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Bartolomeo Della Valle: maestro di strade, committente e collezionista di antichità (1468-1526) [1]  

Alessandra Pratesi
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 7 Maggio 2016, n. 806
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Con Bartolomeo Della Valle la storia non è stata prodiga di testimonianze. Figura dalle molteplici sfaccettature, Bartolomeo è stato membro della municipalità, uomo del papa e fratello di un cardinale; erede di un impero familiare costruito sui prodotti dei casali, sul commercio di bestiame, piombo e denaro; per sangue appartenente alla nuova nobiltà, per mentalità e destrezza negli affari – economici e politici – già borghese e imprenditore. Perfettamente inserito nelle dinamiche della Roma rinascimentale, Bartolomeo operò per e con la famiglia, in sinergia e sotto l’egida Della Valle. Non è facile far emergere il contributo che diede alla storia politica, economica, amministrativa, culturale del primo quarto del Cinquecento; la storia dell’arte, in particolare, non gli ha ancora tributato il giusto riconoscimento per l’attività di committente e collezionista svolta all’ombra del più famoso cardinale Andrea, suo fratello [2] .

Con questo mio studio ho perseguito l’obiettivo di una ricostruzione il più possibile a tutto tondo e cronologicamente esaustiva del personaggio Bartolomeo. Fare luce su una figura come Bartolomeo Della Valle ha significato avere una chiave di accesso privilegiata alla storia rinascimentale di Roma e alla microstoria della famiglia lungo i secoli. Su una simile base di conoscenze consolidate e specifiche è stato possibile avanzare nuove interpretazioni per il fenomeno delle committenze e del collezionismo vallense, in particolare per quanto concerne il messaggio affidato al programma iconografico degli affreschi della sala grande al piano nobile del palazzo del cardinale, che - a quanto mi risulta - non è stato ancora sufficientemente indagato.

 

I. Un profilo biografico

 

I primi anni (1468-1517)

In assenza di una voce a lui dedicata nel Dizionario Biografico degli Italiani, ritengo utile soffermarmi sul profilo biografico di Bartolomeo Della Valle [3] .

L’anno di nascita di Bartolomeo Della Valle è da individuare nel 1468. È il secondogenito di Filippo e Gerolama Margani; il primogenito Andrea (futuro cardinale) era nato cinque anni prima (fig. 1). In base alle tradizioni familiari (proprietari terrieri e mercanti di bestiame, avvocati concistoriali, ecclesiastici e archiatri pontifici) e agli sviluppi futuri delle sue attività (incarichi nell’ambito delle magistrature municipali, mercante e imprenditore, collezionista e committente), è verosimile ipotizzare studi e interessi nel doppio filone umanistico e giuridico, inserendosi perfettamente nelle dinamiche del potere, economico e politico, della sua epoca e in quel processo di nobilitazione che la famiglia portava avanti ormai da generazioni. Alla fine del Trecento erano state gettate le fondamenta della solidità economica della famiglia, solidità basata sulle proprietà terriere e sull’investimento del ricavato dei commerci e del prestito di denaro. Passi successivi sarebbero stati l’elevazione del prestigio sociale della famiglia in senso sociale e professionale e il consolidamento dello status della famiglia originariamente di bovattieri. Ultimo gradino dell’ascesa sociale, per il quale grandi energie spese soprattutto Paolo Della Valle (†1440), il nonno di Bartolomeo, è la politica culturale, la nobilitazione attraverso l’attenzione all’arte e alla cultura, gli interessi umanistici e intellettuali accanto alla cura e all’amministrazione del patrimonio.

Le prime notizie che riguardano direttamente Bartolomeo risalgono al 1498, quando i consoli di Messina lo designano loro agente a Roma [4] . Dai primissimi anni del Cinquecento il suo nome compare con più frequenza. Nel 1505 è Conservatore e dal 1507 è spesso protagonista di investimenti immobiliari: sono attestate case a Ronciglione, nel rione Monti, nel rione Trevi e nel rione Sant’Eustachio [5] . Nella prima metà degli anni Dieci Bartolomeo getta le fondamenta della sua rete di alleanze e capitali economici, affiancato dal costante supporto della famiglia, che a quell’altezza cronologica vedeva rafforzato il proprio potere di influenza con la nomina a vescovo di Mileto del fratello Andrea nel 1508. Nel 1511 giura la pax romana; nel 1513 investe ingenti capitali nella gestione di redditizie entrate camerali; ottiene l’appalto della dogana Mercium pagato 5.000 ducati e pochi giorni dopo acquista l’appalto della salara di Fano; Bartolomeo compare tra i 10 consiliarii che, a partire dal 1513, dovevano affiancare i conservatori. L’anno 1513 è anche il primo di pontificato di Giovanni de’ Medici, al quale i fratelli Della Valle dovranno molta della loro fortuna in termini di avanzamento di carriera, municipale e curiale, potenzialità di cui hanno consapevolezza, o aspettativa, come testimonia l’omaggio reso al nuovo sovrano di Roma durante la cerimonia del possesso [6] . Nel 1515, quando l’appalto della gabella dello Studio viene venduto al suo socio e mercante fiorentino Giovanni Ardinghelli, Bartolomeo ne diventa depositario; l’anno seguente, insieme ai banchieri Ventura, ottiene l’appalto della dogana di Ripa e Ripetta. Nel novembre 1516 sono avviate le trattative (con conclusione prevista entro il 1° gennaio 1517) perché gli uffici dati in pegno a Bartolomeo Della Valle fossero restituiti al popolo romano, attraverso la vendita all’asta; si trattava degli uffici di depositario generale della Camera Urbis e della gabella dello Studio, protonotario della Curia Capitolii e notaio dei porti di Ripa e Ripetta, maresciallo, mandatarius, extimator transtrorum e statera di Ripa e Ripetta.

Il momento in cui Bartolomeo viene privato di questi uffici (per poi riappropriarsene, in parte, nel 1519) si rivelerà, invece, propizio. Anno cruciale nell’iter di Bartolomeo Della Valle è, infatti, il 1517: il 1° luglio Andrea è tra i neoeletti cardinali della celebre “infornata”, mentre già dal mese di gennaio Bartolomeo era magister stratarum insieme a Raimondo Capodiferro, carica che verrà loro confermata per quattro anni consecutivi (1517-1520). Sono gli anni di maggior impegno per la conduzione della politica urbanistica di papa Leone X, a cominciare dalla creazione della via Leonina (oggi via di Ripetta), operazioni per le quali fondamentale era che il ruolo di magistri stratarum fosse affidato a persone di fiducia del papa. Definire Bartolomeo Della Valle un uomo di fiducia del pontefice è forse azzardato, ma è certo che le sorti sue e della famiglia (come del resto era valido per ogni clan romano) fossero strettamente legate all’avvicendarsi dei successori di Pietro. Allo stesso modo i pontefici non potevano ignorare simile rete di alleanze e accordi, in particolare papa Medici. Il suo pontificato, infatti, soffriva continuamente di una «endemica crisi finanziaria» [7] e Leone X non si dimostrava insensibile agli ingenti capitali acquisiti da Bartolomeo (dunque in generale dalla famiglia Della Valle), attraverso la sua attività di banchiere e di mercante.

 

Bartolomeo maestro di strade (1517-1520)

I quattro anni che vedono Bartolomeo Della Valle maestro di strade [8] (1517-1520) coprono esattamente l’ultimo periodo del pontificato di Leone X (1513-1521). Nell’ambito di progetti e di cantieri pontifici nel quale si trovò ad operare Bartolomeo, fondamentale è l’intervento sull’assetto viario della città: nuove e vecchie vie dovevano convergere sui molteplici centri della città e unirli, ovvero il Vaticano alla città, l’urbs medicea (nella zona di piazza Navona) alla città, la chiesa di Santa Maria del Popolo (vicina all’ospedale di San Giacomo in Augusto, simbolo di caritas) alla sede dell’università (simbolo della sapientia). In questa prospettiva viene ad assumere una posizione privilegiata proprio quella via Leonina alla quale il pontefice volle legare il suo nome. A personalità del calibro di Raffaello e Antonio da Sangallo il Giovane il papa aveva affidato la responsabilità della supervisione e risoluzione dei problemi di natura tecnica ed estetica; ai magistri viarum Bartolomeo Della Valle e Raimondo Capodiferro, invece, la direzione dei lavori. E sin dal suo debutto, l’incarico dei magistri Della Valle e Capodiferro presenterà un legame “genetico” con il progetto della via Leonina. Nei primi mesi del 1517 un motu proprio di Leone X, indirizzato a Cristoforo Barozio e Niccolò Gaddi (chierici di Camera) e a Bartolomeo e Raimondo (maestri di strade), sollecitava il completamento dei lavori di ampliamento e regolarizzazione della piazza e della via Leonina. Un breve, datato 11 ottobre dello stesso anno, forniva ai due magistri lo strumento per imporre nuove tasse da devolvere al finanziamento dei lavori della via Leonina, fondamentale per ogni fedele dal momento che li collegava alla chiesa di Santa Maria del Popolo [9] .

Nel corso del loro mandato, Bartolomeo e Raimondo si trovano frequentemente ad assicurare le condizioni perché il progetto leonino di abbellimento e sistemazione della città potesse attuarsi. Le armi nelle loro mani sono di volta in volta gli espropri, le vendite coatte, l’allineamento e la pavimentazione delle strade, la concessione di terreno edificabile, la composizione di liti, l’applicazione della bolla papale «in favorem […] edificare volentium» [10] .

Il 1520 è l’ultimo del mandato di Bartolomeo e Raimondo come maestri di strade e coincide con il penultimo del pontificato di Leone X. Ha il gusto di una decisione e di un presentimento, infatti, il motu proprio del mese di febbraio con il quale Leone X dona 225 canne di terreno sulla via Leonina a Bartolomeo e Raimondo, per un valore che Verdi calcola di circa 900 ducati; è sempre Verdi ad ipotizzare che una donazione così consistente avesse il significato di una ricompensa per i lavori portati a termine con successo [11] .

 

Gli ultimi anni (1517-1526)

L’esercizio del ruolo di maestro di strade rappresenta un capitolo fondamentale nell’iter di Bartolomeo Della Valle – e di certo il più indagato dagli studi. Bartolomeo ricopre, però, anche altre cariche all’interno del contesto municipale, e più precisamente nella gestione delle risorse finanziarie. Tra il 1517 e il 1523 è depositario generale officialium romanorum e gestisce gli uffici doganali capitolini in qualità di agente delle banche fiorentine, cariche considerate tanto strategiche da richiedere la presenza di un cives romanus accanto ai banchieri forestieri. Tra il 1517 e il 1525 Bartolomeo, non in veste di magister viarum, ma più spesso nel ruolo di depositarius, compare come testimone o come protagonista dei documenti raccolti nel Liber decretorum dello scribasenato Pietro Rutili [12] : si occupa di vendite di uffici, di risoluzione di liti (pena multe); è membro di una commissione per elaborare una riforma delle doti, del vestiario delle donne, dei funerali con l’obiettivo di ridurre gli sprechi (come già approvato dal papa e dai cardinali); conduce una protesta relativa alla gabella studii contro alcuni cardinali; viene sollecitato per il pagamento degli officiales romani, in applicazione di un motu proprio del papa; richiede il risarcimento per presunte frodi; è oggetto di controllo per la gestione delle entrate della gabella vini forensis (collegata alla gabella studii); in particolar modo lo riguardano le vicende della gabella studii e della dogana di Ripa.

Il Bartolomeo impegnato e attivo come uomo ora del papa ora della municipalità non cessa di seguire le tradizionali attività della famiglia Della Valle e si occupa del commercio di bestiame e piombo. Nella primavera del 1518 vende, in poco più di un mese, quasi un centinaio di capi per un prezzo complessivo di 760 ducati. Nel luglio dello stesso anno, Bartolomeo si assicura per il figlio Ottaviano la pescheria di Santa Cecilia [13] .

All’interno dei suoi affari, immancabile è la concessione di prestiti. Un esempio ne è il contratto a Giovanni Battista Vectorii di Firenze, il quale nel 1519 si impegna a restituire entro un anno la somma di 10 ducati d’oro [14] . Alle attività riguardanti il commercio di bestiame e di piombo, il controllo del mercato del pesce e il prestito di soldi, si aggiunge nello stesso 1519 l’importazione del frumento a Roma, nella veste di commissarius della Camera Apostolica. Le disponibilità finanziare di Bartolomeo Della Valle allo scadere del secondo decennio del secolo dovevano essere molto consistenti, se nel 1520 è in grado di sottoscrivere, per sé e per il figlio Ottaviano, l’impegno a pagare una multa di 4.000 ducati in caso di offesa di Girolamo e Carlo Mattei, figli di Paluzzo; con Carlo, infatti, Ottaviano aveva avuto una lite tanto furibonda da richiedere garanzie in presenza di un notaio [15] .

La collaborazione con i banchieri forestieri è coronata nel 1521 dagli investimenti di successo ottenuti in società con il fiorentino Filippo Strozzi, subentrato ai senesi Ventura. Il sodalizio Strozzi-Della Valle si inserisce all’interno delle dinamiche di un Della Valle uomo di Leone X. Bartolomeo, infatti, si viene a trovare al centro di una favorevole congiuntura per cui il Comune è alla ricerca di vie di finanziamento sempre nuove, le entrate degli uffici doganali sono destinate per la maggior parte ai depositari generali della Camera Apostolica, tra i depositari generali compaiono le più importanti banche fiorentine, tra cui gli Strozzi, e Bartolomeo è proprio loro socio e rappresentante a Roma.

I frutti dei suoi investimenti sono in parte destinati alla casa nel rione Sant’Eustachio, accanto ai palazzi del fratello Andrea. Nel 1522 acquistò, infatti da Faustina Santacroce per 700 ducati due case e nel 1523 due schiavi neri [16] .

Nel 1525 Bartolomeo Della Valle e Raimondo Capodiferro (duetto già collaudato nella veste di magistri stratarum), vengono nominati pacerii dal nuovo papa Clemente VII Medici. All’interno dell’ordinamento giudiziario di Roma, la posizione dei pacerii, le cui funzioni costituivano l’equivalente di un giudice di pace, era molto importante, tanto da spiegare l’ingerenza del pontefice in simili questioni municipali.

Il 12 novembre 1526, all’età di 58 anni, Bartolomeo Della Valle muore. A partire dal carteggio conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano nel Fondo Della Valle-Del Bufalo, nulla di preciso si evince sulle cause della morte, descritta come improvvisa e silenziosa, al punto da cogliere di notte un Bartolomeo impreparato che non aveva ancora redatto il proprio testamento [17] .

 

II. La figura del committente

 

Il sepolcro di Filippo Della Valle in Aracoeli

La prima attestazione del coinvolgimento di Bartolomeo in materia di committenze artistiche risale al 1494, quando il 17 febbraio muore Filippo Della Valle. Per ricordare l’«ottimo padre» [18] , Andrea e Bartolomeo commissionano un sepolcro in marmo da collocarsi nella tomba di famiglia nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli (fig. 2).

L’impostazione generale del defunto disteso inserito in una scatola architettonica deriva direttamente dalla tradizione gotica delle tombe a parete (enfeus), spesso a nicchia, con lit de parade su cui riposa il defunto gisant. L’impronta rinascimentale si rivela tutta nel gusto umanistico con cui il sepolcro viene caratterizzato in senso individualistico: da una parte attraverso il profilo del defunto i cui tratti vengono restituiti con una certa attendibilità (fig. 3) [19] ; dall’altra attraverso le due pile di libri che designano il sepolcro come quello di un filosofo, nel senso etimologico di “amante della sapienza” e a testimonianza dell’importanza di cui la cultura era stata investita da Filippo, archiatra pontificio ed egli stesso autore di un trattato di medicina (fig. 4).

Non sono conosciute attestazioni documentarie al riguardo, dunque tutte le informazioni a disposizione sul sepolcro Della Valle derivano dall’osservazione diretta e da un approccio di tipo stilistico e comparativo. La coeva produzione scultorea a destinazione funeraria degli ultimi decenni del Quattrocento a Roma si presta, in tal senso, a utili e fruttuosi confronti. L’analisi comparata non permette, però, di convergere su di un unico nome per risolvere la questione attributiva. Se un Luigi Capponi (1445ca-1515ca, attivo a Roma almeno dal 1485), tra gli artisti più in voga all’epoca e più noto alle fonti, resta il più probabile a un primo vaglio di tipo cronologico, nessuna evidenza stilistica emerge dal confronto tra il sepolcro Della Valle in Aracoeli e l’unica opera certa e documentata di Luigi Capponi, la sepoltura marmorea di Francesco Brusati nella basilica di San Clemente.

Gli ultimi studi sulla produzione scultorea romana del secondo Quattrocento, che hanno fatto luce in primo luogo sui meccanismi della produzione, permettono di considerare la questione attributiva del sepolcro Della Valle sotto un nuovo punto di vista [20] . Presupposto di partenza è l’osservazione che la tipologia dominante a Roma era la scultura funeraria, di pontefici e cardinali, seguiti in un secondo momento da nobili e ricchi borghesi desiderosi di conservare la propria memoria attraverso tombe fastose e sempre più elaborate. Considerate le premesse di domanda e offerta, risulta evidente come le diverse produzioni tendessero a convergere verso risultati molto simili tra loro, come dimostrano le testimonianze scultoree conservatesi (soprattutto nelle chiese nel cuore di Roma) e le turbolenti storie attributive delle singole opere (frequentemente indicate come opere di bottega o di scuola, gravitanti intorno alle poche personalità di rilievo che i documenti hanno tramandato). Si assisteva allo strutturarsi di una produzione sempre più seriale e “protoindustriale” che rispondesse alle esigenze dei committenti, da una parte, e della sopravvivenza delle piccole botteghe specializzate, dall’altra.

Non sembra comunque possibile riconoscere la mano abile ed esperta di un grande artista nel sepolcro di Filippo, quanto piuttosto il coinvolgimento di circa cinque botteghe diverse e forse al loro interno di diverse mani: il basamento e il fregio con motivi ornamentali (una o due botteghe, sicuramente più mani); la figura del defunto; l’iscrizione; i genietti funebri; infine, la doratura della cornice architettonica e degli stemmi.

 

I palazzi Della Valle nel rione Sant’Eustachio

Descrivere lo stato degli edifici e studiarne la storia non è impresa semplice a causa della loro origine per aggiunte successive, che ancora conferisce alle loro piante un aspetto caleidoscopico. È comunque possibile individuare quattro blocchi principali distinti, in continuità con le menzioni delle fonti dal XVI secolo in poi. Tra i palazzi che si affacciano sul Corso Vittorio Emanuele II, a partire dalla Piazza di Sant’Andrea Della Valle, si individuano: il palazzo Della Valle (poi Rustici e Del Bufalo) attualmente sede della Confagricoltura, costituito da due entità, ovvero il palazzo di cantone (letteralmente “all’angolo”, Piazza di Sant’Andrea Della Valle) e il palazzo di mezzo o del cardinale (Corso Vittorio Emanuele, 101); il palazzo Castellacci, detto di Giove (Corso Vittorio Emanuele, 89); il palazzo Pescatori-Serventi (Via di Monterone, 69); infine il corpo architettonicamente separato, tra Via del Teatro Valle e Largo del Teatro Valle, ovvero il palazzo Capranica-Del Grillo (Largo del Teatro Valle, 6).

La storia dei palazzi Della Valle riguarda un arco di tempo molto vasto. Al 1418 risale il primo insediamento dei Della Valle nel Rione Sant’Eustachio: Paolo e Nicola comprano da Giovanni Stiglia per 300 fiorini una casa, corrispondente al più antico nucleo del palazzo di mezzo. L’acquisto si inseriva perfettamente nella logica di elevazione sociale cui erano indirizzate molte delle scelte di Paolo, il quale si adoperò perché la famiglia lasciasse la zona Pigna-Monti, più popolare, per il rione Sant’Eustachio, abitato principalmente dagli ambienti della Curia. Del 1948, invece, è l’ultimo passaggio di proprietà alla Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana che tramutò il nucleo più antico dell’isolato vallense nella sede di Confagricoltura. Il destino sembra aver così giocato il suo ultimo colpo: i palazzi che erano sorti sulle ricchezze derivate dai casali di campagna e dai commerci di bestiame e piombo finiscono nelle mani delle moderne confederazioni che rappresentano gli agricoltori. I passaggi dell’intera, intricata vicenda sono documentati con dovizia di particolari dagli studi di Brunori e Grassia sullo scorcio degli anni Ottanta, seguiti da Paoluzzi negli anni 2000; a questi contributi si rimanda per una visione d’insieme della storia dei palazzi Della Valle di cui in questa sede si prenderà in considerazione solamente il giro di anni che interessò Bartolomeo [21] .

Fu soprattutto il fratello Andrea, prima nel ruolo di vescovo di Mileto (dal 1508) poi nella veste di cardinale (dal 1517), ad occuparsi di ricostruzione, ingrandimento e abbellimento dei palazzi di famiglia. In particolare si curò del palazzo cosiddetto di mezzo o del cardinale (fig. 5) e solo più tardi del palazzo oggi Capranica-del Grillo. Gualandi menziona il palazzo Della Valle sulla via Papalis tra gli esempi di quel fervore edilizio di rimbalzo che investì la Roma dei privati, autonomi dal Vaticano per le loro iniziative architettoniche, ma non insensibili ai progetti in cantiere e all’atmosfera di renovatio Urbis [22] .

Proprio negli anni 1517-1520, Bartolomeo è magister stratarum et edificiorum e arbitro della sistemazione urbanistica ed edilizia della nuova città rinascimentale, con una conseguente libertà di azione per portare a termine progetti familiari e personali. Risulta arduo, dunque, pur non avendo ancora una documentazione esplicita e inequivocabile in tal senso, non immaginare un Bartolomeo intento non solo a seguire gli interessi del pontefice e del pubblico decoro e ornamento (come il suo ufficio richiedeva), ma anche a favorire il fratello nei suoi progetti di espansione e rinnovamento edilizio di cui avrebbe beneficiato tutta la famiglia, vivente il cardinale e soprattutto post mortem attraverso un’eredità che avrebbe avvantaggiato fratelli e nipoti in mancanza di una discendenza propria del prelato. A confermare continuità e unità nella politica immobiliare dei due fratelli, l’atto di acquisto del palazzo all’angolo con Via Monterone da parte di Bartolomeo, proprio accanto ai possedimenti del fratello Andrea, in quella che era stata designata dal nonno Paolo come la nuova area della famiglia. Nel 1522 Bartolomeo acquistò da Faustina Santacroce per 700 ducati due case vicine alla parrocchia di Santa Maria in Monterone, descritte nell’atto come «domuncule simul iuncte […] depresse et ruinose» [23] , da riconoscersi oggi nel palazzo Pescatori-Serventi (fig. 6).

 

Gli affreschi al piano nobile del Palazzo Della Valle

A conservare la migliore testimonianza della committenza artistica di epoca rinascimentale nel Palazzo Della Valle è il piano nobile con le sue due sale affrescate: la Sala Donini, con un fregio cinquecentesco con festoni e giochi di putti attribuiti a Léonard Thiry, ma soprattutto la Sala Serpieri, il cui programma iconografico suggella, eloquente, il percorso dei Della Valle all'apice con i fratelli Andrea e Bartolomeo (figg. 7-10).

La fortuna critica degli affreschi ha subìto le conseguenze dell’inaccessibilità di un palazzo privato e di una copertura in occasione di un intervento di restauro o di rinnovamento del palazzo, non ancora rintracciato nei documenti. È solo nel 1941 che gli affreschi riaffiorano, al momento del passaggio di proprietà degli eredi Del Bufalo-Della Valle alla Federazione Fascista dei Commercianti e dei conseguenti lavori di restauro affidati all’ingegner Carlo Forti. Poco noti al grande pubblico e alla letteratura specifica, se si escludono le brevi menzioni nelle guide ai palazzi di Roma successive al 1941 e nel volumetto curato da Pirzio Biroli Stefanelli per Confagricoltura [24] , Alessandra Uguccioni è la prima ad approfondire il tema del programma iconografico degli affreschi che decorano il salone principale di palazzo Della Valle. Per quanto riguarda, invece, la questione attributiva, si rimanda al contributo di Nicole Dacos, in cui la studiosa individua, attraverso il confronto stilistico, le mani di tre pittori provenienti da Bruxelles e l’ideatore in Perin del Vaga [25] .

Sulla base della ricostruzione del più ampio contesto di vicende della famiglia vallense all’interno del quale si inserisce la decorazione della Sala Serpieri, è possibile, a mio avviso, allargare il raggio interpretativo del soggetto degli affreschi Della Valle, rispetto a quello allusivo alla contrapposizione tra i quattro elementi e il processo di civilizzazione indicato dalla Uguccioni.

Un episodio simile, ma di un secolo successivo, si trova in Palazzo Lancellotti ai Coronari. Patrizia Cavazzini [26] ha dimostrato come la scelta del tema degli affreschi nel piano nobile (successivi al 1620) sia stata influenzata dal desiderio della famiglia Lancellotti di reagire alle accuse di non appartenere all’antica nobiltà romana. In tal senso viene spiegata la scelta di ricreare illusionistiche architetture e vedute lungo tutta la superficie delle pareti della Sala dei Palafrenieri. Confrontando la situazione delle due famiglie, emerge un minimo comune denominatore: al momento della scelta del tema degli affreschi, non era trascorso che un secolo da quando i Lancellotti e i Della Valle si erano stabiliti a Roma, i quali solo gradualmente e ad un’altezza cronologica recente (e certo non mitica) riescono a raggiungere uno status sociale elevato, economicamente solido e socialmente riconosciuto. La questione della nobiltà antica doveva essere tema fortemente sentito dal cardinale Andrea, che tante energie e risorse aveva speso per la ricostruzione dei palazzi devastati dalle lotte cittadine di fine secolo e per ingrandire l’isolato della famiglia con nuovi edifici. Alla luce di queste considerazioni mi sembra riduttivo limitarsi a leggere i paesaggi della Sala Serpieri come una parte della rappresentazione simbolica dei quattro elementi o come un semplice gioco di virtuosismo pittorico finalizzato a dare l’illusione di un palazzo immerso nella quiete della campagna, pur trattandosi di un palazzo nel cuore della città.

Il grande e unico soggetto che sta alla base della decorazione ad affresco credo possa essere individuato nell’esaltazione e nell’affermazione della nobiltà della famiglia, poema visivo adempiente la medesima funzione di un mito di fondazione. L’inserimento di vedute agresti rispondeva alla duplice esigenza di richiamare tanto la posizione economica e sociale quanto gli interessi intellettuali. Apparentemente sconveniente in quanto genere minore rispetto ai più celebrati soggetti storici e mitologici [27] , il paesaggio era in realtà funzionale a mostrare da una parte le rovine antiche di quella Roma di cui la famiglia si proclamava erede, dall’altra le terre possedute dalla famiglia nella campagna romana, dalle quali traeva la sua ricchezza (fig. 9). La composizione dei paesaggi, inoltre, derivava da una veduta ideale e rappresentativa, spesso ispirata ai testi antichi, non rappresentava il risultato dell’osservazione diretta di uno specifico paesaggio: il gusto umanistico e antiquariale si rivelava anche in queste citazioni implicite. Come nel caso Lancellotti analizzato da Cavazzini, chiave di volta è l’analisi degli affreschi all’interno del contesto generale del progetto del palazzo, contenitore della celebre collezione di antichità, quasi si volesse riprodurre un’antica dimora romana. Le decorazioni ad affresco delle antiche ville romane erano conosciute all’epoca solo attraverso le descrizioni letterarie (da Plinio il Vecchio a Vitruvio e Varrone), nelle quali emerge l’importanza delle vedute per gli antichi, elemento espressamente richiesto al fine di riposare corpo e spirito.

La correttezza di questa interpretazione di carattere storico-sociale verrebbe ulteriormente confermata dalla presenza delle virtù cardinali e dei quattro Cesari della fascia superiore dell’affresco: la virtù (la nobiltà d’animo) è il secondo aspetto che, insieme all’antichità, determina la nobiltà di una famiglia (fig. 10). La presenza dello stemma della famiglia e del cardinale che interrompe il fregio continuo della fascia mediana verrebbe quindi ad assumere il valore di sigillo di garanzia e codice interpretativo (figg. 1, 11). Questi riferimenti dovevano apparire familiari e immediati agli occhi degli uomini di primo Cinquecento, maggiormente abituati al linguaggio delle immagini e dei simboli e spesso protagonisti di una fase di assestamento e delineamento degli equilibri di potere. Il discorso sulla nobiltà nella prima modernità, infatti, assumeva un’importanza nevralgica, tanto da indurre le famiglie a inventare «fantastiche genealogie per proclamare discendenze dagli antichi romani» [28] ; un simile riconoscimento non era meramente simbolico, ma aveva concrete ripercussioni nella politica e nella società: dall’inclusione (o dall’esclusione) nella definizione di nobiltà dipendeva l’accesso al potere, o la partecipazione alla sua gestione.

 

La collezione di antichità

Il fenomeno del collezionismo ha significato, sin dai suoi esordi, prestigio sociale, ostentazione o affermazione di uno status [29] . Nel caso di una famiglia non di origine romana e non di antica nobiltà come i Della Valle, collezionare antichità acquisiva l’ulteriore valenza di biglietto di ingresso per essere accettati e riconosciuti dalla società.

La collezione del cardinale Andrea è stata al centro di molti studi inerenti al fenomeno del collezionismo di antichità a Roma, grazie al capitolo cruciale che essa rappresenta nella storia collezionistica non solo particolare della famiglia Della Valle, ma della Roma rinascimentale tutta [30] . A partire dalla constatazione che il messaggio affidato alla collezione era racchiuso, molto più che nei singoli pezzi, nella sua disposizione, in questa sede si è scelto di presentare il contenitore della collezione, piuttosto che l’insieme dei pezzi di antichità che la componevano; l’attenzione verrà posta in particolare su uno dei due cortili dedicati all’esposizione della collezione di antichità, ovvero il cortile collocato nel palazzo di mezzo, il meno indagato dalle fonti e dalla letteratura scientifica, il primo in ordine di tempo che conserva ancora oggi la sua struttura architettonica seppur spogliato del ricco arredo (fig. 12) [31] .

Anche in questo caso, l’attività di collezionista del cardinale Andrea è affiancata dal ruolo chiave di un Bartolomeo operativo sul campo come maestro di strade tra il 1517 e il 1520. Credo opportuno sottolineare che l’interesse di Bartolomeo per le antichità, probabilmente, non fu soltanto legato al prestigio sociale suo e della famiglia. Papa Leone X, figlio del Magnifico, nella sua formazione fiorentina aveva avuto contatti con diversi esponenti della cultura umanistica e aveva acquisito familiarità con la cultura classica. Diventato papa, rivelò una fine sensibilità nella scelta degli uomini che avrebbero dovuto proteggere le vestigia della città eterna nominando, tra gli altri, Raffaello commissario delle antichità, con breve apostolico il 27 agosto 1515, e Bartolomeo maestro di strade qualche anno più tardi. Bartolomeo doveva aver dunque già maturato, autonomamente, una passione e una conoscenza delle antichità. In quanto responsabile degli scavi, Bartolomeo dovette poi avere l’occasione di gestire l’afflusso di antichità che emergevano durante i nuovi scavi o, addirittura, di suggerire nuovi scavi in luoghi strategici. Dal momento che ad occuparsi della giurisdizione sulla tutela delle antichità furono impegnate in prima linea magistrature municipali come conservatori e maestri di strade, le manovre di Bartolomeo non costituiscono né una sorpresa, né un’eccezione [32] .

La modalità espositiva della collezione di antichità che viene scelta prevede un layout esterno, in quanto diaframma tra l’interno del palazzo e l’esterno della città, compromesso tra il silenzio e la quiete di un’ideale di vita solitaria e contemplativa e la magnificentia e publica utilitas richiesti a un principe – come d’altronde erano considerati i cardinali. Un disegno di Hans Vischer il Giovane, datato 1515-1516 e conservato al Louvre, mostra l’assetto del cortile del palazzo di mezzo [33] . La somiglianza tra la struttura architettonica del cortile e quella degli affreschi della Sala Serpieri risalta agli occhi, rafforzata dal fatto che riguarda il medesimo palazzo e che le pareti del cortile che oggi appaiono di nudi mattoni, in principio erano arricchite da rilievi e statue antiche e, forse, da affreschi a imitazione della pittura antica, come suggeriva la moda. Al momento di decorare la sala più grande del piano nobile, il cardinale Andrea deve aver dato precise disposizioni perché si venisse a ricreare un dialogo tra interno ed esterno, tanto nelle citazioni dei singoli pezzi della collezione disseminati negli affreschi, quanto nell’insieme della sua disposizione.

Dietro l’interesse collezionistico e l’attenzione “museografica” si cela la dichiarazione della nobiltà dei Della Valle. Il cardinale si dimostra astuto e accorto rifuggendo il culto dell’antenato: rinuncia ad eleggere arbitrariamente ad iniziatore della dinastia vallense un eroe mitico o un personaggio della storia antica, ma opta per una costruzione retorica più sofisticata e complessa, meno esplicita e per questo più efficace, che si dispiega nelle scelte del cardinale, del committente e del collezionista e che si avvale della silente e costante sinergia del fratello Bartolomeo.

 

APPENDICE

L’iscrizione sul sepolcro di Filippo Della Valle in Aracoeli

L’iscrizione, estremamente nitida grazie ai recenti interventi di restauro, recita:

 

PHILIPPO DE VALLE PATRITIO RO[MANO] PHILOSOPHIA BONARUMQ[UE]

LITTERAR[ARUM] GLORIA INCLYTO CUIUS APUD ROMANOS PONTT[PONTIFICES] ET

ITALIAE PRINCIPP[PRINCIPES] AVTORITAS TANTUM FLORENTISS[IMAE] FAMILIAE

DIGNITATIS CONTVLIT QUANTUM ABILLA[AB ILLA] NOBILITATIS ADCOEPIT

VIX[IT] ANN[OS] LXIII M[ENSES] V D[IES] X ~ X III KL[KALENDAS] MART[IAS] ~

~ M VI D

ANDREAS EPISCOP[US] CROTONIAT[ES] ET BARTHOLOMEVS PATRI OPT[IMO] P[OSUERUNT]

 

A Filippo Della Valle, patrizio romano,

celebre per la filosofia e per la gloria delle belle lettere,

la cui autorità presso i pontefici romani e presso i principi d’Italia

conferì tanta dignità alla fiorentissima famiglia,

quanta nobiltà ricevette da quella.

Visse 63 anni, 5 mesi, 10 giorni. [Morì] il 17 febbraio,

1494.

Andrea vescovo di Crotone [34]  e Bartolomeo dedicarono all’ottimo padre [35] .

 



 

NOTE

[1] Il presente testo è un estratto della tesi di Laurea Triennale in Studi Storico-Artistici, discussa da chi scrive il 9 luglio 2015 (Università di Roma La Sapienza); relatore il Professor Alessandro Zuccari, tutor il Professor Stefano Colonna.

Ringrazio in primo luogo il mio relatore, il professor Alessandro Zuccari, per la fiducia accordatami nell’affidarmi l’argomento e per avermi guidata in questo percorso di ricerca. Ringrazio la dottoressa Orietta Verdi per avermi accompagnata nel mio primo approccio ai documenti dell’Archivio di Stato di Roma. La mia gratitudine va anche al professor Stefano Colonna, non solo per il supporto e i consigli nella stesura della tesi, ma anche per avermi fornito parte del materiale fotografico relativo agli affreschi della Sala Serpieri del palazzo Della Valle; ringrazio, infine, il dottor Vito Bianco di Confagricoltura per l’autorizzazione concessa a Stefano Colonna di scattare le foto in situ nel 2009.

[2] Nella scacchiera degli equilibri politici ed economici romani si inseriscono i due alfieri Andrea e Bartolomeo che operano con un saldo gioco di squadra, perseguendo una strada tanto civile quanto ecclesiastica, assicurandosi una carriera nella curia l’uno e nel municipio l’altro. In casi simili si è parlato di “doppia strategia”; cfr. Anna ESPOSITO, «Li nobili huomini di Roma». Strategie familiari tra città, Curia e municipio, in Roma capitale (1447-1527), atti del convegno (San Miniato 1992), a cura di Sergio GENSINI, Pisa, Pacini, 1994, pp. 373-388; Maria Antonietta VISCEGLIA, La nobiltà romana: dibattito storiografico e ricerche in corso, in La nobiltà romana in età moderna: profili istituzionali e pratiche sociali, a cura di Maria Antonietta VISCEGLIA, Roma, Carocci, 2001, pp. XIII-XLI.

[3] Nel Dizionario Biografico degli Italiani non manca, invece, la voce dedicata al fratello cardinale: Christina RIEBESELL, Della Valle Andrea, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 37, 1989. [http://www.treccani.it/enciclopedia/andrea-della-valle_(Dizionario-Biografico)/]

La prima a restituire il giusto posto negli studi a Bartolomeo Della Valle è stata Orietta Verdi la quale, attraverso le ricerche svolte soprattutto a partire dal Collegio dei Notai Capitolini conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, ha aperto le danze e ne ha impostato il profilo biografico; cfr. Orietta VERDI, Da ufficiali capitolini a commissari apostolici: i Maestri delle Strade e degli Edifici a Roma tra XIII e XVI secolo, in Il Campidoglio e Sisto V, catalogo della mostra (Roma 1991), a cura di Luigi SPEZZAFERRO, Maria Elisa TITTONI, Roma, Carte Segrete, 1991, pp. 54-61; EAD., Maestri di edifici e di strade a Roma nel secolo XV. Fonti e problemi, Roma, R.R. inedita, 1997; EAD., «Pro Urbis decore et ornamento». Il controllo dello spazio edificabile a Roma tra XV e XVI secolo, in L’affermazione della signoria pontificia su Roma nel Rinascimento: politica, economia e cultura, atti del convegno (Roma 2013), a cura di Maria CHIABÒ, Maurizio GARGANO, Anna MODIGLIANI, Patricia OSMOND, Roma, R.R. inedita, 2014, pp. 363-406. Per quanto riguarda i riferimenti ai documenti attraverso i quali si è venuto costituendo il profilo di Bartolomeo conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano nel fondo Del Bufalo-Della Valle e presso l’Archivio di Stato di Roma nei volumi del Collegio dei Notai Capitolini, rimando ai testi sopra citati di Verdi; alcune indicazioni documentarie verranno ivi fornite nelle note al testo. Dove non specificato, i riferimenti sono desunti dai contributi di Verdi e dal lavoro di carattere documentario di Rehberg (cfr. Andreas REHBERG (a cura di), Il Liber decretorum dello scribasenato Pietro Rutili. Regesti della più antica raccolta di verbali dei consigli comunali di Roma (1515-1526), Roma, Fondazione Marco Besso, 2010).

[4] Con una lettera patente conservata presso l’Archivio Segreto Vaticano (d’ora in poi ASV) nel fondo Della Valle-Del Bufalo e datata 19 aprile 1498, i consoli di Messina investono Bartolomeo Della Valle dell’incarico di loro agente a Roma (cfr. Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 391).

[5] Di seguito si riporta la notazione archivistica degli atti rogati dal notaio Stefano de Amannis e raccolti nei volumi del Collegio dei Notati Capitolini conservato presso l’Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR, CNC), segnalati in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., pp. 393-5: ASR, CNC, vol. 60, c. 53r, (7 gennaio 1507) per la casa in Ronciglione; ASR, CNC, vol. 62, c. 344r (20 gennaio 1519) per la casa nel rione Monti; ASR, CNC, vol. 73, c. 338r (30 agosto 1520) per la casa nel rione Trevi; ASR, CNC, vol. 66, cc. 12r-14r (29 gennaio 1522) per la casa nel rione Sant’Eustachio.

[6] I Della Valle partecipano alla realizzazione degli apparati effimeri lungo la via Papalis e per la composizione dell’arco di trionfo utilizzano elementi della collezione di statue antiche.

[7] Marco PELLEGRINI, Leone X, in Enciclopedia dei Papi, III, 2000. [http://www.treccani.it/enciclopedia/leone-x_(Enciclopedia-dei-Papi)/]

[8] Le funzioni dei maestri di strade prevedevano azioni tanto giudiziarie quanto amministrative e urbanistiche, riassumibili schematicamente in quattro punti: la funzione ispettiva e giudiziaria; la nettezza urbana; la viabilità; la vigilanza e la regolamentazione dell’edilizia e dell’ornato cittadino. Come giudici intervenivano nelle controversie dei privati in tema di confini, edifici, mura, scoli e deflussi di acque; imponevano e riscuotevano multe; sorvegliavano la viabilità urbana ed extraurbana (strade consolari e ponti, strade suburbane, fossi) e la rete fognaria, regolando, quando necessarie, riparazioni, rettificazioni, costruzioni delle strade vecchie e nuove. È soprattutto nel campo dell’edilizia, però, che i maestri esercitavano le loro funzioni; per farlo erano muniti di strumenti potenti con i quali era possibile inserirsi nella gestione del suolo pubblico: tra questi vi era la facoltà di concedere licenze edilizie.

[9] Sovente legato ad un’idea di splendore e rinnovamento artistico che investe tutta la città di Roma all’inizio del XVI secolo, complice l’immagine di un’età dell’oro che si forma a partire da Paolo Giovio suo biografo, il pontificato di Leone X fu, in concreto, povero di grandi realizzazioni. Gli studi recenti sono sostanzialmente concordi nel ridimensionare la portata delle committenze medicee e a circoscriverle, piuttosto, nell’ambito di atmosfera e progetti e all’interno di un più vasto programma in cui publica utilitas, pax, caritas, sapientia e radicamento della famiglia Medici a Roma avevano eguale peso. Cfr. Mauro MUSSOLIN, La committenza architettonica tra Roma e Firenze al tempo di Leone X, in Nello splendore Mediceo. Papa Leone X e Firenze, catalogo della mostra (Firenze 2013), a cura di Nicoletta BALDINI, Monica BIETTI, Firenze, Sillabe, 2013, pp. 192-203; Marco PELLEGRINI, Leone X, op. cit.; Paolo PORTOGHESI, Architettura del Rinascimento a Roma, Milano, Electa, 1979; Manfredo TAFURI, “Roma instaurata”. Strategia urbane e politiche pontificie nella Roma del primo Cinquecento, in Raffaello architetto, catalogo della mostra (Roma 1984), a cura di Christoph Luitpold FROMMEL, Stefano RAY, Manfredo TAFURI, Milano, Electa, 1984, pp. 59-107; ID., Ricerca del Rinascimento: principi, città, architetti, Torino, Einaudi, 1992.

[10] La bolla leonina non era altro che un escamotage con il quale il pontefice mirava a ottenere un obiettivo duplice: abbellire la città con il restauro o con la costruzione di nuovi edifici; assicurarsi la lealtà di quei mercatores florentini Romanam Curiam sequentes, gli unici ad avere la disponibilità economica necessaria per ottenere l’acquisto di edifici con la promessa di restaurarli.

[11] Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., pp. 382, 389 e nota 79.

[12] Andreas REHBERG (a cura di), Il Liber decretorum…, op. cit., in part. pp. 69-322 (regesti).

[13] Dai documenti che segnala Orietta Verdi (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 393) emerge quanto segue: Bartolomeo vende a Gerardo Petri legnaiolo 36 bufali per 396 ducati (ASR, CNC, vol. 61, c. 745r, 4 maggio 1518) e ad Antonio de Clodiis del rione Trastevere e a Giovanni Battista Delfini del rione Sant’Angelo 40 bufali per 440 ducati da pagarsi in 18 mesi (ASR, CNC, vol. 62, c. 233r); il mercante fiorentino Nicola Capparelli dichiara di essere debitore di 615 ducati relativamente ad un acquisto di piombo (ASR, CNC, vol. 61, c. 760r, 15 maggio 1518); Bartolomeo ottiene un affitto a vita per la pescheria di Santa Cecilia (ASR, CNC, vol. 61, c. 778r, notaio Stefano De Amannis, 20 luglio 1518).

[14] ASR, CNC, vol. 62, c. 468r, notaio Stefano De Amannis, 24 ottobre 1519 (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 393).

[15] ASR, CNC, vol. 65, c. 210r, notaio Stefano De Amannis, 9 agosto 1520 (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 393).

[16] ASR, CNC, vol. 66, cc. 12r-14r, notaio Stefano de Amannis, 29 gennaio 1522 (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 395 e nota 102); ASR, CNC, vol. 69, c. 126r, notaio Stefano de Amannis, 4 agosto 1523 (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 396 e nota 104).

[17] Pier Paolo PIERGENTILI, Gianni VENDITTI (a cura di), Scorribande, Lanzichenecchi e soldati ai tempi del Sacco di Roma: papato e Colonna in un inedito epistolario dall'Archivio Della Valle-Del Bufalo (1526-1527), Roma, Gangemi, 2009, p. 141, 153, 210: lettere del 15 novembre 1526 (scritta da Cesare de’ Cesari a Lelio Della Valle, ASV, Arch. Della Valle-Del Bufalo 34, f. 166r-v) e del 22 novembre 1526 (scritta da Lelio Della Valle al fratello Fabrizio Della Valle, ASV, Arch. Della Valle-Del Bufalo 34, f. 180r).

[18] Queste le parole con le quali i figli ricordano il padre nell’iscrizione presente nel sepolcro in Aracoeli. Per una trascrizione e traduzione dell’iscrizione si veda l'Appendice.

[19] Un’aria di famiglia si percepisce nel profilo del defunto che ricorda quello che verrà realizzato anni più tardi e in formato minore nella medaglia coniata per il cardinale Andrea in ricordo della cerimonia di apertura e chiusura della porta santa da lui presieduta per il giubileo del 1525. Una riproduzione della medaglia è riportata in Kathleen WREN CHRISTIAN, “Instauratio” and “Pietas”: The della Valle Collections of Ancient Sculpture, in “Studies in the History of Art”, 70, 2008, pp. 32-65, in part. p. 42 e fig. 14.

[20] Cfr. Fabio BENZI, Aspetti dell’arte a Roma sotto il pontificato di Sisto IV, in La forma del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e la scultura a Roma nel Quattrocento, catalogo della mostra (Roma 2010), a cura di Claudio CRESCENTINI, Claudio STRINATI, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 77-85, in part. p. 79; Adriana AUGUSTI, Artisti e botteghe lombardo-venete e padovane a Roma nel Quattrocento, in La forma del Rinascimento… op. cit., pp. 55-65, in part., p. 57.

[21] Paola BRUNORI, Alessandro GRASSIA, I palazzi dell’Isola della Valle in Roma, in “Architettura”, 1989, 1/2, pp. 64-83; EAD., Federica DE RUBERTIS, ID., Palazzo della Valle-del Bufalo e l’“isola” della Valle in Roma, in “Rassegna di architettura e urbanistica”, 23, 1990, n.70, pp. 138-145; Maria Cristina PAOLUZZI, La famiglia della Valle e l’origine della collezione di antichità, in Collezioni di antichità a Roma tra ‘400 e ‘500, a cura di Anna CAVALLARO, Roma, De Luca, 2007, pp. 147-186.

[22] Maria Letizia GUALANDI, «Roma resurgens». Fervore edilizio, trasformazioni urbanistiche e realizzazioni monumentali da Martino V Colonna a Paolo V Borghese, in Roma del Rinascimento, a cura di Andrea PINELLI, Roma, Laterza, 2001, pp. 123-160, in part. p. 145.

[23] ASR, CNC, vol. 66, cc. 12r-14r, notaio Stefano de Amannis, 29 gennaio 1522 (in Orietta VERDI, «Pro Urbis decore et ornamento»…, op. cit., p. 395 e nota 102).

[24] Luigi CALLARI, I palazzi di Roma, Roma, Apollon, 19443 [19071]; Giorgio TORSELLI, Palazzi di Roma, Milano, Ceschina, 1965; Lucia PIRZIO BIROLI STEFANELLI, Palazzo Della Valle: la collezione di antichità ed il Menologium rusticum Vallense, Roma, Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana, 1976.

[25] Alessandra UGUCCIONI, Decorazione e collezionismo antiquario nella sala grande di palazzo Della Valle, in Roma, centro ideale della cultura dell’antico nei secoli XV e XVI. Da Martino V al Sacco di Roma, atti del convegno (Roma 1985), a cura di Silvia DANESI SQUARZINA, Milano, Electa, 1989, pp. 356-364; Nicole DACOS, Perin del Vaga et trois peintres de Bruxelles au palais Della Valle, in “Prospettiva”, 91/92, 1998, pp. 159-170.

[26] Patrizia CAVAZZINI, Palazzo Lancellotti ai Coronari: cantiere di Agostino Tassi, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1998, in part. pp. 39-60 sui paesaggi e sulle finte architetture della Sala dei Palafrenieri.

[27] Si vedano le quattrocentesche indicazioni albertiane sulla classificazione (e gerarchia) dei generi pittorici.

[28] Patrizia CAVAZZINI, Palazzo Lancellotti ai Coronari…, op. cit., p. 56.

[29] Gli studi sul collezionismo della prima età moderna costituiscono un insieme molto ampio e variegato, trattandosi di un tema centrale per la definizione di categorie come “Umanesimo” e “Rinascimento” e per la comprensione del fenomeno culturale e sociale al quale si riferiscono. Per un primo approfondimento sulle tappe e sui significati del fenomeno del collezionismo cfr. Sara MAGISTER, Censimento delle collezioni di antichità a Roma: 1471-1503, in “Xenia antiqua”, vol. 8, 1999, pp. 129-204; EAD., Censimento delle collezioni di antichità a Roma (1471-1503): Addenda, in “Xenia antiqua”, vol. 10, 2001, pp. 113-154; Claudio FRANZONI, “Rimembranze d’infinite cose”: Le collezioni rinascimentali di antichità, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di Salvatore SETTIS, I, Torino, Einaudi, 1984, pp. 299-360; ID., “Urbe Roma in pristinam formam renascente”. Le antichità di Roma durante il Rinascimento, in Roma del Rinascimento op. cit., pp. 291-336; Patricia FALGUIÈRES, La cité fictive. Les collections de cardinaux, à Rome, au XVIème siècle, in Les Carrache et les décors profanes, atti del convegno (Roma 1986), a cura di André CHASTEL Roma, École française de Rome, 1988, pp. 215-333; Michele FRANCESCHINI, La magistratura capitolina e la tutela delle antichità di Roma nel XVI secolo, in “Archivio della Società romana di Storia Patria”, 109, 1986, pp. 141-150; infine l’ormai classico, per gli studi del settore, Rodolfo LANCIANI, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità (1000-1530), Roma, Quasar, 1989 [1902].

[30] Per un quadro esaustivo sulla storia della collezione Della Valle, imprescindibili punti di partenza sono stati i recenti studi di Paoluzzi e Wren Christian: Maria Cristina PAOLUZZI, La famiglia della Valle… op. cit.; Kathleen WREN CHRISTIAN, The Della Valle sculpture court rediscovered, in “The Burlington magazine”, 145, 2003, pp. 847-850; EAD., “Instauratio” and “Pietas”… op. cit.; EAD., Empire without end. Antiquities collections in Renaissance Rome, c. 1350-1527, New Haven-Londra, Yale University Press, 2010.

[31] Con l’elevazione alla dignità cardinalizia (1517), il palazzo di mezzo, sebbene rinnovato, appare inadeguato; quando nel conclave del 1521 il nome del Della Valle è tra i candidati al soglio pontificio, l’esigenza di una nuova dimora più fastosa e di una collezione ancor più prestigiosa diventa impellente e il cardinale avvia la costruzione di un nuovo palazzo, vicino ma distaccato dai precedenti: il futuro palazzo Capranica-Del Grillo, che ospiterà il secondo e più celebre giardino pensile, da Vasari attribuito al Lorenzetto.

[32] Sibillina a tal proposito è l’affermazione di Pirzio Biroli Stefanelli: «coloro che avevano la carica di maestri di strade non esitavano ad appropriarsi di quanto capitava loro per le mani durante i pubblici lavori» (Lucia PIRZIO BIROLI STEFANELLI, Palazzo Della Valle…, op. cit., p. 27).

[33] Una riproduzione del disegno di Hans Vischer il Giovane, Cortile del palazzo di mezzo, 1515-1516, Musée du Louvre, Parigi è in Kathleen WREN CHRISTIAN, “Instauratio” and “Pietas”… op. cit., p. 40, fig. 7.

[34] Questa indicazione confermerebbe la datazione in corrispondenza della data della morte di Filippo, 1494; Andrea, infatti, fu nominato vescovo di Crotone nel 1492.

[35] Un medesimo estratto dell’iscrizione era già stato riportato da Gatta e Paoluzzi (cfr. Bruno GATTA, Dal casale al libro: i Della Valle, in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, (Città del Vaticano 1982), a cura di Massimo MIGLIO, Città del Vaticano, Scuola vaticana di paleografia, diplomatica e archivistica, 1983, pp. 629-652, in part. p. 639, «patritius Romanus philosophiae bonarumque litterarum gloria inclytus»; Maria Cristina PAOLUZZI, La famiglia della Valle… op. cit., in part. p. 152 «patritius romanum philosophia bonarumque litterarum gloria inclytus»; con i corsivi segnalo le lievi differenze ed errori di trascrizione). Si deduce che Filippo Della Valle era nato il 7 settembre 1430. Qui si riporta la trascrizione integrale dell’iscrizione e la sua traduzione. Una trascrizione, priva però dello scioglimento delle abbreviazioni e di traduzione, era stata inserita, da quanto mi risulta, solo da Luigi Gaetano Marini nel suo Degli archiatri pontifici (1784) e precedentemente da F. Casimiro in Memorie istoriche della chiesa e convento di Santa Maria in Araceli di Roma (1736).




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PIERGENTILI, VENDITTI 2009

Pier Paolo PIERGENTILI, Gianni VENDITTI (a cura di), Scorribande, Lanzichenecchi e soldati ai tempi del Sacco di Roma: papato e Colonna in un inedito epistolario dall'Archivio Della Valle-Del Bufalo (1526-1527), Roma, Gangemi, 2009.

 

PIRZIO BIROLI STEFANELLI 1976

Lucia PIRZIO BIROLI STEFANELLI, Palazzo Della Valle: la collezione di antichità ed il Menologium rusticum Vallense, Roma, Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana, 1976.

 

PORTOGHESI 1979

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REHBERG 2010

Andreas REHBERG (a cura di), Il Liber decretorum dello scribasenato Pietro Rutili. Regesti della più antica raccolta di verbali dei consigli comunali di Roma (1515-1526), Roma, Fondazione Marco Besso, 2010.

 

RIEBESELL 1989

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TAFURI 1984

Manfredo TAFURI, “Roma instaurata”. Strategie urbane e politiche pontificie nella Roma del primo Cinquecento, in Raffaello architetto, catalogo della mostra (Roma 1984), a cura di Christoph Luitpold FROMMEL, Stefano RAY, Manfredo TAFURI, Milano, Electa, 1984, pp. 59-107.

 

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Giorgio TORSELLI, Palazzi di Roma, Milano, Ceschina, 1965.

 

UGUCCIONI 1989

Alessandra UGUCCIONI, Decorazione e collezionismo antiquario nella sala grande di palazzo Della Valle, in Roma, centro ideale della cultura dell’antico nei secoli XV e XVI. Da Martino V al Sacco di Roma, atti del convegno (Roma 1985), a cura di Silvia DANESI SQUARZINA, Milano, Electa, 1989, pp. 356-364.

 

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Orietta VERDI, Da ufficiali capitolini a commissari apostolici: i Maestri delle Strade e degli Edifici a Roma tra XIII e XVI secolo, in Il Campidoglio e Sisto V, catalogo della mostra (Roma 1991), a cura di Luigi SPEZZAFERRO, Maria Elisa TITTONI, Roma, Carte Segrete, 1991, pp. 54-61.

 

VERDI 1997

EAD., Maestri di edifici e di strade a Roma nel secolo XV. Fonti e problemi, Roma, R.R. inedita, 1997.

 

VERDI 2014

EAD., «Pro Urbis decore et ornamento». Il controllo dello spazio edificabile a Roma tra XV e XVI secolo, in L’affermazione della signoria pontificia su Roma nel Rinascimento: politica, economia e cultura, atti del convegno (Roma 2013), a cura di Maria CHIABÒ, Maurizio GARGANO, Anna MODIGLIANI, Patricia OSMOND, Roma, R.R. inedita, 2014, pp. 363-406.

 

VISCEGLIA 2001

Maria Antonietta VISCEGLIA, La nobiltà romana: dibattito storiografico e ricerche in corso, in La nobiltà romana in età moderna: profili istituzionali e pratiche sociali, a cura di Maria Antonietta VISCEGLIA, Roma, Carocci, 2001, pp. XIII-XLI.

 

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EAD., Empire without end. Antiquities collections in Renaissance Rome, c. 1350-1527, New Haven-Londra, Yale University Press, 2010.


 



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Fig. 1
Roma, Palazzo Della Valle, Sala Serpieri, fregio, parete Sud, part. affresco con stemma Della Valle con cappello cardinalizio.

Fig. 2
Scuola romana, Sepolcro di Filippo Della Valle (†1494), Roma, Chiesa di Santa Maria in Aracoeli, 5° capp. sx.

Fig. 3
Scuola romana, Sepolcro di Filippo Della Valle (†1494), Roma, Chiesa di Santa Maria in Aracoeli, 5° capp. sx, part. con il volto di Filippo.

Fig. 4
Scuola romana, Sepolcro di Filippo Della Valle (†1494), Roma, Chiesa di Santa Maria in Aracoeli, 5° capp. sx, part. con le pile di libri.

Fig. 5
Roma, Palazzo Della Valle, ex Palazzo di cantone e Palazzo di mezzo o del cardinale, oggi sede della Confagricoltura (Corso Vittorio Emanuele, 101).

Fig. 6
Roma, Palazzo Pescatori-Serventi (Via di Monterone, 69).

Fig. 7
Roma, Palazzo Della Valle, Sala Serpieri, parete Nord.

Fig. 8
Roma, Palazzo Della Valle, Sala Serpieri, parete Ovest.

Fig. 9
Roma, Palazzo Della Valle, Sala Serpieri, parete Nord, riquadro di sinistra con paesaggio trompe-l'œil e rovine antiche.

Fig. 10
Roma, Palazzo Della Valle, Sala Serpieri, parete Sud, part. del registro superiore con la Fortezza.

Fig. 11
Roma, Palazzo Della Valle, Sala Serpieri, parete Est, part. del fregio con putto che cavalca un mostro marino.

Fig. 12
Roma, Palazzo Della Valle (ex palazzo di mezzo), cortile interno.



Foto 1, 7, 8, 9, 10 e 11 cortesia di Stefano Colonna (foto realizzate nel 2009)

Foto 2, 3, 4, 5, 6 e 12 cortesia di Alessandra Pratesi

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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