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La ‘sala grande’ di Palazzo Farnese: ricostruzione di un progetto mai realizzato  

Martina Fraioli
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 1 Marzo 2017, n. 834
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Un velo di mistero sembra avvolgere ancora la ‘sala grande’ di Palazzo Farnese: nelle intenzioni originarie di Odoardo Farnese, infatti, il grande salone, ubicato nell’angolo sud-est del Palazzo, doveva esser decorato con affreschi di Annibale ed Agostino Carracci, raffiguranti le gesta militari di Alessandro Farnese (1545-1592).

Alessandro, morto nel 1592 ed osannato con pomposi funerali sia a Parma che a Roma, aveva riportato, in qualità di Capitano delle armate imperiali di Filippo II di Spagna, importanti vittorie militari nelle Fiandre contro la fazione protestante capeggiata da Guglielmo d’Orange. è dunque facilmente comprensibile la ragione per cui il figlio Odoardo avrebbe voluto omaggiare il padre decorando un intero salone in suo onore: egli era stato infatti non solo valoroso condottiero, ma anche paladino della religione cristiana oltralpe. Tuttavia il salone non fu mai decorato nonostante Annibale avesse iniziato a realizzare studi preparatori. Ad oggi le pareti della ‘sala grande’ appaiono completamente spoglie, bianche, fredde e si percepisce immediatamente la presenza di un vuoto che non è stato colmato, si intuisce subito che quelle pareti alte ben 18 metri dovevano ospitare un ciclo di affreschi.

Sembra dunque inconcepibile come si sia potuto rinunciare a realizzare un programma di così importante interesse celebrativo, storico e politico, sembra incomprensibile come Odoardo Farnese, che aveva appositamente chiamato a Roma due degli artisti più affermati del momento, avesse deciso di rinunciarvi ed affidare ai fratelli Carracci un altro progetto, quello del Camerino.


Facendo brevemente accenno alla fortuna critica, né Giulio Mancini né Giovanni Baglione, nelle rispettive opere “Considerazioni sulla pittura” e “Le vite de’ pittori, scultori et architetti”, fanno menzione della ‘sala grande’ e della sua decorazione.1

è Giovan Pietro Bellori a menzionare, per la prima volta, nella sua opera “Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni” pubblicata nel 1672, la sala che Annibale avrebbe dovuto decorare con gli «eroici fatti del grande Alessandro Farnese, non molti anni avanti morto in Fiandra».2 Egli, tuttavia, incorre nell’errore di ritenere il progetto per la decorazione della ‘sala grande’ posteriore agli affreschi della Galleria: non era infatti a conoscenza della lettera spedita da Odoardo al fratello Ranuccio a Parma e datata 21 Febbraio 1595, pubblicata dal Tietze nel 1906, lettera da cui si evince indubbiamente che Odoardo aveva intenzione di far dipingere ad Annibale la ‘sala grande’ già prima di commissionargli gli affreschi della Galleria.3 Anche il Bellori, come Mancini e Baglione, riporta nel suo testo la notizia di un mutamento improvviso dell’umore di Annibale al termine dei lavori nella Galleria, mutamento dovuto sia alla natura malinconica dello stesso sia a dei conflitti sorti con Odoardo.4

Solo otto anni dopo, il Conte Carlo Cesare Malvasia pubblica il suo “Felsina Pittrice, vite de’ pittori bolognesi”, in cui fornisce importanti informazioni circa un possibile coinvolgimento di Ludovico Carracci nella realizzazione di tale decorazione, dopo la morte di Annibale.

L’autore menziona infatti degli «schizzotti di penna ed acquerella in gran fogli» realizzati da Ludovico e conservati nelle raccolte Pasinelli e Aldini: tali disegni raffigurerebbero, a detta del Malvasia, proprio le imprese del Duca Alessandro Farnese e sarebbero stati richiesti a Ludovico dal cugino Annibale per trarne ispirazione e «non affaticar tanto l’intelletto».5 Leggendo infatti l’inventario post mortem del pittore Lorenzo Pasinelli, figurano due disegni preparatori per quadri realizzati da Ludovico Carracci e riconducili proprio agli “schizzotti” con le imprese di Alessandro Farnese visti dal Malvasia.6

Un apporto notevole alla questione è stato dato da Hans Tietze. Ad egli va il merito di aver pubblicato, nel 1906, la preziosa epistola spedita dal Cardinal Odoardo al fratello Ranuccio il 21 Febbraio 1595. Nell’ epistola, non solo il Cardinale esprime la volontà di far decorare «dalli pittori Carraccioli Bolognesi» la ‘sala grande’ con le imprese del padre Alessandro, ma richiede urgentemente al fratello anche l’invio di un libro di disegni con le imprese di Alessandro realizzato in Fiandra e spedito a Parma dal conte Cosimo Masi, segretario di Alessandro. Il libro doveva esser indispensabile ad Annibale per il progetto dei dipinti della ‘sala grande’: senza di essi, si legge nell’epistola, «non veda si possa far cosa buona».7 Dall’epistola apprendiamo anche che Odoardo aveva già fatto richiesta al conte Masi del libro in questione nei mesi precedenti e che il libro sarebbe giunto in Italia sul finire del 1594. Il Tietze, tuttavia, non identifica correttamente la ‘sala grande’ menzionata nell’epistola, ritenendo, erroneamente, che doveva trattarsi della Galleria.

A chiarire brillantemente l’equivoco è Walter Vitzthum.8 Collegando la lettera scoperta e pubblicata dal Tietze con l’opera del Bellori, il Vitzthum giunge alla conclusione che la ‘sala grande’ non può essere assolutamente identificata con la Galleria, bensì con la ‘sala delle guardie’, il gran salone all’angolo sud- est del Palazzo, oggi chiamato ‘sala dell’ Ercole’. Le motivazioni addotte dal critico per sostenere la sua tesi sono due, entrambe convincenti: in primo luogo, la funzione della galleria sarebbe stata quella di mostrare pezzi della collezione di antichità dei Farnese e questo avrebbe avuto i suoi effetti nella ideazione del programma iconografico della volta; in secondo luogo, né il nome ‘sala’ né l’aggettivo ‘grande’ si adattano ad un ambiente come la Galleria. Anche il Vitzthum sostiene che il progetto decorativo venne rispolverato nei primi anni del 1600, ma mai realizzato.

Nello stesso anno, John Rupert Martin, storico dell’arte americano, pubblica la sua monumentale opera sulla Galleria Farnese.9 Egli fornisce due possibili spiegazioni per l’abbandono del progetto decorativo della sala: il libro di disegni spedito dal conte Cosimo Masi non sarebbe mai giunto a Roma presso il Cardinal Odoardo o, molto più verosimilmente, Annibale avrebbe posposto il progetto della ‘sala grande’ per dedicarsi interamente alla decorazione del Camerino (il cui progetto risale all’estate del 1595). Tuttavia, Annibale, colpito dalla grave crisi del 1605 ed avvilito per l’ingiusto trattamento riservatogli da Odoardo,10 avrebbe abbandonato definitivamente il progetto.

Dallo studio delle raccolte di disegni dei Carracci presso il Windsor Castle e presso il Musée du Louvre e, non avendo trovato alcuno studio preparatorio connesso con il ciclo della ‘sala grande’, il Martin è giunto alla conclusione che Annibale non avrebbe realizzato alcun disegno preparatorio per i dipinti della ‘sala grande’, conclusione smentita da ricerche più recenti.

Decisivo è stato invece l’apporto di Dante Bernini alla questione della ‘sala grande’: nel 1968, pubblica un articolo in cui avanza ipotesi su due disegni conservati all’ Ecole des Beaux Arts de Paris ed al Museo del Prado, collegandoli al programma di decorazione della ‘sala grande’.11 


Fig. 1

FIG. 01- Annibale Carracci, disegno per decorazione di volta. Parigi, École des Beaux Arts (pubblicata in Dante Bernini, Annibale Carracci e i ‘fasti’ di Alessandro Farnese, in Bollettino d’arte, serie 5, n. 2- 3, anno 53, 1968).


Fig. 2

FIG. 02- Annibale Carracci, disegno per decorazione di volta. Madrid, Museo del Prado (pubblicata in Dante Bernini, Annibale Carracci e i ‘fasti’ di Alessandro Farnese, in Bollettino d’arte, serie 5, n. 2- 3, anno 53, 1968).


Il Bernini innanzitutto sottolinea che la rappresentazione delle imprese del Duca Alessandro, qualora fosse stata realizzata, sarebbe stata improntata a criteri di realtà e veridicità, senza manierismi e idealizzazioni. Sarebbe stato scontato commissionare il programma decorativo della ‘sala grande’ o all’autore dei celebri dipinti in Palazzo Farnese a Caprarola, Federico Zuccari, o all’artista che aveva realizzato le scene dipinte sul catafalco eretto per i funerali di Alessandro in S. Maria in Aracoeli, il Cavalier d’Arpino, ma così non fu.12

Per quanto concerne i due disegni sopracitati, Bernini ipotizza che entrambi non abbiano effettivi legami iconografici ed iconologici con il programma della Galleria, come sostenuto invece dal Vitzthum,13 mentre invece sarebbero molto più affini ad un eventuale programma celebrativo: nel primo infatti (conservato all’ Ecole des Beaux Arts), due “prigioni” si trovano ai piedi di una nicchia in cui è collocata una statua di Ercole con la clava, simbolo della Virtù eroica; nel secondo, analogamente, ai piedi di una nicchia in cui sono situate le Tre Grazie (simbolo di Amicizia, ma anche di Pace e Concordia), si trova un ignudo maschile con gli attributi tipici dell’ Onore.

Ciò che, a mio parere, sembra convincere poco è sia il carattere simbolico di queste due rappresentazioni sia il rapporto tra questi disegni e le pareti su cui eventualmente dovevano esser dipinti: in primo luogo, considerando la volontà di Odoardo di far realizzare un programma il più possibile rispondente al vero,14 sembra poco probabile che Annibale avesse cominciato a lavorare a soggetti allegorici come la Virtù e l’Onore; in secondo luogo, se si tiene presente l’elevata altezza e ampiezza delle pareti della ‘sala grande’ (alta ben 18 metri), sembra più plausibile che il programma iconografico prevedesse scene di battaglie, ampie aperture paesistiche e ritratti del Duca Alessandro.

Inoltre, egli scopre l’esistenza di un dipinto conservato nella Galleria Nazionale della Sicilia a Palermo, dipinto disegnato poi da Fragonard e riprodotto dall’Abbé de Saint-Non. Giunto fino a noi sotto forma di frammento, esso è stato intitolato “Allegoria di uno dei fasti di Alessandro Farnese”: si tratterebbe infatti di un’allegoria della vittoria di Alessandro sulla Fiandra e sarebbe stato collocato al centro del soffitto della ‘sala grande’, oggi trasformato in soffitto a cassettoni.15 


Fig. 3
FIG. 03- Autore incerto, Allegoria della conquista della Fiandra. Palermo, Galleria Nazionale (pubblicata in Dante Bernini, Annibale Carracci e i ‘fasti’ di Alessandro Farnese, in Bollettino d’arte, serie 5, n. 2- 3, anno 53, 1968).



Solo recentemente, nel 2013, Evelina De Castro, in “Sulle tracce di una "Allegoria dai Fasti di Alessandro Farnese" a Palazzo Abatellis”,16 ha rigettato la tesi del Bernini sulla relazione tra il frammento ed il soffitto della ‘sala grande’:17 ella ritiene che il dipinto collocato oggi nella Galleria Nazionale di Sicilia debba invece essere messo in relazione con la decorazione delle volte dell’appartamento stuccato di Palazzo Farnese a Piacenza.18

In un clima di studio e ricerca sui Carracci particolarmente favorevole, solo tre anni dopo la pubblicazione del Bernini, Donald Posner fornisce spunti interessanti su alcuni possibili disegni preparatori attribuiti ad Annibale e legati proprio al progetto decorativo della ‘sala grande’.19 Egli, tuttavia, si mostra alquanto scettico sulla possibilità che Annibale avesse iniziato a realizzare degli schizzi dei futuri dipinti.20 I disegni in questione sono: un disegno conservato al Louvre raffigurante Alessandro Farnese sul dorso di un cavallo; un secondo disegno, oggi al Musée Condé a Chantilly, con un gruppo di uomini abbigliati con vestiario tipico del sedicesimo secolo rivolti in preghiera verso la Madonna; un terzo disegno, anch’esso al Louvre, con un ritratto di gruppo i cui personaggi non sono stati identificati.21

Risulta oggi molto complesso avanzare ipotesi e congetture sul possibile collegamento tra questi disegni e il programma decorativo della ‘sala grande’; tuttavia, il primo disegno contenuto al Louvre (inv. 7314) raffigurante Alessandro Farnese, grazie alla ricostruzione della vicenda collezionistica, è stato attribuito quasi con certezza alla mano di Annibale.

è però nel 1980 che viene pubblicato da François Charles Uginet, archivista paleografo, membro dell’ École française de Rome, un documento decisivo che ha portato ad un totale ripensamento della cronologia del programma decorativo della ‘sala grande’.22

Si tratta di una lettera spedita da Odoardo al fratello Ranuccio a Parma nel Luglio del 1593 in cui si chiedono le copie di otto dipinti rappresentanti le imprese di Alessandro in vista della futura realizzazione dei dipinti della ‘sala grande’. Di seguito, il testo dell’epistola:


Serenissimo signor mio et fratello orsservantissimo,

havendo inteso che tra le robbe che sono venute di Fiandra del signor duca nostro padre felice memoria ci sono otto quadri di pittura delle imprese principali che S. A. ha fatte in quelli stati et desiderando io sommamente di haverne una copia per poter dar compimento al disegno ch’io ho di far dipingere dette imprese nella sala principale del palazzo vengo a supplicar V. A. che si degni farmi gratia di farne cavare una copia con quella diligenza et prestezza ch’ Ella saperà ordinare. Che oltre di essere cosa che son certo gustarà V. A. per tutti i rispetti, io lo riconoscerò per favore particolare et Le ne resterò col maggior obbligo ch’io posso et Le bascio affettuosamente le mani. Di Roma

li XVII Luglio 1593…

Il Cardinale Farnese” 23


L’epistola, citata fino ad ora solo da Roberto Zapperi stando alle mie ricerche, è di importanza cruciale perché smentisce la credenza che la gestazione del programma decorativo della ‘sala grande’ risalirebbe alla fine del 1594. Odoardo, invece, aveva partorito l’idea dei Fasti di Alessandro più di un anno prima ed aveva già iniziato a mobilitarsi per ottenere le copie dei dipinti fiamminghi con le imprese di Alessandro.24 Nell’opera citata, Uginet pubblica inoltre un altro documento di grande interesse: si tratta di un foglio annesso alla precedente lettera, contenente una lista di disegni che potevano essere messi in relazione con il progetto dei Fasti di Alessandro.25

Nel 1987 Roberto Zapperi menzionerà nuovi documenti che, integrati con quelli precedentemente pubblicati da Uginet, permetteranno di avere un quadro più completo e preciso.26

In riferimento alla lettera del Luglio 1593 pubblicata dallo studioso francese, Zapperi precisa che gli archivi e gli oggetti personali del duca Alessandro erano giunti a Roma nei primi mesi del medesimo anno e, dunque, è molto probabile che gli otto dipinti la cui copia fu richiesta da Odoardo, facessero parte di quella spedizione.27

Zapperi tuttavia dà un’altra informazione di importanza rilevante circa il famoso libro di disegni richiesto da Odoardo a Ranuccio nel Febbraio 1595: i disegni sarebbero arrivati in Italia verso la fine del 1594, insieme ai bagagli e agli effetti personali del Masi.28 Conviene ricordare che è proprio verso la fine del 1594 che i Carracci ricevettero l’incarico da parte di Odoardo, decisione forse non casuale.

Infine, conviene qui ricordare il recente apporto di Stefano Colonna, il quale ha pubblicato due epistole di importanza cruciale, sconosciute fino ad ora.29

Dalla prima di esse, spedita da Ranuccio Farnese al Conte Cosimo Masi nel Marzo 1595, si evince che, quando Odoardo fece richiesta del libro di disegni spedito da Cosimo Masi al fratello Ranuccio, quest’ultimo non aveva ancora ricevuto il famoso libro (giunto a Parma, secondo Zapperi, alla fine del 1594), motivo per il quale si mobilita immediatamente per ottenerlo, scrivendo al duca Masi.30

La seconda lettera, spedita poco dopo la prima, fu spedita invece a Cosimo Masi da Leone Lazzaro Haller, nobiluomo, Capitano della Guardia del Principe Alessandro Farnese in Fiandra, nominato poi Prefetto e Comandante supremo delle armi nel Castello di Piacenza, valoroso condottiero che aveva partecipato a molte azioni militari nelle Fiandre. Alla morte di Alessandro, nel 1592, era entrato al servizio del Duca Ranuccio.31 Nonostante il complesso linguaggio, si intuisce che il libro di disegni era stato inviato al «patrone» (presumibilmente Ranuccio I), ma restituito troppo presto. Da qui, la necessità di Lazzaro Haller di richiedere a Cosimo Masi il libro, per vedere due delle imprese contenute in esso, quella di Dunkerque e quella di Dondermonde, con lo scopo di farne dipingere almeno una nel Castello piacentino.32


Le fonti a disposizione, dunque, permettono di ricostruire una cronologia dei tentativi di decorare la ‘sala grande’ e di dare una possibile spiegazione del perché ciascun tentativo sia fallito.33 Nel fare ciò, si può partire da due certezze inconfutabili: non solo il tema della decorazione pittorica della ‘sala grande’ era stato stabilito, ma erano stati scelti anche i suoi futuri realizzatori, i fratelli Annibale ed Agostino Carracci.

Il primo dei tre tentativi di affrescare la ‘sala grande’ fu quello del 1595. Tuttavia, come detto in precedenza, il progetto risaliva al 1593, anno in cui Odoardo, con una lettera del 17 Luglio, aveva richiesto al fratello una copia di otto dipinti provenienti dalle Fiandre e raffiguranti le imprese del padre.34 Non sappiamo se le copie arrivarono effettivamente a destinazione, ma sappiamo che il 21 Febbraio 1595, Odoardo avanzò al fratello una nuova richiesta: un libro di disegni con le imprese del padre Alessandro che Cosimo Masi, luogotenente e principale collaboratore del duca, aveva portato con sé dalle Fiandre.35 Si può presumere, dunque, che le copie di quegli otto dipinti richieste due anni prima, molto probabilmente non raggiunsero mai Roma se, nel 1595, il Cardinale si trovò costretto a richiedere il libro di disegni da fornire ad Annibale Carracci come spunto e modello per i suoi affreschi.

Ulteriore mistero avvolge il libro di disegni del Masi: ad oggi, non ve n’è infatti alcuna traccia. Dalla lettera spedita nel Marzo 1595 da Ranuccio allo stesso Masi in cui il primo richiede al secondo il famoso libro, si evince che, al momento della richiesta da parte del fratello Odoardo, Ranuccio non era ancora in possesso dei disegni. Questi ultimi, tuttavia, erano sicuramente arrivati in Italia negli ultimi mesi del 1594 poiché, nella lettera spedita al Masi dal castellano di Piacenza Lazzaro Haller nel Marzo 1595, si menziona l’invio del libro in questione a Ranuccio. A complicare ulteriormente la vicenda è il fatto che nell’Agosto del 1595, Odoardo si trovava con assoluta certezza a Parma e dunque, se avesse voluto, avrebbe potuto prendere egli stesso i disegni e portarli a Roma, ma così non fece.36 Le uniche possibili ragioni di questo comportamento, considerando la mancanza di documenti certamente un tempo esistenti, vanno ricercate nel temperamento volubile di Odoardo e nei complicati accadimenti storici che si palesarono al momento della morte del duca Alessandro.37

Caduto nel dimenticatoio per circa quattro anni, il progetto decorativo della ‘sala grande’ fu rispolverato una seconda volta ed ora, non per tributare al padre Alessandro onore e riconoscimento, ma per desiderio di magnificenza e vanagloria. Dopo mesi di trattative, i Farnese e gli Aldobrandini giunsero finalmente ad un accordo ed il matrimonio tra Ranuccio e Margherita, l’appena tredicenne nipote di Papa Clemente VIII, si sarebbe finalmente celebrato nei primi mesi del 1600. Fu per quest’occasione che Odoardo, su consiglio dei suoi collaboratori, decise che era giunto il momento di dare una degna sistemazione al salone principale del Palazzo, in vista dei ricevimenti per il matrimonio del fratello e quindi, soprattutto, in previsione della visita di Papa Clemente VIII. Coordinatore dei lavori fu il maggiordomo di Odoardo, Alessandro Guidiccioni il quale, in due lettere del 4 e del 5 Settembre 1599 dà notizia al Cardinale dell’inizio dei lavori nel salone.38 E’ Uginet, ancora una volta, a fornire un documento di importanza cruciale conservato nell’ Archivio di Stato di Napoli; il documento riporta quanto segue:


Lavori eseguiti prima del 3 febbraio 1600:

Muro del cammino remurato nel salone lungo palmi 13 alto palmi 19 grosso tutto canne 2,47.

Aricciatura et spicconatura del salone lungo palmi 213 œ alto palmi 63 fa canne 135 palmi 57 monta a scudi 20.33.

[…]”39

E’ chiaro che il programma di ristrutturazione del gran salone prevedesse anche la realizzazione di affreschi: si era proceduto infatti all’ ‘arricciatura’. Ma anche questa volta non si andò oltre poiché, quando fu noto ad Odoardo che il ricevimento non si sarebbe tenuto nel Palazzo e che, di conseguenza, il Papa non vi avrebbe messo piede, decise di abbandonare ancora una volta il progetto, destinando, da un lato, le pareti del gran salone ad essere spoglie fino ai nostri giorni, dall’altro, il padre Alessandro a non poter ricevere gli onori dovuti, per lo meno fino alla realizzazione dei Fasti in suo onore nel Palazzo piacentino.

Stando alle parole di Bellori e di Malvasia, vi fu addirittura un terzo tentativo di decorazione della ‘sala grande’, intorno al 1602, quando cioè erano ormai terminati i lavori nella Galleria. Malvasia, nella Felsina Pittrice, è molto chiaro su questo punto: a detta dello storico dell’arte bolognese, Annibale, provato da anni di estenuante lavoro nella Galleria e colpito dalla malattia, avrebbe richiesto l’aiuto del cugino Ludovico per far fronte alle nuove pretese del suo committente, Odoardo. Ludovico rispose alla richiesta del cugino realizzando « le imprese di quel gran duca Alessandro […] scompartite in varii schizzotti di penna ed acquerella in gran fogli »,40 come definiti dal Malvasia. Tuttavia, anche questo terzo tentativo di affrescare la ‘sala grande’ svanì nel nulla.


Per quanto concerne disegni e dipinti connessi col ciclo della ‘sala grande’, si è venuti a conoscenza dell’esistenza di un nutrito numero di dipinti e disegni di artisti olandesi aventi ad oggetto le imprese del duca Alessandro. Le fonti in questione sono, in particolar modo, la lettera spedita da Odoardo Farnese al fratello Ranuccio il 17 Luglio 1593 e l’epistola inviata dallo stesso il 21 Febbraio 1595.

Nella prima epistola, inoltre, si menziona una serie di disegni provenienti dall’Olanda e arrivati in Italia, consegnati da un certo Pietro Bonviso a Mario Farnese, persona di estrema fiducia per il duca Alessandro al punto da essere inviato nel Gennaio 1591 a Roma per esercitare pressioni per la nomina di Odoardo al cardinalato.

Dalle fonti sappiamo inoltre che, dopo esser tornato in Olanda ed aver assistito Alessandro al suo capezzale fino all’ultimo dei suoi giorni, Mario Farnese tornò in Italia, prima a Parma e poi a Roma, nel Gennaio del 1593 e, dunque, i disegni menzionati nella lettera di Luglio sarebbero arrivati in Italia insieme al Farnese sei mesi prima. Stando alle ricerche effettuate, quel Pietro Bonvisio citato nell’epistola sarebbe un certo Pietro, membro dei Buonvisi di Lucca, una potente famiglia di banchieri che, con il tempo, aveva espanso il proprio banco in tutta Europa, compresa la stessa Olanda. E’ infatti attestata la presenza dei Buonvisi ad Anversa nel periodo compreso tra il 1570 ed il 1600. Nonostante non vi sia traccia nelle fonti di un Buonvisi di nome Pietro, è molto probabile che l’uomo citato nell’epistola fosse un banchiere.

Maggior mistero invece sembra avvolgere il libro di disegni di Cosimo Masi del quale non sappiamo se sia mai arrivato nelle mani di Odoardo e che sorte abbia avuto.

Credo dunque che sia importante analizzare due dei molti inventari della collezione Farnese, precisamente quelli del 1626 e del 1653 poiché, non solo vi è una chiara menzione di libri di disegni aventi ad oggetto le Fiandre, ma, soprattutto, se in quei libri di disegni si identificano quelli citati nelle epistole del 1593 e 1595, si può tracciare una storia di essi almeno fino al 1653.

Nell’inventario del 1626, redatto subito dopo la morte del Cardinal Odoardo, avvenuta nello stesso anno, si menzionano molte stampe e disegni talvolta raggruppati o arrotolati e depositati all’interno di casse in legno.41 Si tratta di un inventario di particolare importanza perché fu l’ultimo inventario ad essere redatto prima della dispersione di buona parte della collezione romana dei Farnese. All’indomani della morte di Odoardo, infatti, gran parte della collezione fu spedita a Parma mentre invece un buon numero di opere grafiche tra cui stampe, incisioni e disegni fu alienato in qualità di doni o omaggi o addirittura sottratto illegalmente.42 Nell’inventario, oggi custodito nell’ Archivio di Stato di Napoli, si leggono le voci: « Carte 56 di (descri)ttione di diverse Città delle Fiandre, battaglie e fortificat.ni », « Un libro di stampa fiammenga di diversi paesi e battaglie di carte 43 », « 18 carte di paesi di Fiandra in fogli Imperiali » (l’ Imperiale era un formato di carta da stampa, delle dimensioni di cm 60 x 80).43 Nonostante sia oggi pressoché impossibile stabilire se queste voci abbiano o meno una connessione con i disegni di Mario Farnese o con il libro di Cosimo Masi, è importante sottolineare che Odoardo era comunque in possesso di una serie di disegni con paesi e battaglie fiamminghe che potevano fungere, eventualmente, da modello per il ciclo decorativo della ‘sala grande’. La non realizzazione del ciclo non è dunque da imputare ad una mancanza di modelli da cui trarre ispirazione.

Il secondo inventario analizzato risale invece al 1653, quando già la collezione romana era stata in parte spedita a Parma, in parte dispersa. L’inventario, oggi presso l’Archivio di Stato di Parma, consta di due sezioni, una dedicata alla Biblioteca di Palazzo Farnese, l’altra dedicata ai mobili; quest’ultima parte contiene inoltre un elenco puntuale di tutte le stanze del Palazzo con i relativi mobilio ed opere d’arte.44 L’inventario è datato e firmato da Innocentio Sacchi, « Guardarobba del ser:mo Sig:r Duca di Parma ».45 Per quel che concerne i disegni oggetto della nostra indagine, nella sezione relativa ai mobili di Palazzo Farnese, si legge « Un involto col disegno di molte Piazze e città di Fiandra, e di molte giornate fatte dal Ser.mo Duca Ales.ro, numerate in nº 35 così cartolate »: il numero dei disegni raffiguranti città e imprese nelle Fiandre si era dunque notevolmente ridotto rispetto all’inventario del 1626. Si presume dunque che buona parte dei disegni menzionati nel primo inventario fosse andata dispersa.

Ciò che sembra ora necessario ed interessante tentare di comprendere è a quali disegni Odoardo facesse riferimento nelle molte lettere spedite al fratello. Le ricerche dunque devono spostarsi in ambito nederlandese, dove esisteva una cerchia culturale attiva e fervida presso la corte Farnese. Tre sono i nomi da prendere in riferimento: Frans Hogenberg ed i fratelli Van Veen, Otto e Gijsbert.

Frans Hogenberg (1535-1590), pittore ed incisore fiammingo-tedesco, è ricordato nella storia dell’arte per le numerose tavole cartografiche e mappe delle principali città moderne da lui realizzate. Vale la pena ricordare che il padre, Nicolaus, morto prematuramente all’età di trentanove anni, fu pittore ed incisore di corte al servizio di Margherita d’Austria, o di Parma, moglie di Ottavio Farnese e madre del futuro duca Alessandro.46 Sono dunque indubbi i rapporti fra gli Hogenberg ed i Farnese. Inoltre, lo stesso Hogenberg figlio, in una delle più famose raccolte di viste panoramiche dell’età moderna, il Civitates orbis terrarum, da lui concepito insieme a Georg Braun, inserisce un’acquaforte a colori della città di Caprarola in cui il ruolo privilegiato è rivestito proprio dal Palazzo Farnese, dall’inconfondibile pianta pentagonale.

Oltre alle molte mappe e tavole, Hogenberg fu l’artefice delle celebri incisioni che ornavano il De Leone Belgico, opera di stampo cronachistico scritta dall’austriaco Michael Von Eitzing e pubblicata in due volumi, il primo nel 1583, il secondo nel 1586. Si tratta di una delle prime e più importanti opere storiche del XVI secolo sulla Guerra di Fiandra non solo per il taglio quasi giornalistico del testo, ma anche per le immagini a corredo, opera dell’incisore fiammingo. Le numerose incisioni, realizzate quasi sicuramente da diverse mani (i fratelli Hogenberg ed i figli di Frans), non fungevano da semplice ‘spalla’ al testo, ma avevano la stessa importanza di quest’ultimo.

Inoltre, data l’importanza documentaria di queste incisioni, esse furono pubblicate più volte, raccolte in volumi autonomi rispetto all’opera di Eitzing, volumi che tuttavia oggi è difficile datare con certezza.47 Uno di questi libri ‘indipendenti’ è conservato oggi nel Rijksprentenkabinet del Rijksmuseum di Amsterdam, catalogato come Album met 345 prenten van Hogenberg (Album con 345 immagini di Hogenberg). Esso contiene non solo tutte le incisioni già presenti nel De Leone Belgico, ma anche molte altre, posteriori al 1590, anno della morte di Frans: la cosa non deve sorprendere perché, all’indomani della morte dell’incisore, la serie di incisioni con eventi politici delle Fiandre fu continuata dalla vedova e dal fratello Abraham (1578-1653) fino al 1637.48 Figurano all’interno del libro, tutti gli eventi bellici menzionati nella lettera del Luglio 1593 in riferimento ai disegni posseduti da Mario Farnese (assedi di Maastricht, Anversa, Tournai, Oudenaarde, Grave, Venlo, Neuss e molti altri).49 Inoltre, protagonista assoluto della maggior parte delle imprese raffigurate è proprio il duca Alessandro.50

Vale la pena qui ricordarne solo alcune: Don Giovanni riceve il Duca di Parma, Maastricht occupata da Parma, Ingresso del Duca di Parma ad Anversa, Funerali del Duca di Parma. 


Fig. 4

FIG. 04- Frans Hogenberg, Don Giovanni riceve il Duca di Parma, 1578. Acquaforte dall’ Album con 345 immagini di Hogenberg. Amsterdam, Rijksprentenkabinet.


Fig. 5

FIG. 05- Frans Hogenberg, Maastricht occupata da Parma, acquaforte, 1579. Acquaforte dall’ Album con 345 immagini di Hogenberg. Amsterdam, Rijksprentenkabinet.




Fig. 6

FIG. 06- Frans Hogenberg, Ingresso del duca di Parma ad Anversa, acquaforte, 1585. Dall’ Album con 345 immagini di Hogenberg. Amsterdam, Rijksprentenkabinet.




Fig. 7

FIG. 07- Frans Hogenberg, Funerali del duca di Parma, 1592. Acquaforte dall’ Album con 345 immagini di Hogenberg. Amsterdam, Rijksprentenkabinet.



Nella prima acquaforte è immortalato l’incontro fra Alessandro e Giovanni d’Austria, figlio illegittimo dell’Imperatore Carlo V, nominato Governatore dei Paesi Bassi Spagnoli nel 1576.51 La datazione è stata spostata al 1578 nonostante la stampa rechi la data ‘Gennaio 1576’, chiaramente errata poiché, alle spalle di Don Giovanni, a sinistra in alto, si scorge una raffigurazione della battaglia di Gimboux, avvenuta nel Gennaio 1578.

La seconda delle quattro acqueforti considerate, datata Giugno 1579, presenta invece l’assedio e la conquista di Maastricht: nella parte alta dell’incisione si legge infatti “Wie Maestricht ingenommen und erobert wirdt von dem Hertzog von Permen” ovvero “Maastricht è occupata e conquistata dal Duca di Parma”.52 Sullo sfondo, si scorgono soldati intenti a sparare con i propri fucili, mentre, in primo piano, i ribelli olandesi si gettano nella Mosa tentando di sfuggire alla furia dei soldati di Alessandro e salvare la propria vita.

La terza acquaforte, datata 27 Agosto 1585, è di grande importanza perché segna un momento decisivo dell’ascesa al potere del Duca Alessandro, il momento dell’entrata trionfale ad Anversa dopo la sua capitolazione. Passando al di sotto di un arco trionfale, Alessandro ed i suoi uomini sfilano in processione affermandosi definitivamente come conquistatori.53

Nell’ultima acquaforte, datata Dicembre 1592, è invece rappresentato il solenne corteo funebre di Alessandro Farnese a Bruxelles, dopo l’arriva della salma da Arras, dove il duca era deceduto. L’atmosfera è concitata: c’è chi corre, chi volge il capo verso la salma, chi si volta a parlare con il vicino.

Non sappiamo effettivamente se questi disegni giunsero mai in Italia sottoforma di fogli sciolti o rilegati all’interno di un libro e se essi possano avere una relazione con i disegni posseduti da Mario Farnese; tuttavia, mi sembra opportuno ricordare questa serie di incisioni, nello specifico il libro di acqueforti del Rijksprentenkabinet, a testimonianza della presenza, proprio negli anni in cui Odoardo stava pianificando la decorazione della ‘sala grande’, di una vastissima quantità di modelli ed iconografie a cui attingere. Le motivazioni che lo spinsero a far naufragare il progetto furono quindi ben altre.


Inoltre, vale la pena menzionare due incisioni realizzate da Gijsbert Van Veen su modello di alcuni quadri o disegni del fratello minore Otto: nelle parti inferiori di entrambe le incisioni, infatti, Gijsbert precisa “Otho Venius fingebat et ping.”, nella prima e “Otho et Gisbertus Venij fres finx. et f.”, nella seconda. E’ chiaro dunque che i modelli fossero dei disegni o dei dipinti ‘creati’, ‘pensati’ (dalla traduzione di quei fingebat e finxit) dal fratello Otto. Si tratta di due allegorie di Alessandro Farnese realizzate presumibilmente tra il 1585 ed il 1592.54 


Fig. 8

FIG. 08- Gijsbert Van Veen, Allegoria con il duca di Parma come un campione della Chiesa cattolica nei Paesi Bassi, 1585-1592. Incisione. Amsterdam, Rijksprentenkabinet.




Fig. 9

FIG. 10- Gijsbert Van Veen, Allegoria di Alessandro Farnese, incisione, 1585-1592. Amsterdam, Rijksprentenkabinet.


Nella prima, intitolata Allegoria con il duca di Parma come un campione della Chiesa cattolica nei Paesi Bassi, il Duca viene presentato come un difensore della Fede, guidato dalla Religione, personificata nella donna alle sue spalle con la croce nella mano destra, lungo la ripida strada che porta ai templi della Virtù e dell’Onore, l’uno costruito dietro l’altro, a ricordo del fatto che, solo essendo virtuosi, si può ricevere onore. Alessandro è inoltre presentato come un novello Ercole al bivio, con il suo tipico attributo nella mano destra, la clava nodosa e, con la sinistra, regge invece uno scudo su cui è raffigurata la testa di Medusa, chiaro riferimento all’ ègida, lo scudo di Atena al centro del quale, secondo la leggenda, la dea collocò la testa della gorgone.55 Ai suoi piedi, in basso a destra, giacciono inermi l’ Invidia, l’Impietas e la Vis inimica, sconfitte idealmente dalle insegne vittoriose del duca, affisse sulla palma alla sua destra su cui, tra l’altro, vi è un lungo cartiglio con immagini dell’assedio di Anversa. Di questa incisione possediamo fortunatamente il modello, un disegno chiaroscurato ad olio, semisconosciuto, di Otto Van Veen, conservato presso la Biblioteca reale di Torino. L’iconografia è esattamente la stessa, ma è difficile stabilire se il disegno in questione fosse preparatorio per un dipinto a noi non noto oppure se Gijsbert facesse riferimento proprio a questo disegno. 


Fig. 9

FIG. 9- Otto Van Veen, Allegoria di Alessandro Farnese, chiaroscuro ad olio. Torino, Biblioteca reale.




La seconda incisione mostra invece il Duca in armatura come un novello Alessandro Magno, all’interno di una cornice ovale decorata con varie figure tra cui due sfingi. Nella mano destra reca il fulmine di Giove, attributo con cui Apelle avrebbe dipinto il ritratto di Alessandro il Grande nel tempio di Efeso, come dice l’iscrizione in latino;56 nella sinistra, invece, uno scudo con un’iscrizione latina accanto ai gigli farnesiani e al simbolo papale con le chiavi di San Pietro su padiglione. In alto, due medaglioni con, rispettivamente, l’assedio di Anversa da parte di Alessandro Farnese e quello di Tiro da parte dell’omonimo condottiero macedone.

Otto Van Veen era pittore ufficiale alla corte di Alessandro ed i suoi rapporti con il più fedele collaboratore di Alessandro, Cosimo Masi, continuarono anche dopo la morte del Duca.57 Non sappiamo con certezza se Masi avesse mai portato con sé in Italia copie dei disegni o dei dipinti di Van Veen, ma, ancora una volta, conviene ricordare che i modelli a cui attingere di certo non mancavano e che, dunque, è molto probabile che il progetto decorativo della ‘sala grande’ sia naufragato per uno scarso interesse di Odoardo stesso.


Dopo aver dimostrato che, in ambito nederlandese, abbondavano iconografie specifiche del Duca Alessandro, sorge spontaneo domandarsi se esistano dei disegni preparatori di Annibale Carracci aventi come soggetto Alessandro Farnese. La commissione di Odoardo prevedeva infatti la realizzazione di un imponente ciclo decorativo a fresco che doveva occupare, se non le intere pareti, la parte superiore di esse. Era stato sicuramente il ciclo delle Storie di Romolo e Remo in Palazzo Magnani a Bologna ad aver fatto guadagnare ad Annibale la fama di abile decoratore di saloni d’onore e ad aver portato Odoardo a richiedere urgentemente l’intervento del pittore.58

Oltre ai già citati disegni di Parigi e Madrid proposti da Dante Bernini in cui figurano coppie di ignudi sormontati da nicchie, con all’interno, un Ercole e tre Grazie,59 di grande interesse è un disegno conservato al Musée du Louvre e non molto considerato in riferimento alla decorazione della ‘sala grande’.60 


Fig. 11

FIG. 11- A. Carracci, Studio per un ritratto equestre di Alessandro Farnese, pietra nera e gesso bianco su carta bluastra molto ingiallita. Parigi, Musée du Louvre (pubblicata in Catherine Loisel, Ludovico, Agostino, Annibale Carracci, Paris 2004).




Fig. 1

Fig. 11b - particolare con la firma di Carracci

Il disegno, su carta bluastra oggi molto ingiallita, mostra il duca Alessandro di profilo, con il busto ruotato verso l’osservatore, con un’armatura e una lunga spada nella mano destra. In basso a sinistra si legge Farnese d’Annibale: si tratta di un’annotazione a penna di Padre Resta (1635-1714), oratoriano milanese, massimo collezionista di grafica ed originario proprietario del disegno in questione.

La Loisel, principale studiosa delle opere grafiche dei Carracci, accoglie l’attribuzione ad Annibale, sottolineando tuttavia la difficoltà di qualsiasi attribuzione certa. A sostegno della tesi di Annibale, si può considerare la tecnica utilizzata nella realizzazione del disegno: si tratta di pietra nera e gesso bianco. Annibale, dopo esser giunto a Roma nel 1595, affinò il proprio metodo preparatorio realizzando una gran quantità di schizzi prima di procedere al lavoro finale, basti considerare i molti disegni preparatori per gli affreschi della Galleria. In molti degli schizzi del pittore, compare il gesso come componente essenziale per lo studio delle luci e delle ombre.61 Tuttavia, come sottolinea la Loisel, lo ‘sfumato’ ed il carattere spettrale del volto del Duca potrebbero rimandare tranquillamente anche allo stile dei disegni di Agostino.

Se accogliamo l’attribuzione tradizionale ad Annibale, è molto probabile che il disegno appartenga al secondo tentativo di decorazione della ‘sala grande’ (1599-1600) poiché, nel 1595, prima di arrivare a Roma, Annibale era ancora impegnato a completare le ultime commissioni bolognesi (come l’ Elemosina di San Rocco). Giunto a Roma, si trovò immediatamente dinanzi ad un cambio di programma poiché, già ad Agosto, Odoardo aveva deciso di mutare progetto e far affrescare il camerino. Il pittore, dunque, non avrebbe avuto il tempo materiale per buttar giù un disegno preparatorio per la ‘sala grande’.

Vi è inoltre un altro disegno che ha attirato la mia attenzione, poiché, stando alle parole della studiosa che ha optato per l’attribuzione ad Annibale e stando alle mie ricerche, il disegno non sembra essere connesso con nessuna delle opere conosciute di Annibale.62

Il disegno, conservato nella Biblioteca nacional de Madrid, mostra un uomo nudo, steso a terra, di spalle, con le braccia legate dietro la schiena. La Barcia sostiene che il disegno risalirebbe ai primi anni romani, antecedenti l’inizio dei lavori nella Galleria. Dunque, se nell’uomo raffigurato riconosciamo un prigioniero con mani e caviglie legate, si può presupporre l’inserimento di questo disegno all’interno di un contesto bellico più ampio e quindi, forse, al programma dei Fasti di Alessandro. Si tratta certamente di pure congetture, ma il pastello di ocra rossa, la sanguigna, con cui è stato realizzato il disegno, la carta bluastra utilizzata e l’attenzione ai giochi di luce ed ombre, riportano inevitabilmente e certamente alla mano di Annibale. 


Fig. 12

FIG. 12- A. Carracci, Studio di figura maschile, sanguigna. Madrid, Biblioteca nacional (pubblicata in Dibujos italianos de los siglos 17. Y 18. en la Biblioteca nacional, Biblioteca nacional de Madrid (a cura di), Madrid 1984).

In riferimento invece al terzo tentativo di decorare la ‘sala grande’, nel 1602, il Malvasia fornisce un’informazione preziosa che però necessita di essere interpretata. Egli scrive quanto segue:« […] se ben si videro e si vedono le imprese di quel gran duca Alessandro, che rappresentarsi vi si dovevano, scompartite in varii schizzotti di penna ed acquerella in gran fogli, due de’ quali oggi son giunti nella superba raccolta Pasinelli, così terribili e sprezzanti ma così dotti; ed altri due vidi già presso l’Aldini, tutti di mano di Lodovico; molto prima dallo stesso esser stato schizzati, diceva il Garbieri, per servigio di Annibale, che per lettere ne lo aveva supplicato d’un po’ di pensiero, per non affaticar tanto l’intelletto, risoluto al fine, risanato ch’ei fosse, come sperava, far di questa Sala come anche avea desiderato della Cappella Erera, darvi ben presto attorno, e con l’aiuto de’ suoi giovani spicciarsene ».63

L’informazione data dal Malvasia segue immediatamente la triste vicenda della morte di Annibale, quindi la data di riferimento è il 1609. Pertanto, se si pone l’accento su quel « molto prima dallo stesso esser stato schizzati, diceva il Garbieri, per servigio di Annibale », si può dedurre che i disegni sarebbero stati realizzati da Ludovico intorno al 1602, quando cioè Odoardo aveva chiesto ad Annibale di riprendere i lavori nella ‘sala grande’, ma questi, stremato, malato e provato dagli screzi col suo committente, non fu in grado di accontentarlo. C’è però un’altra ipotesi da prendere in considerazione e cioè che Ludovico avrebbe realizzato i disegni in questione nel 1593, quando fu chiamato a Parma per realizzare dipinti a decorazione del catafalco di Alessandro e che avrebbe poi fornito questi disegni preparatori al cugino Annibale per i lavori nella ‘sala grande’.64

La mia ricerca mi ha portato ad analizzare tre disegni attribuiti da Catherine Loisel a Ludovico, conservati al Musée du Louvre, ed a metterli in relazione con le parole di Malvasia.65 


Fig. 1

FIG. 13- Ludovico Carracci, Un generale in carica alla testa del suo esercito presso le rive di una città, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, su carta beige. Parigi, Musée du Louvre (da LOISEL 2004)




Fig. 14

FIG. 14- L. Carracci, Generale ferito, su una lettiga, circondato dai suoi ufficiali, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, su carta beige. Parigi, Musée du Louvre (da LOISEL 2004).




Fig. 15

FIG. 15- L. Carracci, Marcia di un generale alla testa del suo esercito, penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, su carta beige. Parigi, Musée du Louvre (da LOISEL 2004)


 Nel primo, intitolato Un generale in carica alla testa del suo esercito presso le rive di una città, nonostante sia molto danneggiato, si scorge una scena movimentata con un’apertura paesistica sullo sfondo. Il secondo, Generale ferito, su una lettiga, circondato dai suoi ufficiali, ha un tratto leggero ed è appena abbozzato. Il terzo, infine, Marcia di un generale alla testa del suo esercito, è molto simile al primo e, come quest’ultimo, presenta una veduta paesistica che occupa quasi i due terzi del disegno. Tuttavia, a differenza degli altri due, in quest’ultimo è molto marcata la cosiddetta quadrettatura, tecnica che, a partire dal 1500, serviva ad aiutare i pittori nel riprodurre il disegno in scala molto maggiore: c’è dunque rispondenza con la parola utilizzata dal Malvasia per descrivere i disegni, “scompartiti”. Ed inoltre, si tratta di una prova inconfutabile del fatto che i disegni erano stati pensati per essere riprodotti in grandi dimensioni.

Un’ulteriore prova del fatto che si tratterebbe proprio dei disegni citati dal Malvasia è la tecnica utilizzata: penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, su carta beige. Malvasia scriveva « schizzotti di penna ed acquerella »: esattamente la stessa tecnica.

Eppure c’è un altro tassello da considerare: Malvasia dice di aver visto i quattro schizzi (mancherebbe all’appello solo uno) nelle raccolte del pittore Lorenzo Pasinelli e di un certo signor Aldini. Sebbene su quest’ultimo le notizie scarseggino, sul primo possediamo invece un gran numero di informazioni, compreso l’inventario dei suoi beni datato 1707.66 La parte più importante della raccolta Pasinelli era costituita proprio dai disegni dei Carracci, in particolar modo da sedici disegni di Ludovico, raggruppati in tre nuclei. Era nel secondo nucleo che si trovavano studi preparatori per quadri tra cui gli schizzotti citati da Malvasia. L’inventario che qui si menziona, pubblicato nel volume di Morselli, venne stilato nel 1707, solo sette anni prima dell’alienazione a Pierre Crozat (1665-1740), finanziere e avido collezionista di disegni, di buona parte delle opere grafiche di Ludovico, compresi gli schizzotti. E’ bene ricordare che l’originario proprietario dei disegni del Louvre sopra analizzati era proprio Monsieur Crozat: tutto dunque sembrerebbe tornare.

Nell’inventario, alle voci 70, 71, 72 si legge:

[70] Un’Armata con quantità di fugure in marchia, in cui vi è uno a Cavallo, e Crucifisso in mano di Acq.a di Lod.co Carracci 17 e 13 L 200

[71] Un altro d’acquerella pure di Lod.co alto 13 largo 3 L 150

[72] Un Cocchio entrovi uno portato da Cavalli con soldati di Lod.co alto 11 largo 14 L 120”

Stando alle descrizioni dei disegni, eccezion fatta per il numero 71, sembra che essi corrispondano proprio agli schizzotti del Malvasia e quindi, contrariamente a quanto detto da quest’ultimo, gli schizzi di Ludovico con le gesta di Alessandro, all’interno della collezione Pasinelli e quindi Crozat, erano forse tre e non due.


In conclusione, è bene ricordare un altro album di disegni che sembra avere uno stretto legame con i Farnese, soprattutto con il defunto Alessandro. A tal proposito, conviene citare una lettera datata 15 Agosto 1609 e spedita da un tale Marcello Prati a Ranuccio Farnese:67

« Serenissimo signor et padrone mio colendissimo. Sono molti giorni, che la signora Clelia Farnese mi disse, che haveva proposto a vostra altezza per mezo del signor Gabriele Cesarini certi disegni fatti da un pittor Modenese delle imprese del signore duca Alessandro gloriose memorie et che havendoli significato esso Cesarini, che il secretario Orsa gli haveva ricercato che prezzo ne pretendeva, hora mi ha fatto dire dal suo secretario, che sarebbe bene inviarli a vostra altezza perché piacendole li dissegni potrà usar quella cortesia che le parrerà al pittore, il quale, sa bene ha cennato a detto secretario che vorrebbe cento scudi, si contentarà di tutto quello che sarà sua sodisfattione. Però gli invio con questo ordinario et non piacendoli potrà rimandarli. Vi è anco un disegno d’una colonna con memoriale di esso pittore, et con questo le faccio humilissima riverenza. Di Roma al 15 di Agosto 1609. Di vostra Altezza Serenissima humilissimo et devotissimo servo Marcello Prati. »

Il Marchese Marcello Prati richiamò dunque l’attenzione di Ranuccio su un libro di disegni con le imprese del padre Alessandro che era stato offerto in vendita per cento scudi al duca stesso per mezzo di Clelia Farnese (1556-1613), figlia naturale del ‘Gran Cardinale’ e per mezzo di Gabriele Cesarini, autore della celebre orazione funebre per i solenni funerali del Farnese.68 La lettera fa certamente riferimento ad un libro datato al 1608 e composto da 138 disegni raffiguranti le gesta di Alessandro: il libro era opera di Giovanni Guerra (1544-1618), pittore e disegnatore di origine modenese, molto attivo a Roma nella seconda metà del XVI secolo e ben noto per i suoi numerosi libri di disegni.69 Il libro in questione, conservato oggi nella Biblioteca nacional de Madrid ed intitolato Ales. Farnesii ducis Parm. Et Plac. Equitis aurei vell. Heroica acta, è diviso in tre tomi e composto da 138 disegni, a penna e inchiostro bruno, ciascuno marchiato dal monogramma di Giovanni Guerra e corredato da una didascalia in latino che ne spiega il contenuto.70

Come anche i libri con le storie di Ester, Giuditta e San Paolo, il libro in questione non fu mai tradotto in stampa e questo, implicitamente, vuol dire che i disegni non erano stati eseguiti su commissione, ma per libera iniziativa del Guerra il quale, spesso in ristrettezze economiche, cercava di adeguarsi ai mutamenti del gusto e di ideare nuove iconografie da proporre ad eventuali acquirenti.71 A differenza dei disegni precedentemente realizzati, nei disegni in questione, lo stile si è fatto esasperato, l’acquerellatura è diventata più prepotente fino ad invadere i disegni con larghe macchie ed il tono trionfalistico- encomiastico risulta forse troppo eccessivo. 


Fig. 16

FIG. 16- Giovanni Guerra, Alex. Farn. ad alansone non sustinetur at potius receptui consulit quam dimicari, 1608. Penna e inchiostro bruno, acquerello bruno, dall’ album con le Vite di Alessandro Farnese, tomo I, foglio 9. Madrid, Biblioteca nacional (da PARMA ARMANI 1982).




In riferimento all’album di disegni del Guerra, sembra plausibile pensare che la cerchia culturale farnesiana di Parma, di cui faceva ovviamente parte lo stesso Ranuccio, non si fosse arresa all’idea di non aver mai tributato al duca Alessandro gli onori dovuti, avendo visto il progetto della ‘sala grande’ naufragare per ben tre volte. Tuttavia, neanche Ranuccio fu in grado di dedicare al padre un ciclo di affreschi. Bisognerà aspettare il 1686 per vedere finalmente, a Piacenza, il ciclo dei Fasti di Alessandro Farnese.




NOTE

1 Entrambi forniscono però preziose informazioni circa lo stato d’animo che afflisse Annibale al termine della decorazione della Galleria, stato d’animo che gli avrebbe impedito di dedicarsi alla pittura e tantomeno di riprendere il progetto per i dipinti della ‘sala grande’. Vd. MANCINI Ed. 1956, p. 218: «Finita la gallaria, o perché non gli paresse essere stato sodisfatto secondo il merito, o per una certa altra disgratia o sopramano fattoli, o per altro, fu soprapreso da una estrema malinconia accompagnata da una fatuità di mente e di memoria che non parlava né si ricordava, con pericolo di morte subitanea. »; BAGLIONE Ed. 1975, p. 108: « Diedesi all’hora il Carracci in humore di non voler più dipingere, e per fuggire la sollecitudine, che faceva il Cardinale di finire certe staze nel palagio, si risolse di voler mutar fortuna, e per ischivare le brighe, andossene a Napoli, e diede egli in peggio.».

2 BELLORI Ed. 1976, p. 77.

3 La lettera è stata pubblicata in: TIETZE 1906, p. 54.

4 BELLORI Ed. 1976, p. 78: « […] e cadde in umore di non più dipingere, e volendo non poteva, necessitato lasciare i pennelli che quella malinconia gli toglieva di mano.» e MARTIN 1965, p. 6.

5 MALVASIA Ed. 1974, pp. 317- 321.

6 MORSELLI 1998, pp. 372- 378.

7 Odoardo inoltre aggiunge:« […] Quest’opera ha bisogno di essere aiutata dal libro dei disegni delle imprese che il Conte Cosimo Masi ha fatto venire di Fiandra per consegnarlo a vostra altezza secondo mi scrisse alli mesi passati, che glielo dimandai. Anzi senza questo aiuto non veda si possa far cosa buona, supplico per tanto vostra altezza che si è giunto il detto libro con le robbe del Conte Masi ch’erano restate a dietro, mi faccia grazia di accordarmene per il tempo che sarà bisogna, perché con esso farò che li pittori cominciaranno a metter mano all’opera. » . La lettera è pubblicata in TIETZE 1906, p. 54.

8 VITZTHUM 1963, pp. 445- 446.

9 MARTIN 1965, p.17.

10 vd. Nota 4.

11 BERNINI 1968, pp. 84- 92.

12 Ibidem, p.85.

13 VITZTHUM 1964, p. 45 ss. Al contrario del Bernini, Vitzthum mette in relazione il disegno del Prado con la Galleria e non con la ‘sala grande’.

14 Basti pensare alla lettera del Febbraio 1595 in cui Odoardo richiede al fratello Ranuccio l’invio dell’album di disegni inviatogli da Cosimo Masi per avere delle raffigurazioni veritiere e realistiche delle battaglie nelle Fiandre.

15 Ibidem, pp. 87- 90.

16 DE CASTRO 2013, pp. 76- 78.

17 Ibidem, p. 78:« […] la linea centrata su Annibale Carracci, suffragata dal disegno di Fragonard, giungendo, da parte del Bernini, alla ipotesi del dipinto dalla (chimerica) decorazione della ‘Sala grande’ in Palazzo Farnese a Roma, probabilmente mai intrapresa da Annibale. »

18 DE CASTRO 2013, p. 77:« L’ipotesi di riconoscere il nostro dipinto nell’ambito del ciclo farnesiano che arredava l’appartamento stuccato del Palazzo è riscontrabile sia nelle dimensioni dell’opera, rispondenti alla media dell’intero ciclo, sia nella particolare coincidenza del formato mistilineo con la cornice a stucco di uno dei soffitti tuttora esistenti. »

19 POSNER 1971.

20 Ibidem, p. 78:« For whatever reason, the Sala Grande was never painted, and Annibale certainly did no more than make a few sketches for it, and perhaps not even that. »

21 Ibidem, p. 165.

22 UGINET 1980.

23 ASNa, archivio farnesiano 2089, incartamento 14, fol. 6, pubblicata in UGINET 1980, p. 7.

24 Ibidem, p.7, nota 30:« Si l’on insiste sur ce fait apparemment bien connu c’est que la lettre citée ici est antérieur de près de deux ans à celle publiée par Tietze et où le cardinal dit avoir pris à son service Annibale Carracci pour réaliser ce projet. ».

25 Nella nota 30, Uginet aggiunge:« A cette lettre est jointe une liste non datée de dessins qui peuvent ètre mis en relation avec le projet. “Li dissegni che Pietro Bonvisio dice haver dati al signor Mario Farnese sono gli infrascritti: l’assedio et espugnazione di Mastrich, l’assedio di Anversa, quello di Tornai, quello d’Odonardo, quello di Grave, quello di Vanloò, quello di Nus. Quelli ch’el medesimo dice che sono appresso di lui sono: Donkerch, Neoport, Terremunda, Cottrai, Ippra, Gant, Odenard, Malines, Brusselles, Vilvord, Vactendun, Gheldria, Bornul, Orsoi…, Corbel, Codibecch, li conflitti di Giblu, Romanant, Rusendal, Anversa.” »

26 ZAPPERI 1987.

27 Ibidem, p. 65, nota 11.

28 Ibidem, p. 63.

29 L’opera in cui sono state pubblicate le epistole è COLONNA 2007.

30 A.S.P., Carteggio farnesiano interno: gennaio-marzo 1595, cassetta 189, pubblicato in Ibidem, p. 186. Nel testo si legge:« Ill.re mio amat.mo, Il S.re car: le mio fratello mi fa instantia che io le mandi il libro delle Imprese del s: r Duca nostro Padre di fe: me: che voi havete portato di Fiandra, volendo farle dipingere nella sala grande del Palazzo di Roma, però vi piacerà d’inviarmi esso libro, acio che io possa mandarlo a S.S. Ill.ma, che ne farà far la copia, et me lo rimanderà, et Dio vi guardi. »

31 Per notizie su Leone Lazzaro Haller: EGMOND 2010, p. 80; POGGIALI 1757-1766, p. 225 ss.

32 Per il testo dell’espistola, vd. COLONNA 2007, p. 191:«Molto Ill.re Sign.r mio oss.mo, mi spiace intendere con la di V.S. delli 4 di questo che il mal del occhio non haveva ancora dato molza, sperando pero che con la medicina pigliata doveva liberarsene affatto il che faccia il sig.re, e per conseguenza che V.S. possa sollicitare li suoi conti e prezzo delle possessioni poiché così presto havemo restituito a V.S., il patrone con il quale non ho havuto tempo di trattare del farmi dare alcuna delle imprese, che pur haveria voluto vedere quella di Dunecherche e Dendermonde per veder quale riesce meglio, e farla dipinger nel spazio di mancha, como faro potendola havere, ma io pensavo che li dissegni fussero di V.S. il che si fusse così li dovese pur rihavere, et potermene servire, e quando non sparagnerò questi soldi, falsando la causa perché faccio dipingere le imprese […] ».

33 Lo spunto più interessante è sicuramente quello fornito, nel 1994, da Roberto Zapperi. Vd. ZAPPERI 1994.

34 Vd. nota 25.

35 Vd. nota 7.

36 Con le due lettere del 8 e 22 Agosto 1595 scoperte e pubblicate da John Rupert Martin in MARTIN 1956, pp. 91-112, spedite entrambe da Odoardo a Fulvio Orsini a Roma, veniamo a conoscenza sia del fatto che il Cardinale si trovava a Parma sia della sua decisione di far affrescare il Camerino e non più la ‘sala grande’ (si parla infatti del programma iconografico e degli stucchi del Camerino, in vista della futura realizzazione da parte di Annibale). Vd. anche MOZZETTI 2002, pp. 809- 836.

37 All’indomani della morte di Alessandro, Filippo II di Spagna ed i suoi collaboratori iniziarono una campagna di diffamazione nei suoi confronti, mascherando, con false motivazioni, la vera ragione di essa: il timore del potere decisionale crescente dei Farnese, e quindi dell’ Italia.

38 ZAPPERI 1994, p. 102, nota 22.

39 Il documento è stato scoperto e pubblicato da Uginet in UGINET 1980, p. 90.

40 MALVASIA Ed. 1974, p. 321.

41 Una prima parte dell’inventario è stata pubblicata in RIEBESELL 1989. Per l’inventario completo vd. CHIARINI 2004, pp. 132-136.

42 Per un quadro completo sulla sorte della collezione Farnese alla morte di Odoardo vd. DENUNZIO 1997, pp. 83-111.

43 Archivio di Stato di Napoli, Archivio Farnesiano, fascio 1348 I, fascicoli non numerati.

44 Circa l’inventario del 1653, vd. BOURDON 1909.

45 Ibidem, pp. 147-148.

46 Per una biografia dei fratelli Remigius e Frans Hogenberg, vd. MIELKE 2009.

47 Tra i volumi contemporanei con una rassegna delle incisioni di Hogenberg contenute nel De Leone Belgico vi è un libro del 1977 dell’olandese Leon Voet, intitolato De 80-jarige oorlog in prenten (La guerra degli 80 anni in stampa) ed una monografia del 1986 curata dal Rijksmuseum, Ketters en papen onder Filips 2 (Eretici e papisti sotto Filippo II).

48 MIELKE 2009, p. 3.

49 Vd. nota 25.

50 Il libro, con copertina rigida, è catalogato presso il Rijksmuseum con il numero ‘FMH 413’. Per una carrellata di tutte le acqueforti, vd. http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.442226. Tutte le acqueforti in questione sono pubblicate in PLATES 2009, in un volume curato in collaborazione con il Rijksprentenkabinet, sotto il titolo “Broadsheets of political events”.

51 PLATES 2009, p. 143.

52 Ibidem, p. 163 e LATTUADA 2016, pp. 14-15.

53 PLATES 2009, p. 224.

54 Le due incisioni, conservate anch’esse presso il Rijkprentenkabinet, sono catalogate con ‘FMH 767’ e ‘Hollstein Dutch 18’. Delle incisioni si fa menzione in MEIJER 1988, pp. 176-177 e in LATTUADA 2016, p. 51 e p. 53. A p. 52, inoltre, Lattuada pubblica una terza incisione con un Alessandro Farnese appena quarantenne, realizzata però diversi anni dopo da Cristoffel II Van Sichem (1581-1658).

55 HALL 2003, p. 367.

56 Parte dell’iscrizione recita “Pictor Alexandro Magno dat fulmen Apelles, progeniem credi dum studet esse Iovis”.

57 BERTINI 1998, pp. 119- 120.

58 EMILIANI 1989.

59 Vd. nota 11.

60 Il disegno è inventariato con il numero 7314 ed è stato pubblicato in LOISEL 2004, pp. 236-238. Il disegno è menzionato anche in POSNER 1971, p. 165, nota 16.

61 BENATI 2000, pp. 19-23. Benati, tuttavia, in riferimento alla ‘sala grande’, non inserisce nel suo volume il disegno qui citato, ma solo gli Ignudi menzionati da Bernini nel suo articolo del 1968.

62 La studiosa in questione è Ángel Marìa Barcia ed il disegno, inventariato con il numero 7320, è menzionato in DIBUJOS 1984, p. 43.

63 Vd. nota 6.

64 Per la notizia che attesta la presenza di Ludovico a Parma nel 1593, vd. SUMMERSCALE 2000, p. 173, nota 212.

65 I disegni hanno i seguenti numeri di inventari: 6892, 11786, 11787 e sono menzionati in LOISEL 2004, p. 105.

66MORSELLI 1998, pp. 372-378.

67 La lettera è stata pubblicata in TIETZE 1609.

68 CESARINI 1593.

69 Realizzò anche le Storie di Ester, Episodi di storia romana, Storie di Giuditta, datato 1606. Per i libri di disegni di Giovanni Guerra, vd. PARMA ARMANI 1978 e PIERGUIDI 2008, pp. 91-100.

70 PARMA ARMANI 1982, pp. 85-104.

71 PARMA ARMANI 1978, p. 26.



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