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Paolo Bresciani. Confini Sfumati  

Diletta Cecili
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 24 Luglio 2015, n. 780
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Area Artisti
«Ho comunicato con gli altri attraverso le mie visioni,
non sono un pazzo isolato,
non sono né pazzo né sano,
né italiano né americano,
né napoletano né romano,
sono sul filo di un rasoio,
sulla linea di confine,
attraverso il confine cento volte al giorno,
avanti e indietro
» 1

- Paolo Bresciani -


Immaginiamo la fine degli anni ’80, un periodo storico in cui i personal computer erano ancora arcane macchine delle quali non si sapeva che uso farne, e supponiamo quindi che alcune figure nel panorama artistico italiano abbiano avuto coraggiosamente l’ardire di servirsene, intraprendendo un discorso che di lì ad alcuni anni sarebbe esploso prepotentemente. Ora, prefiguratoci ciò, sarà immediato comprendere il ruolo di precursori che quei pochi audaci uomini hanno intrapreso nel mondo dell’arte. Tra questi vi fu Paolo Bresciani.
Scomparso nel 2009 a causa di una malattia, nasce nel ’61 a Napoli da una famiglia in parte di medici e in parte di artisti; il nonno materno era il noto fotografo americano Tolker Korling, mentre il nonno paterno, Antonio Bresciani, era un affermato pittore figurativo della Napoli del ‘900.

Formatosi all’Art Institute di Chicago, Paolo Bresciani, tornato in Italia, fa il suo debutto alla galleria di Lucio Amelio a Napoli. Dopo un esordio a tela e pennello, affascinato dalle nuove tecnologie, si sposta verso declinazioni artistiche di altro tipo: comincia infatti ad utilizzare la computer grafica e in particolare modo il morphing, un effetto digitale che permette la fusione di più immagini in una. L’espediente grafico, utilizzato all’epoca solo dalle grandi industrie cinematografiche e pubblicitarie, diventa un elemento caratteristico della pratica artistica di Bresciani, il quale se ne serve per indagare i confini tra le cose all’interno di un’indagine della realtà che vede come punto di partenza e di fine la dinamicità, unica categoria con la quale guardare alle cose del mondo e a noi stessi, e ciò in quanto nulla è fermo, nulla è stabile, e quello che possiamo fare è solo attraversare, peregrinare da una realtà in un’altra. Questo è ciò che fa Bresciani tramite il morphing.

Rispetto a quest’ultimo, l’artista se ne serve in modo peculiare: in maniera del tutto inusuale rispetto all’uso dell’effetto digitale, egli blocca il processo di trasformazione a metà, facendo sì che ne scaturisca un ibrido che mostri senza preoccupazione le realtà da cui proviene. Così facendo, quello che nella nostra realtà quotidiana appare rigidamente dicotomico, apparentemente chiuso in sé stesso, incomunicabile nella sua essenza con altre realtà, nell’universo di Bresciani diviene sfumato all’interno di identità confuse, ibride, metamorfiche, dove una cosa è e non è, vive le potenzialità dell’essere senza entrare in contraddizione, in quanto abbandonata la logica aristotelica, si adotta invece la logica sfumata, procedimento di comprensione del mondo che contempla il paradosso.

Il risultato finale di gran parte dei suoi lavori sono per lo più opere di grandi dimensioni, il cui soggetto è un’immagine ottenuta digitalmente e poi stampata su differenti tipi di supporto e sulla quale l’artista il più delle volte vi interviene pittoricamente. Il rintervento manuale sull’immagine digitale, si configura come un’ulteriore peculiarità di Bresciani: se l’immagine digitale riecheggia infatti il termine elettronico, automatico, disumano, dal canto suo l’intervento a pennello contempla invece una sfera intima e soggettiva intrisa di personalità, che sembra essere l’assoluto opposto della precedente suggestione.

Il soggetto delle sue trasformazioni è per lo più l’artista stesso che di volta in volta si ibrida con oggetti, animali e personaggi della fantasia; anche se non meno importanti sono anche le fusioni tra le cose e tra gli oggetti e gli animali. Bresciani, sorta di sciamano della contemporaneità, compresa la fragilità insita nel concetto d’identità, rompe i rigidi confini che essa generalmente prevede, e con le sue metamorfosi permette di cogliere aspetti e assonanze tra le cose alle quali non siamo soliti vedere a causa del nostro sguardo sopito dalla quotidianità.

In questo universo fatto di ibridi e identità mutanti non può non venire in mente come suggerisce il critico Raffaele Gavarro, in uno scritto dedicato all’artista, da un lato la letteratura fantascientifica e cyberpunk e dall’altra la ricerca genetica connessa ai trapianti e agli innesti robotici che sostituiscono organi umani mancanti o manchevoli.2 Del resto, la realtà scientifica è stata per Bresciani un importante bacino da cui trarre espressioni per un linguaggio che faccia dell’arte quasi una pratica diagnostica: vi sono opere in cui l’artista, servendosi anche di radiografie e risonanze magnetiche, come fosse un medico dell’arte, studia il corpo, analizzandolo dal suo esterno, la pelle, fino al suo interno. Nella sua indagine della realtà, la scienza permette a Bresciani di adottare un metodo con cui sopperire alle poche risposte date dall’arte alle tante domande che essa per sua natura pone.

Il suo è stato quindi un linguaggio variegato, che si è servito di diversi mezzi con esiti assai differenti: dalle prime opere a tela basate sull’idea del doppio e del positivo - negativo, ai lavori realizzati per mezzo del morphing; dalle opere create appositamente per Internet, ai video basati sull’idea di deformazione dello spazio e alle installazioni formate da micro-sculture. Un “polimorfismo”, quindi, che implica quella dinamicità, quel metamorfismo che è alla base di molte sue opere e che è accompagnato da una volontà di sperimentare tecniche e linguaggi nuovi che diano vita a immagini disorientanti.

Paolo Bresciani è stato, dunque, uno dei primi artisti in Italia a servirsi del computer in tempi in cui esso era ancora un oggetto così lontano dal divenire strumento di espressione artistica e in particolare modo, tramite il morphing, ha creato quello che dalla critica giornalistica dell’epoca è stato definito un nuovo tipo di genere “Il ritratto Virtuale”.

Se l’attività di un uomo non può essere riassunta in poche righe, quello che si può far emergere è un atteggiamento pionieristico e lungimirante, che ha anticipato nell’arte una realtà transgender quale quella in cui noi oggi viviamo, tanto nelle identità quanto nelle tecniche. Se la denominazione è una forma di controllo che l’uomo ha adottato per interagire nel mondo, allora la perdita di questo bisogno e l’apertura a realtà indifendibili con certezza, indica un atteggiamento coraggioso che nell’arte meriterebbe di essere ricordato.








Fig. 1
PAOLO BRESCIANI, Iopesce, 1992,
manipolazione digitale e stampa su acetato, 70 x 70 cm.

Fig. 2
PAOLO BRESCIANI, Camaleontepesce, 2007,
laser cimbolyc science su carta fotografica endura montato su dibond, 100 x 140 cm.




Foto cortesia Diletta Cecili

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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