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Sud e ruoli di genere nei romanzi di Teresa De Sio, tra sottosviluppo e desiderio di riscatto  

Gianluca Schiavo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 3 Marzo 2016, n. 799
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Area Libri

   Nell'attività artistica di Teresa De Sio (Napoli, 1955) la letteratura è una passione relativamente recente. Dopo aver esordito come cantante alla fine degli anni Settanta nel gruppo Musicanova, fondato da Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò nel 1976 e che per anni si è dedicato con successo alla musica popolare partenopea, negli anni successivi De Sio ha intrapreso una carriera di successo quale solista e cantautrice, che prosegue da quasi quaranta anni. L'artista ha raggiunto la sua massima popolarità all'inizio degli anni Ottanta, in particolar modo con gli album Teresa De Sio (1982) e Tre (1983), che hanno complessivamente venduto più di un milione di copie e contenevano alcuni tra suoi maggiori successi, quali Voglia e turnà, Aumm aumm, Pianoforte e voce e Ariò, tutti in dialetto napoletano.

   A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta ha iniziato un lavoro di ricerca musicale che l'ha portata dapprima a dedicarsi alla canzone napoletana del periodo compreso tra fine XIX e inizio XX secolo e poi, nel decennio successivo, alla musica popolare pugliese.  Di particolare rilievo è lo studio delle tarantelle, un gruppo di danze diffuse in tutto il Sud Italia, la cui esistenza è testimoniata a partire dal Seicento e che, nella loro versione pugliese, sin dalle origini sono collegate al fenomeno culturale del “tarantismo”, una sorta di terapia basata su danze e suoni che, nella cultura popolare salentina, sin dal tardo Medioevo si riteneva potesse curare dei problemi di salute psicofisica (soprattutto in soggetti di sesso femminile) indotti dal morso di un ragno denominato “taranta”. Il risultato più significativo di questa fase è rappresentato dallo spettacolo teatrale Craj, scritto con Giovanni Lindo Ferretti e a cui hanno collaborato alcuni tra i principali interpreti della musica popolare pugliese, quali i Cantori di Carpino, Matteo Salvatore e Uccio Aulisi. Nel 2005 Craj è diventato anche un documentario di successo, con la direzione del regista napoletano Davide Marengo.

   Negli ultimi anni le opere di De Sio sono state particolarmente influenzate dalla musica del continente americano, da quella giamaicana (Riddim a Sud, 2008), a quella latinoamericana: molto originale e di successo è stata la sua reinterpretazione del capolavoro di Mercedes Sosa Todo cambia, contenuta nell'album Tutto cambia del 2011.

   Gli ultimi anni hanno anche fatto segnare un intenso impegno letterario, che ha portato alla pubblicazione di due romanzi per i tipi di Einaudi, Metti il diavolo a ballare nel 2009 e L'attentissima nel 2015. L'impegno narrativo ha anche prodotto un'interessante contaminazione tra letteratura e musica. La pubblicazione dei due romanzi è stata infatti seguita, già nei mesi successivi, dall'allestimento di omonimi spettacoli teatrali strutturati come dei reading musicali dei libri. Una delle musiciste che hanno collaborato al reading teatrale del primo romanzo è la cantante e violinista transgender Erma Castriota, in arte H.E.R., la cui vicenda di vita, pochi anni dopo, ispirerà la storia dell' Attentissima.

 

   Metti il diavolo a ballare è il frutto letterario del grande interesse che da molto tempo De Sio coltiva per la  cultura popolare pugliese. Il romanzo, ambientato in un piccolo paese salentino (Mangiamuso) degli anni Cinquanta, ruota intorno alle vicende di Archina Solimene, bambina e poi adolescente che si trova a crescere in un ambiente caratterizzato da sottosviluppo, incultura, superstizione e violenza che, pur coinvolgendo naturalmente anche gli uomini, rende però insostenibilmente dura soprattutto la vita delle donne, il cui asservimento agli uomini è un aspetto molto importante della mentalità di quel territorio. Il crescente disagio psichico della giovane Archina porterà la sua famiglia a cercare di risolvere il problema proprio sottoponendola ai rituali coreutico-musicali del tarantismo.

   Nelle pagine del romanzo Archina non è certamente l'unico personaggio le cui vicende portino il lettore a contatto con la durezza della condizione femminile in quella (come in  molte altre) zone del Sud Italia negli anni del dopoguerra. Molto significativa ed estremamente drammatica è la vicenda esistenziale delle sorelle Candelora e Fatima Santo, nate in una famiglia piuttosto benestante di proprietari terrieri del luogo. All'interno di essa i rapporti sono improntati a una totale loro sottomissione dapprima nei confronti del padre e poi, dopo la sua morte, del fratello Angelo.

   Di norma a tale pesante autorità ci si poteva sottrarre solo con il matrimonio, che peraltro in genere non risolveva di certo il problema, facendo solo passare il ruolo di capo della famiglia dal padre o fratello al marito. Anche le sorelle Santo, come le loro coetanee, crescono con il forte desiderio di trovare un uomo che le faccia sentire felici e amate. Nel loro caso però il sogno di sposarsi e creare una famiglia rimarrà sempre tale. I pretendenti non sono molti, non essendo le ragazze di gradevole aspetto esteriore, e quei pochi che nel corso degli anni decideranno di chiederne la mano sono di condizione sociale ed economica molto inferiore a quella della famiglia Santo. Un eventuale matrimonio determinerebbe dunque una frammentazione del patrimonio familiare senza che, in termini materiali, ne valga minimamente la pena. Pertanto tutte le proposte di matrimonio, che le ragazze accetterebbero con gioia, si infrangono contro il veto insormontabile degli uomini di casa Santo, senza il cui consenso non è pensabile che le sorelle si sposino:

 

 Fossero state maschi, anche se sconcicati e storti, stupidi come una capra e con il carattere di un babbuino, la ricchezza sarebbe stata sufficiente ad assicurare loro un'unione duratura con qualche giovane e feconda fanciulla. Per Fatima e Candelora invece la ricchezza era stata una vera palla al piede. Nessuno dei già pochissimi pretendenti venne mai considerato all'altezza della situazione. Angelo Santo vigilava sul patrimonio di famiglia. (de sio 2009, 35).

 

   Superati i trenta anni (a cui è suo malgrado giunta vergine, in un periodo in cui di norma le ragazze si sposavano durante l'adolescenza) Fatima si innamora di Totò, un giovane di bell'aspetto che ha iniziato a lavorare come bracciante per la famiglia Santo. Tra i due scoppia la passione (per la verità non priva di una certa sfumatura utilitaristica, dal punto di vista del ragazzo), cedendo alla quale un giorno i due fanno l'amore nei campi. La sorella Candelora lo viene a sapere e, consumata dall'invidia, ne mette prontamente al corrente il padre:

 

 Ci volle non più di un quarto d'ora perché tutta la vita di Fatima venisse bruciata e le ceneri sperse nel vento. Il signor padre, informato dell'accaduto nel corso di un breve quanto segreto colloquio con Candelora tenutosi nel suo studio, uscì dalla porta-finestra del pianterreno chiamando a gran voce suo figlio Angelo perché lo accompagnasse a fare la cosa che andava fatta.

Nessuno seppe mai quello che successe veramente tra padre, figlio e il giovane contadino. […] Fatto sta che da quella mattina, di Totò Leporano non si ebbero più notizie. (ibid. 38).

 

   Le due sorelle invecchieranno dunque sole, vittime dell'arretratezza sociale e dell'incultura che dominano nella loro terra e si trasformano in un sistematico fattore di oppressione delle donne. L'incultura fa del cosiddetto “onore femminile” una vera ossessione collettiva, l'arretratezza sociale fa sì che i maschi della famiglia abbiano pieno potere decisionale sulla vita affettiva delle loro congiunte, senza che l'opinione di queste ultime possa in alcun modo incidere. Nella Mangiamuso degli anni Cinquanta l'unica cosa che le donne possano fare è rassegnarsi, anche al fine di scongiurare guai peggiori: «[Fatima e Candelora] ormai lo sapevano che, fino a quando avrebbero voluto sentirsi la terra stabile sotto i piedi, avrebbero dovuto rassegnarsi a vedere la vita passare sempre sopra le loro teste» (ibid. 47).

      Drammaticamente emblematica è anche la storia di Virginia, una donna non più giovanissima e di umili origini che ha la sventura di imbattersi in Angelo Santo. Tra i due nasce ben presto una relazione che è subito caratterizzata da un'incredibile brutalità e da continue angherie perpetrate dall'uomo. Virginia è profondamente innamorata di lui, ma per Angelo lei è solo un mero strumento di periodica soddisfazione sessuale, peraltro mai accompagnata da gesti che possano far anche solo trasparire un briciolo di affetto o tenerezza. Sin dalla prima volta in cui fanno sesso, ciò è sempre vissuto da lui come la riscossione di qualcosa che gli è dovuto; Virginia appare dunque più come l'oggetto di un rapporto di proprietà che non come la partner di una relazione di tipo affettivo. La ragazza deve sempre essere disponibile a soddisfare i desideri sessuali di Angelo, diritto che gli deriva sia dall'essere il suo uomo sia dal fatto che egli è il potente del luogo, il che dal suo punto di vista significa anche poter disporre del corpo di alcune delle donne appartenenti alle fasce meno abbienti della comunità:

 

 Lo aveva fatto senza chiederle permesso prima, né scusa dopo. Come fanno i padroni con i loro sottoposti, i pastori con le pecore, i gatti con il baccalà, o quegli uomini assai ricchi che, sapendo di non essere stati dotati dalla natura di alcuna attrattiva, immaginano di non avere altra possibilità di prendere quella che vogliono se non esercitando una qualche forma di violenza. Così l'aveva presa Angelo Santo la prima volta, con la violenza. Subito dopo, poche parole secche: -Non ti fare venire in mente pensieri sbagliati, non ti avvicinare nemmeno a Terranera quando ci sono le mie sorelle. Tu non esisti-. […] Che motivo aveva un uomo ricco come lui di ricorrere alla forza per prendersi qualcosa che avrebbe potuto ottenere con una semplice richiesta? Dall'alto della sua esperienza aveva come percepito il fondo buio di quell'uomo. (ibid. 50).

 

   Virginia non può sognarsi minimamente di far parola con qualcuno della loro relazione: le differenze sociali tra loro sono talmente grandi da rendere impensabile non solo che l'uomo possa un giorno sposarla, ma anche il semplice fatto che la notizia possa diventare di dominio pubblico.

   Con il passare del tempo la brutalità psicologica e fisica della relazione con Angelo diventa sempre più per lei un fattore di profonda sofferenza. La situazione diventa ancor più pesante quando un giorno Virginia si rende conto di essere incinta. Per una donna single della Puglia dell'epoca il rimanere incinta è un evento a dir poco catastrofico, come ben sa il medico che la visita e la informa della gravidanza. L'uomo fa del suo meglio per comportarsi con distacco e non far trasparire i suoi pensieri, compila il referto e, con apparente freddezza, si appresta a congedare la donna, ma «nell'occhiata rapida con cui aveva accompagnato quel gesto, Virginia aveva colto lo sforzo del dottore di non far trapelare niente riguardo al futuro di infelicità che, dall'alto della propria esperienza di medico delle femmine, aveva vaticinato per lei» (ibid. 52).

   Non si tratta affatto di un problema economico: Virginia è una parrucchiera abbastanza affermata, è stimata dalle sue clienti e, in via teorica, potrebbe far crescere il bambino senza problemi. Il dramma è di natura sociale e culturale: in quel luogo e in quegli anni, per una donna nubile, una gravidanza è uno dei più grandi scandali che possano accadere, che porterebbe all'immediata emarginazione dalla comunità. Il che per Virginia, oltre alle conseguenze psicologiche in termini di vita quotidiana, finirebbe poi anche per avere gravi ripercussioni sotto il profilo dell'autonomia economica: molto difficilmente infatti le sue clienti continuerebbero a servirsi da lei, una volta che fosse ufficializzata la sua condizione di madre single.

   E' anche questa la ragione per cui, durante e dopo la gravidanza, Virginia decide di abbandonarsi totalmente alla volontà di Angelo che, dopo aver reagito con la consueta violenza verbale alla notizia della gravidanza, la costringe a vivere di nascosto la parte finale di essa e, subito dopo il parto, con la collaborazione del suo factotum Nunzio, le fa vivere il dolore più atroce a cui una madre possa essere sottoposta. A distanza di anni, Virginia continuerà a rivivere con dolore la scena:

 

 Rivide  Nunzio che, senza nemmeno averlo lavato, avvolgeva il bambino in una copertina. Lei che, con il poco fiato che le restava, chiedeva di Angelo, chiedeva di poter prendere il piccolo in braccio, di poterlo almeno accarezzare. Nunzio che rispondeva: -Scordatelo-, e se ne andava portandosi via il bambino. Poi era mezzo svenuta per via di tutto il sangue perso e per la disperazione. (ibid. 112)

 

   Per alcuni anni Angelo si prenderà cura del piccolo Severino, senza rivelare nemmeno alle sorelle la sua provenienza. Naturalmente nessuno si azzarderà mai a chiederglielo, né all'interno della famiglia né al di fuori di essa, perché in quel contesto equivarrebbe a una grave mancanza di rispetto, dalle conseguenze potenzialmente imprevedibili. Poi il ragazzo sarà inviato in collegio a Napoli. Dopo averlo partorito, Virginia non potrà più vederlo. Le leggi dello Stato, che pure garantirebbero il suo diritto di allevare il figlio, possono ben poco contro una mentalità feudale che le impedisce di andare contro la volontà del potente del luogo, nonché contro un'arretratezza culturale che determinerebbe la sua morte sociale, qualora si venisse a sapere che è diventata una madre single. Peraltro, per una spietata ironia della sorte, una forma di morte sociale per Virginia ci sarà lo stesso: nella seconda parte della sua vita la donna sprofonderà sempre più nella depressione, nell'alcolismo, nell'isolamento affettivo e in un disagio psichico sempre più buio, unitamente a una grave miseria economica, frutto dell'inevitabile fallimento della sua attività di parrucchiera.

   La protagonista del romanzo è, come detto, la giovane Archina Solimene, figlia di Nunzio, collaboratore e factotum di Angelo Santo. A partire dalla tarda infanzia la giovane sprofonda in un disagio psichico sempre più grave, che si manifesta sia in un comportamento particolarmente sfrenato sia in numerose fobie di cui spesso parla ad amici e familiari: è terrorizzata dal buio e persino dal silenzio e racconta di avere l'impressione che un “monaciello” (uno spiritello abbastanza diffuso nella cultura popolare meridionale, soprattutto napoletana) la tormenti toccandola e arrampicandosi sul suo corpo.

   E' abbastanza evidente che nella vita di Archina stia accadendo qualcosa di grave, che le provoca una sofferenza interiore sempre più profonda. I suoi congiunti però non sono minimamente sfiorati dall'idea di parlarle con calma per cercare di capire cosa le stia succedendo. Non appena il comportamento della giovane inizia ad essere considerato eccessivamente fuori dall'ordinario, la sua vicenda è immediatamente catalogata come un caso di tarantismo: non v'è dubbio, ad avviso della sua famiglia e dell'intera comunità del paese, che Archina sia stata morsa dal ragno e che, per risolvere il suo problema, sia necessario organizzare una lunga sessione di danza rituale.

   La descrizione della procedura è particolarmente dettagliata. Essa si protrae per diversi giorni. Ogni mattina un gruppo di musicisti giunge nell'umile casa della famiglia Solimene e inizia a suonare mentre la ragazza, a più riprese, si lancia in una danza sempre più convulsa, fino allo sfinimento:

 

 Archina adesso tiene le gambe un poco divaricate, supina, il corpo si muove a onde e sussulti, sbatte a terra le braccia secche, che sembrano zampe di ragno, comincia a girare la testa, a rotearla come se volesse consumare il lenzuolo a forza di strusciarlo tutto. Inarca la schiena, striscia sui reni, poi punta i talloni, solleva il ventre e inarca tutto il corpo verso l'alto. In questa posizione per un attimo si irrigidisce nel mezzo di quell'altare domestico. Donna Aurelia canta. (ibid. 86)

 Il corpo di Archina batte a terra e sbatte, e da secco e rigido com'era prima che la musica allagasse la stanza, ora sembra flessuoso e caldo mentre s'inarca morbido, umido, sfigurato, sfibrato. Anche i presenti si sentono parte di quella trasformazione. La cucina è satura di cose che non si possono dire con le parole. (ibid. 90)

 

   Il tutto si svolge in un clima di grande superstizione religiosa: si ritiene infatti che la guarigione dei tarantati sia possibile solo grazie all'intercessione di San Paolo che, stando a quanto gli Atti degli apostoli raccontano, sarebbe sopravvissuto egli stesso al morso di un serpente velenoso. L'esorcismo avviene con grande partecipazione popolare, si può dire che per alcuni giorni la vita della comunità ruoti proprio intorno a tale evento, a cui molti accorrono ad assistere, inclusi alcuni forestieri che si trovano temporaneamente in paese e non si fanno sfuggire l'occasione di vedere da vicino un rito tanto famoso: «a un certo punto sono entrati due forestieri con una macchina fotografica e si sono messi fermi e zitti a guardare e fotografare, da un lato, per non dare fastidio. Uno dei due ha detto una strana frase all'altro con un'aria di grande soddisfazione: -Fa l'arco isterico-, e l'altro ha fatto sì con la testa, come per dire: -E' vero!-» (ibid. 84).

   Il lungo e dettagliato racconto dell'autrice fa trasparire molte delle valenze di tale fenomeno. In una società in cui la fisicità femminile è fortemente repressa e considerata peccaminosa, una danza così frenetica è una forma ritualizzata attraverso cui le donne possono dare libero sfogo alla propria sensualità, un'occasione irripetibile per farlo senza che nessuna censura morale si abbatta su di loro.

   In un contesto caratterizzato da una forte marginalizzazione delle donne, che trascorrono la propria vita relegate in una dimensione domestica, a prendersi cura dei propri mariti e dei figli, i riti del tarantismo offrono loro anche un'occasione unica per essere al centro dell'attenzione collettiva per ragioni non negative, non perché abbiano dato scandalo ma in quanto persone che hanno un problema e vanno aiutate a risolverlo.

   A giudicare dalla grande attenzione con cui molti uomini presenti al rito osservano i movimenti frenetici della ragazza, che spesso le lasciano scoperte molte parti del corpo, si direbbe anche che al notevole afflusso di pubblico maschile non sia estraneo il desiderio di cogliere un'occasione per guardare una giovane donna che danza in déshabillé. La cosa era all'epoca piuttosto rara, alla luce delle rigide norme che regolavano l'abbigliamento femminile, soprattutto nei villaggi rurali del Sud.

   Anche alla luce dei lunghi studi sul tarantismo compiuti dall'antropologia culturale contemporanea, c'è un aspetto del fenomeno ancora più importante. Nelle comunità rurali dell'Italia meridionale, fino a pochi decenni fa, la vita era basata sulla centralità dell'uomo, della sua volontà e dei suoi desideri. I problemi che potevano affliggere le donne, a partire da quelli psicologici (piuttosto frequenti, visto il tipo di vita che erano costrette a fare) non erano considerati rilevanti, anzi al contrario un comportamento fuori dagli schemi poteva esporle al rischio di censure di tipo morale. I riti del tarantismo erano dunque anche e soprattutto una maniera socialmente accettata per mettere il proprio disagio psichico al centro dell'attenzione collettiva e, anche grazie allo sfogo che una danza così lunga e faticosa determinava, per liberarsi temporaneamente dalle proprie angosce, riportandone dunque anche un certo beneficio. In genere il benessere non era molto duraturo, come dimostrato dal fatto che le recidive (i cosiddetti “rimorsi”) erano piuttosto frequenti.

   Una pietra miliare degli studi antropologici sul tarantismo è rappresentata dalle ricerche sul campo condotte da Ernesto De Martino negli anni Cinquanta, che hanno portato alla stesura del celebre saggio La terra del rimorso. La convinzione a cui lo studioso napoletano perviene al termine della sua indagine è che

 

 in occasione di determinati momenti critici dell’esistenza – come la fatica del raccolto, la crisi della pubertà, la morte di qualche persona cara, un amore infelice o un matrimonio sfortunato, la condizione di dipendenza della donna, i vari conflitti familiari, la miseria, la fame, le più svariate malattie organiche – insorgeva «la crisi dell’avvelenato», utilizzando il modello del latrodectismo simbolicamente riplasmato come morso di taranta che scatena una crisi da controllare ritualmente mediante l’esorcismo della musica, della danza e dei colori. […] Ciò che costituiva il tarantismo era l’autonomia del suo simbolo che dava orizzonte a conflitti psichici irrisolti e latenti nell’inconscio. Molto più spesso la crisi cercava per così dire l’occasione approfittando magari di una situazione di «morso possibile» (raccolto dei frutti estivi, dormire nel campo etc.) o addirittura non salvava neanche questa parvenza di credibilità tanto era il suo bisogno prepotente di scatenarsi. Il dispositivo di evocazione e di deflusso, cioè l’esorcismo in azione, poteva non funzionare: ma il dispositivo come tale non era una «malattia», ma uno strumento di reintegrazione, un ordine tradizionalizzato di possibili efficacie simboliche, che disciplinava la crisi, le assegnava luoghi, tempi e modi determinati, e si sforzava di ricondurla verso un nuovo equilibrio. (de martino 1961, 71-73).

 

   Quale sia stato il dramma psicologico che ha portato Archina a dare sfogo alle sue angosce attraverso tale rito lo apprendiamo dalla sua stessa voce quando, dopo diciassette anni di lontananza, torna a Mangiamuso e, al capezzale del padre morente, in un lungo monologo rievoca i fatti in maniera dettagliata. Quando lei aveva solo dodici anni, in parte per spirito di sottomissione verso il suo padrone Angelo Santo e in parte per evidente perversione psichica, il padre Nunzio aveva iniziato a portarla spesso a casa di Angelo, dove ambedue la sottoponevano a ripetute molestie sessuali. Al fine di soddisfare maggiormente gli insani desideri dei due uomini, Archina era costretta ad indossare il vestito bianco della sua prima comunione che, a quanto pare, essi trovavano particolarmente eccitante. L'unico compaesano che si era accorto di quanto accadeva in quella casa, tale Narduccio Greco, legato ad Archina da un'amicizia tenera e innocente, era stato addirittura ucciso per evitare che parlasse. Il suo omicidio rimarrà per sempre impunito.

   Amare la propria terra non significa ovviamente rappresentarla in termini inverosimilmente idilliaci. Per un'artista come Teresa De Sio, che ha trascorso buona parte della sua vita professionale cantando la bellezza e il fascino del Sud, un atto di amore per la propria terra può anche consistere nel rappresentarne le brutture passate, anche per evidenziare i grandi progressi registrati negli ultimi decenni, o far venire alla luce i suoi problemi presenti, come sprone affinché ci si impegni a fondo per un ulteriore progresso. Metti il diavolo a ballare è una descrizione realistica ed efficace delle dure condizioni di vita in cui, fino a non molto tempo fa, le donne erano costrette a trascorrere la propria esistenza nelle zone rurali di una delle più grandi regioni dell'Italia meridionale. L'attentissima, come vedremo, sarà un atto di accusa non meno sferzante verso la grande omofobia che ancora ai nostri giorni permea la mentalità collettiva del Sud Italia, nello specifico di una cittadina piuttosto grande della provincia di Napoli.

   In ambedue i romanzi, alla descrizione della sofferenza del protagonista fa seguito un gesto simbolico di rottura radicale con il proprio passato, che è la premessa del suo riscatto. Nel caso di Archina la rottura è simboleggiata dall'uccisione del proprio padre-carnefice, che in realtà è però solo l'accelerazione dei tempi di una morte che sarebbe comunque stata imminente. La ragazza infatti torna a Mangiamuso dopo molti anni proprio quando viene a sapere che il genitore sta per morire. L'intento non è ovviamente quello di dargli calore negli ultimi momenti della sua vita, bensì di dirgli finalmente (a lui che ormai non può più sentirla) cosa pensa di lui, e di anticipare la sua morte con un gesto che, dato il contesto, sarebbe eccessivo definire omicida. Mentre si appresta a compierlo, idealmente chiama a raccolta intorno a s é tutte le persone che in vita hanno sofferto a causa di Nunzio: Narduccio Greco che egli ha ucciso, la zia Addolorata che si è suicidata perché egli l'aveva ripetutamente stuprata, nonch é la madre, la cui vita è stata rovinata dalla brutalit à dell'uomo: «Avvicinatevi, Narduccio, mamma, Addolorata, basta un piccolo gesto, vedete ? Si alza quel pulsantino e lo stantuffo si ferma. Il tubo si stacca dal respiratore, un piccolo gesto insignificante, e la tua musica finisce per sempre, padre» (de sio 2009, 148).

   Il riscatto per Archina è rappresentato da Roma, citt à in cui si trasferisce a vivere insieme a Severino, il ragazzo che ama e che altri non è che il figlio di Virginia, tolto alla madre al momento della nascita. Due vittime che nella capitale riescono a ricostruirsi una vita, a centinaia di chilometri di distanza da quella terra in cui i loro drammi infantili si sono consumati. La modernit à ovviamente ha molte facce, alcune delle quali difficili da accettare. La scena finale è infatti ambientata nel 1973, in cui le strade della metropoli sono sconvolte dagli scontri tra opposte fazioni politiche, e tra queste e le forze dell'ordine. Proprio in uno di tali scontri i due giovani involontariamente rimangono coinvolti. E' un aspetto della modernità piuttosto amaro (“i giorni nostri irrompono, sparando”, sono le parole con cui l'autrice chiude il romanzo), ma l'importante è essersi lasciati alle spalle la barbarie medievale di Mangiamuso. La Roma degli anni Settanta saprà certamente offrire loro anche il suo volto migliore, unitamente a quella felicità che fino a quel momento non hanno potuto avere.

 

   L'Attentissima è la storia di Domenico Picariello, che negli anni Novanta cresce come ragazzo gay in una terra, come l'hinterland napoletano, in cui la virilità e l'eterosessualità sono considerate alla stregua di veri doveri sociali per una persona di sesso maschile, nonché fondamentali per l'onore stesso della sua famiglia. Essere gay ed effeminato, soprattutto agli occhi di quanti appartengono ai ceti socialmente e culturalmente meno elevati di Somma Vesuviana, è ridicolo ed intollerabile, espone lui al rischio di derisione e persino di aggressione fisica, e la sua famiglia tutta allo scherno.

   Se Domenico fosse cresciuto in una famiglia di maggior levatura culturale e in un quartiere della Somma-bene, probabilmente l'atmosfera sarebbe stata per lui meno pesante. Egli è però figlio di un carabiniere di idee conservatrici e di una casalinga, nella sua casa hanno sempre circolato pochi libri e la sua passione per la lettura è addirittura vista come una stranezza della quale farebbe bene a liberarsi, più che come una cosa di cui andare orgogliosi. Inoltre, per ragioni di budget familiare, vive in uno dei quartieri più problematici della città, in cui i sentimenti “machisti” sono ancora molto forti. Tutto ciò rende la sua infanzia e adolescenza un vero incubo.

   All'interno della famiglia è soprattutto il rapporto con il padre a essere talmente problematico da trasformarsi talora in un'autentica tortura psicologica. Quando nella vita di Domenico appare la seconda grande passione, ossia il violoncello, l'uomo reagisce molto male. La musica è cosa da ragazze, un vero uomo dovrebbe occuparsi di altro. In verità, in casa Picariello la sola idea di omosessualità è un tabù talmente grande che, nelle periodiche sfuriate del padre, il concetto non viene mai menzionato, quasi a volerlo esorcizzare. Esso rimane a lungo un “non detto”, ma affiora abbastanza chiaramente da quanto il padre dice. Un vero uomo dovrebbe passare le sue giornate in ben altro modo:

 

 -Sta cazzo e musica classica!- urlava. -Tu che sei Claudio Baglioni? No. Sei Facchinetti? No. E allora addò t'avvii? Tanto chi si fa il culo qua sono solo io. Solo a te e a tua madre vi poteva venire in testa questo fatto del conservatorio di San Pietro a Majella! […] Che fai? Vai a giocare a pallone pure tu con gli amici tuoi, no? Nooo, legge! Legge lo scienziato!- […] Non ricevendo dal figlio alcuna reazione, Attilio aveva allargato le braccia come a dire: -Vabbè, non c'è niente da fare, questo è proprio un deficiente-. ( de sio 2015, 69-70).

 

   Il rapporto con la madre non è connotato da altrettanta violenza verbale, ma è comunque fonte di profonda sofferenza. Domenico rinvia sempre più nel tempo il momento del suo coming out, consapevole che, il giorno in cui parlasse esplicitamente in famiglia della sua omosessualità, neanche nella madre troverebbe alcuna comprensione. Quelli di Domenico non sono affatto timori infondati. Nella seconda parte della vicenda, quando Domenico decide di lasciare la sua casa e la sua terra per assecondare fino in fondo la sua natura in un'altra città, la donna deciderà di interrompere tutti i rapporti con lui. Il figlio proverà a telefonarle più volte, ma lei chiuderà sempre subito la comunicazione. Un riavvicinamento con la madre ci sarà solo molti anni dopo, in occasione di un gravissimo problema di salute del ragazzo. Neanche in quel caso però il padre vorrà rivederlo, nonostante l'imminente pericolo di vita.

   Il pesante clima omofobo di Somma Vesuviana rende anche impensabile che due ragazzi dello stesso sesso che si vogliono bene possano vivere con serenità la propria relazione, anzi in qualche caso rende difficile anche il semplice fatto di far trasparire i propri sentimenti. Domenico è innamorato di Antonio, un suo compagno di scuola che poi gradualmente, durante l'adolescenza, diventa uno dei suoi amici più cari. Per anni non troverà il coraggio di dichiarare i suoi sentimenti, convinto com'è che ciò distruggerebbe all'istante la loro amicizia. Antonio gli è sempre apparso infatti come un ragazzo molto virile, in qualche caso si è persino fatto sfuggire delle espressioni a cui Domenico ha attribuito una sfumatura omofoba. La loro amicizia termina quando Antonio decide di trasferirsi a Roma per arruolarsi nei carabinieri. Da quel momento non si vedranno più per anni.

   Quando, molto tempo dopo, si incontreranno di nuovo e inizieranno a parlare del passato, Antonio rivelerà tutta la verità sulla loro amicizia adolescenziale. In realtà, contrariamente a ciò che Domenico aveva sempre pensato, l'amore era del tutto reciproco, ma in quel luogo e in quel momento non poteva esserci nulla altro che la semplice amicizia. Domenico, dice Antonio, era l'unica persona «che mi capiva, e che mille volte avrei voluto accarezzare e baciare. Ma non si poteva … Non a Somma Vesuviana, non nei corridoi della scuola del Gallo» (ibid. 169).

   Il momento più critico dell'adolescenza di Domenico è una pesante aggressione che subisce in strada, mentre sta tornando a casa da una lezione di musica, portando con sé il suo pesante violoncello. Alcuni ragazzi del quartiere, che già più volte lo hanno preso in giro e molestato verbalmente, stavolta lo picchiano con violenza. Ai loro occhi il suo abbigliamento e le sue movenze effeminate, nonché un hobby così poco virile, sono meritevoli di una “lezione”. Per diversi minuti il ragazzo è vittima di calci, pugni, sputi e insulti omofobi, che proseguono anche quando lui è ormai a terra sanguinante. Poi i bulli se la prendono anche con il suo strumento musicale che evidentemente, dal loro punto di vista, è parte integrante della diversità di Domenico. I pochi passanti che si accorgono di quanto sta accadendo non sembrano interessati ad intervenire o avvertire le forze dell'ordine.

   Proprio mentre gli aggressori si accaniscono contro Domenico che è a terra indifeso, giunge il padre del ragazzo. Osserva con attenzione la scena, comprende quanto sta accadendo e riconosce in suo figlio la persona che, con indosso una pelliccetta piuttosto femminile, sta subendo il pestaggio. Avrebbe doppiamente il dovere di intervenire, come padre e anche come carabiniere che sta assistendo a un reato piuttosto grave. La reazione dell'uomo è però sbalorditiva:

 

 Attilio era rimasto fermo sull'altro lato della strada. Aveva preso una sigaretta dal pacchetto, l'aveva accesa, aveva aspirato, e infine aveva gettato il cerino ancora fumante a terra in direzione del gruppetto. […] Suo padre era lì, immobile, indifferente. Aspirava il fumo senza fare una piega, come se quello che era appena successo sotto i suoi occhi non lo riguardasse affatto. Poi, con una calma che a Domenico era apparsa ostentata, aveva voltato loro le spalle e si era incamminato in direzione del quartiere Gallo. (ibid. 160)

 

   Evidentemente, dal punto di vista di Attilio, la vergogna non consiste affatto nel vivere in una città in cui si ritiene accettabile picchiare un ragazzo gay, bensì proprio nell'avere un omosessuale nella propria famiglia. In quel momento Domenico prende la decisione definitiva di lasciare Somma Vesuviana per sempre.

   Molte ricerche compiute negli ultimi anni mostrano con chiarezza come, ad inizio XXI secolo, nell'Italia meridionale l'omofobia sia ancora una piaga di notevole gravità. Di particolare interesse è soprattutto il rapporto La popolazione omosessuale nella società italiana, pubblicato dall'ISTAT nel 2012 e relativo a un'indagine effettuata nell'anno precedente. Nel testo si legge:

 

 Essere omosessuale è più difficile per quanti vivono nelle regioni meridionali del Paese, dove in generale emerge una maggiore difficoltà ad accettare e ritenere giustificabili le relazioni omosessuali, così come le loro manifestazioni, e dove sono anche più diffusi i classici stereotipi sull’argomento. Al contrario, è soprattutto nelle regioni del Centro Italia che il clima nei confronti degli omosessuali sembra più positivo e improntato ad una maggiore apertura, sia perch é si è più disposti ad accettare l’omosessualità nelle sue esternazioni affettive, sia perché si è più aperti verso l’eventualità che una coppia omosessuale possa avere per legge gli stessi diritti di una coppia sposata. Per esempio, circa il 67% dei rispondenti residenti nel Centro Italia ritiene molto o abbastanza accettabile una relazione affettiva e sessuale omosessuale, valore che scende a circa il 49% tra i residenti del Mezzogiorno.1

 

   Analizzando le varie tabelle che i ricercatori dell'ISTAT accludono al testo, troviamo molti dati che confermano questo allarmante quadro generale. Il 52,5% dei meridionali intervistati dichiara di ritenere poco o per niente accettabile che un omosessuale sia insegnante di scuola primaria dei propri figli, percentuale che scende al 35,8 nel resto d'Italia. Il 30,5% dei meridionali considera poco o per niente accettabile persino l'avere un omosessuale come semplice amico; la percentuale crolla al 18,8 nel resto del paese.

   Quando si passa sul terreno delle discriminazioni, fortunatamente le percentuali sull'omofobia sono meno allarmanti, ma comunque rimane una notevole frattura tra le due parti del paese. Il 6,2% degli italiani del centro e del nord ritengono accettabile il fatto che un datore di lavoro possa rifiutarsi di assumere un candidato con le qualifiche richieste solo perch é omosessuale, percentuale che sale al 10,7 nel Mezzogiorno.

   Di grande interesse è anche la ricerca compiuta nel 2014 dall'Osservatorio italiano sui diritti Vox in collaborazione con le Università di Milano, Roma-La Sapienza e Bari. Nell'arco di otto mesi è stato effettuato un monitoraggio metodico dei messaggi pubblicati sul social network Twitter. Si è calcolato che, di circa 1.800.000 tweet esaminati, ben 110.774 avevano un contenuto omofobo. Di questi ultimi si è cercato di stabilire la provenienza geografica, cosa che è stata possibile solo in 8.501 casi. I risultati della ricerca, come ovvio, sono fortemente condizionati sia dal fatto che in più del 90% dei casi non si è riusciti a risalire alla regione di provenienza del messaggio, sia anche dalla diseguale diffusione di Twitter nelle diverse zone del paese. L'utilizzo di Internet nelle regioni settentrionali è tradizionalmente molto più ampio rispetto al Meridione.2 Dunque in questo caso la frattura Nord-Sud è molto meno marcata rispetto alla ricerca Istat. E' di grande interesse però il fatto che la Campania sia (dopo la Lombardia) la zona del paese con maggiore concentrazione di messaggi omofobi.3

 

   Anche nell'Attentissima ci sono un momento di rottura simbolica con il proprio passato e una fase di riscatto, come nel primo romanzo. Nella vicenda di Domenico la discontinuità con il passato ha un carattere molto radicale, e consiste nella decisione, difficile ma convinta, di iniziare un duro percorso di transizione che lo porterà a diventare Karmen, una donna molto femminile e seducente, guardando la quale nessuno sospetterebbe mai il suo percorso di vita. Anche nella vicenda di Domenico, come in quella di Archina, il gesto simbolico di rottura con la propria esistenza passata avviene in un ospedale, che in questo caso è quello di Trieste, in cui una équipe di medici lo sottopone all'intervento chirurgico conclusivo, che fa nascere Karmen in maniera definitiva e irreversibile.

   Anche per Karmen, come per Archina, il riscatto avviene a Roma e, nel suo caso, si manifesta in due versanti molto diversi. Da un lato c'è la soddisfazione professionale. Contrariamente a quanto il padre aveva pronosticato, i lunghi e faticosi studi al conservatorio non sono stati inutili: nella capitale Karmen è diventata infatti una musicista affermata e stimata, con un lavoro stabile che la appaga profondamente.

   In quanto persona transgender, per Karmen è però ancora più importante il fatto di essere riuscita a portare a termine il percorso di transizione, diventando una donna molto femminile e seducente. La vita le ha fatto attraversare esperienze molto dure, ma le ha anche riservato l'emozione di essere artefice di se stessa, di costruire fisicamente e psicologicamente la persona che voleva diventare. La consapevolezza di ciò le fa provare un orgoglio che esprime pienamente in una lettera che scrive alla madre in una domenica di solitudine, e che poi non le invierà:

 

 io ero felice, mamma. Stavo plasmando la mia esistenza terrena con le mie mani. Ho fatto di me ciò che ho voluto. Pochissimi riescono a fare di sé quello che vogliono. In genere, facciamo di noi ciò che vogliono gli altri.

 Io no. Contro tutto e tutti. Contro di te, mamma. Perch é per me tu eri l'immagine della Donna assoluta e io ero per te il Maschio assoluto. Contro la fragilità di tuo marito. Un uomo debole, che si faceva forte dentro la divisa. E' ancora così che si comporta con te ? Bastava un nonnulla, una parola storta, e la cena andava a puttane. Soprattutto negli ultimi tempi. Se quella parola ero io a dirla, il tuo ometto. E il Maschio mi pesava sulle spalle come una scimmia morta. […] Ora non sono più un sogno. Ora sono ciò che ho voluto. (ibid. 109. Il corsivo è nel testo originale)

 

   All'autrice non interessa costruire figure paradigmatiche, quanto denunciare dei gravi problemi sociali e culturali che affliggevano o affliggono il Sud e rappresentare delle storie di grande riscatto. Non è esemplare la figura di Archina e non lo è nemmeno quella di Karmen che, dopo tutte le umiliazioni subite, ritiene fondamentale l'avere prove continue del fatto di essere finalmente diventata una donna piacente e, per averle, vive la sua sessualità in maniera a dir poco disinibita. Con una certa frequenza, ama provocare degli uomini casualmente incontrati in locali pubblici e fare con loro sesso occasionale, spesso in poco romantici bagni pubblici, prima di separarsi per non rivedersi mai più. Uomini verso i quali non prova assolutamente nulla, se non forse un lieve e malcelato disprezzo. Non è appagante su un piano affettivo ma è essenziale da un punto di vista psicologico, per avere la conferma che la transizione di Domenico verso Karmen ha avuto un risultato pienamente soddisfacente.

 

   Abbiamo definito i due romanzi di Teresa De Sio come un grande atto di amore verso il Sud. Dobbiamo registrare che, in ambedue i testi, i protagonisti riescono a riscattare la propria sofferenza passata e realizzare pienamente se stessi solo abbandonando la propria terra e sfruttando le opportunità offerte da Roma e dal suo clima culturale molto progressista. Sembra dunque che, per una persona vittima dell'arretratezza sociale e culturale (passata o presente) dell'Italia meridionale, la fuga sia l'unica via d'uscita possibile. Ci sembra però molto significativo che la scrittrice abbia esordito con un romanzo di denuncia di un grave problema sociale (l'oppressione delle donne) del Salento di sessanta anni fa, oggi in larga parte superato, e poi abbia proseguito il suo lavoro narrativo con la denuncia di una grave piaga della Campania di oggi quale l'omofobia. Proprio gli enormi progressi fatti registrare nelle campagne pugliesi negli ultimi decenni in termini di emancipazione femminile ci danno la certezza che, se la gente del Sud lavora con impegno e determinazione, sarà certamente possibile affrontare e risolvere anche i gravi problemi che ancora affliggono il Mezzogiorno. L'abbandono della propria terra è dunque solo una necessità contingente. Ci pare dunque che dalle pagine dei libri di Teresa De Sio emerga, nonostante tutto, un grande messaggio di amore e ottimismo verso la propria terra. L'amore e l'ottimismo che troviamo nelle parole di Tutto cambia, splendida versione italiana del capolavoro di Mercedes Sosa, che la cantante napoletana ha curato nel 2011:

 

Cambia ciò che è superficiale / Cambia ciò che è più profondo / Cambia il modo di pensare / Cambia tutto quanto il mondo / […] Ma non cambia mai il mio amore / Anche se lontano sto / Né il ricordo né il dolore / Della terra e della gente / Ciò che è già cambiato ieri / Cambierà pure domani / E se tutto il mondo cambia / Che io cambi non è strano / Cambia, il mondo cambia... 4

 

 

 

Bibliografia

Monografie

de martino 1961:  Ernesto de martino, La terra del rimorso (1961),  Milano, Il Saggiatore, 2013;

de sio 2009: Teresa de sio, Metti il diavolo a ballare, Torino, Einaudi, 2009;

de sio 2015: Teresa de sio, L'attentissima, Torino, Einaudi, 2015;

Pagine web

<http://www.istat.it/it/files/2012/05/report-omofobia_6giugno.pdf>, sito dell'Istituto nazionale di statistica ISTAT (07.12.2015);

<http://www.istat.it/it/archivio/143073> (07.12.2015);

<http://www.teresadesio.com/testi/Tutto%20cambia.htm>, sito web ufficiale di Teresa De Sio (07.12.2015).

<http://www.voxdiritti.it/wp-content/uploads//2015/01/mappa_omofobia.jpg>, sito dell'Osservatorio italiano sui diritti Vox (07.12.2015).



1
      Il testo completo del rapporto, da cui sono tratti la presente citazione e gli altri dati che menzioneremo in questo paragrafo, è consultabile all'indirizzo: <http://www.istat.it/it/files/2012/05/report-omofobia_6giugno.pdf>, sito dell'Istituto nazionale di statistica ISTAT (07.12.2015).

2     Il dato è attestato dallo stesso Istat, nel rapporto Cittadini e nuove tecnologie 2014, nel quale leggiamo che il 66,6% delle famiglie del Nord dispone di una connessione Internet a casa, contro il 58,3 delle famiglie del Sud: <http://www.istat.it/it/archivio/143073> (07.12.2015)

3     <http://www.voxdiritti.it/wp-content/uploads//2015/01/mappa_omofobia.jpg>, sito dell'Osservatorio italiano sui diritti Vox (07.12.2015).

4     <http://www.teresadesio.com/testi/Tutto%20cambia.htm>, sito web ufficiale di Teresa De Sio (07.12.2015).





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