Scarse sono le notizie su Battista
Sforza Montefeltro. L’ultima biografia, breve ma sistematica, risale al 1795,
realizzata da Nicola Ratti all’interno del volume Della Famiglia Sforza.
Quel poco che si sa di Battista,
frutto più di leggenda che di ricerca storica, è un destino comune a tante
“principesse” del Rinascimento italiano. I documenti rivelano il loro ruolo
nella conquista e gestione del potere, accanto ai loro mariti. Come afferma la
Mazzanti [1] ,
alle “principesse”, durante le lunghe assenze dei rispettivi mariti, è
demandato il compito del buon governo dei popoli. Infatti, su una situazione di
pace interna, di corretta amministrazione della giustizia, di una tassazione
meno gravosa possibile, di grandi opere edilizie, il principe fonda il
mantenimento del potere, mentre la fama della sua forza economica, politica e
militare diventa elemento indispensabile di sopravvivenza.
Si cerca di garantire il successo
raggiunto con alleanze politiche importanti e un’attenta politica matrimoniale
che lega casate da un capo all’altro della penisola. L’intreccio di parentele
diventa spesso così stretto da rendere a volte necessarie, come nel caso di
Battista e Federico, dispense papali per rimuovere l’ostacolo della
consanguineità.
Su questo panorama, si staglia la
personalità singolare di Battista Sforza, donna intelligente, colta, atta al
governo. Alla grande cultura della contessa va ricollegata la formazione della
grandiosa biblioteca del palazzo urbinate, che trova degna collocazione nel
salone appositamente costruito per ospitare codici rari e preziosi.
Battista è creatura viva e vivace,
con la convinzione che la cultura sia a servizio della vita attiva, posizione
nella quale si ritrova una giustificazione della cultura umanistica femminile
che perdura nel tempo.
Figlia di Alessandro Sforza e
Costanza Varano, nasce a Pesaro nel 1446.
In tenera età, è condotta a Milano
presso lo zio Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, e qui entra a contatto
con un circolo di giovani letterati.
Moglie di Federico da Montefeltro
dal 1460, sa conciliare la cultura umanistica con la sua condizione di donna
del tempo, apprezzata fortemente per le sue virtù e per la capacità di
occuparsi con ottimi risultati, durante le assenze del marito, dell’amministrazione
dei suoi possedimenti.
Nel 1461 è accolta a Roma dal
pontefice Pio II, davanti al quale la contessa recita un’elegante orazione, da
cui emerge la sua cultura e in particolare l’insegnamento di Martino Filetico,
che nelle Iocundissimae Disputationes
riporta la dissertazione di Battista con il fratello Costanzo sulla superiorità
della lingua greca rispetto a quella latina.
Le Disputationes danno un ritratto vivo della duchessa, segnato anche
dalla presenza di alcuni toni colloquiali e di garbata ironia; si riferiscono
poi all’esercizio di funzioni pubbliche e rivelano l’interessamento della
duchessa ai preparativi militari. [2]
Battista è erede di una tradizione
al femminile che inizia con la bisnonna Battista Montefeltro, la figlia di lei
Elisabetta Malatesti Varano e la nipote Costanza Varano Sforza. Sono donne note
in campo letterario e politico che, nonostante l’inferiorità femminile sancita
dalle dottrine del tempo, sono parte attiva nella conquista e mantenimento del
potere dei mariti. La cultura di queste donne è usata anche politicamente in
orazioni rivolte a imperatori o a pontefici, nelle quali rivendicano i diritti
della propria casata: a contatto con i maggiori letterati del tempo, sanno
utilizzare il latino e il volgare.
Lo studioso Guido Arbizzoni delinea
la figura di Costanza da Varano, madre di Battista e Costanzo, morta ventunenne
nel 1447. Battista, nella sua breve esistenza, sembra reincarnare la madre,
donna straordinariamente colta e letterata, in relazione con illustri umanisti.
Costanza era stata in grado di fronteggiare, con iniziative politiche
personali, le avversità che avevano colpito la sua famiglia, come quando,
ancora sedicenne, pronunciò un’orazione davanti a Francesco Sforza per ottenere
la restituzione della signoria al fratello Rodolfo.
Della madre Costanza si avverte la
mancanza nell’indipendenza un po’ indisciplinata di Battista, la sua abitudine
al comando, dovuta forse al senso di superiorità nei confronti delle altre
donne, inferiori per educazione e cultura, o per il fatto di essere sola a
prendere decisioni sulla sua vita.
La zia Bianca Maria sarà il modello
dell’esistenza di Battista; simile è il carattere e il destino di entrambe:
hanno mariti più anziani di loro di cui sono innamorate e da cui sono riamate,
sono donne energiche, atte al governo, che affiancano i coniugi, non solo nella
scalata al potere, ma anche sui campi di battaglia. Non sono riconducibili a
stereotipi, perché troppo colte per l’immagine di donna sposata, reggono lo
Stato senza rinunciare alla loro femminilità, non mettono la loro cultura
all’esclusivo servizio di Dio e, anche se mogli e madri felici, svolgono
attività politiche, culturali, legislative, suscitando l’ammirazione dei
contemporanei.
Nicola Ratti nel secondo volume Della famiglia Sforza, nel capitolo
relativo a Battista Sforza, afferma “Potrà trovarsi donna più diligente ed
attenta nell’amministrazione delle cose domestiche di Battista? Eppure fu lei
stessa che si applicò insieme alle buone lettere e con tanto successo. Si dica,
ora, che lo studio delle medesime non è per le donne. Noi non pretendiamo già
che debba esser questo un punto fisso e indispensabile per la loro educazione.
Si applichi ognuno a ciò che è coerente alla sua nascita, alla propria
condizione, al sesso e giacché delle donne parliamo, siano le loro principali
occupazioni i lavori muliebri, la cura dei figli. Ma se talvolta si fanno ad
esse apprendere altre cose ancora che accrescano il numero delle loro qualità
ed ornamenti, non sappiamo persuaderci perché abbiano a scegliere quelle che
atte sono unicamente ad ammollire i costumi, e non piuttosto le umane lettere
che istruiscono e formano la persona.” [3]
Battista inizia a rendersi conto di
cosa significhi nel suo mondo essere nata donna; questa nuova consapevolezza fa
sì che non ci “fu donna veramente in Pesaro che in lavori di tela, d’ago,
d’oro, di seta fosse eccellente ch’ella non la volesse per maestra. Quindi al
governo et alla cura famigliare si rivolse tanto che in breve operò sì che nel
regimento della casa d’Alessandro pareva che Costanza fosse resuscitata”.
Diventata contessa di Urbino,
pretende la stessa abilità dalle “donne ch’ella aveva in casa, che erano con
una bellissima disciplina governate et non erano mai lasciate otiose; né
solamente voleva che sapessero lavori delicati, ma filare ancora et governar la
famiglia, facendole essere al far del pane et del bucato; dicendo loro che se
fossero per andar a marito voleva che sapessero tutto quello che al governo
della casa era necessario”. Tutto questo “accanto allo studio delle lettere non
mai dimenticato”. [4]
Tutti gli autori del tempo scrivono
delle nozze di Federico e Battista, delle feste grandiose a Pesaro e a Urbino,
in particolare Ser Gaugello de la Pergola ne parla nelle sue opere De vita et morte del 1472 e Il Pellegrino del 1464.
Nel De vita egli narra l’addio di Battista alla sua città natale e la
gioia degli urbinati al suo arrivo.
L’arrivo della nuova duchessa nei
territori del consorte assume una tipologia che esalta la stirpe della sposa e
le virtù che la rendono degna moglie del principe. Legata alla cerimonia
cavalleresca dell’investitura, la sposa è accolta da un corteo che, muovendo
dai confini del suo nuovo Stato, la accompagna fino alla capitale, mentre tutti
sono in festa.
Ser Gaugello ne Il Pellegrino dedica un capitolo intero
alla descrizione delle nozze, soffermandosi sugli addobbi delle sale della
residenza del conte di Urbino. Gli ospiti di riguardo sono accolti nelle stanze
riscaldate, in strutture confortevoli, ambienti appositamente e
provvisoriamente edificati nella piazza davanti all’abitazione del conte.
Il matrimonio è un’occasione
importante di incontro di uomini politici che discutono dei loro interessi e
della situazione generale. Le lettere dell’oratore milanese e tutte quelle in
partenza da Pesaro e da Urbino danno ampie informazioni sugli ospiti
d’eccezione, tra i quali si intrecciano fitti colloqui sul difficile momento
politico e sui provvedimenti da prendere per la guerra nel regno di Napoli. Le
nozze sono comunque un’occasione di festa e allegria, unite ai festeggiamenti
per il carnevale. La stessa Battista Sforza viene ricordata da molti biografi
per i motti spiritosi che dimostrano la sua notevole arguzia.
Così, nemmeno due mesi dopo le
nozze, Battista, già in attesa del primo figlio, rimane a reggere lo Stato
durante una delle più lunghe attese del marito, impegnato lontano in una guerra
difficile.
“Baptista, sposa illustre, deponendo
ogni mollicia, come cupida de vera gloria, aiutava cum omne sollecitudine
l’andata del marito, fin ad aiutarlo cum le proprie mane armare. Et in questo
principio remase al guberno cum tanta prudencia et animo che facea de
maraviglia stupire altrui; per il che tutti li suoi populi ne haveano
grandissimo conforto”. [5]
Battista dà subito prova di una
forza d’animo senza cedimenti, che le consente di svolgere il suo nuovo ruolo,
aiutando addirittura il marito ad indossare l’armatura, desiderosa solo di
sostenerlo con il conforto della forza del suo carattere.
Quando i mariti sono assenti,
spetta alle mogli anche questo compito. Il vescovo Campano riferisce come
Battista “si rivolse alla cura dei confini, ricostruendo le rocche, fabbricando
magnanimamente e Federico la gloria non mai sì grande avrebbe conseguito se non
avesse potuto lasciare a casa questa Padrona di tutto e certamente nata per
comandare.” Quella del vescovo è un’orazione funebre letta pubblicamente alla
presenza dei potenti d’Italia, a Urbino per commemorare Battista.
La formazione della parte più
cospicua della biblioteca di Federico è datata tra gli anni 60 e 70 del XV
secolo. Proprio nella seconda fase dei lavori a palazzo, coincidenti con l’età
in cui Battista è contessa, viene costruito il salone per ospitare i preziosi
codici che il conte fa venire da ogni dove, avvalendosi del libraio fiorentino
Vespasiano da Bisticci. Accanto ai grandi volumi di rappresentanza, vi sono
anche i piccoli, maneggevoli, fatti per essere letti, trasportati, come i Paradoxa di Cicerone, che Battista tiene
sul suo altarino, in camera da letto.
Piero della Francesca dà
un’iconografia insolita della contessa, che testimonia come l’interesse per i
testi sacri e profani sia uno dei motivi portanti della sua esistenza e come
questa cultura umana possa essere il tramite con la cultura divina, tanto che è
inimmaginabile anche nell’aldilà che Battista non legga. Federico, seppur non
ami i libri stampati, fa stampare l’orazione funebre del vescovo Campano
riguardante Battista, perché sia diffusa in tutte le corti, per far conoscere
la vita attiva della moglie.
Nell’intensa attività di Federico
Veterani risalta un volume miscellaneo che l’autore dedica al suo principe, in
cui sono raccolti tutti i componimenti inviati a Federico in occasione della
morte dell’amata seconda moglie.
Un volume, anteriore al 1474, ha
come sua particolarità la presenza dell’anello sforzesco dipinto, al centro del
margine superiore del frontespizio. Questo indizio consente di collegare il
libro alla giovane e colta moglie di Federico. Tale anello compare solo in un
altro codice urbinate, quello madrileno dei Trionfi
di Petrarca: qui ricorre sia all’interno della ricca ornamentazione del
frontespizio, sia nella decorazione sovrastante il Trionfo di Amore, e questo
secondo particolare può essere un omaggio del duca alla moglie defunta.
Si tratta inoltre di una raccolta
di testi metrici e retorici che sembra rispondere alla richiesta che Battista
rivolge all’umanista Martino Filetico suo maestro, all’inizio delle Iocundissimae Disputationes. Il testo si
apre con la richiesta di Battista di apprendere “la quantità delle sillabe” per
apprezzare a pieno i grandi poeti antichi. Battista sapeva leggere e apprezzare
queste opere ed è probabile che si sia adoperata per procurarle e farle copiare
a Urbino. Buona parte di manoscritti arrivarono a Urbino prima della sua morte
e le sue scelte orientarono lo sviluppo della collezione libraria.
Il precoce acquisto di testi
grammaticali e retorici suggerisce l’influenza della donna e di Martino
Filetico; oltre a quelli più classici e diffusi, ci sono anche autori minori in
miscellanee copiate o assemblate a Urbino. In un passo delle Iocundissimae Disputationes, Battista
domanda alla sua ancella di portarle i Paradoxa
Stoicorum che sta analizzando e il codice che contiene l’opera è stato confezionato
a Firenze tra il 1460 e il 1470, quando Battista è a Urbino.
Il De Saturnalibus di Macrobio, citato nelle Iocundissimae Disputationes, è stato prodotto dallo scriptorium
urbinate prima della morte di Battista.
L’alta frequenza nella biblioteca
federiciana dei Codici miniati da Francesco Rosselli, con la pagina rosselliana
che costruisce fregi metallici o orafi, che somigliano a gioielli, crea un
paragone tra i clipei del titolo, cinti da file di perle intercalate a pietre
preziose e il collare al collo di Battista nel dittico, così i preziosi castoni
e le broche che fermano i capelli della contessa, disseminati nelle pagine
urbinati.
La biblioteca dei duchi di Urbino,
traslata a Roma nel 1657, è custodita tuttora presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.
Ben prima del trasferimento definitivo, a cominciare dal sacco del Valentino,
nel 1502, la biblioteca subì traslochi e traversie che furono occasione per la
dispersione di un numero non irrilevante di libri: la perdita di gran lunga più
grave, tuttavia, fu quella del suo ordine originario, ordine in parte
recuperabile a cominciare dal cosiddetto Indice
vecchio. [6]
Dopo la nascita del tanto atteso
erede maschio Guidobaldo nel 1472, Battista si ammala e muore.
Il 17 agosto si tiene la solenne
commemorazione, l’orazione del Campano e i Threnos
panegyricos di Martino Filetico in onore dell’allieva.
Il Filetico, in una nota marginale
ai Threnos panegyricos, dirà che
Battista ha lasciato molte lettere, epigrammi molto belli ed una elegantissima
traduzione latina dal testo greco dell’orazione di Isocrate a Demonico. Il
vanto del Filetico di aver proprio lui guidato l’educazione di Battista,
diventerà esplicito quando ricorderà anche l’attività letteraria e l’orazione
pronunciata a Roma nel 1461 dinanzi a Pio II “Glorior hanc tecum plures
docuisse per annos teque probasse meas, Calliopea, manus; me duce Parnassi
studiosa cacumina montis scanderat, et colles Cirrha benigna, tuos; permessi
sacro biberat de fonte liquores, Hippocrineas, me duce, novit aquas. Scripserat
hinc quaedam teneris, nec fallor, ab annis, docta fuit prosa, carmine docta
fuit et potuit rerum dubias conoscere causas: non modo grammaticam novit et
historias. Hac orante patres sacri Hupuere senatus, obstupuit
praeses maximus ecclesiae.”
La morte di Battista è un evento
che permette di misurare il prestigio politico di Federico, in base alle
attestazioni di cordoglio e alla vastissima partecipazione alle esequie,
sontuose “quanto mai se facessero per alcuno dignissimo principo o
principessa”, e consente anche di riconoscere il personale profondo
coinvolgimento di Federico sul piano degli affetti. Sulla via del ritorno, dopo
l’espugnazione di Volterra, appreso dell’infermità e del pericolo di vita di
Battista, accorre a Gubbio appena in tempo per accoglierne le ultime parole e,
dopo la morte di lei, dichiara all’ambasciatore dei Gonzaga la sua intenzione
di non prendere più moglie.
Le due commemorazioni ufficiali
sono affidate al Campano ad Urbino e al Collenuccio a Pesaro, mentre il Codice
Urb. Lat. 1193 contiene, oltre a queste, le ulteriori testimonianze di
condoglianza di principi e letterati.
Da questi testi nasce la fissazione
dei tratti biografici essenziali che andranno a costituire la leggenda di
Battista.
Giovanni Antonio Campano più volte
dimora a Urbino, sempre accolto da Federico con segni di affetto e stima e a
lui tocca, nell’estate del ’72, la mesta incombenza di pronunciare l’elogio
funebre sul feretro di Battista Sforza. [7]
L’ambiente dei poeti e dei artisti
vive quella perdita con grande partecipazione, i poeti italiani ricambiano
l’accoglienza e le attenzioni che Urbino riserva loro.
Giovanni Santi definisce il giorno
della morte della duchessa “giorno da bestemmiare”, non riuscendo a sopportare
la violenza e l’ingiustizia con la quale la signora è stata portata via. Il
cardinale Bessarione, fedele amico e spirito guida di Federico, coglie
perfettamente il dolore del duca.
Molti altri scrivono poemi,
lettere, carmi, discorsi: Federico Veterani raccoglie tutto in un volume di più
di 110 fogli; Porcelio Pandoni, devoto a Battista, sublima il dolore e la
dedizione narrando del dolce legame d’amore che ha unito Battista a Federico. [8]
In tutte queste opere sono descritte le virtù di Battista che rendono così
grave il lutto e le motivazioni consolatorie.
La profonda unione di Federico e
Battista, durata dodici anni, dalla quale nascono otto figlie e un erede
maschio, è sottolineata anche dal posto d’onore che Federico le concede nel
dittico di Piero della Francesca, che immortala i due coniugi e che è
considerabile un omaggio postumo all’adorata moglie. Post mortem sono anche la
maggior parte delle raffigurazioni di Battista.
Il celebre dittico mostra i due
conti di profilo. La rappresentazione dignitosa e monumentale della contessa,
riccamente abbigliata e ornata da gioielli, è caratterizzata dall’espressione
di profonda calma e assoluta pace.
Sul retro ci sono i due carri
trionfali dei coniugi: Battista è raffigurata mentre è intenta a leggere e
l’iscrizione sotto il trionfo la celebra come “Colei che mantenne la
moderazione nelle circostanze favorevoli vola su tutte le bocche degli uomini
adorna della lode delle gesta del grande marito”. Le figure allegoriche
sembrerebbero indicare le virtù dei ritrattati.
Piero della Francesca trae ispirazione
dal busto della contessa realizzato da Francesco Laurana, ora al Bargello. Il
busto deriva da una maschera funebre di Battista, al Louvre, modellata sul
calco preso alla sua morte.
La scultura di Laurana è
idealizzata e priva di drammaticità; la geometria e la nitidezza delle forme
donano al ritratto un forte senso di solidità e di armonia.
I pittori e gli scultori legati a
Battista non sono da meno: Domenico Rosselli ne scolpisce il busto con una tale
immediatezza d’impressioni da far sembrare vivo e palpitante quel marmo; Piero
della Francesca, colpito nel profondo, riversa
in un dittico con i ritratti dei due coniugi tutta l’ammirazione e il rispetto
che ha per Battista.
Piero dipinge il retto e il verso
di due piccole tavole, perché Federico possa sempre averle vicine a sé: sul
retto ci sono i ritratti dei duchi e Battista ha il lato sinistro di chi
guarda, il lato d’onore.
Piero non ha mai dipinto la
contessa da viva: lavora al ritratto del dittico, confidando inoltre
sull’esempio di un bassorilievo, che il giovane Francesco di Giorgio Martini ha
scolpito qualche tempo prima, e sul ricordo e sulle emozioni che la giovane gli
ha trasmesso.
L’osservazione di Eugenio Battisti
che il ritratto di Piero, come quello di Laurana, si basa su una maschera
funeraria del soggetto, è corretta, e si potrebbe perciò datare il dittico
degli Uffizi a dopo il 1472. Il confronto del dipinto di Piero con il busto di
Laurana è decisivo.
Se la versione di Laurana precede
cronologicamente il ritratto di Piero, allora è ragionevole supporre che il
pittore tenga presente la scultura per la sua versione di Battista. Alcune
specifiche osservazioni di carattere stilistico potrebbero indurre a ritenere
che Piero abbia tratto ispirazione proprio da Laurana. [9]
Dal punto di vista estetico, il
ritratto di Piero incarna stilizzazioni tipiche del suo linguaggio, come la
forma della fronte, degli occhi e del collo, volutamente impiegate per
assicurare una rappresentazione dignitosa e monumentale della contessa,
caratterizzata dall’espressione di profonda calma e assoluta pace. Una tale
immagine comunicava pienamente, secondo la sensibilità del tempo, la dignità
spirituale della persona. La scultura di Battista Sforza di Laurana riesce a
illustrare con successo lo stesso complesso di valori.
Inoltre ho avanzato l’ipotesi che,
tra le varie rappresentazioni post mortem della contessa, omaggi di Federico da
Montefeltro alla memoria della consorte, ci possa essere anche la Natività di Piero della Francesca dove,
nelle vesti di Maria, può celarsi Battista e, nei personaggi che la circondano,
suoi familiari e membri della corte urbinate.
Nella Natività, Battista Sforza è individuabile nelle sembianze di
Maria, per il volto, che ricorda molto il dittico di Piero della Francesca, il
busto di Laurana e il ritratto giovanile nel Trittico Sforza, e per il
vezzo della contessa di ornarsi di perle e pietre preziose.
Mi baso anche sulle testimonianze
storiche circa le caratteristiche fisiche di Battista, quali risultano tra gli
altri, dal De Baptista di Sabadino
degli Arienti, Historia de’ fatti di
Federico di Montefeltro Duca d’Urbino
di Gerolamo Muzio, Feltria di
Porcelio Pandoni. Dell’atteggiamento regale del volto e di tutto il corpo,
della dignità solenne, parla Pandolfo Collenuccio nel Codice urbinate latino 1193. Il poeta Porcelio Pandoni nel Feltria descrive i capelli biondi dono
di Venere “crine venus flavo et forma decoravit et ore”.
Nei personaggi che circondano la
Madonna, identifico, nei volti dei pastori, Luca Pacioli e Piero della
Francesca, alle spalle dei quali si scorge una veduta di Sansepolcro, luogo
natio di entrambi.
Nel pastore sulla destra
ravviso, attraverso le somiglianze fisionomiche, il frate francescano
e noto matematico Luca Pacioli, secondo Pier Gabriele Molari, precettore di
Guidobaldo, figlio di Battista. Il Molari evince ciò dall’inventario dei beni
più pregiati dell’eredità di Vittoria della Rovere, dove si dice che il quadro
di Jacopo de’ Barbari, Ritratto di Luca
Pacioli, raffigura i precettori di Guidobaldo, Luca Pacioli e Piero della
Francesca.
Il frate matematico Luca Pacioli,
introdotto a Urbino da Piero della Francesca, dedica la Summa de aritmetica geometria proportioni et proportionalità a Guidobaldo, figlio di Battista e Federico.
Negli angeli, ipotizzo di
individuare alcuni figli della coppia, alla luce del confronto iconografico con
gli angeli della Pala di Brera, che
Molari [10]
identifica con alcuni figli di Federico e Battista, riferendosi alla
testimonianza del manoscritto urbinate latino 1204, nel quale i figli dei conti
sono elencati in base alla rilevanza che avevano a corte.
Giuseppe, con lo sguardo rivolto
fuori dalla scena, a contemplare un paesaggio individuabile come quello di
Montecopiolo, dove sorgeva anticamente il castello dei Montefeltro, sembra
alludere a Federico.
Il Bambino non è tenuto tra le
braccia della donna, ma giace a terra, a significare l'impossibilità
per lei di sostenere il tanto atteso erede maschio Guidobaldo, perché
deceduta pochi mesi dopo la sua nascita, in seguito alle complicanze del parto,
nel 1472.
Il dipinto è pertanto un tributo a
Battista, morta prematuramente dopo la nascita del figlio, sventura di cui è
presagio la gazza che si trova sul tetto della capanna.
NOTE
[1] La professoressa Marinella
Bonvini Mazzanti nel 2009 pubblica la monografia su Battista Sforza con il
titolo Battista Sforza Montefeltro una
“principessa” nel Rinascimento italiano.
BIBLIOGRAFIA
BONVINI MAZZANTI 2009
Marinella BONVINI MAZZANTI, Battista Sforza Montefeltro una “principessa” nel Rinascimento italiano,
Urbino, Edizioni Quattroventi, 2009
DAMIANAKI 2008
Chrysa DAMIANAKI, I busti femminili di Francesco Laurana,
Sommacampagna, Cierre Edizioni, 2008
FILETICO 1992
Martino FILETICO, Iocundissimae Disputationes,
Introduzione, traduzione e testo critico di Guido Arbizzoni, Modena, Panini,
1992
FRANCESCHINI 1959
Gino FRANCESCHINI, Figure del Rinascimento urbinate,
Urbino, Steu, 1959
MOLARI 2009
Pier Gabriele MOLARI,
La soluzione dell’enigma di Piero della Francesca, Bologna, 2009. File PDF
MUZIO 1605
Gerolamo MUZIO,
Historia de' fatti di Federico di Montefeltro Duca d'Urbino, Venezia, Ciotti, 1605
PERUZZI 2004
Marcella PERUZZI, Cultura potere immagine: la biblioteca di
Federico da Montefeltro, Urbino, Accademia Raffaello, 2004
RATTI 1795
Nicola RATTI, Battista Sforza Contessa di Urbino, in Della Famiglia Sforza, Modena, Stamperia Salomoni, 1795, pp.
125-145
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