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Gian Paolo Rabito. Forme del silenzio
 
Ettore Janulardo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 1 Marzo 2017, n. 833
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00833.html
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Loderò le tue vie piane,
grandi come fiumane,
che conducono all’infinito chi va solo col suo pensiero ardente,
e quel lor silenzio ove stanno in ascolto tutte le porte.
D’Annunzio, Le città del silenzio, da Elettra, Laudi [1]

Dedicata a centri piccoli o remoti, la silloge dannunziana sulle città del silenzio è il portato di una tradizione che ha celebrato, dall’antichità, la raccolta quiete del piccolo locus conclusus salvato dalla storia. Pochi anni dopo la pubblicazione di Elettra, il Futurismo rovescia radicalmente questo stilema creando la visione pittorica e letteraria del grande spazio cittadino: dinamica e affollata, la città diviene allora l’emblema di una mitologia dell’avvenire suscitatrice di una prospettiva potenzialmente rivoluzionaria, in chiave estetica e sociale.

In una sorta di fusione tra la percezione di quiete dei piccoli abitati e il gigantismo metropolitano, nelle rappresentazioni urbane di Gian Paolo Rabito silenzi punteggiano i grandi spazi di Roma, resa ancora più ampia e sospesa dalla scelta di privarla di ogni figura animata; svuotata inoltre di ogni mezzo di trasporto, la sua immagine si libera di qualsiasi lamentazione su ingorghi della circolazione, mettendo in mostra arterie stradali vuote, sotto cieli nebulosi. «Scenografie senza presenza umana» (fig. 1), le definisce Rabito [2],  studiate, selezionate e oggetto di un processo di lavorazione a più livelli: sopralluogo-reperimento dell’area urbana da raffigurare; costruzione di un’inquadratura fotografica; sintetici schizzi ideativi (fig. 2); rielaborazione informatica dell’immagine, dalla quale sono «implacabilmente» espunti i soggetti animati; definizione di moduli – ponti, barconi, argini, arcate – che strutturano le scene insieme o separatamente; realizzazione dell’opera pittorica.

Segni dell’assenza, elementi costruiti e tracciati viari alludono a qualcuno/qualcosa di non visibile, come se un universo pittorico fatto di rifrazioni d’acqua e nuvole fosse contemplato da un artista memore delle nordiche vedute cittadine del Bellotto, delle sospensioni post-industriali e delle inquadrature neo-pop ma essenziali del Wenders fotografo di “Urban Solitude”. In visioni panoramiche che allineano ordinatamente, e senza distorsione grandangolare, lampioni e alberi come unici personaggi, la prospettiva – si pensi al Focillon della Vie des formes – apre lo spazio della scena creando un falso infinito.

Negli oli su tavola, liquide rifrazioni sul tracciato fluviale, potenziale limes nella forma urbana, s’insinuano sotto ponti di pietra o in ferro (fig. 3): «Roma ha un rapporto specifico con il suo fiume: viene nascosto a un livello sottostante e quindi è interessante vedere come sono vissuti i ponti. In particolare, ho voluto raccontare il Ponte di ferro». Tributaria di suggestioni da architettura/archeologia industriale, l’immagine del ponte si riconnette a una molteplicità di suggestioni, riflessioni e realizzazioni.

E si colgono alcuni aspetti del confronto con un mito urbano: nell’allusa e dipinta forma urbis leggiamo il ricordo dell’ampio dispiegarsi di strutture complesse, evidenziate nella storia plurimillenaria di Roma dalle acque, dalle mura, dai ponti (figg. 4, 5). Più che con la metafisica dechirichiana e «la tragedia della serenità» [3] altrove ricordata [4],  gli scenari cittadini rappresentati da Rabito appaiono allora in connessione con l’esperienza dei Valori Plastici e della Nuova oggettività (fig. 6), aprendosi talvolta a suggestioni neo-pop e ad aspirazioni iperrealiste.

Nato e formatosi in quella «città nella città» che è l’EUR, dove individua una «visibilità aperta che crea rilassamento» (fig. 7) – all’insegna di una monumentalità temperata dal chiarore mediterraneo e dalla definizione di scenari come architetture dell’inconscio –, Rabito pare allora compiere un’operazione di metamorfosi concettual-spaziale con la quale libera aree affollate e centrali della capitale attraverso visioni che le assimilano ai viali e agli spiazzi di quella nuova Roma chiamata a riconnettersi con altre acque, con il Mediterraneo.




NOTE

[1] Gabriele D’Annunzio, Le città del silenzio, 1903, da Elettra, Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, ediz. elettronica http://www.e-text.it.

[2] Le dichiarazioni dell’artista sono desunte da alcune conversazioni insieme, segnatamente nell’ottobre del 2015 e nel febbraio del 2016.

[3] Giorgio de Chirico, Sull’arte metafisica, in “Valori Plastici”, I, 4-5, aprile-maggio 1919.

[4] Ettore Janulardo, Immagini di giardini e scenari urbani del Novecento, in “BTA - Bollettino Telematico dell’Arte”, 5 Gennaio 2015, n. 748.



BIBLIOGRAFIA



CALO’ 2011

Giorgia Calò, Città silente, in Gian Paolo Rabito, Galleria Il Sole, Roma, 2011.
 

CANOVA 2007

Lorenzo Canova, Il senso quotidiano dello sguardo, Galleria Il Sole, Roma, 2007.

 
COLONNELLI 2007

Lauretta Colonnelli, Sogni urbani, Galleria Il Sole, Roma, 2007.


D’ANNUNZIO 1903


Gabriele D’Annunzio, Le città del silenzio, Milano, 1903, ediz. elettronica http://www.e-text.it.


DE CHIRICO 1919

Giorgio de Chirico, Sull’arte metafisica, Roma, 1919.


FOCILLON 1934


Henri Focillon, Vie des formes, Paris, 1934.


JANULARDO 2015


Ettore Janulardo, Immagini di giardini e scenari urbani del Novecento, Roma, 2015.


MARTUSCIELLO 2009


Barbara Martusciello, La pittura, l’immagine, Roma, Fuori e Dentro, in Roma Fuori Dentro, Galleria Il Sole, Roma, 2009.

 

PDF

Fig. 1
Gian Paolo Rabito,
Vista 01, 2010,

olio su tavola,
60x120 cm.

Fig. 2
Gian Paolo Rabito,
Schizzo, 2010,
matita su carta,
21x29,7 cm.

Fig. 3
Gian Paolo Rabito,
Schizzo, 2010,
matita su carta,
21x29,7 cm.

Fig. 4
Gian Paolo Rabito,
Ponte Margherita, 2009,
olio su tavola,
40x80 cm.

Fig. 5
Gian Paolo Rabito, Fiume 10, 2010,
olio su tavola,
30x87 cm.

Fig. 6
Gian Paolo Rabito, Gazometro, 2008,
olio su tavola,
60x130 cm.

Fig. 7
Gian Paolo Rabito, EUR, 2007,
olio su tavola,
40x80 cm.


Foto 1-7 cortesia di Gian Paolo Rabito.

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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