La
Vita di Michelagnolo Buonarroti
di Ascanio Condivi si presta a due tipi di fraintendimenti che
rischiano di comprometterne la comprensione. Da una parte si rischia
di considerarla come una mera fonte michelangiolesca, dall’altra
come una finestra di osservazione privilegiata sulla vita privata del
grande artista. Entrambe queste letture risultano fuorvianti perché
non considerano il meccanismo testuale nella sua autonomia .
Molto più proficua risulta invece una lettura che parta dal testo e
dal suo funzionamento; particolarmente significative in questo senso
risultano le zone liminali, in cui il narratore interviene in maniera
maggiormente esplicita a chiarire le proprie posizioni e le “regole
del gioco”. Nell’incipit
subito si proclama la responsabilità “politica” di Giulio III
nella realizzazione della biografia. Nonostante ad una prima analisi la dedica al papa possa facilmente essere interpretata come un atto dovuto ed un omaggio formale, questa forma convenzionale era in realtà funzionale ai fini argomentativi che il narratore perseguiva:
«Le
dedico di mano in mano tutte le fatiche che da me nasceranno; e
queste specialmente de la Vita di Michelangnolo pensando che Le
debban esser grate per esserli grata la vertù e l'eccellenza de
l'uomo che Sua Santità medesima mi propose ad imitare» .
Si
è introdotti qui ad un motivo di particolare rilevanza all'interno
della biografia, ovvero l'ostentazione del profondo legame che univa
il papa, l'artista e il narratore. Il papa ha esplicitamente
commissionato la stesura del testo a Condivi, dal momento che ha cara
e protegge la “vertù” michelangiolesca. Questa parola esprime un
concetto fondamentale nella dinamica dei rapporti tra l'artista e il
potere, tanto più che ricorrerà ogni volta che nel testo verrà
descritto l'operato di un committente. Nell'ottica condiviana la parola “virtù” definisce la disposizione d'animo che consente ad alcuni individui di dedicarsi interamente ed esclusivamente ad un'attività particolare; si tratta della qualità che permette di operare in una certa direzione anche a dispetto di notevoli difficoltà .
Non bisogna però sovrapporla o assimilarla alla moderna nozione di
talento, il campo semantico in cui è utilizzata da Condivi è
infatti sempre sociale e politico e la parola compare sempre quando
si descrive la relazione tra l’arte e il potere. Virtuoso non è
mai direttamente l’uomo di potere; rispetto alla virtù, il suo
ruolo è in primo luogo quello di far sì che essa sia tutelata e
coltivata presso di sé, grazie alla sua protezione. Il committente
si può legare alla sfera della virtù, ma solo per il tramite
dell'artista; è proprio il tipo di rapporto che si crea tra la virtù
e il principe che permette o meno la fioritura artistica in uno
stato. Si assisterà nel testo ad una vera e propria rassegna del
rapporto dei potenti con i virtuosi, ed in base ad esso verranno
valutati gli stati e i principi. Già al suo esordio dunque la biografia mostra di voler descrivere il sistema socio politico in cui gli artisti erano inseriti più che occuparsi di “bellezza” o delle opere da un punto di vista estetico.
Giulio
III ottempera al suo compito di committente nella maniera più
completa, tanto da essere collocato all’inizio del testo come una
sorta di esempio e monito per tutti gli altri potenti che
compariranno nella biografia. Il rapporto tra Giulio e Michelangelo
rappresenta la struttura chiave del sistema artistico, una sorta di
pietra di paragone. Solo su una base di questo tipo erano state
possibili le grandi creazioni della prima metà del Cinquecento. A
partire da questo assunto viene tracciata una vera e propria storia
della committenza; in questa rassegna l'operato dei potenti viene passato al vaglio critico, mostrando come essi possano facilitare l'operato artistico o, al contrario, possano causarne l'inaridimento quando pretendono di travalicare i confini del proprio ruolo.
Tuttavia il rapporto tra Giulio e Michelangelo non può dirsi completo senza considerare il ruolo che vi riveste Condivi, ruolo complesso e fondamentale, emblematico dell'evoluzione verso la modernità del rapporto tra arte e potere politico. Figura connettiva tra il committente e l'artista, Condivi
non può più essere rappresentato come un erede diretto dei
discepoli di bottega della tradizione quattrocentesca fiorentina.
Questo fatto riceve conferma dalla stessa parabola della sua carriera
al fianco di Michelangelo che mostra un sostanziale esaurimento
dell'esperienza pittorica per lasciar spazio all’evoluzione verso
il nuovo ruolo, di cui Condivi mostra grande orgoglio .
La figura del narratore si inserisce all'interno di un discorso, di cui la biografia rappresenta solo una parte. Da
subito infatti egli dichiara di non essere semplicemente un biografo,
ma di voler dare vita ad una vera e propria impresa editoriale di
sistemazione delle opere del maestro.
Grazie all'appoggio di Giulio III verranno raccolte e stampate le opere che testimonieranno la grandezza di Michelangelo; Condivi infatti offre al papa la biografia come una sorta di anticipazione a cui seguiranno altre opere:
«Non
si sdegni che io ne l’offerisca queste povere premizie» .
Ciò
che farà seguito alla Vita
viene esplicitamente menzionato:
«Ci
restano maggior cose che da lui si son cavate, le quali si
pubblicheranno poi per finezza e per istabilimento de l’arte, e per
gloria de la Santità Vostra, che l’arte e l’artefice favorisce»
.
«Più
volte ha avuto a dire che volentieri, se possibil fusse si leverebbe
dei suoi anni e del suo sangue per aggiongerli alla vita di lui,
perché il mondo non fusse così presto privo d’un tale uomo. Il
che, avendo anch’io avuto accesso a Sua Santità, ho con le mie
orecchie dalla sua bocca inteso, e più che, s’a lui sopravvive,
come par che ricerchi il natural corso della vita, lo vuol far
imbalsamare e averlo appresso di sé, acciò l’ossa siano perpetue
come son le opere» .
«Ma
io non mi maravigl[i]o, sendo voi risuscitatore d’uomini morti, che
allung[h]iate vita a’ vivi, o vero che i mal vivi furiate per
infinito tempo alla morte» .
Narrare
la vita di un vivo equivale dunque ad imprigionarlo, a legarne
l’immagine a una data versione dei fatti. Chi racconta la vita di
un personaggio si mette in relazione profonda con esso, tanto da
assumere una sorta di potere su di lui, legandolo ad un insieme di
atti, di frasi, di gesti che rimangono indelebili. Il medesimo
concetto è affrontato, anche se con toni più sfumati, nel sonetto
che Michelangelo aveva composto in risposta all’invio da parte di
Vasari di una copia delle Vite:
«Se
con lo stile o coi colori avete
alla natura pareggiato l’arte,
anzi a quella scemato il pregio in parte.
Che ’l bel di lei più bello a noi rendete,
poi che con dotta man posto vi sete
a più degno lavoro, a vergar carte,
quel che vi manca, a lei di pregio in parte,
nel dar vita ad altrui, tutta togliete» .
«Il
signor Iddio, per suo singolar beneficio, mi fece degno non pur del
cospetto (nel quale a pena arei sperato di poter venire), ma de
l’amore, de la conversazione e de la stretta dimestichezza di
Michelagnolo Buonarroti» .
Nella
sua pratica diretta e quotidiana con un uomo tanto singolare fa anzi
risiedere l’unico valore del suo testo, con un procedimento
retorico che non è solo un abbassamento della sua ubris,
ma mostra la volontà e l’orgoglio nel ribadire l’unicità della
sua posizione di consuetudine e familiarità con un uomo che presso i
suoi contemporanei godeva di una fama senza eguali:
«Raccoglitor
di queste cose diligente e fidele, affermando d’averle raccolte
sinceramente, d’averle cavate con destrezza e con lunga pazienza
dal vivo oraculo suo, e, ultimamente, d’averle scontrate e
confermate col testimonio de’ scritti e d’uomini degni di fede» .
«Queste
non son cose ordinarie e che ogni dì accaggino, ma nuove e fuor del
commune uso, né sogliono avenire se non in virtù singulare e
eccellentissima, qual fu quella di Homero, del quale molte città
contesero, ognuna di quelle usurpandoselo e facendolo suo» .
Non si fatica certo a comprendere come Condivi si riferisca a Vasari quando lamenta i tentativi di furto, meno evidente ma ancor più
significativo è cogliere come all’interno della biografia
condiviana vi sia la perfetta consapevolezza della contiguità tra
l’operazione vasariana e la politica culturale cosimiana. Il
tentativo infatti di legare Michelangelo al ducato cosimiano nasceva
proprio con la sua prima rappresentazione letteraria, ovvero con le
Vite
torrentiniane. Lì si assiste al primo passo della creazione di un
disegno ideologico in cui surrettiziamente la figura di Michelangelo
veniva inserita in un sistema artistico dall’analoga struttura
ternaria, dove al vertice si trovava Cosimo. Sulla base di questo
sistema si andava sedimentando il materiale che avrebbe contribuito
alla creazione del mito di Michelangelo patrocinatore e decano
dell'arte della Firenze ducale. Pilastro di questa costruzione
discorsiva erano le Vite
torrentiniane del 1550 in cui vi è una vera e propria immagine
speculare della struttura da cui è scaturito il testo di Condivi.
Tanto che è a questo primo modello che si deve necessariamente fare
riferimento quando si considera la struttura narrativa profonda della
Vita
condiviana.
La moderna biografia artistica nasce quindi con una precisa matrice rappresentativa che la lega al suo tempo e agli equilibri sociali che reggevano il mondo dell'arte. Anche in Vasari
vi sono un discepolo ed erede della maniera del maestro che si fa
sistematore del materiale biografico (Vasari) e un committente e
protettore dell'artista (Cosimo) .
«Era
in quel tempo ogni giorno il Vasari con Michelagnolo; dove una
mattina il Papa dispensò per amorevolezza ambidue, che facendo le
sette chiese a cavallo, ch’era l’anno santo, ricevessino il
perdono a doppio; dove nel farle ebbono fra l’una e l’altra
chiesa molti utili e begli ragionamenti dell’arte et industriosi,
che’l Vasari ne distese un dialogo, che a migliore occasione si
manderà fuore con altre cose attenente all’arte» .
«Perché
scrissi a Quella [Cosimo] quanto mi bisogniava per conto di quelle
cose che ò da trattare, per avere il parere di Michelagnolo, arei
auto dessiderio che quella mi avessi mandato una letterina di duo
parole al Buonarroti, che mi udissi e consigliassi per tutte quelle
cose che arò a negoziar seco per conto di V.E.I. Che oltre che so
che per l’ordinario lo farà volentieri, molto magiormente lo
doverrà fare, pregandola Quella» .
Il
29 marzo Michelangelo ricevette la lettera auspicata da Vasari in cui
Cosimo lo invitava in maniera larvatamente intimidatoria a prestare a
Vasari tutto l’aiuto di cui avesse bisogno:
«Restaci
a dirvi che il nostro Giorgio Vasari parlerà con voi d’alcune cose
attenenti al nostro servitio. Sentiremo piacere che lo veggiate
volentieri, lo consigliate et gli prestiate credenza» .
«Messer
Giorgio amico caro, io ebbi molto giorni sono una vostra; non risposi
subito per non parere mercatante. Ora vi dico che per le molte lode
che per la decta mi date, se io ne meritassi sol una mi parrebbe,
quand’io mi vi decti in anima e in corpo, avervi dato qualche cosa
e aver sodisfacto a qualche minima parte di quello che io vi son
debitore; dove
io vi riconosco ognora creditore di molto più che io non ò a
pagare; e perché son vechio, oramai non spero più in questa, ma
nell’altra vita poter parreggiare il conto: però vi prego di
patientia» .
«Ultimamente,
andando Papa Lione X a Firenze, oltre a’ molti privilegi che donò
a questa casa, aggiunse anco alla lor arme la palla azzurra dell’arme
della casa de’Medici, con tre gigli d’oro» .
«Al
prete di’ che non mi scriva più a Michelangelo scultore, perché
io non ci sono conosciuto che per Michelangelo Buonarroti, e che se
un cittadino fiorentino vuol far dipingere una tavola da altare, che
bisogna che e’truovi un dipintore: ché io non fui mai né pittore
né scultore, come chi ne fa bottega. Sempre me ne son guardato per
l’honore di mie padre e de’ mia frategli, ben io abbi servito tre
papi, che è stato forza» .
È
interessante notare come ritorna qui il campo semantico del commercio
come polo negativo e opposto a quello di nobiltà e di liberalità.
Addirittura si coglie in questo passaggio come l’attività
artistica di Michelangelo si è svolta in condizioni che si
potrebbero definire “eccezionali”, ovvero su richiesta dei papi
che per autorità politica e soprattutto religiosa non potevano
essere rifiutati. Il concetto di bottega e tutto il contesto che
implica ritorna all’interno della biografia condiviana come uno dei
poli negativi del discorso artistico, da cui nella biografia si
sviluppa una sorta di storia artistica, o per lo meno di rassegna
negativa, di esempi di artisti che avevano fatto bottega della loro
arte e che riducevano la loro arte al guadagno .
Questo paradigma prende corpo nella rappresentazione della bottega
del Ghirlandaio.
NOTE
Vedi nel BTA:
SIMBOLOGIE ANTIQUARIALI
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