Arte, mente, cuore
Da sempre l’uomo è stato oggetto di una tensione che
lo porta a desiderare ciò che gli pare irraggiungibile, a superare se stesso ed
i suoi limiti fisici.
La tecnica si è evoluta nei secoli, nel bene e nel
male, portando l’umanità alla creazione del mondo che oggi conosciamo, il mondo
del progresso e dell’industria.
Le tecnologie esprimono al meglio la continua tensione
verso il superamento dell’umano, del possibile, ma possono comportare anche il
suo annullamento, il regresso verso una fase di non-pensiero.
Senza una connessione internet sempre a portata di
mano, oggi l’essere umano si sente tagliato fuori dal mondo. Senza
dubbio il lato positivo è riscontrabile nelle nuove grandi possibilità di
comunicazione: nel giro di pochi attimi si entra in contatto con chiunque, in
ogni angolo della
terra. I pro e i contro della tecnica; nella storia è sempre stato così.
Arte
intesa come espressione del sentimento umano, sogno e tensione per oltrepassare
i propri limiti. Arte è Amore, pura energia vitale.
Senza
lo sviluppo della tecnica, l’arte sarebbe ricordata come un qualcosa di
profondamente bello, ma altrettanto profondamente cristallizzato nel passato.
Non
si può pensare che, con l’industrializzazione e conseguentemente con la
massificazione, ci sia stata davvero una morte dell’arte, semplicemente perché l’arte non può
e non potrà mai morire.
Sarebbe
come sostenere l’inesistenza della scintilla della creatività, del sentimento
in generale e dell’amore, inteso come energia vitale che «move
il sole e l’altre stelle».
Negare
l’arte significherebbe negare la vita stessa.
Certo,
l’arte si è evoluta, l’ha fatto per non restare indietro e, come sempre, l’ha
fatto con una sua memoria. Le nuove forme d’arte della contemporaneità sono
figlie della tradizione.
Oggi
forme artistiche sono riscontrabili anche in alcuni prodotti dell’industria e
dei mercati, ma, riflettendo attentamente, ci si rende conto che ciò è sempre
avvenuto. Basti pensare alle forme di mecenatismo riscontrabili nella Storia
dell’Arte e in quella più comune: il ritratto.
Ma
l’arte, allora come ora, è stata in grado di superarsi.
Nel
1650 papa Innocenzo X commissionò un suo ritratto a Diego Velázquez. Una volta
che quest’ultimo ebbe finito di dipingere, Antonio Palomino racconta che al
vedersi Innocenzo X esclamò: «È troppo vero!».
L’artista aveva colto, grazie ad una tecnica pittorica sopraffina, la
fisionomia del papa, l’intensità e la verità dello suo sguardo.
Si
tratta di un esempio che ci fa comprendere non soltanto che l’arte può essere
al servizio di un committente, ma, e forse soprattutto, che un artista può
mantenere un certo grado di libertà ed autonomia anche se si trova a dover
liberare il suo ingegno all’interno di cliché o traiettorie precostituite,
dovendo sottostare ad alcune regole.
In
un contesto produttivo come quello degli Studios della Pixar, gli artisti
devono attenersi a delle regole, ma ciò non preclude loro la libertà di
esprimersi con disegni, storyboard e software che permettono la modellazione e
la scultura digitale oltre all’animazione dei personaggi.
Il
riscontro di un operato artistico, mediato dalle nuove possibilità offerte
dalle tecnologie digitali è attualmente riscontrabile in molteplici ambiti e
genera continuamente nuove modalità espressive che possono arrivare anche a
creare grandi suggestioni e dimostrano che arte e tecnica possono convivere; se
non altro perché l’artista si serve sempre di uno strumento tecnico per il suo fare
artistico che esprime il suo sentire artistico.
Il
medium non è che il mezzo, ovvero il canale mediante il quale si attiva il
processo comunicativo dell’opera stessa. Con il progresso i media si aggiornano
continuamente, vengono inglobati l’uno nell’altro.
Negli
ultimi venti anni, il digitale ha profondamente cambiato l’arte, le modalità di
creare le opere e la fruizione delle stesse. Si è aperto un mondo di nuove
possibilità che hanno permesso agli artisti di sperimentare e di spingersi
sempre più al di là dei limiti; non soltanto intesi come appartenenti all’umano,
ma anche al reale, oltre le frontiere della Realtà Virtuale.
Milioni
di schermi invadono la nostra quotidianità. Siamo una civiltà occidentale che
crea e divora continuamente immagini.
Il
fare esperienza dell’immagine è parte
integrante della nostra vita al punto che, talvolta, facciamo fatica a trovare il
messaggio profondo che si potrebbe celare dietro ai pixel.
Già
il Dadaismo e la Pop Art avevano riflettuto sul concetto di serialità
dell’immagine, ironizzando sulla possibilità che anche un oggetto “mainstream”,
di uso comune, potesse essere considerato opera d’arte. Artisti come Andy
Warhol e Roy Lichtenstein, hanno profondamente analizzato la civiltà della
massificazione e i suoi miti.
Grazie
ad una sorta di retína tipografica ingrandita, utilizzata per opere quali Il Tempio di Apollo, Lichtenstein, nel
1964, ha ingigantito la matrice di puntini che generano il colore nei fumetti e
nelle cartoline. L’intento era quello di
far riflettere l’osservatore sulle centinaia di immagini alle quali
costantemente veniva sottoposto, una sorta di indagine da parte dell’artista
sulla natura profonda di quelle immagini, quasi biologica, se vogliamo
intendere ognuno di quei puntini come parte del DNA delle icone.
Oggi
la cellula dell’immagine è il pixel, elemento puntiforme che compone, con
migliaia di altri, la rappresentazione di un’immagine digitale. Sono punti
sempre più indistinguibili per l’occhio umano, grazie alle risoluzioni
altissime degli schermi in alta definizione, in Full e Ultra HD, 4K e, ultimamente,
anche in 8K (7.680 pixel orizzontali x 4.320 pixel verticali di risoluzione).
L’arte
contribuisce ad accrescere la sensibilità dell’uomo e lo rende migliore. Ritengo
che nella vita di un uomo il sentimento artistico sia determinante affinché egli
possa dirsi completo ed elevarsi.
L’uomo
necessita di nuovi stimoli e di nuove tensioni e nel mondo in cui vive, nella
società di questo tempo, talvolta è indotto a trascurare questo bisogno
primario.
Il
progresso tecnologico ha condotto l’umanità verso un crescente appiattimento
dei valori.
Spesso
sentiamo il bisogno di etichettare ogni singola situazione, di ricondurre tutto
a fredde classificazioni. Si tende a standardizzare ogni cosa: il lavoro, la
vita, con i suoi orari e la sua routine, persino i sentimenti, a volte; credo
che la nostra società abbia ancora più bisogno dell’arte di quanto non si possa
immaginare.
Se
è vero, però, come credo, che l’arte è anche sogno, mi piace interrogarmi sulle
tecnologie che oggi fanno parte della vita dell’uomo. Possiamo davvero
servircene intelligentemente, con il cuore, permeati da quel sogno?
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Sculture
digitali di Guglielmo Maria Gioele Chiavistelli (in arte Gioele Stella)
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La
suddivisione di un’opera scultorea digitale, scolpita mediante il computer,
avviene in relazione alla quantità di RAM installata
sullo stesso; quindi non vi è mai un numero fisso.
Anche
il conteggio dei poligoni –
la modellazione digitale è sempre ridotta ad un aspetto poligonale – sarà un
parametro che potrà influenzare la densità della suddivisione.
Si
partirà da un basso livello per arrivare a scolpire opere che produrranno
ottimi risultati, anche con un esiguo numero di poligoni.
Interviste a cura di Guglielmo
Maria Gioele Chiavistelli
Lo
scultore-architetto Viviana Ravaioli è un’artista dotata di grande sensibilità,
ricca di emozioni, che lei stessa definisce “epifanie”, illuminazioni che
generano opere originali e rendono le sue Sculture “scintille di anima”.
Miriam
Bonetti, giovane artista digitale è specializzata in modellazione e texturing.
Viviana
non si limita ad esprimere la propria arte e a soffermarsi sul suo rapporto con
la tecnica, o i diversi medium che utilizza per veicolare il suo messaggio, ma
spiega il suo connubio con l’arte in generale e racconta del suo personale percorso
di arte e vita, in cui la prima ispira la seconda e viceversa.
Miriam
parte dalla concezione che sia la scultura classica tradizionale a guidare
tutto il suo lavoro. Seppur giovanissima, infatti, sono già dieci anni che si dedica
a questo lavoro, ricorrendo all’ispirazione dal calco in creta. Le sue più
recenti collaborazioni sono state con Rainbow CGI e Ubisoft. Con l’apporto di
programmi specifici, quali Pixologic ZBrush,
riesce ad ottenere forme che scaturiscono in opere singolari, molto
apprezzabili, per originalità e ricerca quasi accademica. Ritenendosi in
crescita continua, Miriam affronta il suo lavoro con estrema umiltà e
dedizione. Trasmette quella sensibilità e quel senso della percezione che
consentono, ad ogni grafico 3D, di perfezionare al meglio la propria tecnica,
essendo sempre alla ricerca di nuovi stimoli, applicazioni sempre più avanzate,
ma con un occhio sempre rivolto alla tradizione e all’arte classica.
Viviana Ravaioli,
Scultore-Architetto
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Viviana Ravaioli, foto di Damiano Liotti
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«La
scultura di Viviana Ravaioli è la concretizzazione in termini essenziali di una
dinamica energetica sostanziale e coinvolgente, approdo principale di una
creatività ad ampio raggio che, oltre la ricerca plastica si estende
potenzialmente e di fatto verso vari livelli creativi riguardanti altrettanti
campi di realizzazione che vanno dall’approfondimento teorico alle
problematiche sociali, la storia, il linguaggio sonoro e musicale, le culture
“altre”, la fotografia, la grafica, l’urbanistica, la scenografia, la
progettazione di nuovi spazi abitabili, l’umano in genere, che ne fanno un
artista poliedrica e vitalissima. Il suo lavoro scultoreo si inserisce in
quella linea che dal barocco passando attraverso le avanguardie costruttiviste,
continua nelle proposte ambientali degli anni ‘60, nella strutturazione di un
pensiero dove convivono fisicità e concettualità, intuizione e sintesi mentale,
che sottintende l’idea di opera d’arte totale dove i generi si integrano,
fondendosi e creando ipotesi complesse e di trasparenza processuale.
[…]
La scultura insinuandosi nell’ambiente vi penetra quasi obliquamente,
determinando una serie di rapporti con linee curve e taglienti, costruzioni
paraboliche e parafrasi estroverse, potenziali solidi volanti ed imprevedibili,
o strutture architettoniche un domani abitabili in una voluta ambiguità tra
reale e virtuale, in una cercata analogia tra fenomeni strutturali e ricerca
scientifica. Questa tensione fa sì che l’oggetto si trasferisca, a volte, nella
propria ombra, come esito di una dimensione generativa dove la dinamica
plastica e le fughe ellittiche sconvolgono le certezze della razionalità
geometrica che significa, introdurre nella realtà un principio in cui
convergono possibile ed impossibile, immagine concreta e potenziale aderendo
più che ad una nozione, ad una immaginazione dello spazio. A un’idea di arte,
con cui si misura quotidianamente Viviana Ravaioli, dove convivono
l’eccezionalità della missione e la normalità della funzione, che armata di
slancio ideale e di speranza getti luce su una nuova possibilità, dell’arte
come della vita, pensate in quanto fenomeni in costante trasformazione, che si
nutrono e si determinano a vicenda.»
Patrizia
Ferri, storica, critica d’arte, curatrice e giornalista
D: Le tue opere sono considerate opere di scultura-architettura. Spiegaci
perché.
R: La prima grande differenza che
bisogna fare è quella tra scultura inserita nell’ambiente, inteso come habitat del contesto urbano, e
scultura-architettura, abitata e vissuta.
Quindi,
per quanto mi riguarda, si tratta di creare, in primo luogo, sculture vere e
proprie, che però, al loro interno, abbiano già la progettualità
architettonica, senza che queste subiscano mutazioni dal punto di vista
formale, sostanziale.
Certo,
nel loro passaggio da scultura ad architettura realizzata, devono subire
ovviamente ingrandimenti in scala ed adeguamenti tecnico-strutturali, per l’uso
reale che poi dovrebbero avere, ma la loro forma estetica, che è quella che mi
interessa da scultore, in quanto artista puro, rimane totalmente inalterata.
Non
si può parlare, quindi, di una scultura-architettura che rimane pura utopia nel
suo farsi.
All’inizio
si tratta soltanto di utopia mentale, a livello di sfida verso la creatività e
verso il contesto estremamente interessante, pieno di dinamiche e di
coinvolgimenti, che è la città.
La
città contemporanea è da me intesa anche come città idealizzata; nella mia
visione contano, in sostanza, tre aspetti della città e tre aspetti del
paesaggio: il land-scape (paesaggio a
livello naturale e interazione della scultura con esso), il last-scape (l’ultimo paesaggio, la
morte) e l’utopian-scape (paesaggio
utopico, la città di Dio). In sostanza: la città dei vivi, la città dei morti e
la città di Dio.
Inserisco
anche, sentendo la necessità di stare al passo coi tempi, determinate istanze
dell’architettura contemporanea. Ad esempio, quando c’è stata la forte tendenza
al ricorso delle trasparenze, che aveva dato vita ai cosiddetti fish apartements – gli appartamenti-acquario,
trasparenti, che pongono l’osservatore in una posizione voyeuristica, facendo
di chi si muove al loro interno l’oggetto della visione da parte di chi guarda
dall’esterno – ho ribaltato la prospettiva nell’opera Sasso del XXI secolo, sostituendo all’atteggiamento voyeuristico
del vedere-osservare, il concetto del guardare-osservare.
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Viviana Ravaioli, Sasso del XXI secolo (Omaggio a Matera),
scultura, tufo materano, plexiglass e rame, 2006-2007
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Per
cui, questa cellula abitativa, a forma di occhio, osserva la gravina materana,
non nasce per essere guardata, ma essa stessa “osserva” all’interno e
dall’interno del bulbo oculare.
In
quel caso mi sono impossessata di un’istanza dell’architettura contemporanea e
l’ho fatta confluire in istanza scultorea, con una concezione completamente
diversa.
L’indagine
del paesaggio cimiteriale (il last-scape)
è uno degli argomenti che sta stuzzicando l’architettura contemporanea, in
quanto argomento tabù. Per secoli, il paesaggio cimiteriale è rimasto immutato,
soprattutto per questioni religiose. Nel tempo sono stati avviati alcuni
tentativi ed attualmente, per una visione più laica, si è aperto questo nuovo
fronte della ricerca per l’architettura pura. Impossessandomi dell’argomento,
ho fatto del last-scape una scultura-architettura.
Al
passo con i tempi, interagendo con l’architettura militante, sono intervenuta
con l’ottica dello scultore, aprendo una sfida.
L’architettura
contemporanea vorrebbe generare architetture a immagine e somiglianza della
scultura, ma non potrà mai riuscirci, perché non può prescindere dalla
funzione.
Io
posso prescindere da essa, in quanto non è il mio primo, né ultimo fine.
Il
mio obiettivo non è quello di realizzare sculture in cui la funzione sia l’unico
fine, per me è un quid in più; se
esse possono avere anche un utilizzo, allora ho vinto la mia sfida. Essendo
un’artista, ho soprattutto interesse per l’utopia, cioè il gesto di sfida
iniziale.
Nella
progettazione di un’opera architettonica, il mio obiettivo è dimostrare che il
percorso da scultura ad architettura è percorribile, mentre quello da
architettura a scultura no, perché si traduce in architettura estetizzante.
Privilegiando l’architettura, e con essa la pura immagine, si tende a
trascurare la forma; ne deriva un’architettura lontana da ogni utilizzo e
quindi lontana dall’uomo, che ne è comunque il referente e che ha reso
possibile la sua realizzazione.
Essa
rappresenta il mezzo, lo strumento, il fine dell’uomo stesso.
L’uomo
se ne serve per vivere, operare, relazionarsi, dormire, proteggersi dagli
agenti atmosferici… L’arte e la scultura non hanno bisogno di essere abitate, o
di convivere con l’uomo, ma possono esistere e sopravvivere anche senza di
esso.
Posso
sicuramente asserire questo: io sono soltanto il medium, cioè il tramite di
quella scintilla iniziale che diviene materia ed elemento stesso della natura,
di un paesaggio, interagente coralmente con esso. Oggi l’istanza architettonica
del voler fare tutto in maniera “scultorea” può creare derive.
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Viviana Ravaioli, Ponte, scultura, ferro e plexiglass, 2002, elaborazione architettonica Arch. Gernando Marasco
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D: Qual è il tuo rapporto con la scultura-architettura tradizionale e più
in generale con la tecnica?
R: Già all’origine scultura e architettura
sono nate insieme. Talvolta come piglio mentale, intellettuale, oppure in forma
di apparato decorativo della scultura come arricchimento dell’architettura.
Basta ricordare quello che avveniva nella cultura greca e nella cultura romana.
Ci
sono molti artisti che si occupano della città nell’era contemporanea:
fotografi, pittori, scultori che realizzano, nello specifico, sculture
ambientali, monumentali, nate per essere inserite in un contesto urbano. È una
pratica piuttosto diffusa per gli scultori, non solo contemporanei, ma anche
del passato, che hanno da sempre realizzato le loro opere perché fossero
collocate nel contesto cittadino, nell’ambiente esterno e non in un ambiente
chiuso.
Realizzare
sculture che abbiano al loro interno la scintilla architettonica è meno comune.
In
un certo modo si tratta quindi di una pratica contemporanea, o figlia delle
Avanguardie Artistiche, ma è una strada intrapresa da pochi, una visione di
nicchia, molto particolare.
Credo
che sia per questo motivo che i critici ritengono che la mia attività sia
piuttosto innovativa.
La
scultura è sempre stata vista come un’espressione artistica molto tradizionale,
in quanto strettamente legata alla tecnica ed alla materia, ma essa, è molto di
più.
Se
non fosse così, si correrebbe il rischio di vederla declassata a mera
espressione creativa artigianale.
L’aspetto
artigianale è riscontrabile nel senso di arte applicata, arte del fare volumi
tridimensionali, ma poi esiste la parte veramente creativa, artistica, vale a
dire la scultura pura, che ha, ovviamente, delle potenzialità enormi, a mio
avviso ancora poco esplorate.
D: Ultimamente hai deciso di orientarti verso una commistione, aprendoti
alla tecnologia digitale e alla grafica tridimensionale computerizzata. Negli
anni ‘70 gli artisti della Videoarte hanno esplorato i territori del video, le
potenzialità di un medium nuovo, che vollero “liberare” da un contesto “mainstream”
come quello televisivo, per conferirgli un’elezione artistica ed esplorare
percorsi del tutto nuovi, inusuali e variegati. Credi che lo stesso
potrebbe accadere anche per il medium digitale? Qual è il motivo di questo tuo
avvicinamento a questo medium?
R: Ho riflettuto molto sulla
questione. Ho potuto fare il punto della situazione e mi sono trovata a considerare
che, in effetti, non mi sto avvicinando soltanto ora alle tecnologie.
Diciamo
che, in questo momento, sto percorrendo lo sviluppo al quale le tecnologie sono
arrivate, ma sono circa vent’anni che, in un certo qual modo, lavoro al passo
con esse.
Seguo
l’innovazione, anzi la anticipo, perché, scalpito; so che avrei bisogno di
determinate cose, che a volte ancora non esistono sul mercato, ma sono paziente
e so anche che, prima o poi, saranno a mia disposizione.
Questo
per dire che seguo il progredire della tecnica e della tecnologia, rimanendo,
però, uno scultore. Non sono una videoartista e neanche uno scultore digitale.
Sono
uno scultore che indaga su ciò che accade intorno, nella società, per rimanere
scultore, mantenendo una concezione di arte totale, nietzschiana, wagneriana,
ampia.
Alla
base c’è sempre la scultura, tridimensionale, la quale si può amplificare, ricorrendo
a vari media, anche a quello digitale.
Credo
che ci siano ancora molte potenzialità per la scultura nella nostra epoca e tanti
sentieri tutt’ora inesplorati. I nuovi media possono senz’altro giocare un
ruolo importante in questo senso.
D: Un artista che opera con mezzi digitali approccia alla scultura
mediante un software: crea la scultura digitale e si muove continuamente attorno
ad essa, in uno spazio virtuale, per poi darle una consistenza, una materialità,
anche se simulata.
Quali potenzialità
vedi nel medium digitale?
R: Credo che un artista debba essere
al passo con il proprio tempo e se è intenzionato a svolgere un ruolo attivo all’interno
della società e a non esserne tagliato fuori, debba anche sentire e ascoltare le
richieste della società e a coglierne gli aspetti positivi.
A
volte si cade nella moda, oppure, al contrario, si guarda con un certo snobismo
a determinate novità, credendo che sia opportuno restarne completamente al di
fuori. Io penso che l’equilibrio si trovi, come sempre, nel giusto mezzo. Il
creativo deve prestare attenzione al contemporaneo, all’hic et nunc, a quelle che sono le istanze, le necessità, le
produzioni e capire come potersene impossessare e come potersi servire del
medium, affinché quest’ultimo possa potenziare il suo operato.
D: La tua arte può essere considerata universale e multi-mediale, in quanto
ti servi delle tecniche e dei linguaggi più differenti: utilizzo della musica
in sottofondo, poesie, recitazione di brani, clip audiovisive realizzate in
computer grafica che accompagnano le tue opere. Questa apertura che ultimamente
ti sta portando ad esplorare territori di ambienti virtuali, tridimensionali,
creati interamente al computer, come si relaziona con la realtà, con l’uomo e
con la natura circostante?
R: Parto sempre da un discorso
mentale: “vero” e “verosimile”.
Il
verosimile può essere, talvolta, anche più vero del vero. Vent’anni fa, già
facevo questo tipo di discorso, servendomi delle prime strumentazioni
tecnologiche, per calare sculture che esistevano concretamente e che quindi
avevano la loro realtà, all’interno di altre realtà. Mi sono servita anche di tavole
trattate in un certo modo e il risultato finale si concretizzava in opere che apparivano
come se fossero realmente presenti all’interno di quel determinato contesto.
Si
trattava, dunque, di due realtà vere; la loro fusione era verosimile. In questa
fusione che veniva fatta, mediante gli strumenti che esistevano all’epoca, il
verosimile sembrava vero; a volte, addirittura, più vero del vero. Quindi si
tratta, a mio avviso, di un concetto, per così dire, mentale. Nel momento in
cui produco un verosimile, più vero del vero, per me, in qualità di artista,
già esiste di per sé.
Miriam Bonetti, 3D Artist
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Miriam Bonetti
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«Miriam
Bonetti, Modeling e Texture Artist.
La sua passione per il computer è nata già da bambina, grazie a suo padre che
gliel’ha trasmessa. A otto anni già sapeva come funzionava il DOS mentre,
giocando con i Lego, sognava di dar vita ai mondi nella sua fantasia.
Ha
scoperto il 3D a diciassette anni, guardando per caso il making of di un videogioco. Ha iniziato a studiare da autodidatta,
prima nei pomeriggi dopo la scuola, e poi durante e dopo il lavoro per quattro
anni, periodo nel quale ha indirizzato la sua passione verso la modellazione e
il texturing di personaggi
fotorealistici. È infine approdata in Rainbow dove si occupa principalmente di texturing, ma all’occorrenza anche di lighting e modellazione.»
Redazione
Romics, Fiera di Roma 2014
D: Quando hai capito che saresti diventata un’artista 3D e che un giorno
sarebbe stato questo il tuo lavoro? Qual è stato il tuo percorso formativo?
R: Ho sempre amato i videogame, fin
da molto piccola, ma non ho mai pensato che creare un videogame potesse essere
un lavoro. Cioè, non immaginavo neppure lontanamente che cosa ci fosse dietro.
Un giorno, in quarta superiore, ho visto, quasi per caso, il making of del noto gioco Riven e
ne sono rimasta completamente affascinata, folgorata direi.
Decisi
in quel preciso istante che avrei lavorato in questo settore. Ho cominciato
quindi a studiare, da autodidatta, il software Lightwave 3D, mentre completavo gli studi di Grafica Pubblicitaria.
Dopo
averlo utilizzato per circa due anni, ho capito che, se volevo realmente
inserirmi nel settore dei videogiochi o del cinema 3D, avrei dovuto apprendere
un software maggiormente diffuso.
Ho
scelto così Autodesk Maya,
ricominciando da capo i miei studi da autodidatta e consolidandoli,
successivamente, con l’aiuto di un corso intensivo al Darkside di Verona.
D:
Come lavora uno scultore 3D?
Qual è per te il
rapporto tra scultura tradizionale e scultura digitale?
R: Credo che il concetto alla base della
scultura 3D sia molto vicino a quello della scultura tradizionale. Comincio a
scolpire sempre da una banalissima sfera (che potrebbe essere l’equivalente di
una tradizionale pallina di creta) e poi, grazie ai tanti strumenti (tools) differenti messi a disposizione
da software molto avanzati che offrono una capacità di calcolo elevatissima,
come ad esempio ZBrush, proseguo
nella modellazione.
Si
può ottenere praticamente qualsiasi risultato ormai. Uno scultore classico può
tranquillamente passare al digitale, dopo aver preso confidenza con gli
strumenti, e, viceversa, non è raro che molti artisti 3D, che non hanno una
formazione artistico-accademica, comincino ad esplorare, per perfezionarsi, la
scultura tradizionale.
A
mio avviso, la differenza non è tanto nello strumento usato, ma nella
sensibilità che ogni artista ha nel percepire e riprodurre le forme, le curve e
le linee di forza. Avere un buon background
di studi artistici tradizionali può aiutare molto ad affinare questa
percezione.
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Miriam Bonetti, Salvador Dalì, scultura digitale in 3D (liberamente tratta dalla foto originale di Philippe Halsman)
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D: Parliamo della tua scultura digitale Salvador Dalì, un’opera che ha ricevuto, tra gli altri, un riconoscimento
importante, figurando nel 2014 al 26⩝ posto in uno dei portali più importanti
in rete dedicati al 3D, 3Dtotal.com,
tra i cinquanta migliori render di personaggi
celebri.
L’idea di realizzare
quest’opera nasce da una foto, giusto? Reputo interessante approfondire questo
rapporto tra tridimensionalità e bidimensionalità, 3D e 2D.
Spesso si parte da un
concept, un disegno bidimensionale
per arrivare alla tridimensionalità, i cosiddetti blueprint.
Qual è la tua
riflessione in merito e cosa pensi che aggiunga, se si può dire in questi
termini, un’immagine in tre dimensioni, rispetto ad una bidimensionale?
R: Credo che la risposta a questa
domanda vari molto da persona a persona; ti rispondo esclusivamente da un punto
di vista personale. Trovo assolutamente affascinante l’idea di prendere
qualcosa di piatto, bidimensionale, immobile e renderlo in qualche modo “vivo”,
quasi palpabile. Ancor più strepitoso è il fatto che ciò sia possibile
servendosi di un mezzo assolutamente virtuale.
Un
quadro o una fotografia possono essere osservati e contemplati, ma un “quadro
3D”, secondo me, possiede qualcosa in più, che va ben oltre il virtuosismo
tecnico.
Può
essere animato, reso quasi vivente; si può, in un certo senso, avere la forte
sensazione che sia realmente presente, che lo si possa toccare con mano.
Per
me questo aspetto rappresenta il punto più alto della sfida: servirsi di un
mezzo virtuale per catturare l’essenza di qualcosa di reale... È magia!
D: In questa scultura digitale sei riuscita a rendere in modo stupefacente
l’intensità dello sguardo dell’eclettico artista. James Cameron, regista di Avatar, ha dichiarato di aver dedicato molto
tempo per riprodurre digitalmente al meglio lo sguardo dei suoi personaggi nel
film, riservando agli occhi degli attori in carne ed ossa ed ai loro
impercettibili movimenti apposite macchine da presa, dedicate unicamente a
coglierne le minime sfumature per riportarle fedelmente sui loro alter ego digitali. Spesso si vedono
opere molto curate tecnicamente, ma che non riescono ad avere una resa visiva
adeguata per lo sguardo del personaggio.
In quest’opera
digitale tu sei riuscita a catturare magistralmente questo aspetto.
Come hai realizzato
dal punto di vista tecnico Dalì? Di quali materiali ti sei servita?
R: Dalì è un render creato con ZBrush
(che non ha nessun punto di forza attualmente per quanto riguarda il rendering in particolare, essendo un
software dedicato soprattutto alla scultura).
L’aspetto
su cui mi sono concentrata, per cercare di catturare il suo sguardo, più che l’utilizzo
di uno strumento o di un altro, è stato osservare tantissimo il vero Dalì.
Ho
scaricato da internet molte fotografie dell’artista ed ho impiegato molto tempo
a rifinire, in fase di scultura, l’area dei suoi occhi e le linee di
costruzione del viso. Si trattava di modifiche quasi impercettibili,
millimetriche.
La
dilatazione delle palpebre, la grandezza delle pupille, sono particolari molto
importanti, un millimetro di troppo può cambiare radicalmente lo sguardo.
Quando mi sono ritenuta (quasi) soddisfatta, ho renderizzato e, successivamente,
in Photoshop, ho leggermente
rinforzato le aree di chiaro/scuro, per conferire all’immagine una maggior profondità.
D: In questa scultura digitale, si può notare una cura importante dei dettagli:
la porosità della pelle, le rughe attorno agli occhi, le pieghe del collo. Come
hai realizzato questi particolari? Puoi spiegarci i vari passaggi, necessari
per arrivare a questo tipo di resa? Come hai raggiunto questo risultato di
specularità della pelle, molto realistico e suggestivo?
R: I pori della pelle e le rughe sono
stati ottenuti utilizzando dei pennelli alpha. Anche
qui la chiave di volta è l’osservazione. Ho preso la fotografia originale alla
massima risoluzione possibile ed ho osservato come variava la porosità della
pelle, a seconda della zona del viso.
Un
esempio per tutti: i pori grossi e tondi si trovano sul naso, sul mento, ma non
sulla fronte.
Ho
lavorato su diversi livelli, isolando i vari tipi di porosità. Pori piccoli, grandi,
allungati e così via, cercando di individuare in quali parti del viso fossero
concentrati (ho osservato anche fotografie di altri soggetti). La pelle,
generalmente, non è perfettamente liscia, specialmente quella di una persona di
una certa età; ci sono piccole imperfezioni, lievi sporgenze e avvallamenti,
tutti particolari riproducibili utilizzando i vari pennelli che mette a
disposizione ZBrush.
Ho
ottenuto la specularità renderizzando due versioni del viso con uno shader completamente
nero e con due valori di specular diversi
(uno stretto ed uno più diffuso).
In
Photoshop li ho quindi
stratificati, andando a miscelarli, a seconda della zona del viso.
D: Nel ritratto di Dalì l’illuminazione è particolare. Colpiscono molto le
ombre soffuse che si integrano alla perfezione con la scelta vintage del bianco e nero. In che modo
le hai ottenute?
R: Mi sono servita di un paio di
luci, cercando di posizionarle in modo da avere l’ombra principale come quella
nella foto originale. Una volta fatto il render,
ho corretto manualmente in Photoshop
alcune aree che non erano scure come avrebbero dovuto essere.
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L’Angelo Caduto, dalla tradizione al
digitale. La realizzazione in 3D di Miriam Bonetti, liberamente tratta dalla scultura originale di Ricardo Bellver
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D: Parliamo di un’altra scultura digitale che hai realizzato: l’Angelo Caduto. A che modelli classici ti
sei ispirata per la sua realizzazione? Sembra che dietro ci sia uno studio
anatomico non indifferente. La posa plastica classicheggiante della figura è
molto curata, così come il dettaglio che hai dato alla muscolatura e alle ali.
R: L’Angelo Caduto è stato un esercizio di scultura anatomica nel quale
ho cercato di riprodurre, il più fedelmente possibile, la scultura originale di
Ricardo Bellver. Ho scelto questo soggetto perché per me è molto affascinante;
sono rimasta colpita dalla sua posa estremamente dinamica ed espressiva. Ho deciso,
poi, di scolpire le piume delle ali una ad una, a mano, senza aiutarmi con alpha o insert mesh, perché
volevo che fossero tutte diverse tra di loro.
D: Nell’Angelo Caduto è molto
interessante la scelta del materiale utilizzato, come anche e le sfumature di
luce fredda sulla superficie. Come hai lavorato per ottenere questo tipo di
effetto visivo?
R: Per l’Angelo, ho utilizzato mentalray,
sfruttando la bella resa delle area light unite
al final gather. Il
set di luci di cui mi sono servita è molto basilare (key, fill e rim light).
Il final gather rende tutto più
soffuso.
Il
materiale della scultura è un marmo, ottenuto con il mia material ed
una texture procedurale, dato che l’angelo
non aveva UV e
non era stato texturizzato. Per
quanto riguarda invece la fase di shading/rendering dell’angelo, mi sono avvalsa
del prezioso aiuto di un caro amico e collega, Giovanni Dossena, che è doveroso
per me menzionare in questa occasione.
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Miriam Bonetti,l’Angelo Caduto, dettagli della scultura digitale in 3D
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D: Hai lavorato per la Bad Seed Entertainment, studio italiano con sede a
Milano che produce videogiochi, che ha rilasciato il titolo Sleep Attack. Qual è stato il tuo
contributo artistico in relazione ad una realtà produttiva nel settore
videoludico?
R: Per Sleep Attack sono stata impegnata soltanto nella fase di beta testing.
La Bad Seed mi ha assunta per lavorare su un nuovo progetto completamente
realizzato in 3D, mentre Sleep Attack
è in 2D. Ho ricoperto il ruolo di Senior
3D Artist, scolpendo oggetti, personaggi, props, ho
texturizzato ed ottimizzato i modelli 3D per l’utilizzo su diverse piattaforme
di tipo mobile (tablet e smartphone).
D: Che differenza c’è, tecnicamente, tra la realizzazione di un modello iper-dettagliato,
hi-poly come
quello di Salvador Dalì o dell’Angelo Caduto ed altri modelli low-poly per un videogame? In
cosa differisce l’approccio scultoreo, se differisce, in funzione della
finalità del modello tridimensionale?
R: L’approccio scultoreo non differisce
di molto. Probabilmente il modello va organizzato meglio quando si deve
lavorare con una mesh low-poly,
in funzione del baking successivo dei dettagli. Inoltre,
per realizzare una mesh finalizzata
ad un videogame, spesso bisogna tenersi bassi con il numero di poligoni
utilizzati. La differenza tra hi-poly
e low-poly sta anche nel gestire
alcuni elementi del modello separatamente e non come un’unica mesh. Nella lavorazione hi-poly, una volta terminata la
scultura, la si texturizza, illumina e renderizza; mentre, nel low-poly, ci sono due passaggi extra: si
ricrea una struttura poligonale, più leggera, sulla base del modello hi-poly (mediante il retopology, cioè ridisegnando una topologia
semplice sopra ad una più complessa), e poi si fa il bake dei dettagli scolpiti, riportandoli sulla mesh meno dettagliata. Alla fine, si può texturizzare. Ovviamente,
lavorando con modelli low-poly, si
hanno molti più limiti tecnici che mettono i bastoni tra le ruote!
D:
In che modo ti servi del software Adobe Photoshop per i
tuoi lavori? Puoi spiegare alcune tecniche di cui ti servi per il texturing dei tuoi modelli e per la
post-produzione delle tue opere?
R: Utilizzo Photoshop nella fase di post-produzione, dopo i render, principalmente per i ritocchi
finali; per lo più me ne servo per la correzione colore o aggiunta di layer extra per migliorare la resa finale
dell’immagine. Più raramente, lo uso per correggere o rafforzare luci e ombre,
come ho fatto per Dalì.
Gli
strumenti di cui mi servo sono per lo più il pennello standard, regolato in
modo tale che sia molto soft per poter agire sull’immagine in modo graduale e
morbido, e le maschere, che mi
permettono di tornare sempre indietro, qualsiasi modifica faccia.
Nel
texturing mi servo molto dei layer, che organizzo per lavorare in modo
non distruttivo, soprattutto perché questa fase è soggetta molto spesso a
ulteriori cambiamenti.
Stratifico
vari layer, suddividendoli per tipologia
(base colore, texture, layer estrapolati dal baking...), facendo molto uso di
maschere e blending modes, che mi aiutano
ad ottenere effetti di colore a volte inaspettati e molto particolari.
Making
of Salvador Dalì
Ho
voluto riportare i passaggi principali eseguiti da Miriam Bonetti per la
creazione della sua scultura digitale ispirata a Dalì, con l’intento di fornire
un ulteriore spunto di riflessione sulla complessità tecnica che risiede nella lavorazione
di questa realizzazione digitale.
ZBrush, il software di cui si è servita Miriam,
che anche io spesso utilizzo, è distribuito dalla Pixologic. L’approccio alla materia virtuale sperimentabile con
questo programma è piuttosto simile a quello che si avrebbe modellando la
creta.
ZBrush è uno dei programmi che prediligo
per la libertà che offre nel processo di modellazione poligonale; si riduce al
minimo la soglia tra il procedimento tecnico-scientifico ed il “sentire”
artistico. La tavoletta grafica si trasforma in infinite superfici e nei più diversificati
materiali, lo stylus, strumento a
forma di penna in grado di fornire input direttamente al software, diventa lo
scalpello dell’artista digitale che lascia una traccia di sé sulla materia –
fatta di pixel – con ogni suo gesto.
La
“materia digitale” è stata sgrossata per procedere quindi alla definizione dei
volumi principali.
Il
volto ha preso progressivamente forma: i tratti somatici hanno acquisito carattere.
I
volumi sono stati progressivamente bilanciati e, successivamente, perfezionati.
Miriam
ha aggiunto capelli, baffi e sopracciglia poligonali alla sua scultura, oltre
ad alcuni elementi del vestiario. Lo sguardo di Dalì cominciava già a delinearsi.
È
iniziata, quindi, la fase di dettaglio, con la suddivisione graduale del
modello tridimensionale. Miriam ha adottato un materiale idoneo per la
traslucenza della pelle ed ha scolpito tutti i dettagli necessari; i capelli
sono stati sostituiti dai filamenti generati all’interno di ZBrush, per un effetto ancor più
realistico.
Raggiunto
il livello necessario anche per il dettaglio dei vestiti, l’artista 3D si è
dedicata alla ricerca del colore, che è stato dipinto direttamente sul modello
all’interno dello stesso software, grazie alla tecnica del polypainting.
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Miriam Bonetti, Salvador Dalì, dettagli della scultura digitale in 3D
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NOTE
Erika
Petres, Arte, verità, essere: La
riabilitazione ontologica dell’arte in Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty,
Pontificio Istituto Biblico, 2013, p. 55.
«L’amor che move il
sole e l’altre stelle», Dante Alighieri, Divina Commedia (Paradiso XXXIII, 145), Novara, De
Agostini Editore, 2004, p. 351.
Il texturing è quel procedimento per cui il
grafico 3D, lavorando sulle coordinate bidimensionali di un oggetto
tridimensionale, conferisce allo stesso colori, graffi…
Strumenti che
semplificano il lavoro quando si tratta di inserire nella scultura una serie di
elementi identici.
Algoritmo
che simula l’impatto della luce sulle superfici.
BIBLIOGRAFIA
ALIGHIERI 2004
Dante
Alighieri, Divina Commedia (Paradiso
XXXIII, 145), Novara, De Agostini Editore, 2004.
BLASI 2001
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Blasi, Scultura arte e tecnica. Un
percorso formativo, Milano, Ulrico Hoepli Ed., 2001.
BOLTER 2000
Jay D. Bolter, Richard Grusin, Remediation. Understanding New Media, The
MIT Press, 2000.
CARONIA 2005
Antonio
Caronia (a cura di), Catalogo Techne 05 -
Fra arte e tecnologia - L’immagine
infinita. Schermi, visioni, azioni, Bologna, Revolver, 2005.
MANOVICH 2002
Lev
Manovich, Il linguaggio dei nuovi media,
Milano, Edizioni Olivares, 2002.
MARCHESINI 2008
Roberto
Marchesini, Angeli o demoni? Postumani
in Associazione Italiana Transumanisti (a cura di), Transumanesimo. Cronaca di una rivoluzione annunciata, Milano,
Lampi di stampa, 2008.
PETRES 2013
Erika
Petres, Arte, verità, essere: La
riabilitazione ontologica dell’arte in Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty,
Pontificio Istituto Biblico, 2013.
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Scott
Spencer, Creare personaggi con ZBrush –
Scultura digitale avanzata, Guidonia (RM), Imago Edizioni, 2011.
STRIPPOLI, 2009
Roberto
Strippoli, Maya. Guida Completa, vol.
1, Guidonia (RM), Imago Edizioni, 2009.
TONIONI 2013
Federico
Tonioni, Psicopatologia web-mediata –
Dipendenza da internet e nuovi fenomeni dissociati, Milano, Springer
Verlag, 2013.
VALENTINI 2003
Valentina
Valentini (a cura di), Le storie del
video, Roma, Bulzoni, 2003.
SITOGRAFIA
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GARZANTI
Garzanti
Linguistica, dizionario online, <http://www.garzantilinguistica.it>
visitato nel 05/2017
Per
approfondimenti
ADOBE PHOTOSHOP
Adobe
Photoshop, <http://www.adobe.com/it/products/photoshop.html>
visitato nel 06/2017
AUTODESK MAYA
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Maya, <https://www.autodesk.it/products/maya/overview>
visitato nel 06/2017
NEWTEK LIGHTWAVE 3D
NewTek
Lightwave 3D, <https://www.lightwave3d.com> visitato nel 06/2017
PIXOLOGIC ZBRUSH
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ZBrush, <http://pixologic.com>
visitato nel 06/2017
MIRIAM BONETTI
ArtStation,
pagina personale di Miriam Bonetti, <https://www.artstation.com/artist/miriam>
visitato il 15/04/2017
MAKING OF DALÌ
Making
of Dalì sul portale 3dtotal.com, tutorial originale di Miriam Bonetti, <https://www.3dtotal.com/tutorial/1666-making-of-dali-photoshop-maya-zbrush-by-miriam-eithne-bonetti-character-male-dali-moustache>
visitato nel 04/2017
L’autore
ringrazia Viviana Ravaioli e Miriam Bonetti per la loro disponibilità e per la
gentile concessione delle immagini di loro proprietà.
Impostazione
grafica a cura di Gioele Stella. File html curato da Michela Ramadori e Stefano Colonna. Normalizzazione redazionale: Alessia Dessì. Correzione ortografica a cura di Michela Ramadori
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