Il profilo culturale
occidentale è tendenzialmente dualistico e la separazione dell’Essere, tra
tecnica e creatività, tra scienza ed arte, tra natura e città
diviene, per un Architetto di Paesaggio, uno stimolante impegno etico
e sociale da reinterpretare.
La contaminazione tra ecologia
ed
estetica, di scienza-natura-arte, tra la misurazione quantitativa dei
fenomeni ambientali e la valutazione del valore qualitativo è stato,
soprattutto nel corso della storia recente, oggetto di un corto
circuito culturale per diverse discipline.
Pur avendo
perseguito il
principio per il quale la conoscenza è di per sé relazionale, i
riferimenti teorico-scientifici che hanno avuto maggiori aperture e
hanno generato nuovi approcci hanno attinto a quelle forme di
pensiero in cui il metodo scientifico non preclude una via alla
possibilità di approcciarsi in senso umanistico.
Con questa
visione unitaria i
fenomeni sono stati osservati secondo i due aspetti dello stesso
sapere, separabili solo per motivi di comprensione comunicativa: il
pensiero umanistico che studia il processo conoscitivo nel percorso
di scienza, di linguaggio, di semiotica (il significato di un segno)
e di spazialità (semiotica topologica) ed il pensiero scientifico
che offre la conoscenza indispensabile per lo studio della
complessità degli ecosistemi naturali antropizzati.
La visione
del Paesaggista si
pone proprio nel fulcro delle contaminazioni socio-culturali e
tecnico-scientifiche: ecologiche per necessità ed estetiche per
elezione.
L’idea
contemporanea di
“Paesaggio” supera le asserzioni definitorie grazie
all’integrazione della matrice biologica con quella semiotica.
La
maggiore conoscenza dei fattori naturali e la coscienza che la nostra impronta ecologica è così determinante per la sopravvivenza del Pianeta, dagli anni
’60 ad oggi hanno sempre più responsabilizzato i progettisti
sull’importanza di capire i meccanismi che regolano gli ecosistemi
e le dinamiche tra risorse ed esseri viventi, in quanto ciò
significa poter intervenire durante le trasformazioni modellando il
paesaggio, se non addirittura anticipare scenari futuri con
trasformazioni indotte.
Lo spazio non è un elemento finito ma è in continua trasformazione. Con il progetto vengono reinterpretati i luoghi marginali, abbandonati o degradati, con azioni a lungo termine e a diverse scale, individuandone le trasformazioni in atto e inquadrandole nel ritmo naturale e nel loro possibile sviluppo, proprio a partire da un’analisi a ritroso nel tempo, dalla geomorfologia del territorio, alle sue arterie infrastrutturali, agli elementi di densificazione
urbana.
Il
paesaggio reintegrato in un
disegno ecologico riconquista l’attenzione all’habitat, allo
spazio sociale, alla funzionalità e non ultimo al godimento
estetico.
L’idea
di Paesaggio tra
percezione e identità valoriale
Negli
ultimi cinquant’anni i
Paesaggisti hanno rivendicato il loro ruolo sociale nella gestione
del territorio ma si trovano ancora in una condizione di marginalità.
L’approccio di Michel Desvigne, delicato e incisivo, sapientemente
cosciente della metamorfosi che suggerisce, ci insegna che i progetti
di paesaggio «agiscono da rivelatori, [...] catalizzatori, [...]
fermenti. Il loro statuto è di ordine artistico: sono altrettante
opere che trasformano il modo di guardare al paesaggio e alla sua
evoluzione.»
L’idea di
Paesaggio ha dovuto
quindi misurarsi con quel duplice approccio che sembra ricalcare la
distinzione che Parmenide indicava con il termine epistéme,
la conoscenza vera cioè quella fondata sulla ragione, che si
opponeva all’opinione, o doxa,
basata sui sensi e quindi ritenuta inaffidabile. Dopo quasi 2500
anni, il neopositivismo e il razionalismo critico, le due tradizioni
teoriche più rilevanti e influenti dell’epistemologia del
Novecento, hanno dissolto l'immagine tradizionale della scienza
concepita come epistème,
affermando l’idea della scienza come doxa.
«Il
presunto oggetto
dell’estetica
si riferisce a qualcosa di non immediatamente sensibile e
osservabile, ma innanzitutto di culturale e addirittura di
psicologico. […] Legata alla ‘meraviglia’, cioè a un
distanziarsi dagli ‘oggetti’ e dalla loro «immediata esistenza
singola», a un originario instaurarsi del senso o, in altre parole,
al sorgere di una coscienza simbolica e del linguaggio.»
L’Estetica
come
disciplina
in senso moderno, autonoma e specifica, ebbe una travagliata
affermazione come semplice termine e nel suo stesso oggetto: C.
Batteux, presunto fondatore del concetto moderno suddivise le arti
secondo i criteri di piacere e di bisogno o utilità.
Il termine
si affermò nel XVIII
secolo quando gli si riconobbe il contenuto di «scienza della
conoscenza sensitiva».
Indubbiamente però il
suo contenuto affonda le proprie radici nell’idea del
bello-buono-vero del pensiero filosofico del mondo antico.
L’estetica,
in senso hegeliano, può essere considerata «una riflessione critica
sul senso, sul significato, sul linguaggio e sull’esperienza in
genere.»
Appropriandosi
di questa
concezione aperta, si evidenzia quello slancio vitale che il
progettista o l’artista imprimono nell’opera quale risultato di
un processo auto-conoscitivo e creativo, capace ad emozionare, a
comunicare un significato che sarà riconoscibile se radicato nella
storia identitaria del luogo, o perché avrà la versatilità per
essere liberamente reinterpretato dallo spettatore, nel caso in cui
il segno riesce a porsi come seme generatore di un nuovo senso, come
pronto ad essere trasfigurato in una nuova ritualità del sociale.
«Lo spazio
pubblico è fisico
solo momentaneamente: uno spazio pubblico fisico è soltanto una
prova di spazio fisico che scompare, uno spazio che si dissolve in
onde e neuroni e particelle che a loro volta si dissolvono nelle
terminazioni nervose della gente. Gli spazi pubblici diventano una
rete di spazi paralleli – spazio fisico, spazio topologico, spazio
proiettivo – i quali si mescolano in un intricato spazio aereo
trasmesso via telefono, televisione, computer… L’obiettivo, il
fine, dello spazio pubblico è la gente stessa, il respiro, il
rumore, l’odore della gente.»
Sul piano
materiale e fisico
dell’ambiente, lo spazio è identificato con la sua fissità
materica per quanto effimera o suscettibile di trasformazioni dovute
alle esigenze collettive e al ciclo naturale. Le memorie trovano
posto nelle trasformazioni del passar del tempo, tra permanenza di
fenomeni e mutazioni imprevedibili.
Natura
e scienza: l’approccio
trasversale dell’Ecologia
Nel corso
della storia delle scienze, è singolare come le scienze
fisico-matematiche fossero associate alla certezza
oggettiva, mentre le discipline tipicamente sperimentali, fondate su
indagini naturalistiche che descrivevano una realtà di tipo
organico, vitale e in continuo cambiamento come è appunto il mondo
della natura, non erano considerate possedere la forza di valenza
scientifica.
L’Ecologia,
il cui termine fu
inventato nel 1866 dal biologo tedesco Ernst Haeckel (1834-1919), si
evolve negli ultimi 150 anni.
Nel primo quarto del
Novecento ha messo in evidenza come la dimensione fisica
spaziotemporale degli oggetti cui siamo abituati, non sia la stessa
dimensione per tutti i fenomeni dell'universo. Esiste un mondo
infinitamente piccolo e uno infinitamente grande così come una
dimensione temporale che corrisponde alle velocità quantiche per il
micro e a quelle degli anni luce, nel macro, due mondi che non
ricadono sotto i nostri sensi in modo direttamente percepibile o
quantomeno di cui se ne possa fare quotidianamente un’esperienza
cosciente.
La visione
della Biosemiotica
disciplina che restituisce una biologia “umanistica” alle scienze
naturali, grazie allo studio delle funzioni organiche, caratterizzano
gli adattamenti, cioè relazioni, vincoli di vita e fenomeni
qualitativi, che possono essere visti come relazioni iconiche
indicizzate o relazioni simboliche, cioè relazioni di “segno”,
per cui l’attenzione della biologia si sposta dal concetto di
organismo in sé, al concetto di messaggio. Dal
carattere convenzionale, fatto di codici e tipologie dunque,
percezione, funzione e valore simbolico sono esperiti nella
dimensione umana del quotidiano ed entrano nel processo
del progetto del paesaggio
grazie al ad un intervento sociale partecipativo.
Con
l’affermarsi di due
concetti importanti, quello dell’importanza del soddisfare i
bisogni culturali e quello dell’attribuzione alla bellezza del
grado di benessere e della qualità della vita, l’estetica entra a
pieno titolo come un criterio di funzionalità riconosciuto ad un
bisogno primario.
Il
Paesaggio, quindi, in quanto
spazio, può essere visto contemporaneamente come segno-forma,
senso-simbolo, funzione e bellezza, divenendo il Luogo
dell’esperienza emotiva.
«L’inesauribile
creatività
dell’uomo si è rivolta, nel nostro tempo all’economia e
all’industria. Senza la contemplazione e la poesia del giardino e
se regna esclusivamente il dogma dell’economia, la natura verrà
distrutta più o meno dalla mano dell’uomo. Questa distruzione
riguarda tutta la natura, inclusa la natura umana».
Coesistenza
e dissolvenza
della forma
Con lo
studio duale (e non
dualistico) condotto da Michel Lesvigne e Christine Dalnoky durante
il loro soggiorno a Roma (1986-1987), riservato ai paesaggisti
dall’Accademia di Francia di Villa Medici, dove ciascuno ha
approfondito lo studio sui giardini rinascimentali e sull’evoluzione
naturale dei siti attraverso foto satellitari, hanno dato l’avvio
allo sviluppo della loro concezione di spazio, emersa all’interno
di una cornice classica del giardino storico, da «l’espressione
contemporanea integrante a sua volta una grande sobrietà di
strumenti e una visione complessa della natura. Piuttosto minimalisti
negli elementi artificiali, i loro ‘jardins élémentaires’
sfruttano per contrasto la ricchezza della natura in continua
crescita e in perpetua sedimentazione.»
Grazie
alle loro evocazioni nel
progetto di paesaggio, Desvigne-Dalnoky intersecano l’ecologia alla
creatività, riconoscendo anche nel paesaggio “povero” una
dignità e una forza generatrice verso cui essere rispettosi ed
umanamente grati.
Come in un
caleidoscopio di
micropaesaggi, la trasformazione dei frammenti traccia la metamorfosi
in un disegno complessivo, così Desvigne mette in scena l’aleatorio
della crescita vegetale, cioè cattura il fenomeno naturale senza
imitarlo, ma creando le condizioni per cui la corrente di un fiume o
il vento canalizzato diventino i veri modellatori della crescita
delle piante o dell’erosione delle dune o delle rive fluviali.
Permanente
e provvisorio
Nel
processo progettuale di
Desvigne, i concetti di memoria, come vocazione storica del luogo e
di temporalità come trasformazione evolutiva, sono gli attivatori di
un’intenzionalità predittiva, a breve e a medio termine, che si
esprime con una proiezione immaginativa sul territorio, capace di
riconfigurare il paesaggio. È evidente l’attenzione posto al
contesto paesaggistico, alla caratteristica dinamica e adattativa
dell’aspetto naturalistico, considerato organismo, in senso
funzionale e vitalistico.
Prevedendo
anche un decorso
evolutivo, viene curato il fattore della versatilità per un
successivo riuso. I
suoi spazi pubblici urbani sono essenzialmente vuoti: non la poetica
dell’addizione ma la geografia di tessiture organiche, vive. Egli
lavora senza disegnare l’immagine di un’idea definitiva di luogo,
poiché nella successione di diversi stati di maturazione, ogni fase
ha una sua propria qualità.
La
dimensione ideale per la sperimentazione della densità e della
gestione delle coltivazioni è il prototipo, fino a vere e proprie
prefigurazione di giardino in scala 1:1, perché «quando apri le
porte alle persone, tutto può cambiare».
«‘Il mio lavoro richiede pochi oggetti – idealmente proprio
nessuno – e solamente materiali ordinari. Esso non comporta gesta
eroiche di esecuzione o altre stravaganze. Si distingue, piuttosto,
per una certa povertà’ (Natures Intermédiaires, 2009)”.
La
rigenerazione di un sito
inadeguato per la Fabbrica Thomson a Guyancourt (1989/1992) ha
previsto un intervento di spazi aperti che si sviluppa temporalmente
e concettualmente sul progetto della fabbrica, costruita da Renzo
Piano. Per le caratteristiche dell’area, con un terreno grasso
scarsamente drenante delle acque piovane, piuttosto ventosa e con
accesso difficoltoso, sono stati pensati progetti sulla gestione
delle acque, della terra e dei tracciati che ripropongono la
modularità dell’impianto strutturale architettonico.
La
particolarità del progetto è
nella sua relazione con la dimensione temporale. Già un complesso
industriale ha una propria durata predefinita, quando poi è dismesso
anzitempo il suo logorarsi, paradossalmente, la sospende in una
nostalgia di un futuro che non arriva.
Il
progetto di paesaggio rimette
nel circuito del tempo lo spazio naturale, permettendo al ciclo della
nascita, crescita, deperimento e sostituzione delle essenze
piantumate, posizionandole secondo paesaggi in miniatura.
Viene
creata così “una prima
ossatura arbustiva costituita da cordoni di piccole ginestre; essa
viene progressivamente integrata con arbusti pregiati destinati a
sostituire, crescendo, le prime piante.”
Negli
spazi esterni della
Fabbrica Thomson, un sistema di drenaggio delle acque di scolo, una
vasca di raccolta e una rete di canali, in attesa dell'allaccio alla
rete fognaria, risolve il sistema di canalizzazioni a cielo aperto
che, successivamente all’allaccio, è pensato per irrigare i filari
alberati siti nell'area del parcheggio.
Anche le
essenze arboree, salici
e pioppi a rapido accrescimento sottolineano la geometria dell’area
con un paesaggio provvisorio, in una prima sistemazione, per poi
essere aggiunti alberi secolari, quali pini neri, faggi e querce che
caratterizzeranno il paesaggio in modo più duraturo pensato per un
parco boschivo dopo lo smantellamento della fabbrica.
Natures
intermédiaires
La Charte
des paysages, con il
progetto di Foreste Fondazionali, ha posto come obiettivo la
riqualificazione del tessuto della riva destra di Bordeaux,
caratterizzato dalle aree industriali, parcheggi e strade dismesse,
secondo tempi e modi di rigenerazione naturale.
Desvigne
lavora sulla costruzione
di un mosaico, non solo in termini geometrici ma essenzialmente in
termini biologici, come un ecosistema costituito da piccole isole che
ricreano un bosco naturale in continuità con le aree in disuso
progressivamente acquisite dal Comune.
La
trasformazione della riva
destra della Garonna è stata programmata considerando il tempo di
crescita delle piantagioni in diverse decine di anni. L’operazione
iniziata nel 2000 per la costituzione di un parco, si insinua tra gli
interstizi di quartieri densamente urbanizzati, non come una mera
conservazione o come ripristino di uno stato di naturalità
ipotizzato, ma attraverso il controllo tra vuoti e pieni all’interno
del tessuto abitato
che mantiene la memoria del luogo si serve di fasi di accrescimento
della vegetazione studiato all’interno di ogni pezzo del mosaico e
nel suo risultato complessivo.
Il
concetto di abbondanza della
risorsa vegetazionale, nelle sue intenzioni, non prevalica lo spazio
connettivo dell’interstizio. Il luogo del poché
(da pocher “racchiudere in un sacchetto”) è pensato come
governato tra la doppia valenza nel senso di riempimento mimetico,
come da significato primario di poché cioè affogato
e dall’immersione in uno spazio altro, di paesaggio boschivo, del
quale riesce a mantenere la propria identità.
La natura
intermedia, tra una
fase e l’altra di crescita e di ricomposizione del parco,
accompagna anche le trasformazioni dei nuovi quartieri.
Diverse
costruzioni e aree verdi
sono incastonate in questa maglia vegetazionale che raddoppia la
linea della riva e traccia dei filari perpendicolari ad essa
suggerendo sguardi in scorcio sul fiume o verso la città: il Parc
Aux Angéliques, la Quai des Queyries, i quarieri di Bastide-Brazza e
Bastide-Niel.
Il primo
parco realizzato, il
Parc Aux Angéliques, mette in scena le quinte dei filari di alberi
disposti in modo irregolare a densità variabile, permettendo
trasparenze e vuoti ed organizzando percorsi che sembrano essere dei
ponti di ancoraggio
tra la riva e la Rue de Queyries. La scelta di Desvigne esalta la
spontaneità della natura, secondo un approccio che considera
elemento di progetto, la trasformazione dovuta alla crescita
vegetale, diversamente dal paesaggista Michel Corajoud che tratteggia
la crescita organica in una geometria marcata, come in foto nella
sistemazione attenta alla contestualizzazione storica del fronte del
Palazzo della Borsa.
Fig.
1 – M.
Desvigne, Percorsi nel Parc aux Angéliques, Garonna rive droite
Bordeaux, 2010-2017. Courtesy Eleonora Tomassini 2018
Fig.
2 – Michel Corajoud, Sistemazione a verde Quai de la Douane sulla
Garonna rive gauche nei pressi del Palais de la Bourse, Bordeaux
2011. Courtesy
Eleonora Tomassini 2018
Fig.
3 – Michel
Corajoud, Sistemazione a verde Quai de la Douane nei pressi del
Palais de la Bourse sulla Garonna, Bordeaux 2011. Courtesy
Eleonora Tomassini 2018
Fig.
4 - M.
Desvigne, Percorsi nel Parc aux Angéliques, Quai des Qeyries sulla
Garonna, Bordeaux, 2010-2017. Courtesy Eleonora Tomassini 2018
Questo
asse stradale correndo
quasi parallelo al più largo Avenue Thiers che prosegue al di là
del fiume sul Pont de Pierre, ritaglia la curva della Garonna creando
una sorta di filtro tra l’area dell’intervento e la città.
Fig.
5 - M.
Desvigne, Percorsi nel Parc aux Angéliques, Quai des Qeyries sulla
Garonna, Bordeaux, 2010-2017. Courtesy Eleonora Tomassini 2018
Assecondando
l’impertinenza
del germoglio
La
reinterpretazione del Giardino
di Noguchi per il giardino pensile dell’Università Giapponese Keio
a Tokyo, opera condivisa con Kengo Kuma, nel 2004-2005, rappresenta
una sapiente sovrapposizione del giardino minerale orientale, alla
preponderante vitalità della natura che sottostà alla legge della
crescita ad oltranza. Alla maglia regolare e geometrica di base si
sovrappone un piano invisibile di varianti dimensionali: gli invasi,
veri e propri pozzi di vita. Il parterre non si percepisce come un
coperchio pieno con dei buchi, ma come una maschera leggera da cui
emerge l’energia della natura come se il pavimento fosse un foglio
solo poggiato a terra. È il raffinato gioco dell’inversione. È
l’arte della sottrazione senza la definizione del pieno che invera
tutta la semplicità dell’essere in vita.
«Conciliando
“l’Universalismo della differenza”,
arricchendosi
di dati e
spunti a partire dai bisogni della comunità urbana, il progettista
ridefinisce la configurazione spaziale di luoghi pubblici, o meglio,
lasciandola ‘aperta’ andando oltre i codici compositivi
tradizionali, -egli- contestualizza la relatività dei segni (…) Il
progetto può quindi essere una sorta di “addomesticamento” delle
infrastrutture, un’inversione paesaggistica, dove la pianificazione
locale del paesaggio ha ripercussioni ambientali a livello globale».
Nell’interpretazione
narrativa
sul tema della creatività come espressione dell’intelligenza del
cuore e come arte della sintesi attraverso il segno,
testimonianza dell’interpretazione della visione del proprio Sé
nel Mondo si è evidenziato come s’innesti la consapevolezza
dell’agire sull’ambiente, come fatto sociale e come atto le cui
conseguenze si ripercuotano sul futuro, in un Sapere predittivo, come
definito da H. Jonas. Si sottolinea come l’intenzione di chi voglia
agire “sul” paesaggio, sia intrinsecamente portatrice di quella
responsabilità morale verso la natura e di quel rispetto eticamente
compatibile con le condizioni che rendono possibile l’esistenza
stessa del mondo. È dunque
la necessità di un
pensiero intrinsecamente “ecologico”, che includa in sé il
«contatto con la complessa geometria delle forme naturali, tanto
quanto necessitiamo per il nostro metabolismo di elementi nutritivi e
di ossigeno»
che in-forma il progettista del Segno
Necessario,
quel segno
generato dall’intuizione, sostenuto dalla percezione e alimentato
dall’immaginazione nel cammino verso la «naturalizzazione
dell’estetica».
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