Nell'attività
artistica di Teresa De Sio (Napoli, 1955) la letteratura è una passione
relativamente recente. Dopo aver esordito come cantante alla fine degli anni
Settanta nel gruppo Musicanova, fondato da Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò nel
1976 e che per anni si è dedicato con successo alla musica popolare partenopea,
negli anni successivi De Sio ha intrapreso una carriera di successo quale
solista e cantautrice, che prosegue da quasi quaranta anni. L'artista ha
raggiunto la sua massima popolarità all'inizio degli anni Ottanta, in
particolar modo con gli album Teresa De Sio (1982) e Tre (1983),
che hanno complessivamente venduto più di un milione di copie e contenevano
alcuni tra suoi maggiori successi, quali Voglia e turnà, Aumm aumm,
Pianoforte e voce e Ariò, tutti in dialetto napoletano.
A
partire dalla seconda metà degli anni Ottanta ha iniziato un lavoro di ricerca
musicale che l'ha portata dapprima a dedicarsi alla canzone napoletana del
periodo compreso tra fine XIX e inizio XX secolo e poi, nel decennio
successivo, alla musica popolare pugliese.
Di particolare rilievo è lo studio delle tarantelle, un gruppo di danze
diffuse in tutto il Sud Italia, la cui esistenza è testimoniata a partire dal
Seicento e che, nella loro versione pugliese, sin dalle origini sono collegate
al fenomeno culturale del “tarantismo”, una sorta di terapia basata su danze e
suoni che, nella cultura popolare salentina, sin dal tardo Medioevo si riteneva
potesse curare dei problemi di salute psicofisica (soprattutto in soggetti di
sesso femminile) indotti dal morso di un ragno denominato “taranta”. Il
risultato più significativo di questa fase è rappresentato dallo spettacolo
teatrale Craj, scritto con Giovanni Lindo Ferretti e a cui hanno
collaborato alcuni tra i principali interpreti della musica popolare pugliese,
quali i Cantori di Carpino, Matteo Salvatore e Uccio Aulisi. Nel 2005 Craj è
diventato anche un documentario di successo, con la direzione del regista
napoletano Davide Marengo.
Negli
ultimi anni le opere di De Sio sono state particolarmente influenzate dalla
musica del continente americano, da quella giamaicana (Riddim a Sud, 2008),
a quella latinoamericana: molto originale e di successo è stata la sua
reinterpretazione del capolavoro di Mercedes Sosa Todo cambia, contenuta
nell'album Tutto cambia del 2011.
Gli
ultimi anni hanno anche fatto segnare un intenso impegno letterario, che ha
portato alla pubblicazione di due romanzi per i tipi di Einaudi, Metti il
diavolo a ballare nel 2009 e L'attentissima nel 2015. L'impegno
narrativo ha anche prodotto un'interessante contaminazione tra letteratura e
musica. La pubblicazione dei due romanzi è stata infatti seguita, già nei mesi
successivi, dall'allestimento di omonimi spettacoli teatrali strutturati come
dei reading musicali dei libri. Una delle musiciste che hanno
collaborato al reading teatrale del primo romanzo è la cantante e
violinista transgender Erma Castriota, in arte H.E.R., la cui vicenda di
vita, pochi anni dopo, ispirerà la storia dell' Attentissima.
Metti
il diavolo a ballare è
il frutto letterario del grande interesse che da molto tempo De Sio coltiva per
la cultura popolare pugliese. Il romanzo,
ambientato in un piccolo paese salentino (Mangiamuso) degli anni Cinquanta,
ruota intorno alle vicende di Archina Solimene, bambina e poi adolescente che
si trova a crescere in un ambiente caratterizzato da sottosviluppo, incultura,
superstizione e violenza che, pur coinvolgendo naturalmente anche gli uomini,
rende però insostenibilmente dura soprattutto la vita delle donne, il cui
asservimento agli uomini è un aspetto molto importante della mentalità di quel
territorio. Il crescente disagio psichico della giovane Archina porterà la sua
famiglia a cercare di risolvere il problema proprio sottoponendola ai rituali
coreutico-musicali del tarantismo.
Nelle
pagine del romanzo Archina non è certamente l'unico personaggio le cui vicende
portino il lettore a contatto con la durezza della condizione femminile in
quella (come in molte altre) zone del
Sud Italia negli anni del dopoguerra. Molto significativa ed estremamente
drammatica è la vicenda esistenziale delle sorelle Candelora e Fatima Santo,
nate in una famiglia piuttosto benestante di proprietari terrieri del luogo.
All'interno di essa i rapporti sono improntati a una totale loro sottomissione
dapprima nei confronti del padre e poi, dopo la sua morte, del fratello Angelo.
Di
norma a tale pesante autorità ci si poteva sottrarre solo con il matrimonio,
che peraltro in genere non risolveva di certo il problema, facendo solo passare
il ruolo di capo della famiglia dal padre o fratello al marito. Anche le
sorelle Santo, come le loro coetanee, crescono con il forte desiderio di
trovare un uomo che le faccia sentire felici e amate. Nel loro caso però il
sogno di sposarsi e creare una famiglia rimarrà sempre tale. I pretendenti non
sono molti, non essendo le ragazze di gradevole aspetto esteriore, e quei pochi
che nel corso degli anni decideranno di chiederne la mano sono di condizione
sociale ed economica molto inferiore a quella della famiglia Santo. Un
eventuale matrimonio determinerebbe dunque una frammentazione del patrimonio
familiare senza che, in termini materiali, ne valga minimamente la pena.
Pertanto tutte le proposte di matrimonio, che le ragazze accetterebbero con
gioia, si infrangono contro il veto insormontabile degli uomini di casa Santo,
senza il cui consenso non è pensabile che le sorelle si sposino:
Fossero
state maschi, anche se sconcicati e storti, stupidi come una capra e con il
carattere di un babbuino, la ricchezza sarebbe stata sufficiente ad assicurare
loro un'unione duratura con qualche giovane e feconda fanciulla. Per Fatima e
Candelora invece la ricchezza era stata una vera palla al piede. Nessuno dei
già pochissimi pretendenti venne mai considerato all'altezza della situazione.
Angelo Santo vigilava sul patrimonio di famiglia. (de sio 2009, 35).
Superati
i trenta anni (a cui è suo malgrado giunta vergine, in un periodo in cui di
norma le ragazze si sposavano durante l'adolescenza) Fatima si innamora di
Totò, un giovane di bell'aspetto che ha iniziato a lavorare come bracciante per
la famiglia Santo. Tra i due scoppia la passione (per la verità non priva di
una certa sfumatura utilitaristica, dal punto di vista del ragazzo), cedendo
alla quale un giorno i due fanno l'amore nei campi. La sorella Candelora lo
viene a sapere e, consumata dall'invidia, ne mette prontamente al corrente il
padre:
Ci
volle non più di un quarto d'ora perché tutta la vita di Fatima venisse
bruciata e le ceneri sperse nel vento. Il signor padre, informato dell'accaduto
nel corso di un breve quanto segreto colloquio con Candelora tenutosi nel suo
studio, uscì dalla porta-finestra del pianterreno chiamando a gran voce suo
figlio Angelo perché lo accompagnasse a fare la cosa che andava fatta.
Nessuno
seppe mai quello che successe veramente tra padre, figlio e il giovane
contadino. […] Fatto sta che da quella mattina, di Totò Leporano non si ebbero
più notizie. (ibid. 38).
Le
due sorelle invecchieranno dunque sole, vittime dell'arretratezza sociale e
dell'incultura che dominano nella loro terra e si trasformano in un sistematico
fattore di oppressione delle donne. L'incultura fa del cosiddetto “onore
femminile” una vera ossessione collettiva, l'arretratezza sociale fa sì che i
maschi della famiglia abbiano pieno potere decisionale sulla vita affettiva
delle loro congiunte, senza che l'opinione di queste ultime possa in alcun modo
incidere. Nella Mangiamuso degli anni Cinquanta l'unica cosa che le donne
possano fare è rassegnarsi, anche al fine di scongiurare guai peggiori: «[Fatima e Candelora] ormai lo
sapevano che, fino a quando avrebbero voluto sentirsi la terra stabile sotto i
piedi, avrebbero dovuto rassegnarsi a vedere la vita passare sempre sopra le
loro teste» (ibid. 47).
Drammaticamente
emblematica è anche la storia di Virginia, una donna non più giovanissima e di
umili origini che ha la sventura di imbattersi in Angelo Santo. Tra i due nasce
ben presto una relazione che è subito caratterizzata da un'incredibile
brutalità e da continue angherie perpetrate dall'uomo. Virginia è profondamente
innamorata di lui, ma per Angelo lei è solo un mero strumento di periodica
soddisfazione sessuale, peraltro mai accompagnata da gesti che possano far
anche solo trasparire un briciolo di affetto o tenerezza. Sin dalla prima volta
in cui fanno sesso, ciò è sempre vissuto da lui come la riscossione di qualcosa
che gli è dovuto; Virginia appare dunque più come l'oggetto di un rapporto di
proprietà che non come la partner di una relazione di tipo affettivo. La
ragazza deve sempre essere disponibile a soddisfare i desideri sessuali di
Angelo, diritto che gli deriva sia dall'essere il suo uomo sia dal fatto che
egli è il potente del luogo, il che dal suo punto di vista significa anche
poter disporre del corpo di alcune delle donne appartenenti alle fasce meno
abbienti della comunità:
Lo
aveva fatto senza chiederle permesso prima, né scusa dopo. Come fanno i padroni
con i loro sottoposti, i pastori con le pecore, i gatti con il baccalà, o
quegli uomini assai ricchi che, sapendo di non essere stati dotati dalla natura
di alcuna attrattiva, immaginano di non avere altra possibilità di prendere
quella che vogliono se non esercitando una qualche forma di violenza. Così
l'aveva presa Angelo Santo la prima volta, con la violenza. Subito dopo, poche
parole secche: -Non ti fare venire in mente pensieri sbagliati, non ti avvicinare
nemmeno a Terranera quando ci sono le mie sorelle. Tu non esisti-. […] Che
motivo aveva un uomo ricco come lui di ricorrere alla forza per prendersi
qualcosa che avrebbe potuto ottenere con una semplice richiesta? Dall'alto
della sua esperienza aveva come percepito il fondo buio di quell'uomo. (ibid.
50).
Virginia
non può sognarsi minimamente di far parola con qualcuno della loro relazione:
le differenze sociali tra loro sono talmente grandi da rendere impensabile non
solo che l'uomo possa un giorno sposarla, ma anche il semplice fatto che la
notizia possa diventare di dominio pubblico.
Con
il passare del tempo la brutalità psicologica e fisica della relazione con
Angelo diventa sempre più per lei un fattore di profonda sofferenza. La situazione
diventa ancor più pesante quando un giorno Virginia si rende conto di essere
incinta. Per una donna single della Puglia dell'epoca il rimanere
incinta è un evento a dir poco catastrofico, come ben sa il medico che la
visita e la informa della gravidanza. L'uomo fa del suo meglio per comportarsi
con distacco e non far trasparire i suoi pensieri, compila il referto e, con
apparente freddezza, si appresta a congedare la donna, ma «nell'occhiata rapida
con cui aveva accompagnato quel gesto, Virginia aveva colto lo sforzo del
dottore di non far trapelare niente riguardo al futuro di infelicità che,
dall'alto della propria esperienza di medico delle femmine, aveva vaticinato
per lei» (ibid. 52).
Non
si tratta affatto di un problema economico: Virginia è una parrucchiera
abbastanza affermata, è stimata dalle sue clienti e, in via teorica, potrebbe
far crescere il bambino senza problemi. Il dramma è di natura sociale e
culturale: in quel luogo e in quegli anni, per una donna nubile, una gravidanza
è uno dei più grandi scandali che possano accadere, che porterebbe
all'immediata emarginazione dalla comunità. Il che per Virginia, oltre alle
conseguenze psicologiche in termini di vita quotidiana, finirebbe poi anche per
avere gravi ripercussioni sotto il profilo dell'autonomia economica: molto
difficilmente infatti le sue clienti continuerebbero a servirsi da lei, una
volta che fosse ufficializzata la sua condizione di madre single.
E'
anche questa la ragione per cui, durante e dopo la gravidanza, Virginia decide
di abbandonarsi totalmente alla volontà di Angelo che, dopo aver reagito con la
consueta violenza verbale alla notizia della gravidanza, la costringe a vivere
di nascosto la parte finale di essa e, subito dopo il parto, con la
collaborazione del suo factotum Nunzio, le fa vivere il dolore più
atroce a cui una madre possa essere sottoposta. A distanza di anni, Virginia
continuerà a rivivere con dolore la scena:
Rivide Nunzio che, senza nemmeno averlo lavato,
avvolgeva il bambino in una copertina. Lei che, con il poco fiato che le
restava, chiedeva di Angelo, chiedeva di poter prendere il piccolo in braccio,
di poterlo almeno accarezzare. Nunzio che rispondeva: -Scordatelo-, e se ne
andava portandosi via il bambino. Poi era mezzo svenuta per via di tutto il
sangue perso e per la disperazione. (ibid. 112)
Per
alcuni anni Angelo si prenderà cura del piccolo Severino, senza rivelare
nemmeno alle sorelle la sua provenienza. Naturalmente nessuno si azzarderà mai
a chiederglielo, né all'interno della famiglia né al di fuori di essa, perché
in quel contesto equivarrebbe a una grave mancanza di rispetto, dalle
conseguenze potenzialmente imprevedibili. Poi il ragazzo sarà inviato in
collegio a Napoli. Dopo averlo partorito, Virginia non potrà più vederlo. Le leggi
dello Stato, che pure garantirebbero il suo diritto di allevare il figlio,
possono ben poco contro una mentalità feudale che le impedisce di andare contro
la volontà del potente del luogo, nonché contro un'arretratezza culturale che
determinerebbe la sua morte sociale, qualora si venisse a sapere che è
diventata una madre single. Peraltro, per una spietata ironia della
sorte, una forma di morte sociale per Virginia ci sarà lo stesso: nella seconda
parte della sua vita la donna sprofonderà sempre più nella depressione,
nell'alcolismo, nell'isolamento affettivo e in un disagio psichico sempre più
buio, unitamente a una grave miseria economica, frutto dell'inevitabile
fallimento della sua attività di parrucchiera.
La
protagonista del romanzo è, come detto, la giovane Archina Solimene, figlia di
Nunzio, collaboratore e factotum di Angelo Santo. A partire dalla tarda
infanzia la giovane sprofonda in un disagio psichico sempre più grave, che si
manifesta sia in un comportamento particolarmente sfrenato sia in numerose
fobie di cui spesso parla ad amici e familiari: è terrorizzata dal buio e
persino dal silenzio e racconta di avere l'impressione che un “monaciello” (uno
spiritello abbastanza diffuso nella cultura popolare meridionale, soprattutto
napoletana) la tormenti toccandola e arrampicandosi sul suo corpo.
E'
abbastanza evidente che nella vita di Archina stia accadendo qualcosa di grave,
che le provoca una sofferenza interiore sempre più profonda. I suoi congiunti
però non sono minimamente sfiorati dall'idea di parlarle con calma per cercare
di capire cosa le stia succedendo. Non appena il comportamento della giovane
inizia ad essere considerato eccessivamente fuori dall'ordinario, la sua
vicenda è immediatamente catalogata come un caso di tarantismo: non v'è dubbio,
ad avviso della sua famiglia e dell'intera comunità del paese, che Archina sia
stata morsa dal ragno e che, per risolvere il suo problema, sia necessario
organizzare una lunga sessione di danza rituale.
La
descrizione della procedura è particolarmente dettagliata. Essa si protrae per
diversi giorni. Ogni mattina un gruppo di musicisti giunge nell'umile casa
della famiglia Solimene e inizia a suonare mentre la ragazza, a più riprese, si
lancia in una danza sempre più convulsa, fino allo sfinimento:
Archina
adesso tiene le gambe un poco divaricate, supina, il corpo si muove a onde e
sussulti, sbatte a terra le braccia secche, che sembrano zampe di ragno,
comincia a girare la testa, a rotearla come se volesse consumare il lenzuolo a
forza di strusciarlo tutto. Inarca la schiena, striscia sui reni, poi punta i
talloni, solleva il ventre e inarca tutto il corpo verso l'alto. In questa
posizione per un attimo si irrigidisce nel mezzo di quell'altare domestico.
Donna Aurelia canta. (ibid. 86)
Il
corpo di Archina batte a terra e sbatte, e da secco e rigido com'era prima che
la musica allagasse la stanza, ora sembra flessuoso e caldo mentre s'inarca
morbido, umido, sfigurato, sfibrato. Anche i presenti si sentono parte di
quella trasformazione. La cucina è satura di cose che non si possono dire con
le parole. (ibid. 90)
Il
tutto si svolge in un clima di grande superstizione religiosa: si ritiene
infatti che la guarigione dei tarantati sia possibile solo grazie
all'intercessione di San Paolo che, stando a quanto gli Atti degli apostoli raccontano,
sarebbe sopravvissuto egli stesso al morso di un serpente velenoso. L'esorcismo
avviene con grande partecipazione popolare, si può dire che per alcuni giorni
la vita della comunità ruoti proprio intorno a tale evento, a cui molti
accorrono ad assistere, inclusi alcuni forestieri che si trovano
temporaneamente in paese e non si fanno sfuggire l'occasione di vedere da
vicino un rito tanto famoso: «a un certo punto sono entrati due forestieri
con una macchina fotografica e si sono messi fermi e zitti a guardare e
fotografare, da un lato, per non dare fastidio. Uno dei due ha detto una strana
frase all'altro con un'aria di grande soddisfazione: -Fa l'arco isterico-, e
l'altro ha fatto sì con la testa, come per dire: -E' vero!-» (ibid. 84).
Il
lungo e dettagliato racconto dell'autrice fa trasparire molte delle valenze di
tale fenomeno. In una società in cui la fisicità femminile è fortemente
repressa e considerata peccaminosa, una danza così frenetica è una forma
ritualizzata attraverso cui le donne possono dare libero sfogo alla propria
sensualità, un'occasione irripetibile per farlo senza che nessuna censura
morale si abbatta su di loro.
In
un contesto caratterizzato da una forte marginalizzazione delle donne, che
trascorrono la propria vita relegate in una dimensione domestica, a prendersi
cura dei propri mariti e dei figli, i riti del tarantismo offrono loro anche
un'occasione unica per essere al centro dell'attenzione collettiva per ragioni
non negative, non perché abbiano dato scandalo ma in quanto persone che hanno
un problema e vanno aiutate a risolverlo.
A
giudicare dalla grande attenzione con cui molti uomini presenti al rito
osservano i movimenti frenetici della ragazza, che spesso le lasciano scoperte
molte parti del corpo, si direbbe anche che al notevole afflusso di pubblico
maschile non sia estraneo il desiderio di cogliere un'occasione per guardare
una giovane donna che danza in déshabillé. La cosa era all'epoca
piuttosto rara, alla luce delle rigide norme che regolavano l'abbigliamento
femminile, soprattutto nei villaggi rurali del Sud.
Anche
alla luce dei lunghi studi sul tarantismo compiuti dall'antropologia culturale
contemporanea, c'è un aspetto del fenomeno ancora più importante. Nelle
comunità rurali dell'Italia meridionale, fino a pochi decenni fa, la vita era
basata sulla centralità dell'uomo, della sua volontà e dei suoi desideri. I
problemi che potevano affliggere le donne, a partire da quelli psicologici
(piuttosto frequenti, visto il tipo di vita che erano costrette a fare) non
erano considerati rilevanti, anzi al contrario un comportamento fuori dagli
schemi poteva esporle al rischio di censure di tipo morale. I riti del
tarantismo erano dunque anche e soprattutto una maniera socialmente accettata
per mettere il proprio disagio psichico al centro dell'attenzione collettiva e,
anche grazie allo sfogo che una danza così lunga e faticosa determinava, per
liberarsi temporaneamente dalle proprie angosce, riportandone dunque anche un certo
beneficio. In genere il benessere non era molto duraturo, come dimostrato dal
fatto che le recidive (i cosiddetti “rimorsi”) erano piuttosto frequenti.
Una
pietra miliare degli studi antropologici sul tarantismo è rappresentata dalle
ricerche sul campo condotte da Ernesto De Martino negli anni Cinquanta, che
hanno portato alla stesura del celebre saggio La terra del rimorso. La
convinzione a cui lo studioso napoletano perviene al termine della sua indagine è che
in
occasione di determinati momenti critici dell’esistenza – come la fatica del
raccolto, la crisi della pubertà, la morte di qualche persona cara, un amore
infelice o un matrimonio sfortunato, la condizione di dipendenza della donna, i
vari conflitti familiari, la miseria, la fame, le più svariate malattie
organiche – insorgeva «la crisi dell’avvelenato», utilizzando il modello del
latrodectismo simbolicamente riplasmato come morso di taranta che scatena una
crisi da controllare ritualmente mediante l’esorcismo della musica, della danza
e dei colori. […] Ciò che costituiva il tarantismo era l’autonomia del suo
simbolo che dava orizzonte a conflitti psichici irrisolti e latenti
nell’inconscio. Molto più spesso la crisi cercava per così dire l’occasione
approfittando magari di una situazione di «morso possibile» (raccolto dei
frutti estivi, dormire nel campo etc.) o addirittura non salvava neanche questa
parvenza di credibilità tanto era il suo bisogno prepotente di scatenarsi. Il
dispositivo di evocazione e di deflusso, cioè l’esorcismo in azione, poteva non
funzionare: ma il dispositivo come tale non era una «malattia», ma uno
strumento di reintegrazione, un ordine tradizionalizzato di possibili efficacie
simboliche, che disciplinava la crisi, le assegnava luoghi, tempi e modi
determinati, e si sforzava di ricondurla verso un nuovo equilibrio. (de martino 1961, 71-73).
Quale
sia stato il dramma psicologico che ha portato Archina a dare sfogo alle sue
angosce attraverso tale rito lo apprendiamo dalla sua stessa voce quando, dopo
diciassette anni di lontananza, torna a Mangiamuso e, al capezzale del padre
morente, in un lungo monologo rievoca i fatti in maniera dettagliata. Quando
lei aveva solo dodici anni, in parte per spirito di sottomissione verso il suo
padrone Angelo Santo e in parte per evidente perversione psichica, il padre
Nunzio aveva iniziato a portarla spesso a casa di Angelo, dove ambedue la
sottoponevano a ripetute molestie sessuali. Al fine di soddisfare maggiormente
gli insani desideri dei due uomini, Archina era costretta ad indossare il
vestito bianco della sua prima comunione che, a quanto pare, essi trovavano
particolarmente eccitante. L'unico compaesano che si era accorto di quanto
accadeva in quella casa, tale Narduccio Greco, legato ad Archina da un'amicizia
tenera e innocente, era stato addirittura ucciso per evitare che parlasse. Il
suo omicidio rimarrà per sempre impunito.
Amare
la propria terra non significa ovviamente rappresentarla in termini
inverosimilmente idilliaci. Per un'artista come Teresa De Sio, che ha trascorso
buona parte della sua vita professionale cantando la bellezza e il fascino del
Sud, un atto di amore per la propria terra può anche consistere nel
rappresentarne le brutture passate, anche per evidenziare i grandi progressi
registrati negli ultimi decenni, o far venire alla luce i suoi problemi
presenti, come sprone affinché ci si impegni a fondo per un ulteriore
progresso. Metti il diavolo a ballare è una descrizione realistica ed
efficace delle dure condizioni di vita in cui, fino a non molto tempo fa, le
donne erano costrette a trascorrere la propria esistenza nelle zone rurali di
una delle più grandi regioni dell'Italia meridionale. L'attentissima, come
vedremo, sarà un atto di accusa non meno sferzante verso la grande omofobia che
ancora ai nostri giorni permea la mentalità collettiva del Sud Italia, nello
specifico di una cittadina piuttosto grande della provincia di Napoli.
In
ambedue i romanzi, alla descrizione della sofferenza del protagonista fa
seguito un gesto simbolico di rottura radicale con il proprio passato, che è la
premessa del suo riscatto. Nel caso di Archina la rottura è simboleggiata
dall'uccisione del proprio padre-carnefice, che in realtà è però solo
l'accelerazione dei tempi di una morte che sarebbe comunque stata imminente. La
ragazza infatti torna a Mangiamuso dopo molti anni proprio quando viene a
sapere che il genitore sta per morire. L'intento non è ovviamente quello di
dargli calore negli ultimi momenti della sua vita, bensì di dirgli finalmente
(a lui che ormai non può più sentirla) cosa pensa di lui, e di anticipare la
sua morte con un gesto che, dato il contesto, sarebbe eccessivo definire
omicida. Mentre si appresta a compierlo, idealmente chiama a raccolta intorno a
s é tutte le persone che in vita hanno sofferto a causa di Nunzio: Narduccio
Greco che egli ha ucciso, la zia Addolorata che si è suicidata perché egli
l'aveva ripetutamente stuprata, nonch é la madre, la cui vita è stata rovinata
dalla brutalit à dell'uomo: «Avvicinatevi, Narduccio, mamma, Addolorata,
basta un piccolo gesto, vedete ? Si alza quel pulsantino e lo stantuffo si
ferma. Il tubo si stacca dal respiratore, un piccolo gesto insignificante, e la
tua musica finisce per sempre, padre» (de
sio 2009, 148).
Il
riscatto per Archina è rappresentato da Roma, citt à in cui si trasferisce a
vivere insieme a Severino, il ragazzo che ama e che altri non è che il figlio
di Virginia, tolto alla madre al momento della nascita. Due vittime che nella
capitale riescono a ricostruirsi una vita, a centinaia di chilometri di
distanza da quella terra in cui i loro drammi infantili si sono consumati. La
modernit à ovviamente ha molte facce, alcune delle quali difficili da accettare.
La scena finale è infatti ambientata nel 1973, in cui le strade della metropoli
sono sconvolte dagli scontri tra opposte fazioni politiche, e tra queste e le
forze dell'ordine. Proprio in uno di tali scontri i due giovani
involontariamente rimangono coinvolti. E' un aspetto della modernità piuttosto
amaro (“i giorni nostri irrompono, sparando”, sono le parole con cui l'autrice
chiude il romanzo), ma l'importante è essersi lasciati alle spalle la barbarie
medievale di Mangiamuso. La Roma degli anni Settanta saprà certamente offrire
loro anche il suo volto migliore, unitamente a quella felicità che fino a quel
momento non hanno potuto avere.
L'Attentissima è la storia di Domenico
Picariello, che negli anni Novanta cresce come ragazzo gay in una terra, come
l'hinterland napoletano, in cui la virilità e l'eterosessualità sono
considerate alla stregua di veri doveri sociali per una persona di sesso
maschile, nonché fondamentali per l'onore stesso della sua famiglia. Essere gay
ed effeminato, soprattutto agli occhi di quanti appartengono ai ceti
socialmente e culturalmente meno elevati di Somma Vesuviana, è ridicolo ed
intollerabile, espone lui al rischio di derisione e persino di aggressione
fisica, e la sua famiglia tutta allo scherno.
Se
Domenico fosse cresciuto in una famiglia di maggior levatura culturale e in un
quartiere della Somma-bene, probabilmente l'atmosfera sarebbe stata per lui
meno pesante. Egli è però figlio di un carabiniere di idee conservatrici e di
una casalinga, nella sua casa hanno sempre circolato pochi libri e la sua
passione per la lettura è addirittura vista come una stranezza della quale
farebbe bene a liberarsi, più che come una cosa di cui andare orgogliosi.
Inoltre, per ragioni di budget familiare, vive in uno dei quartieri più
problematici della città, in cui i sentimenti “machisti” sono ancora molto
forti. Tutto ciò rende la sua infanzia e adolescenza un vero incubo.
All'interno
della famiglia è soprattutto il rapporto con il padre a essere talmente
problematico da trasformarsi talora in un'autentica tortura psicologica. Quando
nella vita di Domenico appare la seconda grande passione, ossia il violoncello,
l'uomo reagisce molto male. La musica è cosa da ragazze, un vero uomo dovrebbe
occuparsi di altro. In verità, in casa Picariello la sola idea di omosessualità
è un tabù talmente grande che, nelle periodiche sfuriate del padre, il concetto
non viene mai menzionato, quasi a volerlo esorcizzare. Esso rimane a lungo un
“non detto”, ma affiora abbastanza chiaramente da quanto il padre dice. Un vero
uomo dovrebbe passare le sue giornate in ben altro modo:
-Sta
cazzo e musica classica!- urlava. -Tu che sei Claudio Baglioni? No. Sei
Facchinetti? No. E allora addò t'avvii? Tanto chi si fa il culo qua sono solo
io. Solo a te e a tua madre vi poteva venire in testa questo fatto del
conservatorio di San Pietro a Majella! […] Che fai? Vai a giocare a pallone
pure tu con gli amici tuoi, no? Nooo, legge! Legge lo scienziato!- […] Non
ricevendo dal figlio alcuna reazione, Attilio aveva allargato le braccia come a
dire: -Vabbè, non c'è niente da fare, questo è proprio un deficiente-. ( de sio 2015, 69-70).
Il rapporto con la madre non è
connotato da altrettanta violenza verbale, ma è comunque fonte di profonda
sofferenza. Domenico rinvia sempre più nel tempo il momento del suo coming
out, consapevole che, il giorno in cui parlasse esplicitamente in famiglia
della sua omosessualità, neanche nella madre troverebbe alcuna comprensione.
Quelli di Domenico non sono affatto timori infondati. Nella seconda parte della
vicenda, quando Domenico decide di lasciare la sua casa e la sua terra per
assecondare fino in fondo la sua natura in un'altra città, la donna deciderà di
interrompere tutti i rapporti con lui. Il figlio proverà a telefonarle più
volte, ma lei chiuderà sempre subito la comunicazione. Un
riavvicinamento con la madre ci sarà solo molti anni dopo, in occasione di un
gravissimo problema di salute del ragazzo. Neanche in quel caso però il padre
vorrà rivederlo, nonostante l'imminente pericolo di vita.
Il pesante clima omofobo di Somma Vesuviana
rende anche impensabile che due ragazzi dello stesso sesso che si vogliono bene
possano vivere con serenità la propria relazione, anzi in qualche caso rende
difficile anche il semplice fatto di far trasparire i propri sentimenti.
Domenico è innamorato di Antonio, un suo compagno di scuola che poi
gradualmente, durante l'adolescenza, diventa uno dei suoi amici più cari. Per
anni non troverà il coraggio di dichiarare i suoi sentimenti, convinto com'è
che ciò distruggerebbe all'istante la loro amicizia. Antonio gli è sempre
apparso infatti come un ragazzo molto virile, in qualche caso si è persino
fatto sfuggire delle espressioni a cui Domenico ha attribuito una sfumatura
omofoba. La loro amicizia termina quando Antonio decide di trasferirsi a Roma
per arruolarsi nei carabinieri. Da quel momento non si vedranno più per anni.
Quando, molto tempo dopo, si incontreranno di
nuovo e inizieranno a parlare del passato, Antonio rivelerà tutta la verità
sulla loro amicizia adolescenziale. In realtà, contrariamente a ciò che
Domenico aveva sempre pensato, l'amore era del tutto reciproco, ma in quel
luogo e in quel momento non poteva esserci nulla altro che la semplice
amicizia. Domenico, dice Antonio, era l'unica persona «che mi capiva, e che
mille volte avrei voluto accarezzare e baciare. Ma non si poteva … Non a Somma
Vesuviana, non nei corridoi della scuola del Gallo» (ibid. 169).
Il momento più critico dell'adolescenza di
Domenico è una pesante aggressione che subisce in strada, mentre sta tornando a
casa da una lezione di musica, portando con sé il suo pesante violoncello.
Alcuni ragazzi del quartiere, che già più volte lo hanno preso in giro e
molestato verbalmente, stavolta lo picchiano con violenza. Ai loro occhi il suo
abbigliamento e le sue movenze effeminate, nonché un hobby così poco virile,
sono meritevoli di una “lezione”. Per diversi minuti il ragazzo è vittima di
calci, pugni, sputi e insulti omofobi, che proseguono anche quando lui è ormai
a terra sanguinante. Poi i bulli se la prendono anche con il suo strumento
musicale che evidentemente, dal loro punto di vista, è parte integrante della
diversità di Domenico. I pochi passanti che si accorgono di quanto sta
accadendo non sembrano interessati ad intervenire o avvertire le forze
dell'ordine.
Proprio mentre gli aggressori si accaniscono
contro Domenico che è a terra indifeso, giunge il padre del ragazzo. Osserva
con attenzione la scena, comprende quanto sta accadendo e riconosce in suo
figlio la persona che, con indosso una pelliccetta piuttosto femminile, sta
subendo il pestaggio. Avrebbe doppiamente il dovere di intervenire, come padre
e anche come carabiniere che sta assistendo a un reato piuttosto grave. La
reazione dell'uomo è però sbalorditiva:
Attilio era rimasto fermo sull'altro lato della
strada. Aveva preso una sigaretta dal pacchetto, l'aveva accesa, aveva
aspirato, e infine aveva gettato il cerino ancora fumante a terra in direzione
del gruppetto. […] Suo padre era lì, immobile, indifferente. Aspirava il fumo
senza fare una piega, come se quello che era appena successo sotto i suoi occhi
non lo riguardasse affatto. Poi, con una calma che a Domenico era apparsa
ostentata, aveva voltato loro le spalle e si era incamminato in direzione del
quartiere Gallo. (ibid. 160)
Evidentemente, dal punto di vista di Attilio,
la vergogna non consiste affatto nel vivere in una città in cui si ritiene
accettabile picchiare un ragazzo gay, bensì proprio nell'avere un omosessuale
nella propria famiglia. In quel momento Domenico prende la decisione definitiva
di lasciare Somma Vesuviana per sempre.
Molte ricerche compiute negli ultimi anni
mostrano con chiarezza come, ad inizio XXI secolo, nell'Italia meridionale
l'omofobia sia ancora una piaga di notevole gravità. Di particolare interesse è
soprattutto il rapporto La popolazione omosessuale nella società italiana, pubblicato
dall'ISTAT nel 2012 e relativo a un'indagine effettuata nell'anno precedente.
Nel testo si legge:
Essere omosessuale è più difficile per quanti
vivono nelle regioni meridionali del Paese, dove in generale emerge una
maggiore difficoltà ad accettare e ritenere giustificabili le relazioni
omosessuali, così come le loro manifestazioni, e dove sono anche più diffusi i
classici stereotipi sull’argomento. Al contrario, è soprattutto nelle regioni
del Centro Italia che il clima nei confronti degli omosessuali sembra più
positivo e improntato ad una maggiore apertura, sia perch é si è più disposti ad
accettare l’omosessualità nelle sue esternazioni affettive, sia perché si è più
aperti verso l’eventualità che una coppia omosessuale possa avere per legge gli
stessi diritti di una coppia sposata. Per esempio, circa il 67% dei rispondenti
residenti nel Centro Italia ritiene molto o abbastanza accettabile una
relazione affettiva e sessuale omosessuale, valore che scende a circa il 49%
tra i residenti del Mezzogiorno.1
Analizzando le varie tabelle che i ricercatori
dell'ISTAT accludono al testo, troviamo molti dati che confermano questo
allarmante quadro generale. Il 52,5% dei meridionali intervistati dichiara di
ritenere poco o per niente accettabile che un omosessuale sia insegnante di
scuola primaria dei propri figli, percentuale che scende al 35,8 nel resto
d'Italia. Il 30,5% dei meridionali considera poco o per niente accettabile
persino l'avere un omosessuale come semplice amico; la percentuale crolla al
18,8 nel resto del paese.
Quando si passa sul terreno delle
discriminazioni, fortunatamente le percentuali sull'omofobia sono meno
allarmanti, ma comunque rimane una notevole frattura tra le due parti del
paese. Il 6,2% degli italiani del centro e del nord ritengono accettabile il
fatto che un datore di lavoro possa rifiutarsi di assumere un candidato con le
qualifiche richieste solo perch é omosessuale, percentuale che sale al 10,7 nel
Mezzogiorno.
Di grande interesse è anche la ricerca compiuta
nel 2014 dall'Osservatorio italiano sui diritti Vox in collaborazione con le
Università di Milano, Roma-La Sapienza e Bari. Nell'arco di otto mesi è stato
effettuato un monitoraggio metodico dei messaggi pubblicati sul social network
Twitter. Si è calcolato che, di circa 1.800.000 tweet esaminati, ben
110.774 avevano un contenuto omofobo. Di questi ultimi si è cercato di
stabilire la provenienza geografica, cosa che è stata possibile solo in 8.501
casi. I risultati della ricerca, come ovvio, sono fortemente condizionati sia
dal fatto che in più del 90% dei casi non si è riusciti a risalire alla regione
di provenienza del messaggio, sia anche dalla diseguale diffusione di Twitter
nelle diverse zone del paese. L'utilizzo di Internet nelle regioni
settentrionali è tradizionalmente molto più ampio rispetto al Meridione.2 Dunque in questo caso la frattura
Nord-Sud è molto meno marcata rispetto alla ricerca Istat. E' di grande
interesse però il fatto che la Campania sia (dopo la Lombardia) la zona del
paese con maggiore concentrazione di messaggi omofobi.3
Anche nell'Attentissima ci sono un
momento di rottura simbolica con il proprio passato e una fase di riscatto,
come nel primo romanzo. Nella vicenda di Domenico la discontinuità con il
passato ha un carattere molto radicale, e consiste nella decisione, difficile
ma convinta, di iniziare un duro percorso di transizione che lo porterà a
diventare Karmen, una donna molto femminile e seducente, guardando la quale
nessuno sospetterebbe mai il suo percorso di vita. Anche nella vicenda di
Domenico, come in quella di Archina, il gesto simbolico di rottura con la
propria esistenza passata avviene in un ospedale, che in questo caso è quello
di Trieste, in cui una équipe di medici lo sottopone all'intervento
chirurgico conclusivo, che fa nascere Karmen in maniera definitiva e
irreversibile.
Anche per Karmen, come per Archina, il riscatto
avviene a Roma e, nel suo caso, si manifesta in due versanti molto diversi. Da
un lato c'è la soddisfazione professionale. Contrariamente a quanto il padre
aveva pronosticato, i lunghi e faticosi studi al conservatorio non sono stati
inutili: nella capitale Karmen è diventata infatti una musicista affermata e
stimata, con un lavoro stabile che la appaga profondamente.
In quanto persona transgender, per
Karmen è però ancora più importante il fatto di essere riuscita a
portare a termine il percorso di transizione, diventando una donna molto
femminile e seducente. La vita le ha fatto attraversare esperienze molto dure,
ma le ha anche riservato l'emozione di essere artefice di se stessa, di
costruire fisicamente e psicologicamente la persona che voleva diventare. La
consapevolezza di ciò le fa provare un orgoglio che esprime pienamente in una
lettera che scrive alla madre in una domenica di solitudine, e che poi non le
invierà:
io ero felice, mamma. Stavo plasmando la mia
esistenza terrena con le mie mani. Ho fatto di me ciò che ho voluto. Pochissimi
riescono a fare di sé quello che vogliono. In genere, facciamo di noi ciò che
vogliono gli altri.
Io no. Contro tutto e tutti. Contro di te,
mamma. Perch é per me tu eri l'immagine della Donna assoluta e io ero per te il
Maschio assoluto. Contro la fragilità di tuo marito. Un uomo debole, che si
faceva forte dentro la divisa. E' ancora così che si comporta con te ? Bastava
un nonnulla, una parola storta, e la cena andava a puttane. Soprattutto negli
ultimi tempi. Se quella parola ero io a dirla, il tuo ometto. E il Maschio mi
pesava sulle spalle come una scimmia morta. […] Ora non sono più un sogno. Ora
sono ciò che ho voluto. (ibid. 109. Il corsivo è nel testo originale)
All'autrice non interessa costruire figure
paradigmatiche, quanto denunciare dei gravi problemi sociali e culturali che
affliggevano o affliggono il Sud e rappresentare delle storie di grande
riscatto. Non è esemplare la figura di Archina e non lo è nemmeno quella di
Karmen che, dopo tutte le umiliazioni subite, ritiene fondamentale l'avere
prove continue del fatto di essere finalmente diventata una donna piacente e,
per averle, vive la sua sessualità in maniera a dir poco disinibita. Con una
certa frequenza, ama provocare degli uomini casualmente incontrati in locali
pubblici e fare con loro sesso occasionale, spesso in poco romantici bagni
pubblici, prima di separarsi per non rivedersi mai più. Uomini verso i quali
non prova assolutamente nulla, se non forse un lieve e malcelato disprezzo. Non
è appagante su un piano affettivo ma è essenziale da un punto di vista
psicologico, per avere la conferma che la transizione di Domenico verso Karmen
ha avuto un risultato pienamente soddisfacente.
Abbiamo definito i due romanzi di Teresa De Sio
come un grande atto di amore verso il Sud. Dobbiamo registrare che, in ambedue
i testi, i protagonisti riescono a riscattare la propria sofferenza passata e
realizzare pienamente se stessi solo abbandonando la propria terra e sfruttando
le opportunità offerte da Roma e dal suo clima culturale molto progressista.
Sembra dunque che, per una persona vittima dell'arretratezza sociale e
culturale (passata o presente) dell'Italia meridionale, la fuga sia l'unica via
d'uscita possibile. Ci sembra però molto significativo che la scrittrice abbia
esordito con un romanzo di denuncia di un grave problema sociale (l'oppressione
delle donne) del Salento di sessanta anni fa, oggi in larga parte superato, e
poi abbia proseguito il suo lavoro narrativo con la denuncia di una grave piaga
della Campania di oggi quale l'omofobia. Proprio gli enormi progressi fatti
registrare nelle campagne pugliesi negli ultimi decenni in termini di
emancipazione femminile ci danno la certezza che, se la gente del Sud lavora
con impegno e determinazione, sarà certamente possibile affrontare e risolvere
anche i gravi problemi che ancora affliggono il Mezzogiorno. L'abbandono della
propria terra è dunque solo una necessità contingente. Ci pare dunque che dalle
pagine dei libri di Teresa De Sio emerga, nonostante tutto, un grande messaggio
di amore e ottimismo verso la propria terra. L'amore e l'ottimismo che troviamo
nelle parole di Tutto cambia, splendida versione italiana del capolavoro
di Mercedes Sosa, che la cantante napoletana ha curato nel 2011:
Cambia
ciò che è superficiale / Cambia ciò che è più profondo / Cambia il modo di
pensare / Cambia tutto quanto il mondo / […] Ma non cambia mai il mio amore /
Anche se lontano sto / Né il ricordo né il dolore / Della terra e della gente /
Ciò che è già cambiato ieri / Cambierà pure domani / E se tutto il mondo cambia /
Che io cambi non è strano / Cambia, il mondo cambia... 4
Bibliografia
Monografie
de martino
1961: Ernesto de
martino, La terra del rimorso (1961), Milano, Il Saggiatore, 2013;
de sio
2009: Teresa de sio, Metti il diavolo a ballare, Torino,
Einaudi, 2009;
de sio
2015: Teresa de sio, L'attentissima, Torino,
Einaudi, 2015;
Pagine
web
<http://www.istat.it/it/files/2012/05/report-omofobia_6giugno.pdf>,
sito dell'Istituto nazionale di statistica ISTAT (07.12.2015);
<http://www.istat.it/it/archivio/143073>
(07.12.2015);
<http://www.voxdiritti.it/wp-content/uploads//2015/01/mappa_omofobia.jpg>,
sito dell'Osservatorio italiano sui diritti Vox (07.12.2015).
2 Il
dato è attestato dallo stesso Istat, nel rapporto Cittadini e nuove
tecnologie 2014, nel quale leggiamo che il 66,6% delle famiglie del Nord
dispone di una connessione Internet a casa, contro il 58,3 delle famiglie del
Sud: <http://www.istat.it/it/archivio/143073> (07.12.2015)
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