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IL SEGNO NECESSARIO. Il Progetto del Paesaggio tra ecologia ed estetica nelle opere di Michel Desvigne

Claudia Stivali
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell’Arte, 6 Dicembre 2019, n. 881
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00881.html
Articolo presentato il 21 Marzo 2019, approvato il 26 Marzo 2019 e pubblicato il 6 Dicembre 2019
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Area Architettura

Il profilo culturale occidentale è tendenzialmente dualistico e la separazione dell’Essere, tra tecnica e creatività, tra scienza ed arte, tra natura e città diviene, per un Architetto di Paesaggio, uno stimolante impegno etico e sociale da reinterpretare.

La contaminazione tra ecologia ed estetica, di scienza-natura-arte, tra la misurazione quantitativa dei fenomeni ambientali e la valutazione del valore qualitativo è stato, soprattutto nel corso della storia recente, oggetto di un corto circuito culturale per diverse discipline.

Pur avendo perseguito il principio per il quale la conoscenza è di per sé relazionale, i riferimenti teorico-scientifici che hanno avuto maggiori aperture e hanno generato nuovi approcci hanno attinto a quelle forme di pensiero in cui il metodo scientifico non preclude una via alla possibilità di approcciarsi in senso umanistico.

Con questa visione unitaria i fenomeni sono stati osservati secondo i due aspetti dello stesso sapere, separabili solo per motivi di comprensione comunicativa: il pensiero umanistico che studia il processo conoscitivo nel percorso di scienza, di linguaggio, di semiotica (il significato di un segno) e di spazialità (semiotica topologica) ed il pensiero scientifico che offre la conoscenza indispensabile per lo studio della complessità degli ecosistemi naturali antropizzati.

La visione del Paesaggista si pone proprio nel fulcro delle contaminazioni socio-culturali e tecnico-scientifiche: ecologiche per necessità ed estetiche per elezione.

L’idea contemporanea di “Paesaggio” supera le asserzioni definitorie grazie all’integrazione della matrice biologica con quella semiotica.


La maggiore conoscenza dei fattori naturali e la coscienza che la nostra impronta ecologica è così determinante per la sopravvivenza del Pianeta, dagli anni ’60 ad oggi hanno sempre più responsabilizzato i progettisti sull’importanza di capire i meccanismi che regolano gli ecosistemi e le dinamiche tra risorse ed esseri viventi, in quanto ciò significa poter intervenire durante le trasformazioni modellando il paesaggio, se non addirittura anticipare scenari futuri con trasformazioni indotte.

Lo spazio non è un elemento finito ma è in continua trasformazione. Con il progetto vengono reinterpretati i luoghi marginali, abbandonati o degradati, con azioni a lungo termine e a diverse scale, individuandone le trasformazioni in atto e inquadrandole nel ritmo naturale e nel loro possibile sviluppo, proprio a partire da un’analisi a ritroso nel tempo, dalla geomorfologia del territorio, alle sue arterie infrastrutturali, agli elementi di densificazione urbana.

Il paesaggio reintegrato in un disegno ecologico riconquista l’attenzione all’habitat, allo spazio sociale, alla funzionalità e non ultimo al godimento estetico.


L’idea di Paesaggio tra percezione e identità valoriale

Negli ultimi cinquant’anni i Paesaggisti hanno rivendicato il loro ruolo sociale nella gestione del territorio ma si trovano ancora in una condizione di marginalità. L’approccio di Michel Desvigne, delicato e incisivo, sapientemente cosciente della metamorfosi che suggerisce, ci insegna che i progetti di paesaggio «agiscono da rivelatori, [...] catalizzatori, [...] fermenti. Il loro statuto è di ordine artistico: sono altrettante opere che trasformano il modo di guardare al paesaggio e alla sua evoluzione.»1

L’idea di Paesaggio ha dovuto quindi misurarsi con quel duplice approccio che sembra ricalcare la distinzione che Parmenide indicava con il termine epistéme, la conoscenza vera cioè quella fondata sulla ragione, che si opponeva all’opinione, o doxa, basata sui sensi e quindi ritenuta inaffidabile. Dopo quasi 2500 anni, il neopositivismo e il razionalismo critico, le due tradizioni teoriche più rilevanti e influenti dell’epistemologia del Novecento, hanno dissolto l'immagine tradizionale della scienza concepita come epistème, affermando l’idea della scienza come doxa.2

«Il presunto oggetto dell’estetica si riferisce a qualcosa di non immediatamente sensibile e osservabile, ma innanzitutto di culturale e addirittura di psicologico. […] Legata alla ‘meraviglia’, cioè a un distanziarsi dagli ‘oggetti’ e dalla loro «immediata esistenza singola», a un originario instaurarsi del senso o, in altre parole, al sorgere di una coscienza simbolica e del linguaggio.»3

L’Estetica4 come disciplina in senso moderno, autonoma e specifica, ebbe una travagliata affermazione come semplice termine e nel suo stesso oggetto: C. Batteux, presunto fondatore del concetto moderno suddivise le arti secondo i criteri di piacere e di bisogno o utilità.

Il termine si affermò nel XVIII secolo quando gli si riconobbe il contenuto di «scienza della conoscenza sensitiva»5. Indubbiamente però il suo contenuto affonda le proprie radici nell’idea del bello-buono-vero del pensiero filosofico del mondo antico.

L’estetica, in senso hegeliano, può essere considerata «una riflessione critica sul senso, sul significato, sul linguaggio e sull’esperienza in genere.»6

Appropriandosi di questa concezione aperta, si evidenzia quello slancio vitale che il progettista o l’artista imprimono nell’opera quale risultato di un processo auto-conoscitivo e creativo, capace ad emozionare, a comunicare un significato che sarà riconoscibile se radicato nella storia identitaria del luogo, o perché avrà la versatilità per essere liberamente reinterpretato dallo spettatore, nel caso in cui il segno riesce a porsi come seme generatore di un nuovo senso, come pronto ad essere trasfigurato in una nuova ritualità del sociale.

«Lo spazio pubblico è fisico solo momentaneamente: uno spazio pubblico fisico è soltanto una prova di spazio fisico che scompare, uno spazio che si dissolve in onde e neuroni e particelle che a loro volta si dissolvono nelle terminazioni nervose della gente. Gli spazi pubblici diventano una rete di spazi paralleli – spazio fisico, spazio topologico, spazio proiettivo – i quali si mescolano in un intricato spazio aereo trasmesso via telefono, televisione, computer… L’obiettivo, il fine, dello spazio pubblico è la gente stessa, il respiro, il rumore, l’odore della gente.»7

Sul piano materiale e fisico dell’ambiente, lo spazio è identificato con la sua fissità materica per quanto effimera o suscettibile di trasformazioni dovute alle esigenze collettive e al ciclo naturale. Le memorie trovano posto nelle trasformazioni del passar del tempo, tra permanenza di fenomeni e mutazioni imprevedibili.

Natura e scienza: l’approccio trasversale dell’Ecologia

Nel corso della storia delle scienze, è singolare come le scienze fisico-matematiche fossero associate alla certezza oggettiva, mentre le discipline tipicamente sperimentali, fondate su indagini naturalistiche che descrivevano una realtà di tipo organico, vitale e in continuo cambiamento come è appunto il mondo della natura, non erano considerate possedere la forza di valenza scientifica.

L’Ecologia, il cui termine fu inventato nel 1866 dal biologo tedesco Ernst Haeckel (1834-1919), si evolve negli ultimi 150 anni.8 Nel primo quarto del Novecento ha messo in evidenza come la dimensione fisica spaziotemporale degli oggetti cui siamo abituati, non sia la stessa dimensione per tutti i fenomeni dell'universo. Esiste un mondo infinitamente piccolo e uno infinitamente grande così come una dimensione temporale che corrisponde alle velocità quantiche per il micro e a quelle degli anni luce, nel macro, due mondi che non ricadono sotto i nostri sensi in modo direttamente percepibile o quantomeno di cui se ne possa fare quotidianamente un’esperienza cosciente.9

La visione della Biosemiotica10 disciplina che restituisce una biologia “umanistica” alle scienze naturali, grazie allo studio delle funzioni organiche, caratterizzano gli adattamenti, cioè relazioni, vincoli di vita e fenomeni qualitativi, che possono essere visti come relazioni iconiche indicizzate o relazioni simboliche, cioè relazioni di “segno”, per cui l’attenzione della biologia si sposta dal concetto di organismo in sé, al concetto di messaggio. Dal carattere convenzionale, fatto di codici e tipologie dunque, percezione, funzione e valore simbolico sono esperiti nella dimensione umana del quotidiano ed entrano nel processo del progetto del paesaggio grazie al ad un intervento sociale partecipativo.

Con l’affermarsi di due concetti importanti, quello dell’importanza del soddisfare i bisogni culturali e quello dell’attribuzione alla bellezza del grado di benessere e della qualità della vita, l’estetica entra a pieno titolo come un criterio di funzionalità riconosciuto ad un bisogno primario.

Il Paesaggio, quindi, in quanto spazio, può essere visto contemporaneamente come segno-forma, senso-simbolo, funzione e bellezza, divenendo il Luogo dell’esperienza emotiva.

«L’inesauribile creatività dell’uomo si è rivolta, nel nostro tempo all’economia e all’industria. Senza la contemplazione e la poesia del giardino e se regna esclusivamente il dogma dell’economia, la natura verrà distrutta più o meno dalla mano dell’uomo. Questa distruzione riguarda tutta la natura, inclusa la natura umana».11


Coesistenza e dissolvenza della forma

Con lo studio duale (e non dualistico) condotto da Michel Lesvigne e Christine Dalnoky durante il loro soggiorno a Roma (1986-1987), riservato ai paesaggisti dall’Accademia di Francia di Villa Medici, dove ciascuno ha approfondito lo studio sui giardini rinascimentali e sull’evoluzione naturale dei siti attraverso foto satellitari, hanno dato l’avvio allo sviluppo della loro concezione di spazio, emersa all’interno di una cornice classica del giardino storico, da «l’espressione contemporanea integrante a sua volta una grande sobrietà di strumenti e una visione complessa della natura. Piuttosto minimalisti negli elementi artificiali, i loro ‘jardins élémentaires’ sfruttano per contrasto la ricchezza della natura in continua crescita e in perpetua sedimentazione.»12

Grazie alle loro evocazioni nel progetto di paesaggio, Desvigne-Dalnoky intersecano l’ecologia alla creatività, riconoscendo anche nel paesaggio “povero” una dignità e una forza generatrice verso cui essere rispettosi ed umanamente grati.

Come in un caleidoscopio di micropaesaggi, la trasformazione dei frammenti traccia la metamorfosi in un disegno complessivo, così Desvigne mette in scena l’aleatorio della crescita vegetale, cioè cattura il fenomeno naturale senza imitarlo, ma creando le condizioni per cui la corrente di un fiume o il vento canalizzato diventino i veri modellatori della crescita delle piante o dell’erosione delle dune o delle rive fluviali.


Permanente e provvisorio

Nel processo progettuale di Desvigne, i concetti di memoria, come vocazione storica del luogo e di temporalità come trasformazione evolutiva, sono gli attivatori di un’intenzionalità predittiva, a breve e a medio termine, che si esprime con una proiezione immaginativa sul territorio, capace di riconfigurare il paesaggio. È evidente l’attenzione posto al contesto paesaggistico, alla caratteristica dinamica e adattativa dell’aspetto naturalistico, considerato organismo, in senso funzionale e vitalistico.

Prevedendo anche un decorso evolutivo, viene curato il fattore della versatilità per un successivo riuso. I suoi spazi pubblici urbani sono essenzialmente vuoti: non la poetica dell’addizione ma la geografia di tessiture organiche, vive. Egli lavora senza disegnare l’immagine di un’idea definitiva di luogo, poiché nella successione di diversi stati di maturazione, ogni fase ha una sua propria qualità.

La dimensione ideale per la sperimentazione della densità e della gestione delle coltivazioni è il prototipo, fino a vere e proprie prefigurazione di giardino in scala 1:1, perché «quando apri le porte alle persone, tutto può cambiare»13. «‘Il mio lavoro richiede pochi oggetti – idealmente proprio nessuno – e solamente materiali ordinari. Esso non comporta gesta eroiche di esecuzione o altre stravaganze. Si distingue, piuttosto, per una certa povertà’ (Natures Intermédiaires, 2009)”.14


La rigenerazione di un sito inadeguato per la Fabbrica Thomson a Guyancourt (1989/1992) ha previsto un intervento di spazi aperti che si sviluppa temporalmente e concettualmente sul progetto della fabbrica, costruita da Renzo Piano. Per le caratteristiche dell’area, con un terreno grasso scarsamente drenante delle acque piovane, piuttosto ventosa e con accesso difficoltoso, sono stati pensati progetti sulla gestione delle acque, della terra e dei tracciati che ripropongono la modularità dell’impianto strutturale architettonico.

La particolarità del progetto è nella sua relazione con la dimensione temporale. Già un complesso industriale ha una propria durata predefinita, quando poi è dismesso anzitempo il suo logorarsi, paradossalmente, la sospende in una nostalgia di un futuro che non arriva.

Il progetto di paesaggio rimette nel circuito del tempo lo spazio naturale, permettendo al ciclo della nascita, crescita, deperimento e sostituzione delle essenze piantumate, posizionandole secondo paesaggi in miniatura.

Viene creata così “una prima ossatura arbustiva costituita da cordoni di piccole ginestre; essa viene progressivamente integrata con arbusti pregiati destinati a sostituire, crescendo, le prime piante.”15

Negli spazi esterni della Fabbrica Thomson, un sistema di drenaggio delle acque di scolo, una vasca di raccolta e una rete di canali, in attesa dell'allaccio alla rete fognaria, risolve il sistema di canalizzazioni a cielo aperto che, successivamente all’allaccio, è pensato per irrigare i filari alberati siti nell'area del parcheggio.

Anche le essenze arboree, salici e pioppi a rapido accrescimento sottolineano la geometria dell’area con un paesaggio provvisorio, in una prima sistemazione, per poi essere aggiunti alberi secolari, quali pini neri, faggi e querce che caratterizzeranno il paesaggio in modo più duraturo pensato per un parco boschivo dopo lo smantellamento della fabbrica.16


Natures intermédiaires

La Charte des paysages, con il progetto di Foreste Fondazionali, ha posto come obiettivo la riqualificazione del tessuto della riva destra di Bordeaux, caratterizzato dalle aree industriali, parcheggi e strade dismesse, secondo tempi e modi di rigenerazione naturale.

Desvigne lavora sulla costruzione di un mosaico, non solo in termini geometrici ma essenzialmente in termini biologici, come un ecosistema costituito da piccole isole che ricreano un bosco naturale in continuità con le aree in disuso progressivamente acquisite dal Comune.

La trasformazione della riva destra della Garonna è stata programmata considerando il tempo di crescita delle piantagioni in diverse decine di anni. L’operazione iniziata nel 2000 per la costituzione di un parco, si insinua tra gli interstizi di quartieri densamente urbanizzati, non come una mera conservazione o come ripristino di uno stato di naturalità ipotizzato, ma attraverso il controllo tra vuoti e pieni all’interno del tessuto abitato17 che mantiene la memoria del luogo si serve di fasi di accrescimento della vegetazione studiato all’interno di ogni pezzo del mosaico e nel suo risultato complessivo.

Il concetto di abbondanza della risorsa vegetazionale, nelle sue intenzioni, non prevalica lo spazio connettivo dell’interstizio. Il luogo del poché (da pocher “racchiudere in un sacchetto”) è pensato come governato tra la doppia valenza nel senso di riempimento mimetico, come da significato primario di poché cioè affogato e dall’immersione in uno spazio altro, di paesaggio boschivo, del quale riesce a mantenere la propria identità.18

La natura intermedia, tra una fase e l’altra di crescita e di ricomposizione del parco, accompagna anche le trasformazioni dei nuovi quartieri.


Diverse costruzioni e aree verdi sono incastonate in questa maglia vegetazionale che raddoppia la linea della riva e traccia dei filari perpendicolari ad essa suggerendo sguardi in scorcio sul fiume o verso la città: il Parc Aux Angéliques, la Quai des Queyries, i quarieri di Bastide-Brazza e Bastide-Niel.

Il primo parco realizzato, il Parc Aux Angéliques, mette in scena le quinte dei filari di alberi disposti in modo irregolare a densità variabile, permettendo trasparenze e vuoti ed organizzando percorsi che sembrano essere dei ponti di ancoraggio19 tra la riva e la Rue de Queyries. La scelta di Desvigne esalta la spontaneità della natura, secondo un approccio che considera elemento di progetto, la trasformazione dovuta alla crescita vegetale, diversamente dal paesaggista Michel Corajoud che tratteggia la crescita organica in una geometria marcata, come in foto nella sistemazione attenta alla contestualizzazione storica del fronte del Palazzo della Borsa.

Fig. 1 – M. Desvigne, Percorsi nel Parc aux Angéliques, Garonna rive droite Bordeaux, 2010-2017. Courtesy Eleonora Tomassini 2018

Fig. 2 – Michel Corajoud, Sistemazione a verde Quai de la Douane sulla Garonna rive gauche nei pressi del Palais de la Bourse, Bordeaux 2011. Courtesy Eleonora Tomassini 2018

Fig. 3 – Michel Corajoud, Sistemazione a verde Quai de la Douane nei pressi del Palais de la Bourse sulla Garonna, Bordeaux 2011. Courtesy Eleonora Tomassini 2018

Fig. 4 - M. Desvigne, Percorsi nel Parc aux Angéliques, Quai des Qeyries sulla Garonna, Bordeaux, 2010-2017. Courtesy Eleonora Tomassini 2018

Questo asse stradale correndo quasi parallelo al più largo Avenue Thiers che prosegue al di là del fiume sul Pont de Pierre, ritaglia la curva della Garonna creando una sorta di filtro tra l’area dell’intervento e la città.

Fig. 5 - M. Desvigne, Percorsi nel Parc aux Angéliques, Quai des Qeyries sulla Garonna, Bordeaux, 2010-2017. Courtesy Eleonora Tomassini 2018


Assecondando l’impertinenza del germoglio

La reinterpretazione del Giardino di Noguchi per il giardino pensile dell’Università Giapponese Keio a Tokyo, opera condivisa con Kengo Kuma, nel 2004-2005, rappresenta una sapiente sovrapposizione del giardino minerale orientale, alla preponderante vitalità della natura che sottostà alla legge della crescita ad oltranza. Alla maglia regolare e geometrica di base si sovrappone un piano invisibile di varianti dimensionali: gli invasi, veri e propri pozzi di vita. Il parterre non si percepisce come un coperchio pieno con dei buchi, ma come una maschera leggera da cui emerge l’energia della natura come se il pavimento fosse un foglio solo poggiato a terra. È il raffinato gioco dell’inversione. È l’arte della sottrazione senza la definizione del pieno che invera tutta la semplicità dell’essere in vita.


«Conciliando “l’Universalismo della differenza”20, arricchendosi di dati e spunti a partire dai bisogni della comunità urbana, il progettista ridefinisce la configurazione spaziale di luoghi pubblici, o meglio, lasciandola ‘aperta’ andando oltre i codici compositivi tradizionali, -egli- contestualizza la relatività dei segni (…) Il progetto può quindi essere una sorta di “addomesticamento” delle infrastrutture, un’inversione paesaggistica, dove la pianificazione locale del paesaggio ha ripercussioni ambientali a livello globale»21.

Nell’interpretazione narrativa sul tema della creatività come espressione dell’intelligenza del cuore e come arte della sintesi attraverso il segno, testimonianza dell’interpretazione della visione del proprio Sé nel Mondo si è evidenziato come s’innesti la consapevolezza dell’agire sull’ambiente, come fatto sociale e come atto le cui conseguenze si ripercuotano sul futuro, in un Sapere predittivo, come definito da H. Jonas. Si sottolinea come l’intenzione di chi voglia agire “sul” paesaggio, sia intrinsecamente portatrice di quella responsabilità morale verso la natura e di quel rispetto eticamente compatibile con le condizioni che rendono possibile l’esistenza stessa del mondo. È dunque la necessità di un pensiero intrinsecamente “ecologico”, che includa in sé il «contatto con la complessa geometria delle forme naturali, tanto quanto necessitiamo per il nostro metabolismo di elementi nutritivi e di ossigeno»22 che in-forma il progettista del Segno Necessario, quel segno generato dall’intuizione, sostenuto dalla percezione e alimentato dall’immaginazione nel cammino verso la «naturalizzazione dell’estetica».23




NOTE

1 DALNOKY, DESVIGNE 1995 Trasformazioni

2 CORTELLINI, EUGENI 2000

3 D’ANGELO 2015

4 ID

5 BAUMGARTEN 1735

6 D’ANGELO 2015

7 BRUGELLIS 2009

8 NEBBIA 2014

9 BONCINELLI 2008

10 KULL 2009

11 PORCINAI 1979

12 JOFFROY 1992

13 DEI 2016

14 EAD

15 DALNOKY, DESVIGNE 1995

16 AMORE 2014

17 DESVIGNE 2001

18 TOSCANI 2011

19 DESVIGNE 2015

20 MARRAMAO 2013

21 STIVALI 2017

22 SALÌNGAROS, MASDEN 2008

23 D’ANGELO 2015



BIBLIOGRAFIA

AMORE 2014

Federica AMORE Il tempo del paesaggio DESVIGNE et DALNOKY, in “Spazio Libero Blog”, 23.02.2014


BAUMGARTEN 1735

Alexander Gottlieb BAUMGARTEN Meditationes philosophicae de nonnullis ad Poema pertinentibus, 1735, cit. Paolo D’Angelo, voce Estetica, in “Enciclopedia on line” Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/estetica/


BONCINELLI 2008

Edoardo BONCINELLI La comprensione della legge della natura, in “Idee di natura: 13 scienziati a confronto”, Elio Cadelo (a cura di), Marsilio Ed, Venezia, 2008, pp.39-46


BRUGELLIS 2009

Pino BRUGELLIS (a cura di) Intervista a Vito Acconci, in “L’invisibile linea rossa”, Osservatorio sull’Architettura (a cura di), Fondazione Targetti, Quodlibet, Macerata, 2009, pag.92


CORTELLINI, EUGENI 2000

Ennio CORTELLINI, Gianluca EUGENI, Franco EUGENI, Raffaele MASCELLA, Introduzione all’epistemologia, “Quaderni per la divulgazione dell’informatica teorica”, Università di Teramo, A.p.a.v. 2000, pp. 2-18


D’ANGELO 2015

Paolo D’ANGELO, voce Estetica, in “Enciclopedia Italiana” Treccani, IX Appendice, 2015


DALNOKY, DESVIGNE 1995 Trasformazioni

Chatrine DALNOKY, Michel DESVIGNE, Trasformazioni indotte, in “Lotus”, Milano, Electa, n.87, 11/1995, pag.108


DALNOKY, DESVIGNE 1995 Elogio

Chatrine DALNOKY, Michel DESVIGNE, Elogio del paesaggio povero, in “Lotus”, Electa, Milano, 87/11, 1995, pag.118


DEI 2016

Sara DEI, Un esploratore. Michel Desvigne, in “NIP Magazin”, 14 aprile 2016


DESVIGNE 2001

Michel DESVIGNE, Foreste fondazionali Bordeaux 2001, (Atti del Convegno “International Forum Med.Net3 Exhibition Goa Resili(G)Ent City” Città intelligenti / Paesaggi resilienti pag. 28) Genova, 2016 http://www.addgenova.org/DSA/wp-content/uploads/2016/11/casi-studio.pdf


DESVIGNE 2015

Michel DESVIGNE, City as nature, in “Lotus”, 157, 2015 pp.32-37


JOFFROY 1992

Pierre JOFFROY, Des jardins prototypes, in “Le Moniteur Architecture”, 35/1, 1992, pag32, traduzione C. Stivali http://www.nipmagazine.it/blog/368/unesploratore


KULL 2009

Kalevi KULL, Biosemiotica: Sapere, ciò che la vita sa, in “Cibernetica e conoscenza umana”, vol. 16, n. 1-2, 2009


MARRAMAO 2013

Giacomo MARRAMAO, Spatial Turn: Spazio vissuto e segni del tempo, in “Quadranti - Rivista Internazionale di Filosofia contemporanea” n.1, 2013, pp. 33-35


NEBBIA 2014

Giorgio NEBBIA, Breve storia dell’ecologia, in “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 11 e 21 agosto 1994, 2014 www.fondazionemicheletti.it


PORCINAI 1979

Pietro PORCINAI, Tappe sulla strada che porta al giardino, testo letto dall’autore in occasione del conferimento del Premio Friedrich Ludwich Von Schkel, 08/06/1979


SALÌNGAROS, MASDEN 2008

Nikos Angelos SALÌNGAROS, K.G. MASDEN, Neuroscience, the Natural Environment, and Building Design, II 2008a


STIVALI 2017

Claudia STIVALI, Landscape by people: the landscape as glocalizated resource, (Atti del Convegno Internazionale) “Book of proceedings, 3rd International Conference on Changing Cities”, PRD University o Thessaly, 2017 Thessaly, pp.156-164


TOSCANI 2011

Chiara TOSCANI, L’invariante architettonico e urbano del poché, Maggioli ed. Milano, 2011, pag. 10


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