Negli
ultimi anni assistiamo a una diffusione sempre più ampia e rapida
delle nuove tecnologie nei musei ed è indubbio che esse
rappresentino, per le istituzioni culturali in genere, una grande
opportunità1.
È persino troppo evidente quanto beneficio abbia portato alla
conoscenza del patrimonio culturale la loro ampia disponibilità:
dalla catalogazione digitalizzata del patrimonio artistico alle
tecnologie applicate al restauro, alla possibilità di rendere
pubblica (per fini di ricerca e studio, ma anche solo di diletto) la
conoscenza delle raccolte pubbliche o private, alla nuova capacità
comunicativa e di promozione di cui siti e luoghi culturali
dispongono, fino alla possibilità di visita virtuale di musei o
luoghi nei quali non si ha la possibilità di recarsi fisicamente.
Nei
musei, le tecnologie sono destinate ad un uso piuttosto esteso, in
quanto il loro impiego è sotteso all’intera organizzazione del
lavoro2.
Sul fronte del loro utilizzo nell’ambito della comunicazione
esterna delle proprie collezioni e della capacità di incidere sulla
diffusione della conoscenza e sull’apprendimento del pubblico, la
ricerca di nuove soluzioni tecnologiche non può non porsi degli
orizzonti chiaramente definiti, a pena della sua finale inefficacia.
Cosa
ci proponiamo di ottenere con l’ingresso delle tecnologie al museo?
Incremento dei visitatori, possibilità di fruizione a distanza,
aumento della visibilità e accessibilità del museo, rinnovamento e
snellimento delle pratiche organizzative, sono tutti obiettivi più
che leciti e per i musei più fortunati, in via di conseguimento. Il
punto è all’attenzione anche della Comunità Europea, laddove, in
una raccomandazione del 20153,
invita ad un uso delle tecnologie che non sia alternativo alla
fruizione diretta del bene né alle tradizionali forme di promozione
culturale.
L’aspetto
importante, a mio parere, è che le tecnologie consentano di
aggiungere significato alla fruizione del museo. Credo pertanto che
la più grande delle scommesse sia essere capaci di orientare, con
efficacia, l’impiego delle tecnologie all’apprendimento e di
farne un uso all’interno dello stesso ambiente museale e non
sostitutivo alla visita, né meramente accessorio ad essa.
Il
punto centrale su cui porre la riflessione è di conseguenza se
effettivamente, quanto e a quali condizioni le nuove tecnologie
possano favorire l’apprendimento4
all’interno del museo.
Operiamo
nei musei in anni in cui è oramai ampiamente condiviso un approccio
incentrato sull’utente, inteso neanche più come un insieme di
persone a cui rivolgersi, ma addirittura come un singolo individuo,
al cui personale stile di apprendimento si intende corrispondere5.
Si celebra il museo come un luogo finalmente non autoreferenziale,
capace di generare una relazione col proprio pubblico, dalla quale
venga prodotta nuova cultura, in uno scambio paritetico tra le due
parti.6
Mezzo
privilegiato di questo scambio sono sempre più viste proprio le
nuove tecnologie, in quanto strumento diffuso, utilizzato e per lo
più amato fuori dal museo, e particolarmente familiare al pubblico
giovanile, il più notoriamente difficile da avvicinare per una
istituzione museale7.
La
direzione intrapresa induce ad esaltare sempre di più due aspetti
del museo: la sua capacità attrattiva, che trova nelle tecnologie un
fortissimo alleato, e la sua capacità di coinvolgere il pubblico
attraverso le proprie narrative, emozionandolo e rendendolo
partecipe.
Indubbiamente,
ciò fa parte di una rinnovata visione del museo, necessaria ed
auspicabile, a patto però che sappia non trascurare un aspetto
altrettanto importante, che sembra perdere terreno nella generale
considerazione. Il museo, qualsiasi museo, è detentore di un sapere
molto specifico, strettamente legato alle sue collezioni e alla sua
missione culturale e non può e non deve dimenticare di farsi sempre
– con qualsivoglia strumento – promotore della diffusione di
quella specifica conoscenza, altrimenti non acquisibile altrove. Il
segno di questa trasmissione dovrà anche essere rigorosamente
scientifico, senza che per questo il museo venga bollato come
autoreferenziale.
L’accento
spesso posto sul museo come luogo dell’esperienza va dunque
ricondotto non solo agli aspetti sensoriali ed emotivi più
frequentemente richiamati, che talvolta tendono a degenerare
nell’idea del museo come luogo di semplice intrattenimento, quanto
piuttosto alla capacità di tradurre l’esperienza in nuovo e
significativo apprendimento8.
È
questa la vera sfida a cui siamo chiamati, e la risposta all’esigenza
di rinnovamento non sta semplicemente nel promuovere al massimo l’uso
di tecnologie, quanto invece nella capacità di saperle utilizzare
come strumenti efficaci per l’apprendimento9.
La spinta sulle tecnologie, in effetti, espone i musei al rischio di
rincorrere una modernità vuota. Spesse volte i prodotti tecnologici
sembrano limitarsi a sollecitare lo stupore di una visione, riflessi
emotivi, feedback condizionati, o puro e semplice
intrattenimento,
senza positive ricadute in termini di apprendimento.
Per
non incorrere in questo rischio di superficialità, è necessario che
i contenuti educativi siano studiati con la stessa attenzione
pedagogica e analogo iter progettuale delle attività educative che i
musei normalmente progettano, anche senza l’uso di tecnologie. Una
buona prassi, a tale scopo, è quella di promuovere team
di diverse
professionalità, che comprendano, accanto agli esperti della
disciplina di riferimento, pedagogisti ed educatori museali e non
solo tecnici informatici o makers10.
Oltre
all’aspetto contenutistico, poi, ritengo che vada studiato un
utilizzo delle tecnologie funzionale allo scopo. È indubbio,
infatti, che delle tecnologie, anche delle più avanzate, si possa
fare un uso assolutamente passivo e tradizionale, senza apportare
alcun beneficio al museo sotto il profilo del rinnovamento degli
approcci di apprendimento11.
Al
contrario, la scelta di approcci di tipo attivo, di stampo
costruttivista e socio-costruzionista12,
che, oltre a porre il visitatore/utente al centro dell’attenzione
del museo, lo trasformano nel protagonista attivo del proprio
apprendimento, è – a mio parere - vincente e ritengo che vada il
più possibile coniugata con l’impiego delle tecnologie.
Non
è infatti plausibile una visione per cui l’introduzione delle
tecnologie vada a soppiantare le metodologie educative non basate sul
digitale, oppure rappresenti un insieme di proposte sovrapposto o
avulso dal resto. Al
contrario, come scrive Forbes: «To become an instrumental part
of the learning ecosystem and bridge the gap between formal, nonformal
and informal learning, museums should develop frameworks to shape a
coherent and sustainable pedagogy for digital learning»13.
Di
questa pedagogia, coerente e sostenibile - prosegue Forbes – dovrà
far parte un insieme di strumenti volti a misurare e valutare gli
esiti dell’apprendimento con le tecnologie, per i diversi tipi di
pubblico, al fine di supportare il museo nel riconoscimento del
proprio ruolo nella formazione per tutti e lungo tutto l’arco della
vita. In tal senso, le tecnologie digitali rappresentano un
significativo arricchimento per il museo e contribuiscono al
rafforzamento della sua immagine pubblica, in quanto capaci di
offrire stimolanti e attrattive opportunità di apprendimento per
tutti14.
L’uso
delle tecnologie, in effetti, al di là delle individuali preferenze
legate a fattori culturali e anagrafici, in linea teorica appare
adatto a tutti, tanto da essere da più parti sollecitato come
importante strumento di inclusione. È ovvio che
le vecchie
generazioni, a parte eccezioni, in genere preferiscono un contatto
diretto con il personale del museo, piuttosto che contenuti mediati
attraverso le tecnologie; diversamente dai giovani, per i quali,
ovviamente, la disponibilità di tecnologie e di device
rappresenta
un elemento di notevole attrattiva, capace di concentrare (almeno in
prima battuta) la loro attenzione. Tuttavia, l’appropriatezza di un
intervento didattico/educativo con l’uso di tecnologie è
commisurata alla capacità, espressa in fase progettuale, di cogliere
i bisogni formativi di ciascuna tipologia di utenza e di dare ad essi
risposta.
La
sapiente integrazione di vecchi e nuovi strumenti educativi andrebbe
affrontata in due direzioni: da una parte, una programmazione
pluriennale ed annuale, che metta in campo un ventaglio di proposte
differenziato, alcune tecnologiche ed altre non, che concorra alla
comunicazione dei contenuti del museo e/o di una particolare mostra,
con un taglio diversificato per le diverse utenze; dall’altra, la
realizzazione di prodotti e proposte tecnologiche, in cui la
tecnologia sia al servizio non solo dei contenuti, ma dei processi di
apprendimento utili e ricercati e non sia sola protagonista.
Se
la tecnologia, per sua natura, ha il potere di facilitare l’accesso
ai contenuti del museo, rendendo più semplice comprenderli, dovrà
nondimeno scoprire come accompagnare il processo di apprendimento,
senza rimanere alla superficie delle cose. In proposito, ritengo non
dovrebbe:
a
– sostituirsi alla visione dell’opera o di un oggetto originale,
se questo è accessibile;
b
– stravolgere l’opera d’arte, cambiandole senso e connotati in
nome di una presunta narrazione o intenzione ludica;
c
– duplicare o moltiplicare l’offerta di contenuti, già proposta
allo stesso target di pubblico sotto altre forme,
in luogo di
proporre qualcosa di nuovo;
d –
assumere forme che
implichino il solo ascolto/lettura, privo di possibilità di concreta
e utile interazione da parte dell’utente. L’uso delle
tecnologie, al contrario, deve richiedere all’utente
un’azione concreta, uno sforzo, una nuova produzione, che lo
induca, non solo ad assumere le nuove conoscenze proposte, ma a
rielaborarle in forma personale, a sviluppare competenze, ad
interagire col museo in maniera non blanda ed epidermica, bensì
strutturata e decisamente attiva.
Le
tecnologie rappresentano una preziosa occasione, che va colta nella
direzione di aggiungere nuovi punti di vista, nuove interpretazioni,
contenuti altri da quelli già frequentati senza di esse, nuove
occasioni di crescita culturale15.
Progettando
tecnologie per l’apprendimento al museo, due aspetti di non poco
conto vanno considerati: la relazione tra gli individui e il gioco.
Tra
i principali pregi dei musei è la potenzialità di creare relazioni,
legami, occasioni di incontro e confronto. I musei di oggi sono per
vocazione musei relazionali. Accanto alle tecnologie che favoriscono
un approfondimento individuale, mi sembra opportuno sollecitare una
ricerca di nuove tecnologie che favoriscano l’uso di gruppo
all’interno del museo. Penso soprattutto alle scolaresche o a
gruppi di giovani.
L’uso
di device, già in certe fasce di età esasperato
nella vita
quotidiana, spesso comporta l’isolamento dell’utente in un
solipsismo interpretativo, che spesso induce ad una visione
monolitica, e forse anche monotona, dell’arte o del museo. Far
sì che l’uso delle
tecnologie si combini in modo da generare momenti di condivisione o
di gioco collettivo, è molto importante per godere la dimensione
relazionale del museo. Mi sono occupata di questo
aspetto alcuni anni fa, tracciando le linee guida per la
progettazione educativa nell’ambito del progetto europeo
Openmuseums16.
Credo che molto sia ancora da fare in questa direzione.
Sul
fronte del gioco, nonostante i numerosi richiami alla dimensione del
gioco come strategia principe dell’apprendimento, non si è ancora
sviluppata una sensibilità tale da considerare questo strumento
universalmente utile, al di là dell’età infantile. Jean Piaget ha
indagato molto bene come il gioco rappresenti nel bambino (e io dico,
non solo) una modalità di relazione con l’esterno, che comporta
apprendimento e crescita intellettiva. Ora, il gioco, per tutti, a
qualsiasi età, resta uno strumento fondamentale perché si generi
nuovo apprendimento ed ha grandi potenzialità in ambiente museale17.
In
ambito tecnologico, ciò appare recepito, dato che uno dei termini
più utilizzati, oggi, quando si parla di tecnologie per
l’apprendimento e di tecnologie nei musei, è gamification18.
Tuttavia,
il gioco è funzionale all’apprendimento nella misura in cui non è
banalizzato e privato degli aspetti che lo rendono tanto interessante
sotto il profilo cognitivo. Che il gioco si trasformi in giochetto,
privo di senso e di finalità educative, è cosa che purtroppo
avviene spesso nelle progettazioni di attività culturali, anche nei
musei. Con le tecnologie il rischio può essere potenziato, perché
accompagnato dalla tentazione di farsi bastare l’effetto
sorprendente di certe trovate tecnologiche.
E
ancora una volta, il richiamo è ad una progettazione educativa
rigorosa e partecipata, alla quale concorrano le diverse
professionalità necessarie a garantire la realizzazione di prodotti
caratterizzati da contenuti scientificamente corretti e supportati da
metodologie e strumenti didattico-educativi validi.
Infine,
una riflessione riguardo al rapporto tra tecnologia e velocità.
Solitamente, tra le caratteristiche più esaltate delle tecnologie
c’è, appunto, la velocità. La velocità, nell’apprendimento, è
positiva o negativa?
L’apprendimento
richiede tempi adeguati, adeguati alla difficoltà dell’oggetto
dell’apprendimento e alle capacità e prerequisiti di chi apprende.
I tempi sono peraltro condizionati dai contesti, in cui
l’apprendimento si svolge e dagli strumenti che vengono utilizzati
per indurlo. In generale, tra la velocità e la lentezza, la seconda
favorisce maggiormente l’assimilazione dei
contenuti, nonché l’acquisizione delle competenze, la quale
avviene anche grazie alla ripetizione di azioni e processi19.
Le
tecnologie sono in grado di accompagnarci anche in un processo, che
coltivi il tempo come una risorsa importante per l’apprendimento.
Non si può che auspicare che in fase progettuale si consideri il
fattore tempo, nella direzione di dilatarlo e non di comprimerlo. Con
le tecnologie, peraltro, ancor più che con le metodologie
tradizionali, si rende necessaria una porzione di tempo per gettare
uno sguardo al museo e alle opere, per collegare i contenuti
veicolati attraverso gli strumenti tecnologici con la realtà
circostante, per condurre una riflessione metacognitiva sul proprio
apprendimento.
Per
concludere, esprimo l’auspicio che il potenziamento delle
tecnologie nei musei determini la spinta verso una progettazione
educativa consapevole e rigorosa, sapientemente correlata con
l’impiego di diverse strategie educative, utilizzata con modalità
attive, scevra da superficialità, lontana da effetti speciali fini a
se stessi e dal mito della velocità, capace di disseminare
conoscenze e competenze, sulla storia dell'arte e i musei, della
giusta profondità ed ampiezza.
NOTE
1 L’attenzione sul tema è ampiamente
condivisa.
Vale la pena di citare la rivista online «Artribune»,
che da qualche tempo dedica al digitale nei musei una rubrica fissa,
nella quale Maria Elena Colombo intervista i responsabili della
comunicazione digitale di importanti musei internazionali.
2
Riguardo alle tecnologie applicate all’organizzazione e
accessibilità
delle collezioni dei musei, merita di essere citato uno studio condotto
nel 2012 presso il personale dei musei dell’Inghilterra orientale:
LOMAS H. - HUTCHESON N. 2012. Nello studio si intende individuare le
principali barriere alla diffusione dell’uso delle tecnologie nei
musei. Pur rilevando un particolare affanno da parte dei musei di
piccole dimensioni, dipendenti da amministrazioni locali, lo studio
riscontra una diffusa propensione degli operatori museali al loro
utilizzo e la percezione che l’uso delle tecnologie non possa portare
che benefici. Nelle conclusioni, lo studio rimarca la necessità che
l’uso delle tecnologie non sia dettato dalla moda, ma che le scelte
adottate diano concrete ed efficaci risposte alle esigenze individuate,
con una particolare e importante sottolineatura circa la necessità che
le tecnologie non si assommino al resto come un’entità a parte, ma
divengano parte di una visione ed un approccio capaci di integrare i
vari aspetti dell’organizzazione del museo.
3
PARLAMENTO EUROPEO 8 settembre 2015, punti 45 e ss.
4
Delle potenzialità delle tecnologie come strumenti utili alla
conquista
di «equitable,
quality education and lifelong learning for all by 2030» è certa l’UNESCO, che si è fatta promotrice di
importanti riflessioni nel merito. Si veda UNESCO 2015.
5
Ci si riferisce alla teoria di Kolb e alla sua applicazione ai musei: Musei e apprendimento 2007, pp. 26-35.
6
Gli approcci sociocostruzionisti prediligono questo tipo di
impostazione: ibidem, pp. 22-23.
7 Tra
le tecnologie, avanza con
prepotenza la realtà aumentata, considerata tra le più capaci di
catturare l’attenzione dei giovanissimi e giovani e di determinarne
la soddisfazione. Si veda: DI SERIO A. - IBÁÑEZ M. B. – DELGADO
KLOOS C. 2013.
8
A tal proposito, è opportuno richiamare un passo del capitolo IX
“Esperienza, natura e arte” di DEWEY J. 1973, p. 255, che vale la pena
di rileggere per la sua innegabile modernità: <<
L’esperienza per i greci era un accumulo progressivo di saggezza
pratica, una riserva di indicazioni utili nella condotta della vita. La
sensazione e la percezione erano la sua occasione e la rifornivano del
materiale acconcio, ma non la costituivano di per sé. Essi davano vita
all’esperienza quando avveniva una successiva ritenzione dei materiali
e quando, nella gran massa di casi sentiti e percepiti, emergeva in
rilievo un fattore comune, che diventava poi utilizzabile per il
giudizio e per l’impiego pratico. Intesa in questo modo l’esperienza ha
i suoi equivalenti nel talento e nell’abilità del buon carpentiere, del
buon navigatore, del buon capo militare; l’esperienza è l’equivalente
dell’arte. Le teorie moderne del tutto opportunamente hanno esteso
l’applicazione del termine fino a coprire molte realtà che
difficilmente i greci avrebbero fatto rientrare nel termine
‘esperienza’, il mero sentire male e dolore, o un gioco di colori di
fronte agli occhi. Ma anche coloro che si attengono a questa più ampia
accezione del termine ammetterebbero, suppongo, che tali ‘esperienze’
hanno un significato solo quando hanno come risultato una chiara
visione o il godimento di una percezione e che solo in questo senso
esse qualificano l’esperienza nel suo senso onorifico>>.
A questa chiara visione e al godimento di una percezione, che si
traduca in nuovo apprendimento, bisognerà tendere.
9
Sull’efficacia delle tecnologie per l’apprendimento si sono
misurati
ricercatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XX secolo. Si
veda, per testo e bibliografia: Technology to Support Learning 2000 (1999). Vi si afferma l’efficacia delle
tecnologie a patto che siano correttamente utilizzate e implichino
l’interazione e non la passiva fruizione; vi si suggeriscono anche
alcune modalità operative. Il testo, fin da allora, conclude
intravedendo numerosi vantaggi dell’applicazione delle tecnologie computer based per l’apprendimento e auspicando che le
ricerche sull’apprendimento si sviluppino in costante connessione con
lo sviluppo dei software. Questo suggerimento è ancora attuale e da
sottolineare particolarmente in relazione all’ambito dei musei. Utile è
anche una ricerca condotta nel 1999 nel West Virginia e basata su 700
indagini empiriche circa l’impatto e l’efficacia delle tecnologie
nell’apprendimento scolastico: SCHACTER J. 1999. Recentemente S.
SAXENA 2013, sottolinea come l’abbinamento tra educazione e tecnologia
rappresenti una grandiosa combinazione, se lo si utilizzi insieme a
giuste motivazione e capacità di visione. Riflette anche come oggi la
questione non sia più se la tecnologia sia utile all’apprendimento, ma
in che modo possiamo migliorarne il nostro uso, al fine di sviluppare
maggiori apprendimenti. Per quanto concerne lo stato dell’arte riguardo
l’adozione delle tecnologie nei musei è opportuno citare il periodico
report di NMC (New Media Consortium, https://www.nmc.org):
NMC 2015.
10 Oggi
l’industria
tecnologica, i makers,
gli sviluppatori di nuove tecnologie guardano con grandissima
attenzione il mondo dei musei come luogo in cui applicare le più
svariate tecnologie. Sui social rimbalzano quotidianamente notizie di
sperimentazioni di nuove applicazioni, destinate in particolare al
mobile,
o di concorsi mirati al rinnovamento dei musei attraverso le nuove
tecnologie. Molta visibilità ha avuto, nel primo semestre 2018, la
call internazionale
Playable
Museum
Award, lanciata dal
Museo Marino Marini di Firenze sotto il coordinamento del game
designer Fabio
Viola e con l’obiettivo
dichiarato di «individuare contributi
innovativi per la progettazione di iniziative pionieristiche per
immaginare il museo del futuro, un hub di innovazione tecnologica,
sociale e culturale che favorisca la partecipazione e il coinvolgimento
attivo e spontaneo dei visitatori». Per l’occasione sono stati chiamati
a raccolta: «artisti, designers, architetti, makers, sviluppatori,
creatori di videogiochi, musicisti, scrittori, grafici, manager
culturali, storyteller, urbanisti, fisici, matematici, biologi, chimici
… ma soprattutto immaginatori e sognatori». Nonostante
l’originalità della formula del bando, non sono menzionati pedagogisti,
psicologi dell’età evolutiva e dello sviluppo, né esperti di educazione
museale. Finora
non mi è capitato di
leggere di team
che includessero tali professionalità.
11
Si veda NISBET N. 2015, dove si spiega la differenza tra usare la
tecnologia per replicare metodologie didattiche passive e trovare un
genuino e attivo metodo di apprendimento.
12
Tali scelte sono il risultato di un processo di progressiva
applicazione nei musei delle teorie pedagogiche elaborate da Jean
Piaget, sviluppate in seguito da Jerome Bruner e Benjamin Bloom e
dall’intersecarsi con altri stimoli quali la concezione dell’esperienza
di John Dewey e delle teorie filosofiche relative alla costruzione del
pensiero e del linguaggio di Lev Semenovich Vygotsky. Tutte queste
teorie ebbero un ampio impiego negli anni Settanta, in particolare nei
musei della scienza e da quella esperienza abbiamo ereditato non poco,
anche se non ancora la sfruttiamo appieno ed ovunque. In proposito Musei e apprendimento 2007, pp. 18-26.
13 FORBES N. –
FRESA A. 2016, p. 7. [“Per
diventare una parte funzionale dell’ecosistema di apprendimento e
colmare il divario tra apprendimento formale, non formale ed
informale, i musei dovrebbero sviluppare framework
funzionali a dare forma ad una pedagogia coerente e sostenibile per
l’apprendimento digitale.”].
15
Un esempio di buone prassi in tal senso è il MUSME, Museo di storia
della medicina e della salute di Padova, il quale è dotato di un
allestimento interamente tecnologico, realizzato sotto la regia dei
dipartimenti universitari disciplinari e con la collaborazione di
numerose società informatiche. Si
veda il sito: http://www.musme.it/chi-siamo/.
I percorsi proposti, sia per la visita individuale che per la visita
guidata destinata alle scuole, sono tutti attivi e assolutamente
utili ai fini di conoscere come funziona, ad esempio, il nostro
corpo, nei suoi diversi aspetti, cosa succede quando ci ammaliamo,
etc. con specifici esperimenti
tecnologici,
che non solo avvicinano al tema, ma ne danno puntuale trattazione. Chi
lo visiti ne resta non solo affascinato, ma ne trae nuove
conoscenze, sollecitato alla continua scoperta dalla
curiosità instillata dalle diverse attività proposte all'interno di
ogni percorso.
17
Progettare
per educare nei musei. Indirizzi e raccomandazioni circa metodologie e
strumenti, in DI
RUSCIO I. 2013, pp. 29-33 e Progettare
con … il gioco, la narrazione, le nuove tecnologie, ibidem, pp. 79-84.
18
Interessante al riguardo: WOOD J. - LIU H. - BRIGGS T. 2016.
19
CIACCHERI M. C. 2016. L’autrice sottolinea il timore col quale
pensiamo, a proposito della fruizione museale, alle parole: lentezza –
silenzio – fatica. Parole tutte collegate all’apprendimento. La
Ciaccheri osserva come in genere ci asteniamo dal proporli e persino
considerarli, preoccupati di allontanare il pubblico dal museo. Eppure,
prendersi il tempo per visitare un museo con calma, darsi il tempo di
assorbire le conoscenze, concedersi ritmi pausati per comprendere e
apprendere, è importantissimo. Alcuni musei hanno iniziato a sostenere
una pratica della lentezza ed è nato lo Slow Art Day. L’articolo cita
anche alcuni esempi di musei che si sono fatti promotori di un consumo
culturale ‘lento’. Tra questi, cita Mindcraft, una storia digitale realizzata, con ritmi
lenti, dalla Wellcome Collection di Londra.
BIBLIOGRAFIA
CIACCHERI M.
C. 2016
Maria Chiara CIACCHERI, La
lentezza al museo come responsabilità sociale, in «Chefare», 3
novembre 2016. <https://www.che-fare.com/lentezza-museo-responsabilita-sociale/>
DEWEY J. 1973
John DEWEY, Esperienza
e natura, trad.
it. a cura di P. BAIRATI, Milano, Mursia, 1973.
DI RUSCIO I.
2013
Irene DI RUSCIO, La
progettazione innovativa nell’educazione museale, Provincia di Ferrara,
Roma, Tiburtini s.r.l.,
2013.
DI SERIO
A. – IBÁÑEZ
M. B. – DELGADO KLOOS C. 2013
Angela
DI SERIO, Marìa-Blanca IBÁÑEZ, Carlos DELGADO-KLOOS, Impact
of an augmented reality system on students' motivation for a visual
art course,
in «Computers&
Education»,
Elsevier Educational Research Programme, n. 68, ottobre 2013, pp.
586-596.
FORBES
N. – FRESA A. 2016
Neil
FORBES – Antonella FRESA, Museum
Education with digitals technologies: participation and lifelong
learning,
«Think Papers Collection/06»,
2016.
<https://ec.europa.eu/futurium/en/system/files/ged/rch_thinkpapers_06.pdf>
LOMAS
H. – HUTCHESON H. 2012
Heather LOMAS - Natasha HUTCHESON, Collections access and the
use of technology in museums. A report by Norfolk Museums and
Archaeology Service, Norfolk Museums and Archaeology Service,
[Norwich], 2012.
Musei
e apprendimento 2007
Musei e apprendimento lungo tutto l’arco della
vita. Un manuale europeo, a cura di Kirsten GIBBS
– Margherita SANI -
Jane THOMPSON, Ferrara, Edisai, 2007.
NISBET
N. 2015
Nigel
NISBET, Active
vs. Passive: The Science of Learning,
in «Mind Research Institute», gennaio
2015.
<http://blog.mindresearch.org/blog/active-learning>
NMC
2015
The
NMC Horizon Report: 2015 Museum Edition,
a cura di Larry JOHNSON - Samantha ADAMS BECKER, Alexander FREEMAN,
Austin TX, NMC, The New Media Consortium, 2015.
<https://files.eric.ed.gov/fulltext/ED559371.pdf>
PARLAMENTO
EUROPEO 8 settembre 2015
PARLAMENTO EUROPEO, Verso
un approccio integrato al patrimonio culturale per l'Europa.
Risoluzione del Parlamento europeo dell'8 settembre 2015 verso un
approccio integrato al patrimonio culturale per l'Europa (2014/2149(INI)),
P8_TA(2015)0293.
<http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+TA+P8-TA-2015-0293+0+DOC+PDF+V0//IT>
SAXENA
S. 2013
Saomya SAXENA, How Important is use of Technology in Education,
in «EdTechReview», 8 October 2013.
SCHACTER
J. 1999
John SCHACTER, The Impact of Education Technology on Student
Achievement: What the Most Current Research Has To Say, Santa
Monica (California), Milken Exchange on Education Technology, 1999.
<http://www2.gsu.edu/~wwwche/Milken%20report.pdf>
Technology
to Support
Learning
2000 (1999)
Technology
to Support Learning, in
How
People Learn: Brain, Mind, Experience, and School,
a cura di John
D. BRANSFORD,
Expanded Edition, Washington DC, The National Academies Press, 2000
(1^ ed. 1999), cap. 9, pp.
206-230.
<https://www.nap.edu/read/9853/chapter/13#206>
UNESCO
2015
UNESCO,
Qingdao
declaration. International Conference on ICT and Post-2015 Education.
Seize digital opportunities, lead education transformation, 23-25
May 2015,
Qingdao,
the People’s Republic of
China.
<https://iite.unesco.org/publications/qingdao-declaration-seize-digital-opportunities-lead-education-transformation/>
WOOD J.
- LIU H. - BRIGGS T. 2016
Jim
WOOD, Haiming LIU, Thomas BRIGGS, Learning
computing heritage through gaming – whilst teaching digital
development through history,
in «Electronic Visualisation and the Arts (EVA 2016)», London, UK,
12 – 14 luglio 2016.
<
https://ewic.bcs.org/content/ConWebDoc/56289>
|