«I
think what Keane has done is just terrific.
It
has to be good. If it were bad, so many people wouldn’t like it»
Andy
Warhol
Torna
al cinema il regista più singolare di Hollywood, Tim Burton.
Nessuna nuova creatura, nessuna illusione in stop
motion,
niente inganni, nessun personaggio da favola, nessun retaggio
gotico,
nessun sub-mondo, nessuna simbologia cromatica ... solo arte. Ed è
questa la sorpresa!
Burton
riprende il genere biopic di Ed Wood (1994) e
porta sul grande schermo, con gli stessi sceneggiatori, il caso
Keane.
Margaret
Keane
è l'autrice dei dipinti
degli “occhioni”,
figure che paralizzano lo spettatore con occhi fumettistici, sfere
magnetiche che esprimono tutta la profondità del mondo interiore
dell'artista. Gli occhi sono i protagonisti, il trait-d'union
di tutta la produzione che, però, viene promossa come propria da
Walter Keane, perché «purtroppo,
la gente non compra opere d’arte realizzate da donne».
Sono
gli anni Cinquanta quando i due si conoscono, si sposano e creano un
sodalizio artistico che sfrutta la creatività della moglie e la
capacità pubblicitaria del marito che diventa espressione di
un'arte-merce che si vende in tutte le sue forme.
«Ha
venduto i dipinti. Poi ha venduto le foto dei dipinti. Poi ha venduto
le cartoline con le foto dei dipinti». Negli anni Sessanta impazza
la Keane-mania: ovunque regnano i grandi occhi.
L'arte
da galleria vende fino a un certo punto, è cosa d'élite, ma le
stampe, copie delle celebri immagini, diventano accessibili al
pubblico in maniera esponenziale. Chiunque può “appropriarsi” di
quell'opera, una produzione seriale che porta Keane a diventare un
marchio kitsch, ma celebre icona della mercificazione dell'arte.
«É
una cosa assurda! Ho cominciato a far pagare anche i poster! Prima
cinque e poi dieci centesimi! Eh... sì, Margaret, sono pazzi! Ma
questo mi ha fatto riflettere. È meglio vendere un quadro da
cinquecento dollari o un milione di poster a quattro spiccioli? Sai,
a loro non interessa se sono copie. Loro vogliono solo arte che li
emozioni! E... e così li possiamo vendere dappertutto!
Dappertutto!». É
il nuovo marketing dell'arte.
La
questione del copyright mette a fuoco il cambiamento degli standard
dell'arte nel Novecento e riprende grandi temi come la copia, la
riproduzione, la serie. L'arte diventa prodotto di massa e torna la
riflessione su “L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità
tecnica”.
Ma
non manca l'eredità burtoniana.
Il regista è grande appassionato delle opere della pittrice, della
sua storia, ma marchia la pellicola con il suo tocco.
In quei grandi occhi sono riconoscibili tanto il Cappellaio
Matto
quanto lo Stregatto
di Alice
in
Wonderland
(2010).
Le
macchine per le stampe delle immagini riprendono il fascino
burtoniano per la creazione attraverso congegni e ingranaggi
da Edward
mani
di
Forbice
(1990) a La
Fabbrica
di
Cioccolato
(2005).
Le
inquadrature, chiare e limpide, fanno correre la mente a Big
Fish: Le storie
di una
vita incredibile
(2003): è il ritorno ad un sentimentale più reale e concreto,
perché qui la fantasia è tutta nell'opera d'arte e nella
grandiosità della sua storia, delle avventure, la magia è nel
pennello, la grandezza è nella produzione quasi infinita che diventa
oggetto quotidiano, memoria e testimonianza di un'immagine che è
moda ed icona di una generazione e di uno stile.
L'assurdo,
come il ribaltamento dello scenario, è già nel tema stesso:
l'attribuzione del diritto d'autore per un'opera seriale,
riproducibile all'infinito che diventa gadget da pochi spiccioli, ma
spopola come oggetto desiderato da tutti.
La
pellicola è tanto biografica quanto omaggio alla verità: Burton
salva Keane come ha fatto per tutti quei personaggi delle sue favole
contemporanee.
Quegli occhi diventano parte dei suoi eroi,
personalità nascoste, che vivono nell'oscurità
e finiscono per trionfare e portare la propria grandezza nel mondo. É
la rivincita di Margaret Keane, per anni all'ombra di un marito che
si è appropriato della sua immaginazione, che rivendica la sua
produzione perché quegli occhi nelle case di milioni di appassionati
le appartengono.
La
magia è proprio qui: gli occhi diventano grandi, come sotto una
lente d'ingrandimento, una magnifying
glass, come fu per
Alice lo specchio magico.
La
malinconia tipicamente burtoniana non ha bisogno di costruzioni
artificiose: è tutta negli occhi
presenti nei dipinti, in ognuna di quelle pennellate. Basta l'arte.
Solo l'arte.
NOTE
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