiuta a comprenderla meglio.

Nella professione medica tenere conto del singolo e non applicare schemi è fondamentale. In ospedale arriva un tizio, ha una dilatazione dell’aorta (l’arteria principale dell’organismo), che ha delle dimensioni al di sopra della norma, anche se non  eccessive in termini assoluti. In base a cosa decido da chirurgo di operarla ? Ragionamento dei miei colleghi. La legge (linee guida americane) direbbe che si può attendere prima di intervenire. In realtà vanno fatte alcune considerazioni: gli anglosassoni mediamente hanno una corporatura più grande degli  europei, quindi hanno delle aorte più grandi, per questo vengono tollerati dei limiti maggiori di dimensione prima di operare.

Seconda considerazione: che aorta ha il “mio” paziente ? Mi riferisco alla parte sana  dell’aorta, quella non dilatata. Perchè non è importante appena vedere la dilatazione in sè, ma anche questa in rapporto alla parte sana: se c'è una grande sproporzione tra le due, anche se le dimensioni assolute della dilatazione non sono tanto grandi, il rischio di rottura è alto. Ergo: le leggi (linee guida) servono a dare delle indicazioni, ma essendo il fine la salute del paziente (quello che ho davanti in questo momento), occorre valutare le caratteristiche della singola persona e non applicarle acriticamente. Per questo la medicina è un’arte, non l’applicazione di uno schema.

Occorre a questo punto dire che il problema della conoscenza, di ogni arte, di ogni cura non è di facile soluzione. In un mondo che ci dà in mano sempre più tecniche, sempre piu’ informazioni, occorre sapere come usarle. Faccio un passo indietro per spiegarmi. Feuerstein un psicologo dell’educazione, ebreo, ha sfidato l’intelligenza della fine del secolo passato, quella che dava per spacciati quegli individui che non avevano sviluppate in tempo, nel corso della giovinezza, alcune abilità. Si riteneva infatti che queste persone non le avrebbero più potute acquisire. Rigettando l’idea che l’intelligenza sia “bloccata”, “fissata”, stabilì il principio che tutti i bambini possano imparare come imparare [1] .

Imparare COME imparare vuol dire insegnarti a camminare sulle tue gambe, insegnarti il metodo. Il metodo è infatti imparare ad accorgersi degli indizî, è qualcuno che ti insegna a coglierli. Feuerstein notò infatti che risultava essere più efficace nell’apprendimento interagire con i bambini invece che somministrar loro dei test standardizzati . L’intelligenza degli esseri umani è plastica, ci vuole qualcuno che ti insegni, ti alleni ad usarla e non cristallizzarla, che ti stimoli a interagire con il mondo circostante. Ancora una volta torna il leit motiv: ogni realtà è “plastica” e non può essere cristallizzata in modo definitivo. L'immagine, lo schema non e' la cosa in sè. Nella Bibbia, ad esempio, il vitello d'oro rappresenta un idolo che va distrutto in quanto rappresentazione puramente umana che non può sostituire la divinita non essendo reale. Esso infatti ha "bocca e non parla", "occhi" e non vede, "dalla bocca non emette suoni". Magritte direbbe che la pipa “ce n’est pas une pipe”.

Imparare come imparare  è fondamentale, lo si capisce leggendo  il bellissimo libro di un medico americano Jerome Groopman, anch'egli ebreo: Come pensano i dottori. Nel testo l'autore cita [2] un lavoro scientifico che dimostra che nella maggioranza gli “errori medici” nella diagnosi sono “errori di pensiero”. Nella sostanza la “svista” nasce dall’applicare un pregiudizio nella lettura della realtà di un paziente e della sua malattia causando un errore nella diagnosi.

La mamma di un mio amico, che era una donna del popolo, ebbe in sorte di aver un figlio birbante, il mio amico F. appunto. Il primo giorno di asilo dalle suore, F. picchiò un compagnetto, il secondo vide il cancello della scuola aperto e scappò per tornare a casa. La mamma del mio amico pur non essendo un’erudita, non sapendo niente di Feuerstein e compagni, applicò in qualche modo il metodo di quest’ultimo. Il mio amico infatti cambiò di asilo, sua mamma diventò la maestra e le prime lettere dell’alfabeto che lui lesse furono quelle che la donna ritagliava dai fogli di giornale.

Oggi F. fa l’operaio, conosce ed ama le poesie di Pasolini come pochi altri.

Imparare conviene, ti mantiene giovane per tutta la vita. Desiderare di imparare infatti è un aiuto per essere piu’ se stessi, conoscere diventa sempre più “eureka!” Ho trovato ! Sono sceso più in profondità di ciò che mi sta davanti, ho trovato un nesso nascosto, ho fatto un passo in avanti attraversando l’apparenza, ho conosciuto di più e meglio chi mi sta davanti !  Che soddisfazione poter imparare ogni giorno, quando meno te l’aspetti. Che bello imbattersi in Donatello, Feuerstein, un collega o un professore che usa bene la ragione o nella mamma di F.

 

 

 


NOTE

[2] J. Groopman, Come pensano i dottori, Milano, Mondadori Editore, 2008. 



 

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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