«Ad
apposito interstizio dilla cospicua fontana dimora dilla dormiete Nympha tirò
il bagno era un’altra di statua di optiamo metallo artificiosamente facta cu
nitore aureo speculabile. Le qule erao ifixe sopra un marmoro i quadratura
excavato e frontespicio reducto, co due semicolunule cioè emycicle. Una p. Lato
cu tra etto Zopherulo e coro nicetta nel solido della unica Petra iscalpte.
Questo coposito pclaro offerì aste qle di tuta lopa el residuo tutto, cu esimia
arte e iveto merificamete absoluta.Nel cavo intersechino, overo nel intercavato dlla dicata petra due pfecte
Nymphe astanao, poco chel naturale meo grade, fino sopra le cruse devestite,
ove cedeva la divisioe de la supidute iterula, alqto volante El moto del suo
officio. Et gli brachi similmente nuda ti, dal cubito, ad le spalle excepto. Et
sopra al braccio che El puerulo susteniva era lo habito sublevato reiecto. Li pediculi
del qle infantulo .Uno di la mano dla una, e laltro delaltra mao de la Nympha
calcavano de tuti tre li multi ridibondi
e cu l'altra mano le Nymphe dimovando lelacinule del puellulo fina al
suo cingira overo umbelico discopriva. Et el fanciullo, cu tutte due le mano el
membrulo suo teniva. Il qle dietro alle calde aq mingeva (tepidatile) aq
freschissima. In qsto delizioso Et excellentissimo loco io era p. tale
conditione tuto soluto i gaudio e coteto ma interrotto El pcipuo piacere degli
sentimenti,solamete poche tra esse cotetibile e tra tota albescentia e rore
concreto in pruina, quasi egyptino e melanchocro me vedeva. Una de qste dunq
noiati Anchoe, affabilmete disse surridedo. Poliphile nro togli qllo vaso de
crystallo e portami qui poco di qlla aq recete. Secia morula affectado e senza
altro pesiculare, si no che gratificando me è no solu pmptamete obsequoso
exhibendo me, ma et lixabodo p. compiacerli psto uno pede posui sopra uno grado
p. far me allaq cadete che il menfore levoe il priapulo e nella calda facia
trasse mi laq frigidissima, che qsi i qllo istati me cogenulai idrieto. Per la
qle cosa tato riso acuto e foeminile sotto la obtusa cupola risonava che ancora
io icominciai (in me ritornato) fortemete di ridere che me sentiva morire. Daposcia
io conobbi la deceptione dil artificio peritissimamente excogitato, che ponendo
sopra El grado imo istabile, pondo alcuno, in fin el se moveva e in su traeva
lo istromento puerile. Onde cu subtile examine investigato la machina e curioso
artificio mi due molto gratissimo. Et pero nel Zophorulo era inscripto elegante
in Atthice formulae questo titulo ΓΕΛΟΙΑΣΤΟΣ.».
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«Nel
lato opposto della fontana esternamente alla Ninfa dormiente, nella vasca era
un’altra fontana in ottimo metallo somigliante all’oro. Su di essa si ergevano
una cornice in marmo e un piccolo frontone con due semicolonne a emiciclo. Queste
erano poste sopra una cornice in marmo con un piccolo frontone con due
semicolonne ovvero emiciclo. Una per lato erano con la trabeazione scolpite
nella pietra come un unico solido. Questa composizione si mostrava chiara e
compatta condotta con finissima arte e di assoluta meraviglia. Nel cavo fra una
parte e l’altra della pietra, ovvero nell’incavo della pietra, due Ninfe
perfette in piedi, con sembianze naturali. Denudato dal pube alle spalle che
rimanevano coperte. E il putto sosteneva l’abito sollevato. I piedi
dell’infante erano sostenuti uno da una ninfa e l’altro dall’altra, tutti e tre
ridibondi e con l’altra mano le Ninfe muovevano le vesti del putto fino alla
vita e a scoprirne l’ombelico. Ed il fanciullo con entrambe le mani sosteneva
il suo membro e dal quale mingeva fra le calde acque anche acque freschissime.
In questo delizioso e bellissimo luogo io mi sentivo appagato e contento ma venni
improvvisamente interrotto nel piacere dei sentimenti da un albeggiare concreto
che mi gettò in un sentimento quasi “aegyptino” e malinconico. Una delle ninfe
mi si rivolse affabilmente sorridendo: «Polifilo sposta quel vaso di cristallo
e portami qui quell’acqua da poco sgorgata».
Senza aspettare perché ciò mi gratificava, obbedii prontamente
all’ordine. Posi allora un piede sopra un guado ma scivolando mi bagnai la
faccia con l’acqua freddissima e quasi mi congelai il didietro. Per questo
sentii il riso acuto femminile che sotto la cupola ottusa risuonava e anch’io
tornato in me cominciai a ridere da sentirmi morire. Allora capii che era stato
escogita un gioco artificiale per rendere instabile quell’appoggio in modo che
se si premeva quella pietra col piede immediatamente si sarebbe tratto a sé
anche il putto mingente bagnandosi. Mi fece molto piacere esaminare la macchina
che provocava questo curioso artificio. Però nel Zophorulo era posta
l’iscrizione in elegante stile attico con questo titolo ΓΛΟΙΑΣΤΟΣ».
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Fig. 1: Xilo-22 - Putto mingente nel tempio del Riso,
Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499, xilografia
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La
storia del Poliphilo ci porta a considerare la simbologia delle immagini come
una componente attiva dell’opera completa del Polifilo, un percorso a tappe
collegate fra racconto, personaggi e simboli evocativi.
Alla pagina dell’illustrazione raffigurante la Fontana della Ninfa, segue
l’illustrazione di una fontana che fa parte della stessa unità monumentale del
giardino di Eleuterillyde, raffigurante un tempietto, dotato di frontone, dal
quale un putto con la camicia alzata, viene ritratto nell’atto della minzione
(Fig. 1). Il tempio è quello del riso, ed il putto è sostenuto da due figure
femminili. Nella tradizione delle corti, la simbologia pagana ha un
collegamento con quella cristiana, rimanendo tuttavia del tutto autonoma nella
sua valenza, con alcune caratteristiche prevalenti, ad esempio la simbologia
del giardino o “hortus conclusus”. Una sorta di interesse per il mondo ellenistico si intravede nella
gestazione
del Sogno, un richiamo preciso all’aspetto multiculturale di quel
periodo in cui le tre grandi religioni: cristiana, ebraica e musulmana,
convivevano con
scambi sincretici continui e contaminazioni, testimoniati dalla
morfologia
varia e polivalente produzione artistica dell’epoca. Questo aspetto è
sottolineato, come già evidenziato da Maurizio Calvesi, nella frequente
presenza, nella
narrazione e nelle illustrazioni, delle lingue appartenenti alle
principali
civiltà: greca, latina, ebraica e islamica. Le quattro versioni
sono presenti
sulle tre porte nella xilografia corrispondente alla ricerca di Polia.
Sotto
il frontone del tempio del riso si legge la scritta ΓΕΛΟΙΑΣΤΟΣ,
ovvero “buffo”, “che suscita ilarità” ad indicare il tempio del riso.
Il legame con la figura di Gelasto
appartenente alla letteratura satirica ma anche ad alcune opere di Leon
Battista Alberti
di
carattere morale, fanno comunque di questo personaggio un protagonista
dei testi di soggetto pastorale, dunque appartenente ai cicli stagionali
della
terra. Il motivo della minzione faceva parte di una simbologia
alchemico-ermetica, cui faceva riferimento l’Accademia Pomponiana. Il
Riso viene abbinato
alla Fortuna nella formula legata al mito naturalistico appartenente a
molte
religioni orientali e occidentali come elemento simbolico degli “umori”
cangianti della terra. Si riferisce inoltre alla tradizione alchemica della minzione come fase della
purificazione, frequente anche nei sarcofagi con decorazioni ispirate ai riti
dionisiaci
anch’essi legati alle stagioni e ai miti legati alla Terra. Il fanciullo mingente ha una lunga tradizione
iconografica poiché rappresenta l’acqua consacrata con la quale si viene
battezzati, ma è anche legato a una lunga tradizione alchemica dove l’urina è assimilata
all’acqua mercuriale.
Gli alchimisti ritenevano che l’urina dei
fanciulli avesse notevoli proprietà, essendo definita “un liquido ardente”,
appartenente alla consistenza del fuoco. Da qui vediamo come sia consueta la
scelta della figura del putto mingente nell’ambito dei deschi da parto, e nella
pittura e scultura decorativa, oppure nei temi da giardino come le fontane. Dalla tradizione legata alle multiformi allegorie della Fortuna, sappiamo che
ella ha due facce, una “ridibonda” e una “lacrymosa”, espressa nella precedente
illustrazione del Polifilo raffigurante un cavallo sul quale sono in equilibrio
instabile alcuni putti. In questo caso le due figure femminili che sostengono
il putto mingente sono la rappresentazione della Fortuna ridibonda che,
essendo cangiante, potrebbe divenire lacrimosa. La figura del putto mingente ha
una corrispondenza di trasmigrazione dall’antichità, passando dalla cultura
cortigiana a quella umanistica. Polifilo si esprime in questi termini: «...
Dique, ‘negli altri cogitamenti d’amore solo relitto, la longa et tediosa
nocte insomne consumando, per la mia sterile fortuna Et adversatrice Et iniqua
stella tutto sconsolato Et sospiroso, per importuno Et non prospero ore
illacrimato, di punto in punto ricognitiva che cosa è inaequale amore, Et come
aptamente amare si pole chi non ama Et cum quale protectione ..... et
assiduamente irretita di soli citi, instabili Et no i pensieri». Nasce
probabilmente in epoca ellenistica e da allora mantiene una presenza costante
nell’iconografia dei secoli successivi. Polifilo nel racconto rivela di essere
di fronte ad una vera e propria “macchina da giardino”, che viene attivata da
una pietra sulla quale lui pone il piede, provocando un gioco d’acqua che lo
bagna completamente. La tradizione dei giochi d’acqua in architettura si
diffonderà notevolmente nel periodo successivo a quello dell’edizione aldina,
ma si può ricostruire la fonte letteraria e documentaria di tali fontane,
numerose nelle ville romane suburbane, rivisitando Vitruvio soprattutto nella
parte dedicata all’idraulica.
Tra il 1578 e il 1581 Jacopo Zucchi dipinge a villa Medici a Roma l'olio su tavola raffigurante l'Età dell'Oro dove numerose figure stanno in atteggiamento amoroso e due putti sono impegnati nella minzione in un ruscello (Fig. 2). La connessione creata dalla compresenza della scena amorosa con il mutamento e la mescolanza degli elementi forse non appare casuale ma ne sottolinea invece la simbologia alchemica .
La
ripresa di modelli letterari greci è rintracciabile nella definizione della “Έργά
και Έμέραί” di Esiodo e della sua distinzione all’interno delle cinque età
dell’uomo. In
un altro celebre dipinto di Guido Reni, Bacco che beve del 1623, egli è dedito
alla minzione, un atteggiamento che Malvasia rammenta nella Felsina pittrice
come un aneddoto dicendone: «Baccarino ignudo che rende ciò che beve».
(Fig. 3). Nell’ambito alchemico l’urina è un liquido prezioso. Nella Turba
philosophorum, un testo che
si fa risalire al tardo Medioevo, troviamo un’illustrazione dove un putto minge
producendo tre zampilli, che terminano in tre ampolle diverse: secondo la
tradizione alchemica l’urina sublimerà tre volte la materia saturnina mediante
l’umidificazione, cambiando “umore”. Questa umidificazione viene anche definita “acqua mercuriale” e dovrebbe
portare a far svanire il nero e dunque a superare la cosiddetta fase della “nigredo”.
La tradizione simbolica è migrata attraverso l’acquisizione di alcuni
simboli
tradizionali della cultura sapienzale orientale, nella simbologia
europeo-cristiana, passando attraverso la cultura ellenistica che ci ha
trasmesso vari
esemplari del Putto mictans. Lo ritroviamo sia in Pierino da Vinci, che
nei Della Robbia, che lo utilizzarono per le loro opere, in un ripetersi di
proposte simbolico-culturali che prevedevano un programma preciso di
interpretazione dell’antico e di rievocazione della perduta "Età dell’oro" (Fig.
4-5). È un modello iconografico che
viene lungamente sfruttato in scultura e che fa parte di quell’alfabeto
collettivo di simboli che per lungo tempo ha fatto parte del lessico culturale
europeo, pur avendo le sue radici nella tradizione orientale. In questo
caso si veda il putto mingente, probabile fontana di Donatello, ora al Museo
Bardini di Firenze, che rappresenta ancora quanto fosse ampia la sua diffusione
(Fig. 6). Il putto del Baccanale di
Tiziano Vecellio al Prado, ripropone la figura del putto mentre si alza la
veste e minge su una Venere distesa sulla destra, con una postura del tutto
simile (veste alzata) a quella dell’Hypnerotomachia, ma che rivela un
significato più composito nella genealogia legato ai simboli dell’"Età
dell’oro", legandosi soprattutto al tema dell’ilarità suggerita dal tempietto
(Fig. 7). Nell’arco temporale successivo ritroviamo il putto nelle incisioni di Guillain Simon del 1676 dove compare un putto urinante
tratto da un disegno di Annibale Carracci e che fa parte della serie dei
mestieri ambulanti eseguita a Bologna e dei quali il primo è del 1664.
In questi
viene riprodotto tale elemento giocoso, un esercizio di ilarità, all’interno di
un programma preciso volto ad altro, come spesso avveniva nelle serie di stampe
dedicate serie di immagini folkloristiche o ad illustrare un tema unico.
Malvasia ci informa inoltre che tali disegni furono poi sfruttati dallo stesso
Carracci per le esercitazioni degli allievi della sua bottega. Nella villa
Suardi a Trescore, nel Bergamasco, rivediamo questo elemento nell’ambito degli
affreschi di Lorenzo Lotto (1480-1557) che vi soggiornò tra il 1512 ed il 1534.
In
quest’opera appare inserita, all’interno di un ciclo raffigurante la Vita di
Cristo,
la figura del putto mingente. Siamo a conoscenza peraltro che Lotto non
era
estraneo all’uso di simboli appartenenti alla cultura ermetica che
sappiamo
faceva parte del suo ambiente culturale, e spesso ne utilizzava
elementi scelti
nelle sue opere. È nel contesto di Trescore, dove tutto l’affresco è
legato al tema femminile, che possiamo ritrovare il significato del
putto e delle due figure femminili, avvalorando la sua dipendenza dal
mondo cortese, contrassegnato dalla presenza di valori femminili,
spesso accostati ad elementi giocosi.
Infatti in questo ciclo pittorico viene raffigurata la vita di Santa Brigida, protettrice
del mondo agricolo, che nel Polifilo viene sintetizzato nel richiamo a Pomona.
In questo
senso, la natura salvifica dell’urina rimane del tutto inserita in un contesto
cristiano come simbolo del battesimo e
nell’accezione di purificazione e promessa di riscatto. In un altro caso Lotto ripete lo
stesso motivo del putto nella Venere e Cupido del Metropolitan Museum di New
York, dove tale simbolo si accompagna ad altri numerosi simboli alchemici.
Si
deve dunque concludere che la natura del simbolo del putto
mingente nato in funzione
allegorico sapienzale, sia approdato infine in un contesto giocoso e ilare
nell’ambito della cultura del giardino, che non si limita comunque allo spazio architettonico, ma porta con sé
il significato sapienziale del percorso conoscitivo acquisito con lo studio
delle fonti; nelle Metamorfosi di Ovidio viene rappresentato l’ideale
del divenire e della purificazione alla stregua di quello che avviene nella trasformazione
alchemica, che trova nella fontana il suo esempio migliore, metafora dello scorrere e della
trasformazione catartica dell’acqua.
NOTE
In questi anni è
ancora molto presente la cultura delle corti del Gotico Internazionale che
aveva una casistica di simboli e di percorsi iconografici che poi si
tramuteranno nel Rinascimento; a questo proposito vedi, Enrica Cozzi Il Gotico Internazionale a Venezia: un’introduzione
alla cultura figurativa nell’Italia nord-orientale, in, AFAT, 31.2012 (2013),
11-30, I-II, e, Franceso Sberlati, Iconologia
tardo gotica e letteratura cavalleresca, in, Signore cortese e umanissimo,
1, ed 1994
Francesco
Amendolagine, Il “giardino secreto”, ovvero
sul limite tra “natura naturans” nell’esprit de geometrie..., in, Il valore
della classicità nella cultura del giardino e del paesaggio, Palermo, 2010
vedi Maurizio Calvesi, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma,
1980; pag. 176, 177
Gelaiostos = buffo, ilare
Leon Battista Alberti, Momo o del principe, Genova, 1986
cfr. Reference to Alchemy in
Buddhist Scriptures, in, Bullettino of
the school of Oriental Studies, 6, 1930
vedi Otto W. Friedrich, Dioniso: mito e culto, Genova, 2006;
pag. 203
vedi su questo tema il saggio di A. Victor Cooning, The Spirit of Water, in, A scarlet Reinassance, Essay in honor of Sarah Blake McHam, New York,
2013; pp. 81-110
vedi Vitruvius Pollio, De architectura: libri 10, Pordenone (Pd),
1993
vedi P. Simons, Journal of
Medieval and Early Modern Studies 39:2, 2009; pag. 334
Esiodo, Teogonia, Milano, 1959
Carlo Cesare Malvasia, Vite dei pittori bolognesi: Felsina pittrice,
Bologna, 1971
vedi, Auriferae artis, qual Chemiam vocianti,
antiquissimi autorespiratori, sive Turba philosophorum, Basileae : apud
Petrum Pernam, 1572
cfr. Geber, Geber
philosophorum ad alchimistae maximi, de Alchimia libri Trescore ....,
Argentoragi [Starsburgo], 1531
cfr. Spiritelli tra sacro e profano, in, La
primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460, catalogo
della mostra, Firenze, Palazzo Strozzi, 2013; IV, pag. 341-357
vedi da: Le arti
a Bologna disegnate da Annibale Carracci ed intagliate da Simone Guilini con
accertate notizie ..., in Roma, 1776
Giovanna Sapori, Risfogliando le “ Arti di Bologna”, in,
Nuova luce su Annibale Carracci, 2011
C. Cesare
Malvasia, vite dei pittori bolognesi:
Felsina pittrice ..., Bologna, [1971]
Donne del Rinascimento a Roma e dintorni,
a cura di Anna Esposito; 2013
vedi : Miti, arte e scienza nella pomologia
italiana, Roma, 2008
cfr. Laura
Alidori Battaglia, L’iconografia del
battesimo nella miniatura Toscana, in, Medioevo e Rinascimento, 1987
vedi Lotto: gli affreschi di Trescore, Milano, 1997 e
Lorenzo Lotto : the discovered Master of the Renaissance, catalogo della
mostra alla Nat. Gall. Of Art di Washington, 1997
BIBLIOGRAFIA
Otto W. Friedrich, Dioniso:
mito e culto, Genova, 2006; pag. 203
Geber, Geber
philosophorum ad alchimistae maximi, de Alchimia libri Trescore ...., Argentoragi
[Starsburgo], 1531
LOTTO 1997 b
NATALE 2016
Vittorio
Natale, Spiritelli, amorini, genietti e
cherubini: allegorie e decorazioni di putti dal Barocco al Neoclassico, 2016
SPIRITELLI 2013
Spiritelli tra sacro
e profano, in, La
primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460, catalogo
della mostra, Firenze, Palazzo Strozzi, 2013; IV, pp. 341-357
Vedi nel BTA:
LE XILOGRAFIE DELL'HYPNEROTOMACHIA POLIPHILI
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