A partire dalla seconda metà del Novecento, abbiamo assistito ad un
fenomeno (ancora in corso) di aumento esponenziale delle
manifestazioni di quella che viene definita “arte pubblica”: essa
consiste in interventi, performance e installazioni realizzate al di
fuori delle istituzioni ufficialmente deputate all’arte e che si
riversano in spazi pubblici, per lo più urbani (come strade, piazze
e giardini). Tra queste manifestazioni, rientra sicuramente l’arte
pubblica in metropolitana: comparsa inizialmente sottoforma di
sporadiche manifestazioni, ha subito un’ evoluzione fino a divenire
una vera e propria tipologia museale a sé stante, pur mantenendo
intatta la sua vocazione universale.
Contesto storico-critico: il Postmoderno e la rottura con la museologia del Modernismo
La
nascita di questa tipologia museale, che trova il suo allestimento
all’interno di spazi pubblici dedicati alla mobilità, può essere
collocata nel contesto della tendenza Postmoderna. Il termine è
stato coniato da Jean- Francois Lyotard nel suo scritto “La
condizione postmoderna” del 1979:
con esso si intende la condizione antropologica e culturale
venutasi a creare nel tardo Novecento, in seguito alla crisi del
Modernismo. L’espressione, quindi, riassume l’insieme di tendenze
ed atteggiamenti che rifiutano le principali ideologie del
Modernismo, comprese la sua architettura e le sue categorie
museologiche. Si è, così, potuta aprire la strada per
un’interpretazione più libera, ampia e democratica di museo.
È
stato
notato come, in un primo momento, fossero senz’altro prevalenti i
casi di “riconversione” di spazi non più utilizzati come
stazioni ferroviarie in musei; mentre, in un secondo momento, è
divenuta più frequente una “coesistenza” tra l’allestimento
museale e la funzione di stazione metropolitana.
Riconversione di stazioni in musei, il primo esempio della Gare d’Orsay a Parigi
Tra
gli esempi del primo caso, ovvero di riconversione di spazi dedicati
alla mobilità su ferro in luoghi con vocazione museale, può essere
certamente annoverato il modello del Musée d’Orsay. Nata come
stazione ferroviaria, la Gare d’Orsay fu inaugurata nel 1900
ad opera dell’architetto Victor Laloux, in occasione
dell’Esposizione Universale. Tuttavia, essa divenne ben presto
obsoleta a causa dell’inadeguatezza dei suoi binari (troppo corti
per i nuovi e ben più lunghi treni elettrici)
e, nel 1961, fu ufficialmente destinata alla demolizione per farne un
albergo moderno.
La “nuova vita” della Gare d’Orsay ebbe inizio nel 1973, quando
fu inclusa tra i Monuments Historiques de France
e la Direction des musées de France
decise di realizzarvi un museo, che fungesse «da tramite tra le
collezioni del Louvre e quelle del Centre Pompidou»,
e dunque dedicato alle arti del periodo compreso tra il 1848 ed il
1914. La ristrutturazione esterna fu affidata agli
architetti del gruppo ACT-Architecture, che hanno riadattato
l’edificio alla nuova funzione, rispettandone lo spirito originario
dato da Laloux. La sistemazione interna fu eseguita, invece, ad opera
di Gae Aulenti (architetta postmoderna milanese, attiva anche nelle
stazioni Museo e Dante della Linea 1 di Napoli) e dal suo team di
scenografi e architetti. Negli spazi interni dell’edifico di
Aulenti coesistono (senza conflitti) varie tendenze eterogenee tra
loro, in
accordo con la teoria architettonica postmoderna proposta da Robert
Venturi.
Ciò
è
evidente, ad esempio, nella molteplicità dei punti di vista e nella
varietà delle sale (ciascuna diversa dall’altra), nella
particolarità dei criteri di ordinamento e nei parametri di
selezione adottati nello scegliere gli artisti da esporre, che
costituiscono il vero elemento di novità di questo rivoluzionario
spazio espositivo. Con questo modus operandi, il Musèe d’Orsay si
è reso artefice una profonda revisione della storia dell’arte e
della museologia del Modernismo.
Metropolitana e arte in Europa
In
seguito alla sperimentazione parigina,
il
processo di unificazione di stazione metropolitana e museo proseguì
riconoscendo a ciascuna delle due realtà il diritto di mantenere la
propria funzione specifica e di, semplicemente, coesistere con
l’altra: non avremo più, quindi, fenomeni di “riconversione”,
ma piuttosto di compromesso tra le due. Sono numerosi, infatti, gli
esempi europei di stazioni metropolitane che aderiscono alla
definizione di museo stabilita dall’ICOM: esse svolgono il ruolo di
istituzioni permanenti e senza scopo di lucro, progettate da illustri
architetti, e accolgono installazioni ed opere d’arte visitabili da
chiunque, conservandole e comunicandole per fini di studio,
educazione e diletto.
Alcuni esempi di questo sincretismo sono le stazioni Westfriedhof e
Muenchner Freiheit a Monaco (nelle quali l’ideatore delle
originali soluzioni illuminotecniche è stato Ingo Murer); la metro
Olaias di Lisbona (un edificio metropolitano progettato da Tomás
Taveira,
che contiene installazioni appartenenti a Pedro Cabrita Reis, Graça
Pereira Coutinho, Pedro Calapez e Rui Sanchez)
e l’ingresso della stazione di Bockenheimer Warte a Francoforte
(realizzata dall’architetto Zbigniew Peter Pininski; essa ha una
forma sorprendentemente innovativa: si tratta di una struttura
raffigurante un tram, in scala 1:1, che sembra sprofondare
nell’asfalto, proprio nel luogo in cui sorgeva la sede di quella
che è stata, tra il 1872 ed il 1978,
la stazione di controllo generale di tutti i tram della città.
L’architetto è riuscito a mantenere viva e a tramandare la storia
del territorio circostante la stazione e, al contempo, a realizzare
una costruzione di pregio: nel 2001, l’entrata avrebbe dovuto esser
spostata, ma la qualità dell’opera dell’ingresso la salvò dalla
demolizione).
Il caso di Napoli: alcune stazioni europee di riferimento
Quello delle “Stazioni dell’Arte”, all’interno della metropolitana
di Napoli, rappresenta uno dei più ambiziosi, influenti e ampi
progetti di “arte pubblica” realizzati in Europa nell’ultimo
ventennio,
il cui notevole interesse culturale ha portato al conseguimento di
alcuni importanti riconoscimenti a livello nazionale ed
internazionale.
Si tratta di un audace piano di valorizzazione degli spazi
metropolitani attraverso l’inserimento, nelle stazioni, di
installazioni ed opere d’arte contemporanea, che ha permesso la
creazione di un grande patrimonio pubblico, appartenente alla città
ed accessibile a chiunque in modo semplice, al prezzo di una corsa in
metro.
È
possibile stabilire alcune analogie che sussistono tra le fermate
metro di Napoli e diverse stazioni metropolitane di interesse storico
artistico antecedenti al caso partenopeo, situate in varie città
europee. Così avviene, ad esempio, in alcune stazioni di Mosca e San
Pietroburgo: la loro realizzazione si colloca nel periodo centrale
della dittatura stalinista, con finalità chiaramente
propagandistiche ed autocelebrative nei confronti del regime; lo
dimostrano, ad esempio, lo sfarzo dei materiali (che rasentano quasi
l’opulenza) ed i temi trattati dalle opere della stazione, che
principalmente esaltano la storia della nazione russa.
Non è di certo segreto, d’altronde, l’amore di Stalin per l’arte
(in particolare per il cinema) ed il suo progetto, apertamente
dichiarato, di piegarla alle finalità didattiche dei principi
socialisti.
Stalin ha compreso fin da subito l’impatto dell’arte,
la sua influenza sulla gente comune e la sua capacità di veicolare
messaggi. È stato, inoltre, anche uno dei primi ad attribuire
considerevole importanza ai luoghi di transizione quotidiana come le
stazioni metropolitane, impiegando i migliori artisti ed architetti
dell’epoca nella loro realizzazione. Esse non sono, perciò, solo
snodi di passaggio anonimi della vita contemporanea, ma possono
essere caricati di significati attraverso la bellezza e l’arte,
proprio come avviene nelle Stazioni dell’Arte di Napoli. Tra le
stazioni più notevoli figurano quelle di Komsomolskaya,
Mayakovskaya, e Kievskaya a Mosca; Avtovo a San Pietroburgo.
Altre
affinità
possono
essere riscontrate in alcune delle stazioni metropolitane collocate
nelle diverse linee parigine: infatti, determinate soluzioni
museografiche adottate in questi spazi urbani saranno un punto di
riferimento sostanziale per le stazioni partenopee di Bonito Oliva.
Alcune fermate, infatti, mantengono un analogo e intenso legame con
il territorio in cui si inseriscono, riallacciandosi alla storia ed
ai simboli tradizionali della Francia, come nelle fermate di Place de
la Concorde (le cui pareti, con 44.000 piastrelle in ceramica,
recitano la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino) e
Bastille (che espone le fondamenta di quella che fu la Bastiglia,
unitamente a cinque grandi dipinti che ne commemorano il celebre
episodio storico). Altre inglobano fondamenta e resti archeologici
rinvenuti nel corso degli scavi; altre ancora, collocate in
prossimità di importanti musei, hanno come obbiettivo quello di
rendere il loro attraversamento un’esperienza propedeutica alla
visita dei luoghi espositivi che li sovrastano (come nelle metro
Louvre-Rivoli e Arts et Métiers, che inseriscono, nei loro spazi,
copie di opere o elementi che rimandano ai rispettivi musei. È
lo stesso principio che permea la metro Museo di Napoli).
Infine,
il modello forse più prossimo alle metro napoletane, che coniuga
mobilità ed arte, è quello della metropolitana di Stoccolma: la
cosiddetta “Tunnelbana”. Il progetto, risalente agli anni ’50
del Novecento, è stato curato da due artiste, Vera Nilsson e Siri
Derkert, ed ha previsto che 90 delle 100 stazioni metropolitane della
città (ciascuna incentrata su di una particolare tematica) fossero
arricchite dalle opere di circa 150 artisti d’arte contemporanea,
provenienti da tutta Europa. In più, anche a Stoccolma, in analogia
con Napoli, dal
1997 è presente un programma di tour e visite guidate che comunicano
e valorizzano questo patrimonio underground.
La parentesi italiana delle stazioni di inizio Novecento
Nella
storia italiana, una felice parentesi per quanto concerne l’arte
pubblica è rappresentata dalle stazioni realizzate tra la fine
dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento. In questo periodo,
infatti, si sono succedute (spesso fondendosi tra loro) due tendenze
dominanti. In un primo momento, vi è stata quella del cosiddetto
“stile umbertino”
(in
coincidenza con il
regno di Umberto I di Savoia,
Re d’Italia dal 1878 al 1900),
caratterizzato da un forte eclettismo che ha combinato tra loro lo
stile neorinascimentale accademico e convenzionale, il neobarocco
d’oltralpe ed una declinazione italiana dello stile Liberty.
In
un secondo momento, invece, durante il ventennio fascista, ha assunto
maggior rilievo il rigore e la purezza formale del Razionalismo:
esso, pur privilegiando l’aspetto funzionale delle architetture
metropolitane (una caratteristica che prevarrà e condurrà
all’anonimia e all’assenza di decorativismo del Modernismo),
nella sua fase d’oro è riuscito a creare, all’interno delle
città, efficaci espressioni di eleganza e semplicità, attraverso il
candore dei suoi marmi.
Tra
i capolavori dello stile umbertino, possono essere citate le stazioni
di Torino Porta Nuova e quella di Palermo Centrale. La prima risale
al 1861, presenta una splendida facciata ottocentesca e la celebre
Sala Gonin: un ambiente interamente affrescato e adibito a “sala
d’attesa” della famiglia reale, visitabile solo durante le
giornate FAI di primavera.
La sontuosità e sfarzo di questa stazione, infatti, sono dirette
conseguenze di due fattori: da un lato, la responsabilità di essere
la stazione centrale dell’allora capitale d’Italia; dall’altro
la funzione di rappresentanza del prestigio della Casa di Savoia. La
stazione di Palermo Centrale, invece, è stata realizzata nel 1885:
le forme rispecchiano il gusto neorinascimentale dello stile
umbertino, congiuntamente ad un’attenzione particolare per i
materiali industriali (così tipica del periodo successivo
all’Esposizione Universale di Londra del 1851, a Crystal Palace),
come dimostra l’elegante tettoia in ferro e vetro, andata distrutta
durante la Seconda Guerra Mondiale.
Un
caso diverso è, invece, quello della Stazione Milano Centrale, che
si configura come un calzante esempio di fusione tra lo stile
umbertino e quello razionalista, dovuto anche alla sua lunga
gestazione. Il primo progetto (dell’architetto Cantoni),
infatti, risale
al 1906 e comprendeva un ampio apparato decorativo in stile Liberty
(tra
cui torri,
statue, orologi e festoni). Il secondo progetto, invece (realizzato
nel 1912 da Ulisse Stacchini) ha privilegiato forme geometriche ed
austere, più confacenti allo spirito dell’età giolittiana, con il
risultato di un’armoniosa contaminazione tra i due stili.
Infine,
uno splendido caso di architettura puramente razionalista è quello
della Stazione Santa Maria Novella a Firenze: costruita durante gli
anni Trenta (si
dice che Mussolini apprezzasse molto quest’edificio),
essa ospita le opere di alcuni dei più rappresentativi artisti del
Ventennio, tra cui le sculture di Italo Griselli e le pitture di
Ottone Rosai e Mario Romoli.
È
da sottolineare come, durante il Regime fascista, l’arte pubblica
abbia goduto di una particolare attenzione da parte dello Stato
(essendo considerata uno dei nodi fondamentali della politica
propagandistica dell’epoca): essa ha interessato non solo i
monumenti celebrativi, ma anche i luoghi della quotidianità (come le
stazioni, gli uffici dell’Eur, le poste). In quest’ottica, ben si
comprende il provvedimento del 1920 di Bendetto Croce
(all’epoca Ministro della Pubblica Istruzione) volto a curare la
qualità e l’estetica degli edifici pubblici con il fine, più
ampio, di celebrazione del Regime.
Tale
esigenza di arte all’interno della quotidianità è riemersa anche
nel secondo dopoguerra, con la legge n. 717 del 29 luglio 1949 (la
cosiddetta “legge del 2%”).
Essa
ha imposto
alle Amministrazioni (Stato, Regioni, Enti territoriali e, in
generale, tutti gli Enti pubblici) di destinare una percentuale
dell’importo dei
lavori (massimo il 2%) ad opere d’arte, da collocare nel nuovo
edificio.
Ciononostante,
la suddetta legge è stata poco osservata (anche per l’assenza di
sanzioni in caso di mancata applicazione)
ed il proposito di integrazione tra architettura urbanistica ed
espressione artistica si è limitato a pochi casi isolati.
Il
disegno delle Stazioni dell’Arte a Napoli si è rivelato anche come
una presa di posizione polemica, da parte del critico Achille Bonito
Oliva, nei confronti della legge del 2%: questi ne sottolinea, da una
parte, l’inadeguatezza; dall’altra ne richiede implicitamente
un perfezionamento. Per il critico, l’arte non dev’essere
semplice ornamento, “ancella” dell’architettura pubblica, ma
tra le due dev’esserci una più profonda interrelazione («Le
opere non sono l’addobbo della Legge del 2%, sono un matrimonio tra
arte e architettura», ha affermato lo stesso Bonito Oliva in
un’intervista).
Sarebbe
dunque opportuno inserire l’opera d’arte sin dalle fasi
iniziali della progettazione architettonica, in modo che l’una sia
pensata in funzione dell’altra e per poter sviluppare un fecondo
rapporto dialettico e non di subordinazione.
Le Stazioni dell’Arte come modello: la fermata San Giovanni a Roma
Per
concludere, è possibile citare un esempio di metropolitana-museo che
a sua volta si è ispirata al modello napoletano e l’ha considerato
come un prototipo a cui rifarsi: è il caso della fermata di San
Giovanni della Metro C a Roma, la cui apertura nel 2018 è stata
un’assoluta novità per la città, in quanto prima “Stazione
dell’Arte” della capitale. Questa stazione si pone in continuità
con il progetto di Bonito Oliva a Napoli sia dal punto di vista
ideologico che da quello più materiale: infatti, l’obbiettivo
della stazione-museo è, anche qui, quello di creare un sito
culturale, strettamente radicato nel territorio locale, che possa
arricchire l’esperienza quotidiana dei frequentatori della
metropolitana («non una tradizionale esposizione museale di reperti
ma una full immersion tra passato e presente»,
come spiega Rossella Rea, funzionario archeologo per il MiBACT);
mentre, dal punto di vista dell’allestimento, si tratta di una
raccolta di manufatti archeologici (proprio come nella stazione
Municipio di Napoli), che vengono disposti lungo il percorso
espositivo a seconda del livello stratigrafico in cui sono stati
rivenuti (ereditando questa particolare attenzione per la
stratigrafia del sottosuolo direttamente dalla fermata partenopea
Toledo). Alcuni degli espedienti museografici utilizzati sono, ad
esempio, l’inserimento di uno stratigrafo
(una sorta di colonna che offre un saggio dei vari livelli
sovrapposti di terreno che, con il corredo di date e descrizioni,
restituisce allo spettatore «valore
ed importanza allo scorrere e sedimentarsi del tempo»);
l’impiego di pannelli che, ad ogni piano, assumono un determinato
colore, corrispondente ad una precisa epoca; teche espositive e “zone
espositive speciali” (ad
esempio, quella che, attraverso una serie di incisioni di luce
orizzontali e verticali, traccia sul pavimento la sagoma della grande
vasca di età imperiale nella precisa posizione al momento del
ritrovamento).
Il progetto delle Stazioni dell’Arte
Per
quanto riguarda le Stazioni dell’Arte di Napoli in sé per sé, si
tratta di un progetto nato tra il 1995 ed il 1998 da un’idea
dell’ingegner Gainnegidio Silva, già presidente del consorzio
Metronapoli, con il coordinamento artistico del critico Achille
Bonito Oliva. Questi, con l’obbiettivo di creare «un “museo
obbligatorio”» come spesso lo ha egli stesso definito, «dove le
persone sono forzate a stare in familiarità con l’arte
contemporanea»,
ha assoldato un’equipe di artisti, di fama nazionale ed
internazionale, per realizzare un grande patrimonio diffuso di arte
pubblica nel sottosuolo napoletano. Quest’operazione ha, al
contempo, riscattato quelli che Marc Augè
aveva definito i “non-luoghi” contemporanei della mobilità
(caratterizzandoli e donando loro connotazioni specifiche, al fine di
migliorare la qualità della vita e del trasporto napoletano), dato
una dimensione pubblica, più accessibile e democratica ad un
patrimonio di altissimo interesse culturale e raggiunto un maggior
numero di spettatori rispetto ad un canonico museo: sia coinvolgendo
la cittadinanza, sia divenendo fulcro di un nuovo flusso turistico
internazionale (sono stati, infatti, circa 176.000 i visitatori delle
metro di Napoli nel 2017, secondo uno studio dell’Università
Vanvitelli).
In molti casi, la costruzione delle stazioni è stata anche
un’occasione per
un
restyling
del contesto urbano (talvolta anche in quartieri molto degradati,
come avvenuto in Via Salvator Rosa, in passato soffocata dalla
speculazione edilizia), e dunque a vantaggio dell’intera
collettività.
Ritrovamenti archeologici
La complessa
stratigrafia di Napoli, città dalla storia plurimillenaria, ha
rivelato nel corso del tempo una ricchezza inesauribile di fondazioni
e reperti (risalenti addirittura al neolitico, passando per l’età
ellenistica e romana, fino ad arrivare a quella angioina) e
sono ormai celebri gli straordinari ritrovamenti archeologici,
avvenuti in concomitanza con gli scavi per la metropolitana
(impossibile non citare quelli
di Via Toledo e
della stazione metro Università, quelli provenienti dagli scavi di
Piazza Municipio, da Via Salvator Rosa e da Piazza Duomo).
Certamente, i lavori per la realizzazione della metropolitana hanno
costituito un’occasione insostituibile per i ritrovamenti degli
ultimi anni, oltre ad aver fornito un luogo espositivo “in situ”,
in grado di mantenere in modo esemplare la continuità tra il reperto
ed il luogo del rinvenimento. L’esistenza del progetto delle
Stazioni dell’Arte ha contribuito ad impedire che i ritrovamenti
venissero ignorati, occultati, o peggio, distrutti, come accaduto in
passato. La presenza sul campo, inoltre, di “addetti al mestiere”,
come rinomati critici ed architetti, ha garantito una tutela ed una
valorizzazione del tutto particolare, dal carattere estremamente
tecnico e all’avanguardia. Il patrimonio pubblico delle Stazioni
dell’Arte della Linea 1 ha avuto modo, così, di ampliarsi:
attualmente il progetto espone opere, tutte intimamente connesse alla
città, non solo d’arte contemporanea, ma anche reperti antichi, in
un connubio di passato e presente, di arte e vita quotidiana.
Manutenzione, fruizione e valorizzazione
Il patrimonio culturale delle Stazioni dell’Arte si esplica, per sua
natura, in espressioni artistiche estremamente variegate e polimorfe.
Esso, inoltre, è sottoposto a notevoli condizioni di stress
antropico ed ambientale: il completo annullamento di barriere di
distanziamento del pubblico (data la peculiare collocazione delle
opere) e le vibrazioni del terreno (dovuto al transito ravvicinato
dei treni), pongono delle questioni museografiche e di tutela
aggiuntive rispetto a quelle di musei più canonici. Pertanto, si è
resa necessaria l’applicazione di strategie di tutela e
valorizzazione complesse ed articolate, attraverso la cooperazione di
molte e specifiche professionalità. Le
operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria sono affidate
all’Azienda
Napoletana Mobilità
(dotata di una struttura organizzativa interna con specifiche
competenze), che opera in collaborazione con gli studenti della
Scuola di Restauro dell’Accademia di Belle Arti di Napoli (rendendo
questo momento un’occasione altamente formativa, oltre che
partecipativa, per gli studenti). L’Azienda Napoletana Mobilità si
dedica anche alle iniziative di educazione, promozione e
divulgazione, offrendo i sevizi educativi “Metro Art Tour”:
organizza attività didattiche e periodiche visite guidate, rivolte
ad adulti e bambini (spesso realizzate in collaborazione con scuole,
università, musei ed altre realtà associative) che, dal 2010 ad
oggi, vantano la partecipazione di oltre 15mila visitatori. La
valorizzazione di questo vasto patrimonio è, ad oggi, possibile
anche grazie alla recente adesione al progetto di otto nuovi sponsor
(tra cui Coopculture, Ferrarelle, MSC Crociere e Metropolitana di
Napoli S.p.A.). Questi
investimenti creeranno una rete di finanziamenti privati, che non
graveranno sulla città e le istituzioni e che sapranno valorizzare
il patrimonio delle Stazioni dell’Arte al massimo delle sue
potenzialità.
La
realtà della Linea 1 di Napoli (in aderenza con la definizione di
museo dell’ICOM) è in continua crescita: è prevista, per i
prossimi anni, l’apertura di nuove Stazioni dell’Arte e
l’ampliamento del patrimonio artistico esistente. Ad esempio,
prossimamente verrà completato il giardino della stazione Garibaldi,
ad opera dell’architetto Dominique Perrault; verrà
inaugurato il museo annesso alla fermata di Piazza Municipio, che
esporrà i resti archeologici rivenuti in situ, realizzata da Álvaro
Siza ed Eduardo
Souto de Moura; infine, sarà aperta al pubblico la splendida
stazione di Piazza Duomo, su progetto dei coniugi Massimiliano e
Doriana Fuksas.
Oggi,
gli spazi della metropolitana di Napoli contano circa 200 opere
realizzate da oltre 100 artisti, tra i più prestigiosi dello
scenario contemporaneo,
appartenenti a diverse nazionalità ed età, ciascuno con il proprio
stile ed un proprio messaggio da comunicare. È stato evidenziato
come ciascuna stazione sia incentrata su un tema dominante, anche se
non sempre facilmente individuabile, a causa della molteplicità dei
linguaggi artistici presenti e per il fatto che molte opere siano
state aggiunte successivamente rispetto all’inaugurazione della
stazione. Un denominatore comune alla maggior parte delle stazioni e
delle opere sembra, tuttavia, essere la volontà di mantenere un
forte legame con la città di Napoli: viene data, infatti,
un’attenzione particolare alle sue tradizioni ed alla sua storia,
ai sui paesaggi, ai materiali e alle piccole imprese locali. Senza
contare che molti degli artisti attivi nel progetto sono nati a
Napoli, altri vi hanno vissuto oppure vi sono legati, nei modi più
disparati.
Le Stazioni dell’Arte della Linea 1
Il
tema centrale della stazione di Garibaldi si basa sul rapporto di
dialogo che intercorre tra le luci, progettate dall’architetto
Dominique Perrault, e le superfici specchianti di Michelangelo
Pistoletto.
Fig. 1 - DOMINIQUE PERRAULT,
Piazza Ipogea,
2013, Metro Garibaldi, Napoli
(Credits: Chiara Petracci).
Fig. 2 - MICHELANGELO PISTOLETTO, Stazione 2, 2013, serigrafia su acciaio inox supermirror, Stazione Garibaldi, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci).
Le
opere all’interno della stazione Università sono interamente
riferibili all’artista anglo-egiziano Karim Rashid. I
temi trattati sono molteplici, tra tutti spicca quello del
“linguaggio moderno”: nel quartiere universitario e più
giovanile della città, Rashid fa continui rimandi a questo
innovativo “codice” degli ultimi anni (sia esso espresso tramite
vocaboli coniati a partire ai social network, oppure per mezzo di
l’uso di specifiche tecnologie, colori, forme o materiali), non
tralasciando, però, di mantenere sempre vive le radici su cui esso
si erge.
Fig. 3 - KARIM RASHID, Synapsi, 2010, scultura in alluminio, Stazione Università, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci).
La
metro Municipio di Àlvaro
Siza ed Eduardo Souto de Moura ha subito uno stravolgimento del
progetto iniziale in seguito ai copiosi ritrovamenti archeologici:
essa sarà collegata ad un innovativo museo all’avanguardia che li
conserverà e li esporrà a tutti i visitatori della stazione.
Nella
stazione metro Dante, gli artisti indagano la sfera percettiva umana:
Kosuth, ad esempio, lo fa con un’installazione al neon di una frase
di Dante Alighieri sulla percezione visiva. Kounellis, nella sua
opera, rende la percezione della distanza spazio-temporale di un
viaggio. De Maria esplora, invece, il tema della percezione
psicologica di forme e colori.
Nella
stazione Museo, sottostante il Museo Archeologico Nazionale, le opere
presenti sono delle riproduzioni di alcuni dei pezzi più pregevoli
della collezione del museo, per educare l’occhio dello spettatore
in prospettiva di una visita di quest’ultimo. Sono presenti,
inoltre, numerosi pannelli con scatti (di celebri fotografi)
radicalmente legati al contesto partenopeo.
Fig. 4 - ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI, Calco dell’Ercole Farnese, 2001, scultura in vetroresina, Stazione Museo, Napoli. (Credits: Chiara Petracci)
Le
metro Materdei e Salvator Rosa (intimamente affini tra loro), invece,
coinvolgono un target più ampio di pubblico, appartenente a tutte le
età, con opere ludiche, dal carattere giocoso ed ironico, e con
colori brillanti. Nel giardino della stazione Materdei, ad esempio,
le sculture ludiche di Luigi Serafini si basano su giochi di parole
oppure sono fatte per essere vissute, salendoci sopra con i piedi.
All’interno, Luigi Ontani realizza un mosaico con Pulcinella e
“scugnizzi” napoletani, il tutto sullo sfondo colorato
determinato dalle installazioni di Sol Lewitt e dai pannelli con le
principali opere di celebri designer. Un’atmosfera simile è
percepibile nella metro Salvator Rosa: a cominciare dai vivaci
mosaici sugli edifici circostanti la stazione, passando per le
sculture ludiche e colorate di Salvatore Paladino ed il Pulcinella di
Lello Esposito nel giardino, per concludere con le Fiat 500 di
Perino&Vele ed i delicati mosaici di Fulvia Mendini.
Fig. 5 -PERINO &VELE, A subway è chiù sicura, ferro, cartapesta e vetroresina, Stazione Salvator Rosa, 2001, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci)
La
stazione Quattro Giornate, coerentemente al tema a cui è dedicata la
piazza (ovvero alle quattro giornate di insurrezione della città
contro i nazifascisti), attua una riflessione sulla guerra: sia essa
interpretata come una caccia primitiva (come nelle opere di
Fermariello), come un’esperienza annichilente per l’uomo (ad
esempio, nelle sagome di Nino Longobardi) o come lotta per difendere
i propri ideali (nell’installazione di Marisa Albanese).
Fig. 6 - MARISA ALBANESE, Combattenti, 2001, sculture in bronzo dipinto e acciaio, Stazione Quattro Giornate, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci)
A Vanvitelli, invece, lo spettatore è quasi trasportato in un’altra
realtà, attraverso un “viaggio cosmico”: la Napoli delle foto di
Basilico e Barbieri ed il meteorite di Paolini sembrano rimandare ad
un altro mondo; mentre, gli animali primitivi e la spirale (che si
riferisce alla serie di Fibonacci) di Mario Merz, insieme alle stelle
di Zorio, richiamano forme e significati archetipici di immagini
primordiali contenute nell’inconscio collettivo.
Fig. 7 - MARIO MERZ, Senza titolo, 2003-2005, neon sabbiato, Stazione Vanvitelli, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci)
Nell’ultima
stazione, Rione Alto, si affronta la difficoltà dell’individuo
contemporaneo nei rapporti interpersonali: Bianco e Valente tentano
di riscattare l’uomo dall’assuefazione alla tecnologia; Katharina
Sieverding, nei suoi autoritratti fotografici, perde la sua identità
a seguito di travestimenti e manipolazioni dell’immagine; Zezza
parla della difficoltà dei giovani di oggi di dichiarare la propria
omosessualità, Pennacchio Argentato dell’incomunicabilità di una
coppia di manichini.
La metro Toledo
Infine,
merita un ulteriore approfondimento la stazione Toledo, il cui pregio
le è valso il conseguimento di alcuni importanti riconoscimenti a
livello internazionale (in particolare, è stata nominata “la
metropolitana più bella d’Europa” da una prestigiosa classifica
stilata dalla CNN
e dal “Daily Telegraph”-che
ha citato anche la stazione Materdei-. Ha vinto, inoltre, l’Emirates
Leaf International Award ed il premio ITA -International
Tunnelling Association).
Il tema su cui con più forza viene posto l’accento dall’edificio
metropolitano, realizzato da Tusquets Blanca, è quello della
costruzione stessa della stazione, con la sua storia e le sue
preesistenze. Nella
fattispecie, viene data una particolare attenzione alla stratigrafia
del terreno dell’area di via Toledo (e, in senso più ampio,
dell’intera città di Napoli) che, con la riscoperta di una falda
acquifera nel sottosuolo, ha inciso sulle vicende della stazione ed
ha determinato una modifica nelle tempistiche di costruzione
(ritardandone l’apertura al 2012). Così, via via che si scende
verso le banchine della metro, i colori predominati digradano dal
nero (che allude all’asfalto del manto stradale), al giallo ocra
(che fa riferimento al tufo presente nel sottosuolo napoletano), fino
ad arrivare all’azzurro ed il blu (una chiara allusione alla falda
acquifera sopra citata). Nel mezzanino della stazione, le pareti sono
prevalentemente nere e sono presenti opere che sottolineano il forte
legame della stazione con la città: si possono osservare frammenti
murari di età aragonese (infatti, la stazione si trova nei
cosiddetti Quartieri Spagnoli, fondati durante la dominazione
spagnola di Napoli durante il XV secolo e adibiti a enclave
fortificata per i militari ispanici). Poi, sono presenti due mosaici
dell’artista sudafricano William Kentridge (che raffigurano
personificazioni di alcuni importanti emblemi della città, come San
Gennaro, il Vesuvio ed altri soggetti tratti dalla ceramica e da
affreschi pompeiani, che avanzano in processione sullo sfondo del
progetto del 1884 e del 1906 della metro).
Passando alla zona intermedia della stazione (ovvero, le scale
mobili), il colore dominante delle pareti è, questa volta, l’ocra
(che fa riferimento alla “sfera tufacea”) e anche qui le opere
ribadiscono il legame con il contesto partenopeo (ne è un esempio,
il mosaico di Francesco Clemente, “Engiadina”, costituito da
frammenti di ceramica di Vietri e, dunque, di provenienza locale).
Terminata la discesa, lo spettatore si trova completamente immerso
nel mondo marino realizzato da Oscar Tusquets Blanca. L’intera
superficie della hall è ricoperta da minute tessere musive di varie
gradazioni d’azzurro, che diventano più intense verso il
pavimento. Nella parte alta delle pareti, le “Olas”
(ovvero “le onde”), imprimono movimento e connotano l’ambiente.
Al centro del soffitto sovrastante le scale mobili, troneggia il
celebre “Crater de luz” che, con la sua base ellittica e
l’altezza vertiginosa (di circa 38 metri),
ricorda le cave di tufo romane.
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Fig. 8 - OSCAR TUSQUETS BLANCA, Crater de luz, 2012, mosaico su supporto in lamiera metallica, Stazione Toledo, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci). |
Fig. 9 - ROBERT WILSON, Relative Light 2012, luci al LED, Stazione Toledo, Napoli.
(Credits: Chiara Petracci).
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Anche tutte le altre
opere presenti concorrono a dare l’impressione di trovarsi in un
“mondo sottomarino”. L’installazione all’interno del cratere,
“Relative Light”, appartiene all’artista Robert Wilson e
consiste in 144 luci azzurre al LED intermittenti che imprimono
dinamismo al cratere e simulano il tremolio della luce sull’acqua.
Allo stesso artista sono riferibili i pannelli lungo il corridoio che
richiamano “la sfera dell’acqua”: delle stampe digitali (dal
titolo “By the sea…you and me”) raffiguranti 24 m di superficie
marina che, grazie alla tecnica della retroilluminazione con sistema
LED,
producono un effetto multiframe che imita il susseguirsi delle onde
del mare, “animandosi” al passare degli spettatori. Un altro
rimando alla città ed alla costruzione della stazione metropolitana
è contenuto in “Razza Umana” di Oliviero Toscani (un collage
fotografico con i volti
di persone comuni, per lo più catturati nelle vie e nelle piazze di
Napoli, anche se non manca qualche personaggio pubblico) e nella
stampa digitale “Men at work”, di Achille Cevoli, sul tema del
lavoro operaio (i protagonisti sono, infatti, coloro che fisicamente
hanno realizzato gli scavi della metropolitana, a cui Cevoli non
dimentica di fare un tributo).
Conclusioni e direzioni future
La
metropolitana come tipologia museale è destinata, nei prossimi anni,
ad avere ampio seguito sia in Italia che all’estero: la sua logica,
infatti, può essere applicata anche a fermate dell’autobus ed
aeroporti, come avvenuto nell’Aeroporto di Istanbul (grazie ad una
una proficua collaborazione tra il museo Istanbul Modern
e la Tukish Airlines Business Lounge)
e nell’Aeroporto di Fiumicino
(grazie alla partnership tra Aeroporti di Roma e il Parco
Archeologico di Ostia Antica ), creando certamente un’efficace
strategia pubblicitaria per entrambe le realtà ed un’occasione di
arricchimento per i viaggiatori e per lo stesso aeroporto.
L’Italia,
dunque, si presenta all’avanguardia e aggiornata sugli sviluppi
europei di questa tipologia museale. Nonostante ciò, è stato
sottolineato come questi allestimenti, anche a causa della loro
peculiarità, necessitino di particolari accorgimenti museografici,
di specifiche disposizioni di tutela e di investimenti, che si
possono ottenere solo con una maggiore attenzione da parte di
istituzioni e con il coinvolgimento di sponsor. Emblematica, in
questo senso, è l’esperienza (fallimentare) dell’ex stazione
della Ferrovia delle Valli a Zogno: per l’edificio ottocentesco si
era pensato ad una conversione in polo museale ma a causa della
lunghissima trafila burocratica da affrontare, il Comune ha
abbandonato l’idea; la struttura è stata messa in vendita e
probabilmente sarà adibita a ristorante.
Sta, dunque, al nostro paese dimostrare di essere all’altezza di
accettare la sfida di portare l’arte in luoghi pubblici, alla
portata di tutti.
NOTE
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