Nel giugno del 1883 il
pittore danese Kristian Zahrtmann (1843–1917) giunse a Civita d’Antino insieme
al suo amico e connazionale Joakim Frederik Skovgaard (1856–1933), anch’egli
pittore. Era stato Ambrogio, colui che a Roma aveva posato come modello per
Zahrtmann, ad invitarlo a visitare il suo paese natale.
Zahrtmann resterà così affascinato da Civita d’Antino che decise di fondare lì
una sua scuola di pittura che resterà attiva fino a 1915, quando il terribile
terremoto del 15 gennaio di quell’anno distrusse gran parte del paesino,
ponendo così fine anche a questa scuola
che aveva fatto di Civita d’Antino il punto d’attrazione di molti pittori
scandinavi, non solo danesi come Zahrtmann, ma anche svedesi e norvegesi. In
questi trentadue anni di attività essa fu infatti frequentata da almeno
ottantanove artisti scandinavi.
Nel presente saggio si
intende analizzare due quadri dipinti da due dei membri più autorevoli di
questa scuola, al fine di mostrare la presenza nelle opere degli artisti in
essa attivi di tematiche ed iconografie che erano state care ai pittori
romantici del nord Europa e sulle quali questi artisti scandinavi, data la loro
provenienza, si erano formati.
Il primo quadro è stato realizzato da Peter Tom–Petersen (1861–1926), un
pittore danese celebre per i suoi paesaggi.
Il secondo è invece dell’artista danese Gad Frederik Clement
(1867–1933), pittore simbolista che dal 1900 al 1922 soggiornò più volte a
Civita d’Antino.
1) Paesaggio montano con scale e croce di Tom-Petersen
In questo quadro
(Figg. 1–2) è ancora evidente la poetica del sublime. Tom–Petersen dipinge
infatti le montagne che circondano Civita d’Antino in un giorno di tempesta,
con le nubi che si insinuano tra i monti, presentando in tal modo allo
spettatore lo spettacolo maestoso e terribile della natura, osservato però a
distanza, dalla valle, ovvero da un posto sicuro.
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Fig.
1: P. Tom–Petersen, Paesaggio montano con
scale e croce, 1890, Pescara, Palazzo della Fondazione Pescarabruzzo. Su
gentile concessione della Fondazione Pescarabruzzo.
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Fig. 2: P. Tom–Petersen, Paesaggio montano con scale e croce, 1890, Pescara, Palazzo della
Fondazione Pescarabruzzo; immagine con la cornice. Su gentile concessione della
Fondazione Pescarabruzzo.
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Sulla destra si può scorgere una croce che si erge solitaria
alle pendici di un monte, posta davanti ad un gruppo di rocce. Si tratta di una
semplice croce latina formata da due tronchi, come innumerevoli se ne trovano
sui sentieri di montagna; si potrebbe pensare che la sua presenza sia casuale,
dettata semplicemente da ciò che l’artista vedeva, considerando allora il
quadro come una mera μίμησις
del paesaggio che si apriva alla sua vista. Ma la presenza di una croce
conferisce inevitabilmente al paesaggio in cui è inserita una valenza sacra e
già questo, unito alla tematica sublime
sopra indicata, dovrebbe sconsigliare dal pensare che il pittore si fosse
limitato a ricopiare ciò che vedeva. «Si potrebbe considerare questo dipinto
come derivante totalmente dall’osservazione empirica del mondo [...], ma un mondo
le cui componenti sono state selezionate e organizzate con tanta attenzione che
ogni elemento è carico di significato»;
queste parole di Rosenblum, relative alla Croce
in montagna di Friedrich, si possono applicare magistralmente anche al
nostro quadro. La Croce in montagna è
infatti uno dei più caratteristici temi della pittura romantica del nord Europa;
si ritrova per esempio in diversi quadri di Friedrich e serve per evocare la
spiritualità pura e genuina, non contaminata dal progresso e dall’industrializzazione.
Invece di dipingere un tema cristiano ambientato nella natura, Tom Petersen,
inserendosi in questo filone, ricorre ad un oggetto devozionale popolare, la
croce, per caricare il paesaggio di un sentimento religioso autentico ed
incorrotto, quello che si può trovare in montagna, unica àncora nel mondo
dell’epoca dominato dal dubbio.
Nel quadro, pertanto, possiamo scorgere la tematica del “soprannaturale
naturale” propria dei paesaggisti romantici del nord Europa, ovvero la volontà
di dipingere paesaggi capaci di evocare sentimenti religiosi nello spettatore
che lo portano a riflettere sui misteri universali e divini.
Se la croce introduce nella tela la tematica religiosa, il paesaggio la
sviluppa. Ammirando la maestosità delle montagne, l’osservatore può infatti
comprendere sia la perfezione compiuta dalla divinità durante la Creazione, sia
prendere coscienza delle sue limitatezze attraverso l’osservazione della
grandiosità della natura, che è specchio di Dio. Nel quadro di Tom–Petersen la
natura diviene pertanto il luogo in cui si manifesta il soprannaturale,
estrinsecandosi.
Infine nel quadro non c’è nessun rumore estraneo alla natura che viene ad
interrompere il suono naturale del vento che spira forte; il silenzio
è infatti la conditio sine qua non
necessaria alla meditazione religiosa e alla speculazione filosofica.
A riprova che tale tematica non fosse certo inusuale
presso i pittori di questa scuola, nella collezione della Fondazione
Pescarbruzzo si trova anche un altro quadro che presenta l’iconografia della Croce in montagna, datato allo stesso
anno di quello di Tom–Petersen qui esaminato (1890), che, nel catalogo della
mostra tenutasi a Roma nel 2014, è stato attribuito a Peder Severin Krøyer, uno
dei più importanti artisti norvegesi del tempo, il quale giusto in quell’anno
venne a visitare la scuola del suo amico Zahrtmann a Civita d’Antino, entrando
in contatto con lo stesso Tom–Petersen.
In conclusione il nostro quadro che apparentemente
potrebbe sembrare un semplice paesaggio montano, in realtà si inserisce in un
preciso filone iconografico proprio della pittura romantica del nord Europa.
2) Veduta di Clement, ovvero Dalle
montagne all’infinito
In questa magnifica opera
(Fig. 3), Clement rappresenta la scalinata che conduce alla Porta Flora, la
principale porta d’accesso a Civita d’Antino. Sulla sinistra vi è un abitante
di questo paesino con un cappello di paglia in testa. È una figura di piccole
dimensioni, vista di spalle, appoggiata al parapetto della scalinata, colta
mentre sta contemplando l’immensa vastità dei monti circostanti alla città;
gran parte del quadro è infatti dominato dalle montagne del posto. Anche questo
soggetto, apparentemente casuale, rientra invece in un fortunato filone
iconografico proprio della tradizione pittorica romantica del nord Europa, che
ha nel Monaco in riva al mare di
Friedrich l’esempio più celebre, che consiste nel rappresentare una piccola
figura umana vista di spalle mentre contempla la maestosità della natura,
prendendo così coscienza della finitezza dell’essere umano rispetto
all’infinita grandezza e potenza della natura.
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Fig. 3: G. F. Clement, Dalle montagne all’Infinito, 1900–1902, Civita d’Antino, Archivio
Ferrante. Su gentile concessione del proprietario Manfredo Ferrante.
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Carl Gustav Carus, un allievo di Friedrich, in una
delle sue lettere scriveva:
Quando l’uomo, intuendo la magnificenza immensa
della natura, si rende conto della propria insignificanza, e, sentendosi parte
di Dio, penetra in questo infinito e abbandona la sua esistenza individuale, il
suo arrendersi è un guadagno anziché una perdita. Ciò che, normalmente,
percepisce soltanto l’occhio della mente, qui diventa quasi letteralmente
visibile: l’unione con l’infinità dell’universo.
Questo pensiero è ancora vivo nel quadro di Clement,
dove gli alti monti intorno Civita d’Antino evocano l’illimitata potenza della
natura che contrasta con la limitatezza dell’essere umano, rappresentata dal
piccolo contadino. La sua posizione di spalle comporta che egli osserva il
paesaggio dal medesimo punto di vista dello spettatore, così che quest’ultimo
possa immedesimarsi con lui. Clement inoltre esegue il contadino usando un
punto di vista dall’alto verso il basso che tende a “schiacciare” la figura
umana, con la conseguenza che essa appaia, volutamente, piccola rispetto al
paesaggio circostante. Le montagne sullo sfondo sono invece viste con una
prospettiva dal basso verso l’alto che fa loro acquisire maggior imponenza.
L’uso di due scale contrapposte, una microscopica per gli esseri viventi ed una
macroscopica per la natura, è un espediente che ricorre spesso nella pittura di
paesaggio nordica,
mutuato dai pittori di veduta.
In aggiunta, lo stesso isolamento della figura, contrapposta ad un paesaggio
naturale che si espande su buona parte del quadro, aumenta la sensazione di
limitatezza umana opposta all’infinitezza naturale. Anche in questa tela,
inoltre, regna il silenzio; non c’è infatti nessun rumore che può distogliere
il contadino dai suoi pensieri e questa, come abbiamo visto, era la condizione
necessaria per poter percepire Dio nella natura, prendendo al tempo stesso
coscienza dei limiti umani.
L’idea di poter rappresentare “l’infinito” nel “finito”, era stata sostenuta da
Schelling e ripresa da Friedrich, il quale, tuttavia, come osservato acutamente
da Tassi, si
allontanava poi dal filosofo per un punto fondamentale: Schelling riteneva che
l’oggetto supremo della raffigurazione pittorica fosse la figura umana, da lui
reputata il soggetto più perfetto, quello che può far scorgere l’infinitezza
dell’arte. Friedrich invece riteneva che “l’infinitizzazione del finito”
poteva avvenire solo nella pittura di paesaggio, poiché solo la natura può far
scorgere agli uomini, rivelandola, l’infinitezza divina,
in quanto il divino è in ogni elemento della natura.
Questo breve excursus è stato
compiuto per dimostrare che questi ideali erano ancora vivi in Clement
all’inizio del Novecento. In questa tela sono infatti presenti tutti gli
elementi chiave di questa riflessione: il solingo e piccolo essere umano; la
natura che domina la composizione; l’uso di due scale differenti, una
microscopica per gli esseri umani e una macroscopica per la natura; l’atmosfera
silenziosa. Grazie a questi espedienti il quadro riesce a far comprendere allo
spettatore l’infinitezza divina attraverso la maestosità naturale, inducendolo
contemporaneamente a riflettere sui limiti umani.
Quest’opera non ha un titolo e probabilmente è meglio
così, poiché ciò non orienta l’attuale spettatore a voler cercare nella tela
ciò che il titolo suggerirebbe, ma lo costringe ad osservare il quadro.
Tuttavia, se proprio si vuole attribuire un titolo, il semplice appellativo Veduta non è molto appropriato, perché
implicitamente rinvierebbe al genere pittorico del vedutismo a cui il quadro non appartiene; più corretti potrebbero
allora apparire titoli come Dalle
montagne all’infinito o
Contemplazione dell’infinita potenza della natura, specchio di Dio, capaci
di mettere in evidenza le tematiche sopra espresse.
3) Un epilogo sulla montagna
In entrambi i quadri i protagonisti sono i monti
circostanti Civita d’Antino. Tom–Petersen e Clement, come Zahrtmann,
provenivano dalla Danimarca, che è uno stato che non possiede montagne; quando
pertanto giunsero in questo paesino abruzzese, gli alti monti che svettavano
tutto intorno non poterono non attrarre la loro attenzione.
In effetti la mostra tenutasi a Roma nel 2014 ha evidenziato
come i monti del posto costituiscano una delle tre grandi sezioni in cui
possono essere suddivisi i quadri prodotti dagli artisti di questa scuola. Tali
sezioni sono le seguenti:
1) La vita
quotidiana: quadri che riproducono scene di feste e riti locali, ma
soprattutto la vita di tutti i giorni degli umili abitanti del posto.
2) L’arcadia:
quadri che mostrano le bellezze paesaggistiche di Civita d’Antino, evocando
un’atmosfera pacifica, bucolica ed accogliente, in cui l’uomo vive ancora in
perfetta armonia con la natura ed i suoi cicli.
3) La montagna
(o meglio Le montagne): quadri che
hanno come protagonisti i monti che svettano intorno Civita d’Antino. Per fare
degli esempi, in aggiunta alle opere già menzionate in precedenza, si possono
citare: Porta Flora Civita d’Antino (1911)
di Knud Sinding; Montagne in Abruzzo con
personaggio (1903) di Askel M. Lassen; Paesaggio
montano con bambini (1900–1902) di G. F. Clement.
Perfino Ole Henrik Benedictus Olrik, un artista danese che giunse a Civita
d’Antino alcuni anni prima che essa venisse “scoperta” da Zahrtmann, nel breve
periodo del suo soggiorno nel paesino dipinse le montagne locali, come si può
vedere nel quadro Civita d’Antino (1877),
rimanendo impressionato dalla loro altezza che costituiva un elemento del
paesaggio inusuale per un danese.
Fu nelle dimensioni imponenti di tali monti che questi
artisti videro rivelata la potenza divina
e fu ad essi che affidarono il compito di suggerire agli animi degli
osservatori la consapevolezza della limitatezza umana contrapposta all’immensità
divina, invitandoli ad una reverenziale contemplazione religiosa, o forse,
meglio, spirituale, di essi.
Ringraziamenti
Si desidera esprimere un sentito ringraziamento alla
Fondazione Pescarabruzzo, in particolare alla Dott.ssa Maria Mafalda Misticoni,
per aver fornito l’immagine del quadro di Tom–Petersen, nonché l’autorizzazione
alla sua pubblicazione. Un profondo ringraziamento va anche al Dott. Manfredo
Ferrante per aver fornito l’immagine del quadro di Clement posto nell’Archivio
Ferrante, nonché l’autorizzazione alla sua pubblicazione. Si ringrazia il prof.
Marco Ruffini per aver letto il testo e per i consigli dati,
nonché il prof. Stefano Colonna per l’interesse dimostrato verso l’articolo. Si
coglie infine l’occasione per ringraziare i Dott. Giovanni De Caterini e
Alessio Argenteri per avermi affidato il compito di parlare della scuola
pittorica creata da Zahrtmann a Civita d’Antino al convegno 1969–2019 Bruno Accordi e la Scuola
Geologica Romana: l’idrogeologia dell’Alto Bacino del Liri, tenutosi il 31
maggio 2019 all’Università di Roma La Sapienza – Dipartimento di Scienze della
Terra, da cui è scaturito il presente lavoro (il resoconto del convegno si può
ora leggere in AA.VV. 2019).
NOTE
ZAHRTMANN 2011,
pp. 12–15.
BINI A. 2009b,
pp. 9–14; MOSCONE–DI SIMONE 2009, pp. 31–32; BINI S. 2009, pp. 42–44; NOCCA
2014, pp. 22–28; BINI A. 2014, p. 36; SCHWARTEN 2014, p. 38–42;
FERRANTE-SCHWARTEN 2014, p. 43.
BINI S. 2009, p.
46; ZAHRTMANN 2011, p. 46 e nota 1; BINI A. 2014, p. 35; in parte si veda NOCCA
2014, p. 27. In BINI A. 2009a, pp. 87–88 si trova un breve elenco con i nomi
dei 57 pittori più noti di questa scuola, mentre in FERRANTE et al. 2014, pp.
116–122, si può trovare una breve biografia di alcuni dei membri più
importanti. Un interessante documento storico sulla scuola è rappresentato
dall’articolo GOLDSCHMIDT 1911, in particolare p. 414.
Sull’importanza
che le opere di Friedrich ebbero sull’arte danese si veda BUKDAHL 2005.
FERRANTE et al. 2014, pp. 120–121.
Peter
Tom-Petersen, Paesaggio montano con scale
e croce, 1890, Pescara, Palazzo
della Fondazione Pescarabruzzo. Olio su tela, 30,70 x 45 cm; con cornice 46,2 x
48,5 cm. Presenta la firma con la data: Tom
P. 90. Si veda FERRANTE et al.
2014, pp. 76–77, in cui è riprodotta l’immagine.
Si vedano le
osservazioni fatte, a proposito delle opere di Friedrich e Gauguin, da
ROSENBLUM 2006, p. 27.
ROSENBLUM 2006,
pp. 20–22; TASSI 2001, p. 132.
Su questa
tematica ROSENBLUM 2006, pp. 12–22.
Silenzio qui inteso non come assenza di suoni in toto, ma come assenza di rumori
prodotti dall’uomo e dai suoi strumenti.
FERRANTE et al. 2014, p. 77; si veda anche
ROSENBLUM 2006, p. 20.
FERRANTE et al. 2014, pp. 80 e 118. Il quadro in
questione è il seguente: P. S. Krøyer (attribuito), Vista dall’Abruzzo, Pescara, Palazzo della Fondazione
Pescarabruzzo. Olio su tavola, 23,70 x 33 cm; con cornice 34,5 x 43,7 cm.
Gad Frederik
Clement, Veduta, 1900–1902, Civita
d’Antino, Archivio Ferrante. Olio su tela, 31 x 47 cm; con cornice 51 x 62 cm.
Presenta la firma: Clement. Si veda
FERRANTE et al. 2014, p. 79, in cui è
riprodotta l’immagine.
ROSENBLUM 2006, pp.
20–22.
La citazione del passo รจ ripresa da ROSENBLUM 2006, p. 22.
Finalizzata
ovviamente ad esprimere l’idea dell’infinita potenza naturale. Si pensi a
quadri come Il ghiacciaio di Lauteraar,
di Caspar Wolf (1776 Basilea, Kunstmuseum); Il
dirupo di Gordale, di James Ward (1811–1815 Londra, Tate Gallery); il Monaco in riva al mare di Caspar David
Friedrich (1808–1810 Berlino, Alte Nationalgalerie); L’Abbazia nel querceto di C. D. Friedrich (1810 Berlino, Alte
Nationalgalerie). Si veda ROSENBLUM 2006, p. 18.
Questo espediente
era stato utilizzato da Panini e poi da Piranesi per esempio.
A tal proposito
si veda quanto affermato da Friedrich e riportato in TASSI 2001, p. 130.
«[...] poiché l’unico
modello assoluto è, e rimarrà in eterno, la natura» scriveva Friedrich, si veda
TASSI 2001, p. 132.
Per esempio la
lettera di Zahrtmann del 22/06/1883 a F. Hendricksen in ZAHRTMANN 2011, p. 19;
si veda anche FIBIGER 2009, pp. 78–79; BINI A. 2014, p. 33.
FERRANTE et al. 2014, pp. 14–15.
Per tali quadri e
le informazioni sulle dimensioni, le tecniche e la loro collocazione, si vedano
le schede del catalogo FERRANTE et al. 2014,
pp. 70, 71, 85.
FERRANTE et al. 2014, p. 84.
Zahrtmann scriveva
infatti che a Civita d’Antino, grazie all’altezza delle montagne, si era un po’
più vicini al Cielo; si veda FIBIGER 2009, p. 79.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV. 2019
Alessio ARGENTERI – Giuseppina BIANCHINI – Giovanni De
CATERINI – Catia Di NISIO, La compagnia
del martello. Resoconto del convegno 1969–2019: Bruno Accordi e la Scuola
Geologica Romana: l’idrogeologia dell’Alto Bacino del Liri, in “Professione
Geologo. Notiziario dell’Ordine dei Geologici del Lazio”, 57, 2019, pp. 10–13.
BINI A. 2009a
Antonio BINI (a cura di), L’Italian Dream di Kristian Zahrtmann. La scuola dei pittori scandinavi
a Civita d’Antino, D’Abruzzo Libri Edizioni Menabo, Ortona 2009.
BINI A. 2009b
ID., La scuola
di Zahrtmann. La scuola di Civita d’Antino in mostra a Copenhagen (1908),
in Bini 2009a, pp. 9–25.
BINI A. 2014
ID., il silenzio
secolare sulla scuola di Zahrtmann a Civita d’Antino. Le ragioni dell’oblio,
in Ferrante et al. 2014, pp. 30–37.
BINI S. 2009
Sergio BINI, Civita
d’Antino: una città invisibile!?, in Bini 2009a, pp. 37–54.
BUKDAHL 2005
Else Marie
BUKDAHL, Caspard David Friedrich’s study
years at the Royal Danish Academy of Fine Arts and his importance for Danish
art, particularly for the painters of the Golden Age and of the present day,
Det Kongelige Danske Kunstakademis Billedkunstskoler, København 2005.
FERRANTE et al. 2014
Manfredo FERRANTE – Marco NOCCA – James SCHWARTEN (a
cura di), Impressionisti danesi in
Abruzzo, catalogo della mostra (Roma, Museo Hendrik Christian Andersen, 1
aprile – 2 giugno 2014), Fondazione Pescarabruzzo, Pescara 2014.
FERRANTE – SCHWARTEN
2014
Manfredo
FERRANTE – James SCHWARTEN, Descrizione
storica di Civita d’Antino, in Ferrante et
al. 2014, p. 43.
FIBIGER 2009
Helle FIBIGER, Il
ritorno dei pittori danesi. Il fascino dell’Italia, in Bini 2009a, pp.
78–82.
GOLDSCHMIDT 1911
Ernst
GOLDSCHMIDT, Moderne Dänische Malerei,
in “Die Kunst fuer alle”, XXVI, 18, 1911, pp. 409–417.
ZAHRTMANN 2011
Kristian ZAHRTMANN, Lettere da Civita d’Antino: Kristian Zahrtmann, a cura della Collezione d’Arte Scandinava e della Fondazione Pescarabruzzo,
Fondazione Pescarabruzzo, Pescara 2011.
MOSCONE – DI SIMONE
2009
Piero MOSCONE – Katia Di SIMONE, L’Abruzzo e la sua stagione d’oro, in Bini 2009a, pp. 31–36.
NOCCA 2014
Marco NOCCA, L’Arcadia
ritrovata: Kristian Zahrtmann e i pittori danesi a Civita d’Antino 1883–1911,
in Ferrante et al. 2014, pp. 22–28.
ROSENBLUM 2006
Robert ROSENBLUM, La
pittura moderna e la tradizione romantica del nord da Friedrich a Rothko, 5
Continens Editions srl, Milano 2006 (=Modern
Painting and the Northen Romantic Tradition: Friedrich and Rothko, Thames
and Hudson, Leipzig 1975).
SCHWARTEN 2014
James SCHWARTEN, Trauma
collettivo e rinascita socioculturale: Ripartire dal 13 gennaio 1915, in
Ferrante et al. 2014, pp. 38–42.
TASSI 2001
Roberto TASSI, Caspar
David Friedrich, in Caspar David Friedrich, Scritti sull’arte, a cura di Luisa Rubini, Abscondita, Milano 2001,
pp. 125–134.
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