1. Susa nella seconda metà del III millennio a.C.
Le straordinarie scoperte fatte lungo la valle del
fiume Halil con le campagne di scavo svolte da Y. Madjidzadeh hanno
radicalmente cambiato la nostra comprensione sulle dinamiche di sviluppo e
inviluppo culturale dell’altopiano iranico durante l’intero III millennio a.C.[1]. La convinzione, ben
radicata per tutti gli anni Sessanta del XX secolo, che Susa ed Anshan fossero
i due maggiori centri, perlopiù isolati, della cultura elamita ovvero iraniana
dell’Età del Bronzo era stata già incrinata con i pioneristici scavi di Shahr-i
Sokhta e Tepe Yahya che misero in crisi il modello diffusionista che attribuiva
al solo Fars e alla Susiana la crescita (proto)urbana dei maggiori centri del
III millennio a.C. Con le nuove ricerche lungo il fiume Halil questo modello
venne definitivamente superato permettendo il riconoscimento di poli di
sviluppo alternativo a quelli tradizionali, restituendo un quadro certo più
complesso della storia dell’altopiano iranico.
In questo contributo, gli orizzonti culturali di
Susa IV e V saranno discussi in relazione al materiale scavato nel centro
maggiore del Khuzistan e, sulla base delle nuove evidenze provenienti da Konar
Sandal, la storica Markhashi[2], si proverà, quando
possibile, a ipotizzare le modalità interattive tra l’Iran sud-orientale,
l’Elam e la Mesopotamia meridionale con le sue appendici orientali (Khuzistan)[3].
1.1. Susa IVA ca. 2600-2350 a.C.
(Ville Royale 12-9; Acropole 4-3)
Susa
IVA è ampiamente attestato presso la Ville
Royale negli scavi svolti tra il 1929 e il 1933 da R. de Mecquenem[4]
e nei livelli 12-9 dei più tardi interventi di E. Carter[5].
Questo periodo è anche conosciuto nei livelli 4-3 della Acropole, indagata da M.-J. Stéve e H. Gasche[6],
e nelle sequenze tipologiche di Susa Db-Dd individuate da L. Le Breton[7].
I due maggiori stili decorativi (la ceramica policroma e monocroma), conosciuti
in Susa IVA, mostrano forti assonanze con i principali centri del Luristan e
dei passi pedemontani degli Zagros; ceramica policroma simile fu rinvenuta a
Tepe Mussian[8] e in
centri dell’Hamrin[9]. Allo
stesso modo, la ceramica monocroma trova nuovi confronti nelle necropoli del
Luristan occidentale, in particolare presso Qabr Nahi[10],
dove legami sembrano accertati con il Protodinastico II e III di Mesopotamia.
1.2.
Susa IVB ca. 2350-2150 a.C. (Ville Royale 8-7; Acropole 2-1)
Susa
IVB è conosciuta nei livelli 8-7 della Ville
Royale, indagata da E. Carter[11],
negli scavi svolti da M.-J, Stéve e H. Gasche presso l’Acropole (livelli 2-1) e in Susa De, seguendo le classi tipologiche
stabilite da L. Le Breton[12],
mentre nuovi confronti sono da cercare anche in Kalleh Nisar A2 (Luristan) e
Yahya IVB. L’orizzonte culturale complessivo rimane fortemente condizionato
dalla pressione politica e verosimilmente militare esercitata dalla dinastia
sargonide che arrivò a controllare Susa per un periodo approssimativo di quasi
duecento anni; la scomparsa della ceramica dipinta, i forti richiami al
patrimonio iconografico mesopotamico e l’utilizzo d’iscrizioni in lingua
accadica permettono, infatti, di accertare una chiara influenza proveniente
dalle attigue aree alluvionali mesopotamiche su tutta la piana del Khuzistan.
Le
fasi archeologiche successive (Ur III e Simashki) sono state individuate nei
livelli 6-3 della Ville Royale scavati
da E. Carter[13], presso
le tombe dell’Apadana approssimativamente datate al “XXIII et XX siècle” da R. de Mecquenem[14],
nel chantier 1 (con iscrizione di
Shu-Sin)[15], nel chantier 2 (dove tavolette iscritte con
il nome di Ebarat, in associazione archeologica con più arcaiche tipologie
ceramiche, furono rinvenute)[16]
e presso la necropoli di Donjon (dove le tombe furono rinvenute tra -5 e -8 m
al di sotto della superficie assieme a mattoni recanti le iscrizioni reali di
Attahushu, sovrano Sukkalmah)[17].
La fine di questo periodo (Simashki) è altresì conosciuta nella porzione
settentrionale della Ville Royale
scavata da R. Ghirshman[18]
presso l’area B, periodi VII-VI[19],
quando la città dovette passare sotto il controllo dei sovrani di Ur, prima, e
della città di Isin, dopo, come peraltro anche supposto a seguito del
rinvenimento di un’impronta di sigillo con l’iscrizione della regina Mekubi,
sposa di Tan-Ruhuratir (re di Simashki) e sorella di Bilalama, re di Eshnunna
(ca. 1980 a.C.)[20].
1.3. Susa V ca. 2150-1900 a.C. (Ville
Royale 6-3)
L’orizzonte culturale di Susa V si deve
circoscrivere alla fine del III e all’inizio del II millennio a.C., periodo in
cui ampia presenza di materiale elamita e del Golfo Persico è documentata nelle
sequenze culturali del centro, ora meno condizionato dai fervori culturali
conosciuti in Mesopotamia, nonostante alcune analogie specifiche con tipologie
ceramiche rintracciate da S. Gasche sulla Acropole[21], nella coroplastica[22] e nell’arte glittica[23].
In
questo periodo, per la prima volta dopo le esperienze protoelamite, si sviluppa
una nuova arte visuale propriamente elamita[24],
in cui nuovi percorsi autonomi sembrano manifestarsi all’interno di un più
ampio serbatoio culturale da cercare sull’altopiano iranico[25].
Aumenta la presenza di materiale importato dalle regioni più orientali, tra cui
il vasellame in steatite della cosiddetta “série
récente”[26], i
sigilli a stampo dilmuniti[27],
tre sigilli pseudo-harappani[28],
un peso cubico[29], etched beads di tipo harappano[30],
una statua alabastrina verosimilmente prodotta ovvero influenzata dagli
artigiani della valle dello Zhob (Mundigak IV-1 e IV-2)[31]
e, infine, non sporadici vasi importati dalla Battriana[32].
2.
Materiale dell’Iran sud-orientale a Susa
Come
ampiamente dimostrato da Pierre Amiet[33],
le evidenze materiali dell’Iran sud-orientale a Susa sono numerose e permettono
di comprendere appieno il ruolo svolto dal centro del Khuzistan all’interno
delle dinamiche storiche relative ai processi di trasmissione e d’integrazione
culturale tra aree distanti tra loro[34].
Le importazioni a Susa di materiale appartenente ai percorsi culturali legati
alla valle del fiume Halil sono documentate, in estrema sintesi, in un sigillo
a cilindro, due impronte di sigillo, una statua in steatite, un’ascia zoomorfa,
un’ascia con lama decorata, tre asce a lama piatta (di cui una a sezione
orizzontale), numerosi vasi in steatite e due vasi in alabastro.
2.1. Materiali rinvenuti a Susa con
connessione con la civilizzazione del fiume Halil
E.
Porada fu la prima ad identificare uno stile glittico dell’Iran sud-orientale
che fu genericamente associato al periodo Accadico[35]
sulla base di serrati confronti stilistici[36].
Pochi anni dopo, P. Amiet fu in grado di pubblicare nuovi sigilli dell’Iran
orientale riconoscendone un valore comune, espressione di
una omogenea Trans-Elamite art[37]. Questi primi tentativi mirati a
definire appieno caratteristiche iconografiche e stilistiche di un primo lotto
di sigilli fuori dalle convenzioni artistiche mesopotamiche, furono seguiti
dalle prime indagini sul campo svolte a Tepe Yayha[38]
e Shahdad[39] che
permisero di associare stratigraficamente la produzione glittica dell’Iran
sud-orientale alla produzione dei vasi in steatite appartenenti alla cosiddetta
“serie ancienne”, generalmente datata
tra il 2400 e il 2200 a.C., forse da far risalire fino al Protodinastico II-III[40],
cronologicamente in linea con quanto conosciuto anche in aree periferiche, come
peraltro documentato anche a Mari, lungo il medio corso dell’Eufrate[41].
Le impronte di sigillo di Susa (Figg. 1-2), entrambe
custodite presso il Louvre (Sb 6680 e 6707), furono rinvenute durante gli scavi
di J. De Morgan. La prima impronta (Sb. 6680), con
iscrizione, misura 3,8 cm in altezza, e mostra forti assonanze di stile e forma
con la più antica tradizione glittica dell’Iran sud-orientale, verosimilmente
da circoscrivere alla metà del III millennio a.C.[42].
La seconda impronta, “provennient des
même couches de terrain que le vases peints des Ier et IIe styles”[43],
misura 2,7 cm in altezza e sembra potersi ascrivere all’inizio del quarto
quarto del III millennio a.C.[44]. Infine, il sigillo (Fig. 3), ora
custodito presso il Museo Archeologico Nazionale d’Iran (NMI 624/46),
intagliato nella steatite e parzialmente eroso, le cui dimensioni sono di 2,8
cm in altezza e 1,1 cm di diametro, riproduce una figura composita alata mentre
viene ricevuta da un personaggio indefinito, verosimilmente una divinità per la
presenza di corna sul capo, davanti ad un altare decorato con motivi geometrici[45].
L’impianto iconografico complessivo mostra forti richiami alle produzioni di
Jiroft (Tepe Yahya) e della piana di Takab (Shahdad) e sembra avere puntuali confronti
figurativi con un sigillo proveniente dalla tomba 193 del Cimitero A di Shahdad[46],
in cui un medesimo essere alato è stante dietro a una divinità seduta su di una
piattaforma.
|
Fig.
1: impronta da sigillo da Susa (Amiet 1986: fig. 71).
|
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Fig.
2: impronta di sigillo da Susa (Amiet 1994: fig. 3).
|
|
Fig. 3: sigillo in steatite da Susa (Ascalone 2006: fig. 3c-d).
|
Come
per le due impronte e per il sigillo, anche una statuetta in steatite (Fig. 4)
deve considerarsi un’importazione dall’Iran sud-orientale[47]
sulla base del materiale, dello stile e della postura complessiva del
personaggio, ampiamente conosciuta in
primis nei sigilli di Tepe Yahya[48].
Confronti adeguati si hanno con le sculture di Shahdad[49],
con la testa di uno spillone in bronzo ora custodito al Louvre[50]
e con dischi in lapislazzuli provenienti da scavi clandestini e ora conservati
nei principali musei della Repubblica Islamica dell’Iran[51].
|
Fig.
4: statuetta in steatite da Susa (Amiet 1986: fig. 108).
|
Un
altro oggetto di origini orientali, forse battriane piuttosto che della
provincia di Kerman, deve considerarsi un’ascia con lama decorata (Fig. 5);
l’esemplare fu pubblicato per la prima volta da R. de Mecquenem che propose
inizialmente una datazione al “XXV siècle”[52],
con una correzione successiva al ca. 2600 a.C.[53].
Questa tipologie di asce è unica nel suo genere a Susa, mentre mostra grande
diffusione in Iran orientale e in Asia Centrale[54].
I confronti più stretti si hanno con l’esemplare di Khinaman[55]
e quello di Shahdad[56],
mentre altre analogie si hanno con asce, prive di certi contesti archeologici,
provenienti dalla Battriana[57].
La presenza di questa tipologia su un sigillo datato al regno di Idadu (ca.
2000 a.C.) permette di ipotizzare una loro datazione approssimativa da
circoscrivere tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C.
|
Fig.
5: ascia con lama decorata da Susa (Tallon 1987: fig. 6a-b).
|
Due
ulteriori asce dalla lama piatta provenienti da Susa devono considerarsi chiare
evidenze dei rapporti intercorsi tra l’alluvio del Khuzistan e le alte terre
iraniane (Fig. 6)[58];
entrambe hanno decisi confronti con esemplari rinvenuti nel Lut[59],
presso Damin[60], Shahi
Tump[61],
Chanhu-daro[62] e,
curiosamente, Saqqiz in Azerbaijan[63],
permettendo, grazie alla ricostruzione delle singole sequenze stratigrafiche,
una loro datazione all’ultimo quarto del III millennio a.C. Allo stesso modo,
una quarta tipologia di asce rinvenuta a Susa, con lama verticale, sembra
potersi riconoscere in una produzione ampiamente diffusa lungo la valle del
fiume Halil (Fig. 7)[64], i cui confronti sono da cercare perlopiù in
numerosi esemplari provenienti da attività clandestine di scavo svolte in tutta
la valle[65],
più sporadici appaiono i confronti tipologici con Mundigak[66]
e Maikop[67].
|
Fig.
6: ascia con lama piatta da Susa (Amiet 1986: fig. 120).
|
|
Fig.
7: ascia con lama piatta verticale da Susa (Tallon 1987: n. 532).
|
Infine,
due vasi in alabastro devono altresì considerarsi delle importazioni dell’Iran
sud-orientale[68],
soprattutto per i confronti con il materiale proveniente da Jiroft e
recentemente pubblicato (Fig. 8)[69].
I due vasi, che mostrano avere un’alta quantità di carbonato di calcio
sconosciuta alla produzione indigena di formazione perlopiù gessosa, furono
rinvenuti nel “Vase à la Cachette”
che viene datato, sulla base della sua morfologia e decorazione dipinta, alla
metà del III millennio a.C.[70].
|
Fig.
8: vasellame in alabastro da Susa (Amiet 1986: fig. 96: 8).
|
3. Conclusioni
L’abbondante
presenza di materiale proveniente dall’Iran sud-orientale a Susa permette di
ricostruire un articolato sistema di scambio tra le regioni alluvionali e
quelle dell’altopiano[71].
Le relazioni appaiono ininterrotte dalla metà del III fino ai primi due secoli
del II millennio a.C. quando una diffusa crisi sembra coinvolgere tutto l’Iran
orientale e le regioni più orientali (Oxus e valle dell’Indo). La diffusione
del vasellame in steatite appare particolarmente significativa per ricostruire
modalità e dinamiche a lungo raggio che coinvolsero anche il centro di Susa, le
stesse copie indigene in bitume (materiale locale), appaiono significative per
comprendere appieno l’articolazione dei processi d’integrazione e d’interazione
tra la piana Susiana e i centri maggiori dell’Halil.
Sembra
verosimile poter riconoscere a Susa un ruolo di rielaborazione del prodotto
orientale per un mercato interno e per una sua successiva distribuzione verso i
contesti alluvionali di Mesopotamia. In particolare, Susa sembra avere svolto
un molteplice ruolo nelle dinamiche d’interazione culturale e di relazione
commerciale, non solo filtro verso l’altopiano (da ovest) ovvero la piana
mesopotamica (da est), ma centro elastico, liquido, in cui diverse esperienze
artistiche si manifestarono per poi essere assimilate, copiate, rielaborate e
nuovamente distribuite, modificandone valore e significato secondo le proprie
appartenenze culturali. Questo difforme ruolo di Susa à altresì confermato dal
numeroso materiale proveniente da altri contesti regionali rappresentati
dall’Oxus, il Golfo Persico e la valle del fiume Indo da cui dovettero
provenire numerosi sigilli a compartimenti[72],
un pendente a forma di aquila[73],
una statuetta in calcare[74],
dischi in alabastro e colonne miniaturistiche dall’Oxus[75];
quattro sigilli a stampo dilmuniti, due impronte di sigillo[76]
e numerosi vasi omaniti[77]
dal Golfo Persico; un peso cubico[78],
una testa di statua in alabastro[79]
e perle in corniola[80]
dall’Indo.
Susa
non fu solo un centro in grado di sviluppare un commercio a lunga distanza, ma
anche una città in cui molteplici aspetti culturali s’integrarono e si
rielaborarono ibridandosi tra loro. Un centro in cui le interferenze culturali
diedero origine a un’arte difforme, originale e frutto di percorsi culturali
dissimili come ampiamente attestato nelle iconografie dei vasi in steatite
(alcune di esse sconosciute al centro di prima produzione come, ad esempio,
l’aquila leontocefala), in sei copie locali di sigilli a stampo dilmuniti[81],
in due sigilli cilindrici di matrice dilmunita[82],
in un sigillo cilindrico con iconografie dell’Indo[83]
e in un sigillo circolare a stampo di matrice Harappana[84].
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