Un
velo di mistero sembra avvolgere ancora la ‘sala grande’ di
Palazzo Farnese: nelle intenzioni originarie di Odoardo Farnese,
infatti, il grande salone, ubicato nell’angolo sud-est del Palazzo,
doveva esser decorato con affreschi di Annibale ed Agostino Carracci,
raffiguranti le gesta militari di Alessandro Farnese (1545-1592).
Alessandro,
morto nel 1592 ed osannato con pomposi funerali sia a Parma che a
Roma, aveva riportato, in qualità di Capitano delle armate imperiali
di Filippo II di Spagna, importanti vittorie militari nelle Fiandre
contro la fazione protestante capeggiata da Guglielmo d’Orange. è
dunque facilmente comprensibile la ragione per cui il figlio Odoardo
avrebbe voluto omaggiare il padre decorando un intero salone in suo
onore: egli era stato infatti non solo valoroso condottiero, ma anche
paladino della religione cristiana oltralpe. Tuttavia il salone non
fu mai decorato nonostante Annibale avesse iniziato a realizzare
studi preparatori. Ad oggi le pareti della ‘sala grande’
appaiono completamente spoglie, bianche, fredde e si percepisce
immediatamente la presenza di un vuoto che non è stato colmato, si
intuisce subito che quelle pareti alte ben 18 metri dovevano ospitare
un ciclo di affreschi.
Sembra
dunque inconcepibile come si sia potuto rinunciare a realizzare un
programma di così importante interesse celebrativo, storico e
politico, sembra incomprensibile come Odoardo Farnese, che aveva
appositamente chiamato a Roma due degli artisti più affermati del
momento, avesse deciso di rinunciarvi ed affidare ai fratelli
Carracci un altro progetto, quello del Camerino.
Facendo
brevemente accenno alla fortuna critica, né Giulio Mancini né
Giovanni Baglione, nelle rispettive opere “Considerazioni
sulla pittura” e
“Le
vite de’ pittori, scultori et architetti”,
fanno menzione della ‘sala grande’ e della sua decorazione.
è
Giovan Pietro Bellori a menzionare, per la prima volta, nella sua
opera “Le
vite de’ pittori, scultori e architetti moderni” pubblicata
nel 1672, la sala che Annibale avrebbe dovuto decorare con gli «eroici fatti del grande Alessandro Farnese, non molti anni avanti
morto in Fiandra».
Egli, tuttavia, incorre nell’errore di ritenere il progetto per la
decorazione della ‘sala grande’ posteriore agli affreschi della
Galleria: non era infatti a conoscenza della lettera spedita da
Odoardo al fratello Ranuccio a Parma e datata 21 Febbraio
1595, pubblicata dal Tietze nel 1906, lettera da cui si evince
indubbiamente che Odoardo aveva intenzione di far dipingere ad
Annibale la ‘sala grande’ già prima di commissionargli gli
affreschi della Galleria.
Anche il Bellori, come Mancini e Baglione, riporta nel suo testo la
notizia di un mutamento improvviso dell’umore di Annibale al
termine dei lavori nella Galleria, mutamento dovuto sia alla natura
malinconica dello stesso sia a dei conflitti sorti con Odoardo.
Solo
otto anni dopo, il Conte Carlo Cesare Malvasia pubblica il suo
“Felsina
Pittrice, vite de’ pittori bolognesi”,
in cui fornisce importanti informazioni circa un possibile
coinvolgimento di Ludovico Carracci nella realizzazione di tale
decorazione, dopo la morte di Annibale.
L’autore
menziona infatti degli «schizzotti di penna ed acquerella in gran fogli»
realizzati da Ludovico e conservati nelle raccolte Pasinelli e
Aldini: tali disegni raffigurerebbero, a detta del Malvasia, proprio
le imprese del Duca Alessandro Farnese e sarebbero stati richiesti a
Ludovico dal cugino Annibale per trarne ispirazione e «non affaticar tanto l’intelletto».
Leggendo
infatti l’inventario post mortem del pittore Lorenzo Pasinelli,
figurano due disegni preparatori per quadri realizzati da Ludovico
Carracci e riconducili proprio agli “schizzotti” con le imprese
di Alessandro Farnese visti dal Malvasia.
Un
apporto notevole alla questione è stato dato da Hans Tietze. Ad egli
va il merito di aver pubblicato, nel 1906, la preziosa epistola
spedita dal Cardinal Odoardo al fratello Ranuccio il 21 Febbraio
1595. Nell’ epistola, non solo il Cardinale esprime la volontà di
far decorare «dalli pittori Carraccioli Bolognesi» la
‘sala grande’ con le imprese del padre Alessandro, ma richiede
urgentemente al fratello anche l’invio di un libro di disegni con
le imprese di Alessandro realizzato in Fiandra e spedito a Parma dal
conte Cosimo Masi, segretario di Alessandro. Il libro doveva esser
indispensabile ad Annibale per il progetto dei dipinti della ‘sala
grande’: senza di essi, si legge nell’epistola, «non veda si possa far cosa buona».
Dall’epistola apprendiamo anche che Odoardo aveva già fatto
richiesta al conte Masi del libro in questione nei mesi precedenti e
che il libro sarebbe giunto in Italia sul finire del 1594. Il Tietze,
tuttavia, non identifica correttamente la ‘sala grande’
menzionata nell’epistola, ritenendo, erroneamente, che doveva
trattarsi della Galleria.
A
chiarire brillantemente l’equivoco è Walter Vitzthum.
Collegando la lettera scoperta e pubblicata dal Tietze con l’opera
del Bellori, il Vitzthum giunge alla conclusione che la ‘sala
grande’ non può essere assolutamente identificata con la Galleria,
bensì con la ‘sala delle guardie’, il gran salone all’angolo
sud- est del Palazzo, oggi chiamato ‘sala dell’ Ercole’. Le
motivazioni addotte dal critico per sostenere la sua tesi sono due,
entrambe convincenti: in primo luogo, la funzione della galleria
sarebbe stata quella di mostrare pezzi della collezione di antichità
dei Farnese e questo avrebbe avuto i suoi effetti nella ideazione del
programma iconografico della volta; in secondo luogo, né il nome
‘sala’ né l’aggettivo ‘grande’ si adattano ad un ambiente
come la Galleria. Anche il Vitzthum sostiene che il progetto
decorativo venne rispolverato nei primi anni del 1600, ma mai
realizzato.
Nello
stesso anno, John Rupert Martin, storico dell’arte americano,
pubblica la sua monumentale opera sulla Galleria Farnese.
Egli fornisce due possibili spiegazioni per l’abbandono del
progetto decorativo della sala: il libro di disegni spedito dal conte
Cosimo Masi non sarebbe mai giunto a Roma presso il Cardinal Odoardo
o, molto più verosimilmente, Annibale avrebbe posposto il progetto
della ‘sala grande’ per dedicarsi interamente alla decorazione
del Camerino (il cui progetto risale all’estate del 1595).
Tuttavia, Annibale, colpito dalla grave crisi del 1605 ed avvilito
per l’ingiusto trattamento riservatogli da Odoardo,
avrebbe abbandonato definitivamente il progetto.
Dallo
studio delle raccolte di disegni dei Carracci presso il Windsor
Castle e presso il Musée du Louvre e, non avendo trovato alcuno
studio preparatorio connesso con il ciclo della ‘sala grande’, il
Martin è giunto alla conclusione che Annibale non avrebbe realizzato
alcun disegno preparatorio per i dipinti della ‘sala grande’,
conclusione smentita da ricerche più recenti.
Decisivo
è stato invece l’apporto di Dante Bernini alla questione della
‘sala grande’: nel 1968, pubblica un articolo in cui avanza
ipotesi su due disegni conservati all’ Ecole des Beaux Arts de
Paris ed al Museo del Prado, collegandoli al programma di decorazione
della ‘sala grande’.
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FIG.
01- Annibale Carracci, disegno per decorazione di volta. Parigi,
École des Beaux Arts (pubblicata in Dante Bernini, Annibale
Carracci e i ‘fasti’ di Alessandro Farnese, in
Bollettino
d’arte, serie
5, n. 2- 3, anno 53, 1968).
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FIG.
02- Annibale Carracci, disegno per decorazione di volta. Madrid,
Museo del Prado (pubblicata in Dante Bernini, Annibale
Carracci e i ‘fasti’ di Alessandro Farnese, in
Bollettino
d’arte, serie
5, n. 2- 3, anno 53, 1968).
|
Il
Bernini innanzitutto sottolinea che la rappresentazione delle imprese
del Duca Alessandro, qualora fosse stata realizzata, sarebbe stata
improntata a criteri di realtà e veridicità, senza manierismi e
idealizzazioni. Sarebbe stato scontato commissionare il programma
decorativo della ‘sala grande’ o all’autore dei celebri dipinti
in Palazzo Farnese a Caprarola, Federico Zuccari, o all’artista che
aveva realizzato le scene dipinte sul catafalco eretto per i funerali
di Alessandro in S. Maria in Aracoeli, il Cavalier d’Arpino, ma
così non fu.
Per
quanto concerne i due disegni sopracitati, Bernini ipotizza che
entrambi non abbiano effettivi legami iconografici ed iconologici con
il programma della Galleria, come sostenuto invece dal Vitzthum,
mentre invece sarebbero molto più affini ad un eventuale programma
celebrativo: nel primo infatti (conservato all’ Ecole des Beaux
Arts), due “prigioni” si trovano ai piedi di una nicchia in cui è
collocata una statua di Ercole con la clava, simbolo della Virtù
eroica; nel secondo, analogamente, ai piedi di una nicchia in cui
sono situate le Tre Grazie (simbolo di Amicizia, ma anche di Pace e
Concordia), si trova un ignudo maschile con gli attributi tipici
dell’ Onore.
Ciò
che, a mio parere, sembra convincere poco è sia il carattere
simbolico di queste due rappresentazioni sia il rapporto tra questi
disegni e le pareti su cui eventualmente dovevano esser dipinti: in
primo luogo, considerando la volontà di Odoardo di far realizzare un
programma il più possibile rispondente al vero,
sembra poco probabile che Annibale avesse cominciato a lavorare a
soggetti allegorici come la Virtù e l’Onore; in secondo luogo, se
si tiene presente l’elevata altezza e ampiezza delle pareti della
‘sala grande’ (alta ben 18 metri), sembra più plausibile che il
programma iconografico prevedesse scene di battaglie, ampie aperture
paesistiche e ritratti del Duca Alessandro.
Inoltre,
egli scopre l’esistenza di un dipinto conservato nella Galleria
Nazionale della Sicilia a Palermo, dipinto disegnato poi da Fragonard
e riprodotto dall’Abbé de Saint-Non. Giunto fino a noi sotto
forma di frammento, esso è stato intitolato “Allegoria
di uno dei fasti di Alessandro Farnese”:
si tratterebbe infatti di un’allegoria della vittoria di Alessandro
sulla Fiandra e sarebbe stato collocato al centro del soffitto della
‘sala grande’, oggi trasformato in soffitto a cassettoni.
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FIG.
03- Autore incerto, Allegoria
della conquista della Fiandra. Palermo,
Galleria Nazionale (pubblicata in Dante Bernini, Annibale
Carracci e i ‘fasti’ di Alessandro Farnese, in
Bollettino
d’arte, serie
5, n. 2- 3, anno 53, 1968).
|
Solo
recentemente, nel 2013, Evelina De Castro, in “Sulle
tracce di una "Allegoria dai Fasti di Alessandro Farnese" a
Palazzo Abatellis”,
ha rigettato la tesi del Bernini sulla relazione tra il frammento ed
il soffitto della ‘sala grande’:
ella ritiene che il dipinto collocato oggi nella Galleria Nazionale
di Sicilia debba invece essere messo in relazione con la decorazione
delle volte dell’appartamento stuccato di Palazzo Farnese a
Piacenza.
In
un clima di studio e ricerca sui Carracci particolarmente favorevole,
solo tre anni dopo la pubblicazione del Bernini, Donald Posner
fornisce spunti interessanti su alcuni possibili disegni preparatori
attribuiti ad Annibale e legati proprio al progetto decorativo della
‘sala grande’.
Egli,
tuttavia, si mostra alquanto scettico sulla possibilità che Annibale
avesse iniziato a realizzare degli schizzi dei futuri dipinti.
I disegni in questione sono: un disegno conservato al Louvre
raffigurante Alessandro Farnese sul dorso di un cavallo; un secondo
disegno, oggi al Musée Condé a Chantilly, con un gruppo di uomini
abbigliati con vestiario tipico del sedicesimo secolo rivolti in
preghiera verso la Madonna; un terzo disegno, anch’esso al Louvre,
con un ritratto di gruppo i cui personaggi non sono stati
identificati.
Risulta
oggi molto complesso avanzare ipotesi e congetture sul possibile
collegamento tra questi disegni e il programma decorativo della ‘sala
grande’; tuttavia, il primo disegno contenuto al Louvre (inv. 7314)
raffigurante Alessandro Farnese, grazie alla ricostruzione della
vicenda collezionistica, è stato attribuito quasi con certezza alla
mano di Annibale.
è
però nel 1980 che viene pubblicato da François Charles Uginet,
archivista paleografo, membro dell’ École française de Rome, un
documento decisivo che ha portato ad un totale ripensamento della
cronologia del programma decorativo della ‘sala grande’.
Si
tratta di una lettera spedita da Odoardo al fratello Ranuccio a Parma
nel Luglio del 1593 in cui si chiedono le copie di otto dipinti
rappresentanti le imprese di Alessandro in vista della futura
realizzazione dei dipinti della ‘sala grande’. Di seguito, il
testo dell’epistola:
“Serenissimo
signor mio et fratello orsservantissimo,
havendo
inteso che tra le robbe che sono venute di Fiandra del signor duca
nostro padre felice memoria ci sono otto quadri di pittura delle
imprese principali che S. A. ha fatte in quelli stati et desiderando
io sommamente di haverne una copia per poter dar compimento al
disegno ch’io ho di far dipingere dette imprese nella sala
principale del palazzo vengo a supplicar V. A. che si degni farmi
gratia di farne cavare una copia con quella diligenza et prestezza
ch’ Ella saperà ordinare. Che oltre di essere cosa che son certo
gustarà V. A. per tutti i rispetti, io lo riconoscerò per favore
particolare et Le ne resterò col maggior obbligo ch’io posso et Le
bascio affettuosamente le mani. Di Roma
li
XVII Luglio 1593…
Il
Cardinale Farnese”
L’epistola,
citata fino ad ora solo da Roberto Zapperi stando alle mie ricerche,
è di importanza cruciale perché smentisce la credenza che la
gestazione del programma decorativo della ‘sala grande’
risalirebbe alla fine del 1594. Odoardo, invece, aveva partorito
l’idea dei Fasti di Alessandro più di un anno prima ed aveva già
iniziato a mobilitarsi per ottenere le copie dei dipinti fiamminghi
con le imprese di Alessandro.
Nell’opera citata, Uginet pubblica inoltre un altro documento di
grande interesse: si tratta di un foglio annesso alla precedente
lettera, contenente una lista di disegni che potevano essere messi in
relazione con il progetto dei Fasti di Alessandro.
Nel 1987 Roberto Zapperi menzionerà nuovi documenti che,
integrati con quelli precedentemente pubblicati da Uginet,
permetteranno di avere un quadro più completo e preciso.
In
riferimento alla lettera del Luglio 1593 pubblicata dallo studioso
francese, Zapperi precisa che gli archivi e gli oggetti personali del
duca Alessandro erano giunti a Roma nei primi mesi del medesimo anno
e, dunque, è molto probabile che gli otto dipinti la cui copia fu
richiesta da Odoardo, facessero parte di quella spedizione.
Zapperi
tuttavia dà un’altra informazione di importanza rilevante circa il
famoso libro di disegni richiesto da Odoardo a Ranuccio nel Febbraio
1595:
i disegni sarebbero arrivati in Italia verso la fine del 1594,
insieme ai bagagli e agli effetti personali del Masi.
Conviene ricordare che è proprio verso la fine del 1594 che i
Carracci ricevettero l’incarico da parte di Odoardo, decisione
forse non casuale.
Infine,
conviene qui ricordare il recente apporto di Stefano Colonna, il
quale ha pubblicato due epistole di importanza cruciale, sconosciute
fino ad ora.
Dalla
prima di esse, spedita da Ranuccio Farnese al Conte Cosimo Masi nel
Marzo 1595, si evince che, quando Odoardo fece richiesta del libro di
disegni spedito da Cosimo Masi al fratello Ranuccio, quest’ultimo
non aveva ancora ricevuto il famoso libro (giunto a Parma, secondo
Zapperi, alla fine del 1594), motivo per il quale si mobilita
immediatamente per ottenerlo, scrivendo al duca Masi.
La
seconda lettera, spedita poco dopo la prima, fu spedita invece a
Cosimo Masi da Leone Lazzaro Haller, nobiluomo, Capitano della
Guardia del Principe Alessandro Farnese in Fiandra, nominato poi
Prefetto e Comandante supremo delle armi nel Castello di Piacenza,
valoroso condottiero che aveva partecipato a molte azioni militari
nelle Fiandre.
Alla morte di Alessandro, nel 1592, era entrato al servizio del Duca
Ranuccio.
Nonostante il complesso linguaggio, si intuisce che il libro di
disegni era stato inviato al «patrone»
(presumibilmente Ranuccio I), ma restituito troppo presto. Da qui, la
necessità di Lazzaro Haller di richiedere a Cosimo Masi il libro,
per vedere due delle imprese contenute in esso, quella di Dunkerque e
quella di Dondermonde, con lo scopo di farne dipingere almeno una nel
Castello piacentino.
Le
fonti a disposizione, dunque, permettono di ricostruire
una cronologia dei tentativi di decorare la ‘sala grande’ e di
dare una possibile spiegazione del perché ciascun tentativo sia
fallito.
Nel fare ciò, si può partire da due certezze inconfutabili: non
solo il tema della decorazione pittorica della ‘sala grande’ era
stato stabilito, ma erano stati scelti anche i suoi futuri
realizzatori, i fratelli Annibale ed Agostino Carracci.
Il
primo dei tre tentativi di affrescare la ‘sala grande’ fu quello
del 1595. Tuttavia, come detto in precedenza, il progetto risaliva al
1593, anno in cui Odoardo, con una lettera del 17 Luglio, aveva
richiesto al fratello una copia di otto dipinti provenienti dalle
Fiandre e raffiguranti le imprese del padre.
Non sappiamo se le copie arrivarono effettivamente a destinazione, ma
sappiamo che il 21 Febbraio 1595, Odoardo avanzò al fratello una
nuova richiesta: un libro di disegni con le imprese del padre
Alessandro che Cosimo Masi, luogotenente e principale collaboratore
del duca, aveva portato con sé dalle Fiandre.
Si può presumere, dunque, che le copie di quegli otto dipinti
richieste due anni prima, molto probabilmente non raggiunsero mai
Roma se, nel 1595, il Cardinale si trovò costretto a richiedere il
libro di disegni da fornire ad Annibale Carracci come spunto e
modello per i suoi affreschi.
Ulteriore
mistero avvolge il libro di disegni del Masi: ad oggi, non ve n’è
infatti alcuna traccia. Dalla lettera spedita nel Marzo 1595 da
Ranuccio allo stesso Masi in cui il primo richiede al secondo il
famoso libro, si evince che, al momento della richiesta da parte del
fratello Odoardo, Ranuccio non era ancora in possesso dei disegni.
Questi ultimi, tuttavia, erano sicuramente arrivati in Italia negli
ultimi mesi del 1594 poiché, nella lettera spedita al Masi dal
castellano di Piacenza Lazzaro Haller nel Marzo 1595, si menziona
l’invio del libro in questione a Ranuccio. A complicare
ulteriormente la vicenda è il fatto che nell’Agosto del 1595,
Odoardo si trovava con assoluta certezza a Parma e dunque, se avesse
voluto, avrebbe potuto prendere egli stesso i disegni e portarli a
Roma, ma così non fece.
Le uniche possibili ragioni di questo comportamento, considerando la
mancanza di documenti certamente un tempo esistenti, vanno ricercate
nel temperamento volubile di Odoardo e nei complicati accadimenti
storici che si palesarono al momento della morte del duca
Alessandro.
Caduto
nel dimenticatoio per circa quattro anni, il progetto decorativo
della ‘sala grande’ fu rispolverato una seconda volta ed ora, non
per tributare al padre Alessandro onore e riconoscimento, ma per
desiderio di magnificenza e vanagloria. Dopo mesi di trattative, i
Farnese e gli Aldobrandini giunsero finalmente ad un accordo ed il
matrimonio tra Ranuccio e Margherita, l’appena tredicenne nipote di
Papa Clemente VIII, si sarebbe finalmente celebrato nei primi mesi
del 1600. Fu per quest’occasione che Odoardo, su consiglio dei suoi
collaboratori, decise che era giunto il momento di dare una degna
sistemazione al salone principale del Palazzo, in vista dei
ricevimenti per il matrimonio del fratello e quindi, soprattutto, in
previsione della visita di Papa Clemente VIII. Coordinatore dei
lavori fu il maggiordomo di Odoardo, Alessandro Guidiccioni il quale,
in due lettere del 4 e del 5 Settembre 1599 dà notizia al Cardinale
dell’inizio dei lavori nel salone.
E’ Uginet, ancora una volta, a fornire un documento di importanza
cruciale conservato nell’ Archivio di Stato di Napoli; il documento
riporta quanto segue:
“Lavori
eseguiti prima del 3 febbraio 1600:
Muro
del cammino remurato nel salone lungo palmi 13 alto palmi 19 grosso
tutto canne 2,47.
Aricciatura
et spicconatura del salone lungo palmi 213 œ alto palmi 63 fa canne
135 palmi 57 monta a scudi 20.33.
[…]”
E’
chiaro che il programma di ristrutturazione del gran salone
prevedesse anche la realizzazione di affreschi: si era proceduto
infatti all’ ‘arricciatura’. Ma anche questa volta non si andò
oltre poiché, quando fu noto ad Odoardo che il ricevimento non si
sarebbe tenuto nel Palazzo e che, di conseguenza, il Papa non vi
avrebbe messo piede, decise di abbandonare ancora una volta il
progetto, destinando, da un lato, le pareti del gran salone ad essere
spoglie fino ai nostri giorni, dall’altro, il padre Alessandro a
non poter ricevere gli onori dovuti, per lo meno fino alla
realizzazione dei Fasti in suo onore nel Palazzo piacentino.
Stando
alle parole di Bellori e di Malvasia, vi fu addirittura un terzo
tentativo di decorazione della ‘sala grande’, intorno al 1602,
quando cioè erano ormai terminati i lavori nella Galleria. Malvasia,
nella Felsina
Pittrice, è
molto chiaro su questo punto: a detta dello storico dell’arte
bolognese, Annibale, provato da anni di estenuante lavoro nella
Galleria e colpito dalla malattia, avrebbe richiesto l’aiuto del
cugino Ludovico per far fronte alle nuove pretese del suo
committente, Odoardo. Ludovico rispose alla richiesta del cugino
realizzando «
le
imprese di quel gran duca Alessandro
[…] scompartite in varii schizzotti di penna ed acquerella in gran
fogli »,
come definiti dal Malvasia. Tuttavia, anche questo terzo tentativo di
affrescare la ‘sala grande’ svanì nel nulla.
Per
quanto concerne disegni e dipinti connessi col ciclo della ‘sala
grande’, si è venuti a conoscenza dell’esistenza di un nutrito
numero di dipinti e disegni di artisti olandesi aventi ad oggetto le
imprese del duca Alessandro. Le fonti in questione sono, in
particolar modo, la lettera spedita da Odoardo Farnese al fratello
Ranuccio il 17 Luglio 1593 e
l’epistola inviata dallo stesso il 21 Febbraio 1595.
Nella
prima epistola, inoltre, si menziona una serie di disegni provenienti
dall’Olanda e arrivati in Italia, consegnati da un certo Pietro
Bonviso a Mario Farnese, persona di estrema fiducia per il duca
Alessandro al punto da essere inviato nel Gennaio 1591 a Roma per
esercitare pressioni per la nomina di Odoardo al cardinalato.
Dalle
fonti sappiamo inoltre che, dopo esser tornato in Olanda ed aver
assistito Alessandro al suo capezzale fino all’ultimo dei suoi
giorni, Mario Farnese tornò in Italia, prima a Parma e poi a Roma,
nel Gennaio del 1593 e, dunque, i disegni menzionati nella lettera di
Luglio sarebbero arrivati in Italia insieme al Farnese sei mesi
prima. Stando alle ricerche effettuate, quel Pietro
Bonvisio
citato nell’epistola sarebbe un certo Pietro, membro dei Buonvisi
di Lucca, una potente famiglia di banchieri che, con il tempo, aveva
espanso il proprio banco in tutta Europa, compresa la stessa Olanda.
E’ infatti attestata la presenza dei Buonvisi ad Anversa nel
periodo compreso tra il 1570 ed il 1600. Nonostante non vi sia
traccia nelle fonti di un Buonvisi di nome Pietro, è molto probabile
che l’uomo citato nell’epistola fosse un banchiere.
Maggior
mistero invece sembra avvolgere il libro di disegni di Cosimo Masi
del quale non sappiamo se sia mai arrivato nelle mani di Odoardo e
che sorte abbia avuto.
Credo
dunque che sia importante analizzare due dei molti inventari della
collezione Farnese, precisamente quelli del 1626 e del 1653 poiché,
non solo vi è una chiara menzione di libri di disegni aventi ad
oggetto le Fiandre, ma, soprattutto, se in quei libri di disegni si
identificano quelli citati nelle epistole del 1593 e 1595, si può
tracciare una storia di essi almeno fino al 1653.
Nell’inventario
del 1626, redatto subito dopo la morte del Cardinal Odoardo, avvenuta
nello stesso anno, si menzionano molte stampe e disegni talvolta
raggruppati o arrotolati e depositati all’interno di casse in
legno.
Si tratta di un inventario di particolare importanza perché fu
l’ultimo inventario ad essere redatto prima della dispersione di
buona parte della collezione romana dei Farnese. All’indomani della
morte di Odoardo, infatti, gran parte della collezione fu spedita a
Parma mentre invece un buon numero di opere grafiche tra cui stampe,
incisioni e disegni fu alienato in qualità di doni o omaggi o
addirittura sottratto illegalmente.
Nell’inventario, oggi custodito nell’ Archivio di Stato di
Napoli, si leggono le voci: « Carte
56 di (descri)ttione di diverse Città delle Fiandre, battaglie e
fortificat.ni
», « Un
libro di stampa fiammenga di diversi paesi e battaglie di carte 43
», « 18
carte di paesi di Fiandra in fogli Imperiali
» (l’ Imperiale era un formato di carta da stampa, delle
dimensioni di cm 60 x 80).
Nonostante sia oggi pressoché impossibile stabilire se queste voci
abbiano o meno una connessione con i disegni di Mario Farnese o con
il libro di Cosimo Masi, è importante sottolineare che Odoardo era
comunque in possesso di una serie di disegni con paesi e battaglie
fiamminghe che potevano fungere, eventualmente, da modello per il
ciclo decorativo della ‘sala grande’. La non realizzazione del
ciclo non è dunque da imputare ad una mancanza di modelli da cui
trarre ispirazione.
Il
secondo inventario analizzato risale invece al 1653, quando già la
collezione romana era stata in parte spedita a Parma, in parte
dispersa. L’inventario, oggi presso l’Archivio di Stato di Parma,
consta di due sezioni, una dedicata alla Biblioteca di Palazzo
Farnese, l’altra dedicata ai mobili; quest’ultima parte contiene
inoltre un elenco puntuale di tutte le stanze del Palazzo con i
relativi mobilio ed opere d’arte.
L’inventario è datato e firmato da Innocentio Sacchi, «
Guardarobba
del ser:mo Sig:r Duca di Parma
».
Per quel che concerne i disegni oggetto della nostra indagine, nella
sezione relativa ai mobili di Palazzo Farnese, si legge « Un
involto col disegno di molte Piazze e città di Fiandra, e di molte
giornate fatte dal Ser.mo Duca Ales.ro, numerate in nº 35 così
cartolate »:
il numero dei disegni raffiguranti città e imprese nelle Fiandre si
era dunque notevolmente ridotto rispetto all’inventario del 1626.
Si presume dunque che buona parte dei disegni menzionati nel primo
inventario fosse andata dispersa.
Ciò
che sembra ora necessario ed interessante tentare di comprendere è a
quali disegni Odoardo facesse riferimento nelle molte lettere spedite
al fratello. Le ricerche dunque devono spostarsi in ambito
nederlandese, dove esisteva una cerchia culturale attiva e fervida
presso la corte Farnese. Tre sono i nomi da prendere in riferimento:
Frans Hogenberg ed i fratelli Van Veen, Otto e Gijsbert.
Frans
Hogenberg (1535-1590), pittore ed incisore fiammingo-tedesco, è
ricordato nella storia dell’arte per le numerose tavole
cartografiche e mappe delle principali città moderne da lui
realizzate. Vale la pena ricordare che il padre, Nicolaus, morto
prematuramente all’età di trentanove anni, fu pittore ed incisore
di corte al servizio di Margherita d’Austria, o di Parma, moglie di
Ottavio Farnese e madre del futuro duca Alessandro.
Sono dunque indubbi i rapporti fra gli Hogenberg ed i Farnese.
Inoltre, lo stesso Hogenberg figlio, in una delle più famose
raccolte di viste panoramiche dell’età moderna, il Civitates
orbis terrarum, da
lui concepito insieme a Georg Braun, inserisce un’acquaforte a
colori della città di Caprarola in cui il ruolo privilegiato è
rivestito proprio dal Palazzo Farnese, dall’inconfondibile pianta
pentagonale.
Oltre
alle molte mappe e tavole, Hogenberg fu l’artefice delle celebri
incisioni che ornavano il De
Leone Belgico, opera
di stampo cronachistico scritta dall’austriaco Michael Von Eitzing
e pubblicata in due volumi, il primo nel 1583, il secondo nel 1586.
Si tratta di una delle prime e più importanti opere storiche del XVI
secolo sulla Guerra di Fiandra non solo per il taglio quasi
giornalistico del testo, ma anche per le immagini a corredo, opera
dell’incisore fiammingo. Le numerose incisioni, realizzate quasi
sicuramente da diverse mani (i fratelli Hogenberg ed i figli di
Frans), non fungevano da semplice ‘spalla’ al testo, ma avevano
la stessa importanza di quest’ultimo.
Inoltre,
data l’importanza documentaria di queste incisioni, esse furono
pubblicate più volte, raccolte in volumi autonomi rispetto all’opera
di Eitzing, volumi che tuttavia oggi è difficile datare con
certezza.
Uno di questi libri ‘indipendenti’ è conservato oggi nel
Rijksprentenkabinet del Rijksmuseum di Amsterdam, catalogato come
Album
met 345 prenten van Hogenberg (Album
con 345 immagini di Hogenberg). Esso contiene non solo tutte le
incisioni già presenti nel De
Leone Belgico,
ma anche molte altre, posteriori al 1590, anno della morte di Frans:
la cosa non deve sorprendere perché, all’indomani della morte
dell’incisore, la serie di incisioni con eventi politici delle
Fiandre fu continuata dalla vedova e dal fratello Abraham (1578-1653)
fino al 1637.
Figurano all’interno del libro, tutti gli eventi bellici
menzionati nella lettera del Luglio 1593 in riferimento ai disegni
posseduti da Mario Farnese (assedi di Maastricht, Anversa, Tournai,
Oudenaarde, Grave, Venlo, Neuss e molti altri).
Inoltre, protagonista assoluto della maggior parte delle imprese
raffigurate è proprio il duca Alessandro.
Vale
la pena qui ricordarne solo alcune: Don
Giovanni riceve il Duca di Parma, Maastricht occupata da Parma,
Ingresso del Duca di Parma ad Anversa, Funerali del Duca di Parma.
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FIG.
04- Frans Hogenberg,
Don
Giovanni riceve il Duca di Parma, 1578.
Acquaforte dall’ Album
con 345 immagini di Hogenberg. Amsterdam,
Rijksprentenkabinet.
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FIG.
05- Frans Hogenberg, Maastricht
occupata da Parma, acquaforte,
1579. Acquaforte dall’ Album
con 345 immagini di Hogenberg.
Amsterdam,
Rijksprentenkabinet.
|
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FIG.
06- Frans Hogenberg, Ingresso
del duca di Parma ad Anversa, acquaforte,
1585. Dall’
Album
con 345 immagini di Hogenberg. Amsterdam,
Rijksprentenkabinet.
|
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FIG.
07- Frans Hogenberg, Funerali
del duca di Parma, 1592.
Acquaforte dall’ Album
con 345 immagini di Hogenberg. Amsterdam,
Rijksprentenkabinet.
|
Nella
prima acquaforte è immortalato l’incontro fra Alessandro e
Giovanni d’Austria, figlio illegittimo dell’Imperatore Carlo V,
nominato Governatore dei Paesi Bassi Spagnoli nel 1576.
La datazione è stata spostata al 1578 nonostante la stampa rechi la
data ‘Gennaio 1576’, chiaramente
errata poiché, alle spalle di Don Giovanni, a sinistra in alto, si
scorge una raffigurazione della battaglia di Gimboux, avvenuta nel
Gennaio 1578.
La
seconda delle quattro acqueforti considerate, datata Giugno 1579,
presenta invece l’assedio e la conquista di Maastricht: nella parte
alta dell’incisione si legge infatti “Wie
Maestricht ingenommen und erobert wirdt von dem Hertzog von Permen”
ovvero
“Maastricht
è occupata e conquistata dal Duca di Parma”.
Sullo
sfondo, si scorgono soldati intenti a sparare con i propri fucili,
mentre, in primo piano, i ribelli olandesi si gettano nella Mosa
tentando di sfuggire alla furia dei soldati di Alessandro e salvare
la propria vita.
La
terza acquaforte, datata 27 Agosto 1585, è di grande importanza
perché segna un momento decisivo dell’ascesa al potere del Duca
Alessandro, il momento dell’entrata trionfale ad Anversa dopo la
sua capitolazione. Passando al di sotto di un arco trionfale,
Alessandro ed i suoi uomini sfilano in processione affermandosi
definitivamente come conquistatori.
Nell’ultima
acquaforte, datata Dicembre 1592, è invece rappresentato il solenne
corteo funebre di Alessandro Farnese a Bruxelles, dopo l’arriva
della salma da Arras, dove il duca era deceduto. L’atmosfera è
concitata: c’è chi corre, chi volge il capo verso la salma, chi si
volta a parlare con il vicino.
Non
sappiamo effettivamente se questi disegni giunsero mai in Italia
sottoforma di fogli sciolti o rilegati all’interno di un libro e se
essi possano avere una relazione con i disegni posseduti da Mario
Farnese; tuttavia, mi sembra opportuno ricordare questa serie di
incisioni, nello specifico il libro di acqueforti del
Rijksprentenkabinet, a testimonianza della presenza, proprio negli
anni in cui Odoardo stava pianificando la decorazione della ‘sala
grande’, di una vastissima quantità di modelli ed iconografie a
cui attingere. Le motivazioni che lo spinsero a far naufragare il
progetto furono quindi ben altre.
Inoltre,
vale la pena menzionare due incisioni realizzate da Gijsbert Van Veen
su modello di alcuni quadri o disegni del fratello minore Otto: nelle
parti inferiori di entrambe le incisioni, infatti, Gijsbert precisa
“Otho
Venius fingebat et ping.”,
nella prima e “Otho
et Gisbertus Venij fres finx. et f.”,
nella seconda. E’ chiaro dunque che i modelli fossero dei disegni o
dei dipinti ‘creati’, ‘pensati’ (dalla traduzione di quei
fingebat
e
finxit)
dal fratello Otto.
Si
tratta di due allegorie di Alessandro Farnese realizzate
presumibilmente tra il 1585 ed il 1592.
|
FIG.
08- Gijsbert Van Veen, Allegoria
con il duca di Parma come un campione della Chiesa cattolica nei
Paesi Bassi,
1585-1592. Incisione. Amsterdam,
Rijksprentenkabinet.
|
|
FIG.
10- Gijsbert Van Veen, Allegoria
di Alessandro Farnese, incisione,
1585-1592. Amsterdam,
Rijksprentenkabinet.
|
Nella
prima, intitolata Allegoria
con il duca di Parma come un campione della Chiesa cattolica nei
Paesi Bassi, il
Duca viene presentato come un difensore della Fede, guidato dalla
Religione, personificata nella donna alle sue spalle con la croce
nella mano destra, lungo la ripida strada che porta ai templi della
Virtù e dell’Onore, l’uno costruito dietro l’altro, a ricordo
del fatto che, solo essendo virtuosi, si può ricevere onore.
Alessandro è inoltre presentato come un novello Ercole al bivio, con
il suo tipico attributo nella mano destra, la clava nodosa e, con la
sinistra, regge invece uno scudo su cui è raffigurata la testa di
Medusa, chiaro riferimento all’ ègida, lo scudo di Atena al centro
del quale, secondo la leggenda, la dea collocò la testa della
gorgone.
Ai suoi piedi, in basso a destra, giacciono inermi l’ Invidia,
l’Impietas
e la Vis
inimica, sconfitte
idealmente dalle insegne vittoriose del duca, affisse sulla palma
alla sua destra su cui, tra l’altro, vi è un lungo cartiglio con
immagini dell’assedio di Anversa. Di questa incisione possediamo
fortunatamente il modello, un disegno chiaroscurato ad olio,
semisconosciuto, di Otto Van Veen, conservato presso la Biblioteca
reale di Torino. L’iconografia è esattamente la stessa, ma è
difficile stabilire se il disegno in questione fosse preparatorio per
un dipinto a noi non noto oppure se Gijsbert facesse riferimento
proprio a questo disegno.
|
FIG.
9- Otto Van Veen, Allegoria
di Alessandro Farnese, chiaroscuro
ad olio. Torino, Biblioteca reale.
|
La
seconda incisione mostra invece il Duca in armatura come un novello
Alessandro Magno, all’interno di una cornice ovale decorata con
varie figure tra cui due sfingi. Nella mano destra reca il fulmine di
Giove, attributo con cui Apelle avrebbe dipinto il ritratto di
Alessandro il Grande nel tempio di Efeso, come dice l’iscrizione in
latino;
nella sinistra, invece, uno scudo con un’iscrizione latina accanto
ai gigli farnesiani e al simbolo papale con le chiavi di San Pietro
su padiglione. In alto, due medaglioni con, rispettivamente,
l’assedio di Anversa da parte di Alessandro Farnese e quello di
Tiro da parte dell’omonimo condottiero macedone.
Otto
Van Veen era pittore ufficiale alla corte di Alessandro ed i suoi
rapporti con il più fedele collaboratore di Alessandro, Cosimo Masi,
continuarono anche dopo la morte del Duca.
Non sappiamo con certezza se Masi avesse mai portato con sé in
Italia copie dei disegni o dei dipinti di Van Veen, ma, ancora una
volta, conviene ricordare che i modelli a cui attingere di certo non
mancavano e che, dunque, è molto probabile che il progetto
decorativo della ‘sala grande’ sia naufragato per uno scarso
interesse di Odoardo stesso.
Dopo
aver dimostrato che, in ambito nederlandese, abbondavano iconografie
specifiche del Duca Alessandro, sorge spontaneo domandarsi se
esistano dei disegni preparatori di Annibale Carracci aventi come
soggetto Alessandro Farnese. La commissione di Odoardo prevedeva
infatti la realizzazione di un imponente ciclo decorativo a fresco
che doveva occupare, se non le intere pareti, la parte superiore di
esse.
Era
stato sicuramente il ciclo delle Storie
di Romolo e Remo in
Palazzo Magnani a Bologna ad aver fatto guadagnare ad Annibale la
fama di abile decoratore di saloni d’onore e ad aver portato
Odoardo a richiedere urgentemente l’intervento del pittore.
Oltre
ai già citati disegni di Parigi e Madrid proposti da Dante Bernini
in cui figurano coppie di ignudi sormontati da nicchie, con
all’interno, un Ercole e tre Grazie,
di grande interesse è un disegno conservato al Musée du Louvre e
non molto considerato in riferimento alla decorazione della ‘sala
grande’.
|
FIG.
11- A. Carracci, Studio
per un ritratto equestre di Alessandro Farnese, pietra
nera e gesso bianco su carta bluastra molto ingiallita. Parigi, Musée
du Louvre (pubblicata in Catherine Loisel, Ludovico,
Agostino, Annibale Carracci, Paris
2004).
|
|
Fig. 11b - particolare
con la firma di Carracci
|
Il
disegno, su carta bluastra oggi molto ingiallita, mostra il duca
Alessandro di profilo, con il busto ruotato verso l’osservatore,
con un’armatura e una lunga spada nella mano destra. In basso a
sinistra si legge Farnese
d’Annibale:
si tratta di un’annotazione a penna di Padre Resta (1635-1714),
oratoriano milanese, massimo collezionista di grafica ed originario
proprietario del disegno in questione.
La
Loisel, principale studiosa delle opere grafiche dei Carracci,
accoglie l’attribuzione ad Annibale, sottolineando tuttavia la
difficoltà di qualsiasi attribuzione certa. A sostegno della tesi di
Annibale, si può considerare la tecnica utilizzata nella
realizzazione del disegno: si tratta di pietra nera e gesso bianco.
Annibale, dopo esser giunto a Roma nel 1595, affinò il proprio
metodo preparatorio realizzando una gran quantità di schizzi prima
di procedere al lavoro finale, basti considerare i molti disegni
preparatori per gli affreschi della Galleria. In molti degli schizzi
del pittore, compare il gesso come componente essenziale per lo
studio delle luci e delle ombre.
Tuttavia, come sottolinea la Loisel, lo ‘sfumato’ ed il carattere
spettrale del volto del Duca potrebbero rimandare tranquillamente
anche allo stile dei disegni di Agostino.
Se
accogliamo l’attribuzione tradizionale ad Annibale, è molto
probabile che il disegno appartenga al secondo tentativo di
decorazione della ‘sala grande’ (1599-1600) poiché, nel 1595,
prima di arrivare a Roma, Annibale era ancora impegnato a completare
le ultime commissioni bolognesi (come l’ Elemosina
di San Rocco).
Giunto a Roma, si trovò immediatamente dinanzi ad un cambio di
programma poiché, già ad Agosto, Odoardo aveva deciso di mutare
progetto e far affrescare il camerino. Il pittore, dunque, non
avrebbe avuto il tempo materiale per buttar giù un disegno
preparatorio per la ‘sala grande’.
Vi
è inoltre un altro disegno che ha attirato la mia attenzione,
poiché, stando alle parole della studiosa che ha optato per
l’attribuzione ad Annibale e stando alle mie ricerche, il disegno
non sembra essere connesso con nessuna delle opere conosciute di
Annibale.
Il
disegno, conservato nella Biblioteca nacional de Madrid, mostra un
uomo nudo, steso a terra, di spalle, con le braccia legate dietro la
schiena. La Barcia sostiene che il disegno risalirebbe ai primi anni
romani, antecedenti l’inizio dei lavori nella Galleria. Dunque, se
nell’uomo raffigurato riconosciamo un prigioniero con mani e
caviglie legate, si può presupporre l’inserimento di questo
disegno all’interno di un contesto bellico più ampio e quindi,
forse, al programma dei Fasti di Alessandro. Si tratta certamente di
pure congetture, ma il pastello di ocra rossa, la sanguigna, con cui
è stato realizzato il disegno, la carta bluastra utilizzata e
l’attenzione ai giochi di luce ed ombre, riportano inevitabilmente
e certamente alla mano di Annibale.
|
FIG.
12- A. Carracci, Studio
di figura maschile, sanguigna.
Madrid, Biblioteca nacional (pubblicata in Dibujos
italianos de los siglos 17. Y 18. en la Biblioteca nacional,
Biblioteca nacional de Madrid (a cura di),
Madrid
1984).
|
In
riferimento invece al terzo tentativo di decorare la ‘sala grande’,
nel 1602, il Malvasia fornisce un’informazione preziosa che però
necessita di essere interpretata. Egli scrive quanto segue:« […]
se
ben si videro e si vedono le imprese di quel gran duca Alessandro,
che rappresentarsi vi si dovevano, scompartite in varii schizzotti di
penna ed acquerella in gran fogli, due de’ quali oggi son giunti
nella superba raccolta Pasinelli, così terribili e sprezzanti ma
così dotti; ed altri due vidi già presso l’Aldini, tutti di mano
di Lodovico; molto prima dallo stesso esser stato schizzati, diceva
il Garbieri, per servigio di Annibale, che per lettere ne lo aveva
supplicato d’un po’ di pensiero, per non affaticar tanto
l’intelletto, risoluto al fine, risanato ch’ei fosse, come
sperava, far di questa Sala come anche avea desiderato della Cappella
Erera, darvi ben presto attorno, e con l’aiuto de’ suoi giovani
spicciarsene
».
L’informazione
data dal Malvasia segue immediatamente la triste vicenda della morte
di Annibale, quindi la data di riferimento è il 1609. Pertanto, se
si pone l’accento su quel « molto
prima dallo stesso esser stato schizzati, diceva il Garbieri, per
servigio di Annibale
», si può dedurre che i disegni sarebbero stati realizzati da
Ludovico intorno al 1602, quando cioè Odoardo aveva chiesto ad
Annibale di riprendere i lavori nella ‘sala grande’, ma questi,
stremato, malato e provato dagli screzi col suo committente, non fu
in grado di accontentarlo. C’è però un’altra ipotesi da
prendere in considerazione e cioè che Ludovico avrebbe realizzato i
disegni in questione nel 1593, quando fu chiamato a Parma per
realizzare dipinti a decorazione del catafalco di Alessandro e che
avrebbe poi fornito questi disegni preparatori al cugino Annibale per
i lavori nella ‘sala grande’.
La
mia ricerca mi ha portato ad analizzare tre disegni attribuiti da
Catherine Loisel a Ludovico, conservati al Musée du Louvre, ed a
metterli in relazione con le parole di Malvasia.
|
FIG.
13- Ludovico Carracci, Un
generale in carica alla testa del suo esercito presso le rive di una
città, penna
e inchiostro bruno, acquerello bruno, su carta beige. Parigi, Musée
du Louvre (da LOISEL 2004)
|
|
FIG.
14- L. Carracci, Generale
ferito, su una lettiga, circondato dai suoi ufficiali,
penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, su carta beige. Parigi,
Musée du Louvre (da LOISEL 2004).
|
|
FIG.
15- L. Carracci, Marcia
di un generale alla testa del suo esercito, penna
e inchiostro bruno, acquerello bruno, su carta beige. Parigi, Musée
du Louvre (da LOISEL 2004)
|
Nel primo, intitolato Un
generale in carica alla testa del suo esercito presso le rive di una
città, nonostante
sia molto danneggiato, si scorge una scena movimentata con
un’apertura paesistica sullo sfondo. Il secondo, Generale
ferito, su una lettiga, circondato dai suoi ufficiali, ha
un tratto leggero ed è appena abbozzato. Il terzo, infine, Marcia
di un generale alla testa del suo esercito, è
molto simile al primo e, come quest’ultimo, presenta una veduta
paesistica che occupa quasi i due terzi del disegno. Tuttavia, a
differenza degli altri due, in quest’ultimo è molto marcata la
cosiddetta quadrettatura, tecnica che, a partire dal 1500, serviva ad
aiutare i pittori nel riprodurre il disegno in scala molto maggiore:
c’è dunque rispondenza con la parola utilizzata dal Malvasia per
descrivere i disegni, “scompartiti”.
Ed inoltre, si tratta di una prova inconfutabile del fatto che i
disegni erano stati pensati per essere riprodotti in grandi
dimensioni.
Un’ulteriore
prova del fatto che si tratterebbe proprio dei disegni citati dal
Malvasia è la tecnica utilizzata: penna e inchiostro bruno,
acquerello bruno, su carta beige. Malvasia scriveva « schizzotti
di penna ed acquerella »:
esattamente la stessa tecnica.
Eppure
c’è un altro tassello da considerare: Malvasia dice di aver visto
i quattro schizzi (mancherebbe all’appello solo uno) nelle raccolte
del pittore Lorenzo Pasinelli e di un certo signor Aldini. Sebbene su
quest’ultimo le notizie scarseggino, sul primo possediamo invece un
gran numero di informazioni, compreso l’inventario dei suoi beni
datato 1707.
La parte più importante della raccolta Pasinelli era costituita
proprio dai disegni dei Carracci, in particolar modo da sedici
disegni di Ludovico, raggruppati in tre nuclei. Era nel secondo
nucleo che si trovavano studi preparatori per quadri tra cui gli
schizzotti
citati da Malvasia. L’inventario che qui si menziona, pubblicato
nel volume di Morselli, venne stilato nel 1707, solo sette anni prima
dell’alienazione a Pierre Crozat (1665-1740), finanziere e avido
collezionista di disegni, di buona parte delle opere grafiche di
Ludovico, compresi gli schizzotti.
E’
bene ricordare che l’originario proprietario dei disegni del Louvre
sopra analizzati era proprio Monsieur Crozat: tutto dunque
sembrerebbe tornare.
Nell’inventario,
alle voci 70, 71, 72 si legge:
“
[70] Un’Armata
con quantità di fugure in marchia, in cui vi è uno a Cavallo, e
Crucifisso in mano di Acq.a di Lod.co Carracci 17 e 13 L 200
[71] Un altro
d’acquerella pure di Lod.co alto 13 largo 3 L 150
[72]
Un Cocchio entrovi uno portato da Cavalli con soldati di Lod.co alto
11 largo 14 L 120”
Stando
alle descrizioni dei disegni, eccezion fatta per il numero 71, sembra
che essi corrispondano proprio agli schizzotti
del
Malvasia e quindi, contrariamente a quanto detto da quest’ultimo,
gli schizzi di Ludovico con le gesta di Alessandro, all’interno
della collezione Pasinelli e quindi Crozat, erano forse tre e non
due.
In
conclusione, è bene ricordare un altro album di disegni che sembra
avere uno stretto legame con i Farnese, soprattutto con il defunto
Alessandro. A tal proposito, conviene citare una lettera datata 15
Agosto 1609 e spedita da un tale Marcello Prati a Ranuccio Farnese:
«
Serenissimo signor et padrone mio colendissimo. Sono molti giorni,
che la signora Clelia Farnese mi disse, che haveva proposto a vostra
altezza per mezo del signor Gabriele Cesarini certi disegni fatti da
un pittor Modenese delle imprese del signore duca Alessandro gloriose
memorie et che havendoli significato esso Cesarini, che il secretario
Orsa gli haveva ricercato che prezzo ne pretendeva, hora mi ha fatto
dire dal suo secretario, che sarebbe bene inviarli a vostra altezza
perché piacendole li dissegni potrà usar quella cortesia che le
parrerà al pittore, il quale, sa bene ha cennato a detto secretario
che vorrebbe cento scudi, si contentarà di tutto quello che sarà
sua sodisfattione. Però gli invio con questo ordinario et non
piacendoli potrà rimandarli. Vi è anco un disegno d’una colonna
con memoriale di esso pittore, et con questo le faccio humilissima
riverenza. Di Roma al 15 di Agosto 1609. Di vostra Altezza
Serenissima humilissimo et devotissimo servo Marcello Prati. »
Il
Marchese Marcello Prati richiamò dunque l’attenzione di Ranuccio
su un libro di disegni con le imprese del padre Alessandro che era
stato offerto in vendita per cento scudi al duca stesso per mezzo di
Clelia Farnese (1556-1613), figlia naturale del ‘Gran Cardinale’
e per mezzo di Gabriele Cesarini, autore della celebre orazione
funebre per i solenni funerali del Farnese.
La lettera fa certamente riferimento ad un libro datato al 1608 e
composto da 138 disegni raffiguranti le gesta di Alessandro: il libro
era opera di Giovanni Guerra (1544-1618), pittore e disegnatore di
origine modenese, molto attivo a Roma nella seconda metà del XVI
secolo e ben noto per i suoi numerosi libri di disegni.
Il libro in questione, conservato oggi nella Biblioteca nacional de
Madrid ed intitolato Ales.
Farnesii ducis Parm. Et Plac. Equitis aurei vell. Heroica acta, è
diviso in tre tomi e composto da 138 disegni, a penna e inchiostro
bruno, ciascuno marchiato dal monogramma di Giovanni Guerra e
corredato da una didascalia in latino che ne spiega il contenuto.
Come
anche i libri con le storie di Ester, Giuditta e San Paolo, il libro
in questione non fu mai tradotto in stampa e questo, implicitamente,
vuol dire che i disegni non erano stati eseguiti su commissione, ma
per libera iniziativa del Guerra il quale, spesso in ristrettezze
economiche, cercava di adeguarsi ai mutamenti del gusto e di ideare
nuove iconografie da proporre ad eventuali acquirenti.
A differenza dei disegni precedentemente realizzati, nei disegni in
questione, lo stile si è fatto esasperato, l’acquerellatura è
diventata più prepotente fino ad invadere i disegni con larghe
macchie ed il tono trionfalistico- encomiastico risulta forse troppo
eccessivo.
|
FIG.
16- Giovanni Guerra, Alex.
Farn. ad alansone non sustinetur at potius receptui consulit quam
dimicari, 1608.
Penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, dall’ album con le Vite
di Alessandro Farnese,
tomo I, foglio 9. Madrid, Biblioteca nacional (da PARMA ARMANI 1982).
|
In
riferimento all’album di disegni del Guerra, sembra plausibile
pensare che la cerchia culturale farnesiana di Parma, di cui faceva
ovviamente parte lo stesso Ranuccio, non si fosse arresa all’idea
di non aver mai tributato al duca Alessandro gli onori dovuti, avendo
visto il progetto della ‘sala grande’ naufragare per ben tre
volte. Tuttavia, neanche Ranuccio fu in grado di dedicare al padre un
ciclo di affreschi. Bisognerà aspettare il 1686 per vedere
finalmente, a Piacenza, il ciclo dei Fasti di Alessandro Farnese.
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SUMMERSCALE
2000
Anne
Summerscale, Malvasia’s
life of the Carracci: commentary and translation, University
Park 2000.
TIETZE
1906
Hans
Tietze, Annibale
Carraccis Galerie im Palazzo Farnese und seine Romische Werkstatte,
in Jahrbuch
der Kunsthistorischen Sammlungen des allerhochsten Kaiserhauses,
Wien 1906.
UGINET
1980
François-
Charles Uginet, Le
Palais Farnese à travers les documents financiers: (1535-1612),
Rome 1980.
VITZTHUM
1963
Walter
Vitzthum, A
drawing for the walls of the Farnese Gallery and a comment on
Annibale Carracci’s ‘Sala Grande’,
in Burlington
Magazine,
CV, London 1963.
VITZTHUM
1964
ID.,
Two
drawings by Annibale Carracci in Madrid and a comment on the Farnese
Gallery,
in Master
drawings,
1964.
ZAPPERI
1987
Roberto
Zapperi, Nadine Blamoutier, Le
Cardinal Odoardo et les «Fastes» Farnèse,
in Revue
de l’Art,
nº 77, 1987.
ZAPPERI
1994
ID.,
Eros
e controriforma: preistoria della Galleria Farnese, Torino
1994.
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