Spesso ci chiediamo, al di là dell’inclinazione spirituale, dei principi etici, delle scuole di pensiero e dei rigorosi parametri scientifici, se realmente ciò
che vediamo corrisponde al vero delle cose, e in questa scoperta, varie sono state le voci. Sin dai tempi antichi, l’uomo ha sentito il bisogno di dare una spiegazione
alle cose, o per meglio dire “vederle meglio” e su questo ha gettato le basi sul come vedere, trovando già nell’arte (vista come strumento di imitazione e quindi strumento
per cimentarsi direttamente con la realtà) una differenza sostanziale tra il reale e l’ideale. La cultura greca, ha realmente posto il problema dell’osservare
e del vedere, creando un germe che ha letteralmente logorato le menti delle generazioni e dei secoli successivi. Una realtà che è stata quantificata dal
pensiero illuminista e addirittura fortemente etichettata
come inesistente da filosofie contemporanee come quella puro visibilista
.
Ma forse il problema non è tanto scegliere quale verità abbracciare, se quella della realtà o quella dell’idea: basta semplicemente spostare il velo che filtra le cose
tangibilmente vere, da quelle partorite dall’idea (che ha sempre eccelso nelle invenzioni di storie e di favole) frutto della fantasia dell’uomo, in una realtà parallela.
L’ascoltatore è effettivamente in un mondo reale, ma la sua mente, in quel momento, viaggia in altri universi. La narrazione, prima ancora della figurazione, è primogenita
dell’Idea: ha effetto immediato su chi ascolta. L’inventore la espelle oralmente e simultaneamente all’idea (invenzione), rimanendo pura; diversamente dalla
rappresentazione visiva contaminata dal tempo di realizzazione.
All’interno di una società contemporanea tecnologicamente sviluppata, il “virtuale” ha fortemente sostituito (anche se parzialmente) l’immaginario, ponendosi
prepotentemente tra la percezione dell’individuo e la realtà che lo circonda, immergendolo quindi, in una seconda dimensione che proprio come una matrioska si trova
internamente a quella reale. Ma in una società dedita al consumismo, non solo economico, ma anche visivo, l’arte è stata messa alle strette: in primis, dalla
rivoluzione industriale che ha fatto spontaneamente generare la riproduzione in serie; ma il vero colpo di grazia all’arte (vista come produzione artigianale) è
stato dato dalla riproduzione digitale: se prima il committente desiderava un quadro raffigurante la Madonna col Bambino, andava dall’artista “di fiducia” e commissionava
un’opera che aveva un proprio iter realizzativo e soprattutto una propria unicità. Non c’era in tutto il mondo un’opera uguale a quella.
Quando parliamo di “unicità” dell’opera, ci rivolgiamo al suo stato di singolarità fisica. Il fattore dell’unicità non si manifesta soltanto nell’atto creativo e quindi
nella creazione di una figura partorita dall’idea, ma anche dalla riproduzione di un pezzo, cioè: quando un artista copia un’opera di un suo predecessore, se dal punto di
vista formale non è considerata unica, dal punto di vista fisico lo è, in quanto realizzata manualmente e probabilmente con un procedimento diverso dall’originale.
Adesso invece, un individuo di questa vorace e impaziente società dell’iper-consumo, non va più dal pittore, bensì dal tipografo di fiducia, sceglie da internet la più
bella Madonna mai fatta, che sia un Raffaello o un Murillo e acquista con pochi spiccioli “l’opera” o meglio la fa riprodurre cambiando anche l’effetto (grazie a dei
programmi appropriati) e scegliendo la dimensione desiderata e il supporto su cui verrà riportata.
Sono cambiati i mezzi, le esigenze e le priorità quotidiane: questo problema fu seriamente percepito dalle varie avanguardie, tra cui l’Astrattismo che si propose
di spostare l’attenzione non più sul reale, formale, riproducibile, ma su un’apparente casualità generata da schemi a cui solo l’artista e l’osservatore, dopo un’attenta
analisi, potevano ben accedere. Tutto ciò, ha ormai fatto il suo tempo e la storia, adesso necessitano linguaggi evoluti che si stacchino da quelli sedimentati ormai da
svariati decenni e da quelle che sono state le scuole e le tendenze del Novecento. Cosa può oggi proporre l’Arte dopo che si è messa ripetutamente in discussione?
Quale qualità di visione potrebbe ancora dare e soprattutto come è possibile scrivere un ulteriore capitolo dell’arte ormai cristallizzata nel Post-Modern
?
Si ritorna ancora all’origine, al problema dell’osservare e del vedere, ma questa volta non si tratta di distinguere tra reale e non, bensì di scoprire nuovi modi di vedere.
Il problema non è più posto nel rapporto tra artista e fruitore, ma nel rapporto tra artista e consumatore di immagini. Tale consumismo visivo può essere
saziato soltanto ponendo all’individuo contemporaneo, non i problemi e le soluzioni dell’uomo post modern, ma assecondando l’attuale relazione tra uomo e macchina.
È questo che si pone come obiettivo il Sequenzialismo nell’Arte
, continuare quella sorta di matrioska che
genera una dimensione virtuale nella realtà, scavando nei limiti percettivi, fino ad entrare in “un’altra” dimensione all’interno di quella reale, facendo in modo che
il dialogo tra uomo e macchina non si limiti alla sola visione dell’interfaccia, ma che si addentri linguisticamente nel concreto logos informatico.
ACA (Angelo Calabria), fondatore del sequenzialismo
applicato all’arte, vuole condividere la scoperta di una dimensione visiva che lui stesso ha intuito e codificato
attraverso elementi sequenziali: il contenuto espressivo attraverso frecce e numeri direzionati. Tramite questi elementi essenziali, l’artista crea un vero e proprio
universo comunicativo, nato non tanto da un sistema schematico, quanto dall’attivazione di particolari sensazioni psicologiche veicolate da determinati funzionamenti
segnici: la linea direzionata dal basso verso l’alto comunica e fa leggere ascesa, positività, in un certo senso anche sacralità e serve per direzionare la percezione
del fruitore/consumatore che scruta il quadro, cercando lui stesso il percorso/contenuto dall’origine alla fine dell’opera. Questa fruizione “2.0” può rispondere
effettivamente a quelle che sono le esigenze intellettuali del fruitore attuale, che durante l’osservazione del quadro intraprende un vero e proprio esercizio percettivo,
“contando” ed entrando in questo modo in contatto con l’essenza della corrente, del flusso spazio-temporale dei segni, rendendo realmente la fruizione del quadro non un
mero atto contemplativo-speculativo .
Il Sequenzialismo “impone” una contemplazione attiva e costruttiva, in quanto per arrivare all’essenza del quadro sequenzialista occorre una ben attenta analisi.
L’artista ci conduce attraverso una serie di postazioni visive; durante il tragitto - dove ogni segno lascia la traccia del suo divenire, proprio come in una sorta di
caccia al tesoro percettiva - Il fruitore è guidato ad individuare dei punti, degli accadimenti spazio-temporali, che lo aiutano a cogliere il contenuto espressivo
del quadro. Di conseguenza, non c’è soltanto un classico approccio contemplativo, ma ulteriori e inedite possibilità visive, veicolate da precisi vettori spazio-temporali,
che portano l’osservatore “a risolvere il rebus” (auto-orientandosi) in chiave sequenziale: di forme, di colori, di materie e di tutte le variabili espressive che
l’artista decide di utilizzare.
Ci si addentra tra i segni per coglierne l’essenza realizzativa spazio-temporale. Il Sequenzialismo è un ulteriore dimensione comunicativa che porta l’osservatore ad
usare percettivamente questi elementi sequenziali dell’opera, decodificandoli espressivamente: sfera/cerchio/percorso orario-antiorario. Questo processo di lettura è
chiamato da ACA elaborazione spazio-temporale. È una sorta di paradosso artistico: il compiacimento sensoriale visivo-estetico che è sempre stato al primo posto tra gli
obiettivi dell’artista - dove in maniera preponderante è coinvolta la sfera emotiva e secondariamente quella logica - con il Sequenzialismo invece subisce un rilevante
ribaltamento di valori: la razionalità guida la sensibilità, portandola verso una dimensione “estetica” evoluta, specchio della pura analisi logica. Quindi, il Kunstwollen
(volontà artistica) di ACA non consiste
nell’arrivare a un’armonia o a una composizione ideale (astratta) o a una mìmesis
(figurativa), ma nello stimolare la percezione del fruitore attraverso il naturale processo mentale del calcolo (spazio-temporale sequenziale).
Le varie forme d’arte hanno sempre affrontato il rapporto uomo-natura; differentemente, il Sequenzialismo propone invece un inedito rapporto uomo-computer.
L’artista sequenzialista offre all’osservatore un nuovo modo di percepire: dall’osservazione passiva, all’elaborazione attiva, raggiungendo il punto di connessione
tra la sensazione visiva del piacere estetico e il contare espressivo-logico. Il Sequenzialismo non è l’ennesima corrente contemporanea fine a se stessa. Il quadro
sequenzialista, figlio del nostro tempo, è il viaggio che l’artista ci invita a compiere: dal primo schizzo, all’abbozzo, fino alla stesura finale; dalla prima
traccia leggibile, all’ultimo segno codificabile. Questo particolare modus operandi di ACA, veicola le sensazioni attraverso il processo analitico del contare,
caratteristica preminente nelle varie fasi di costruzione e di lettura dell’opera sequenzialista.
Quello che può sembrare a occhi meno attenti una composizione familiare di forme e colori, racchiude invece un processo sequenziale attentamente calibrato, frutto
di un’attenta ed evoluta analisi metodologica delle proprietà linguistiche figlie della ricerca astratta di Vasilij Kandinskij e Paul Klee
.
Ogni singolo elemento della composizione/elaborazione è ben studiato e perfettamente incatenato col resto, al fine di mettere in atto un funzionale processo sequenziale:
ciò rende la produzione di ACA estremamente auto-critica. Una produzione che nonostante sia ancorata all’effimero linguaggio digitale, è sostanzialmente dipendente
dagli accidenti della materia costantemente in bilico simbiotico tra realtà e virtualità.
NOTE
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Anthony Francesco Bentivegna (1992). Ha conseguito la Laurea in discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo nel 2014.
è critico d’arte e curatore. Ha allestito mostre sia collettive che personali. Ha partecipato a vari eventi letterari. Scrive per vari artisti e per giornali locali.
Attualmente è specializzando in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Palermo. Ha pubblicato Alberto Puccio, Percorso (Agorà, Palermo 2016).
Vive e lavora a Sciacca (AG).
ACA (Angelo Calabria, 1973), laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino (PU).
Si occupa, da oltre un decennio, di ricerca linguistica nell’ambito dell’arte visiva. Ha esposto le sue opere in mostre personali e collettive presso enti
pubblici e privati. Ha pubblicato Il Sequenzialismo nell’Arte. Linguaggio spazio-temporale del segno. L’evoluzione della comunicazione artistica
nell’Era dell’Informazione (Albatros, 2013). Vive e lavora tra Sciacca (AG) e Roma.
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