bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Tematiche romantiche nella scuola pittorica di Civita d’Antino in due quadri di Tom–Petersen e Clement  

Guido Galetto
ISSN 1127-4883 BTA – Bollettino Telematico dell’Arte, 2 Novembre 2019, n. 877
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00877.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Ricerca

Nel giugno del 1883 il pittore danese Kristian Zahrtmann (1843–1917) giunse a Civita d’Antino insieme al suo amico e connazionale Joakim Frederik Skovgaard (1856–1933), anch’egli pittore. Era stato Ambrogio, colui che a Roma aveva posato come modello per Zahrtmann, ad invitarlo a visitare il suo paese natale[1]. Zahrtmann resterà così affascinato da Civita d’Antino che decise di fondare lì una sua scuola di pittura che resterà attiva fino a 1915, quando il terribile terremoto del 15 gennaio di quell’anno distrusse gran parte del paesino, ponendo così fine anche a questa scuola[2] che aveva fatto di Civita d’Antino il punto d’attrazione di molti pittori scandinavi, non solo danesi come Zahrtmann, ma anche svedesi e norvegesi. In questi trentadue anni di attività essa fu infatti frequentata da almeno ottantanove artisti scandinavi[3].

Nel presente saggio si intende analizzare due quadri dipinti da due dei membri più autorevoli di questa scuola, al fine di mostrare la presenza nelle opere degli artisti in essa attivi di tematiche ed iconografie che erano state care ai pittori romantici del nord Europa e sulle quali questi artisti scandinavi, data la loro provenienza, si erano formati[4]. Il primo quadro è stato realizzato da Peter Tom–Petersen (1861–1926), un pittore danese celebre per i suoi paesaggi[5]. Il secondo è invece dell’artista danese Gad Frederik Clement (1867–1933), pittore simbolista che dal 1900 al 1922 soggiornò più volte a Civita d’Antino[6].

 

1) Paesaggio montano con scale e croce di Tom-Petersen

In questo quadro[7] (Figg. 1–2) è ancora evidente la poetica del sublime. Tom–Petersen dipinge infatti le montagne che circondano Civita d’Antino in un giorno di tempesta, con le nubi che si insinuano tra i monti, presentando in tal modo allo spettatore lo spettacolo maestoso e terribile della natura, osservato però a distanza, dalla valle, ovvero da un posto sicuro.

 

Fig. 1: P. Tom–Petersen, Paesaggio montano con scale e croce, 1890, Pescara, Palazzo della Fondazione Pescarabruzzo. Su gentile concessione della Fondazione Pescarabruzzo.


 

Fig. 2: P. Tom–Petersen, Paesaggio montano con scale e croce, 1890, Pescara, Palazzo della Fondazione Pescarabruzzo; immagine con la cornice. Su gentile concessione della Fondazione Pescarabruzzo.


 

Sulla destra si può scorgere una croce che si erge solitaria alle pendici di un monte, posta davanti ad un gruppo di rocce. Si tratta di una semplice croce latina formata da due tronchi, come innumerevoli se ne trovano sui sentieri di montagna; si potrebbe pensare che la sua presenza sia casuale, dettata semplicemente da ciò che l’artista vedeva, considerando allora il quadro come una mera μίμησις del paesaggio che si apriva alla sua vista. Ma la presenza di una croce conferisce inevitabilmente al paesaggio in cui è inserita una valenza sacra e già questo, unito alla tematica sublime sopra indicata, dovrebbe sconsigliare dal pensare che il pittore si fosse limitato a ricopiare ciò che vedeva. «Si potrebbe considerare questo dipinto come derivante totalmente dall’osservazione empirica del mondo [...], ma un mondo le cui componenti sono state selezionate e organizzate con tanta attenzione che ogni elemento è carico di significato»[8]; queste parole di Rosenblum, relative alla Croce in montagna di Friedrich, si possono applicare magistralmente anche al nostro quadro. La Croce in montagna è infatti uno dei più caratteristici temi della pittura romantica del nord Europa[9]; si ritrova per esempio in diversi quadri di Friedrich e serve per evocare la spiritualità pura e genuina, non contaminata dal progresso e dall’industrializzazione. Invece di dipingere un tema cristiano ambientato nella natura, Tom Petersen, inserendosi in questo filone, ricorre ad un oggetto devozionale popolare, la croce, per caricare il paesaggio di un sentimento religioso autentico ed incorrotto, quello che si può trovare in montagna, unica àncora nel mondo dell’epoca dominato dal dubbio[10]. Nel quadro, pertanto, possiamo scorgere la tematica del “soprannaturale naturale” propria dei paesaggisti romantici del nord Europa, ovvero la volontà di dipingere paesaggi capaci di evocare sentimenti religiosi nello spettatore che lo portano a riflettere sui misteri universali e divini[11]. Se la croce introduce nella tela la tematica religiosa, il paesaggio la sviluppa. Ammirando la maestosità delle montagne, l’osservatore può infatti comprendere sia la perfezione compiuta dalla divinità durante la Creazione, sia prendere coscienza delle sue limitatezze attraverso l’osservazione della grandiosità della natura, che è specchio di Dio. Nel quadro di Tom–Petersen la natura diviene pertanto il luogo in cui si manifesta il soprannaturale, estrinsecandosi[12]. Infine nel quadro non c’è nessun rumore estraneo alla natura che viene ad interrompere il suono naturale del vento che spira forte; il silenzio[13] è infatti la conditio sine qua non necessaria alla meditazione religiosa e alla speculazione filosofica[14].

A riprova che tale tematica non fosse certo inusuale presso i pittori di questa scuola, nella collezione della Fondazione Pescarbruzzo si trova anche un altro quadro che presenta l’iconografia della Croce in montagna, datato allo stesso anno di quello di Tom–Petersen qui esaminato (1890), che, nel catalogo della mostra tenutasi a Roma nel 2014, è stato attribuito a Peder Severin Krøyer, uno dei più importanti artisti norvegesi del tempo, il quale giusto in quell’anno venne a visitare la scuola del suo amico Zahrtmann a Civita d’Antino, entrando in contatto con lo stesso Tom–Petersen[15].

In conclusione il nostro quadro che apparentemente potrebbe sembrare un semplice paesaggio montano, in realtà si inserisce in un preciso filone iconografico proprio della pittura romantica del nord Europa.

 

2) Veduta di Clement, ovvero Dalle montagne all’infinito

In questa magnifica opera[16] (Fig. 3), Clement rappresenta la scalinata che conduce alla Porta Flora, la principale porta d’accesso a Civita d’Antino. Sulla sinistra vi è un abitante di questo paesino con un cappello di paglia in testa. È una figura di piccole dimensioni, vista di spalle, appoggiata al parapetto della scalinata, colta mentre sta contemplando l’immensa vastità dei monti circostanti alla città; gran parte del quadro è infatti dominato dalle montagne del posto. Anche questo soggetto, apparentemente casuale, rientra invece in un fortunato filone iconografico proprio della tradizione pittorica romantica del nord Europa, che ha nel Monaco in riva al mare di Friedrich l’esempio più celebre, che consiste nel rappresentare una piccola figura umana vista di spalle mentre contempla la maestosità della natura, prendendo così coscienza della finitezza dell’essere umano rispetto all’infinita grandezza e potenza della natura[17].

 

Fig. 3: G. F. Clement, Dalle montagne all’Infinito, 1900–1902, Civita d’Antino, Archivio Ferrante. Su gentile concessione del proprietario Manfredo Ferrante.


 

Carl Gustav Carus, un allievo di Friedrich, in una delle sue lettere scriveva:

 

Quando l’uomo, intuendo la magnificenza immensa della natura, si rende conto della propria insignificanza, e, sentendosi parte di Dio, penetra in questo infinito e abbandona la sua esistenza individuale, il suo arrendersi è un guadagno anziché una perdita. Ciò che, normalmente, percepisce soltanto l’occhio della mente, qui diventa quasi letteralmente visibile: l’unione con l’infinità dell’universo[18].

 

Questo pensiero è ancora vivo nel quadro di Clement, dove gli alti monti intorno Civita d’Antino evocano l’illimitata potenza della natura che contrasta con la limitatezza dell’essere umano, rappresentata dal piccolo contadino. La sua posizione di spalle comporta che egli osserva il paesaggio dal medesimo punto di vista dello spettatore, così che quest’ultimo possa immedesimarsi con lui. Clement inoltre esegue il contadino usando un punto di vista dall’alto verso il basso che tende a “schiacciare” la figura umana, con la conseguenza che essa appaia, volutamente, piccola rispetto al paesaggio circostante. Le montagne sullo sfondo sono invece viste con una prospettiva dal basso verso l’alto che fa loro acquisire maggior imponenza. L’uso di due scale contrapposte, una microscopica per gli esseri viventi ed una macroscopica per la natura, è un espediente che ricorre spesso nella pittura di paesaggio nordica[19], mutuato dai pittori di veduta[20]. In aggiunta, lo stesso isolamento della figura, contrapposta ad un paesaggio naturale che si espande su buona parte del quadro, aumenta la sensazione di limitatezza umana opposta all’infinitezza naturale. Anche in questa tela, inoltre, regna il silenzio; non c’è infatti nessun rumore che può distogliere il contadino dai suoi pensieri e questa, come abbiamo visto, era la condizione necessaria per poter percepire Dio nella natura, prendendo al tempo stesso coscienza dei limiti umani[21]. L’idea di poter rappresentare “l’infinito” nel “finito”, era stata sostenuta da Schelling e ripresa da Friedrich, il quale, tuttavia, come osservato acutamente da Tassi[22], si allontanava poi dal filosofo per un punto fondamentale: Schelling riteneva che l’oggetto supremo della raffigurazione pittorica fosse la figura umana, da lui reputata il soggetto più perfetto, quello che può far scorgere l’infinitezza dell’arte. Friedrich invece riteneva che “l’infinitizzazione del finito”[23] poteva avvenire solo nella pittura di paesaggio, poiché solo la natura può far scorgere agli uomini, rivelandola, l’infinitezza divina[24], in quanto il divino è in ogni elemento della natura[25]. Questo breve excursus è stato compiuto per dimostrare che questi ideali erano ancora vivi in Clement all’inizio del Novecento. In questa tela sono infatti presenti tutti gli elementi chiave di questa riflessione: il solingo e piccolo essere umano; la natura che domina la composizione; l’uso di due scale differenti, una microscopica per gli esseri umani e una macroscopica per la natura; l’atmosfera silenziosa. Grazie a questi espedienti il quadro riesce a far comprendere allo spettatore l’infinitezza divina attraverso la maestosità naturale, inducendolo contemporaneamente a riflettere sui limiti umani.

Quest’opera non ha un titolo e probabilmente è meglio così, poiché ciò non orienta l’attuale spettatore a voler cercare nella tela ciò che il titolo suggerirebbe, ma lo costringe ad osservare il quadro. Tuttavia, se proprio si vuole attribuire un titolo, il semplice appellativo Veduta non è molto appropriato, perché implicitamente rinvierebbe al genere pittorico del vedutismo a cui il quadro non appartiene; più corretti potrebbero allora apparire titoli come Dalle montagne all’infinito o Contemplazione dell’infinita potenza della natura, specchio di Dio, capaci di mettere in evidenza le tematiche sopra espresse.

 

3) Un epilogo sulla montagna

In entrambi i quadri i protagonisti sono i monti circostanti Civita d’Antino. Tom–Petersen e Clement, come Zahrtmann, provenivano dalla Danimarca, che è uno stato che non possiede montagne; quando pertanto giunsero in questo paesino abruzzese, gli alti monti che svettavano tutto intorno non poterono non attrarre la loro attenzione[26]. In effetti la mostra tenutasi a Roma nel 2014 ha evidenziato[27] come i monti del posto costituiscano una delle tre grandi sezioni in cui possono essere suddivisi i quadri prodotti dagli artisti di questa scuola. Tali sezioni sono le seguenti:

1) La vita quotidiana: quadri che riproducono scene di feste e riti locali, ma soprattutto la vita di tutti i giorni degli umili abitanti del posto.

2) L’arcadia: quadri che mostrano le bellezze paesaggistiche di Civita d’Antino, evocando un’atmosfera pacifica, bucolica ed accogliente, in cui l’uomo vive ancora in perfetta armonia con la natura ed i suoi cicli.

3) La montagna (o meglio Le montagne): quadri che hanno come protagonisti i monti che svettano intorno Civita d’Antino. Per fare degli esempi, in aggiunta alle opere già menzionate in precedenza, si possono citare: Porta Flora Civita d’Antino (1911) di Knud Sinding; Montagne in Abruzzo con personaggio (1903) di Askel M. Lassen; Paesaggio montano con bambini (1900–1902) di G. F. Clement[28]. Perfino Ole Henrik Benedictus Olrik, un artista danese che giunse a Civita d’Antino alcuni anni prima che essa venisse “scoperta” da Zahrtmann, nel breve periodo del suo soggiorno nel paesino dipinse le montagne locali, come si può vedere nel quadro Civita d’Antino (1877)[29], rimanendo impressionato dalla loro altezza che costituiva un elemento del paesaggio inusuale per un danese.

Fu nelle dimensioni imponenti di tali monti che questi artisti videro rivelata la potenza divina[30] e fu ad essi che affidarono il compito di suggerire agli animi degli osservatori la consapevolezza della limitatezza umana contrapposta all’immensità divina, invitandoli ad una reverenziale contemplazione religiosa, o forse, meglio, spirituale, di essi.

 

Ringraziamenti

Si desidera esprimere un sentito ringraziamento alla Fondazione Pescarabruzzo, in particolare alla Dott.ssa Maria Mafalda Misticoni, per aver fornito l’immagine del quadro di Tom–Petersen, nonché l’autorizzazione alla sua pubblicazione. Un profondo ringraziamento va anche al Dott. Manfredo Ferrante per aver fornito l’immagine del quadro di Clement posto nell’Archivio Ferrante, nonché l’autorizzazione alla sua pubblicazione. Si ringrazia il prof. Marco Ruffini per aver letto il testo e per i consigli dati, nonché il prof. Stefano Colonna per l’interesse dimostrato verso l’articolo. Si coglie infine l’occasione per ringraziare i Dott. Giovanni De Caterini e Alessio Argenteri per avermi affidato il compito di parlare della scuola pittorica creata da Zahrtmann a Civita d’Antino al convegno 1969–2019 Bruno Accordi e la Scuola Geologica Romana: l’idrogeologia dell’Alto Bacino del Liri, tenutosi il 31 maggio 2019 all’Università di Roma La Sapienza – Dipartimento di Scienze della Terra, da cui è scaturito il presente lavoro (il resoconto del convegno si può ora leggere in AA.VV. 2019).





NOTE

[1] ZAHRTMANN 2011, pp. 12–15.

[2] BINI A. 2009b, pp. 9–14; MOSCONE–DI SIMONE 2009, pp. 31–32; BINI S. 2009, pp. 42–44; NOCCA 2014, pp. 22–28; BINI A. 2014, p. 36; SCHWARTEN 2014, p. 38–42; FERRANTE-SCHWARTEN 2014, p.  43.

[3] BINI S. 2009, p. 46; ZAHRTMANN 2011, p. 46 e nota 1; BINI A. 2014, p. 35; in parte si veda NOCCA 2014, p. 27. In BINI A. 2009a, pp. 87–88 si trova un breve elenco con i nomi dei 57 pittori più noti di questa scuola, mentre in FERRANTE et al. 2014, pp. 116–122, si può trovare una breve biografia di alcuni dei membri più importanti. Un interessante documento storico sulla scuola è rappresentato dall’articolo GOLDSCHMIDT 1911, in particolare p. 414.

[4] Sull’importanza che le opere di Friedrich ebbero sull’arte danese si veda BUKDAHL 2005. 

[5] FERRANTE et al. 2014, pp. 120–121.

[6] Ibidem, pp. 116–117.

[7] Peter Tom-Petersen, Paesaggio montano con scale e croce, 1890,  Pescara, Palazzo della Fondazione Pescarabruzzo. Olio su tela, 30,70 x 45 cm; con cornice 46,2 x 48,5 cm. Presenta la firma con la data: Tom P. 90. Si veda FERRANTE et al. 2014, pp. 76–77, in cui è riprodotta l’immagine.

[8] ROSENBLUM 2006, p. 25.

[9] Ibidem, pp. 25–28.

[10] Si vedano le osservazioni fatte, a proposito delle opere di Friedrich e Gauguin, da ROSENBLUM 2006, p. 27.

[11] ROSENBLUM 2006, pp. 20–22; TASSI 2001, p. 132.

[12] Su questa tematica ROSENBLUM 2006, pp. 12–22.

[13]  Silenzio qui inteso non come assenza di suoni in toto, ma come assenza di rumori prodotti dall’uomo e dai suoi strumenti.

[14] FERRANTE et al. 2014, p. 77; si veda anche ROSENBLUM 2006, p. 20.

[15] FERRANTE et al. 2014, pp. 80 e 118. Il quadro in questione è il seguente: P. S. Krøyer (attribuito), Vista dall’Abruzzo, Pescara, Palazzo della Fondazione Pescarabruzzo. Olio su tavola, 23,70 x 33 cm; con cornice 34,5 x 43,7 cm.

[16] Gad Frederik Clement, Veduta, 1900–1902, Civita d’Antino, Archivio Ferrante. Olio su tela, 31 x 47 cm; con cornice 51 x 62 cm. Presenta la firma: Clement. Si veda FERRANTE et al. 2014, p. 79, in cui è riprodotta l’immagine.

[17] ROSENBLUM 2006, pp. 20–22.

[18] La citazione del passo รจ ripresa da ROSENBLUM 2006, p. 22.

[19] Finalizzata ovviamente ad esprimere l’idea dell’infinita potenza naturale. Si pensi a quadri come Il ghiacciaio di Lauteraar, di Caspar Wolf (1776 Basilea, Kunstmuseum); Il dirupo di Gordale, di James Ward (1811–1815 Londra, Tate Gallery); il Monaco in riva al mare di Caspar David Friedrich (1808–1810 Berlino, Alte Nationalgalerie); L’Abbazia nel querceto di C. D. Friedrich (1810 Berlino, Alte Nationalgalerie). Si veda ROSENBLUM 2006, p. 18.

[20] Questo espediente era stato utilizzato da Panini e poi da Piranesi per esempio.

[21] A tal proposito si veda quanto affermato da Friedrich e riportato in TASSI 2001, p. 130.

[22] TASSI 2001, p. 130–132.

[23] Ibidem, p. 132.

[24] «[...] poiché l’unico modello assoluto è, e rimarrà in eterno, la natura» scriveva Friedrich, si veda TASSI 2001, p. 132.

[25] TASSI 2001, p. 132.

[26] Per esempio la lettera di Zahrtmann del 22/06/1883 a F. Hendricksen in ZAHRTMANN 2011, p. 19; si veda anche FIBIGER 2009, pp. 78–79; BINI A. 2014, p.  33.

[27] FERRANTE et al. 2014, pp. 14–15.

[28] Per tali quadri e le informazioni sulle dimensioni, le tecniche e la loro collocazione, si vedano le schede del catalogo FERRANTE et al. 2014, pp. 70, 71, 85.

[29] FERRANTE et al. 2014, p. 84.

[30] Zahrtmann scriveva infatti che a Civita d’Antino, grazie all’altezza delle montagne, si era un po’ più vicini al Cielo; si veda FIBIGER 2009, p. 79.




BIBLIOGRAFIA

 

AA.VV. 2019

Alessio ARGENTERI – Giuseppina BIANCHINI – Giovanni De CATERINI – Catia Di NISIO, La compagnia del martello. Resoconto del convegno 1969–2019: Bruno Accordi e la Scuola Geologica Romana: l’idrogeologia dell’Alto Bacino del Liri, in “Professione Geologo. Notiziario dell’Ordine dei Geologici del Lazio”, 57, 2019, pp. 10–13.

 

BINI A. 2009a

Antonio BINI (a cura di), L’Italian Dream di Kristian Zahrtmann. La scuola dei pittori scandinavi a Civita d’Antino, D’Abruzzo Libri Edizioni Menabo, Ortona 2009.

 

BINI A. 2009b

ID., La scuola di Zahrtmann. La scuola di Civita d’Antino in mostra a Copenhagen (1908), in Bini 2009a, pp. 9–25.

 

BINI A. 2014

ID., il silenzio secolare sulla scuola di Zahrtmann a Civita d’Antino. Le ragioni dell’oblio, in Ferrante et al. 2014, pp. 30–37.

 

BINI S. 2009

Sergio BINI, Civita d’Antino: una città invisibile!?, in Bini 2009a, pp. 37–54.

 

BUKDAHL 2005

Else Marie BUKDAHL, Caspard David Friedrich’s study years at the Royal Danish Academy of Fine Arts and his importance for Danish art, particularly for the painters of the Golden Age and of the present day, Det Kongelige Danske Kunstakademis Billedkunstskoler, København 2005.

 

FERRANTE et al. 2014

Manfredo FERRANTE – Marco NOCCA – James SCHWARTEN (a cura di), Impressionisti danesi in Abruzzo, catalogo della mostra (Roma, Museo Hendrik Christian Andersen, 1 aprile – 2 giugno 2014), Fondazione Pescarabruzzo, Pescara 2014.

 

FERRANTE – SCHWARTEN 2014

Manfredo FERRANTE – James SCHWARTEN, Descrizione storica di Civita d’Antino, in Ferrante et al. 2014, p. 43.

 

FIBIGER 2009

Helle FIBIGER, Il ritorno dei pittori danesi. Il fascino dell’Italia, in Bini 2009a, pp. 78–82.

 

GOLDSCHMIDT 1911

Ernst GOLDSCHMIDT, Moderne Dänische Malerei, in “Die Kunst fuer alle”, XXVI, 18, 1911, pp. 409–417.

 

ZAHRTMANN 2011

Kristian ZAHRTMANN, Lettere da Civita d’Antino: Kristian Zahrtmann, a cura della Collezione d’Arte Scandinava e della Fondazione Pescarabruzzo, Fondazione Pescarabruzzo, Pescara 2011.

 

MOSCONE – DI SIMONE 2009

Piero MOSCONE – Katia Di SIMONE, L’Abruzzo e la sua stagione d’oro, in Bini 2009a, pp. 31–36.

 

NOCCA 2014

Marco NOCCA, L’Arcadia ritrovata: Kristian Zahrtmann e i pittori danesi a Civita d’Antino 1883–1911, in Ferrante et al. 2014, pp. 22–28.

 

ROSENBLUM 2006

Robert ROSENBLUM, La pittura moderna e la tradizione romantica del nord da Friedrich a Rothko, 5 Continens Editions srl, Milano 2006 (=Modern Painting and the Northen Romantic Tradition: Friedrich and Rothko, Thames and Hudson, Leipzig 1975).

 

SCHWARTEN 2014

James SCHWARTEN, Trauma collettivo e rinascita socioculturale: Ripartire dal 13 gennaio 1915, in Ferrante et al. 2014, pp. 38–42.

 

TASSI 2001

Roberto TASSI, Caspar David Friedrich, in Caspar David Friedrich, Scritti sull’arte, a cura di Luisa Rubini, Abscondita, Milano 2001, pp. 125–134.

 



PDF

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali

BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it