Mauro Rea: un personaggio
veramente singolare nel panorama degli artisti contemporanei. Non
smette di destare meraviglia il modo elegante e originalissimo con
cui questo mago e sciamano delle Arti figurative non ha pace finché
non riesce a scavare percorsi che attraversano le sue mitiche
stratificazioni della materia, fino a raggiungere le ere
archeologiche del pianeta... per poi zampillare come una sorgente di
montagna con novità espressive che sembrano addirittura scaturire
dal futuro dell’umanità. Se in un mio articolo di qualche anno fa
ho parlato dell’ “universo sognante” di Mauro Rea, oggi
parlerei del suo “universo visionario” che però, pur collegando
ere estremamente remote al futuro, finisce sempre per precipitare
insieme alle sue galassie in un presente dove si accolgono coagulano
prendono forma le angosce e le inquietudini del mondo in cui viviamo
e le sue speranze più temerarie. Altra nota singolare dello stile e
linguaggio di Mauro Rea: la profonda conoscenza dell’arte astratta
e figurativa del recente e meno recente passato non va mai disgiunta
da un tocco originale tutto suo, come se l’innocenza di un primo
sguardo sul mondo non l’avesse mai abbandonato. Mauro lavora con la
passione di un eterno innamorato e con l’arte e la tecnica di un
orafo: le sue mani hanno il potere di scavare in profondità, ma
anche la lievità e la leggerezza di chi sa addolcire l’asprezza
della materia usandola come specchio delle proprie emozioni più
intime, a volte sconosciute anche allo stesso artista che le vive.
Mauro Rea segue quindi un
percorso originale alimentato dalla conoscenza dei maestri del
passato, ma arricchito da esperienze sempre nuove e protese verso i
toni apocalittici dalla vita e della cultura di cui oggi siamo tutti
drammatici protagonisti come inconsapevoli vittime o consapevoli
persecutori. Traspare nelle opere più sanguigne di Rea questo mondo
in cui viviamo, spesso magmatico o addirittura infernale, mediato
dalla personalità duttile dell’artista che sa piegarsi sulle
vicende umane senza lasciarsene travolgere. E lampeggiano schegge
della più intensa espressione poetica moderna e contemporanea, da
Van Gogh al Cubismo di Lèger Braque e Picasso al Futurismo
soprattutto di Boccioni - non senza l’eco dell’Espressionismo e
tocchi di Surrealismo: io vi leggo anche echi dell’Esistenzialismo
letterario di Sartre e Camus nella presenza di una disperata ricerca
di senso mai soddisfatta, mai ripiegata però sulla disperazione.
Quando l’artista infatti si raccoglie in se stesso e si interroga
in meditazione solitaria la sua solitudine si affolla di presenze
reali e virtuali che spesso si intrecciano e si fondono rinnovandone
sinergicamente la personalità. Perché il rinchiudersi in se stesso
di Mauro Rea non è esclusione, ma, al contrario, accoglienza
dell’altro all’interno di una personalità che non si accontenta
mai di abbracciare il mondo e di farlo proprio, con l’intento
manifesto cambiarlo.
Consideriamo adesso alcune
opere di Rea particolarmente significative per i collegamenti con la
rete multisensoriale delle emozioni che da esse scaturiscano e da cui
è possibile risalire - o precipitare verso le infinite emozioni -
intuizioni dell’autore nei vari momenti del suo percorso che va
letto, o meglio rivissuto “da dentro”, se soltanto si riesce a
rincorrerlo e a farlo proprio. E’ quasi inevitabile che questa
corsa a velocità impensabili lo conduca, al di là di ogni
paradosso, sia verso il mondo e lontano da se stesso che verso se
stesso, intento a chiudere lo scorrere delle ore dei giorni e delle
stagioni nel cerchio di un tempo circolare dove il più remoto
passato si congiunge con il futuro più remoto e finisce per
anticiparlo nel presente sofferto dell’atto creativo: perché è a
questo che dobbiamo dedicare la nostra attenzione e intuizione, al
tipo di atto creativo che da cui divampa l’opera di Mauro Rea e si
estende come un incendio a cui è impossibile sottrarsi.
Profondamente scossa dalle due
polarità potenziali del tempo la materia lavorata dall’artista
sprigiona energia sia potenziale che reale: così i mostri...
elefanti draghi uccelli preistorici cieli apocalittici raggiungono i
nostri incubi trasformandoli in icone del dramma contemporaneo con
cui si riesce perfino a familiarizzare, a riconoscerli come parte
della nostra storia in modo che non ci facciano più paura. Un
giorno, in mezzo ai nostri incubi rappresentati in forma mitologica,
appare una figura velata e svelata da una luce ascendente che si
accende nelle braccia e nel volto che, proprio nel nasconderla, ne
rivela l’identità a sua volta familiare e immersa nel mistero
(fig. 1) Com’è possibile che, dalla rappresentazione di un mondo
abitato da mostri fiorisca un’immagine dove la luce è felice di
disegnare una presenza metafisica? Da dove nasce questa sensibilità
al mistero di “altre” dimensioni che il pensiero unico imperante,
minimalista e soffocato dai pregiudizi, fino ad oggi almeno ha
condannato e cancellato? Gesù Cristo è stato messo alla berlina più
di Maometto, l’immagine di Sua Madre Maria confinata nei cassetti
delle mamme e delle nonne, dimenticata, emarginata. Eppure Mauro Rea
l’ha dipinta con una gioia e un abbandono che gli fa onore
mettendole intorno le icone della ferocia contemporanea che, vicino a
Lei, sembrano ammansite se non miracolosamente redente.
La figura velata è quella di
Maria, Donna rivoluzionaria rispetto alle convinzioni dei tempi, cioè
annunciatrice di Tempi nuovi, perciò Rea la innalza come uno
stendardo. Penso che quest’omaggio alla Madre di Dio vada ben oltre
la circostanza che l’ha ispirato: c’è l’amore di Mauro per la
donna, di cui egli dimostra di apprezzare le qualità affettive
intellettuali e spirituali, in controtendenza con la società dei
consumi, l’abbandono all’inconoscibile e a ciò che non si vede,
la venerazione per una Madre che abbraccia tutto il genere umano con
lo stesso amore che ha per il Figlio, realizzando una giustizia
impossibile a questo mondo e proprio per questo rivoluzionaria.
Non mi azzardo a dire che
Mauro Rea sia un “uomo di fede” (parlo di fede religiosa), ma è
certamente un artista che, sia pure in modo drammatico, ha fede
nell’uomo, nella natura, nel prossimo vicino e lontano a cui dedica
il suo lavoro appassionato. Si può credere in Dio e amarlo senza
proclamarlo ai quattro venti, in silenzio, come fa Mauro che, quando
sono in ballo umanità e sofferenza (e anche la gioia!), lui c’è,
non si mimetizza per esimersi dal dono di sé: e credere in Dio,
secondo me, non è altro che comportarsi e vivere in questo modo.
Mauro Rea, con la “spontaneità
profonda” che è una delle sue caratteristiche più significative
in un uomo della sua cultura e personalità, ha reso un omaggio alla
Madonnina di Milano, come molti altri artisti, l’ha fatto con il
gesto migliore che gli è congeniale, cioè raffigurandola nella sua
bellezza che è espressione suprema della bontà, come vuole il
corrispondente termine greco: e l’ha affettuosamente circondata dei
protagonisti delle sue opere. Mani generose, quelle di Rea, che
sanno trasmettere tanto di sé mediando tra le persone le cose e le
suggestioni degli eventi in cui si muove, troppo spesso feroce e
violento ma anche talvolta tenerissimo... il gran teatro di questo
mondo.
La mia amicizia per Mauro Rea
e la mia ammirazione per la sua arte si è accesa sul monitor del
mio personal computer quando ho varcato la soglia che divide la
realtà “reale” da quella virtuale dopo aver “avvistato”
alcune delle sue opere che mi narravano le vicende apocalittiche dei
nostri tempi in forma di favola: sono entrata immediatamente nelle
foreste d’oro cupo, attraversando territori pietrificati e scoscesi
con bagliori azzurri di mare, colline popolate dai noti stravaganti
personaggi mitologici in cui non era difficile riconoscersi e
ritrovarsi, ma provando meraviglia, non orrore. Ho sentito subito il
bisogno di entrare in quel mondo nuovo, impenetrabile e invitante
nello stesso tempo: ed è cominciata così l’avventura virtuale e
reale dell’amicizia con Mauro e la sua arte. Grazie a loro ho
scandagliato il cuore della materia, ho sentito l’odore
inconfondibile dei pigmenti dalle vivide tonalità, la rude irta
superficie delle tele delle tavole o dei materiali da cui l’artista
ama sconfinare continuando l’opera nei territori invisibili dove
corre il vento vigoroso dell’immaginazione. Sono tornata indietro
nel tempo, oltre la profondità dei secoli, raggiungendo gli albori
della civiltà prima della storia... e lì, proprio lì ho incontrato
i presagi di un futuro che attinge al cuore del passato nei simboli
disseminati lungo i percorsi della memoria.
Esempio di un’arte altamente
rappresentativa del mondo in cui viviamo le “Icone pop” esposte
da Mauro Rea e introdotte da Donato Di Poce a Milano nella Libreria
popolare di via Tadino dal 23 maggio al 7 giugno 2015. Nelle opere di
Rea colpisce l’originale uso di una tecnica già sperimentata dai
Maestri dell’ arte contemporanea, primo fra tutti Picasso:
l’inserimento nell’opera stessa della materia che viene
“presentata” nella sua “corporeità”, oltre che
rappresentata: e parlo di “corporeità” perché il rapporto tra
l’artista e la materia è così intimo da trasformare l’uno
nell’altra: così i mostri si animano e Mauro Rea ironizza
affettuosamente sulla loro malcelata aggressività, come si comprenda
dal titolo: “Scornate’v”: date sfogo alla vostra violenza, per
quanto mi riguarda io ne sono il testimone... e dovreste anche
ringraziarmi perché ho riscattato la vostra miseria con la magia
dell’arte!”.
“C’è un tempo per ogni
cosa” dicono le Sacre Scritture: nelle Icone di Mauro Rea c’è
l’attimo presente con il suo background di memoria che squilla di
luce metafisica attinta al mistero del tempo, ogni oggetto è sempre
collocato nell’attimo della percezione da parte dello spettatore,
purché sia attento alla meraviglia. Le Icone Pop inseguono le
insegne del nostro tempo nelle scritte dei barattoli di strada
(fig.2) ma sono, contemporaneamente, archeologia del futuro e
insieme della memoria perché il cuore del futuro per Mauro è nel
passato non soltanto immaginato, ma ancora ricco di storie e di
inquietanti umori. C’è una sua Icona (fig. 3) in cui l’argento
lavorato dei barattoli, che irrompe dalle brunite morbide ombre dei
preistorici animali ormai familiari, può sembrare (non perché lo
voglia essere, attenzione!) un gioiello inciso e battuto da orafi
medioevali o un particolare dell’armatura d’un cavaliere del
Santo Graal: non toglie nulla al fascino dell’opera che si
intravvedano le scritte delle marche di birra tedesca o austriaca,
anzi quelle scritte possono essere lette come segno o addirittura codice
da decifrare: quel tocco Pop, non clamorosamente dichiarato ma
inserito in un contesto raffinato e complesso, assume una qualità
inedita, che, ripeto, assocerei al concetto di “Archeologia del
futuro” conquista ed opera di un uomo profondamente radicato ma
tutt’altro che prigioniero del proprio tempo. Altra opera-simbolo,
il prezioso e ambiguo “Pesce - uccello” (fig.4), abitante
dell’acqua e dell’aria, in cui le scaglie o penne metalliche
dorate e circondate di rosso antico risaltano sopra il fondo d’un
azzurro metafisico consumato dal tempo: che cosa avrà voluto dire
qui l’artista? Credo che ad ognuno di noi l’opera suggerisca
emozioni diverse non esprimibili in termini razionali: di fronte alle
opere d’Arte infiniti significati ci sfiorano facendo vibrare le
nostre corde interiori ed è inutile tradurre quello che sentiamo con
espressioni che non risulterebbero adeguate ai messaggi lanciati
dalla dimensione inconscia dell’artista. Qui la lettura del
presente percepito non è infatti semplice descrizione, ma risultato
di uno scavo effettivamente paragonabile a quello dell’Archeologo
ed è circondata dall’alone magico della scoperta, o meglio della
rivelazione di un mondo che, se l’Arte di Mauro Rea non fosse
riuscito a svelare con le sue luci e colori, sarebbe rimasto sepolto
per sempre nel mistero dei secoli.
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