Lo stile di Paola Grizi in linea
di massima prende le mosse dal Simbolismo europeo rappresentato in Italia da
artisti come Leonardo Bistolfi (1859–1933), ovviamente depurato da tutta
l'orpellosa componente retorica, e si arricchisce di alcuni raffinati
preziosismi dell'Art Nouveau che vengono però a loro volta sempre
stemperati grazie ad una sobrietà esistenzialista di fondo che non concede
nulla al decorativismo estetizzante tipico del vecchio movimento novecentesco e
tanto meno al decadentismo praticato da molti degli autori di quella corrente
artistica.
Per la capacità di trattare la
scultura come soggetto ricco di “non-finiti” michelangioleschi le opere di
Paola Grizi fanno riferimento al mitico Medardo Rosso: infatti la Grizi ha
saputo recepire nella scultura la lezione pittorica impressionista donando agli
oggetti tridimensionali la vaporosità materica, anzi immaterica, tipica di
quella particolare risposta alla luce del nuovo en-plen-air impressionista.
Questi sono, per sommi capi, i
debiti di Paola Grizi nei confronti del filone figurativo a cui ella sembra
appartenere. Ma l'esegesi dello stile delle sue sculture in realtà è molto più
complessa di quanto si possa credere ad una lettura rapida delle stesse.
Ora quella componente
profondamente naturalistica del Simbolismo e dell'Art Nouveau sopra
descritta in realtà cede il passo ad una severa, direi quasi scientifica,
adesione ad alcune intuizioni cubiste. Per esempio l'idea di dividere la
rappresentazione del viso su due differenti pagine aperte, ponendo naso e bocca
su quella sinistra e uno dei due occhi su quella destra, è tipica di Picasso
che usa un mezzo bidimensionale come la pittura per fare una rappresentazione
quadridimensionale che include lo spazio-tempo significato nella tela appunto
dalla scomposizione del volto che viene letto secondo varie prospettive tutte
differenti a seconda del teorico passare dei minuti della visione. Allo stesso
modo Paola Grizi rappresenta un volto che si costruisce nel tempo. Non basta
insomma, per capirci, un solo sguardo per leggere la sua scultura, ma servono
letture multiple per ricostruire l'unità e l'identità della percezione
dell'opera riprodotta e dei suoi contenuti profondi. Quest'idea della visione
che ha le sue radici nella Fisica relativistica di Einstein mutuata dalla
conoscenza del Cubismo, in Paola Grizi acquista una dimensione meno fisica e
più simbolica per cui diventa la metafora della ricerca umana di una dimensione
superiore ed “altra” anche di carattere metafisico.
Una scultura evangelica eppure umanissima
Il Verbo si fece carne (Gv.) ...
nella pagina sinistra una narice e una bocca socchiusa compaiono
misteriosamente tra le righe di una scrittura volutamente indecifrabile quasi a
testimoniare l'ineffabile divino, mentre nella pagina destra si manifesta un
occhio chiamato a indagare i misteri del cuore.
Ci si chiede allora se le pagine
che compongono questo libro siano veramente l'immagine tangibile e poetica di
aspetti e fasi della vita dell'uomo e della donna in questo nostro mondo
terreno.
Ma guardatelo bene questo libro:
le pagine sono accartocciate come se il volume fosse stato salvato da un
diluvio universale, come se questo volto diviso fosse stato conservato grazie
al suo provenire dal verbo. Mi appare come un evidente messaggio di speranza:
la forza della parola consiste nel prendere in mano la nostra esistenza che
nelle sue singole pagine è spezzata, ma nell'interezza del libro della vita che
le comprende è fortemente unitaria.
Paola Grizi compie una
riflessione profonda sull'io diviso della società contemporanea suggerendo una
soluzione salvifica nell'unità profonda costituita dal libro considerato nella
sua totalità.
Tante pagine, ma un solo libro,
tanti profili ma un solo volto.
Un libro liquido …
Vi è poi la questione, quasi
ossessiva, degli alfabeti: queste righe di testo che affiorano dalle pagine del
libro aperto, sfogliato, divelto, squadernato, spaginato, accartocciato, che
sembra voler richiamare l'attenzione dello spettatore verso la difficoltà di
comprensione della dimensione profonda della cultura che nella società
contemporanea costituisce ormai la precondizione
dell'essere-dell'uomo-e-della-donna-nel-mondo. Ma al tempo stesso sembra dirci
che l'uomo o la donna sono alla mercè delle lettere alfabetiche vaganti per
l'etere in forma di messaggi incomprensibili come incomprensibili sono le
parole vergate nella terracotta, simulacri di una scrittura in fin dei conti
indecifrabile: volti prigionieri di parole solo intraviste, ascoltate nella
distanza, frutto dell'eco inconsulto di una stanza senza pareti. Giochi
volubili di una società liquida che eccita la fantasia tramite l'accensione di
interessi nascosti nei labirinti infiniti della psiche.
A leggere bene quest'opera non sappiamo
in fin dei conti se si debba intendere come un ritratto nascosto in un libro
oppure, viceversa, di un libro che nasconde un ritratto: sottile gioco di
rimandi incrociati che crea la sensazione di una realtà ulteriore da scoprire
tramite la provocazione dell'artista demiurga.
E qui se il debito delle
citazioni va al Surrealismo di Salvador Dalì, a quei suoi giochi di
deformazione prospettica delle cose in chiave onirica, ossessiva ma anche
catartica, in realtà ci troviamo di fronte alla pars construens della
poetica di Paola Grizi che riesce a dimenticare per un momento tutte le mille
citazioni colte di cui è capace per addomesticare l'arte del passato al sottile
gioco di quella del futuro in una promenade liquida priva di confini tra
la pagina e l'orecchio che ascolta o l'occhio che legge, come a dire che il
flusso stesso delle parole sembra disegnare un ricamo perpetuo capace di
incantare chi lo ascolta o lo guarda come era successo ad Ulisse di fronte al
canto delle sirene.
Ecco che allora queste sculture
diventano dei catalizzatori di pensiero: le parole liquefanno e distillano
emozioni perenni, provocando stati di alterazione del reale e ci restituiscono
un'intima soddisfazione di possesso magico delle cose.
Le sculture di Paola Grizi sono
dunque molto più che semplici oggetti: sono al tempo stesso libri tangibili e
provocazioni dello sguardo che, insinuando dubbi, alla fine regalano certezze.
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