Chiesa di Santa Anastasia. Un nuovo ritratto di
Dante?
di Anna Lerario
Era il
quarto anno che lavoravo sui giganteschi ponteggi che fasciavano l’interno di Sant’Anastasia,
la più grande chiesa di Verona. Il mio compito era documentare in video l’enorme
lavoro di restauro che interessò tutta la basilica negli anni 2005-2011.
Quel
giorno le restauratrici lavoravano sulla parete della navata destra, dove qua e
là erano già emersi brani di affreschi. Io stavo riprendendo la statua posta
vicino alla bellissima Cappella del Rosario, con i suoi marmi policromi. Mentre
la telecamera riprendeva il volto della statua, il mio occhio cadde su un
profilo dipinto nel muro. C’era solo il profilo, niente testa, né collo o altro
intorno. Chiamai subito la ragazza che stava lavorando due piani più in alto. La
restauratrice notò sopra il profilo un’incisione rotonda. Era chiaramente il
tracciato di un’aureola e, alla sua destra, ce n’era un’altra. Guidata da
questi chiari segni, la ragazza iniziò la delicata operazione di discialbo e,
sotto l’occhio della mia telecamera, emerse a poco a poco un lacerto di
affresco con una figura maschile a mani giunte, di cui non era più visibile il
corpo, adorna di un copricapo rosso trecentesco e rivolta verso un bambin Gesù
con le braccia protese. Dall’altezza della figura rispetto al quadro generale
s’intuiva che si trattava di un uomo inginocchiato. Dietro di lui, in atto di
presentarlo al bambin Gesù, una figura di santo dai capelli lunghi e la veste
di pelliccia; il bambin Gesù doveva essere chiaramente in braccio a una Madonna
ormai resa illeggibile dall’intervento di demolizione della parete adiacente alla
cappella del Rosario. Intorno alla figura di Gesù e della Madonna scomparsa,
gironi di faccette di angeli, uno verde, uno giallo e uno rosso.
Subito,
presa dal piacere di documentare la scoperta di un affresco trecentesco in
diretta, non pensai ai possibili significati.
Ma il
giorno successivo, quando mi accinsi a riprendere il dipinto completamente
ripulito dalle varie mani d’intonaco, quel profilo attirò la mia attenzione in
modo particolare: il naso era leggermente aquilino, il mento sembrava
importante, il copricapo era molto simile a quello che la tradizione
iconografica attribuiva a… Dante Alighieri! La mia mente cominciò a fare i
primi collegamenti: Dante Alighieri in Sant’Anastasia, Dante che visse a lungo
a Verona, proprio quando le chiese più importanti della città venivano
affrescate, appunto San Fermo e Sant’Anastasia, le chiese oltretutto più legate
alla famiglia Della Scala, la signoria che ospitò il poeta, … I nessi erano
significativi: valeva la pena indagare.
Primo punto: la datazione
Le restauratrici mi dissero che l’opera doveva
risalire al 1300. Infatti il libro sul restauro della chiesa lo confermava in
virtù del copricapo della figura inginocchiata. Gli storici dell’arte non hanno
approfondito, ma a mio avviso, confrontandolo con il panorama veronese del
periodo, l’affresco risulta più raffinato rispetto alle opere del primo
Trecento (si vedano gli affreschi dell’abside di san Fermo, attribuiti al
cosiddetto Maestro del Redentore) e allo stesso tempo inferiore allo stile che
si maturò nel secondo Trecento. Il profilo di cui parliamo non è molto distante
dai bei profili che l’Altichiero dipinse nella Cappella Cavalli, nel transetto
destro della stessa chiesa, verso il 1370. Credo perciò che il nostro affresco si
possa datare intorno alla metà del secolo.
Secondo punto: il santo
Mostrando
le foto alla professoressa Laura Pighi e confrontandole con l’iconografia
tradizionale, fu facile individuare nel personaggio retrostante all’uomo
inginocchiato, san Giovanni Battista. Ottima partenza: san Giovanni Battista è
il patrono di Firenze, il santo del famoso battistero di Firenze, monumento
ricordato più volte nella Divina Commedia perché a Dante molto caro: “… nel mio bel san Giovanni”, e per la sua valenza simbolica di luogo in cui avrebbe potuto realizzare il suo
sogno di venire incoronato poeta: “Con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte del mio
battesmo prenderò il cappello”.
Ma anche edificio sacro il cui Giudizio Universale potrebbe aver ispirato il
poeta, il quale descrive Lucifero come un mostro a tre teste, ciascuna con in
bocca un dannato, proprio come nella celebre immagine del battistero. Insomma
molti e forti sono i legami fra Dante e san Giovanni Battista: quale santo
avrebbe potuto identificarlo maggiormente?
Terzo
punto: la famiglia di Dante.
I figli
maschi si stabilirono a Verona. Jacopo prese gli ordini minori e divenne
canonico, e Pietro, dopo aver studiato a Bologna finanziato da Cangrande, fu
Vicario del Podestà di Verona e giudice presso la città scaligera dal 1332 al
1362.
Siamo
proprio nel periodo cui risalirebbe l’affresco. Nel 1353 comprò anche un podere
in Valpolicella, tutt’ora appartenente ai discendenti.
Lo storico Giulio Sancassani identificherebbe una delle case di Pietro proprio nel
Palazzo dei Bevilacqua prospiciente la piazzetta di Sant’Anastasia (all’angolo
fra corso Sant’Anastasia e via San Pietro).
Non dimentichiamo che Pietro Alighieri fu anche un grande divulgatore
dell’opera del padre e che perciò è molto plausibile che abbia voluto
commissionare un suo ritratto nella chiesa del proprio quartiere, chiesa che
era anche una delle più importanti della città e particolarmente legata agli Scaligeri,
a cui sia lui che Dante stesso dovevano molto. Ma Sant’Anastasia non era solo
quello...
Quarto
punto: il sepolcro Alighieri.
Mi
ricordai di aver letto che il sepolcro cinquecentesco degli Alighieri era nella
chiesa di san Fermo, mentre quello più antico si trovava nella basilica di
sant’Anastasia: la notizia era riferita nel libro di Pierpaolo Brugnoli sulla
storia della famiglia Serego-Alighieri.
Le
fonti del libro mi portarono ad un importante documento conservato nella
Biblioteca Civica di Verona in cui i testamenti dei discendenti di Dante
indicano chiaramente la collocazione del sepolcro di famiglia presso il
chiostro della chiesa di Sant’Anastasia.
Questa
notizia rafforzò la mia convinzione. Le immagini della basilica dall’alto
mostrano la Cappella del Rosario, nei pressi della quale si trova l’affresco,
innestata in una zona che era di collegamento fra la chiesa e il chiostro (infatti
insiste esattamente sull’ angolo del chiostro adiacente alla chiesa): la
collocazione dell’affresco proprio in quel punto della chiesa consolidava la
mia teoria che identificava in Dante la figura del ritratto.
Io giunsi
fino a qui, poi l’incontro con Nadia Scardeoni Palumbo.
Le
chiesi il suo parere: è Dante ? Guardò affascinata le mie immagini e…
È Dante?
di Nadia Scardeoni
Alla
prima visione delle immagini dell’affresco recante il profilo “dantesco”
scoperto da Anna Lerario nella chiesa di Santa Anastasia a Verona, ebbi un
sussulto: quel volto e quella postura mi erano assolutamente familiari, per
altre vie.
È Dante? Lo studio recente sul “Volto di Dante” da me
presentato a DANTE 750, nel 2015 a Verona, ha facilitato la ricerca che si è
accesa d’impeto, e dopo una sommaria ma necessaria ricostruzione del profilo
ritrovato (restauro virtuale) ho trovato conferma della straordinaria somiglianza
con un già noto volto del poeta: DANTE posto fra i “Beati” del Giudizio Universale, affrescato da Nardo di Cione nella “Cappella
Strozzi” (di Mantova) di Santa
Maria Novella a Firenze.
Sì, per
me, è Dante: la "fratellanza"
fra le due immagini appare inequivocabile e se è
storicamente attestato che Nardo di
Cione ha rappresentato Dante nel suo Giudizio, per la proprietà
transitiva, il nostro pittore ignoto l’ha
diligentemente eguagliato in sant’Anastasia.
Gli stessi tratti fisiognomici, lo stesso
atteggiamento della figura orante depongono per una concordanza d’idee da parte
dei due autori sulla rappresentazione della persona di Dante: Nardo di Cione, a Firenze, e il "pittore ignoto" a Verona,
nei luoghi dell’esilio, attestano, pur con diversa maestria, che a pochi
decenni dalla sua morte, sulle orme di Giotto,
si ebbe cura di celebrare
Dante fra i beati, nelle chiese, i luoghi sacri per eccellenza,
in virtù di un pur tardivo ma indefettibile riconoscimento dell’immenso
contributo alla elevazione delle spirito umano, effuso nei versi immortali
della sua “comedìa” oramai divina.
Riconoscimento d’inestimabile
valore se si pensa alle vicissitudini che avevano segnato dolorosamente la sua
vita di esule: il rifiuto di rientrare a Firenze in virtù dell'amnistia del
1315, a condizioni vergognosamente umilianti, che determinò la sua condanna a
morte e l'esilio dei figli, e, in seguito, l'allontanamento da Verona stessa
per cause tuttora ignote ma che l'aneddotica riferisce a disagi accumulati
nell'ambiente scaligero ove la sua vita di letterato e assorto studioso
destava, forse, più ilare curiosità che autentica ammirazione.
È allora molto verosimile, come s’ipotizza
fra le note del ritrovamento di Anna
Lerario, che il figlio Pietro, custode e curatore appassionato
dell'opera paterna negli anni a seguire, fosse fra i primi sensibili
committenti di questo attestato di
benemerenza nella città di Verona ove la preziosa testimonianza, purtroppo
"censurata" nei secoli, è oggi fortunatamente disvelata, grazie allo
sguardo attento e sensibile di una apprezzata documentarista della storia di
Verona.
Un ritrovamento, già del 2011, che
non ha avuto oltre la stampa locale, il risalto che merita.
Non a caso dunque, oltre lo studio
atto a formulare un parere sulla figura del Dante di Santa Anastasia, mi ha
affascinato l'idea di una ricerca mirata all’identificazione o collocazione del suo ignoto autore tramite la mia Metodologia
di ricerca del Restauro Virtuale, sulle immagini digitali ad alta risoluzione,
preziosissima per l'osservazione virtuale delle caratteristiche
tipiche (stilemi)
dell’usus pingendi di ciascun artista.
Nel tentativo di rintracciare
nell'affresco svelato, stilemi utili al raffronto con altre opere contemporanee
di autori trecenteschi presenti a Verona, la mia attenzione è caduta sul volto tondo, sufficientemente integro,
del personaggio collocato sopra il profilo di "Dante", con lo sguardo fisso rivolto all'osservatore poiché
la sua "singolarità" mi evocava un personaggio analogo osservato
nella Crocifissione attribuita a Turone di Maxio presente in San Fermo. Lavorando
sull’ipotesi di uno stilema del Turone,
l’osservazione dei due volti accostati ha evidenziato, una "parentela
iconografica" con il volto di Dio
Padre del Polittico di Castelvecchio, “la sola opera firmata da Turone di
Maxio (Hopus Turoni)”:
parentela confortata anche dalle palesi affinità sul “modello” del Battista
rappresentato nelle due opere a confronto, di Castelvecchio e Santa Anastasia.
Perseguendo dunque l’ipotesi di uno “Stilema
Hopus Turoni" reiterato nelle tre opere e scrutando una buona
immagine della Crocifissione di San
Fermo altrimenti inaccessibile per la sua disposizione, ho individuato
casualmente un secondo DANTE orante, citato
come tale da Giovanni Sauro nel 1842,
che avvalora ulteriormente la mia attribuzione del lacerto disvelato di Santa
Anastasia a TURONE di MAXIO.
Il Dante di San fermo è
raffigurato ai piedi della croce
accanto al Compianto delle tre Marie e
ne parla solo l’autore del libretto "Ritratto di Dante Alighieri scoperto nuovamente in Verona e
illustrato per cura del sacerdote professor Giovanni Sauro" nell'intento
manifesto di attribuire la Crocifissione di San Fermo a Giotto con una sua approfondita
lettura dell'opera comparandola in alcuni dettagli alla Cappella Scrovegni di
Padova.
È, infatti, a corona delle
numerose "congetture" a difesa dello stile di Giotto che G. Sauro
descrive la raffigurazione di Dante in quella sede corredandola di un ricco
commento, in cui si allude anche alla presenza di altri ritratti di Dante a
Verona nei palazzi degli antichi
Signori:
"… pur nondimeno l'indizio
maggiore che le proposte congetture conferma, senza dubbio è il ritratto del
divino Alighieri, che inginocchiato in un tratto angusto tra le Marie e la
Croce leva il volto e congiunge le mani ad orare. …"
"… Le quali imagini sendo
state per lunga stagione obliterate dalla miseria dei tempi, avvenne che
Firenze più fortunata da pochi anni discoperse la sua, ciò che Verona oggi mai
dispera per le tante rifabbriche che nell'interno palazzo degli antichi Signori
a diversi tempi furono fatte. …" (G. SAURO 1842)
Sulla veridicità della
rappresentazione di Dante, a detta di G. Sauro, è opportuno citare che il
libretto editato dallo stimatissimo tipografo veneziano Giuseppe Antonelli, è stato fortemente contestato, dal sacerdote Cesare
Cavattoni,
che, a pochi mesi dalla pubblicazione, ha stampato in Verona un libello di cinquanta
pagine di " osservazioni"
(amorevoli...) mirate,
in bell'ordine di cinque capitoletti, alla frantumazione del piccolo saggio in
ogni sua parte, sia formale che contenutistica e che punta sostanzialmente
all’affermazione: "Non mi sembra
pittura di Giotto, nè quella figura ritratto di Dante". (C. CAVATTONI,
1863)
E infine, la sudata ricerca
ha toccato il suo culmine allorché visionando e comparando alcune crocifissioni
del mio archivio digitale mi si è palesato un terzo DANTE nella Crocifissione
di San Giorgetto (San Pietro martire).
Questo “Dante”, a differenza dei
due menzionati, ha tutta l'aria di essere incastrato
fra le figure preesistenti quasi che si fosse reso necessario, anche nella
piccola chiesa di San Pietro Martire, giustapporlo, per
"adeguarsi" agli encomi ormai tributati in più luoghi della città al
SOMMO POETA, eminentemente nelle chiese più care ai suoi discendenti.
Oggi, la fortunata messe dei "tre
ritratti" citati da Anna Lerario, in Santa Anastasia e da me, in San Fermo
e San Giorgetto, porta alla luce uno straordinario scenario celebrativo della
persona di Dante Alighieri nella Verona del Trecento, occultato, in epoche
successive, dalle "tante rifabbriche" esattamente come afferma il
professore Giovanni Sauro, il quale, al di là delle biliose censure del
Cavattoni, ha bene operato sull’iconografia dantesca a partire dal ritratto
dell'Orcagna, fra i primi modelli dei
ritratti boccacceschi, fino alla bellissima nota sul ritratto del Dante di Giotto, rappresentato a
Firenze nel Palazzo del Podestà, oggi del Bargello:
… Comparve il Dante fiorentino
quale non fu mai disegnato né descritto da niuno, con certa aria di melanconia
serena, come si addice ad autore di canzoni amorose e principe di una giovane
repubblica piena di ardimenti e speranze, giovane egli pure, pieno delle
speranze e degli ardimenti della sua terra… (G. SAURO, 1842)
Fermo restando che la tesi di G.
Sauro sulla mano di Giotto nella Crocifissione di san Fermo, fu condotta più
sul filo di appassionate congetture
che sul rigore di dati storici certi, l'intuizione giottesca era sostanzialmente corretta: infatti oggi
l'opera è attribuita a Turone di Maxio che
in area lombarda e poi veneta, al pari degli Orcagna a Firenze, è stato un seguace attento e tenace del nuovo
stile inaugurato da Giotto, nella Cappellina di Padova.
Né è immaginabile che un
editore-tipografo della levatura dell'Antonelli che aveva fatto della sua
tipografia un centro di avanguardia culturale dotato di professionalità
eminenti di artisti e studiosi in armonica cooperazione con litografi,
incisori, disegnatori, legatori, pubblicasse una "opericciuola" (appellativo di Cavattoni) senza arte ne parte.
Verona, 31 luglio 2016
NOTE
Cavattoni, Cesare, “Documenti fin qua rimasti inediti che
riguardano alcuni de’ posteri di Dante Alighieri” in “Albo Dantesco Veronese:
1865, Lombardi, Milano, 1865, pp. 347-424
Brugnoli, Pierpaolo, “I Serego Alighieri a Gargagnago di
Valpolicella”, Fondazione Masi, La Grafica Editrice, Vago di Lavagno (Verona),
2003
Brugnoli, P., op. cit., pp.37-38
Brugnoli, P., op. cit., p.58
"Ritratto
di Dante Alighieri scoperto nuovamente in Verona e illustrato per cura del
sacerdote professor Giovanni Sauro" Venezia, coi tipi di Giuseppe
Antonelli, 1842
"Osservazioni
sopra l'operetta intitolata Ritratto di Dante Alighieri, scoperto nuovamente in
Verona e illustrato per cura del sacerdote professore Giovanni Sauro” Cesare
Cavattoni - Verona, Tipografia Libanti, MDCCCXLIII
Anna
Lerario, laureata al DAMS di Bologna, è regista e sceneggiatrice di numerose
opere audiovisive a partire da mediometraggi e lungometraggi di fiction
premiati in festival nazionali, fino a una lunga serie di documentari
culturali: storico-artistici, sul restauro, e di promozione del territorio, una
ventina fra tutti.
“ARTISTI PER DANTE” http://artistiperdante.blogspot.it/
CNR 2006- FORMAZIONE: Metodologia del restauro virtuale di opere d’arte pittorica
http://web.archive.org/web/20131104034230/http://sij07.cnr.it/pubblicazioni/poster/ScardeoniP29.htm
B.T.A. NADIA SCARDEONI - ARTICOLI
http://www.bta.it/col/a0/01/coll0112.html
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