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Astrologia, Storia e Virtus in Giorgione e Giulio Campagnola  
Francesco De Santis
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 21 Novembre 2018, n. 
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Il Fregio delle arti liberali e meccaniche in casa Marta-Pellizzari a Castelfranco, databile al 1502-1503 e attribuito dalla maggioranza della critica a Giorgione e collaboratori, sviluppa tra i diversi temi, quello dell’astrologia, che è certamente il più significativo dell’intera decorazione ad affresco, poiché ne occupa circa un terzo.



La sezione dedicata al mondo celeste si apre con un’ampia sfera popolata di stelle e dei simboli del Sole e della Luna, dei Pesci, dell’Ariete e della Bilancia  (fig. 1): Figura n. 1la singolare disposizione degli astri, collocati sulla superficie del globo secondo un andamento a semicerchio, terminante in due curiose propaggini verticali disposte quasi parallelamente, sembra suggerire l’idea che la composizione non sia maturata dalla pura immaginazione artistica di Zorzi, ma che piuttosto questi abbia tratto ispirazione da reali costellazioni raffigurate in libri di materia astronomica del tempo, se non dall’osservazione diretta dei cieli veneti nelle ore notturne, suggestione quest’ultima, per quanto carica di romanticismo, certamente non impossibile.




La sfera armillare (fig. 2), Figura n. 2disegnata con spietata precisione ed estrema abilità nella resa della forma tridimensionale, conferma d’altra parte la familiarità dell’autore con precisi modelli figurativi, desunti proprio da certe opere scientifiche particolarmente diffuse in area veneta: la figura è infatti ripresa pedissequamente – l’anello dello Zodiaco presenta addirittura il medesimo grado d’inclinazione, ma soprattutto il cartiglio alla base che cita il titolo dell’opera – dalla sfera armillare che compare nella Sphaera mundi, di John Holywood (fig. 3), Figura n. 3 italianizzato in Giovanni Sacrobosco, astronomo e matematico inglese del XIII secolo, stampata a Venezia in almeno otto edizioni a partire dal 1478, a dimostrazione della larga popolarità di cui godeva in quell’area geografica a cavallo tra Quattro e Cinquecento.

Dalla versione del 1482 sono estrapolate anche le altre immagini che si susseguono, come in una summa visiva della scienza astronomica, sulla parete di Castelfranco: le eclissi lunare e solare, uno schema geometrico con due cerchi sovrapposti e altri complessi modelli che esemplificano posizioni e movimenti dei corpi celesti.

Tra le figure di questi strumenti si dispiegano alcune tabelle, decorate di nastri posti specularmente, come negli stemmi araldici, in cui campeggiano antiche massime, che suonano come autentici moniti e richiedono di essere logicamente interpretate in stretta relazione col tema descritto dalle immagini.

Nella prima di esse è scritto che «Umbre transitus est tempus nostrum» (fig. 4): Figura n. 4 il passo è ripreso dal Libro della Sapienza (II,5) e si colloca in quel corposo filone di sentenze sulla fugacità del tempo che dalla più remota antichità, con gli esempi di Virgilio1 e del celebre Carpe diem oraziano, fino alla non meno nota Canzona di Bacco di Lorenzo de’ Medici, scritta una decina d’anni prima degli affreschi di Castelfranco, vantava una tradizione pressoché ininterrotta. La seconda, ripresa da Sallustio e separata dalla prima sentenza da un medaglione ovale in cui è ritratto un vecchio barbuto e inturbantato, avverte che «Sola virtus clara eterna que habetur»2, mentre le ultime due, anch’esse interpolate come la prima coppia, da un clipeo recante l’effigie di un anziano con barba lunga e copricapo di foggia ebraica, riportano: «Qui in suis actibus ratione duce diriguntur iram celi effugere possunt» e «Fortuna nemini plus quam consilium valet»3.

I concetti veicolati dai quattro motti sono strettamente concatenati, per cui devono essere ragionevolmente compresi in termini di consequenzialità: dunque, se il tempo dell’esistenza umana è transitorio come il passaggio di un’ombra, la virtù è invece eterna, perciò coloro che dirigeranno le loro azioni secondo ragione potranno scampare all’ira del cielo perché per nessun uomo la fortuna vale più del senno.

Il programma decorativo fu certamente suggerito, in modo anche piuttosto circostanziato, da una personalità appartenente a una di quelle ristrette élites intellettuali dell’Umanesimo veneto, alle quali Zorzi da Castelfranco era molto vicino4, imbevuta di una cultura non solo letteraria, qui orgogliosamente sfoggiata nelle tavolette coi motti in latino, ma anche sedotta da conoscenze astrologiche più che scientificamente astronomiche, poiché come sottolinea Augusto Gentili «in quest’epoca l’indagine “astronomica” è integralmente funzionale alla previsione “astrologica”»5.

Infatti è in un coevo trattato di predizioni celesti che può essere identificato uno dei principali moventi del brano astrologico di Castelfranco, il Dialogus in astrologiae defensionem cum vaticinio a diluvio usque ad annos 1702 di Giovan Battista Abioso, medico, matematico e astronomo campano, stampato presso il veneziano Franciscum Lapicidam nel 1494.

In esso l’autore designa, sulla base dei propri calcoli, il 1503, il 1524 e addirittura il 1702, come anni infausti, e proprio nel globo che introduce la sezione astrologica del Fregio, Gentili6 individua una rappresentazione della grande congiunzione astrale di Saturno, Giove e Marte in Cancro, prevista per il 1503-1504: un’osservazione che autorizza a ritenere che la realizzazione dell’intero Fregio fosse stata in qualche modo “imposta” dall’inquietante scadenza della sciagura vaticinata nel Dialogus, quasi a volerne esorcizzare il timore, sublimandola nelle forme ideali di un ciclo decorativo.

Questa grande congiuntura, che tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo si ripeteva ogni venti anni, era ritenuta foriera di tremende calamità, come testimonia anche una xilografia di Dürer, raffigurante un uomo dall’espressione sofferente, martoriato di disgustose pustole, sul cui capo pende un globo coi segni zodiacali e il raggruppamento di Sole, Luna e quattro pianeti nello Scorpione (fig. 5). Figura n. 5

L’Abioso, che a Treviso dirigeva tra il 1497 e il 1499 una rinomata scuola di astrologia, aveva un cospicuo seguito di discepoli e godeva di una profonda stima tra gli abitanti del luogo, come testimoniano la stesura del Divinus tractatus terrestrium et coelestium trutina portata a termine il 5 febbraio 1498 e stimolata, secondo le stesse parole dell’autore, dall’entusiasta insistenza dei suoi allievi e dei cittadini trevigiani, e la pubblicazione di un Vaticinium per l’anno 1499, redatto da alcuni suoi allievi secondo le direttive scientifiche del maestro, nonché un lusinghiero ritratto dell’autorevole astrologo Luca Gaurico che nel 1507 manifestava la propria ammirazione per le competenze astrologiche dello studioso campano. La notevole considerazione di cui beneficiava una personalità come Giovan Battista Abioso attesta il grado di serietà con cui la tradizione astrologica veniva accolta dalla società contemporanea e specialmente dagli umanisti, animati da un lato dal desiderio di ampliare le proprie conoscenze, tradizionalmente letterarie e filosofiche, e dall’altro versante, psicologicamente sensibili all’inquietudine suscitata dai pronostici celesti.

Il Fregio di Castelfranco fornisce una testimonianza unica e preziosa di questa particolare predisposizione umanistica verso l’astronomia e le sue finalità astrologiche, perché se le meticolose raffigurazioni degli eventi cosmici e dei complicati strumenti per decifrarli palesano la scrupolosa attenzione e il vivo interesse del dotto committente verso questa scienza, gli adagi riportati nelle tabelle fungono come una sorta di antidoto morale alla negatività degli eventi terreni determinati dalle nefaste congiunzioni astrali, poiché se queste ultime sono ineluttabili ma comunque transeunti, ciò che resiste nella sua immanenza universale e infallibile è la Sapienza degli antichi, che perciò deve essere ricordata saggiamente e con ferma perentorietà, attraverso motti antichi scritti in capitale quadrata, come nelle epigrafi romane destinate a durare per l’eternità - così che sarebbe forse più appropriato definirli “incisi” - e collocati alle estremità della sezione astrologica, a conchiuderla e a ribadire la superiorità di certi princìpi virtuosi: una precisa scelta formale e compositiva, perfetta sintesi di un’identità tra forma e contenuto mirata a sottolineare la supremazia e l’assolutezza, metastorica, della cultura umanistica e dei suoi insegnamenti sulle asperità degli accidenti storici.

Non è infatti casuale la raffigurazione, immediatamente dopo la coppia di immagini che chiude il brano astrologico, di due alabarde incrociate che inquadrano un elmo (fig. 6), Figura n. 6 chiari riferimenti al tema della guerra, perché la collocazione di questa chiarissima allusione, che dà luogo a un vero continuum della sezione precedente, in questa parte del Fregio, vuol significare, come osserva ancora Gentili7 che le guerre sono incoraggiate dalle ostili condizioni celesti e dalle ingannevoli profezie di certi astrologi di corte, ciarlatani privi di studio, “superstiziosi sofisti” come li giudica l’Abioso nel Dialogus, contrapponendogli Tolomeo e Albumasar, tanto l’uno quanto l’altro ragionevolmente identificabili nel ritratto clipeato del vecchio arabo col turbante8.

L’interpretazione in chiave storico-pessimistica della decorazione astrologica di Castelfranco è incoraggiata dalla particolare situazione politica in cui si trovavano Treviso e di riflesso i centri minori della Marca, notevolmente delegittimati sin dalla riforma deliberata dal Senato veneziano nel 1407, che aveva determinato un sostanziale esautoramento dei poteri esecutivi delle autorità locali, ridotte a organi meramente consultivi subordinati alle direttive della Dominante, per cui la popolazione della terraferma di questa area, poteva rintracciare nei venefici influssi siderali pronosticati dall’Abioso, che come abbiamo visto in area trevigiana godeva della massima ammirazione intellettuale, l’annuncio dei prolungati effetti della perdita dell’antica sovranità municipale, verosimilmente messaggeri di nuove sciagure politiche, come quella di natura non più solamente cittadina, ma “nazionale”, che da lì a un anno sarebbe stata già idealmente sancita dalla costituzione della Lega antiveneziana di Cambrai (1504), premessa della terribile disfatta di Agnadello del 1509. Pertanto è plausibile che il committente del Fregio di Casa Marta-Pellizzari fosse una personalità non solo imbevuta di una profonda cultura umanistica, incline alla passione astrologica, ma anche particolarmente integrata nella vita politica di Castelfranco, nella quale infondere la virtus che fu di Alessandro Magno, verosimilmente identificabile nello sbiaditissimo ritratto di profilo posto tra le due tabelle che segnalano la parte “bellica” del Fregio.

Nello stesso anno della sconfitta militare di Agnadello, il padovano Giulio Campagnola, amico e sodale di Giorgione, realizzava la sua più celebre incisione, l’Astrologo (fig. 7).  Figura n. 7

Adagiato scalzo sul morbido terreno erboso, un vecchio di aspetto davvero giorgionesco9, col volto barbuto e la testa calva, vestito di un’ampia tunica sormontata di scapolare, è intento a calcolare una congiunzione astrale puntando un compasso su una sfera, dove sono riportati i simboli del Sole, della Luna e della Bilancia, e dall’alto in basso i seguenti numeri: 3, 21, 40, 43, 50 e la data 1509 (fig. 8). Figura n. 8 Alle sue spalle un tronco mozzo e ancor più dietro un arbusto rigoglioso che protende i suoi rami verso l’alto. Sullo sfondo una magnifica veduta di una città protesa sul mare e in primo piano, dal lato opposto a quello dell’anziano sapiente, una mostruosa creatura con coda di rettile, minacciose zampe unghiute e muso a becco, e un teschio con le ossa incrociate.

Diverse le interpretazioni critiche intorno a questo enigmatico bulino. Secondo Wind10 la figura dell’astrologo sarebbe una metafora dello scorrere del tempo, mentre il mostro rappresenterebbe il diavolo e il teschio con le ossa incrociate la morte; Guidoni11 ritiene che la previsione del vecchio saggio sia di pestilenza, simboleggiata dalla città desolata e dall’orrendo animale che emerge dalle acque insalubri, collocando l’incisione nel 1508, quando il contagio della peste infuriava a Padova; Giuseppina Dal Canton12 identifica il protagonista nella figura di un astrologo-alchimista impegnato a decifrare gli influssi delle stelle sui fenomeni naturali, valutando il segno della Bilancia come un’allusione all’equilibrio tra Bene e Male e il mostro alato come un richiamo al drago sconfitto da San Giorgio, poiché è sotto le spoglie di quest’ultimo che è talvolta rappresentato l’alchimista; molto circostanziata la versione di Carradore13 che suppone che l’astrologo stia calcolando una minore congiunzione astrale di Sole e Luna in Bilancia prevista per il 13 settembre 1509 alle ore 21 e 40, mentre le cifre 43 e 50 sarebbero un cenno alla città di Bologna, allora importante centro di previsioni astrologiche; Holberton14 e Gentili15 propendono invece per una spiegazione in chiave più concretamente storica, affermando che la data 1509 sia un preciso riferimento proprio alla disfatta militare di Agnadello, evocata dal teschio e dal tronco disseccato.

Se la ricchezza di elementi – il globo coi numeri e i segni celesti, l’orribile mostro, il teschio, il tronco secco – particolarmente convenienti ad un’interpretazione puramente simbolica e idealistica della scena, spinge ad accettare come ragionevoli le spiegazioni critiche (Wind, Dal Canton), che valutano l’Astrologo come un criptico riferimento a concetti universali e metastorici (la morte, l’alchimia), il panorama lagunare dello sfondo riporta la questione su un terreno decisamente più perimetrato in termini reali. La spettacolare città galleggiante, con due cupole gemelle che svettano sulle case, dietro un palazzo signorile, non può che essere Venezia, con la Basilica di San Marco e il Palazzo Ducale, i più potenti segni urbani della sua identità, e la citazione nel medesimo contesto di questa veduta, della cifra «1509», difficilmente può qualificarsi come segno diverso da quello del richiamo alla pagina più funesta della storia contemporanea della Serenissima, cioè la dolorosa disfatta di Agnadello contro la Lega di Cambrai del 14 maggio 1509, a causa della quale la Repubblica veneziana perse gran parte dei suoi possedimenti sulla terraferma, per cui l’esegesi che individua nell’Astrologo un ermetico ricordo di questo importante evento storico deve essere preferita ad altre, che pure conservano validi spunti di ragionamento, alcuni dei quali certamente contestualizzabili anche nel quadro dell’ipotesi “storico-politica”, come ad esempio quella di Wind, poiché i particolari della bestia ripugnante valutata come immagine del diavolo e quella del teschio, come un simbolo ovviamente di morte, ben si attagliano allo scenario catastrofico che si era venuto a definire in seguito alla sconfitta militare veneziana. Assolutamente non sottovalutabile è inoltre il fatto che questa è l’unica incisione datata nella produzione del Campagnola, segnale importantissimo che consolida la convinzione secondo cui l’autore ha voluto sottolineare un preciso momento storico, una svolta epocale, in senso fortemente negativo, destinata a lasciare un segno profondo nella coscienza della società veneta del tempo e specialmente dei suoi intellettuali più sensibili, in costante e drammatico bilico tra l’aspirazione ad un otium ideale e serenamente distaccato dalla tragica contingenza degli eventi politici e la ragion di Stato che chiamava all’adempimento dell’impegno civile, come certifica in termini emblematici un passaggio delle Leggi della Compagnia degli Amici16, ristretto cenacolo umanistico di cui facevano parte Pietro Bembo, Trifone Gabriele, Vincenzo Quirini e Nicolò Tiepolo che stabiliva che il rispetto delle «guerreggianti patrie»17 doveva precedere il sentimento di «amistà» tra i sodali.

Da un personalità come Giulio Campagnola, il grave evento della primavera del 1509 doveva essere percepito non solo naturalmente attraverso lo sguardo del semplice cittadino della Repubblica veneta, cioè dal punto di vista più immediatamente sociale e politico, ma soprattutto in termini più individuali e intimistici, come una sorta di giustificazione storica al proprio modello di vita, particolarmente incline alla coltivazione degli studi umanistici e quindi di un otium di matrice davvero bembesca – e non è affatto escluso che alcune delle opere più intellettualmente sofisticate del patavino fossero destinate proprio a quei patrizi veneziani orbitanti attorno alla Compagnia18 - secondo cui l’unica alternativa per sopravvivere ai veleni del mondo era la profonda dedizione alla cultura, perciò anche una tragedia come la caduta di Agnadello, eclatante dimostrazione della precarietà della vicenda umana, poteva ed anzi doveva essere scongiurata e neutralizzata, attraverso la ricerca del sapere, incoraggiando il desiderio di leggere nella figura del vecchio astrologo, intento alla speculazione scientifica e incurante dell’orrendo mostro, metafora della guerra, che incombe ai suoi piedi, una proiezione ideale e spirituale dello stesso Giulio.

Figura n. 9 

Dieci anni dopo, un anonimo artista realizzava un’interessantissima xilografia per il frontespizio del Liber in judiciis astrorum di Albohazen Haly (fig. 9), chiaramente ispirata all’Astrologo del Campagnola. La presenza di una cicogna sulla guglia di un edificio sullo sfondo, che è la riproposizione dell’immagine di Palazzo Ducale, ma soprattutto di altri uccelli della stessa specie in volo verso l’alto, è stata acutamente indagata da Piermario Vescovo19 che ha individuato in un paragrafo, significativamente titolato Vigiliae speculationis, degli Hyeroglyphica di Pierio Valeriano, il significato allegorico correlato a questa particolare scena, che è di sventura, perché secondo questo trattato le cicogne che abbandonavano gli spazi alti che custodivano, predicevano la rovina di una città, situazione confermata nella xilografia dalle minacciose nubi che si addensano nel cielo alle spalle dell’astrologo, segno inequivocabile e invero anche un po’ banale, utilizzato per alludere a infausti presagi, ulteriore riprova del valore pessimistico connaturato alle profezie del tempo.

Figura n. 10La tematica astrologica veniva affrontata in quegli anni anche da un anonimo Monogrammista PP, in una sua incisione nota come il Trionfo della Luna (fig. 10), esposta alla recente mostra veneziana dedicata ad Aldo Manuzio20, in cui la critica21 ha letto una raffigurazione dell’effetto sugli esseri umani, ritratti dormienti, dei soporiferos radios della Luna descritti da Giovanni Pontano negli Orti delle Esperidi, opera pubblicata proprio presso l’Accademia Aldina nel 1505. La particolare tecnica incisoria adottata dall’artefice del bulino, caratterizzata da un largo uso del punteggiato, la cui ideazione è rivendicata proprio al Campagnola, frequentatore del Manuzio, induce a supporre la diretta trasmissione di questo metodo dall’artista padovano al Monogrammista PP, all’interno di un contesto, non solo meramente artistico ma più estesamente intellettuale, dove il fascino per la materia astrologica doveva essere piuttosto diffuso se da un’opera come quella pontaniana veniva tratto il passo sugli influssi della Luna ed eletto a soggetto di una creazione artistica informata a uno stile così apprezzato negli ambienti più colti, come erano quelli cui appartenevano gli ammiratori delle creazioni campagnolesche.

La propagazione delle tematiche astrologiche in queste testimonianze artistiche del primo Cinquecento, unitamente alla profusione di opere letterarie alle quali erano talvolta direttamente ispirate, come nel caso del Fregio di Castelfranco, certifica la non occasionalità dei contatti tra il mondo dei letterati e quello delle scienze più propriamente intese, restituendo l’immagine di un Umanesimo veneto non esclusivamente intriso di studi classici, i quali però fornivano pur sempre gli universali modelli di virtus per scampare alla maledizione delle stelle.

NOTE

1 «Sed fugit interea, fugit inreparabile tempus», Virgilio, Georgiche, III, 284.

2 Sallustio, De Catilinae coniuratione, I.

3 Publilio Siro, Sententiae.

4 Così Vasari nella seconda edizione delle Vite (1568): «[…] egli sonava e cantava nel suo tempo tanto divinamente che egli era spesso per quello adoperato a diverse musiche et onoranze e ragunate di persone nobili». A proposito della più che presunta passione musicale di Giorgione, ricordiamo che nella parete opposta alla sezione astrologica del fregio si celebra, tra le arti liberali, proprio la musica, con la rappresentazione di diversi strumenti, come il liuto, il tamburello e la ghironda.

5 Gentili 1999, p. 10.

6 Ivi, pp. 12-13.

7 Ivi, p. 14

8 Più problematica invece l’identificazione dell’anziano ebreo, per il quale è stata avanzata l’ipotesi del provenzale Gersonide, che nel XIV secolo scrisse degli influssi degli astri e delle difese dell’intelletto e nel 1345 redasse una catastrofica previsione celeste.

9 Il volto dell’astrologo è straordinariamente simile a quello del San Giuseppe della Natività Allendale di Giorgione del 1504 circa.

10 Wind 1969, pp. 6, 27.

11 GUIDONI 1996, p. 20.

12 DAL CANTON 1977.

13 CARRADORE 2009, p. 456, n. 71.

14 Holberton 1996, pp. 399-400.

15 Id., p. 14.

16 La definizione è stata formulata da Carlo Dionisotti, che ne ha ricavato il titolo dal contesto del manoscritto, il ms. S. 99 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano. In Pietro Bembo, Prose e Rime, a cura di C. Dionisotti, Torino, UTET., 1960 I ed., 1966 II ed. accresciuta, pp. 699-703.

17 Ivi, p. 701.

18 Incisioni come il Saturno e il Ratto di Ganimede, esprimono ermeticamente concetti come quello della vita intellettuale ritirata e delle teorie neoplatoniche, assolutamente coerenti con il clima culturale in cui maturarono gli Asolani.

19 VESCOVO 2011, p. 66.

20  19 marzo 2015 – 31 luglio 2016, Venezia, Gallerie dell’Accademia.

21  CALLEGARI 2015.

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