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Il museo liquido: evoluzione storica, potenzialità, rischi  

Michela Ramadori
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 9 Maggio 2016, n. 807
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Nel Codice etico professionale dell’ICOM, adottato dall’International Council of Museums nel 1986, revisionato per l’ultima volta nel 2004, il museo è definito come «un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto.» [1] .

Il museo, caratterizzato tradizionalmente dalle funzioni di conservazione, tutela, comunicazione e ricerca scientifica individuate dall’ICOM tra i principi generalmente accettati dalla comunità museale internazionale, è oggi chiamato ad avvicinarsi a modelli di sviluppo economico simili a quelli delle politiche industriali, evoluzione generale riscontrabile dall’osservazione delle maggiori istituzioni museali, sebbene l’approccio vari da paese a paese. In Italia, dove la legislazione in materia dei beni culturali ha affiancato alla tradizionale funzione di tutela dei musei il precetto di valorizzazione e solo successivamente ha previsto un’apertura verso le attività commerciali, lo sviluppo economico dei musei è sollecitato attraverso la richiesta sempre maggiore di personale con competenze manageriali, nonché attraverso la diffusione per mezzo dei media di una immagine dei beni culturali come una risorsa economica, il cosiddetto petrolio del nostro paese, con significative ricadute nella coscienza collettiva della società.

La comunicazione museale che persegue principalmente la valorizzazione del patrimonio culturale, e i modelli di sviluppo economico con i quali si deve confrontare il museo, nonostante appaiano su binari diversi, sono accomunati da una visione dinamica dell’istituzione, opposta a quella che in passato la vedeva prevalentemente come un luogo immutabile e stabile, chiamato principalmente a conservare le proprie raccolte. Il fattore tempo oggi appare dunque nodo essenziale nella vita del museo che, per assolvere tutte le sue funzioni, non può essere concepito come un’istituzione immobile ma è chiamato a modificarsi, essere dinamico, immersivo, multisensoriale… per definirlo con un unico termine: “liquido”, in sintonia e specchio della società che lo produce e al tempo stesso lo fruisce.

Con la metafora della liquidità Bauman descrive la modernità dai legami fragili e mutevoli, individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale a una libertà senza precedenti fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio impossibile da saziare, dove le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure [2] .

La valorizzazione, secondo le disposizioni generali del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, consiste «nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura.». Dal Codice risulta inoltre che la valorizzazione, ad iniziativa pubblica o privata (art. 111), è attuata in forme compatibili con la tutela (art. 6) ed è favorita da Ministero, regioni ed altri enti pubblici territoriali, perseguendo il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività (artt. 7 e 102), anche con la partecipazione di soggetti privati (artt. 6 e 111). Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione e per elaborare piani strategici di sviluppo culturale, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica (art. 112), gestiti in forma diretta o indiretta (tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione) oppure in forma congiunta e integrata (art. 115). Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono inoltre stipulare, anche congiuntamente, protocolli d’intesa con fondazioni bancarie che statutariamente perseguano scopi di utilità sociale nel settore dell’arte e delle attività dei beni culturali, al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione sul patrimonio culturale (art. 121) [3] .

Come risulta nelle disposizioni generali del Codice, «La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura» (art. 1). La gestione del patrimonio culturale pervenuto dalle generazioni precedenti, a cui si riferisce l’articolo 9 della Costituzione, deve offrire un impulso a creare e distribuire nuovi prodotti culturali, presupponendo un intervento pubblico meramente suppletivo, di sostegno alle energie intellettuali che stentano a farsi largo nella dimensione economica della vita culturale, senza formare un’arte o una scienza “di Stato”, secondo i principi proclamati dall’articolo 33 della Costituzione [4] , dove si legge «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». L’arte, insieme alla scienza, è pilastro dello Stato costituzionale dei diritti per la ricerca della verità dei fatti, al di sopra delle parti [5] .

Il museo, inteso come istituzione stabile, benché si differenzi dalle mostre temporanee per finalità, modalità e mezzi senza costituirne un’alternativa, risulta in dialettica con esse, di durata limitata nel tempo e quindi utilizzate come strumento di marketing [6] con un ruolo assimilabile a quello, nelle imprese commerciali, del lancio di un nuovo prodotto avente permanenza limitata sul mercato. Il museo di oggi, profondamente liquido, talvolta appare perdere la sua stessa identità, inglobando le mostre di durata limitata nel tempo e assimilandone i meccanismi.

Le esposizioni temporanee che possono essere organizzate nei musei accanto alle esposizioni stabili, sono in grado di richiamare masse di visitatori e fidelizzare singoli individui e ridefinire il rapporto tra visitatori occasionali e visitatori abituali della struttura che le accoglie, rappresentando un’occasione anche per i prestatori. Tuttavia, come evidenzia Mottola Molfino, possono causare dei contraccolpi negativi all’apertura dei musei poiché talvolta questi vengono in parte sgombrati per accogliere manifestazioni effimere [7] . Le mostre, coinvolgendo un vastissimo pubblico indifferenziato di turisti e residenti, maggiore di quello dei musei, possono produrre, oltre a benefici di ordine economico-finanziario, opportunità di carattere culturale, raccordando discorsi tematici più immediati, caratterizzati dall’eccezionalità dell’evento che offre la possibilità di osservare opere conservate nei depositi e in collezioni pubbliche o private non facilmente raggiungibili. Le mostre possono quindi consistere in proposte di nuove chiavi di lettura delle opere e nuovi percorsi con pezzi delle collezioni stabili, proposti a livello virtuale o attraverso cambiamenti nella selezione delle opere e nei criteri espositivi (leverage), oppure sono nuovi prodotti (building).

Le iniziative si dovrebbero sempre rapportare alla specificità del luogo che le ospita, come uno stadio di un progetto culturale più ampio, la cui traiettoria deve essere facilmente comprensibile anche per i non specialisti. Eventi non pertinenti alla mission del museo possono avere un effetto controproducente, addirittura screditarne l’immagine.

Le mostre temporanee, fenomeno non ancora esplorato globalmente dal punto di vista storico, a partire dall’unificazione d’Italia fino a gran parte del XX secolo sono raggruppabili, orientativamente, in due categorie che si rapportano al museo in modo diverso fra loro: quelle dedicate agli oggetti antichi, realizzate principalmente per far conoscere il patrimonio culturale consolidato esistente, e quelle sulle opere d’arte contemporanea, per promuovere le manifestazioni artistiche dell’epoca, che miravano, in forma indiretta, ad uno sviluppo commerciale delle produzioni artistiche. A queste finalità, nel tempo, se ne sono aggiunte o sovrapposte altre. Ad esempio, durante il Fascismo quando gli eventi espositivi si sono caricati di significati politici, attraverso una comunicazione visiva e verbale che rientrava nella strategia politica e simbolica del regime, il passato è stato riletto attualizzandolo alla luce degli obiettivi del governo. Al tempo stesso, sotto il regime, l’arte contemporanea è stata promossa con un impegno assiduo e articolato dello Stato [8] per ottenere consenso, formulando un appello alla partecipazione attiva degli artisti alla causa del Fascismo e imponendone il controllo sfociante in censura. L’Esposizione Quadriennale d’Arte Nazionale [9] , svoltasi nella sua prima edizione a Roma presso Palazzo delle Belle Arti (Palazzo delle Esposizioni) in via Nazionale nel 1931, è rappresentativa di tale politica nei confronti dell’arte contemporanea.

Per le mostre di oggetti antichi è individuabile il museo quale modello di riferimento assunto dagli eventi temporanei che, dopo la loro conclusione, hanno talvolta dato luogo ad istituzioni stabili, come è avvenuto con la Mostra archeologica nelle Terme di Diocleziano (1911) [10] che ha portato alla realizzazione del Museo dell’Impero Romano (1927) [11] e la Mostra Augustea della Romanità (1937) [12] a quello della Civiltà Romana (1952) [13] .

Le mostre sull’arte contemporanea hanno avuto, invece, modelli assimilabili alle esposizioni di oggetti tecnologici ed arti applicate, queste ultime sempre più vicine ai prodotti dell’industria.

Infatti, anche la Biennale di Venezia [14] , istituita nel 1893 (inaugurata il 30 aprile 1895), benché rispetto alle mostre degli stati preunitari avesse risposto a finalità diverse, non puntando sull’artigianato regionale ma sull’arte internazionale, è stata caratterizzata da un allestimento riconducibile a quello delle esposizioni ottocentesche di prodotti tecnologici che può essere posto in relazione con la situazione normativa successiva all’unità d’Italia. All’epoca, infatti, lo Statuto albertino non aveva portato ad una maggiore tutela dei beni culturali, prevalendo, esclusa l’architettura urbana di grande pregio artistico, il principio del libero scambio (art. 29). Il territorio italiano era stato disciplinato in modo diversificato con il rinnovo della legislazione disomogenea degli Stati preunitari (art. 5 l. 28 giugno 1871, n. 286), fino all’entrata in vigore della legge Rosadi (20 giugno 1909, n. 364) [15] che ha ampliato l’ambito dei beni culturali, rilanciandone politiche di tutela.

Grandi mutamenti ravvisabili nel campo museologico e nella regolamentazione in Italia relativa ai beni culturali sono riscontrabili a partire dagli anni ‘70, riconducibili a quei rivolgimenti provocati dal Sessantotto. Infatti, nel 1970 si è svolto a Roma il convegno Il museo come esperienza sociale, in cui emerge una concezione dell’istituzione museale come elemento attivo nella società [16] ed il patrimonio artistico è legato alla partecipazione [17] , temi collegabili al precetto di valorizzazione, traducibile con un maggior utilizzo dei beni da parte della collettività. Tuttavia, la valorizzazione, benché ne siano rintracciabili analoghi principi anche precedentemente insieme alla promozione, è entrata nell’ordinamento dei beni culturali con l’articolo 1 d.P.R. 3 dicembre 1975 n. 805 [18] , affiancandosi alla tutela, affidata al Ministero dei beni culturali (istituito con d.l. 14 dicembre 1974 n. 657, convertito nella legge 29 gennaio 1975 n.5). Nella legge Bottai [19] del 1° giugno 1939 n. 1089, dedicata alle cose d’arte (in cui si può scorgere il riflesso di una concezione estetizzante dei beni), la loro gestione era infatti intesa come l’attività diretta a permetterne la conservazione, l’integrità e la sicurezza.

Negli anni ‘70, parallelamente, si sono affermate le mostre come fenomeno di massa con le blockbuster exhibitions, in cui è riscontrabile un legame evidente tra esposizione e utilizzo dei beni culturali come fonte di guadagno, discostandosi da quegli ideali di partecipazione attiva della collettività, possibile attraverso la valorizzazione, e dalla regolamentazione italiana che prevede la subordinazione delle attività in cui si utilizzano beni culturali ad un accrescimento culturale della nazione. Tuttavia Ainis e Fiorillo osservano che, accanto alla valorizzazione come incremento delle condizioni di godimento pubblico dei beni culturali, emergerebbe un altro significato «per cui la valorizzazione è strettamente legata all’incremento della qualità economica del bene, mediante l’assicurazione di maggiori entrate finanziarie» [20] , rappresentando dunque una strategia gestionale destinata alla ricerca di profitto, purché vincolata alla più ampia fruizione dei beni.

È inoltre ravvisabile nella vita delle istituzioni museali un rapporto sempre più stringente con le mostre temporanee, per sopravvivere nell’era del consumismo culturale.

Le blockbuster exhibitions [21] (mostre campioni di incassi) sono utilizzate come strumento di marketing per attirare un vastissimo pubblico attraverso grandi campagne pubblicitarie. Lo scopo delle blockbuster exhibitions secondo West è il denaro, mascherato da finalità educative o d’intrattenimento [22] . Anche se tali mostre rappresentano un’attività di massa, l’immagine delle opere d’arte che ne viene data è quella di oggetti interpretabili solo da iniziati. Nella maggioranza dei casi sono dedicate all’arte moderna e raccolgono da tutto il mondo opere di un tema o di uno specifico artista oppure di una particolare scuola e sono soprattutto retrospettive di artisti canonici di sesso maschile, parte della mitologia modernista, benché anche alcuni degli old masters sono stati oggetto di spettacolari mostre internazionali. Attirano un vasto pubblico facendo leva sull’occasione di mostrare riunita una serie completa (o quasi) delle opere di un artista o di un gruppo di artisti, come uno spettacolo imperdibile, temporaneo e irripetibile. Le istituzioni riservano scarsa attenzione alla definizione della tipologia di pubblico che visita questo tipo di mostre, mostrando dunque di non riservare attenzione alla valorizzazione dei beni culturali ma principalmente solo al profitto economico che ne può derivare. Infatti, nel 1995 West lamentava l’assenza di statistiche in proposito, condotte invece sui visitatori dei musei per ricostruire una panoramica del loro profilo, e riconduceva il fascino di massa esercitato dalle blockbuster exhibitions al soddisfacimento di un bisogno sociale, separato dalla sensibilità estetica, nel quale il pubblico, benché numeroso, non comprendeva larga parte della popolazione, per il crescente costo d’ingresso e la posizione delle mostre nei centri metropolitani [23] .

Per sostenerne gli ingenti costi di dette mostre, vengono coinvolti sponsor commerciali, disponibili quando sono esposti famosi artisti del passato e quando la mostra si trova in grandi città, come Londra, Parigi o New York, nelle quali l’arte blockbuster è attrazione supplementare e strumento di marketing. Se le mostre hanno successo, sono molto redditizie, attraverso i proventi dei biglietti ed i negozi di vendita ad esse collegati. Queste esposizioni sono intrinsecamente commercializzate e la loro stessa esistenza favorisce le attività commerciali. Tuttavia, dati gli alti costi, sono potenzialmente rischiose ed anche per le gallerie specializzate non sempre i risultati sono ottimi. Ad esempio, la Royal Academy di Londra fino al 2000 ha riscosso un tasso di successo del 50%, raggiungendo il suo miglior risultato nel 1999 con la mostra Monet in the 20th Century che ha attirato 739.324 visitatori.

La popolarità delle blockbuster exhibitions ha provocato un cambiamento profondo nelle attività dei musei, dove il legame con il mondo commerciale dipende dalle scelte del direttore. Ad esempio, in ambito americano, Thomas Hoving al Metropolitan Museum of Art di New York si è avventurato in imprese costose (nuove ali museali, blockbuster exhibitions, acquisizioni), costringendo il museo alla ricerca di nuove fonti di reddito, trasformando l’istituzione in impresa imprenditoriale, commercializzandola come contenitore di una successione infinita di spettacoli di grande richiamo.

In Gran Bretagna è emersa poco più tardi la generazione dei direttori museali imprenditori, dediti ad una commercializzazione aggressiva, come Nicholas Serota alla Tate Gallery dal 1988, organizzatore fieristico abile nella creazione di un portafoglio di sponsor aziendali, impegnato a rendere la Tate il più grande luogo d’arte di divertimento in Europa.

In ambito italiano, come afferma Cosulich Canarutto, le blockbuster exhibitions, producendo un riscontro di pubblico immediato, pur non essendo collegate da una coerenza d’intenti e da programmi personalizzati delle istituzioni che le realizzano, sono state promosse da alcuni politici che vi hanno investito, facendo la fortuna di amministrazioni politiche e casse comunali; tuttavia, essendo esposte opere di artisti famosi prese in prestito da collezioni minori, queste iniziative, dopo un inizio esaltante con ricavi notevoli, si sono ridimensionate a causa della perdita di fiducia del pubblico che si è sentito ingannato, costringendo il curatore imprenditore a emigrare da regione a regione perché al successo iniziale segue, inevitabilmente, la necessità di trovare altri spazi di accoglienza [24] .

In Italia lo sviluppo delle blockbuster exhibitions è riconducibile all’introduzione del principio della valorizzazione nell’ordinamento dei beni culturali, previsto nell’articolo 1 d.P.R. 3 dicembre 1975 n. 805. Successivamente il d.lgs. n. 112/1998, nell’affermare la necessità del superamento di politiche neocentralistiche nel regime dei beni culturali, a proposito della valorizzazione fa riferimento all’organizzazione di mostre ed eventi culturali, riferimento poi non recepito nel t.u.b.cult. del 1999 a vantaggio della funzione di tutela. Benché la riforma del titolo V della Costituzione, approvata con l. cost. n. 3/2001, abbia costituzionalizzato la valorizzazione, quest’ultima risulta subordinata alla tutela.

Il legame tra attività culturali e commerciali, in cui si inseriscono per loro natura le blockbuster exhibitions, è stato inoltre rafforzato con la sponsorizzazione culturale [25] , incoraggiata dalla legge n. 512/1982 attraverso l’introduzione della deducibilità delle erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato o di altre istituzioni pubbliche o private che ha imposto controlli e vincoli, essendo subordinata ad autorizzazioni, tese ad evitare logiche estranee alla realizzazione di operazioni culturali.

Ulteriore sviluppo commerciale nell’ambito dei beni culturali si è verificato con la legge Ronchey [26] (n. 4/1993), attraverso l’introduzione dei servizi aggiuntivi, offerti al pubblico a pagamento con regime gestionale concessorio (basato sull’affidamento con gara di contratto quadriennale), prima assenti negli istituti culturali pubblici, frutto dell’esigenza di introdurre nel sistema organizzativo dei beni culturali pubblici meccanismi gestionali idonei a generare flussi di risorse economiche, incentrati, in alcuni casi, su iniziative di sfruttamento del patrimonio culturale, compatibilmente alla fruizione pubblica e gratuita dei beni stessi, oltre che per rendere più gradevoli le visite. La categoria dei servizi aggiuntivi è stata ampliata con l’articolo 47-quater, d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. in legge 22 marzo 1995, n. 85, comprendendo iniziative promozionali, utili alla migliore valorizzazione del patrimonio culturale che rientrano nelle attività ospitate dalle istituzioni museali.

L’articolo 14 d.l. 159/2007 e d.m. 29 gennaio 2008 hanno previsto l’integrazione tra attività e tra istituti, per una maggiore efficienza e razionalizzazione, introducendo una preferenza per la gestione in forma integrata dei servizi aggiuntivi.

I tagli di bilancio che negli ultimi anni hanno colpito molti settori della spesa pubblica, hanno avuto l’effetto di sviluppare la ricerca di fonti di reddito integrative, introducendo nella vita dei musei attività di marketing e indagini di mercato. I musei sono quindi diventati molto più market oriented.

Il museo liquido si presta bene a questo genere di orientamento, richiamando periodicamente anche gli stessi visitatori perché permette loro di vivere sempre nuove esperienze. L’incremento del numero di visitatori, collegato a benefici economici, non costituisce di per sé un risultato negativo per la valorizzazione della raccolta del museo, coniugabile con diverse esigenze. Il rischio nasce dalla possibilità che per un incremento economico vengano pianificate le attività dell’istituzione in funzione del volume di proventi che ci si prefigge di raggiungere. È per questo che la sponsorizzazione deve essere controllata, per non incorrere alla realizzazione di attività che in modo subdolo siano finalizzate al soddisfacimento economico ad esempio di sponsor che elargiscono proventi in cambio di un riscontro economico a loro vantaggio ben misurabile, anche a costo di dare dei messaggi scorretti e fuorvianti.

Uno dei rischi corsi dal museo attuale, sempre più liquido, è quello di diventare una sorta di mostra temporanea, in continua evoluzione, per entrare in concorrenza con le esposizioni di durata limitata nel tempo. La liquidità del museo già oggi investe le sue attività, proposte in forma diversa, che si aggiungono ai compiti di conservare ed esporre le collezioni permanenti.

La sfida del museo di oggi è quella di rimanere fedele alla propria identità, senza diventare un parco dei divertimenti, costituire un’alternativa valida alle mostre, interessare i visitatori.

La liquidità che contraddistingue la società costringe il museo ad adeguarsi ad essa per non interrompere la sua comunicazione nei confronti della collettività, mantenendone vivo l’interesse. Potenzialmente il museo, grazie alle nuove tecnologie, agli allestimenti coinvolgenti, ai programmi di attività ad esso correlati, studiati per soddisfare varie tipologie di pubblico, può rivelarsi un mezzo al servizio della società. Un chiaro esempio in tal senso viene offerto dai mezzi tecnologici impiegati nell’ambito museale e dalla comunicazione delle istituzioni attraverso la rete con siti internet ufficiali e profili su social network, accessibili tramite dispositivi fissi e mobili, nonché attraverso lo sviluppo di specifiche applicazioni mobili - app (Fig. 1). I mezzi tecnologici possono essere impiegati per valorizzare il patrimonio culturale, sfruttando la possibilità di fornire rapidamente informazioni in modo semplice e in qualsiasi luogo (se c’è connessione ad internet), di accostare opere fisicamente distanti, di tracciare percorsi personali in cui l’utente svolge un ruolo attivo e in cui è possibile vedere ricostruiti virtualmente contesti non più esistenti.

Nell’ambito museale, all’insegna della liquidità, negli ultimi anni i mezzi tecnologici sono stati impiegati anche per la realizzazione di mostre virtuali.

Queste ultime [27] o sono generate da eventi reali, dando luogo a prodotti autonomi per l’uso del linguaggio web, o sono nate direttamente per il web, svolgendosi esclusivamente in ambiente virtuale. Sono realizzate da soggetti culturali con scarsità di risorse o di spazi espositivi che affidano al mezzo informatico la possibilità di valorizzare e far conoscere il proprio patrimonio, oppure sono realizzate da privati con contenuti e oggetti digitali propri o contengono in un unico spazio virtuale opere raccolte in diverse istituzioni che non potrebbero essere riunite fisicamente in un unico luogo, o contengono opere born digital (nate in ambiente digitale).

Nell’ambito del web culturale, agli inizi del XXI secolo è stato avviato il progetto MINERVA [28] che, tra le tematiche inerenti la digitalizzazione, ha lavorato sulla qualità delle applicazioni web e sull’interazione con gli utenti, proponendo strumenti pratici, raccomandazioni e linee guida agli operatori del settore, condivise a livello europeo.

In Italia, l’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane di concerto con l’Istituto centrale per gli archivi, ispirandosi al progetto MINERVA, ha elaborato delle linee guida, destinate alle istituzioni culturali, per la realizzazione di mostre virtuali online, progettate per generare percorsi virtuali diversificati e al tempo stesso rappresentare l’identità e l’attività dell’istituto, costituenti strumenti per il processo di transizione digitale del sistema dei beni culturali da affrontare con apposite infrastrutture, adeguati strumenti e con la consapevolezza della profonda modificazione di prospettive introdotta dalla possibilità di separare la governance della conservazione dalle strategie di valorizzazione del patrimonio culturale, spesso indirizzate al marketing turistico-territoriale e all’esplorazione di nuove forme di turismo culturale. L’obiettivo primario delle mostre virtuali per le quali è stato ideato il progetto MINERVA è la valorizzazione, per avvicinare i cittadini al patrimonio culturale e artistico nazionale e internazionale, con funzione didattica per portare un valore aggiunto alle mostre fisiche. Dall’elaborazione delle Linee guida [29] e dall’analisi degli strumenti esistenti è nato MOVIO [30] per creare un kit open source di strumenti e servizi per la realizzazione di mostre virtuali online, destinato agli istituti culturali italiani per valorizzare i beni meno noti o non visibili presenti nelle proprie collezioni, oltre che per dare risalto ai capolavori. Per MOVIO una declinazione della mostra virtuale online è il percorso tematico.

Tra le mostre virtuali online realizzate nell’ambito di MOVIO [31] (che non sembrano aver sfruttato a pieno le possibilità offerte, presentandosi graficamente vicine ai siti-vetrina degli istituti culturali benché con maggiori contenuti multimediali), oltre a quelle legate alle mostre fisiche, molte sono costituite da percorsi basati su una selezione di materiale presente all’interno di uno specifico istituto culturale. Non mancano quelle realizzate in vista di un futuro allestimento reale o come percorsi tematici che coinvolgono più musei.

Nonostante le grandi possibilità offerte dai mezzi tecnologici, all’insegna della liquidità, le loro stesse caratteristiche possono diventare rischiose se portate alle estreme conseguenze, con risultati opposti a quelli previsti dalle normative vigenti in Italia.

È rivelatrice l’associazione del museo liquido alla dimensione digitale, in rapida evoluzione nei musei, a cui si riferiscono Boiano e Gaia che legano al concetto di museo liquido esclusivamente l’accelerazione tecnologica, affermando che le nuove tecnologie offrono la possibilità di rendere il «consumatore contemporaneo, o meglio il consum-attore… al tempo stesso creatore di contenuti. … Raramente ha la voglia e la possibilità di focalizzarsi completamente su un solo stimolo; se viene colpito da un’opera d’arte, vuole immediatamente salvarla e condividerla con la sua “audience”. … Le pareti non contengono più le opere: divenute immagini virtuali nello smartphone del visitatore, esse fluttuano per lo spazio della rete, sempre più alterate…» [32] .

La parola “consumatore” evoca piuttosto un consumo indiscriminato, non dettato dal soddisfacimento di bisogni e che non porta ad un accrescimento dell’individuo. Inoltre, ponendo in evidenza la componente -attore della parola, non emerge un quadro confortante, in quanto evoca una condizione di finzione in cui ciascuno interpreta una parte non legata da un racconto con una morale e la recitazione in sé non sembra portare ad una catarsi. L’atteggiamento del consumatore culturale che si configura in tal modo, si colloca in una posizione ben distante dalle finalità del museo secondo la normativa italiana ed il Codice etico dell’ICOM. Inoltre, la possibilità di personalizzare, alterare e condividere le immagini delle opere può rispondere principalmente al soddisfacimento di un'affermazione dell’individuo fine a se stessa, portandolo ad una autoreferenzialità. Anziché dare un messaggio relativo ad una specifica cultura, alla storia di un gruppo di persone, di una nazione o dell’umanità, il museo liquido rischia, attraverso le tecnologie, di dividere ed isolare gli individui. Ciascuno dispone dei mezzi per creare il proprio museo che si ripiega su se stesso, senza avere necessariamente legami con la storia delle opere estratte dal loro contesto e modificate a piacimento, in modo soggettivo e unilaterale. Ciascun fruitore può dunque isolarsi dall’altro, non riconoscendo dei valori comuni ad un gruppo di individui, ad una cultura. La rete, inoltre, specchio ed estensione della liquidità, offrendo la possibilità a chiunque di condividere pensieri e immagini, si configura come una dimensione mutevole, fluttuante, in cui sempre più si perde l’orientamento e dove è difficile distinguere il vero dal falso, dove notizie inventate vengono diffuse per reinventare la realtà o per avere più condivisioni. Dove il flusso di notizie scorre sempre più rapidamente, si annulla inoltre la dimensione storica. Infatti, come accade per le tecnologie, tutto diventa subito obsoleto. Il museo, di conseguenza, rischia di divenire lo specchio di un eterno presente fuori dalla storia dove ogni evento, allestimento o attività ha la durata di un post in un social network. Inoltre, la gestione social dei musei, di cui si occupano specifici operatori afferenti alle strutture stesse, talvolta tende a diventare fine a se stessa, in un trionfo della tecnologia dove viene perso di vista il fine di comunicazione museale, a vantaggio dell’esibizione del mezzo che in casi estremi può comportare un utilizzo consistente delle risorse, riducendo il budget destinato alla conservazione materiale del patrimonio culturale.

Anche la dimensione fisica dei musei è stata caratterizzata da un passaggio verso la liquidità, discostandosi da una concezione statica e ben finita dell’istituzione. I musei razionalisti, con i grandi spazi neutri e dalle architetture squadrate sono stati soppiantati da allestimenti fluidi che si prestano a visioni mutevoli e molteplici, portando ad una lettura sempre più soggettiva degli spazi e degli oggetti esposti, ad un approccio che si basa sulle emozioni. È interessante notare, in proposito, che in Italia, in consonanza con la didattica museale, nella scuola si sta facendo sempre più spazio la “didattica per competenze emotive” che pone al centro dello spazio scolastico le emozioni degli individui. Le emozioni sono immediate e possono avere una grande forza. Tuttavia, l’individuo non è fatto solo di emozioni ma è un essere composto anche da ragione. Dunque, qualsiasi approccio basato sulle emozioni non può considerarsi mai esaustivo ma necessariamente deve andare ad integrarsi con la dimensione razionale. Inoltre, le emozioni da sole possono portare ad alimentare quell’insoddisfazione propria del consumismo, fenomeno del tutto irrazionale.

Nella società liquida ha trovato spazio anche un allestimento museale ed un’architettura liquida, termine qui non inteso con il significato dato da Novak nell’ambito del cyberspazio [33] ma usato per indicare una elaborazione strutturale fisica.

Questa architettura liquida non può essere ricondotta esclusivamente ad un effetto della mercificazione culturale ma si nutre di una serie di condizioni che ne hanno determinato lo sviluppo. Inoltre, storicamente non esiste una cultura monolitica perché, nel corso del tempo, si sono registrate nello stesso periodo determinate tendenze e spinte ad esse contrarie. Infatti, Colonna ha collegato il concetto di architettura liquida alla dialettica di classico e anticlassico (tema sviluppato da Argan e Zevi in chiavi diverse) in cui la contrapposizione non si risolve in un’antitesi che esclude l’elemento opposto [34] .

L’architettura liquida è definita da Rugino, sulla base della logica liquida, come dinamica, implosiva, tattile, immersiva, distribuita, digitale, convergente, integrata, multisensoriale, virtualizzata e continua, basata sull’intelligenza anziché sulla memoria [35] . Tuttavia, l’intelligenza è strettamente legata alla memoria perché lo sviluppo della capacità cognitive e tecniche umane è stato possibile nel tempo grazie alla trasmissione della memoria e delle esperienze collettive dell’umanità.

L’architettura liquida, come il museo liquido, è identificabile con una adeguata forma di rappresentazione del nostro periodo storico e la risposta appropriata ai bisogni comunicativi della società di oggi che possono essere coniugati con una maggiore valorizzazione dei beni culturali, dalla quale possono derivare anche introiti economici con un maggior flusso di visitatori.

L’architettura liquida, intesa come contenitore delle raccolte museali e allestimento degli spazi espositivi, è profondamente storicizzata come qualsiasi manifestazione artistica e può essere letta come un'installazione che ingloba le opere, dando loro un nuovo significato. L’allestimento museale concorre di per sé alla comunicazione di un messaggio, non contenendo opere a caso ma secondo un criterio, ed interferendo dunque sempre con la loro percezione. Tuttavia, rispetto a criteri all’insegna della neutralità percettiva, un’architettura liquida crea interferenze maggiori e volute, prestandosi a stupire ed attirare masse di fruitori. Queste sono sensibili soprattutto a grandiose scenografie dove la funzione didattica può essere anche del tutto disattesa. Si corre dunque il rischio che le opere si disperdano in scenografici allestimenti, perdendo la loro autonomia originaria dal contesto che le circonda. Inoltre, un’architettura particolarmente liquida può risultare non inclusiva, essendo, portata alle estreme conseguenze, un elemento di disturbo per alcune tipologie di fruitori (ad esempio per chi ha problemi di squilibrio).

Dunque, la sfida del museo oggi, chiamato ad essere liquido per necessità, consiste nel coniugare esigenze comunicative, in una società sempre più consumistica, attirata dal desiderio di provare emozioni rapide e intense destinate a consumarsi in fretta, ad esigenze didattiche e di ordine economico. La sopravvivenza del museo è subordinata al mantenimento di un equilibrio di tutte queste esigenze.

Nella società liquida Bauman riconosce un concetto di cultura mercificata, mantenendo sempre i bisogni insoddisfatti, assimilata ad un reparto di un grande magazzino di cui fanno esperienza persone trasformate in consumatori, fatta di offerte e non di divieti, di proposte e non di norme, plasmata per adeguarsi alla libertà individuale di scelta, impegnata ad attrarre e sedurre senza dare regolazioni normative, dove l’individuo-cliente viene investito da un eccesso di stimoli che lo porta a consumare senza criterio, con l’unico fine di appagare un effimero desiderio di possesso a cui non corrisponde un arricchimento formativo [36] .

Il museo di oggi, profondamente liquido per aspetto e attività, ben si presta a rappresentare la società liquida mercificatrice della cultura perché può permettere un mero sfruttamento economico dei beni culturali e delle attività ad essi connesse. Tuttavia, al tempo stesso, può essere impiegato per un accrescimento culturale della società, per sviluppare un’analisi del mondo circostante, una comprensione del periodo storico in cui si vive e lo sviluppo di uno spirito critico. Il museo può essere flessibile, purché vincolato a punti fermi ben saldi, può plasmarsi sugli interessi di ciascuno, purché questi possano permettere un dialogo e la condivisione di valori comuni. La liquidità, dunque, può costituire una risorsa se non viene sfruttata prevalentemente per trarne un beneficio economico, secondo una impostazione che oggi appare imposta all’istituzione museale come un impegno inderogabile e scopo prevalente.





NOTE


[1] Codice etico dell’ICOM per i musei, Milano/Zurigo 2009, con Introduzione di Geoffrey LEWIS, p. 14, consultato in ICOM International Council of Museums - Italia, <http://archives.icom.museum/codes/italy.pdf> visitato in data 27/04/2016.

[2] Cfr. Zygmunt BAUMAN, Liquid Life, Cambridge, Polity Press, 2005, trad. it. Marco CUPELLARO, Vita liquida, 4° ed., Roma, GLF Editori Laterza, 2008. ID., Liquid modernity, Cambridge, Polity Press, 2000, trad. it. Sergio MINUCCI, Modernità liquida, 10° ed., Roma – Bari, Laterza, 2011.  

[3] Sull’esigenza di valorizzare il patrimonio culturale pubblico italiano si veda anche Lorenzo CASINI, Valorizzazione del patrimonio culturale pubblico: il prestito e l’esportazione di beni culturali, “Aedon. Rivista di arti e diritto on line”, n. 1-2, 2012, <www.aedon.mulino.it/archivio/2012/1_2/casini2.htm> ISSN 1127-1345.

[4] Cfr. Michele AINIS - Mario FIORILLO, I beni culturali, in Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, a cura di Sabino CASSESE, t. 2, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 2000, pp. 1053-1101, p. 1062. ID., L’ordinamento della cultura. Manuale di legislazione dei beni culturali, 2° ed., Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 2008, pp. 162-164.

[5] Cfr. Carlo ROSSETTI, La libertà di insegnamento e di ricerca: scuola e università nella Costituzione, in Dialoghi sulla Costituzione. Per saper leggere e capire la nostra Carta fondamentale, a cura di Marco IMPERATO - Michele TURAZZA, prefazione di Valerio ONIDA, Monte Porzio Catone (RM), Effepi Libri, 2013, pp. 152-159, pp. 152-153.

[6] Per le notizie sul marketing delle mostre temporanee: Giacomo MAGNANI, Introduzione alla gestione dei beni culturali. L’ambiente normativo e culturale: opportunità e vincoli per il management delle istituzioni culturali, Milano, I.S.U. Università Cattolica, 2004, pp. 57-58. Claudio SALSI, Esperienze di marketing museale, in Marketing culturale. Valorizzazione di istituzioni culturali. Strategie di promozione del territorio, a cura di Silvia LURAGHI - Paola STRINGA, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp. 61-68, pp. 66-68. Claudia Maria GOLINELLI, Cultura, impresa e territorio. La valorizzazione del patrimonio culturale: verso la definizione di un modello di governance, Milano, Giuffrè editore, 2008, p. 107.

[7] Cfr. Alessandra MOTTOLA MOLFINO, Il libro dei musei, Torino, Umberto Allemandi & C., 1992, p. 153.

[8] Per le notizie sulla politica delle arti durante il fascismo: AINIS FIORILLO 2008, pp. 40, 52-54, 57-58, 65. ROSSETTI C. 2013, p. 153.

[9] Per le notizie sulla Quadriennale di Roma: Prima Quadriennale d’Arte Nazionale sotto gli auspici di S. E. il capo del governo. Catalogo, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, gennaio – giugno 1931), Roma, Edizioni Enzo Pinci, 1930. Arturo LANCELLOTTI, La prima Quadriennale d’Arte Nazionale. con 249 illustrazioni e 20 tavole. fregi di Gino Maggioni, Roma, Edizioni Enzo Pinci, 1931. Sergio GUARINO, La Quadriennale: da mostra periodica a struttura pubblica, in Il Palazzo delle esposizioni. Urbanistica e architettura. L’esposizione inaugurale del 1883. Le acquisizioni pubbliche. Le attività espositive, a cura di Rossella SILIGATO - Maria Elisa TITTONI, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 12 dicembre 1990 - 14 gennaio 1991), Roma, Edizioni Carte Segrete, 1990, pp. 207-217. Francesca Romana MORELLI, Roma-Torino: artisti, collezionismo pubblico e privato alle Quadriennali romane (1931-1943), in Le Capitali d’Italia. Torino-Roma 1911-1946. Arti produzione spettacolo, a cura di Marisa VESCOVO - Netta VESPIGNANI, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Bricherasio – Stupinigi, Palazzina di Caccia, 4 dicembre 1997 – 22 marzo 1998), Electa, Milano 1997, pp. 55-62. Claudia SALARIS, La Quadriennale. Storia della rassegna d’arte italiana dagli anni Trenta a oggi. History of the Exhibition of Italian Art from the Thirties to Today, Venezia, Marsilio, 2004.

[10] Per le notizie sulla Mostra archeologica nelle Terme di Diocleziano: Giulio Quirino GIGLIOLI, a cura di, Museo dell’Impero Romano. Catalogo, Roma, Stabilimento Tipografico R. Garroni, 1929. Marianna GUCCIARDINO, Il museo della Civiltà Romana: dalle origini ad un’ipotesi di ristrutturazione, in “Bollettino dei musei comunali di Roma”, 2, 1988, pp. 81-93, pp. 82-85.

[11] Per le notizie sul Museo dell’Impero Romano: GIGLIOLI G. Q. 1929. Antonio M. COLINI, Il Museo della Civiltà Romana, in “Capitolium”, 3-4, 1952, pp. 65-80. GUCCIARDINO M. 1988, pp. 85-86.

[12] Per le notizie sulla Mostra Augustea della Romanità: COLINI A. M. 1952, pp. 67-68. GUCCIARDINO M. 1988, pp. 86-88. Giuseppina PISANI SARTORIO, La Mostra Augustea della Romanità (1937 – 1938), il Palazzo delle Esposizioni e l’ideologia della romanità, in Il Palazzo delle esposizioni. Urbanistica e architettura. L’esposizione inaugurale del 1883. Le acquisizioni pubbliche. Le attività espositive, a cura di Rossella SILIGATO - Maria Elisa TITTONI, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 12 dicembre 1990 - 14 gennaio 1991), Roma, Edizioni Carte Segrete, 1990, pp. 219-221.

[13] Per le notizie sul Museo della Civiltà Romana: COLINI A. M. 1952. GUCCIARDINO M. 1988, pp. 88-90.

[14] Per le notizie sulla Biennale di Venezia: Paolo RIZZI - Enzo DI MARTINO, Storia della Biennale 1895-1982, Milano, Electa, 1982, pp. 13-20. Enzo DI MARTINO, Biennale di Venezia. Storia della Biennale di Venezia 1895 – 2003. Arti visive. Architettura. Cinema. Danza. Musica. Teatro, Venezia, Papiro Arte, 2003, pp. 7-15.

[15] Per le notizie sulla legge Rosadi: AINIS FIORILLO 2000, pp. 1056-1058.

[16] Cfr. Franco RUSSOLI, Il museo come elemento attivo nella società, in Il museo come esperienza sociale, atti del convegno di studio sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica (Roma, 4-5-6 dicembre 1971), Roma, De Luca, 1972, pp. 79-84.

[17] Cfr. Ortensia MELE, Il patrimonio artistico e la partecipazione, in Il museo come esperienza sociale, atti del convegno di studio sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica (Roma, 4-5-6 dicembre 1971), Roma, De Luca, 1972, pp. 267-270.

[18] Per il riferimento cronologico e legislativo dell’entrata della valorizzazione nell’ordinamento dei beni culturali: Michele AINIS – Mario FIORILLO, L’ordinamento della cultura. Manuale di legislazione dei beni culturali, 3° ed., Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 2015, p. 225.

[19] Per le notizie sulla legge Bottai: AINIS FIORILLO 2000, pp. 1058-1059. AINIS FIORILLO 2008, p. 209.

[20] AINIS FIORILLO 2015, p. 225.

[21] Per le notizie sulle blockbuster exhibitions: Shearer WEST, The Devaluation of ‘Cultural Capital’: Post-Modern Democracy and the Art Blockbuster, in Art in Museum, edited by Susan PEACE, London, The Athlone Press, 1995, pp. 74-93, pp. 75-76. Christopher M. LAW, Urban Tourism. The Visitor Economy and the Growth of Large Cities, 2° ed., Trowbridge, Cromwell Press, 2002, pp. 145-146. Chin-Tao WU, Privatising Culture: Corporate Art Intervention Since the 1980s, London, Verso, 2003, pp. 135-137. Sarah COSULICH CANARUTTO, Visitatoreattore, in Arte o spettacolo? Fruitori, utenti, attori, a cura di Danila BERTASIO, Milano, FrancoAngeli, 2006, pp. 58-62.

[22] WEST S. 1995, p. 75.

[23] Ibidem, pp. 75-76.

[24] COSULICH CANARUTTO S. 2006, pp. 59-60.

[25] Per le notizie sulla sponsorizzazione culturale: AINIS FIORILLO 2000, pp. 1083-1084. AINIS FIORILLO 2015, pp. 235-240.

[26] Per le notizie sulla legge Ronchey: Nomisma, Primo Rapporto Nomisma sull’applicazione della Legge Ronchey, Ricerca promossa in occasione del Salone dei Prodotti e Servizi dedicati all’Arte (Arezzo, 12-15 maggio 2000), Bologna, Nomisma Società di studi economici, 2000. Commissione incaricata di elaborare una proposta per la definizione dei livelli minimi di qualità della valorizzazione (d.m. 1 dicembre 2006). Sintesi dei lavori – ottobre 2007 (stralcio). Sottocommissione 4. Programmazione e gestione delle attività di valorizzazione. I “servizi aggiuntivi”, in “Aedon. Rivista di arti e diritto on line”, n. 2, 2008, <www.aedon.mulino.it/archivio/2008/2/servagg.htm> ISSN 1127-1345. Giuseppe PIPERATA, La nuova disciplina dei servizi aggiuntivi dei musei statali, in “Aedon. Rivista di arti e diritto on line”, n. 2, 2008, <www.aedon.mulino.it/archivio/2008/2/piperata.htm> ISSN 1127-1345. Giuliano SEGRE, Il museo a Mestre: una occasione per un museo del Novecento della città a Venezia, in I Musei della Città, a cura di Donatella CALABI – Paola MARINI – Carlo M. TRAVAGLINI, “Città e Storia”, III, n. 1, 2008, pp. 325-339, pp. 329-333.

[27] Per le notizie sulle mostre virtuali: Mostre virtuali online. Linee guida per la realizzazione. Versione 1.0 (settembre 2011), a cura di Tiziana FABRIS – Adriana MARTINOLI – Maria Teresa NATALE – Giuliana ZAGRA, Roma, MiBAC – ICCU – ICAR – OTEBAC – Minerva, 2011.

[28] Minerva Knowledge Base. Digitising Content Together, edited by Minerva Editorial Board, Copyright Minerva Project 2006-11, last revision 2013-03-11, <www.minervaeurope.org> visitato in data 09/08/2015.

[29] MOSTRE 2011.

[30] Cfr. MOVIO Mostre Virtuali Online: uno strumento innovativo per realizzare mostre virtuali online a uso di musei, archivi e biblioteche, opuscolo informativo, MiBACT – ICCU – Fondazione Telecom Italia, 2012. MOVIO Mostre Virtuali Online, 2012-2015, pagina creata il 01/09/2012, ultima modifica 09/11/2014, <www.movio.beniculturali.it> visitata il 12/06/2015.

[31] I link delle mostre virtuali realizzate nell’ambito di MOVIO si trovano pubblicati in MOVIO Mostre Virtuali Online, 2012-2015, Home > Mostre realizzate, pagina creata il 21/10/2013, ultima modifica 24/07/2015, <www.movio.beniculturali.it/index.php?it/68/mostre-realizzate> visitata il 28/08/2015.

[32] Stefania BOIANO – Giuliano GAIA, Il museo liquido. Alcune best practice internazionali e qualche suggerimento per i musei che non rinunciano a giocare un proprio ruolo anche nella dimensione digitale in rapida evoluzione, in “Museo in-forma. Rivista quadrimestrale della Provincia di Ravenna – Notiziario del Sistema Museale provinciale”, 55, 2016, pp. 9-10, p. 9.

[33] Marcos NOVAK, Architetture liquide nel ciberspazio, in Cyberspace. Primi passi nella realtà virtuale, a cura di Michael BENEDIKT, Padova, F. Muzzio, 1993, pp. 233-265.

[34] Cfr. Stefano COLONNA, La dialettica di classico/anticlassico tra Argan, Zevi e Novak per una definizione critico-estetica di “Architettura Liquida”, in “BTA – Bollettino Telematico dell’Arte”, 16 Giugno 2014, n. 715, <http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00715.html> ISSN 1127-4883

[35] Salvatore RUGINO, Liquid box, Roma, Aracne, 2008.

[36] Cfr. Zygmunt BAUMAN, Per tutti i gusti. La cultura nell’era dei consumi, trad. it. Daniele FRANCESCONI, Roma – Bari, GLF editori Laterza, 2016.






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