1. Modelli
non geometrici nella progettazione architettonica contemporanea
Nel corso della
storia del post dopoguerra, il processo ideativo della progettazione
architettonica si focalizza sempre di più su alcuni elementi: sulla valenza del
segno comunicativo; sulla percezione come vivibilità estesa a tutte le
disabilità, la cosiddetta Total Quality; sull’attenzione ambientale; sulle
esigenze di una committenza sempre più partecipe al processo decisionale nel
progetto.
In tutto questo
cammino, la storia della simmetria – una categoria ben impressa nel DNA di
tutti - appartenente al codice classico, negata o rielaborata dal codice del
movimento moderno a partire dalla rivoluzione industriale e più marcatamente
dal novecento, resta fino agli anni sessanta, un riferimento linguistico.
Un significativo
cambiamento avverrà con l’evoluzione di alcuni modelli progettuali. Le
tematiche trattate che, a tutt’oggi, sono integrate in modo complesso e
transdisciplinare nei concetti di ecosistema socio-culturale, derivano dal panorama
che tratteggeremo brevemente nell’ambito ideativo-compositivo dell’architettura,
ponendo l’accento sul fatto che la geometria, intesa come struttura
aprioristica o di supporto alla composizione spaziale autoreferente, non detta
più il codice classico-moderno dell’architettura dall’ultimo decennio del
secolo scorso.
Già dagli anni ‘20,
infatti, la forma si plasma sul modello prestazionale, per cui il
russo-tedesco-israeliano Klein, studiava il problema residenziale nell’ottica
dell’uso delle risorse. Il modello strutturalista (1973) con l’olandese
Habraken, si serviva di una griglia funzionale a scala urbana prevedendo la
flessibilità della personalizzazione per la residenza. Più recentemente, nei
primi anni ‘90, con l’apporto, ancora olandese, del gruppo MVRDV si poneva l’obiettivo
dell’integrazione sociale e ambientale per limitare l’impatto degli edifici,
secondo un modello oggettivo.
Proprio per la
crescente problematica dei temi ancora oggi considerati nella pratica della
progettazione nell’ottica dei “sistemi” complessi, i modelli cui si è
accennato prepararono la concezione della forma nell’architettura allo scatto
fuori dalla relazione classico-anticlassico.
Tra gli anni ‘60/‘80,
infatti, ci si distacca dal concetto di centro e di simmetria con l’apporto di
alcuni gruppi di architetti: con il decostruttivismo di Coop Himmelb(l)au,
fondato da Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky e Michael Holzen; nella ricerca
della decomposizione del codice classico come in Robert Venturi; con il
formalismo di Zaha Hadid, Frank Owen Gehry, Peter Eisenman.
2. Consistenza
liquida
Tale scatto avviene
perché si cerca di considerare e di integrare la complessità dello stato di
salute del pianeta con le emergenze di flussi migratori e la qualità di vita
delle popolazioni. Sarà con l’avvento dell’informatica della fine degli anni
Ottanta che si estende e si delinea ancora in modo più rivoluzionario il
processo di progettazione inteso come “sistema”, in cui entra il concetto del
tempo che supera la tridimensionalità dello spazio; il tempo dell’attuale si precisa in modo sostanziale
dal tempo del presente.
Il concetto di
movimento ridisegna l’esperienza dello spazio e lo “genera” ogni volta nel
processo di formulazione del diagramma in fase ideativa e non ancora forma. Nel
processo progettuale si passa dunque dalla definizione del diagramma, alla
definizione dello spazio e non più dall’idea
alla forma.
Il modello
“decisionale-diagrammatico” è il contenuto
che si fa forma. Un contenuto che nasce dall’interazioni tra necessità,
priorità, funzionalità e risorse a disposizione e quindi la sua forma assume
aspetti il più possibile flessibili e trasformabili sul piano materiale.
Una definizione di
diagramma è data dai coniugi Ben Van Berkel architetto e Caroline Bos storico
dell’arte: “I diagrammi sono di grande aiuto, sono una sorta di mappe, possono
sembrare astratte, ma mirano sempre a qualcosa. Puntano all’organizzazione:
dello spazio, o del tempo, o del movimento, o di fenomeni astratti ma non per
questo meno importanti nella realtà.”.
È interessante
osservare e riflettere sul caso del Museo delle Confluenze a Lione, di Coop
Himmelb(l)au che, seppure terminato nel 2014, presenta, a nostro parere, sia
caratteristiche liquide sia formalismi classico-moderni. Nel risultato finale
si può dire che il museo, pur avendo alcuni caratteri, propri del linguaggio
dell’architettura liquida, cioè forme curve, leggerezza, continuum
dentro-fuori, linee oblique, asimmetria, forme a spirale, ripetitività
frattale, possibili disorientamenti trattando temi quali il labirinto o le
specchiature, assume una forma di architettura a sé stante, in cui, ad esempio,
la perdita del centro e della simmetria permangono ma in modo trasformato. Essa
è fuori dal dualismo classico-anticlassico e, pertanto, è anche indifferente
all’idea di liquidità intesa come una corrente architettonica dai contorni
precisi.
Il concetto di Architettura Liquida è
stato adottato nel 1993 dal ricercatore venezuelano Marcos Novak che parla del
cyberspazio nel senso di una virtualità attribuita anche allo spazio, ripresa dalla teoria di
Zygmunt Bauman: “Una società può essere definita liquido/moderna se le
situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di
agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure” dice nella sua Vita liquida. La liquidità del flusso delle
trasformazioni multiscalari della comunità glocale, cerca comunque di inverarsi
in una forma consistente fatta di materia fisica e tangibile, oltre che di
ambienti virtuali. Le nuove generazioni di progettisti usano modelli dinamici
ed interconnessi.
«Se in informatica non esistono dati, ma solo informazioni, allora in informatica è tutto in formazione. (...) Quindi l’in/formazione è, per definizione, una massa fluida che deve prendere “ancora” forma».
L’alfabeto o la sintassi della forma dell’architettura
liquida, dunque, hanno la possibilità di essere codificati? O non si è già caduti
in contraddizione nel tentativo stesso di classificarli?
Oggi, al 2017, si puà aggiungere altro alla teoria del
processo di progettazione architettonica, facendo consapevolezza della
compresenza di più esigenze da parte di attori-fruitori, dell’importanza del
percorso interiore del progettista attraverso la conoscenza e la sensibilità
alle altre realtà, ma soprattutto con l’intenzione di «“esserci” in architettura, (…) arrivare a definire se stessi
cercando di capire il discorso altrui (…), non per essere migliori ma differenti.
(…) La questione dell’identità (…) e
della pratica dell’architettura (…) deve confrontarsi con processi esterni in
continuo cambiamento».
3. Il
ruolo del museo contemporaneo
Il museo è sede di
attività privilegiate in quanto rappresentative sia della società stessa che in
quanto rappresentativa dell’attenzione posta alla memoria e al valore culturale
della civiltà.
Occorre evidenziare
come il ruolo del Museo abbia una valenza identitaria e di emblema culturale
della città. L’architettura del museo in particolare, ha assunto la funzione
catartica di cambiare il volto della città come polo di attrazione sociale,
turistica, politica anche fuori della stessa nazione. Si possono citare il
Beabourg di Parigi con le firme di Piano e Rogers, la Sydney Opera House di
Utzon, il Guggenheim di Bilbao con Gehry, a Reykjavik con l’Harpa di Henning
Larsen, fino ai più recenti interventi a Marsiglia con il Mucem di Ricciotti e
Carta nonché a Lione con il Musée des confluences di COOP HIMMELB(L)AU.
Ognuno di questi
casi è intervenuto sul contesto urbano in modo differente ed in periodi
differenti, anche prima dell’idea di società liquida.
Oggi,
però, il museo sembra “forzatamente liquido” perché gli utenti sono i
consumatori culturali (e non solo
culturali) poiché essi interagiscono in modo liquido sia perché si servono
del mezzo informatico sia perché gli scambi dei dati avvengono in modo
incontrollabile. Si tratta di aver portato all’interno della fruizione del
museo e quindi del suo significato culturale, il nostro attuale e frenetico
stile di vita. Sempre connessi in rete, nella corsa all’informazione, alla
compulsione della condivisione, al bisogno di fruire e promuovere idee: siamo dei
consum-attori.
Il
museo non è né un contenitore di opere, né è il luogo privilegiato per la sola fruizione
dell’informazione. Ma sarà da questa sfida, che il museo è indotto a facilitare
l’esperienza della scoperta della conoscenza e dell’incontro sociale diretto, pur
servendosi del potenziamento della tecnologia.
La
natura umana fatta di silenzi, di ritmi ciclici, di iterazioni negli errori, di
fasi di apprendimento, di riflessione e di ricerca di stabilità, non dovrà
abbandonare la dimensione digitale, ma evitare quella pubblicitaria e di
marketing, del consumo e della superficialità.
Proprio
osservando e confrontandosi con il contesto locale, con le trasformazioni
sociali, economiche e tecnologiche del luogo, il team della Coop Himmelb(l)au,
il cui fondatore è Wolf D. Prix che opera in tutto il mondo dal 1980 ad oggi,
ha proposto il suo intervento scaturito dalla consapevolezza della ragion
d’essere del museo stesso.
4. Le Musée des
Confluences: l’idea del progetto
Nella fase di
ideazione il progettista si è posto l’obiettivo di creare un luogo per una
cultura inclusiva aperta alla popolazione locale oltre che alla frequentazione
turistica. Si è servito di strumenti digitali, negando le convenzioni e
spingendo le potenzialità di materiali e strutture, come si palesa nelle facciate
frammentate, dagli spazi interni oltre che dalla visione a distanza.
L’architettura che
ne scaturisce sembra parlare due codici contemporaneamente, come se
assistessimo al momento in cui in una sorta di bozzolo, la crisalide si stia
trasformando in farfalla: tra il decostruttivismo che nega la simmetria secondo
un codice anticlassico e le innovative forme liquide fluttuanti.
Alla scala urbana,
il museo ha lo scopo di rigenerare l’area alla confluenza di due fiumi, il
Rodano e la Saona, di connettere le sponde tramite più infrastrutture integrando
la mobilità su ferro e gomma con un ponte, di creare uno spazio sociale per la
cultura e poter qualificare la frammentaria immagine del quartiere degradato di
Perrache attraverso una rete di infrastrutture coerente con le esigenze abitative
e produttive dell’area.
Lyone Confluence,
con un’area simile a quella di Hafen City ad Amburgo, è il più grande progetto
di riqualificazione europea degli ultimi 15 anni: qui hanno lavorato anche
Odile Decq, Massimiliano Fuksas e Rudy Ricciotti. Abbandonata, con
fabbriche e magazzini è ora un quartiere di servizi, cultura e divertimento. La
posizione strategica richiedeva una forte permeabilità allo spazio pubblico. Dal
lato sud, si incrociano due ponti dalla sponda est, che arrivano in facciata:
l’ingresso della piazza attraversa l’edificio a livello stradale e accede al
museo con un gioco di ingressi in lieve discesa, mentre in salita, scale e
gradinate conducono al piano rialzato dello spazio urbano non confinato con
pareti ma coperto dal corpo della struttura. Dalla sponda sud-ovest inoltre,
un’ampia arteria stradale corre parallela all’edificio. Questi diventa così il
punto di snodo per lo sviluppo dei quartieri di prossimità al centro della Lione
moderna (Fig. 1).
Il museo, primo progetto realizzato in Francia dal gruppo di Prix, è stato concepito come un “mezzo per il trasferimento della conoscenza e non come semplice spazio di esposizione”. Il legame al contesto, sul piano delle scelte di localizzazione e delle strategie politiche, sembra trovare il corrispettivo radicamento all’area, sia nel sito che nella forma dell’opera.
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Fig. 1 - Immagine dall’alto del museo alla confluenza tra Rodane e Saone. Foto: Google, Google Earth.
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5.
L’edificio: forma e (è) contenuto
Il peso visivo
delle forme e del suo involucro complessivo sono ben calibrati nei pieni e nei
vuoti.
Il volume
dell’edificio ha le proporzioni quasi regolari al fattore 2: lunghezza 180
metri, larghezza 90 e altezza 41. La superficie totale è di 21.000 mq
comprensiva dello spazio aperto sopra il basamento.
La
piazza si libera sotto il corpo dell’edificio, affusolato come una nave
all’ormeggio, scomposto in modo vagamente zoomorfo. L’edificio mostra una
suddivisione approssimativamente tripartita nella sua verticalità complessiva,
ma non esattamente come il linguaggio tradizionale, base, corpo e copertura.
Infatti tra
basamento di cemento e corpo in elevazione c’è il piano pilotis, elemento del
movimento moderno che conquista la distribuzione libera in pianta e che
interrompe il volume. Per altro, il basamento non sembra far parte
dell’edificio e quindi la percezione dell’edificio risulta molto più
circoscrivibile allo sguardo.
Il piano libero sotto il corpo dell’edificio induce a percepire l’edificio
sottostante la piazza come un basamento naturale, quasi un molo, mentre il
corpo sovrastante ad essa, la cosiddetta nuvola, sembra librarsi leggera. Se è
stato coniato l’appellativo di astronave, quindi con una immagine di un oggetto
che si posa, calandosi dall’alto, quello che, in gergo tecnico si chiama
“attacco a terra” di un edificio, è invece fortemente radicato nel terreno, sia
strutturalmente sia formalmente.
6.
Basamento o attacco a terra
Il progetto è
stato pensato sia per la visione dalle sponde, sia dalla visione in velocità
lungo le strade a diverse quote. La scomposizione della tradizionale forma di
scatola è così in grado di fornire inaspettate prospettive.
Dal fiume, come
fosse galleggiante sull’acqua, si percepisce il basamento che, pur essendo alto
otto metri, dà l’impressione di essere più contenuto. Esso infatti si sviluppa
secondo l’inclinazione della sponda ed è rafforzata da una protezione del
margine, con triangoli di calcestruzzo bianco, alternato da aiuole praticabili.
(Fig. 2)
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Fig. 2 - Il museo lungo la riva del Rodano, visto dal ponte.
Foto di Claudia Stivali (2018).
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Infatti già il suolo è stato ampliato artificialmente nel secolo scorso
e, per le difficoltà dovute alle scarse proprietà geotecniche di resistenza, ha
obbligato ad un consolidamento su palificata con una profondità di 30 metri per
536 pali. Nei piani sottostanti la piazza vi sono due livelli seminterrati per
una superficie di 8.700 metri quadrati, adibiti a due sale auditorium, di 330 e
120 posti, utilizzabili anche dalle scuole circostanti per scopi formativi. Ci
sono poi i servizi con più aree di stoccaggio e laboratori per l’allestimento
delle mostre, l’accoglienza per i gruppi di visitatori, gli spazi per uso
temporaneo e gli spazi tecnici, come ambienti del personale, deposito e
banchina di scarico merci.
7.
Opaco e trasparente: la nuvola e la goccia
La nuvola propriamente detta è il corpo
dell’edificio costituito da 4 livelli sopra lo spazio pubblico e sembra
sospesa nell’aria. La percezione di leggerezza è dovuta alla struttura di vetro
e acciaio e di vuoto sottostante dove è lo spazio pubblico.
Tutto il corpo
sopra i pilotis si sdoppia in due elementi di cui uno verso la confluenza dei
due fiumi, verso sud, che è ricoperto da bianchi pannelli in acciaio
inossidabile, detto nuvola, mentre verso la terraferma il corpo è di vetro e
acciaio che, come un cristallo,
scende fino a terra all’ingresso, invitando ad introdursi all’interno. (Fig. 3)
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Fig. 3 - Il cristallo che si liquefà all’interno del museo.
Foto di Claudia Stivali (2018).
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“La nuvola, di superficie complessiva di 10 900 m2, è
costituita da una struttura metallica e di rivestimento in acciaio inox. Essa
comprende 4 livelli: il primo con 5 sale di esposizione temporanea; il secondo ha
4 sale di esposizione permanente, sale studio “pedagogiche”; il 3 livello
comprende l’amministrazione e spazi che possono essere affittati; il quarto
livello la terrazza e sala caffè.”. Vedute della città a 365
gradi si possono carpire da ogni pertugio vetrato, in ciascuno dei 4 livelli
della nuvola.
Il cristallo invece, visto dall’esterno, consiste
in una struttura continua di piani inclinati (di 40 metri quadrati di
superficie) che scendono, dalla copertura alla facciata, fino all’ingresso, con
differenti inclinazioni (Fig. 4). In quello di copertura, essa presenta nella parte
centrale all’area del museo, uno spazio tridimensionale curvo simile ad una goccia
che dall’esterno scende verso il basso, come se la superficie di copertura stia
liquefacendosi verso l’interno.
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Fig. 4 - Il museo verso la città: l’ingresso sotto il cristallo.
Foto di Claudia Stivali (2018).
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La goccia che cala
dall’alto, è fatta di acciaio e vetro strutturale. La goccia è visibile
dall’esterno sia da chi passeggia nel parco antistante, ad una certa
distanza, sia dal guidatore posto sulla strada proveniente da est, posta un po’
più in alto del livello di ingresso.
Concettualmente la
forma della goccia ricorda il nastro di Moebius o della bottiglia di Klein, non
ha soluzione di continuità tra esterno ed interno. Essa è davvero suggestiva non
solo per l’audacia dell’idea sul piano realizzativo e tecnologico (visto il
notevole peso complessivo di 650 tonnellate della nuvola), ma soprattutto
perché tale sforzo tecnologico ed economico è motivato dalla riuscita della
forza dell’immagine.
Essa
infatti suggerisce l’istante della liquefazione senza dare la percezione che il
tempo si sia fermato, lasciando cioè l’impressione della simultaneità tra due
sequenze temporali differenti: quello dello scorrere del tempo nella discesa
lavica del materiale ed il suo mantenere la materia solida. È come un video
clip che si reitera nella memoria, come se lo sguardo fosse risucchiato dalla
caduta e seguisse la caduta: si liquefà nell’istante in cui si guarda, senza
sciogliersi mai. L’azione si interrompe come si rialza lo sguardo alla
copertura per ricominciare a scendere giù lungo la dolcezza della curva fatta
di tasselli vetrati.
Il
pozzo è caratterizzato dall’architettura centripeta della goccia, che scende verso
l’interno, a forma di cono rovescio. Attorno ad esso confluiscono i percorsi
pedonali del foyer e quello curvo sospeso attorno allo stesso cono (fig. 5).
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Fig. 5 - Interni: Il cono rovescio del cristallo, percorsi interni.
Foto di Claudia Stivali (2018).
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La scala si
inviluppa attorno allo spazio di pilastri obliqui, a sostegno del corpo vetrato
della nuvola soprastante, una successione di gradini permette al visitatore di scalare in
altezza lo spazio di ingresso al livello superiore.
Da questa
successione di ingressi, al foyer e ai piani sopra, si può scoprire il panorama
della città di Lione, in un continuum di introspezione tra interno ed esterno.
Funzionalmente il cristallo è l’ingresso principale dove sono la reception e
l’intersezione del flusso di percorrenza dei visitatori della piazza coperta (fig. 6).
Il punto di appoggio del cono rovesciato sostiene le strutture metalliche e
stabilizza tutta la struttura del cristallo, che ha complessivamente una superficie di 1900 m2.
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Fig. 6 - Lo spazio pubblico coperto sotto la nuvola, rivestimento di pannelli in acciaio. Foto di Claudia Stivali (2018).
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8. La
struttura portante
Particolarmente
impegnativo è stato il processo di progettazione e realizzazione dei vetri che
rivestono la goccia: “tutti curvati a caldo, i vetri presentano diversi
livelli di curvatura. I 4 pannelli posti nella zona più in basso, vicino
all’estremità del cono, sono caratterizzati da un raggio di curvatura di 500
mm, tipica dei cockpit degli aerei ma certamente non per i vetri architettonici
di 4,5 metri di altezza utilizzati nel progetto” commentano dall’azienda.
La
realizzazione della complessa geometria, è sorretta da pilastri ad albero,
travi reticolari, di cui alcune appese, pannelli in vetro apribili, pianta
libera e rivestimento con una linea spezzata irregolare. La struttura
della vetrata del cristallo è in acciaio e pesa ben 650 tonnellate. In
particolar modo la liquefazione della copertura nella goccia è stata studiata
con l’ausilio del supporto digitale per l’aspetto strutturale e impiantistico.
Il pozzo a
gravità, alto ben 30 metri, è stato possibile grazie al calcolo tridimensionale
della struttura in acciaio
con 160 nodi speciali per l’ancoraggio dei pannelli vetrati. I vetri sono auto-riscaldanti,
per sciogliere la neve che altrimenti aumenterebbe la portata del carico. Tutto
l’interno ha una temperatura costante tutto l’anno, grazie ai sistemi di
protezione dai raggi solari e l’impianto di climatizzazione e raffrescamento.
9.
Gli spazi esterni
Lo spazio pubblico
sotto la nuvola, al livello di penetrazione, cioè di fruizione pedonale, sembra
essere stato progettato con l’idea di mantenere una compresenza di naturale e
artificiale, in un continuo rimando tra l’immagine di un molo, dunque un’opera
artificiale e di una piccola penisola naturale. La pavimentazione in cemento
bianco lascia spazio al giardino, accessibile anche di notte. Il giardino si
protende così verso il fiume con una sponda naturale verso la Saone, ad ovest.
Inoltre lo spazio è sia a cielo aperto che sotto l’ombra della nuvola opaca e
la veduta è comunque libera ad ovest, a sud e ad est. Dalla strada che
costeggia il museo dal lato ovest, anche il pedone può sentirsi sotto lo spazio
comune in quanto è visibile l’intradosso dei pannelli di finitura della
struttura portante del corpo opaco, aggettante in modo imprevedibile con
tasselli triangolari o quadrangolari, con tonalità di colori chiari.
Il giardino
pubblico, disegnato da Coop Himmelb(l)au, disegna percorsi per la passeggiata e
la sosta di relax tra gli spazi verdi (Fig. 7).
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Fig. 7 - Il giardino pubblico alla confluenza dei due fiumi.
Foto di Claudia Stivali (2018).
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Il
paesaggio urbano e il museo nel nuovo quartiere di Lyon-Confluence
Visto dall’alto, il
contesto fluviale, costituito da un paesaggio di aree ex-produttive e zone residenziali
di water-front più omogenee lungo il Rodano, è fortemente graffiato dai
tracciati delle infrastrutture viarie, viadotti, ponti sul fiume, strade locali
e assi di percorrenza veloce.
Il corso dei due
fiumi, il Rodano e la Saona, ci fanno riflettere sull’evoluzione insediativa
della città lungo le loro sponde. La storia urbana di Lione ricca di
testimonianze della memoria, dai tempi dei celti nel VI secolo a.C., ci rivela che era la prima
città della Gallia e tanto influente da
essere stata seconda a Parigi (oggi è la terza metropoli per estensione nella regione Rodano-Alpi, dopo
Marsiglia, ma è sempre la seconda per i servizi) di come tenga alta la dignità
della qualità di vita con la rigenerazione e l’efficienza tecnologico-ambientale
del quartiere di Lyon-Confluence in cui i nuovi quartieri ecosostenibili sono l’esempio
concreto dei numerosi contributi di professionisti attenti sia ai valori
simbolici che alla gestione delle risorse naturali e antropiche insieme.
La
storia della città è davvero ricca. Essa ha ricoperto l’importanza politica e
militare con i Romani, quella religiosa nel tardo medioevo, quella economica e
commerciale a partire dall’Umanesimo con i banchieri fiorentini qui fermatisi
per affari. Nel XVII-XVIII secolo fu sede del più grande centro commerciale
della Seta. Il suo sviluppo ripartì con l’impero napoleonico e con la città
industriale, crebbe anche la coscienza di classe per i diritti dei lavoratori:
tre rivolte prima dei moti del ‘48, che continuarono fino alla strage di sangue
ad opera dei militari, in difesa della casta dei nobili.
Ma
la crescita della città, a forte vocazione commerciale e produttiva, quindi fatta
anche di scambi culturali dal mediterraneo fino al nord Europa, iniziò in modo
massiccio con l’età industriale. L’inurbamento iniziato con la concezione del
Piano di Hausmann, seguitò fino al XX secolo. Nel periodo post bellico iniziò
la sfida con Parigi, con alcuni interventi sulla città a dimensione europea, come
con la creazione del quartiere d’affari di Part-Dieu. Nel 1970 fu creata una
nuova espansione in 5 comuni, in prossimità di Lione, per contenerne la
crescita urbana, L’Isle-d’Abeau. Dal 1980 si studiano e si realizzano sistemi
di servizi nei luoghi strategici della città, nel rispetto della conservazione
del patrimonio storico e culturale.
La
sua importanza strategica si deve alla posizione proprio nella confluenza della
Saona (anticamente chiamato Arar) e del Rodano: vie di commerci col mediterraneo sin dai tempi
dell’antichità che è stata la via d’accesso dall’Italia.
Essendo un polo di
attrazione ad ampio raggio d’influenza, la sua espansione impose un collegamento
ben organizzato col territorio. A fine ‘700 l’ingegnere e imprenditore Antoine
Perrache, rettifica e porta a regimazione il Rodano, per cui il punto di confluenza
è spostato di qualche chilometro più a valle, ricavando una striscia di terreno
di circa 200 ettari, destinata a depositi e attività industriali.
Nel
1832 fu costruita una delle prime ferrovie, che la collegava alla vicina città
di Saint-Étienne, poiché l’industria della seta esercitava forte attrazione
lavorativa; nel 1857 la nuova stazione di Perrache sviluppa la tratta ferrata
in direzione est-ovest e Lione viene separata nella sua parte nord, in una città
del benessere, con un nuovo centro della città moderna; e nella parte sud della
città, meno residenziale perché legata
al commercio del carbone e ad attività dell’industria chimica, con attività
portuali, di mercato all’ingrosso, con magazzini e due prigioni. Tale area
detta quartiere Perrache è comunemente chiamata oltre i sottopassi, perché vi sono gallerie sotto la ferrovia e in seguito anche l’autostrada(Fig. 8).
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Fig. 8 - La Saona sotto l'autostrada vista dalla sommità della nuvola.
Foto di Claudia Stivali (2018).
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Nel
1998 l’Autorità della Grande Lione si decide per un intervento di rigenerazione
della penisola tra i due fiumi, nell’obiettivo di duplicare il centro storico
posto sulla sponda del Rodano, rilanciando l’immagine di Lione a livello
internazionale. Tale decisione fu presa sulla base di una consultazione sugli
scenari possibili presentati da professionisti come l’urbanista Bohigas, l’architetto
Melot e la paesaggista Mosbach, risultato dalla partecipazione attiva al progetto
da parte della popolazione. Ma il masterplan non fu realizzato per le numerose
critiche ricevute. Fu affidata la revisione allo studio Grether-Desvigne e ne
fu decisa una diversa concezione: uno “schema direttore” che prevedeva più interventi autonomi con proprie tempistiche.
Nel
2004 il progetto vinse i finanziamenti del programma Europeo Concerto, (4
milioni di euro), realizzato in 2 fasi, sulle sponde della Saona a nord, e
lungo il Rodano a sud. Collocata in un luogo geograficamente strategico, “La
Confluence” ha attratto da subito investitori internazionali e grandi firme
architettoniche ai concorsi indetti, quali Coop Himmel(b)au, Odille Decq,
Jakob+MacFarlane, Kengo Kuma, Fuksas, Herzog & de Meuron e altri ancora, realizzando
all’interno di un’unica area, spazi residenziali, commerciali ed uffici, centri
culturali ed università con servizi sostenibili e innovativi.
L’area
del museo
L’area del museo è
appena fuori del perimetro di Lyon-Confuence, il museo realizza una porta
visiva da sud e ne rappresenta il punto di biforcazione, navigando verso il
centro della città. Con l’intervento di Coop Himmlb(l)au è stato innescato un
ulteriore spinta al processo di riattivazione in aree già urbanizzate e in via
di rigenerazione di quelle abbandonate e carenti per servizi.
Si
genera tra il centro vitale della città storica, localizzato poco più a nord
del museo, e i quartieri dei due fiumi, un luogo-cerniera, che ha la valenza di
piazza sociale e culturale. Sociale perché non è solo un luogo di incontro, ma
recupera anche un luogo di bellezza e di identità per lo spirito civico dei
lionesi, audaci e fermi nelle proprie posizioni politiche, ora legate al potere
forte (per la propria forza commerciale e finanziaria) ora in difesa dei
diritti dei lavoratori (come città operaia e produttiva) essa è stata centro
della Resistenza nella seconda guerra mondiale, che, grazie ai traboules, i
passaggi coperti interni agli edifici, permetteva delle vere e proprie vie di
fuga nascoste.
Il
museo è l’occasione per realizzare quindi una piazza culturale, celebrando in
modo sobrio e raffinato il prestigioso privilegio di Lione, di essere stata
riconosciuta patrimonio mondiale dell’umanità nel 1978 per i suoi 500 ettari di
estensione ed oggi il quartiere de La Confluence è considerato uno dei più
efficienti e all’avanguardia di tutta la Francia, riconosciuto ufficialmente
dal WWF come “quartiere sostenibile” nell’ambito della campagna “One Planet
Living”, il primo quartiere francese ad impronta ecologica ridotta.
Il museo è la
testata dell’intervento sulle rive della Saona attrezzate come una lunga
“promemade” dove iniziative ed eventi culturali invogliano i lionesi
a scoprire il nuovo quartiere. A sud, oltre alle
residenze, le nuove attività sono legate al terziario, alla cultura e
all’informazione al turismo, pur conservando edifici industriali dismessi e
restando ancora un’area produttiva. Le viste del museo dalla città sono
molteplici: in veloce movimento se su un mezzo di trasporto lungo l’autostrada
del sole o in mobilità dolce se a piedi o in bicicletta; può essere visto da
una discreta distanza o da vicino, dal parco lungo la riva del Rodano attraverso spazi
verdi o zone urbanizzate.
La
vista notturna si colora di luci calde e mostra l’effetto della sospensione
nell’aria dell’edificio e il suo zavorrarsi al molo. Alla luce diurna sembra un
battello che si è appena ormeggiato. Comunque la sua forma suggerisce l’idea di
un cambiamento di stato, o nel senso di movimento o di uno stato fisico, tra
solidità e liquidità. Una liquidità che rimanda ad un fluire di azioni
possibili e all’universo della scoperta e della conoscenza. Se possibile
sintetizzare il concetto di liquidità, diremmo che quando il flusso di dati
diventa un flusso di azioni e di incontri tra persone, non virtuali, ha
raggiunto il suo scopo. Occorre sottolineare come le trasformazioni siano state
concepite e realizzate da un’amministrazione pubblica ambiziosa, che ha saputo
gestire i lavori dei singoli edifici, in tempi brevi.
Architetture
nel paesaggio liquido
Come si inserisce
l’immagine di un edificio liquido in un contesto così ricco di elementi
diversificati e in relazione reciproca, con diversi volti di memoria storica,
inseriti in un sistema di rete di connessione così intimo tra tecnologia e
ambiente, tra azione attiva sul paesaggio e reazione individuale rispetto ai
cambiamenti che il mondo esterno ci mostra, tra la nostra percezione e la
nostra consapevolezza della realtà, tra il naturale e l’artificiale?
Noi
crediamo che il concetto di “liquido” in architettura non sia da relegare solo
ad alcune esemplificazioni legate alla forma e all’uso di mezzi digitali e di
nuovi materiali, ma, se proprio si ha necessità di utilizzare un termine
preciso, quale quello di liquido, questo debba essere innanzi tutto legato allo
scopo dell’idea generatrice della forma. Lo scopo è etico: fornire un servizio
alla persona. Essa non deve essere una narcisistica manifestazione autistica
del progettista, né una sorda proposta di un non-luogo.
Un’architettura,
liquida o meno, riesce a diventare patrimonio comune di tutti i cittadini, residenti,
pendolari o turisti, quando è riconoscibile la sua ragione d’essere in quel contesto,
quando viene introiettata sul piano simbolico, quando è al contempo funzionale
e bella. Dunque si profila una domanda: forse che il paesaggio non abbia già
tutto ciò che è stato definito come “liquido” da Baumann, per sua stessa natura?
Forse che noi oggi, stiamo imparando a leggere la complessità del paesaggio
nella sua liquidità senza per questo codificare l’architettura?
Conclusione
Se già con la
comunicazione interattiva da casa è possibile anticipare l’apprendimento di
informazioni riguardo il museo, sia come luogo che come contenuti didattici, le
possibilità dovute al mondo digitale assumono il plus valore di invogliare a
sperimentare e a verificare di persona il luogo del museo come fatto sociale, come
un diritto alla condivisione. Il sito del museo stimola infatti ad un percorso
di navigazione in modo iterato, grazie alla sua essenzialità. Gli innovativi
concetti di luogo, di tempo e di informazione, stimolano alla ricerca e all’ampliamento
della gamma di possibilità anche nel linguaggio architettonico.
È da segnalare, che
il museo è stato oggetto di una raffinata satira da parte di due giovani, un
designer e un illustratore, che insieme hanno prodotto un fotomontaggio grafico
dell’area del museo, con, al suo posto, un edificio fatto con un origami
gigantesco, un fuori scala. Il fatto ci sembra significativo,
perché dimostra quanto forte sia stato il segno formale e la mission del museo, in quanto
attivatore di un preciso programma sociale e del suo segno formale.
La
produzione ibrida di video, allestimenti, installazioni e sculture spesso
mescola la comunità urbana alla web community. Così, con il mix tra hub
digitale, ristorante e terrazza panoramica sui fiumi, tra piazza e giardino e
tra natura e cultura, il Musée des Confluences è uno spazio espositivo
concepito per essere il nuovo landmark della città: rappresenta un’isola del
sapere e un legame con il senso della creatività umana (Fig. 9).
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Fig. 9 - Il museo visto dall'autostrada: un nuovo landmark per Lione.
Foto di Claudia Stivali (2018).
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La natura umana,
il valore dell’identità, supportato dalla curiosità e dalla conoscenza ci
conducono coscientemente alla ricerca della bellezza anche e, forse ancor di
più oggi, nell’era del digitale. «Il compito più grande non sarà quello di
imporre la scienza alla poesia, ma di ridare poesia alla scienza».
Il Musée des
Confluences
Credit:
COMMITTENTE:
Comune di Lione, Dipartimento del Rodano; SERL (rappresentante) concorso 2001
PROGETTO
ARCHITETTONICO: Coop Himmelb(l)au - Wolf D. Prix (capogruppo) 2011/2014
PROGETTO
ARCHITETTONICO LOCALE: Pabiarche & co (pianificazione); Tabila Rasa
(progetto esecutivo); Chabanne & Partenaires (project management)
PROGETTO
STRUTTURALE: B+G lngenieure - Bollinger und Grohmann (progetto generale); Coyne
et Bellier, VS_A (progetto esecutivo)
IMPRESA:
Vinci
COSTRUTTORE:
METAWCO; SMB; Permasteelisa (cristallo); SMAC (rivestimenti della nuvola)
FOTOGRAFIE:
Sergio Pirrone (fotografie dell’opera), Hubert Canet Ballolde Photo (cantiere),
Coop Hlmmelb(l)au (cantiere)
APERTURA
AL PUBBLICO: 20 dicembre 2014
TEAM
Planning:
COOP HIMMELB (L) AU Wolf D.
Prix & Partner ZT GmbH
Design Principal: Wolf D. Prix
Project Partner: Markus
Prossnigg
Project Architects: Mona Bayr,
Angus Schoenberger
Design Architect: Tom Wiscombe
Project Coordination: Thomas
Margaretha, Peter Grell
Project Team Vienna:
Christopher Beccone, Guy Bébié, Lorenz Bürgi, Wolfgang Fiel, Kai Hellat, Robert
Haranza, Joerg Hugo, Alex Jackson, Georg Kolmayr, Daniel Kerbler, Lucas Kulnig,
Andreas Mieling, Marianna Milioni, Daniel Moral, Jutta Schädler, Andrea
Schöning, Mario Schwary, Markus Schwarz, Oliver Tessmann, Dionicio Valdez,
Philipp Vogt, Markus Wings, Christoph Ziegler
Project Team Lyon: Patrick
Lhomme, Francois Texier, Philippe Folliasson, Etienne Champenois, Alexandru
Gheorghe, Niels Hiller, Emanuele Iacono, Pierre-Yves Six
Consultants:
Local Architects:
Planning: Patriarche & Co,
Chambéry/Lyon, France
Execution: Tabula Rasa /
Grégory Perrin, Lyon, France
Project Managerment: Chabanne
& Partenaires, Lyon, France
Construction Survey Lyon:
Debray Ingénierie, Caluire et Cuire, France
Costs: Mazet & Associés,
Paris, France / CUBIC, Lyon, France
Structural Engineering:
Design: B+G Ingenieure,
Bollinger und Grohmann GmbH, Frankfurt, Germany
Executive: Coyne et Bellier,
Lyon, France / VS_A, Lille, France
HVAC: ITEE-Fluides, Arnas,
France
Security Fire Consultation:
Cabinet Casso & Cie, Paris, France
Acoustics: Cabinet Lamoureux,
Paris, France
Media Consulation: Cabinet
Labeyrie, Paris, France
Lighting Consultation: Har
Hollands, Eindhoven, Netherlands
Landscape Design: EGIS
aménagement, Lyon, France
SITO
UFFICIALE
Museo delle
Confluenze: http://www.museedesconfluences.fr/
Coop Himmelb (l) au: http://www.coop-himmelblau.at/
Architetto Wolf
Prix: http://www.coop-himmelblau.at/studio/wolf-d-prix/
Fonte dei Credit: http://www.promozioneacciaio.it/cms/it6615-musee-des-confluences.asp
NOTE
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SAGGIO, Architettura e modernità: Dal
Bauhaus alla rivoluzione informatica, Roma, Carocci, 2010, pp. 339-350
DE FRANCESCO - GHAZI - SANTARELLI 2014, pp. 51
nota 13 cit. Deleuze, Guattari; 151 nota 37 cit. Marotta
Irene MENNINI, Dissertazioni
sui diagrammi, Corso di progettazione architettonica assistita > approfondimenti > Dissertazioni sui diagrammi, visitato nel mese di maggio 2017, http://web.tiscali.it/irene_mennini/Approfondimenti/Dissertazioni%20sui%20diagrammi.htm; Cfr. Antonino SAGGIO, Da
Alexander Klein a Ben van Berkel: dal modello oggettivo al modello
diagrammatico per comprendere un capolavoro degli anni Duemila, in UNStudio diagramma
struttura modello pelle ibridazione, Roma, Lulu, 2015, pp. 16-25; A. Marotta, La prospettiva rovesciata di UN Studio, Torino, Testo & Immagine, 2003, cit. in SAGGIO 2015
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MNAC convergence conisme, visitato nel mese di maggio 2017, http://www.conisme.com
LIONE
LIONE, Francia, Guida alle città francesi > Lione, visitato nel mese di maggio 2017, http://www.francia.be/lione.html
STORIA
Storia di Lione, Informagiovani-italia, visitato nel mese di maggio 2017, https://www.informagiovani-italia.com/storia_lione.htm
Vedi anche nel BTA:
USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA
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