Con
Bartolomeo Della Valle la storia non è stata prodiga di testimonianze. Figura
dalle molteplici sfaccettature, Bartolomeo è stato membro della municipalità,
uomo del papa e fratello di un cardinale; erede di un impero familiare
costruito sui prodotti dei casali, sul commercio di bestiame, piombo e denaro;
per sangue appartenente alla nuova nobiltà, per mentalità e destrezza negli
affari – economici e politici – già borghese e imprenditore. Perfettamente
inserito nelle dinamiche della Roma rinascimentale, Bartolomeo operò per e con
la famiglia, in sinergia e sotto l’egida Della Valle. Non è facile far emergere
il contributo che diede alla storia politica, economica, amministrativa,
culturale del primo quarto del Cinquecento; la storia dell’arte, in
particolare, non gli ha ancora tributato il giusto riconoscimento per
l’attività di committente e collezionista svolta all’ombra del più famoso
cardinale Andrea, suo fratello [2] .
Con
questo mio studio ho perseguito l’obiettivo di una ricostruzione il più
possibile a tutto tondo e cronologicamente esaustiva del personaggio
Bartolomeo. Fare luce su una figura come Bartolomeo Della Valle ha significato
avere una chiave di accesso privilegiata alla storia rinascimentale di Roma e
alla microstoria della famiglia lungo i secoli. Su una simile base di
conoscenze consolidate e specifiche è stato possibile avanzare nuove
interpretazioni per il fenomeno delle committenze e del collezionismo vallense,
in particolare per quanto concerne il messaggio affidato al programma
iconografico degli affreschi della sala grande al piano nobile del palazzo del
cardinale, che - a quanto mi risulta - non è stato ancora sufficientemente indagato.
I. Un profilo biografico
I primi anni (1468-1517)
In
assenza di una voce a lui dedicata nel Dizionario
Biografico degli Italiani, ritengo utile soffermarmi sul profilo biografico
di Bartolomeo Della Valle [3] .
L’anno
di nascita di Bartolomeo Della Valle è da individuare nel 1468. È il
secondogenito di Filippo e Gerolama Margani; il primogenito Andrea (futuro
cardinale) era nato cinque anni prima (fig. 1). In base alle tradizioni
familiari (proprietari terrieri e mercanti di bestiame, avvocati concistoriali,
ecclesiastici e archiatri pontifici) e agli sviluppi futuri delle sue attività
(incarichi nell’ambito delle magistrature municipali, mercante e imprenditore,
collezionista e committente), è verosimile ipotizzare studi e interessi nel
doppio filone umanistico e giuridico, inserendosi perfettamente nelle dinamiche
del potere, economico e politico, della sua epoca e in quel processo di
nobilitazione che la famiglia portava avanti ormai da generazioni. Alla fine
del Trecento erano state gettate le fondamenta della solidità economica della
famiglia, solidità basata sulle proprietà terriere e sull’investimento del
ricavato dei commerci e del prestito di denaro. Passi successivi sarebbero
stati l’elevazione del prestigio sociale della famiglia in senso sociale e professionale
e il consolidamento dello status
della famiglia originariamente di bovattieri. Ultimo gradino dell’ascesa
sociale, per il quale grandi energie spese soprattutto Paolo Della Valle
(†1440), il nonno di Bartolomeo, è la politica culturale, la nobilitazione
attraverso l’attenzione all’arte e alla cultura, gli interessi umanistici e
intellettuali accanto alla cura e all’amministrazione del patrimonio.
Le
prime notizie che riguardano direttamente Bartolomeo risalgono al 1498, quando
i consoli di Messina lo designano loro agente a Roma [4] .
Dai primissimi anni del Cinquecento il suo nome compare con più frequenza. Nel
1505 è Conservatore e dal 1507 è spesso protagonista di investimenti
immobiliari: sono attestate case a Ronciglione, nel rione Monti, nel rione
Trevi e nel rione Sant’Eustachio [5] .
Nella prima metà degli anni Dieci Bartolomeo getta le fondamenta della sua rete
di alleanze e capitali economici, affiancato dal costante supporto della
famiglia, che a quell’altezza cronologica vedeva rafforzato il proprio potere
di influenza con la nomina a vescovo di Mileto del fratello Andrea nel 1508.
Nel 1511 giura la pax romana; nel
1513 investe ingenti capitali nella gestione di redditizie entrate camerali; ottiene l’appalto della dogana Mercium pagato 5.000 ducati e pochi giorni dopo acquista l’appalto
della salara di Fano; Bartolomeo
compare tra i 10 consiliarii che, a
partire dal 1513, dovevano affiancare i conservatori. L’anno 1513 è anche il
primo di pontificato di Giovanni de’ Medici, al quale i fratelli Della Valle
dovranno molta della loro fortuna in termini di avanzamento di carriera,
municipale e curiale, potenzialità di cui hanno consapevolezza, o aspettativa,
come testimonia l’omaggio reso al nuovo sovrano di Roma durante la cerimonia
del possesso [6] . Nel
1515, quando l’appalto della gabella dello Studio viene venduto al suo socio e
mercante fiorentino Giovanni Ardinghelli, Bartolomeo ne diventa depositario;
l’anno seguente, insieme ai banchieri Ventura, ottiene l’appalto della dogana
di Ripa e Ripetta. Nel novembre 1516 sono avviate le trattative (con
conclusione prevista entro il 1° gennaio 1517) perché gli uffici dati in pegno
a Bartolomeo Della Valle fossero restituiti al popolo romano, attraverso la
vendita all’asta; si trattava degli uffici di depositario generale della Camera Urbis e della gabella dello
Studio, protonotario della Curia
Capitolii e notaio
dei porti di Ripa e Ripetta, maresciallo, mandatarius,
extimator transtrorum e statera di Ripa e Ripetta.
Il momento in cui Bartolomeo viene privato di questi
uffici (per poi riappropriarsene, in parte, nel 1519) si rivelerà, invece,
propizio. Anno cruciale nell’iter di
Bartolomeo Della Valle è, infatti, il 1517: il 1° luglio Andrea è tra i
neoeletti cardinali della celebre “infornata”, mentre già dal mese di gennaio
Bartolomeo era magister stratarum
insieme a Raimondo Capodiferro, carica che verrà loro confermata per quattro
anni consecutivi (1517-1520). Sono gli anni di maggior impegno per la
conduzione della politica urbanistica di papa Leone X, a cominciare dalla
creazione della via Leonina (oggi via di Ripetta), operazioni per le quali
fondamentale era che il ruolo di magistri
stratarum fosse affidato a persone di fiducia del papa. Definire Bartolomeo
Della Valle un uomo di fiducia del pontefice è forse azzardato, ma è certo che
le sorti sue e della famiglia (come del resto era valido per ogni clan romano) fossero strettamente legate
all’avvicendarsi dei successori di Pietro. Allo stesso modo i pontefici non
potevano ignorare simile rete di alleanze e accordi, in particolare papa
Medici. Il suo pontificato, infatti, soffriva continuamente di una «endemica
crisi finanziaria» [7] e
Leone X non si dimostrava insensibile agli ingenti capitali acquisiti da
Bartolomeo (dunque in generale dalla famiglia Della Valle), attraverso la sua attività di banchiere e di mercante.
Bartolomeo maestro di strade
(1517-1520)
I
quattro anni che vedono Bartolomeo Della Valle maestro di strade [8]
(1517-1520) coprono esattamente l’ultimo periodo del pontificato di Leone X
(1513-1521). Nell’ambito di progetti e di cantieri pontifici nel quale si trovò
ad operare Bartolomeo, fondamentale è l’intervento sull’assetto viario della
città: nuove e vecchie vie dovevano convergere sui
molteplici centri della città e unirli, ovvero il Vaticano alla città, l’urbs medicea (nella zona di piazza
Navona) alla città, la chiesa di Santa Maria del Popolo (vicina all’ospedale di
San Giacomo in Augusto, simbolo di caritas)
alla sede dell’università (simbolo della sapientia).
In questa prospettiva viene ad assumere una posizione privilegiata proprio
quella via Leonina alla quale il pontefice volle legare
il suo nome. A personalità del calibro di Raffaello e Antonio da Sangallo il
Giovane il papa aveva affidato la responsabilità della supervisione e
risoluzione dei problemi di natura tecnica ed estetica; ai magistri viarum Bartolomeo Della Valle e Raimondo Capodiferro,
invece, la direzione dei lavori. E sin dal suo debutto, l’incarico dei magistri Della Valle e Capodiferro
presenterà un legame “genetico” con il progetto della via Leonina. Nei primi
mesi del 1517 un motu proprio di
Leone X, indirizzato a Cristoforo Barozio e Niccolò Gaddi (chierici di Camera)
e a Bartolomeo e Raimondo (maestri di strade), sollecitava il completamento dei
lavori di ampliamento e regolarizzazione della piazza e della via Leonina. Un
breve, datato 11 ottobre dello stesso anno, forniva ai due magistri lo strumento per imporre nuove tasse da devolvere al
finanziamento dei lavori della via Leonina, fondamentale per ogni fedele dal
momento che li collegava alla chiesa di Santa Maria del Popolo [9] .
Nel
corso del loro mandato, Bartolomeo e Raimondo si trovano frequentemente ad
assicurare le condizioni perché il progetto leonino di abbellimento e
sistemazione della città potesse attuarsi. Le armi nelle loro mani sono di
volta in volta gli espropri, le vendite coatte, l’allineamento e la
pavimentazione delle strade, la concessione di terreno edificabile, la
composizione di liti, l’applicazione della bolla papale «in favorem […] edificare volentium» [10] .
Il
1520 è l’ultimo del mandato di Bartolomeo e Raimondo come maestri di strade e
coincide con il penultimo del pontificato di Leone X. Ha il gusto di una
decisione e di un presentimento, infatti, il motu proprio del mese di febbraio con il quale Leone X dona 225
canne di terreno sulla via Leonina a Bartolomeo e Raimondo, per un valore che
Verdi calcola di circa 900 ducati; è sempre Verdi ad ipotizzare che una
donazione così consistente avesse il significato di una ricompensa per i lavori
portati a termine con successo [11] .
Gli ultimi anni (1517-1526)
L’esercizio
del ruolo di maestro di strade rappresenta un capitolo fondamentale nell’iter di Bartolomeo Della Valle – e di
certo il più indagato dagli studi. Bartolomeo ricopre, però, anche altre
cariche all’interno del contesto municipale, e più precisamente nella gestione
delle risorse finanziarie. Tra il 1517 e il 1523 è depositario generale officialium romanorum e gestisce gli
uffici doganali capitolini in qualità di agente delle banche fiorentine,
cariche considerate tanto strategiche da richiedere la presenza di un cives romanus accanto ai banchieri
forestieri. Tra il 1517 e il 1525 Bartolomeo, non in veste di magister viarum, ma più spesso nel ruolo
di depositarius, compare come
testimone o come protagonista dei documenti raccolti nel Liber decretorum dello scribasenato Pietro Rutili [12] :
si occupa di vendite di uffici, di risoluzione di liti (pena multe); è membro
di una commissione per elaborare una riforma delle doti, del vestiario delle
donne, dei funerali con l’obiettivo di ridurre gli sprechi (come già approvato
dal papa e dai cardinali); conduce una protesta relativa alla gabella studii contro alcuni cardinali;
viene sollecitato per il pagamento degli officiales
romani, in applicazione di un motu
proprio del papa; richiede il risarcimento per presunte frodi; è oggetto di
controllo per la gestione delle entrate della gabella vini forensis (collegata alla gabella studii); in particolar modo lo riguardano le vicende della gabella studii e della dogana di Ripa.
Il Bartolomeo impegnato e attivo come uomo ora del
papa ora della municipalità non cessa di seguire le tradizionali attività della
famiglia Della Valle e si occupa del commercio di bestiame e piombo. Nella
primavera del 1518 vende, in poco più di un mese, quasi un centinaio di capi
per un prezzo complessivo di 760 ducati. Nel luglio dello stesso anno,
Bartolomeo si assicura per il figlio Ottaviano la pescheria di Santa Cecilia [13] .
All’interno
dei suoi affari, immancabile è la concessione di prestiti. Un esempio ne è il
contratto a Giovanni Battista Vectorii di Firenze, il quale nel 1519 si impegna
a restituire entro un anno la somma di 10 ducati d’oro [14] .
Alle attività riguardanti il commercio di bestiame e di piombo, il controllo
del mercato del pesce e il prestito di soldi, si aggiunge nello stesso 1519
l’importazione del frumento a Roma, nella veste di commissarius
della Camera Apostolica. Le disponibilità finanziare di
Bartolomeo Della Valle allo scadere del secondo decennio del secolo dovevano
essere molto consistenti, se nel 1520 è in grado di sottoscrivere, per sé e per
il figlio Ottaviano, l’impegno a pagare una multa di 4.000 ducati in caso di
offesa di Girolamo e Carlo Mattei, figli di Paluzzo; con Carlo, infatti,
Ottaviano aveva avuto una lite tanto furibonda da richiedere garanzie in
presenza di un notaio [15] .
La
collaborazione con i banchieri forestieri è coronata nel 1521 dagli
investimenti di successo ottenuti in società con il fiorentino Filippo Strozzi, subentrato ai senesi
Ventura. Il sodalizio Strozzi-Della Valle si inserisce all’interno delle
dinamiche di un Della Valle uomo di Leone X. Bartolomeo, infatti, si viene a
trovare al centro di una favorevole congiuntura per cui il Comune è alla
ricerca di vie di finanziamento sempre nuove, le entrate degli uffici doganali
sono destinate per la maggior parte ai depositari generali della Camera
Apostolica, tra i depositari generali compaiono le più importanti banche
fiorentine, tra cui gli Strozzi, e Bartolomeo è proprio loro socio e
rappresentante a Roma.
I
frutti dei suoi investimenti sono in parte destinati alla casa nel rione
Sant’Eustachio, accanto ai palazzi del fratello Andrea. Nel 1522 acquistò, infatti da Faustina Santacroce per 700 ducati due case e nel 1523 due schiavi neri [16] .
Nel
1525 Bartolomeo Della Valle e Raimondo Capodiferro (duetto già collaudato nella
veste di magistri stratarum), vengono
nominati pacerii dal nuovo papa
Clemente VII Medici. All’interno dell’ordinamento giudiziario di Roma, la
posizione dei pacerii, le cui
funzioni costituivano l’equivalente di un giudice di pace, era molto
importante, tanto da spiegare l’ingerenza del pontefice in simili questioni
municipali.
Il 12 novembre 1526, all’età di 58 anni, Bartolomeo
Della Valle muore. A partire dal carteggio conservato presso l’Archivio Segreto
Vaticano nel Fondo Della Valle-Del Bufalo, nulla di preciso si evince sulle
cause della morte, descritta come improvvisa e silenziosa, al punto da cogliere
di notte un Bartolomeo impreparato che non aveva ancora redatto il proprio
testamento [17] .
II. La figura del committente
Il sepolcro di Filippo Della Valle
in Aracoeli
La
prima attestazione del coinvolgimento di Bartolomeo in materia di committenze
artistiche risale al 1494, quando il 17 febbraio muore Filippo Della Valle. Per
ricordare l’«ottimo padre» [18] ,
Andrea e Bartolomeo commissionano un sepolcro in marmo da collocarsi nella
tomba di famiglia nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli (fig. 2).
L’impostazione
generale del defunto disteso inserito in una scatola architettonica deriva direttamente
dalla tradizione gotica delle tombe a parete (enfeus), spesso a nicchia, con lit
de parade su cui riposa il defunto gisant.
L’impronta rinascimentale si rivela tutta nel gusto umanistico con cui il
sepolcro viene caratterizzato in senso individualistico: da una parte
attraverso il profilo del defunto i cui tratti vengono restituiti con una certa
attendibilità (fig. 3) [19] ;
dall’altra attraverso le due pile di libri che designano il sepolcro come
quello di un filosofo, nel senso
etimologico di “amante della sapienza” e a testimonianza dell’importanza di cui
la cultura era stata investita da Filippo, archiatra pontificio ed egli stesso
autore di un trattato di medicina (fig. 4).
Non
sono conosciute attestazioni documentarie al riguardo, dunque tutte le
informazioni a disposizione sul sepolcro Della Valle derivano dall’osservazione
diretta e da un approccio di tipo stilistico e comparativo. La coeva produzione
scultorea a destinazione funeraria degli ultimi decenni del Quattrocento a Roma
si presta, in tal senso, a utili e fruttuosi confronti. L’analisi comparata non
permette, però, di convergere su di un unico nome per risolvere la questione
attributiva. Se un Luigi Capponi (1445ca-1515ca, attivo a Roma almeno dal
1485), tra gli artisti più in voga all’epoca e più noto alle fonti, resta il
più probabile a un primo vaglio di tipo cronologico, nessuna evidenza
stilistica emerge dal confronto tra il sepolcro Della Valle in Aracoeli e
l’unica opera certa e documentata di Luigi Capponi, la sepoltura marmorea di
Francesco Brusati nella basilica di San Clemente.
Gli
ultimi studi sulla produzione scultorea romana del secondo Quattrocento, che
hanno fatto luce in primo luogo sui meccanismi della produzione, permettono di
considerare la questione attributiva del sepolcro Della Valle sotto un nuovo
punto di vista [20] .
Presupposto di partenza è l’osservazione che la tipologia dominante a Roma era la
scultura funeraria, di pontefici e cardinali, seguiti in un secondo momento da
nobili e ricchi borghesi desiderosi di conservare la propria memoria attraverso
tombe fastose e sempre più elaborate. Considerate le premesse di domanda e
offerta, risulta evidente come le diverse produzioni tendessero a convergere
verso risultati molto simili tra loro, come dimostrano le testimonianze
scultoree conservatesi (soprattutto nelle chiese nel cuore di Roma) e le
turbolenti storie attributive delle singole opere (frequentemente indicate come
opere di bottega o di scuola, gravitanti intorno alle poche personalità di
rilievo che i documenti hanno tramandato). Si assisteva allo strutturarsi di
una produzione sempre più seriale e “protoindustriale” che rispondesse alle
esigenze dei committenti, da una parte, e della sopravvivenza delle piccole
botteghe specializzate, dall’altra.
Non
sembra comunque possibile riconoscere la mano abile ed esperta di un grande
artista nel sepolcro di Filippo, quanto piuttosto il coinvolgimento di circa
cinque botteghe diverse e forse al loro interno di diverse mani: il basamento e
il fregio con motivi ornamentali (una o due botteghe, sicuramente più mani); la
figura del defunto; l’iscrizione; i genietti funebri; infine, la doratura della
cornice architettonica e degli stemmi.
I palazzi Della Valle nel rione
Sant’Eustachio
Descrivere
lo stato degli edifici e studiarne la storia non è impresa semplice a
causa della loro origine per aggiunte successive, che ancora conferisce alle
loro piante un aspetto caleidoscopico. È comunque possibile individuare quattro
blocchi principali distinti, in continuità con le menzioni delle fonti dal XVI
secolo in poi. Tra i palazzi che si affacciano sul Corso Vittorio Emanuele II,
a partire dalla Piazza di Sant’Andrea Della Valle, si individuano: il palazzo
Della Valle (poi Rustici e Del Bufalo) attualmente sede della Confagricoltura,
costituito da due entità, ovvero il palazzo di cantone (letteralmente
“all’angolo”, Piazza di Sant’Andrea Della Valle) e il palazzo di mezzo o del
cardinale (Corso Vittorio Emanuele, 101); il palazzo Castellacci, detto di
Giove (Corso Vittorio Emanuele, 89); il palazzo Pescatori-Serventi (Via di
Monterone, 69); infine il corpo architettonicamente separato, tra Via del
Teatro Valle e Largo del Teatro Valle, ovvero il palazzo Capranica-Del Grillo
(Largo del Teatro Valle, 6).
La
storia dei palazzi Della Valle riguarda un arco di tempo molto vasto. Al 1418
risale il primo insediamento dei Della Valle nel Rione Sant’Eustachio: Paolo e
Nicola comprano da Giovanni Stiglia per 300 fiorini una casa, corrispondente al
più antico nucleo del palazzo di mezzo. L’acquisto si inseriva perfettamente
nella logica di elevazione sociale cui erano indirizzate molte delle scelte di
Paolo, il quale si adoperò perché la famiglia lasciasse la zona Pigna-Monti,
più popolare, per il rione Sant’Eustachio, abitato principalmente dagli
ambienti della Curia. Del 1948, invece, è l’ultimo passaggio di proprietà alla
Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana che tramutò il nucleo più
antico dell’isolato vallense nella sede di Confagricoltura. Il destino sembra
aver così giocato il suo ultimo colpo: i palazzi che erano sorti sulle
ricchezze derivate dai casali di campagna e dai commerci di bestiame e piombo
finiscono nelle mani delle moderne confederazioni che rappresentano gli
agricoltori. I passaggi dell’intera, intricata vicenda sono documentati con
dovizia di particolari dagli studi di Brunori e Grassia sullo scorcio degli
anni Ottanta, seguiti da Paoluzzi negli anni 2000; a questi contributi si
rimanda per una visione d’insieme della storia dei palazzi Della Valle di cui
in questa sede si prenderà in considerazione solamente il giro di anni che
interessò Bartolomeo [21] .
Fu
soprattutto il fratello Andrea, prima nel ruolo di vescovo di Mileto (dal 1508)
poi nella veste di cardinale (dal 1517), ad occuparsi di ricostruzione, ingrandimento
e abbellimento dei palazzi di famiglia. In particolare si curò del palazzo
cosiddetto di mezzo o del cardinale (fig. 5) e solo più tardi del palazzo oggi
Capranica-del Grillo. Gualandi menziona il palazzo Della Valle sulla via Papalis tra gli esempi di quel
fervore edilizio di rimbalzo che investì la Roma dei privati, autonomi dal
Vaticano per le loro iniziative architettoniche, ma non insensibili ai progetti
in cantiere e all’atmosfera di renovatio
Urbis [22] .
Proprio
negli anni 1517-1520, Bartolomeo è magister
stratarum et edificiorum e arbitro della sistemazione urbanistica ed
edilizia della nuova città rinascimentale, con una conseguente libertà di
azione per portare a termine progetti familiari e personali. Risulta arduo,
dunque, pur non avendo ancora una documentazione esplicita e inequivocabile in
tal senso, non immaginare un Bartolomeo intento non solo a seguire gli
interessi del pontefice e del pubblico decoro e ornamento (come il suo ufficio
richiedeva), ma anche a favorire il fratello nei suoi progetti di espansione e
rinnovamento edilizio di cui avrebbe beneficiato tutta la famiglia, vivente il
cardinale e soprattutto post mortem
attraverso un’eredità che avrebbe avvantaggiato fratelli e nipoti in mancanza
di una discendenza propria del prelato. A confermare continuità e unità nella
politica immobiliare dei due fratelli, l’atto di acquisto del palazzo
all’angolo con Via Monterone da parte di Bartolomeo, proprio accanto ai
possedimenti del fratello Andrea, in quella che era stata designata dal nonno
Paolo come la nuova area della famiglia. Nel 1522 Bartolomeo acquistò da
Faustina Santacroce per 700 ducati due case vicine alla parrocchia di Santa
Maria in Monterone, descritte nell’atto come «domuncule simul iuncte […] depresse et ruinose» [23] ,
da riconoscersi oggi nel palazzo Pescatori-Serventi (fig. 6).
Gli affreschi al piano nobile del
Palazzo Della Valle
A
conservare la migliore testimonianza della committenza artistica di epoca
rinascimentale nel Palazzo Della Valle è il piano nobile con le sue due sale
affrescate: la Sala Donini, con un fregio cinquecentesco con festoni e giochi
di putti attribuiti a Léonard Thiry, ma soprattutto la Sala Serpieri, il cui
programma iconografico suggella, eloquente, il percorso dei Della Valle all'apice
con i fratelli Andrea e Bartolomeo (figg. 7-10).
La
fortuna critica degli affreschi ha subìto le conseguenze dell’inaccessibilità
di un palazzo privato e di una copertura in occasione di un intervento di
restauro o di rinnovamento del palazzo, non ancora rintracciato nei documenti. È solo nel 1941 che gli affreschi riaffiorano, al momento del passaggio di
proprietà degli eredi Del Bufalo-Della Valle alla Federazione Fascista dei
Commercianti e dei conseguenti lavori di restauro affidati all’ingegner Carlo
Forti. Poco noti al grande pubblico e alla letteratura specifica, se si
escludono le brevi menzioni nelle guide ai palazzi di Roma successive al 1941 e
nel volumetto curato da Pirzio Biroli Stefanelli per Confagricoltura [24] ,
Alessandra Uguccioni è la prima ad approfondire il tema del programma
iconografico degli affreschi che decorano il salone principale di palazzo Della
Valle. Per quanto riguarda, invece, la questione attributiva, si rimanda al
contributo di Nicole Dacos, in cui la studiosa individua, attraverso il
confronto stilistico, le mani di tre pittori provenienti da Bruxelles e
l’ideatore in Perin del Vaga [25] .
Sulla
base della ricostruzione del più ampio contesto di vicende della famiglia
vallense all’interno del quale si inserisce la decorazione della Sala Serpieri,
è possibile, a mio avviso, allargare il raggio interpretativo del soggetto
degli affreschi Della Valle, rispetto a quello allusivo alla contrapposizione
tra i quattro elementi e il processo di civilizzazione indicato dalla
Uguccioni.
Un
episodio simile, ma di un secolo successivo, si trova in Palazzo Lancellotti ai
Coronari. Patrizia Cavazzini [26]
ha dimostrato come la scelta del tema degli affreschi nel piano nobile
(successivi al 1620) sia stata influenzata dal desiderio della famiglia Lancellotti
di reagire alle accuse di non appartenere all’antica nobiltà romana. In tal
senso viene spiegata la scelta di ricreare illusionistiche architetture e
vedute lungo tutta la superficie delle pareti della Sala dei Palafrenieri.
Confrontando la situazione delle due famiglie, emerge un minimo comune
denominatore: al momento della scelta del tema degli affreschi, non era
trascorso che un secolo da quando i Lancellotti e i Della Valle si erano
stabiliti a Roma, i quali solo gradualmente e ad un’altezza cronologica recente
(e certo non mitica) riescono a raggiungere uno status sociale elevato, economicamente solido e socialmente
riconosciuto. La questione della nobiltà antica doveva essere tema fortemente
sentito dal cardinale Andrea, che tante energie e risorse aveva speso per la
ricostruzione dei palazzi devastati dalle lotte cittadine di fine secolo e per
ingrandire l’isolato della famiglia con nuovi edifici. Alla luce di queste
considerazioni mi sembra riduttivo limitarsi a leggere i paesaggi della Sala
Serpieri come una parte della rappresentazione simbolica dei quattro elementi o
come un semplice gioco di virtuosismo pittorico finalizzato a dare l’illusione
di un palazzo immerso nella quiete della campagna, pur trattandosi di un
palazzo nel cuore della città.
Il
grande e unico soggetto che sta alla base della decorazione ad affresco credo
possa essere individuato nell’esaltazione e nell’affermazione della nobiltà
della famiglia, poema visivo adempiente la medesima funzione di un mito di
fondazione. L’inserimento di vedute agresti rispondeva alla duplice esigenza di
richiamare tanto la posizione economica e sociale quanto gli interessi
intellettuali. Apparentemente sconveniente in quanto genere minore rispetto ai
più celebrati soggetti storici e mitologici [27] ,
il paesaggio era in realtà funzionale a mostrare da una parte le rovine
antiche di quella Roma di cui la famiglia si proclamava erede, dall’altra le
terre possedute dalla famiglia nella campagna romana, dalle quali traeva la sua
ricchezza (fig. 9). La composizione dei paesaggi, inoltre, derivava da una
veduta ideale e rappresentativa, spesso ispirata ai testi
antichi, non rappresentava il risultato dell’osservazione diretta di uno
specifico paesaggio: il gusto umanistico e antiquariale si rivelava anche in
queste citazioni implicite. Come nel caso Lancellotti analizzato da Cavazzini,
chiave di volta è l’analisi degli affreschi all’interno del contesto generale
del progetto del palazzo, contenitore della celebre collezione di antichità,
quasi si volesse riprodurre un’antica dimora romana. Le decorazioni ad affresco
delle antiche ville romane erano conosciute all’epoca solo attraverso le
descrizioni letterarie (da Plinio il Vecchio a Vitruvio e Varrone), nelle quali
emerge l’importanza delle vedute per gli antichi, elemento espressamente
richiesto al fine di riposare corpo e spirito.
La
correttezza di questa interpretazione di carattere storico-sociale verrebbe
ulteriormente confermata dalla presenza delle virtù cardinali e dei quattro
Cesari della fascia superiore dell’affresco: la virtù (la nobiltà d’animo) è il
secondo aspetto che, insieme all’antichità, determina la nobiltà di una
famiglia (fig. 10). La presenza dello stemma della famiglia e del cardinale che
interrompe il fregio continuo della fascia mediana verrebbe quindi ad assumere
il valore di sigillo di garanzia e codice interpretativo (figg. 1, 11). Questi
riferimenti dovevano apparire familiari e immediati agli occhi degli uomini di
primo Cinquecento, maggiormente abituati al linguaggio delle immagini e dei
simboli e spesso protagonisti di una fase di assestamento e delineamento degli
equilibri di potere. Il discorso sulla nobiltà nella prima modernità, infatti,
assumeva un’importanza nevralgica, tanto da indurre le famiglie a inventare
«fantastiche genealogie per proclamare discendenze dagli antichi romani» [28] ;
un simile riconoscimento non era meramente simbolico, ma aveva concrete
ripercussioni nella politica e nella società: dall’inclusione (o
dall’esclusione) nella definizione di nobiltà dipendeva l’accesso al potere, o
la partecipazione alla sua gestione.
La collezione di antichità
Il
fenomeno del collezionismo ha significato, sin dai suoi esordi, prestigio
sociale, ostentazione o affermazione di uno status [29] .
Nel caso di una famiglia non di origine romana e non di antica nobiltà come i
Della Valle, collezionare antichità acquisiva l’ulteriore valenza di biglietto
di ingresso per essere accettati e riconosciuti dalla società.
La
collezione del cardinale Andrea è stata al centro di molti studi inerenti al
fenomeno del collezionismo di antichità a Roma, grazie al capitolo cruciale che
essa rappresenta nella storia collezionistica non solo particolare della
famiglia Della Valle, ma della Roma rinascimentale tutta [30] .
A partire dalla constatazione che il messaggio affidato alla collezione era
racchiuso, molto più che nei singoli pezzi, nella sua disposizione, in questa
sede si è scelto di presentare il contenitore della collezione, piuttosto che
l’insieme dei pezzi di antichità che la componevano; l’attenzione verrà posta in
particolare su uno dei due cortili dedicati all’esposizione della collezione di
antichità, ovvero il cortile collocato nel palazzo di mezzo, il meno indagato
dalle fonti e dalla letteratura scientifica, il primo in ordine di tempo che
conserva ancora oggi la sua struttura architettonica seppur spogliato del ricco
arredo (fig. 12) [31] .
Anche
in questo caso, l’attività di collezionista del cardinale Andrea è affiancata
dal ruolo chiave di un Bartolomeo operativo sul campo come maestro di strade
tra il 1517 e il 1520. Credo opportuno sottolineare che l’interesse di
Bartolomeo per le antichità, probabilmente, non fu soltanto legato al prestigio
sociale suo e della famiglia. Papa Leone X, figlio del Magnifico, nella sua
formazione fiorentina aveva avuto contatti con diversi esponenti della cultura
umanistica e aveva acquisito familiarità con la cultura classica. Diventato
papa, rivelò una fine sensibilità nella scelta degli uomini che avrebbero
dovuto proteggere le vestigia della città eterna nominando, tra gli altri,
Raffaello commissario delle antichità, con breve apostolico il 27 agosto 1515,
e Bartolomeo maestro di strade qualche anno più tardi. Bartolomeo doveva aver
dunque già maturato, autonomamente, una passione e una conoscenza delle
antichità. In quanto responsabile degli scavi, Bartolomeo dovette poi avere
l’occasione di gestire l’afflusso di antichità che emergevano durante i nuovi
scavi o, addirittura, di suggerire nuovi scavi in luoghi strategici. Dal
momento che ad occuparsi della giurisdizione sulla tutela delle antichità
furono impegnate in prima linea magistrature municipali come conservatori e
maestri di strade, le manovre di Bartolomeo non costituiscono né una sorpresa,
né un’eccezione [32] .
La
modalità espositiva della collezione di antichità che viene scelta prevede un
layout esterno, in quanto diaframma tra l’interno del palazzo e l’esterno della
città, compromesso tra il silenzio e la quiete di un’ideale di vita solitaria e
contemplativa e la magnificentia e publica utilitas richiesti a un principe
– come d’altronde erano considerati i cardinali. Un disegno di Hans Vischer il
Giovane, datato 1515-1516 e conservato al Louvre, mostra l’assetto del cortile
del palazzo di mezzo [33] .
La somiglianza tra la struttura architettonica del cortile e quella degli
affreschi della Sala Serpieri risalta agli occhi, rafforzata dal fatto che riguarda
il medesimo palazzo e che le pareti del cortile che oggi appaiono di nudi
mattoni, in principio erano arricchite da rilievi e statue antiche e, forse, da
affreschi a imitazione della pittura antica, come suggeriva la moda. Al momento
di decorare la sala più grande del piano nobile, il cardinale Andrea deve aver
dato precise disposizioni perché si venisse a ricreare un dialogo tra interno
ed esterno, tanto nelle citazioni dei singoli pezzi della collezione
disseminati negli affreschi, quanto nell’insieme della sua disposizione.
Dietro
l’interesse collezionistico e l’attenzione “museografica” si cela la
dichiarazione della nobiltà dei Della Valle. Il cardinale si dimostra astuto e
accorto rifuggendo il culto dell’antenato: rinuncia ad eleggere arbitrariamente
ad iniziatore della dinastia vallense un eroe mitico o un personaggio della
storia antica, ma opta per una costruzione retorica più sofisticata e
complessa, meno esplicita e per questo più efficace, che si dispiega nelle
scelte del cardinale, del committente e del collezionista e che si avvale della
silente e costante sinergia del fratello Bartolomeo.
APPENDICE
L’iscrizione sul sepolcro di
Filippo Della Valle in Aracoeli
L’iscrizione,
estremamente nitida grazie ai recenti interventi di restauro, recita:
PHILIPPO DE VALLE
PATRITIO RO[MANO] PHILOSOPHIA BONARUMQ[UE]
LITTERAR[ARUM]
GLORIA INCLYTO CUIUS APUD ROMANOS PONTT[PONTIFICES] ET
ITALIAE
PRINCIPP[PRINCIPES] AVTORITAS TANTUM FLORENTISS[IMAE] FAMILIAE
DIGNITATIS CONTVLIT
QUANTUM ABILLA[AB ILLA] NOBILITATIS ADCOEPIT
VIX[IT] ANN[OS] LXIII M[ENSES] V D[IES] X ~ X III KL[KALENDAS]
MART[IAS] ~
~ M VI D
ANDREAS EPISCOP[US] CROTONIAT[ES] ET BARTHOLOMEVS PATRI OPT[IMO]
P[OSUERUNT]
|
A
Filippo Della Valle, patrizio romano,
celebre
per la filosofia e per la gloria delle belle lettere,
la
cui autorità presso i pontefici romani e presso i principi d’Italia
conferì
tanta dignità alla fiorentissima famiglia,
quanta
nobiltà ricevette da quella.
Visse
63 anni, 5 mesi, 10 giorni. [Morì] il 17 febbraio,
1494.
Andrea
vescovo di Crotone [34] e Bartolomeo dedicarono all’ottimo padre [35] .
|
NOTE
[1] Il presente testo è un estratto
della tesi di Laurea Triennale in Studi Storico-Artistici, discussa da chi
scrive il 9 luglio 2015 (Università di Roma La Sapienza); relatore il Professor
Alessandro Zuccari, tutor il Professor Stefano Colonna.
Ringrazio in primo luogo il mio relatore, il professor
Alessandro Zuccari, per la fiducia accordatami nell’affidarmi l’argomento e per
avermi guidata in questo percorso di ricerca. Ringrazio la dottoressa Orietta
Verdi per avermi accompagnata nel mio primo approccio ai documenti
dell’Archivio di Stato di Roma. La mia gratitudine va anche al professor
Stefano Colonna, non solo per il supporto e i consigli nella stesura della
tesi, ma anche per avermi fornito parte del materiale fotografico relativo agli
affreschi della Sala Serpieri del palazzo Della Valle; ringrazio, infine, il
dottor Vito Bianco di Confagricoltura per
l’autorizzazione concessa a Stefano Colonna di scattare le foto in
situ nel 2009.
[2] Nella scacchiera degli
equilibri politici ed economici romani si inseriscono i due alfieri Andrea e
Bartolomeo che operano con un saldo gioco di squadra, perseguendo una strada
tanto civile quanto ecclesiastica, assicurandosi una carriera
nella curia l’uno e nel municipio l’altro. In casi
simili si è parlato di “doppia strategia”; cfr. Anna ESPOSITO, «Li nobili huomini di Roma». Strategie familiari tra città, Curia e
municipio, in Roma capitale
(1447-1527), atti del convegno (San Miniato 1992), a cura di Sergio
GENSINI, Pisa, Pacini, 1994, pp. 373-388; Maria Antonietta VISCEGLIA, La nobiltà romana: dibattito
storiografico e ricerche in corso, in La nobiltà romana in età moderna: profili
istituzionali e pratiche sociali, a cura di Maria Antonietta VISCEGLIA,
Roma, Carocci, 2001, pp. XIII-XLI.
[3] Nel Dizionario Biografico degli Italiani non manca, invece, la voce
dedicata al fratello cardinale: Christina RIEBESELL, Della Valle Andrea, in Dizionario
Biografico degli Italiani, vol. 37, 1989. [http://www.treccani.it/enciclopedia/andrea-della-valle_(Dizionario-Biografico)/]
La prima a restituire il giusto
posto negli studi a Bartolomeo Della Valle è stata Orietta Verdi la quale,
attraverso le ricerche svolte soprattutto a partire dal Collegio dei Notai
Capitolini conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, ha aperto le danze e
ne ha impostato il profilo biografico; cfr. Orietta VERDI,
Da ufficiali capitolini a commissari apostolici: i Maestri delle Strade e
degli Edifici a Roma tra XIII e XVI secolo, in Il Campidoglio e Sisto V,
catalogo della mostra (Roma 1991), a cura di Luigi SPEZZAFERRO, Maria Elisa
TITTONI, Roma, Carte Segrete, 1991, pp. 54-61; EAD., Maestri di edifici e
di strade a Roma nel secolo XV. Fonti e problemi, Roma, R.R. inedita, 1997;
EAD., «Pro Urbis decore et ornamento». Il
controllo dello spazio edificabile a Roma tra XV e XVI secolo, in L’affermazione
della signoria pontificia su Roma nel Rinascimento: politica, economia e
cultura, atti del
convegno (Roma 2013), a cura di Maria CHIABÒ, Maurizio GARGANO, Anna
MODIGLIANI, Patricia OSMOND,
Roma, R.R. inedita, 2014, pp. 363-406. Per quanto riguarda i riferimenti ai documenti attraverso
i quali si è venuto costituendo il profilo di Bartolomeo conservati presso l’Archivio
Segreto Vaticano nel fondo Del Bufalo-Della Valle e presso l’Archivio di Stato
di Roma nei volumi del Collegio dei Notai Capitolini, rimando ai testi sopra
citati di Verdi; alcune indicazioni documentarie verranno ivi fornite nelle note
al testo. Dove non specificato, i riferimenti sono desunti dai contributi di
Verdi e dal lavoro di carattere documentario di Rehberg (cfr. Andreas REHBERG
(a cura di), Il Liber decretorum dello scribasenato Pietro Rutili. Regesti della più antica raccolta di
verbali dei consigli comunali di Roma (1515-1526), Roma, Fondazione Marco
Besso, 2010).
[4]
Con una lettera
patente conservata presso l’Archivio Segreto Vaticano (d’ora in poi ASV) nel
fondo Della Valle-Del Bufalo e datata 19 aprile 1498, i consoli di Messina
investono Bartolomeo Della Valle dell’incarico di loro agente a Roma (cfr. Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op.
cit., p. 391).
[5] Di seguito si riporta la notazione
archivistica degli atti rogati dal notaio Stefano de Amannis e raccolti nei
volumi del Collegio dei Notati Capitolini
conservato presso l’Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR, CNC), segnalati in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op.
cit., pp. 393-5: ASR, CNC, vol. 60,
c. 53r, (7 gennaio 1507) per la casa in Ronciglione; ASR, CNC, vol. 62, c. 344r (20 gennaio 1519) per la casa nel rione
Monti; ASR, CNC, vol. 73, c. 338r (30
agosto 1520) per la casa nel rione Trevi; ASR, CNC, vol. 66, cc. 12r-14r (29 gennaio 1522) per la casa nel rione
Sant’Eustachio.
[6]
I Della Valle
partecipano alla realizzazione degli apparati effimeri lungo la via
Papalis e per la composizione
dell’arco di trionfo utilizzano elementi della collezione di statue antiche.
[8] Le funzioni dei maestri di
strade prevedevano azioni tanto giudiziarie quanto amministrative e
urbanistiche, riassumibili schematicamente in quattro punti: la funzione
ispettiva e giudiziaria; la nettezza urbana; la viabilità; la vigilanza e
la regolamentazione dell’edilizia e dell’ornato cittadino. Come giudici
intervenivano nelle controversie dei privati in tema di confini, edifici, mura,
scoli e deflussi di acque; imponevano e riscuotevano multe; sorvegliavano la
viabilità urbana ed extraurbana (strade consolari e ponti, strade suburbane,
fossi) e la rete fognaria, regolando, quando necessarie, riparazioni,
rettificazioni, costruzioni delle strade vecchie e nuove. È soprattutto nel
campo dell’edilizia, però, che i maestri esercitavano le loro funzioni; per
farlo erano muniti di strumenti potenti con i quali era possibile inserirsi nella
gestione del suolo pubblico: tra questi vi era la facoltà di concedere licenze
edilizie.
[9] Sovente legato ad un’idea di
splendore e rinnovamento artistico che investe tutta la città di Roma
all’inizio del XVI secolo, complice l’immagine di un’età dell’oro che si forma
a partire da Paolo Giovio suo biografo, il pontificato di Leone X fu, in concreto,
povero di grandi realizzazioni. Gli studi recenti sono sostanzialmente concordi
nel ridimensionare la portata delle committenze medicee e a circoscriverle,
piuttosto, nell’ambito di atmosfera e progetti e all’interno di un più vasto
programma in cui publica utilitas, pax, caritas,
sapientia e radicamento della
famiglia Medici a Roma avevano eguale peso. Cfr. Mauro MUSSOLIN,
La committenza architettonica tra Roma e
Firenze al tempo di Leone X, in Nello
splendore Mediceo. Papa Leone X e Firenze, catalogo della mostra (Firenze
2013), a cura di Nicoletta BALDINI, Monica BIETTI, Firenze, Sillabe, 2013, pp.
192-203; Marco
PELLEGRINI, Leone X, op. cit.; Paolo
PORTOGHESI, Architettura del Rinascimento
a Roma, Milano, Electa, 1979; Manfredo TAFURI, “Roma instaurata”. Strategia urbane e politiche pontificie nella Roma
del primo Cinquecento, in Raffaello
architetto, catalogo della mostra (Roma 1984), a cura di Christoph Luitpold
FROMMEL, Stefano RAY, Manfredo TAFURI, Milano, Electa, 1984, pp. 59-107; ID., Ricerca del Rinascimento: principi, città,
architetti, Torino, Einaudi, 1992.
[10] La bolla leonina non era altro
che un escamotage con il quale il
pontefice mirava a ottenere un obiettivo duplice: abbellire la città con il
restauro o con la costruzione di nuovi edifici; assicurarsi la lealtà di quei mercatores florentini Romanam Curiam sequentes, gli unici ad
avere la disponibilità economica necessaria per ottenere l’acquisto di edifici
con la promessa di restaurarli.
[11] Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op.
cit., pp. 382, 389 e nota 79.
[12] Andreas REHBERG (a cura di), Il Liber decretorum…, op. cit., in part. pp. 69-322 (regesti).
[13] Dai documenti che segnala Orietta Verdi (in Orietta VERDI, «Pro
Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 393) emerge quanto segue: Bartolomeo vende a Gerardo
Petri legnaiolo 36 bufali per 396 ducati (ASR, CNC, vol. 61, c. 745r, 4 maggio 1518) e ad Antonio de Clodiis del
rione Trastevere e a Giovanni Battista Delfini del rione Sant’Angelo 40 bufali
per 440 ducati da pagarsi in 18 mesi (ASR, CNC,
vol. 62, c. 233r); il mercante fiorentino Nicola Capparelli dichiara di essere debitore di 615 ducati
relativamente ad un acquisto di piombo (ASR, CNC, vol. 61, c. 760r, 15 maggio 1518); Bartolomeo ottiene un affitto a vita per la pescheria
di Santa Cecilia (ASR,
CNC, vol. 61, c. 778r, notaio Stefano
De Amannis, 20 luglio 1518).
[14] ASR, CNC, vol. 62, c. 468r, notaio Stefano De Amannis, 24 ottobre 1519
(in Orietta VERDI, «Pro
Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 393).
[15] ASR, CNC, vol. 65, c. 210r, notaio Stefano De Amannis, 9 agosto 1520 (in Orietta
VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 393).
[16] ASR, CNC, vol. 66, cc. 12r-14r, notaio Stefano de Amannis, 29 gennaio
1522 (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 395 e nota 102); ASR,
CNC, vol. 69, c. 126r, notaio Stefano
de Amannis, 4 agosto 1523 (in Orietta VERDI,
«Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 396 e nota 104).
[17] Pier Paolo PIERGENTILI, Gianni
VENDITTI (a cura di), Scorribande,
Lanzichenecchi e soldati ai tempi del Sacco di Roma: papato e Colonna in un
inedito epistolario dall'Archivio Della Valle-Del Bufalo (1526-1527), Roma,
Gangemi, 2009, p. 141, 153, 210: lettere del 15 novembre 1526 (scritta da Cesare de’ Cesari a Lelio Della Valle, ASV, Arch. Della Valle-Del Bufalo 34, f. 166r-v) e del 22 novembre 1526
(scritta da Lelio Della
Valle al fratello Fabrizio Della Valle, ASV, Arch. Della
Valle-Del Bufalo 34, f. 180r).
[18] Queste le parole con le quali i
figli ricordano il padre nell’iscrizione presente nel sepolcro in Aracoeli. Per
una trascrizione e traduzione dell’iscrizione si veda l'Appendice.
[19] Un’aria di famiglia si
percepisce nel profilo del defunto che ricorda quello che verrà realizzato anni
più tardi e in formato minore nella medaglia coniata per il cardinale Andrea
in ricordo della cerimonia di apertura e chiusura della porta santa da lui
presieduta per il giubileo del 1525. Una riproduzione della medaglia è
riportata in Kathleen WREN CHRISTIAN,
“Instauratio” and “Pietas”: The della Valle Collections of Ancient Sculpture, in
“Studies in the History of Art”, 70, 2008, pp. 32-65, in part. p. 42 e
fig. 14.
[20] Cfr. Fabio BENZI, Aspetti dell’arte a Roma sotto il
pontificato di Sisto IV, in La forma
del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e la scultura a Roma
nel Quattrocento, catalogo della mostra (Roma 2010), a cura di Claudio
CRESCENTINI, Claudio STRINATI, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 77-85,
in part. p. 79; Adriana AUGUSTI, Artisti
e botteghe lombardo-venete e padovane a Roma nel Quattrocento, in La forma del Rinascimento… op. cit., pp.
55-65, in part., p. 57.
[21] Paola BRUNORI, Alessandro
GRASSIA, I palazzi dell’Isola della Valle
in Roma, in “Architettura”, 1989, 1/2, pp. 64-83; EAD., Federica DE
RUBERTIS, ID., Palazzo della Valle-del
Bufalo e l’“isola” della Valle in Roma, in “Rassegna di architettura e
urbanistica”, 23, 1990, n.70, pp. 138-145; Maria Cristina PAOLUZZI, La
famiglia della Valle e l’origine della collezione di antichità, in Collezioni
di antichità a Roma tra ‘400 e ‘500, a cura di Anna CAVALLARO, Roma, De
Luca, 2007, pp. 147-186.
[22] Maria Letizia GUALANDI, «Roma resurgens». Fervore edilizio,
trasformazioni urbanistiche e realizzazioni monumentali da Martino V Colonna a
Paolo V Borghese, in Roma del
Rinascimento, a cura di Andrea PINELLI,
Roma, Laterza, 2001, pp. 123-160, in part. p. 145.
[23] ASR, CNC, vol. 66, cc. 12r-14r, notaio
Stefano de Amannis, 29 gennaio 1522 (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op.
cit., p. 395 e nota
102).
[24] Luigi CALLARI, I palazzi di Roma,
Roma, Apollon, 19443 [19071]; Giorgio TORSELLI, Palazzi di Roma, Milano, Ceschina, 1965;
Lucia PIRZIO BIROLI STEFANELLI, Palazzo
Della Valle: la collezione di antichità ed il Menologium rusticum Vallense,
Roma, Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana, 1976.
[25] Alessandra UGUCCIONI, Decorazione
e collezionismo antiquario nella sala grande di palazzo Della Valle, in Roma, centro ideale della cultura
dell’antico nei secoli XV e XVI. Da Martino V al Sacco di Roma, atti del
convegno (Roma 1985), a cura di Silvia DANESI SQUARZINA, Milano, Electa, 1989,
pp. 356-364; Nicole DACOS, Perin del Vaga
et trois peintres de Bruxelles au palais Della Valle, in “Prospettiva”,
91/92, 1998, pp. 159-170.
[26] Patrizia CAVAZZINI, Palazzo Lancellotti ai Coronari: cantiere di
Agostino Tassi, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1998,
in part. pp. 39-60 sui paesaggi e sulle finte architetture della Sala dei
Palafrenieri.
[27] Si vedano le quattrocentesche
indicazioni albertiane sulla classificazione (e gerarchia) dei generi
pittorici.
[28] Patrizia CAVAZZINI,
Palazzo Lancellotti ai Coronari…, op.
cit., p. 56.
[29] Gli studi sul collezionismo
della prima età moderna costituiscono un insieme molto ampio e variegato,
trattandosi di un tema centrale per la definizione di categorie come
“Umanesimo” e “Rinascimento” e per la comprensione del fenomeno culturale e
sociale al quale si riferiscono. Per un primo approfondimento sulle tappe e sui
significati del fenomeno del collezionismo cfr. Sara MAGISTER, Censimento delle collezioni di antichità a
Roma: 1471-1503, in “Xenia antiqua”, vol. 8, 1999, pp. 129-204; EAD., Censimento delle collezioni di antichità a
Roma (1471-1503): Addenda, in “Xenia antiqua”, vol. 10, 2001, pp. 113-154;
Claudio FRANZONI, “Rimembranze d’infinite
cose”: Le collezioni rinascimentali di antichità, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di Salvatore SETTIS,
I, Torino, Einaudi, 1984, pp. 299-360; ID., “Urbe
Roma in pristinam formam renascente”. Le antichità di Roma durante il
Rinascimento, in Roma del
Rinascimento op. cit., pp. 291-336; Patricia
FALGUIÈRES, La cité fictive. Les
collections de cardinaux, à Rome, au XVIème siècle, in Les Carrache et les décors profanes, atti del convegno (Roma
1986), a cura di André CHASTEL Roma, École française de Rome, 1988, pp.
215-333; Michele
FRANCESCHINI, La magistratura capitolina
e la tutela delle antichità di Roma nel XVI secolo, in “Archivio della
Società romana di Storia Patria”, 109, 1986, pp. 141-150; infine l’ormai
classico, per gli studi del settore, Rodolfo LANCIANI, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di
antichità (1000-1530), Roma, Quasar, 1989 [1902].
[30] Per un quadro esaustivo sulla
storia della collezione Della Valle, imprescindibili punti di partenza sono
stati i recenti studi di Paoluzzi e Wren Christian: Maria Cristina PAOLUZZI, La
famiglia della Valle… op. cit.;
Kathleen WREN CHRISTIAN, The Della Valle
sculpture court rediscovered, in “The Burlington magazine”, 145, 2003, pp.
847-850; EAD., “Instauratio”
and “Pietas”… op. cit.; EAD., Empire without end. Antiquities collections in Renaissance Rome, c. 1350-1527, New Haven-Londra, Yale University Press, 2010.
[31] Con l’elevazione alla dignità
cardinalizia (1517), il palazzo di mezzo, sebbene rinnovato, appare inadeguato;
quando nel conclave del 1521 il nome del Della Valle è tra i candidati al
soglio pontificio, l’esigenza di una nuova dimora più fastosa e di una
collezione ancor più prestigiosa diventa impellente e il cardinale avvia la
costruzione di un nuovo palazzo, vicino ma distaccato dai precedenti: il futuro
palazzo Capranica-Del Grillo, che ospiterà il secondo e più celebre giardino
pensile, da Vasari attribuito al Lorenzetto.
[32] Sibillina a tal proposito è
l’affermazione di Pirzio Biroli Stefanelli: «coloro che avevano la carica di
maestri di strade non esitavano ad appropriarsi di quanto capitava loro per le
mani durante i pubblici lavori» (Lucia PIRZIO BIROLI STEFANELLI, Palazzo Della Valle…, op. cit., p. 27).
[33] Una riproduzione del disegno di
Hans Vischer il Giovane, Cortile del
palazzo di mezzo, 1515-1516, Musée du Louvre, Parigi è in Kathleen WREN
CHRISTIAN, “Instauratio”
and “Pietas”… op. cit., p. 40, fig. 7.
[34] Questa
indicazione confermerebbe la datazione in corrispondenza della data della morte
di Filippo, 1494; Andrea, infatti, fu nominato vescovo di Crotone nel 1492.
[35] Un
medesimo estratto dell’iscrizione era già stato riportato da Gatta e Paoluzzi
(cfr. Bruno GATTA, Dal casale al libro: i
Della Valle, in Scrittura,
biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, (Città del Vaticano 1982), a
cura di Massimo MIGLIO, Città del Vaticano, Scuola vaticana di paleografia,
diplomatica e archivistica, 1983, pp. 629-652, in part. p. 639, «patritius
Romanus philosophiae bonarumque
litterarum gloria inclytus»; Maria Cristina PAOLUZZI, La famiglia della
Valle… op. cit., in part. p.
152 «patritius romanum philosophia
bonarumque litterarum gloria inclytus»; con i corsivi segnalo le lievi
differenze ed errori di trascrizione). Si deduce che Filippo Della Valle era
nato il 7 settembre 1430. Qui si riporta la trascrizione integrale
dell’iscrizione e la sua traduzione. Una trascrizione, priva però dello
scioglimento delle abbreviazioni e di traduzione, era stata inserita, da quanto
mi risulta, solo da Luigi Gaetano Marini nel suo Degli archiatri pontifici (1784) e precedentemente da F. Casimiro
in Memorie istoriche della chiesa e
convento di Santa Maria in Araceli di Roma (1736).
BIBLIOGRAFIA
AUGUSTI 2010
Adriana AUGUSTI, Artisti e botteghe lombardo-venete e padovane a Roma nel Quattrocento, in La forma del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e la scultura a Roma nel Quattrocento, catalogo della mostra (Roma 2010), a cura di Claudio CRESCENTINI, Claudio STRINATI,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 55-65.
BENZI 2010
Fabio
BENZI, Aspetti dell’arte a Roma sotto il pontificato di Sisto IV, in La forma del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e la scultura a Roma nel Quattrocento,
catalogo della mostra (Roma 2010), a cura di Claudio CRESCENTINI,
Claudio STRINATI, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 77-85.
BRUNORI, GRASSIA 1989
Paola
BRUNORI, Alessandro GRASSIA, I palazzi dell’Isola della Valle in Roma, in “Architettura”, 1989, 1/2, pp. 64-83.
BRUNORI, DE RUBERTIS, GRASSIA 1990
EAD.,
Federica DE RUBERTIS, ID., Palazzo della Valle-del Bufalo e l’“isola” della Valle in Roma, in “Rassegna di architettura e urbanistica”, 23, 1990, n.70, pp. 138-145.
CALLARI 1944
Luigi CALLARI, I palazzi di Roma, Roma, Apollon, 19443[19071].
CAVAZZINI 1998
Patrizia
CAVAZZINI, Palazzo Lancellotti ai Coronari: cantiere di Agostino Tassi, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1998.
DACOS 1998
Nicole
DACOS, Perin del Vaga et trois peintres de Bruxelles au palais Della Valle, in “Prospettiva”, 91/92, 1998, pp. 159-170.
ESPOSITO 1994
Anna
ESPOSITO, «Li nobili huomini di Roma». Strategie familiari tra città, Curia e municipio, in Roma capitale (1447-1527), atti del convegno (San Miniato 1992), a cura di Sergio GENSINI, Pisa, Pacini, 1994, pp. 373-388.
FALGUIÈRES 1988
Patricia
FALGUIÈRES, La cité fictive. Les collections de cardinaux, à Rome, au XVIème siècle, in Les Carrache et les décors profanes, atti del convegno (Roma 1986), a cura di André CHASTEL Roma, École française de Rome, 1988, pp. 215-333.
FRANCESCHINI 1986
Michele
FRANCESCHINI, La magistratura capitolina e la tutela delle antichità di Roma nel XVI secolo, in “Archivio della
Società romana di Storia Patria”, 109, 1986, pp. 141-150.
FRANZONI 1984
Claudio FRANZONI, “Rimembranze d’infinite cose”: Le collezioni rinascimentali di antichità, in Memoria
dell’antico nell’arte italiana, a cura di Salvatore SETTIS, I, Torino, Einaudi, 1984, pp. 299-360.
FRANZONI 2001
ID.,
“Urbe Roma in pristinam formam renascente”. Le antichità di Roma durante il Rinascimento, in Roma del Rinascimento, a cura di Andrea PINELLI, Roma, Laterza, 2001, pp. 291-336.
GATTA 1983
Bruno
GATTA, Dal casale al libro: i Della Valle,
in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, (Città del Vaticano 1982), a cura di Massimo MIGLIO,
Città del Vaticano, Scuola vaticana di paleografia, diplomatica e archivistica, 1983, pp. 629-652.
GUALANDI 2001
Maria
Letizia GUALANDI, «Roma resurgens».
Fervore edilizio, trasformazioni urbanistiche e realizzazioni monumentali da Martino V Colonna a Paolo V Borghese, in Roma del Rinascimento, a cura di Andrea PINELLI, Roma, Laterza, 2001, pp. 123-160.
LANCIANI 1989
Rodolfo
LANCIANI, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità (1000-1530), Roma, Quasar, 1989 [1902].
MAGISTER 1999
Sara
MAGISTER, Censimento delle collezioni di antichità a Roma: 1471-1503, in “Xenia antiqua”, vol. 8, 1999, pp. 129-204.
MAGISTER 2001
EAD.,
Censimento delle collezioni di antichità a Roma (1471-1503): Addenda, in “Xenia antiqua”, vol. 10, 2001, pp. 113-154.
MUSSOLIN 2013
Mauro
MUSSOLIN, La committenza architettonica tra Roma e Firenze al tempo di Leone X, in Nello splendore Mediceo. Papa Leone X e Firenze, catalogo della mostra (Firenze 2013), a cura di Nicoletta BALDINI, Monica BIETTI, Firenze, Sillabe, 2013, pp. 192-203.
PAOLUZZI 2007
Maria Cristina PAOLUZZI, La famiglia della Valle e l’origine della collezione di antichità, in Collezioni di antichità a Roma tra ‘400 e ‘500, a cura di Anna CAVALLARO, Roma, De Luca, 2007, pp. 147-186.
PELLEGRINI 2000
Marco
PELLEGRINI, Leone X, in Enciclopedia dei Papi, III, 2000.
[http://www.treccani.it/enciclopedia/leone-x_(Enciclopedia-dei-Papi)/]
PIERGENTILI, VENDITTI 2009
Pier Paolo PIERGENTILI,
Gianni VENDITTI (a cura di), Scorribande,
Lanzichenecchi e soldati ai tempi del Sacco di Roma: papato e Colonna
in un inedito epistolario dall'Archivio Della Valle-Del Bufalo
(1526-1527), Roma, Gangemi, 2009.
PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1976
Lucia
PIRZIO BIROLI STEFANELLI, Palazzo Della
Valle: la collezione di antichità ed il Menologium rusticum Vallense, Roma, Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana, 1976.
PORTOGHESI 1979
Paolo PORTOGHESI, Architettura del Rinascimento a Roma, Milano, Electa, 1979.
REHBERG 2010
Andreas REHBERG (a cura di), Il Liber decretorum dello
scribasenato Pietro Rutili. Regesti della più antica raccolta di verbali dei consigli comunali di Roma (1515-1526), Roma, Fondazione Marco Besso, 2010.
RIEBESELL 1989
Christina
RIEBESELL, Della Valle Andrea, in Dizionario Biografico degli Italiani,
vol. 37, 1989.
[http://www.treccani.it/enciclopedia/andrea-della-valle_(Dizionario-Biografico)/]
TAFURI 1984
Manfredo TAFURI, “Roma instaurata”. Strategie urbane e
politiche pontificie nella Roma del primo Cinquecento, in Raffaello architetto, catalogo della
mostra (Roma 1984), a cura di Christoph Luitpold FROMMEL, Stefano RAY, Manfredo TAFURI, Milano, Electa, 1984, pp. 59-107.
TAFURI 1992
ID., Ricerca del Rinascimento: principi, città, architetti, Torino, Einaudi, 1992.
TORSELLI 1965
Giorgio TORSELLI, Palazzi di Roma, Milano, Ceschina, 1965.
UGUCCIONI 1989
Alessandra UGUCCIONI, Decorazione
e collezionismo antiquario nella sala grande di palazzo Della Valle, in Roma, centro ideale della cultura
dell’antico nei secoli XV e XVI. Da Martino V al Sacco di Roma, atti del
convegno (Roma 1985), a cura di Silvia DANESI SQUARZINA, Milano, Electa, 1989, pp. 356-364.
VERDI 1991
Orietta
VERDI, Da ufficiali capitolini a commissari apostolici: i Maestri delle
Strade e degli Edifici a Roma tra XIII e XVI secolo, in Il Campidoglio e
Sisto V, catalogo della mostra (Roma 1991), a cura di Luigi SPEZZAFERRO,
Maria Elisa TITTONI, Roma, Carte Segrete, 1991, pp. 54-61.
VERDI 1997
EAD., Maestri di edifici e di strade a Roma nel
secolo XV. Fonti e problemi, Roma, R.R. inedita, 1997.
VERDI 2014
EAD., «Pro Urbis decore et ornamento». Il controllo dello spazio edificabile
a Roma tra XV e XVI secolo, in L’affermazione della signoria pontificia
su Roma nel Rinascimento: politica, economia e cultura, atti del convegno (Roma 2013), a cura di Maria
CHIABÒ, Maurizio GARGANO, Anna MODIGLIANI, Patricia OSMOND, Roma, R.R. inedita, 2014, pp. 363-406.
VISCEGLIA 2001
Maria
Antonietta VISCEGLIA, La nobiltà romana: dibattito storiografico e ricerche
in corso, in La nobiltà romana in età moderna: profili istituzionali e pratiche
sociali, a cura di Maria Antonietta VISCEGLIA, Roma, Carocci, 2001, pp. XIII-XLI.
WREN
CHRISTIAN 2003
Kathleen WREN CHRISTIAN, The Della Valle sculpture court rediscovered, in “The Burlington
magazine”, 145, 2003, pp. 847-850.
WREN
CHRISTIAN 2008
EAD., “Instauratio”
and “Pietas”: The della Valle Collections of Ancient Sculpture, in “Studies in the History of Art” , 70, 2008, pp. 32-65.
WREN
CHRISTIAN 2010
EAD., Empire
without end. Antiquities collections in Renaissance Rome, c. 1350-1527, New
Haven-Londra, Yale University Press, 2010.
|