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La metropolitana di Napoli come spazio museale: un caso di studio

Chiara Petracci
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 27 Febbraio 2020, n. 888
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00888.html
Articolo presentato il 3 Febbraio 2020, accettato il 20 Febbraio 2020 e pubblicato il 27 Febbraio 2020
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Area Musei

A partire dalla seconda metà del Novecento, abbiamo assistito ad un fenomeno (ancora in corso) di aumento esponenziale delle manifestazioni di quella che viene definita “arte pubblica”: essa consiste in interventi, performance e installazioni realizzate al di fuori delle istituzioni ufficialmente deputate all’arte e che si riversano in spazi pubblici, per lo più urbani (come strade, piazze e giardini). Tra queste manifestazioni, rientra sicuramente l’arte pubblica in metropolitana: comparsa inizialmente sottoforma di sporadiche manifestazioni, ha subito un’ evoluzione fino a divenire una vera e propria tipologia museale a sé stante, pur mantenendo intatta la sua vocazione universale.



Contesto storico-critico: il Postmoderno e la rottura con la museologia del Modernismo

La nascita di questa tipologia museale, che trova il suo allestimento all’interno di spazi pubblici dedicati alla mobilità, può essere collocata nel contesto della tendenza Postmoderna. Il termine è stato coniato da Jean- Francois Lyotard nel suo scritto “La condizione postmoderna” del 19791: con esso si intende la condizione antropologica e culturale2 venutasi a creare nel tardo Novecento, in seguito alla crisi del Modernismo. L’espressione, quindi, riassume l’insieme di tendenze ed atteggiamenti che rifiutano le principali ideologie del Modernismo, comprese la sua architettura e le sue categorie museologiche. Si è, così, potuta aprire la strada per un’interpretazione più libera, ampia e democratica di museo.

È stato notato come, in un primo momento, fossero senz’altro prevalenti i casi di “riconversione” di spazi non più utilizzati come stazioni ferroviarie in musei; mentre, in un secondo momento, è divenuta più frequente una “coesistenza” tra l’allestimento museale e la funzione di stazione metropolitana.



Riconversione di stazioni in musei, il primo esempio della Gare d’Orsay a Parigi

Tra gli esempi del primo caso, ovvero di riconversione di spazi dedicati alla mobilità su ferro in luoghi con vocazione museale, può essere certamente annoverato il modello del Musée d’Orsay. Nata come stazione ferroviaria, la Gare d’Orsay fu inaugurata nel 19003 ad opera dell’architetto Victor Laloux, in occasione dell’Esposizione Universale. Tuttavia, essa divenne ben presto obsoleta a causa dell’inadeguatezza dei suoi binari (troppo corti per i nuovi e ben più lunghi treni elettrici4) e, nel 1961, fu ufficialmente destinata alla demolizione per farne un albergo moderno5. La “nuova vita” della Gare d’Orsay ebbe inizio nel 1973, quando fu inclusa tra i Monuments Historiques de France6 e la Direction des musées de France7 decise di realizzarvi un museo, che fungesse «da tramite tra le collezioni del Louvre e quelle del Centre Pompidou8», e dunque dedicato alle arti del periodo compreso tra il 1848 ed il 1914. La ristrutturazione esterna fu affidata agli architetti del gruppo ACT-Architecture, che hanno riadattato l’edificio alla nuova funzione, rispettandone lo spirito originario dato da Laloux. La sistemazione interna fu eseguita, invece, ad opera di Gae Aulenti (architetta postmoderna milanese, attiva anche nelle stazioni Museo e Dante della Linea 1 di Napoli) e dal suo team di scenografi e architetti. Negli spazi interni dell’edifico di Aulenti coesistono (senza conflitti) varie tendenze eterogenee tra loro, in accordo con la teoria architettonica postmoderna proposta da Robert Venturi9. Ciò è evidente, ad esempio, nella molteplicità dei punti di vista e nella varietà delle sale (ciascuna diversa dall’altra), nella particolarità dei criteri di ordinamento e nei parametri di selezione adottati nello scegliere gli artisti da esporre, che costituiscono il vero elemento di novità di questo rivoluzionario spazio espositivo. Con questo modus operandi, il Musèe d’Orsay si è reso artefice una profonda revisione della storia dell’arte e della museologia del Modernismo.



Metropolitana e arte in Europa

In seguito alla sperimentazione parigina, il processo di unificazione di stazione metropolitana e museo proseguì riconoscendo a ciascuna delle due realtà il diritto di mantenere la propria funzione specifica e di, semplicemente, coesistere con l’altra: non avremo più, quindi, fenomeni di “riconversione”, ma piuttosto di compromesso tra le due. Sono numerosi, infatti, gli esempi europei di stazioni metropolitane che aderiscono alla definizione di museo stabilita dall’ICOM: esse svolgono il ruolo di istituzioni permanenti e senza scopo di lucro, progettate da illustri architetti, e accolgono installazioni ed opere d’arte visitabili da chiunque, conservandole e comunicandole per fini di studio, educazione e diletto10. Alcuni esempi di questo sincretismo sono le stazioni Westfriedhof e Muenchner Freiheit a Monaco (nelle quali l’ideatore delle originali soluzioni illuminotecniche è stato Ingo Murer); la metro Olaias di Lisbona (un edificio metropolitano progettato da Tomás Taveira11, che contiene installazioni appartenenti a Pedro Cabrita Reis, Graça Pereira Coutinho, Pedro Calapez e Rui Sanchez12) e l’ingresso della stazione di Bockenheimer Warte a Francoforte (realizzata dall’architetto Zbigniew Peter Pininski; essa ha una forma sorprendentemente innovativa: si tratta di una struttura raffigurante un tram, in scala 1:1, che sembra sprofondare nell’asfalto, proprio nel luogo in cui sorgeva la sede di quella che è stata, tra il 1872 ed il 197813, la stazione di controllo generale di tutti i tram della città. L’architetto è riuscito a mantenere viva e a tramandare la storia del territorio circostante la stazione e, al contempo, a realizzare una costruzione di pregio: nel 2001, l’entrata avrebbe dovuto esser spostata, ma la qualità dell’opera dell’ingresso la salvò dalla demolizione14).



Il caso di Napoli: alcune stazioni europee di riferimento

Quello delle “Stazioni dell’Arte”, all’interno della metropolitana di Napoli, rappresenta uno dei più ambiziosi, influenti e ampi progetti di “arte pubblica” realizzati in Europa nell’ultimo ventennio15, il cui notevole interesse culturale ha portato al conseguimento di alcuni importanti riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale. Si tratta di un audace piano di valorizzazione degli spazi metropolitani attraverso l’inserimento, nelle stazioni, di installazioni ed opere d’arte contemporanea, che ha permesso la creazione di un grande patrimonio pubblico, appartenente alla città ed accessibile a chiunque in modo semplice, al prezzo di una corsa in metro.


È possibile stabilire alcune analogie che sussistono tra le fermate metro di Napoli e diverse stazioni metropolitane di interesse storico artistico antecedenti al caso partenopeo, situate in varie città europee. Così avviene, ad esempio, in alcune stazioni di Mosca e San Pietroburgo: la loro realizzazione si colloca nel periodo centrale della dittatura stalinista, con finalità chiaramente propagandistiche ed autocelebrative nei confronti del regime; lo dimostrano, ad esempio, lo sfarzo dei materiali (che rasentano quasi l’opulenza) ed i temi trattati dalle opere della stazione, che principalmente esaltano la storia della nazione russa16. Non è di certo segreto, d’altronde, l’amore di Stalin per l’arte (in particolare per il cinema) ed il suo progetto, apertamente dichiarato, di piegarla alle finalità didattiche dei principi socialisti. Stalin ha compreso fin da subito l’impatto dell’arte, la sua influenza sulla gente comune e la sua capacità di veicolare messaggi. È stato, inoltre, anche uno dei primi ad attribuire considerevole importanza ai luoghi di transizione quotidiana come le stazioni metropolitane, impiegando i migliori artisti ed architetti dell’epoca nella loro realizzazione. Esse non sono, perciò, solo snodi di passaggio anonimi della vita contemporanea, ma possono essere caricati di significati attraverso la bellezza e l’arte, proprio come avviene nelle Stazioni dell’Arte di Napoli. Tra le stazioni più notevoli figurano quelle di Komsomolskaya, Mayakovskaya, e Kievskaya a Mosca; Avtovo a San Pietroburgo.

Altre affinità possono essere riscontrate in alcune delle stazioni metropolitane collocate nelle diverse linee parigine: infatti, determinate soluzioni museografiche adottate in questi spazi urbani saranno un punto di riferimento sostanziale per le stazioni partenopee di Bonito Oliva. Alcune fermate, infatti, mantengono un analogo e intenso legame con il territorio in cui si inseriscono, riallacciandosi alla storia ed ai simboli tradizionali della Francia, come nelle fermate di Place de la Concorde (le cui pareti, con 44.000 piastrelle in ceramica, recitano la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino) e Bastille (che espone le fondamenta di quella che fu la Bastiglia, unitamente a cinque grandi dipinti che ne commemorano il celebre episodio storico). Altre inglobano fondamenta e resti archeologici rinvenuti nel corso degli scavi; altre ancora, collocate in prossimità di importanti musei, hanno come obbiettivo quello di rendere il loro attraversamento un’esperienza propedeutica alla visita dei luoghi espositivi che li sovrastano (come nelle metro Louvre-Rivoli e Arts et Métiers, che inseriscono, nei loro spazi, copie di opere o elementi che rimandano ai rispettivi musei. È lo stesso principio che permea la metro Museo di Napoli).

Infine, il modello forse più prossimo alle metro napoletane, che coniuga mobilità ed arte, è quello della metropolitana di Stoccolma: la cosiddetta “Tunnelbana”. Il progetto, risalente agli anni ’50 del Novecento, è stato curato da due artiste, Vera Nilsson e Siri Derkert, ed ha previsto che 90 delle 100 stazioni metropolitane della città (ciascuna incentrata su di una particolare tematica) fossero arricchite dalle opere di circa 150 artisti d’arte contemporanea, provenienti da tutta Europa. In più, anche a Stoccolma, in analogia con Napoli, dal 1997 è presente un programma di tour e visite guidate che comunicano e valorizzano questo patrimonio underground.



La parentesi italiana delle stazioni di inizio Novecento

Nella storia italiana, una felice parentesi per quanto concerne l’arte pubblica è rappresentata dalle stazioni realizzate tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento. In questo periodo, infatti, si sono succedute (spesso fondendosi tra loro) due tendenze dominanti. In un primo momento, vi è stata quella del cosiddetto “stile umbertino” (in coincidenza con il regno di Umberto I di Savoia, Re d’Italia dal 1878 al 190017), caratterizzato da un forte eclettismo che ha combinato tra loro lo stile neorinascimentale accademico e convenzionale, il neobarocco d’oltralpe ed una declinazione italiana dello stile Liberty18. In un secondo momento, invece, durante il ventennio fascista, ha assunto maggior rilievo il rigore e la purezza formale del Razionalismo: esso, pur privilegiando l’aspetto funzionale delle architetture metropolitane (una caratteristica che prevarrà e condurrà all’anonimia e all’assenza di decorativismo del Modernismo), nella sua fase d’oro è riuscito a creare, all’interno delle città, efficaci espressioni di eleganza e semplicità, attraverso il candore dei suoi marmi.

Tra i capolavori dello stile umbertino, possono essere citate le stazioni di Torino Porta Nuova e quella di Palermo Centrale. La prima risale al 1861, presenta una splendida facciata ottocentesca e la celebre Sala Gonin: un ambiente interamente affrescato e adibito a “sala d’attesa” della famiglia reale, visitabile solo durante le giornate FAI di primavera19. La sontuosità e sfarzo di questa stazione, infatti, sono dirette conseguenze di due fattori: da un lato, la responsabilità di essere la stazione centrale dell’allora capitale d’Italia; dall’altro la funzione di rappresentanza del prestigio della Casa di Savoia. La stazione di Palermo Centrale, invece, è stata realizzata nel 188520: le forme rispecchiano il gusto neorinascimentale dello stile umbertino, congiuntamente ad un’attenzione particolare per i materiali industriali (così tipica del periodo successivo all’Esposizione Universale di Londra del 1851, a Crystal Palace), come dimostra l’elegante tettoia in ferro e vetro, andata distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale21.

Un caso diverso è, invece, quello della Stazione Milano Centrale, che si configura come un calzante esempio di fusione tra lo stile umbertino e quello razionalista, dovuto anche alla sua lunga gestazione. Il primo progetto (dell’architetto Cantoni22), infatti, risale al 1906 e comprendeva un ampio apparato decorativo in stile Liberty (tra cui torri, statue, orologi e festoni). Il secondo progetto, invece (realizzato nel 1912 da Ulisse Stacchini) ha privilegiato forme geometriche ed austere, più confacenti allo spirito dell’età giolittiana, con il risultato di un’armoniosa contaminazione tra i due stili.

Infine, uno splendido caso di architettura puramente razionalista è quello della Stazione Santa Maria Novella a Firenze: costruita durante gli anni Trenta (si dice che Mussolini apprezzasse molto quest’edificio23), essa ospita le opere di alcuni dei più rappresentativi artisti del Ventennio, tra cui le sculture di Italo Griselli e le pitture di Ottone Rosai e Mario Romoli24.

È da sottolineare come, durante il Regime fascista, l’arte pubblica abbia goduto di una particolare attenzione da parte dello Stato (essendo considerata uno dei nodi fondamentali della politica propagandistica dell’epoca): essa ha interessato non solo i monumenti celebrativi, ma anche i luoghi della quotidianità (come le stazioni, gli uffici dell’Eur, le poste). In quest’ottica, ben si comprende il provvedimento del 1920 di Bendetto Croce25 (all’epoca Ministro della Pubblica Istruzione) volto a curare la qualità e l’estetica degli edifici pubblici con il fine, più ampio, di celebrazione del Regime.

Tale esigenza di arte all’interno della quotidianità è riemersa anche nel secondo dopoguerra, con la legge n. 717 del 29 luglio 1949 (la cosiddetta “legge del 2%”). Essa ha imposto alle Amministrazioni (Stato, Regioni, Enti territoriali e, in generale, tutti gli Enti pubblici) di destinare una percentuale dell’importo dei lavori (massimo il 2%) ad opere d’arte, da collocare nel nuovo edificio26. Ciononostante, la suddetta legge è stata poco osservata (anche per l’assenza di sanzioni in caso di mancata applicazione27) ed il proposito di integrazione tra architettura urbanistica ed espressione artistica si è limitato a pochi casi isolati.

Il disegno delle Stazioni dell’Arte a Napoli si è rivelato anche come una presa di posizione polemica, da parte del critico Achille Bonito Oliva, nei confronti della legge del 2%: questi ne sottolinea, da una parte, l’inadeguatezza; dall’altra ne richiede implicitamente un perfezionamento. Per il critico, l’arte non dev’essere semplice ornamento, “ancella” dell’architettura pubblica, ma tra le due dev’esserci una più profonda interrelazione Le opere non sono l’addobbo della Legge del 2%, sono un matrimonio tra arte e architettura», ha affermato lo stesso Bonito Oliva in un’intervista)28. Sarebbe dunque opportuno inserire l’opera d’arte sin dalle fasi iniziali della progettazione architettonica, in modo che l’una sia pensata in funzione dell’altra e per poter sviluppare un fecondo rapporto dialettico e non di subordinazione.



Le Stazioni dell’Arte come modello: la fermata San Giovanni a Roma

Per concludere, è possibile citare un esempio di metropolitana-museo che a sua volta si è ispirata al modello napoletano e l’ha considerato come un prototipo a cui rifarsi: è il caso della fermata di San Giovanni della Metro C a Roma, la cui apertura nel 2018 è stata un’assoluta novità per la città, in quanto prima “Stazione dell’Arte” della capitale. Questa stazione si pone in continuità con il progetto di Bonito Oliva a Napoli sia dal punto di vista ideologico che da quello più materiale: infatti, l’obbiettivo della stazione-museo è, anche qui, quello di creare un sito culturale, strettamente radicato nel territorio locale, che possa arricchire l’esperienza quotidiana dei frequentatori della metropolitana («non una tradizionale esposizione museale di reperti ma una full immersion tra passato e presente29», come spiega Rossella Rea, funzionario archeologo per il MiBACT30); mentre, dal punto di vista dell’allestimento, si tratta di una raccolta di manufatti archeologici (proprio come nella stazione Municipio di Napoli), che vengono disposti lungo il percorso espositivo a seconda del livello stratigrafico in cui sono stati rivenuti (ereditando questa particolare attenzione per la stratigrafia del sottosuolo direttamente dalla fermata partenopea Toledo). Alcuni degli espedienti museografici utilizzati sono, ad esempio, l’inserimento di uno stratigrafo31 (una sorta di colonna che offre un saggio dei vari livelli sovrapposti di terreno che, con il corredo di date e descrizioni, restituisce allo spettatore «valore ed importanza allo scorrere e sedimentarsi del tempo32»); l’impiego di pannelli che, ad ogni piano, assumono un determinato colore, corrispondente ad una precisa epoca; teche espositive e “zone espositive speciali” (ad esempio, quella che, attraverso una serie di incisioni di luce orizzontali e verticali, traccia sul pavimento la sagoma della grande vasca di età imperiale nella precisa posizione al momento del ritrovamento33).



Il progetto delle Stazioni dell’Arte

Per quanto riguarda le Stazioni dell’Arte di Napoli in sé per sé, si tratta di un progetto nato tra il 1995 ed il 1998 da un’idea dell’ingegner Gainnegidio Silva, già presidente del consorzio Metronapoli, con il coordinamento artistico del critico Achille Bonito Oliva. Questi, con l’obbiettivo di creare «un “museo obbligatorio”» come spesso lo ha egli stesso definito, «dove le persone sono forzate a stare in familiarità con l’arte contemporanea34», ha assoldato un’equipe di artisti, di fama nazionale ed internazionale, per realizzare un grande patrimonio diffuso di arte pubblica nel sottosuolo napoletano. Quest’operazione ha, al contempo, riscattato quelli che Marc Augè35 aveva definito i “non-luoghi” contemporanei della mobilità (caratterizzandoli e donando loro connotazioni specifiche, al fine di migliorare la qualità della vita e del trasporto napoletano), dato una dimensione pubblica, più accessibile e democratica ad un patrimonio di altissimo interesse culturale e raggiunto un maggior numero di spettatori rispetto ad un canonico museo: sia coinvolgendo la cittadinanza, sia divenendo fulcro di un nuovo flusso turistico internazionale (sono stati, infatti, circa 176.000 i visitatori delle metro di Napoli nel 2017, secondo uno studio dell’Università Vanvitelli36). In molti casi, la costruzione delle stazioni è stata anche un’occasione per un restyling del contesto urbano (talvolta anche in quartieri molto degradati, come avvenuto in Via Salvator Rosa, in passato soffocata dalla speculazione edilizia), e dunque a vantaggio dell’intera collettività.



Ritrovamenti archeologici

La complessa stratigrafia di Napoli, città dalla storia plurimillenaria, ha rivelato nel corso del tempo una ricchezza inesauribile di fondazioni e reperti (risalenti addirittura al neolitico, passando per l’età ellenistica e romana, fino ad arrivare a quella angioina) e sono ormai celebri gli straordinari ritrovamenti archeologici, avvenuti in concomitanza con gli scavi per la metropolitana (impossibile non citare quelli di Via Toledo e della stazione metro Università, quelli provenienti dagli scavi di Piazza Municipio, da Via Salvator Rosa e da Piazza Duomo). Certamente, i lavori per la realizzazione della metropolitana hanno costituito un’occasione insostituibile per i ritrovamenti degli ultimi anni, oltre ad aver fornito un luogo espositivo “in situ”, in grado di mantenere in modo esemplare la continuità tra il reperto ed il luogo del rinvenimento. L’esistenza del progetto delle Stazioni dell’Arte ha contribuito ad impedire che i ritrovamenti venissero ignorati, occultati, o peggio, distrutti, come accaduto in passato. La presenza sul campo, inoltre, di “addetti al mestiere”, come rinomati critici ed architetti, ha garantito una tutela ed una valorizzazione del tutto particolare, dal carattere estremamente tecnico e all’avanguardia. Il patrimonio pubblico delle Stazioni dell’Arte della Linea 1 ha avuto modo, così, di ampliarsi: attualmente il progetto espone opere, tutte intimamente connesse alla città, non solo d’arte contemporanea, ma anche reperti antichi, in un connubio di passato e presente, di arte e vita quotidiana.



Manutenzione, fruizione e valorizzazione

Il patrimonio culturale delle Stazioni dell’Arte si esplica, per sua natura, in espressioni artistiche estremamente variegate e polimorfe. Esso, inoltre, è sottoposto a notevoli condizioni di stress antropico ed ambientale: il completo annullamento di barriere di distanziamento del pubblico (data la peculiare collocazione delle opere) e le vibrazioni del terreno (dovuto al transito ravvicinato dei treni), pongono delle questioni museografiche e di tutela aggiuntive rispetto a quelle di musei più canonici. Pertanto, si è resa necessaria l’applicazione di strategie di tutela e valorizzazione complesse ed articolate, attraverso la cooperazione di molte e specifiche professionalità. Le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria sono affidate all’Azienda Napoletana Mobilità37 (dotata di una struttura organizzativa interna con specifiche competenze), che opera in collaborazione con gli studenti della Scuola di Restauro dell’Accademia di Belle Arti di Napoli (rendendo questo momento un’occasione altamente formativa, oltre che partecipativa, per gli studenti). L’Azienda Napoletana Mobilità si dedica anche alle iniziative di educazione, promozione e divulgazione, offrendo i sevizi educativi “Metro Art Tour”: organizza attività didattiche e periodiche visite guidate, rivolte ad adulti e bambini (spesso realizzate in collaborazione con scuole, università, musei ed altre realtà associative) che, dal 2010 ad oggi, vantano la partecipazione di oltre 15mila visitatori. La valorizzazione di questo vasto patrimonio è, ad oggi, possibile anche grazie alla recente adesione al progetto di otto nuovi sponsor38 (tra cui Coopculture, Ferrarelle, MSC Crociere e Metropolitana di Napoli S.p.A.). Questi investimenti creeranno una rete di finanziamenti privati, che non graveranno sulla città e le istituzioni e che sapranno valorizzare il patrimonio delle Stazioni dell’Arte al massimo delle sue potenzialità.

La realtà della Linea 1 di Napoli (in aderenza con la definizione di museo dell’ICOM) è in continua crescita: è prevista, per i prossimi anni, l’apertura di nuove Stazioni dell’Arte e l’ampliamento del patrimonio artistico esistente. Ad esempio, prossimamente verrà completato il giardino della stazione Garibaldi, ad opera dell’architetto Dominique Perrault; verrà inaugurato il museo annesso alla fermata di Piazza Municipio, che esporrà i resti archeologici rivenuti in situ, realizzata da Álvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura; infine, sarà aperta al pubblico la splendida stazione di Piazza Duomo, su progetto dei coniugi Massimiliano e Doriana Fuksas.

Oggi, gli spazi della metropolitana di Napoli contano circa 200 opere realizzate da oltre 100 artisti, tra i più prestigiosi dello scenario contemporaneo39, appartenenti a diverse nazionalità ed età, ciascuno con il proprio stile ed un proprio messaggio da comunicare. È stato evidenziato come ciascuna stazione sia incentrata su un tema dominante, anche se non sempre facilmente individuabile, a causa della molteplicità dei linguaggi artistici presenti e per il fatto che molte opere siano state aggiunte successivamente rispetto all’inaugurazione della stazione. Un denominatore comune alla maggior parte delle stazioni e delle opere sembra, tuttavia, essere la volontà di mantenere un forte legame con la città di Napoli: viene data, infatti, un’attenzione particolare alle sue tradizioni ed alla sua storia, ai sui paesaggi, ai materiali e alle piccole imprese locali. Senza contare che molti degli artisti attivi nel progetto sono nati a Napoli, altri vi hanno vissuto oppure vi sono legati, nei modi più disparati.



Le Stazioni dell’Arte della Linea 1

Il tema centrale della stazione di Garibaldi si basa sul rapporto di dialogo che intercorre tra le luci, progettate dall’architetto Dominique Perrault, e le superfici specchianti di Michelangelo Pistoletto.



Fig. 1 - DOMINIQUE PERRAULT, piazza ipogea, 2013, metro Garibaldi, Napoli (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 1 - DOMINIQUE PERRAULT, Piazza Ipogea, 2013, Metro Garibaldi, Napoli
(Credits: Chiara Petracci).


Fig. 2 - MICHELANGELO PISTOLETTO, Stazione 2, 2013, serigrafia su acciaio inox supermirror, Stazione Garibaldi, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 2 - MICHELANGELO PISTOLETTO, Stazione 2, 2013, serigrafia su acciaio inox supermirror, Stazione Garibaldi, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci).


Le opere all’interno della stazione Università sono interamente riferibili all’artista anglo-egiziano Karim Rashid. I temi trattati sono molteplici, tra tutti spicca quello del “linguaggio moderno”: nel quartiere universitario e più giovanile della città, Rashid fa continui rimandi a questo innovativo “codice” degli ultimi anni (sia esso espresso tramite vocaboli coniati a partire ai social network, oppure per mezzo di l’uso di specifiche tecnologie, colori, forme o materiali), non tralasciando, però, di mantenere sempre vive le radici su cui esso si erge.



Fig. 3 - KARIM RASHID, Synapsi, 2010, scultura in alluminio, Stazione Università, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 3 - KARIM RASHID, Synapsi, 2010, scultura in alluminio, Stazione Università, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci).

La metro Municipio di Àlvaro Siza ed Eduardo Souto de Moura ha subito uno stravolgimento del progetto iniziale in seguito ai copiosi ritrovamenti archeologici: essa sarà collegata ad un innovativo museo all’avanguardia che li conserverà e li esporrà a tutti i visitatori della stazione.

Nella stazione metro Dante, gli artisti indagano la sfera percettiva umana: Kosuth, ad esempio, lo fa con un’installazione al neon di una frase di Dante Alighieri sulla percezione visiva. Kounellis, nella sua opera, rende la percezione della distanza spazio-temporale di un viaggio. De Maria esplora, invece, il tema della percezione psicologica di forme e colori.

Nella stazione Museo, sottostante il Museo Archeologico Nazionale, le opere presenti sono delle riproduzioni di alcuni dei pezzi più pregevoli della collezione del museo, per educare l’occhio dello spettatore in prospettiva di una visita di quest’ultimo. Sono presenti, inoltre, numerosi pannelli con scatti (di celebri fotografi) radicalmente legati al contesto partenopeo.



Fig. 4 - ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI, Calco dell’Ercole Farnese, 2001, scultura in vetroresina, Stazione Museo, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 4 - ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI, Calco dell’Ercole Farnese, 2001, scultura in vetroresina, Stazione Museo, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)


Le metro Materdei e Salvator Rosa (intimamente affini tra loro), invece, coinvolgono un target più ampio di pubblico, appartenente a tutte le età, con opere ludiche, dal carattere giocoso ed ironico, e con colori brillanti. Nel giardino della stazione Materdei, ad esempio, le sculture ludiche di Luigi Serafini si basano su giochi di parole oppure sono fatte per essere vissute, salendoci sopra con i piedi. All’interno, Luigi Ontani realizza un mosaico con Pulcinella e “scugnizzi” napoletani, il tutto sullo sfondo colorato determinato dalle installazioni di Sol Lewitt e dai pannelli con le principali opere di celebri designer. Un’atmosfera simile è percepibile nella metro Salvator Rosa: a cominciare dai vivaci mosaici sugli edifici circostanti la stazione, passando per le sculture ludiche e colorate di Salvatore Paladino ed il Pulcinella di Lello Esposito nel giardino, per concludere con le Fiat 500 di Perino&Vele ed i delicati mosaici di Fulvia Mendini.



Fig. 5 -PERINO &VELE, A subway è chiù sicura, ferro, cartapesta e vetroresina, Stazione Salvator Rosa, 2001, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 5 -PERINO &VELE, A subway è chiù sicura, ferro, cartapesta e vetroresina, Stazione Salvator Rosa, 2001, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci)


La stazione Quattro Giornate, coerentemente al tema a cui è dedicata la piazza (ovvero alle quattro giornate di insurrezione della città contro i nazifascisti), attua una riflessione sulla guerra: sia essa interpretata come una caccia primitiva (come nelle opere di Fermariello), come un’esperienza annichilente per l’uomo (ad esempio, nelle sagome di Nino Longobardi) o come lotta per difendere i propri ideali (nell’installazione di Marisa Albanese).



Fig. 6 - MARISA ALBANESE, Combattenti, 2001, sculture in bronzo dipinto e acciaio, Stazione Quattro Giornate, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 6 - MARISA ALBANESE, Combattenti, 2001, sculture in bronzo dipinto e acciaio, Stazione Quattro Giornate, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci)


A Vanvitelli, invece, lo spettatore è quasi trasportato in un’altra realtà, attraverso un “viaggio cosmico”: la Napoli delle foto di Basilico e Barbieri ed il meteorite di Paolini sembrano rimandare ad un altro mondo; mentre, gli animali primitivi e la spirale (che si riferisce alla serie di Fibonacci) di Mario Merz, insieme alle stelle di Zorio, richiamano forme e significati archetipici di immagini primordiali contenute nell’inconscio collettivo.



Fig. 7 - MARIO MERZ, Senza titolo, 2003-2005, neon sabbiato, Stazione Vanvitelli, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 7 - MARIO MERZ, Senza titolo, 2003-2005, neon sabbiato, Stazione Vanvitelli, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci)


Nell’ultima stazione, Rione Alto, si affronta la difficoltà dell’individuo contemporaneo nei rapporti interpersonali: Bianco e Valente tentano di riscattare l’uomo dall’assuefazione alla tecnologia; Katharina Sieverding, nei suoi autoritratti fotografici, perde la sua identità a seguito di travestimenti e manipolazioni dell’immagine; Zezza parla della difficoltà dei giovani di oggi di dichiarare la propria omosessualità, Pennacchio Argentato dell’incomunicabilità di una coppia di manichini.



La metro Toledo

Infine, merita un ulteriore approfondimento la stazione Toledo, il cui pregio le è valso il conseguimento di alcuni importanti riconoscimenti a livello internazionale (in particolare, è stata nominata “la metropolitana più bella d’Europa” da una prestigiosa classifica stilata dalla CNN40 e dal “Daily Telegraph”41-che ha citato anche la stazione Materdei-. Ha vinto, inoltre, l’Emirates Leaf International Award ed il premio ITA -International Tunnelling Association42). Il tema su cui con più forza viene posto l’accento dall’edificio metropolitano, realizzato da Tusquets Blanca, è quello della costruzione stessa della stazione, con la sua storia e le sue preesistenze. Nella fattispecie, viene data una particolare attenzione alla stratigrafia del terreno dell’area di via Toledo (e, in senso più ampio, dell’intera città di Napoli) che, con la riscoperta di una falda acquifera nel sottosuolo, ha inciso sulle vicende della stazione ed ha determinato una modifica nelle tempistiche di costruzione (ritardandone l’apertura al 2012). Così, via via che si scende verso le banchine della metro, i colori predominati digradano dal nero (che allude all’asfalto del manto stradale), al giallo ocra (che fa riferimento al tufo presente nel sottosuolo napoletano), fino ad arrivare all’azzurro ed il blu (una chiara allusione alla falda acquifera sopra citata). Nel mezzanino della stazione, le pareti sono prevalentemente nere e sono presenti opere che sottolineano il forte legame della stazione con la città: si possono osservare frammenti murari di età aragonese (infatti, la stazione si trova nei cosiddetti Quartieri Spagnoli, fondati durante la dominazione spagnola di Napoli durante il XV secolo e adibiti a enclave fortificata per i militari ispanici). Poi, sono presenti due mosaici dell’artista sudafricano William Kentridge (che raffigurano personificazioni di alcuni importanti emblemi della città, come San Gennaro, il Vesuvio ed altri soggetti tratti dalla ceramica e da affreschi pompeiani, che avanzano in processione sullo sfondo del progetto del 1884 e del 1906 della metro43). Passando alla zona intermedia della stazione (ovvero, le scale mobili), il colore dominante delle pareti è, questa volta, l’ocra (che fa riferimento alla “sfera tufacea”) e anche qui le opere ribadiscono il legame con il contesto partenopeo (ne è un esempio, il mosaico di Francesco Clemente, “Engiadina”, costituito da frammenti di ceramica di Vietri e, dunque, di provenienza locale). Terminata la discesa, lo spettatore si trova completamente immerso nel mondo marino realizzato da Oscar Tusquets Blanca. L’intera superficie della hall è ricoperta da minute tessere musive di varie gradazioni d’azzurro, che diventano più intense verso il pavimento. Nella parte alta delle pareti, le “Olas”44 (ovvero “le onde”), imprimono movimento e connotano l’ambiente. Al centro del soffitto sovrastante le scale mobili, troneggia il celebre “Crater de luz” che, con la sua base ellittica e l’altezza vertiginosa (di circa 38 metri45), ricorda le cave di tufo romane46.



Fig. 8 - OSCAR
TUSQUETS BLANCA, Crater de luz, 2012, mosaico su supporto in lamiera metallica, Stazione Toledo, Napoli. (Credits: Chiara Petracci) Fig. 9 - ROBERT WILSON, Relative Light 2012, luci al LED, Stazione Toledo, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Fig. 8 - OSCAR TUSQUETS BLANCA, Crater de luz, 2012, mosaico su supporto in lamiera metallica, Stazione Toledo, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci).
Fig. 9 - ROBERT WILSON, Relative Light 2012, luci al LED, Stazione Toledo, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci).



Anche tutte le altre opere presenti concorrono a dare l’impressione di trovarsi in un “mondo sottomarino”. L’installazione all’interno del cratere, “Relative Light”, appartiene all’artista Robert Wilson e consiste in 144 luci azzurre al LED intermittenti che imprimono dinamismo al cratere e simulano il tremolio della luce sull’acqua. Allo stesso artista sono riferibili i pannelli lungo il corridoio che richiamano “la sfera dell’acqua”: delle stampe digitali (dal titolo “By the sea…you and me”) raffiguranti 24 m di superficie marina che, grazie alla tecnica della retroilluminazione con sistema LED47, producono un effetto multiframe che imita il susseguirsi delle onde del mare, “animandosi” al passare degli spettatori. Un altro rimando alla città ed alla costruzione della stazione metropolitana è contenuto in “Razza Umana” di Oliviero Toscani (un collage fotografico con i volti48 di persone comuni, per lo più catturati nelle vie e nelle piazze di Napoli, anche se non manca qualche personaggio pubblico) e nella stampa digitale “Men at work”, di Achille Cevoli, sul tema del lavoro operaio (i protagonisti sono, infatti, coloro che fisicamente hanno realizzato gli scavi della metropolitana, a cui Cevoli non dimentica di fare un tributo).





Conclusioni e direzioni future

La metropolitana come tipologia museale è destinata, nei prossimi anni, ad avere ampio seguito sia in Italia che all’estero: la sua logica, infatti, può essere applicata anche a fermate dell’autobus ed aeroporti, come avvenuto nell’Aeroporto di Istanbul (grazie ad una una proficua collaborazione tra il museo Istanbul Modern49 e la Tukish Airlines Business Lounge50) e nell’Aeroporto di Fiumicino51 (grazie alla partnership tra Aeroporti di Roma e il Parco Archeologico di Ostia Antica ), creando certamente un’efficace strategia pubblicitaria per entrambe le realtà ed un’occasione di arricchimento per i viaggiatori e per lo stesso aeroporto.

L’Italia, dunque, si presenta all’avanguardia e aggiornata sugli sviluppi europei di questa tipologia museale. Nonostante ciò, è stato sottolineato come questi allestimenti, anche a causa della loro peculiarità, necessitino di particolari accorgimenti museografici, di specifiche disposizioni di tutela e di investimenti, che si possono ottenere solo con una maggiore attenzione da parte di istituzioni e con il coinvolgimento di sponsor. Emblematica, in questo senso, è l’esperienza (fallimentare) dell’ex stazione della Ferrovia delle Valli a Zogno: per l’edificio ottocentesco si era pensato ad una conversione in polo museale ma a causa della lunghissima trafila burocratica da affrontare, il Comune ha abbandonato l’idea; la struttura è stata messa in vendita e probabilmente sarà adibita a ristorante52. Sta, dunque, al nostro paese dimostrare di essere all’altezza di accettare la sfida di portare l’arte in luoghi pubblici, alla portata di tutti.




NOTE

1 LYOTARD, 1985, p. 5.

2 TRECCANI, Postmoderno.

3 MUSÈE D’ORSAY, La stazione.

4 MUSÈE D’ORSAY, La stazione.

5 AULENTI, 2008, pp. 7-12.

6  Ibidem.

7 MUSÈE D’ORSAY, Tra stazione e museo.

8 MAINARDI, 2005, pp. 193-214.

9 VENTURI, 1984.

10 ICOM.

11 TOMAS TAVEIRA & ASSOCIADOS.

12 METRO LISBOA.

13 RUBBOLI.

14 Ibidem.

15 CORBI.

16  METRO IN MOSCOW, The most beautiful stations in Moscow’s Metro.

17 VIVIT.

18 Ibidem.

19 TRAINLINE.

20 GRUPPO FERROVIE DELLO STATO ITALIANE, Palermo Centrale.

21 TRAINLINE.

22 GRUPPO FERROVIE DELLO STATO ITALIANE, Milano Centrale.

23 TRAINLINE.

24 GRUPPO FERROVIE DELLO STATO ITALIANE, Firenze Santa Maria Novella.

25 MOREA, 2016.

26 MIBACT, Arte negli spazi pubblici: la legge 717/49.

27 PARIBELLO.

28 ALOA.

29 REA, 2018.

30 MIBACT.

31 REA. 2018.

32 METRO C SPA.

33  Ibidem.

34 ALOA.

35 AUGÈ, 2018.

36 CASOLI, 2018.

37 CORBI.

38 COOPCULTURE.

39 MASELLI, 2016.

40 BENAVIDES, CANEPA 2014.

41 THE TELEGRAPH, 2012.

42 ITA, 2015.

43 ANM, Toledo- William Kentridge.

44 ANM, Toledo- Oscar Tusquets Blanca- Robert Wilson.

45 TUSQUETS.

46 CARUGHI, 2012.

47 STAMPA LENTICOLARE.

48 TG REGIONE.

49 ISTANBUL MODERN.

50 TURKISH AIRLINES.

51 PARCO ARCHEOLOGICO OSTIA ANTICA.

52 PARAVISI, 2019.



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