Giandomenico Tiepolo, figlio ed erede del celebre
artista che fu Giambattista Tiepolo, nacque a Venezia nel 1727. Come il padre
prima di lui, fu interprete della sua epoca, partecipò alla rappresentazione
della storia che andava scrivendosi in quegli anni tormentati, sfociati infine nella caduta della Serenissima.
Cronista e opinionista della propria società, Domenico
amò il proprio mondo, lo amò tanto profondamente che ne fece soggetto
prediletto della propria arte. Lontano dagli aulicismi del padre, schivo nei
confronti della vita accademica e di corte, il giovane Tiepolo vi si dedicò
completamente durante tutto il corso della propria vita.
Il suo lascito restituisce con mirabile puntualità i
vezzi, i capricci, i sollazzi della nobiltà che continuava imperterrita a
danzare tra le stanze delle grandi e lussuose abitazioni aristocratiche,
fingendo di non avvertire quell’atmosfera che dimorava nella città lagunare, il
decadentismo imperante che aleggiava tra le calli e i canali veneziani.
Domenico Tiepolo ne rimase colpito, affascinato, e se in un primo momento la
propria ricerca si concentrò sullo studio degli usi e dei costumi della propria
città nei suoi diversi strati sociali, ben presto quello studio si tramutò in
acuta osservazione e in veritiera analisi critica della situazione storica;
abilissimo ritrattista del proprio tempo, del proprio mondo, osservatore
dall’occhio acuto, si rivelò per nulla
indulgente, ma sempre ricolmo d’amore nei confronti della Repubblica che,
cadendo a pezzi, si disgregava nella sua integrità e potenza.
Crebbe ed operò in un momento di acuta criticità:
l’invasione francese aveva infervorato i cuori del mito di Napoleone, la
delusione scatenatasi all’indomani del suo tradimento evidenziò ancor più la
drammaticità; di un’epoca testimone dell’insanabile declino della Serenissima.
In un frangente tanto doloroso, preso dalla nostalgia
del passato ma anche lucidamente conscio del presente, l’artista si rivolse a
Pulcinella, alla maschera che diverrà; per Domenico fedele compagna di vita,
l’alter-ego non solo di sé stesso quanto della dimensione sociale e storica di
cui fu attore e spettatore, maschera che sin dall’infanzia aveva conosciuto nelle
caricature, nei disegni e nelle incisioni paterne.
Divenuto il tramite per esprimere se stesso,
Pulcinella sostituisce la stessa aristocrazia che un tempo, nel primo periodo
della sua gioventù l’artista aveva simpaticamente rappresentata tra le stanze
della Villa Valmarana di Vicenza, quando aveva portato in quegli ambienti quel
gusto per la pittura di genere e per le curiosità; del quotidiano che sempre
contraddistinsero la sua poetica.
Sono questi gli stessi anni nei quali il teatro
riformato del Goldoni incontrò il suo più alto e importante successo, acclamato
da una società; che si rivelò a Domenico come un irrimediabilmente elegante ma tragicamente vuoto involucro, che conduce la propria esistenza senza viverla realmente,
dondolandosi tra una meravigliosa nulla-facenza e la piacevole speculazione del
frivolo.
È una vita nella quale «non ci può essere dramma, né apologia, perché non c’è nulla di
definitivo in cui credere, se non nella vita stessa che trascorre inventandosi
istante per istante»
che altro non rappresenta se non la condizione esistenziale di Pulcinella,
personaggio che giorno per giorno diventa altro rimanendo se stesso, che non
conosce dramma e non conosce credenza se non quella delle sue necessità;
basilari, dello gnocco e della bevuta.
Così questa maschera diventa compagna di avventure
dell’artista e l’artista diventa forse la maschera stessa.
La commistione tra le influenze paterne di
Giambattista e lo spirito illuministico respirato da Domenico, conducono alla
creazione di un linguaggio diretto e conversevole alieno da ogni impennata
metafisica e che anzi lascia ampio spazio all’osservazione del dato empirico in
sé.
Formatosi nell’illusione dello splendore, invecchiato
nella decadenza della propria patria e del suo mondo, la sua opera diventa
testamento e al contempo presa di coscienza di ciò che avviene attorno a lui:
«Fedele allo
spirito ludico dell’epoca in cui era avvenuta la sua formazione, Giandomenico
coglieva la realtà; storica circostante in chiave di sottile e talvolta acre
divertimento, facendosi in certo modo complice di quel mondo crepuscolare. E
anche quando gli eventi, allo scadere del secolo, forzeranno drammaticamente,
egli continuerà; a frapporre fra il suo sguardo e la realtà; lo schermo di una
maschera, a vedere dei pulcinella là; dove si agitavano degli uomini, come
un’estrema forma di esorcismo, quasi a dissolvere la storia nella finzione
carnevalesca: sopravvive a tutto lo spirito della Commedia dell’Arte, la quale,
se rivela l’uomo nella crudezza dei suoi appetiti elementari, gli fa anche
dimenticare un istante la sua miseria con i lazzi e le contorsioni
funambolesche».
Se si volesse individuare una cronologia dello
sviluppo della tematica di Pulcinella nell’opera di Giandomenico Tiepolo si
potrebbero evidenziare quattro momenti differenti.
Tra il 1752 e il 1755 con il Minuetto di New York e due tele del Louvre si situa il primo
momento di contatto con la maschera che è per lo più ritratta in quanto parte
della folla delle piazze veneziane; attorno al 1765 poi i due Trionfo di Pulcinella, di cui uno conservato
a Copenaghen e uno in collezione privata a Roma, nei quali il Cetrulo
acquisisce il ruolo di primo attore, in una rappresentazione in cui è fulcro
della scena, portato in trionfo dai suoi simili mentre, con orgoglio, mostra il
proprio stemma, suo e della sua gente, lo gnocco nel forchettone.
Dopo questi due momenti segue un lungo periodo di
silenzio che verrà; rotto direttamente nel 1791, data di termine del Mondo Nuovo, l’affresco che Domenico
realizzò nella sua residenza privata, la casa lasciatagli dal padre presso
Zianigo di Mirano.
Da questo momento in poi Pulcinella e il vecchio
Giandomenico condurranno due esistenze parallele per i successivi tredici anni,
fino al 1804, quando, conclusa anche l’ultima fatica del Divertimento dedicato ai regazzi,
Giandomenico Tiepolo muore.
È sorprendente però nelle scene di Domenico, la
leggerezza e la spontaneità; con cui vengono mostrate assieme l’anima
aristocratica di Venezia, rappresentata dai lazzi, dalle vesti, dai balli e
dalle figure impomatate e ben curate, al fianco della più viva e iconica anima
popolare interpretata mirabilmente dalle apparizioni di Pulcinella. Attori non
perfettamente definiti calcano lo spazio dei dipinti del
Tiepolo, tra cui ricorrenti tipi fissi, personaggi che più e più volte
torneranno delle visioni dell’artista tra cui l’orientale, mago o filosofo che
definir si voglia, la vecchia e l’uomo di profilo con il caratteristico
copricapo ottocentesco.
Giandomenico volge il suo sguardo allo spettacolo che,
affacciato alla finestra del mondo, ha l’opportunità; di scrutare, ammaliato,
stregato ed allo stesso tempo amaramente capace di scoprire, tra le maschere e
le piroette di una folla in festa, la triste storia di cui è partecipe.
Nel 1757 Giambattista Tiepolo aveva acquistato una
villa nei pressi di Zianigo di Mirano, zona limitrofa alla città; di Venezia, il
cui corpo di fabbrica risaliva al 1668.
La decorazione ad affresco, oggi conservata al Museo
di Ca’ Rezzonico a Venezia, si configura come l’espressione più intima di un
uomo che, ormai maturo, riconsidera la propria vita, sempre ben consapevole e
mai miope dinnanzi alla realtà;. Percependo l’anima di decadenza e annusando il sospetto di miseria dentro la festa, le trasferisce su tela
cogliendo tutte le differenti sfumature con un’ironia
discreta, uno sguardo acuto e malinconico che esprime in modo asciutto e
assolutamente spoglio di patetismi forzati.
Nel portego
della villa aveva rielaborato il Mondo
Nuovo (Fig. 1), già; presente nella Villa Valmarana (Fig. 2). Ecco che per la prima volta il teatro viene osservato al rovescio, dalle quinte
anziché dalla platea, e non solo non è più la maschera ad essere sul palco: apertosi il sipario
sono i soliti spettatori a dover calcare le scene a loro insaputa, oggetti di
indagine e sottile, malinconica ed in parte bonaria ironia.
Giandomenico è fuori e dentro la società; al contempo egli è lo sguardo lucido che contempla
ironicamente l’immagine di sé.
Il portego dava accesso ad un piccolo ambiente,
probabilmente lo studio dell’artista, oggi ricostruito nel museo veneziano.
Affrescata tra il 1793 ed il 1797, la Stanza
dei Pulcinella rappresenta forse il nucleo più importante dell’intero ciclo
della villa di Zianigo
(Fig. 3-4-5). Si assiste ora al completo abbandono della forma umana, perché
l’uomo si è tramutato in Pulcinella, unico possibile abitante del mondo di
Domenico.
Saltimbanchi, innamorati, cavalieri ed asini, cani
ballerini,
Pulcinella che passeggiano sotto l’ombrello, si riposano, partono, danzano o si
intrattengono con giovani nobili; questi i temi ripresi dalle precedenti
esperienze di cronista mondano; è questa operazione
giornalistica, così definita dal Mariuz, che trova qui la sua risoluzione,
con l’abbandono della vita e del mondo passato che si rigenera tra le avventure
e gli episodi di un’altra vita, quella di una maschera, di una maschera che non
ha definizione, che non ha storia precisa e che diventa, ora, nel momento
precedente la catastrofe, l’unica possibilità; di espressione ancora possibile.
Tiepolo porta in scena lo spettacolo del movimento,
degli atteggiamenti, delle movenze e dei colori, non calca la mano su alcun
tipo di emozione forzata, atto patetico o tentativo di introspezione
psicologica. Tutto quello che arriva dalle sue figure è un senso di profondo
straniamento, di lieve e quasi impalpabile disagio che colpisce però gli occhi
di chi sa osservare.
Le figure grottesche sebbene allungate e proporzionate
ammaliano lo spettatore che si ritrova innanzi il volto di una nuova umanità;,
un’umanità; ferina, scombinata, gozzovigliante rimasta però come unica
alternativa.
Nel 1783 Domenico fu nominato presidente
dell’Accademia veneziana, dove già; rivestiva il ruolo di maestro dal 1772. Solo cinque anni più tardi, il 12 ottobre del
1788, scriveva una lettera al cancelliere dell’Accademia, Vincenzo Nodari,
ringraziandolo della nomina a maestro, ma rifiutando per motivi familiari.
È questo un momento nella carriera ma soprattutto
nella vita di Domenico decisivo in cui si compie il definitivo distacco da quel
mondo accademico a cui mai aveva sentito di appartenere, contrariamente
attratto lui dal vociare delle strade, dalle gondole, dalle maschere, dalla
vita che si consumava tra le calli di una città; che ballava e festeggiava,
aspettando incurante il suo sempre più prossimo declino. Una Venezia sull’orlo
di una crisi, forse non avvertita dalla popolazione ma ben chiara agli occhi
della classe dirigente tanto che nel 1780 così si esprimeva il Doge Paolo
Ranier: «No gavemo forze, non terrestri,
non marittime, non alleanze, vivemo a sorte e per accidente e vivemo colla sola
idea della prudenza del Governo della Repubblica».
Nel 1796 Napoleone entrava in Italia. Dopo aver
occupato Milano estendeva le operazioni di conquista al Veneto ed il 18 aprile
si concludevano i preliminari di pace con l’Austria che, rinunciando a Belgio e
Lombardia, annetteva i territori di Istria, Dalmazia e parte del Veneto.
Il 1797 ebbe come evento principe la firma del
Trattato di Campoformio siglato tra Francia e Austria, Napoleone dichiarava con
questo atto la fine della millenaria Repubblica di Venezia cedendone il
territorio all’Austria e dando così vita alla Repubblica Cisalpina, nuovo stato
satellite francese.
Era il tramonto di un’era. Il sentimento di malessere
e turbamento che scuoteva gli animi dei più era lo stesso tormento espresso dal
Foscolo nelle toccanti e laceranti parole della prima lettere di Jacopo Ortis,
datata 11 ottobre 1797.
Le confische alla nobiltà; veneziana non tardarono, e
tra queste, la villa dei Tiepolo non venne certo risparmiata. Alla fine della
sua permanenza nel luogo che tanto aveva amato e sui cui muri aveva raccontato
se stesso attraverso le figure dei Pulcinella saltimbanchi, dispettosi
condottieri e bricconi, Giandomenico decide di chiudere con una storia d’amore, con Pulcinella innamorato (Fig. 5): «Giandomenico scopre in Pulcinella l’immagine che fonde in sé l’elemento
realistico-popolare con l’artificio fiabesco teatrale e anche incarna quello
spirito di parodia cui il pittore era incline. Il personaggio si direbbe
scaturisca dal vuoto dello scetticismo: egli mima le vicende degli eroi e degli
uomini e ne disintegra il valore e il significato nella sua smorfia, ma anche
argina, convogliandole nella sua funambolesca vitalità;, le forze oscure e
dirompenti che il secolo andava liberando. […] Una maschera si rivela più vera,
più autenticamente umana di tutta una società; che regola il suo comportamento
sull’orologio della moda».
Ora, al crepuscolo della propria vita, non vi è più
società; di cui parlare, il degrado e la mancanza di voglia nel prendere atto
delle situazioni storiche rivelano Venezia come città; senza futuro che si
ostina a riecheggiare, sotto mentite spoglie, la grandezza e la gloria di un
passato che non può tornare e che è talmente tanto distante da essere ormai
niente più che fantastica leggenda.
Giandomenico ha settant’anni, e con estrema lucidità;
inizia l’ultimo lavoro che si concluderà; con lui al termine stesso della sua
vita. Come sottolinea correttamente Giorgio Agamben, il fatto che Tiepolo
intraprenda la realizzazione del Divertimento
per li regazzi all’indomani del crollo della Repubblica non deve
sorprendere in quanto la sfera del comico è da sempre stata strettamente legata
alla storia e ai fatti susseguitisi nel corso del tempo.
In questo senso Domenico si avvicina ancora di più
alla sua attualità; attraverso il filtro di Pulcinella, di un personaggio
comico: non bisogna dimenticare che Aristofane produsse le sue commedie in un
momento critico nella storia di Atene: «proprio
perché porta in sé qualcosa di metastorico, la commedia ha intimamente a che
fare con la storia, ne implica in sé la crisi – il giudizio – in ogni senso
decisiva». Guardare
con occhio critico trasponendo l’osservazione attraverso la sfera del comico
significa attuare una ricapitolazione della dimensione in esame.
I centoquattro disegni di quella che costituisce la
più lunga e varia biografia di Pulcinella trovarono origine proprio nel
fatidico anno del 1797.
Il Divertimeto
per li regazzi rappresenta
così la conclusione di quel percorso di analisi e riflessione che era stato
condotto dalla fervida e poliedrica mente di Giandomenico durate il corso della
sua intera attività;.
La modernità; dell’operato dell’autore rimanda con
stupefacente coincidenza alle esperienze più contemporanee del Novecento,
dimostrando la progressista genialità; e l’assoluta originalità; di un artista
che per troppo tempo non ha trovato un adeguato risalto nella storia dell’arte.
L’incredibile varietà; di temi e scene, alcune desunte da una stabile tradizione
iconografica consolidatasi nel tempo, altre nate dal genio e dalla fantasia
dell’artista riprendendo in alcuni casi prototipi paterni, fu portata a
compimento durante un arco di sette anni, fino al 1804, anno della morte del
loro creatore.
Sfogliando le carte di questa rassegna antologica
delle molteplici vite della maschera siamo
«totalmente scesi dal piano del divino, del padre, a quello, dell’umano, del
figlio. Si parla di uomini, non ha più importanza se il regime napoleonico
vieta la Commedia dell’Arte, se la Serenissima affonda: ora si parla di uomini,
dei Pulcinella che vivono la vita di tutti. Pulcinella continua il suo gioco
senza fine. Fa tutto ciò che in quel momento i Veneziani vorrebbero fare e non
possono».
Fu questo il grande merito e la straordinaria
innovazione del Tiepolo, rendere una figura fantastica umana, calandola in una
dimensione completamente nuova per la maschera, mai esperenziata neanche nella
più intimistica e sentimentale esperienza ghezziana.
Inoltre: «il
Divertimento per li regazzi non è la storia di un Pulcinella ma di un
collettivo che vive tutti gli aspetti della vita normale dell’uomo in generale
e tutti gli aspetti della favola e dell’avventura. Man mano che si procede, che
si passa ad un altro foglio, ci si rende conto che le scene sono scandite dalle
ore, dal passare del tempo e, a volte, dei minuti».
I disegni hanno lasciato perplessa la critica che ha
cercato per lungo tempo di comprendere il corretto ordinamento di successione
degli episodi. Le carte, sebbene in parte numerate, mancano di un senso
logico di svolgimento, tanto da indurre Byam Shaw (1962) a supporre una
suddivisione in cinque ambiti tematici: l’Infanzia,
i divertimenti giovanili, attività;
varie e occupazioni, le avventure in
paesi stranieri e vita sociale ed infine malattia e morte.
Adelheid
Gealt nel 1986,
riordinava le scene numerate per consequenzialità; logica, giungendo alla
conclusione che la ragione della difficoltà; nella numerazione presente al
margine derivasse dalla probabilità; che alcune fossero in sequenza, mentre
altre fossero state pensate e create in modo autonomo e in periodi di tempo
diversi. In effetti il
mastodontico lavoro del Tiepolo pare nascere proprio da un moto di necessità;
espressiva dell’artista piuttosto che da un programma iconografico precisamente
definito in precedenza; in tal caso non risulterebbe affatto curioso una
sovrapposizione di scene o una ripresa di motivi in tempi diversi non
rispettando l’iniziale ordine di creazione.
Il Frontespizio (Fig.
6), che più che un inizio sembra essere un epilogo, mostra il Pulcinella in piedi, che apre il volume della propria vita, cui è
pronto ad assistere evidentemente
ripreso dai Pulcinella che gozzovigliano di Zianigo; da qui in poi ecco
susseguirsi i più diversi e curiosi scenari.
Perfette combinazioni di spontaneità; e animazione
vengono proposte al pubblico come pillole di vita; dalla nascita di Pulcinella
dall’uovo di struzzo, alle sue prime avventure di bambino, impegnato nel
cercare di muovere i primi passi sotto lo sguardo attento e orgoglioso della
sua famiglia e poi ancora all’opera con i primi giochi. Cresciuto, eccolo
adesso protagonista di scene di corteggiamento e innamoramento, feste, bevute e
mangiate. L’amore convolato a nozze porterà; un figlio, un Pulcinella di seconda
generazione, non più nato dall’uovo, ma con due genitori umani.
Si succedono scene di giochi, raduni, feste,
cavalcate sugli asini nella fattoria, intrattenimenti borghesi come il volano e
la partita a bocce; «è da notare che tale
passatempo, non rientra nei divertimenti tradizionali della maschera, che ama
mangiare, bere, dormire, imbrogliare e correre dietro alle belle donne; le
bocce sono una distrazione propria di una classe sociale, del ceto
medio-piccolo della società; veneziana. Il Pulcinella di Domenico mantiene
sempre una sua distanza: non rientra mai nel mondo dei miseri, degli sciagurati
dalla vita, dei nullatenenti vittime della propria situazione […]».
Lo ritroviamo, curioso come un bambino, nei tendoni
del circo dove, stupito e attonito, si meraviglia davanti agli animali esotici,
poi di nuovo nei guai, cercando di afferrare degli struzzi in una villa ed infine arrestato (episodio comune tanto nei canovacci della Commedia quanto nei
casotti dei burattini e nella cronaca del periodo di carnevale).
Si ripropongono alcune soluzioni già; care all'artista, come il Trionfo di Pulcinella, sviluppano sin dagli anni sessanta;
sotto l’attento sguardo dell’orientaleggiante filosofo, domina la scena, al fianco della sventolante bandiera
del popolo italiano, il vittorioso stendardo del popolo di Pulcinella: lo gnocco
portato in trionfo dal forchettone. Altro riferimento si evidenzia nello studio degli animali, dell’elefante, ripreso da
alcune stampe di Stefano della Bella e alcune di Wenceslaus Hollan come avviene
anche nel caso dei sopracitati struzzi che compaiono già; nell’affresco
sull’Africa a Wüzburg. Domenico mostra la fustigazione di Pulcinella sul
didietro (Fig. 7), scena violenta ed ilare al tempo stesso quasi a ironizzare
sulla sua birichineria tipica dei discoli pigri e nullafacenti, fatto confermato dal Longhi che raccontava
come questa punizione fosse abitualmente utilizzata per ladruncoli o studenti poco seri. Ad osservare la
punizione del briccone le costanti sagome dell’orientale e dell’uomo di profilo, figura ripresa
da una caricatura di Giambattista, variata dal figlio già; a Zianigo nel
personaggio che, tra la folla del Mondo Nuovo,
il Pignatti identificò con Giandomenico.
Non mancano rimandi alla storia, al costume e talvolta
anche alla politica del tempo con una grazia e una sofisticatezza asciutta che
è di Tiepolo un marchio di fabbrica.
Nel foglio con Alcuni
Pulcinelli in una Malvasia, oggi a New York in collezione privata, i
Pulcinella stanno convivialmente bevendo all’interno di una tipica osteria
veneziana, una ‘furatola’, danzando e divertendosi a non finire nonostante i
rimproveri dell’oste. Il precedente di questo disegno è da ricercare in alcuni
fogli che vennero ordinati da Byam Shaw che optò per una suddivisione in argomenti:
la vita dei contadini in terraferma, la
vita dell’aristocrazia a Venezia, la vita del Popolo. I Pulcinella,
chiaramente ripresi dalla sezione riguardante il popolo, nascondono però tra i
propri cappelli cilindrici e i bicchieri alzati, un dettaglio particolare; sul
fondo della bettola è infatti ben riconoscibile il leone alato, celebre simbolo
della Serenissima. Sopra di esso Domenico disegna una ben leggibile W; come già;
ricordato il 1797 segna la nascita della Repubblica Cisalpina, il riferimento è
evidentemente politico, «Domenico
riabilitando così il simbolo della mitica Venezia calpestato poco tempo prima,
incurante dell’invasione francese, leva il calice alla Serenissima. Non importa
se sia stata soppiantata dal governo provvisorio».
Si assistette in questi anni infuocati, carichi di
tensioni, rivolte, e clamori pubblici ad un incremento sorprendente nella
produzione del genere caricaturale e Venezia si rivelò uno dei centri di
maggior produzione di stampe: la vena popolare, la Commedia dell’Arte, le
maschere, il Carnevale, divennero strumenti prediletti poiché intrinsecamente
portatori di un animo beffardo.
Il foglio numero quaranta (Fig. 8), mostra un rumoroso
e concitato gruppo di pulcinelli all’opera nel cercare di estirpare un albero.
Il tumultuoso scorrere degli eventi aveva, come sempre avviene in tempo di
crisi, diviso gli animi, Napoleone era entrato in Veneto come un liberatore
portando con sé l’aria della rivoluzione francese e quei sogni di libertà;,
uguaglianze e fraternità; che sono aspirazione di ogni popolo. Acclamato dai
più, i simboli del vecchio potere erano stati estirpati, “l’Adriatico leone è morto […] brutta bestia!”, si erano distrutte e
calpestate le effigi della Repubblica.
La stessa
produzione caricaturale «ritrova attraverso i personaggi
della commedia dell’arte una vena popolare […] rielabora i temi della
mascherata del carnevale o del mondo alla rovescia, del rogo delle vanità;
aristocratiche […] sul piano del simbolismo il funerale è la metafora che si
applica con un particolare compiacimento al vecchio leone di San Marco».
L’albero era stato designato quale simbolo della
libertà; democratica, ogni città; ne aveva uno, a Venezia venne piantato il 4
giugno 1797. Quando nel 1799 Bonaparte cedette il Veneto all’Impero Austro-Ungarico
il senso di tradimento fu tanto forte
da sconvolgere la popolazione e farla infuriare. I temi controrivoluzionari non
mancarono di essere espressi attraverso la caricatura, valga l’esempio del Il faut danser (Fig. 9) conservato al Museo del Risorgimento a
Solferino: «una bella sanguigna sul tema
dell’albero della libertà; evoca attraverso le smorfie e gli atteggiamenti
affettati degli Arlecchini, in un girotondo beffardo le illusioni perdute,
commemorate da una didascalia significativamente in francese, grottesca
costrizione ‘Il faut danser’».
La rabbia popolare che esplose raggiunse anche i Pulcinella che, attraverso la
mano del loro autore vivono le sventure di quei giorni, reagiscono con lo
stesso impeto degli italiani, estirpando quell’albero che avrebbe dovuto
significare libertà;.
Le ultime tavole che saranno prese in esame sono
quelle relative alla morte di Pulcinella.
Dopo essere stato processato, secondo una consuetudine
propria della tradizione carnevalesca napoletana, Pulcinella è ora pronto per
l’esecuzione. Nota caratteristica di Giandomenico è il non lasciare mai una
singola ed evidente lettura delle sue opere. La vita di Pulcinella è talmente
vasta e complessa che gli episodi si ripetono e si intrecciano, affastellandosi
a volte tra di loro, permettendo una lettura sempre personale e diversa che
varia da lettore a lettore perché è proprio il fruitore che ha la libertà; non
solo di interpretazione ma di decisione sul percorso da intraprendere. Il plotone d’esecuzione (Fig. 10) si
ambienta davanti al muro della fortezza che, forse per uno strano caso del
destino, è lo stesso di un altro foglio, quello della partita a bocce, quando
Pulcinella spensierato e in compagnia si divertiva non interrogandosi sul suo
futuro. I protagonisti sono sempre i soliti, l’orientale, la ragazza, il cane,
la potenza drammatica è incredibile. La morte di Pulcinella per mano di suoi
simili, la tragicità; è la stessa delle esecuzioni che realmente avvengono tra
le calli e le vie delle città;. La morte per mano di un compagno, di un essere
appartenente allo stesso mondo, con la stessa disperazione, le stesse emozioni
e le stesse paure che provava il condannato; saranno sempre dei pulcinelli
poi a seppellirlo (Fig. 11). Si ha la percezione di essere giunti amaramente al
congedo del racconto, all’amara conclusione preannunciata dalla sospesa ed
ambigua atmosfera del Frontespizio dove Pulcinella, stringendo la propria
bambola e dando le spalle allo spettatore, osservava pensieroso e assorto il
proprio sarcofago.
Ma il rapporto di Pulcinella con la morte non è così
scontato, l’ultima carta è infatti, assieme alla prima, la più enigmatica e
genialmente dissacrante.
L’apparizione
alla tomba di Pulcinella è la manifestazione della resurrezione sotto forma di scheletro di una
maschera al di là; ed al di qua della morte: è la risposta di Domenico al bando
della Commedia dell’Arte da Venezia allo scadere del XVIII secolo, Pulcinella
non può morire, Pulcinella è immortale; con quest’ultimo foglio «all’atmosfera di isolamento e tranquillità;
dell’introduzione che sembrava una fine, è subentrato un affollamento frenetico
che pare un inizio».
Giandomenico
Tiepolo dedica questo
mastodontico lavoro, questo suo meraviglioso, commuovente, delicato e
multiforme testamento ai regazzi; il suo è un invito a non sacrificare mai la
libertà; di espressione, schierandosi platealmente dalla parte del volgo contro
le istituzioni ed il mondo accademico, in una sottintesa confessione di
isolamento; «egli affida il suo messaggio esterno, che è
lo stesso della civiltà; veneziana del Settecento alla sua fine, all’insolubile
enigma della maschera»,
di Pulcinella che significa la relatività; di ogni valore, come poliedrico
saltimbanco capace di calarsi nelle più svariate vesti rimanendo sempre nella
sostanza se stesso, con quell’irriducibile
quintessenza di energia che gli permette di rinascere sempre dalle proprie
ceneri.
Pulcinella è oltre la morte stessa, non è una larva
che infesta il mondo dei vivi, è piuttosto il kolossos,
in un certo senso una truffa, un non-morto posto là; dove dovrebbe essere il
morto vero e proprio e dunque beffa la morte: davanti alla tomba dove è o
dovrebbe essere sepolto, nuovamente si dimostra sorprendendo il suo pubblico
con un ultimo coup de théâtre.
Con Giandomenico Tiepolo Pulcinella diventa, per
la prima volta, contrappunto dell’attore, dello spettatore, del popolo e della
società; in senso propriamente moderno, uno e multiforme entra a far parte della
storia come punto di riferimento soprattutto nei momenti di criticità;. Il
personaggio comico che Pulcinella è, diventa strettamente ed indissolubilmente
un tutt’uno con la platea che lo plaude e lo sfrutta al contempo in quanto
figura sostitutiva a sé, figura che diventa consigliera nel migliore dei casi e
capro espiatorio nel peggiore, per giungere ad essere in grado di affrontare
una realtà; che altrimenti sarebbe difficilmente avvicinabile ed accettabile.
Quasi un secolo più tardi, sul
finire dell'Ottocento, nascono i primi saggi incentrati su attente e valide
analisi della maschera napoletana, l’esperienza del teatro di Pulcinella è
ormai largamente conclusa e, nonostante i nuovi studi, molti suoi caratteri
cominciano a rimanere sconosciuti o incomprensibili se non addirittura
fraintesi.
Distaccandosi dall’ottica
dell’esperienza romantica si arriva a comprendere quanto la caratteristica
della maschera non sia il mistero quanto piuttosto la riconoscibilità;. Essendo
un complesso intreccio di simboli, segni, e sintomi, creatosi in tempi
successivi mediante l’addizione delle diverse esperienze e conoscenze dell’uomo
tra Cinquecento e Settecento (quali la caratteriologia medica, la fisiognomica,
la psicologia), la maschera in quanto tale è il puro e incontrastato prodotto
delle società; e del tempo e trova sviluppo in una dimensione particolare e
ricettiva come quella del teatro, zona d’interferenza tra esperienze
intellettuali e tradizioni popolari: «in
Pulcinella si può riconoscere come in un palinsesto, una complessa
stratificazione di significati in cui, intorno ad alcuni tratti fondamentali di
lunga durata, il senso delle maschere subisce perdite, trasformazioni,
arricchimenti. Secondo un processo mai unilineare, costellato di obsolescenze,
ma anche di reviviscenze e di ritorni».
La maschera così strutturata
permette un’identificazione immediata con il pubblico che legge con chiarezza
riferimenti ed allusioni, rivelando dunque molto più di ciò che nasconde. In
realtà; è proprio la maschera ad incarnare l’aspetto vero dell’intero spettacolo
teatrale, rivelatrice di realtà; che il volto del pubblico nega o tace, vero
volto, o meglio riflesso reale dell’altro privo della garanzia del volto.
L’attitudine alla metamorfosi, questa sua abilità; di uscire fuori di sé,
già; sottolineata dalla critica saggistica di Michele Scherillo e Benedetto
Croce, è ciò che gli consente, dispiegandosi in un’infinità; di esistenze, di
non perdere mai di vista la propria essenza.
Si sdoppiava così la percezione della maschera: sulla scena recitava il
nuovo personaggio, con cui interloquivano e interagivano gli altri attori e le
altre maschere, ma dalla platea il pubblico plaudiva l’amato Pulcinella,
maschera immortale in cui la società; riconosceva e rispecchiava se stessa. Il
compito assegnato a Pulcinella e allo zanni era dunque travestirsi, assumendo
le più svariate identità;, al fine di dimostrare la propria inadeguatezza
attraverso i comportamenti sciocchi e irriverenti, attraverso il dimostrarsi
fuori luogo nel vestire i panni della società; che intratteneva, nell’imitazione
dei sentimenti, delle azioni e perfino dell’abbigliamento di quelle persone.
Questa essenziale caratteristica fu a capo del revival che la maschera conobbe tra gli anni Ottanta e Novanta del
secolo scorso grazie, in maggior parte, ad alcuni intellettuali e letterati
napoletani che avevano accolto le sollecitazioni di Franco Carmelo Greco.
Il rinnovato interesse per Pulcinella viene spiegato da Scafoglio e
Satriani con la situazione sociale del momento: «in una società; che diventava sempre più società; dello spettacolo, la
maschera esprimeva il massimo della teatralità; e dell’inversione rispetto alla
vita ordinaria e come tale veniva assunta a rappresentare emblematicamente la
condizione umana contemporanea. Erano inoltre gli anni in cui, nell’incipiente
smarrimento prodotto dal crollo di certezze e illusioni, cresceva la domanda di
nuovi miti di identificazione collettiva, che si tornava a cercare nel
patrimonio culturale e simbolico della comunità;».
Un Pulcinella cosmopolita, che trova fratelli in Europa, Asia e Africa.
L’assidua presenza di simili figure in differenti tempi, luoghi e comunità;, va
spiegata come effetto di esigenze comuni e universalmente presenti nelle
società; umane. Pulcinella che, nelle sue varie vesti, proviene sempre da
un altrove, diventa mito di identificazione collettiva ed eroe popolare. A
questo proposito gli autori citano il Convegno tenutosi nel 2008 che ebbe luogo
a Saintes, in Francia, che ha puntato i riflettori sul rapporto tra queste
figure tricksteriane e il pubblico per cui vengono fatte esibire.
La connotazione di altro/esterno è requisito essenziale per la delega
collettiva di cui viene investito il personaggio comico. Egli può in questo
modo trasgredire, sbagliare ed eccedere in vece della comunità;: «le
società; cioè affidano alle figure di confine il compito di rappresentare i loro
bisogni profondi e i loro desideri nascosti. Nel teatro comico noi possiamo
vivere per interposta persona tutto ciò che la follia della maschera ci
propone, col vantaggio di poter dire, alla fine, che è stato Pulcinella. Ma non
è stato Pulcinella, perch´ siamo stati noi».
Come suggerisce Scafoglio,
quello che risulta più evidente ad un’analisi accorta è la beffa che in realtà;
è operata ai danni di quell’alta società; che da Pulcinella è portata in scena e
sbeffeggiata. Il potere conferito alla maschera nel momento in cui gli viene
permesso di divenire parte, sul palco teatrale, di quel mondo elitario di cui è
normalmente mero servitore, consegna piena libertà; alla maschera. Come fosse un
comico moderno, alzato il sipario inizia la satira sociale, che attua
tramutando in bersagli i suoi interlocutori.
Se si volesse dunque scrivere una biografia di Pulcinella si finirebbe per
scrivere mille e più biografie. Pulcinella è, come dice Croce, indefinibile
poiché è definibile in innumerevoli, molteplici e probabilmente infinite
sfaccettature. Darne un’esemplificazione risulterebbe lacunoso e ingiusto,
vorrebbe dire privare la figura della sua aurea misterica che la
contraddistingue più della sua stessa maschera.
Risolvere l’enigma di Pulcinella risulta un’impresa vana quanto insensata,
ma Pulcinella può essere raccontato seguendolo nel suo viaggio attraverso i
secoli e i paesi del mondo. La storia di Pulcinella diventa in realtà; la storia
della società; e della cultura in cui ha vissuto.
Pulcinella è specchio e emblema fondamentale alla comprensione
antropologica e sociologica delle dinamiche che hanno contraddistinto lo
svolgersi della storia della società;.
L’ampia presenza della maschera e la sua fortuna in diversi paesi mostra
inoltre una caratteristica di fondo comune alla maggior parte delle comunità;,
Pulcinella è sempre l’altro. Rappresenta l’incarnazione di una diversità;
rispetto al suo spettatore.
Je est un autre, io è un altro; nel Maggio del 1871 Arthur Rimbaud (1854-1891) scrive questa frase in due
epistole indirizzate una al suo vecchio professore al collegio e confidente,
Georges Izambard e l’altra a Paul Demeny, anche lui poeta e amico di Izambard:
«lei non ci capirà; niente, e io
quasi non saprei spiegarle.
Si
tratta di arrivare all’ignoto mediante
la
sregolatezza di tutti i sensi.
Le
sofferenze sono enormi, ma bisogna essere forti,
essere
nati poeti, e io mi sono riconosciuto poeta.
Non è
affatto colpa mia. È falso dire: Io penso,
si
dovrebbe dire: mi si pensa.
Scusi
il gioco di parole.
IO è un altro.»
Sergio
Solmi (1899-1981) scrittore, poeta e saggista italiano, in uno scritto del 1974
dedicato al poeta, scrive:
«Alla radice della vita - e della
poesia - di Rimbaud, c’è qualcosa che può definirsi una crisi di adattamento, e
ne costituisce, insieme, il segreto e la chiave. A un certo momento la realtà;,
in cui originariamente l’anima penetra e nuota come in una sua propria
emanazione e trasparenza, e in cui trapassano e sfumano insensibilmente i cari
aspetti e coloriti del beato puerile abbandono, comincia a farsi impenetrabile
e opaca, diviene "l’altro". E, come si sa, dalla più o meno rapida e
felice accettazione di questo “altro” dipenderà; in gran parte il nostro
destino. Il confine col mondo riduce a poco a poco il suo alone di sogno, la
zona degli "ameni inganni", fino a coincidere col profilo della
nostra stessa persona.».
Jacques Lacan (Parigi 1901-1981), riprese la formula utilizzandola come
fondamento nella sua rielaborazione della teoria dell’inconscio. Lacan partiva dalla considerazione che tutti
i successori di Freud non avessero fatto altro che tradirne il pensiero
originario; l’'Io' di Freud non era
'padrone in casa sua' proprio come non lo era più in Rimbaud.
L’inconscio di Lacan è strutturato come un linguaggio, attraverso la
parola, attraverso il parlato dei lapsus, dei sogni, delle parole non dette
esso si manifesta sull’Io, la verità; si esplicita nella libertà; del
parlato.
Secondo lo studioso l’Io è luogo di
misconoscimenti che hanno origine da un riconoscimento, il riconoscimento
della propria immagine allo specchio in età; infantile. Questa immagine allo
specchio è un Io altro, diverso, esterno al soggetto. Qui prende forma
l’assunto che Io è un altro e il bambino inizia a procedere sul registro che
viene indicato da Lacan come registro dell’Immaginario. L’immagine che si viene
a creare è motivo di desiderio, un desiderio che non è appagabile perché non è
un bisogno né tantomeno una domanda o richiesta concreta. Il soggetto prova
desiderio dell’altro e nell’altro si identifica. Quest’altro è Pulcinella.
Pulcinella diventa la nostra immagine allo specchio ogni qualvolta ci si
sieda ad osservarlo in azione sul suo palcoscenico. Nel 1953, Lacan introduce
una nuova categoria che chiama il simbolico
in relazione stretta con il significante e riguarda non più l’io (moi) ma il soggetto (je). Il simbolico con il termine di
Altro, tesoro dei significanti, la cui relazione con il soggetto si distingue
dalla relazione immaginaria dell’io con l’altro, (a-a'). L’Altro è anche luogo
del codice linguistico, luogo dove opera l’inconscio. È l’inconscio che vive e
si esprime nell’altro, in Pulcinella. L’opera teatrale comunica con il
linguaggio; il linguaggio è uno dei mezzi più importanti di comunicazione
scenica. Tuttavia il linguaggio di Pulcinella si risolve in un nonsenso,
l’incomunicabilità; è ciò che fa ridere di risa anche amare.
Analizzare la storia di
Pulcinella significa in realtà; scoprire l’evoluzione della società; che dalla
propria fantasia e tradizione popolare fece nascere il personaggio
bianco vestito, con volto celato da una maschera nera che prese il nome di
Pulcinella; nato dalla campagna campana, dalla mente beffarda del diavolo e
ancora da un uovo di struzzo, si fece abitante delle scene teatrali, del Carnevale
e dei casotti dei burattini.
Prese il posto che il suo
pubblico gli consegnava di diritto nei tempi che vennero e che ancora sono, mai
diverso dalle sue origini e sempre adattabile al nuovo interlocutore è divenuto
mezzo di espressione e di identificazione. La sua figura venne adottata per
tutto il mondo e chi non lo conobbe come Pulcinella si creò il proprio, sembra
che sia un’esigenza intrinseca nelle società; la ricerca di un tipo attraverso
il quale esperenziare l’esperenziabile vivendolo attraverso lo schermo
protettivo delle quinte teatrali, di un disegno, di una caricatura.
Sotto la maschera del Cetrulo si
annida il tutto e il nulla al contempo, egli vive in una dimensione altra che
non può però prescindere da questo nostro mondo perché di questo stesso è
contrappunto, esasperazione, noncurante specchio riflettente.
Così questa maschera venne
chiamata dagli animi più sensibili ogni qual volta ve ne fu necessità;. Nel
corso dei secoli da macchietta caricaturale disegnata sullo stampo dello zanni
della Commedia, si ritagliò man mano una dimensione autonoma che gli consentì
di presentarsi al mondo come la maschera più famosa, poliedrica, enigmatica e
amata tra tutte.
Da qui il fortissimo legame con
la vita quotidiana, con i problemi, con la politica, ritornando alla fortissima
relazione che sin dalle origini lega commedia e politica, commedia e crisi.
Come Aristofane così Tiepolo si rivolge al comico, alla maschera,
all’incomunicabilità; nel momento più decisivo e al contempo drammatico della
propria storia: «di qui la sua attualità;
ogni qualvolta che la politica attraversa una crisi decisiva – per
Giandomenico, la fine dell’indipendenza di Venezia nel 1797, per noi, l’eclissi
della politica e il regno dell’economia planetaria. Mettendo in questione il
primato della prassi, Pulcinella ricorda che vi è ancora politica al di qua o
al di là; dell’azione».
Non solo la politica, ma i
comportamenti, i pensieri, i momenti storici, sono stati rappresentati,
filtrati attraverso la maschera acerrana, nei secoli e con i più vari mezzi
artistici.
Questa peculiarità; di Pulcinella
che lo rende protagonista tra i protagonisti della storia, è ciò che ancora
oggi attrae gli studiosi e il grande pubblico: la sua capacità; di essere e
non-essere al tempo stesso permette una riflessione indotta allo
spettatore che diventa, forse infine, quel filosofo orientale, sempre presente
tra le carte del Divertimento con le
mani nella cintura, reminiscenza, come saggiamente sottolinea Agamben, del celebre personaggio della tela di
Giorgione che già; il Michiel titolava nel 1525 tre phylosophi nel paese, perennemente in contemplazione e in
osservazione della realtà; che la maschera mostra.
NOTE
A. Mariuz, G.
Pavanello, Tiepolo. Ironia e comico,
catalogo della mostra presso la Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Marsilio
Editore, 2004 p. 60
Frutto di un
recente restauro le meravigliose figure risplendono nuovamente nella freschezza
delle tinte, nella dinamicità; dei movimenti, nella grazia delle pose. Strappati
nel 1906 dopo essere stati venduti all’antiquario Salvadori, vennero inviati a
Bergamo per essere sottoposte a restauro da Steffanoni; furono successivamente
individuati e bloccati dal comune di Venezia nel 1910 e il conseguente
intervento dello Stato impedì il premeditato trasporto in Francia. Dopo un
primo periodo in cui vennero ospitati presso il Museo Correr a Venezia
trovarono poi posto, nel 1936, presso il Museo di Ca’ Rezzonico, dove sono
esposti nel tentativo di ricreare l’effetto originario.
Gli spettacoli
con cani ballerini erano molto popolari a Venezia. Nel 1762 Pietro Longhi
dipinge Il casotto del leone della
Querini Stampalia. Il tema era già; usato in due piccole tele di metà; anni 60 di
New York e Madrid e in una decorazione del Palazzo Contarini dal Zaffo.
I. Nievo, Le confessioni di un italiano, Parma,
Guanda, 1999, p. 307
A. Mariuz, G. Pavanello,
Tiepolo. Ironia e comico, catalogo
della mostra presso la Fondazione Giorgio Cini, Venezia, Marsilio Editore,
2004, p. 89
G. Agamben, Pulcinella ovvero Divertimento per li
regazzi, Roma, Nottetempo s.r.l., 2015, p. 16
Il 6 luglio del
1920 Sotheby metteva all’asta il ‘pezzo
41’ consistente in centodue disegni con sene di Carnevale di Giandomenico
Tiepolo. La serie, la cui unica esposizione di insieme si ebbe proprio in
questa occasione presso il Museé des Artes Decoratifs di Parigi, venne smembrata
ed i fogli venduti separatamente per lo più a collezionisti privati.
I. Valente, Pulcinella maschera del mondo, a cura di
F.C. Greco, Napoli, Electa, 1990, p. 310
F.C. Greco, Pulcinella maschera del mondo, Napoli,
Electa, 1990, pp. 316-317 – disegno pubblicato nel 1939 dal Francis (p. 48)
I. Valente, Pulcinella maschera del mondo, a cura di
F.C. Greco, Napoli, Electa, 1990, p. 329
M. Vovelle, Il triennio rivoluzionario italiano visto
dalla Francia 1796/1799, Guida, Napoli, 1999, p. 39
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introduzione e schede di Adelheid Gealt, Milano, A. Mondadori, 1986, p. 19
A.M. Gealt, G.
Knox (a cura di), Giandomenico Tiepolo:
maestria e gioco: disegni dal mondo, Milano, Electa, 1996, p. 38
Pupazzo in legno,
pietra, argilla o cera che sostituiva il cadavere mancante nei riti funebri
presso i Greci
D. Scafoglio,
L.M. Satriani, Pulcinella, Napoli,
2015
D. Scafoglio,
Introduzione Pulcinella, Napoli,
2015, p. XI
Arthur Rimbaud,
lettera al prof. G. Izambard, 13 maggio 1871, in S. Solmi, Saggi di letteratura francese, Tomo II: Saggio su Rimbaud,
G.Pacchiano ed., Adelphi, Milano, 2009, pp. 20
S. Solmi, Saggi di letteratura francese, Tomo II:
Saggio su Rimbaud, G.Pacchiano ed., Adelphi, Milano, 2009, pp. 21-36
G. Agamben,
Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi, Roma, Nottetempo, 2015, p. 71
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MARIUZ PAVANELLO 2008
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I disegni di Pulcinella di Giandomenico Tiepolo in Tiepolo, (a cura di)
Giuseppe Pavanello, Verona, Cierre Edizioni, 2008
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Tiepolo. La sua vita e le sue opere, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 1909
MOLMENTI 1896
ID., Giovanni Battista Tiepolo: Discorso, Roberta
Poggi, Firenze, 1896
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A. MORASSI
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G. PACCHIANO (a cura di), Saggio su
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2009
PASCOLI 1730
L. PASCOLI, Vite de' pittori,
scultori ed architetti moderni, Roma, 1730
PIGNATTI
1976
T. PIGNATTI (scelte e annotate da), Le acqueforti dei Tiepolo, La Nuova
Italia editrice, 1976
SCAFOGLIO SATRIANI 2015
D.
SCAFOGLIO, L.M.SATRIANI, Pulcinella, Napoli, 2015
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XIX: saggio storico, 1880
SCHERILLO 1884
ID., La
Commedia dell’Arte in Italia. Studi e profili, Torino, 1884
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