bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
La Mostra “RAFFAELLO. 1520-1483”, Roma, Scuderie del Quirinale (05 marzo - 02 giugno 2020). Una recensione  

Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 16 Marzo 2020, n. 889
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00889.html
Articolo presentato il 14 Marzo 2020, Approvato il 16 Marzo 2020 e pubblicato il 16 Marzo 2020
Precedente
Successivo
Tutti
Area Mostre

Nel quinto centenario della sua morte Roma, la città che, nel XVI secolo, consacra il maestro ad artista universale1, celebra il mito del “divin pittore”: Raffaello Sanzio (1483-1520), “quel Raffaello da cui, fin che visse, la grande Madre Natura temette di essere superata da lui e quando morì (temette) di morire con lui”2.

La mostra, organizzata da Scuderie del Quirinale in collaborazione con il Museo degli Uffizi di Firenze3, inizia simbolicamente con una imponente replica 1:1 della tomba del maestro nel Pantheon4, realizzata con tecnologie d’avanguardia, e destinata, a fine rassegna, alla città natale del maestro, Urbino.

Caratterizzata da un allestimento sobrio, attento che non interferisce con la fruizione delle opere e allo stesso tempo predispone positivamente il pubblico alla scoperta dell’artista5, la rassegna si struttura lungo un originalissimo, quanto singolare, percorso à rebus, pensato dal curatore Lanfranconi, e ideato in collaborazione con la Faietti. “Un viaggio all’inverso, che ottimizza le possibilità espositive - afferma il curatore - perché arazzi e pale di una certa dimensione non si sarebbero potuti esporre al piano superiore per una questione di altezza”.

La fine dell’esperienza umana del maestro, dunque, rappresenta l’inizio del percorso esperienziale di conoscenza di Raffaello per il pubblico dell’esposizione che si muove attraverso circa 200 opere, exibit eccezionali ed unici6, dal periodo romano (tutto il primo piano) a quello fiorentino, a quello umbro fino all’epoca della città nativa di Urbino, dove avviene la sua prima formazione presso la bottega paterna (II piano). Un’occasione per poter fruire di opere, forse meno note, del pittore dei periodi iniziali, raramente visibili.

Questo cammino di ritorno alle origini, a nostro parere, consente, dopo aver visto e goduto dei massimi lavori della maturità del maestro, quelli che lo hanno reso eterno, di meglio comprendere la prestigiosa parabola artistica verso il suo stile adulto7.

Raffaello è colui che ha saputo portare a piena realizzazione gli ideali del Rinascimento, i suoi dipinti esprimono compiutamente i principi di ordine formale, che sono alla base del pensiero umanistico-rinascimentale, arricchite di quella spontaneità espressiva e di quella inedita naturalezza, del tutto personali. In altre parole, l’Urbinate ha dimostrato capacità non comuni, quelle di comprendere ed assimilare la lezione dei maestri antichi e a lui contemporanei, e di rielaborarle in un linguaggio pienamente autentico. Le sue pitture rivelano una realtà certamente idealizzata (costante in Raffaello che è sempre alla ricerca di soggetti che siano degni di essere riprodotti), costruita sapientemente ed intellettualmente secondo enunciati armonici antichi, e dominata da un senso di serenità in cui la natura e la sua riproduzione diventano lo strumento d’unione del mondo umano e quello divino. Saper recepire velocemente i linguaggi stilistici di artisti tra loro molto diversi, componendo i differenti elementi in una sintesi inedita e del tutto originale è forse la caratteristica principale del Sanzio che nel rielaborare il tutto mostra un talento straordinario che possiamo ravvisare nel nostro fin dagli inizi della sua carriera8.

Nelle sue composizioni con Madonne e nei Ritratti aristocratici guarda, in primis, a Leonardo (1452-1519)9, ma lo sfumato e l’espressione intima dei moti interiori che animano i personaggi vinciani sono qui mediati da riflessioni proprie e mature attraverso un linguaggio stilistico dolce e naturale su cui si innesta un inedita nitidezza ed un’interpretazione aggraziata dell’eroica anatomia di matrice michelangiolesca mutuata dai nudi della Volta sistina (1508-1512). Si osservino a tal proposito gli esiti, di un incanto che lascia senza fiato, raggiunti nella Madonna del Divino amore (1516, Museo di Capodimonte, Napoli) e nella Madonna della Rosa (fig. 1, 1518-20, Museo del Prado, Madrid). Le due tavole, di rara bellezza, seducono con i coloro meravigliosi e con le forme aggraziate, dolci, tipiche della maturità del pittore10.


Fig. 1 - Raffaello, La Madonna della Rosa, 1518-20, Madrid, Museo del Prado
Fig. 1 Raffaello, La Madonna della Rosa, 1518-20, Madrid, Museo del Prado
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

L’artista, giunto nella capitale pontificia, condivide le ricerche bramantesche sul recupero filologico dei modelli antichi, e ancora una volta non considera gli studi archeologici un punto di arrivo, piuttosto modelli di riferimento per una rielaborazione ed interpretazione originale. In sostanza, ribadiamo, Raffaello non replica passivamente le testimonianze con cui entra in contatto, ma ne comprende il valore, lo attualizza e ne fa una restituzione moderna e cristiana. Il rapporto con l’antico è certamente innovativo, ma la testimonianza passata non è studiata limitatamente al potere evocativo del pezzo, è indagata con metodo oggettivo di riproduzione grafica in un’ottica di sistematica ricostruzione del mondo classico con rigore metodologico. Probabilmente ha in mente di scrivere un trattato, di cui la mappa (si veda oltre) sarebbe dovuta forse essere un indicatore grafico. 

Fig. 2 - Raffaello, Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi, 1518, Firenze, Galleria degli Uffizi
Fig. 2 Raffaello,Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, 1518, Firenze, Galleria degli Uffizi
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Si guardi, per esempio, lo splendido dettaglio della campanella del triplice Ritratto di Leone X con due cardinali (fig. 2, Galleria degli Uffizi, Firenze), il particolare è la dimostrazione dell’amore del maestro per la classicità e rivela magistralmente come il nostro riesca ad assorbire i caratteri antichi attualizzandoli e trasmutandoli in un percorso personalissimo: la baccellatura della calotta, il cordoncino all’inizio dell’ampia svasatura della gonna del campanello e la treccia, che orna la bocca, sono, in maniera inversa, esattamente gli stessi motivi ornamentali di una delle basi delle colonne composite del Tempio di Marte Ultore del Foro di Augusto (I sec. a.C.)11. Questo speciale rapporto tra l’arte del maestro e le antichità classiche è, in mostra, efficacemente reso con l’armonioso duetto tra il San Giovannino (fig. 3, 1520, Galleria degli Uffizi, Firenze) e il Torso di Efebo del I secolo (fig. 4, Palazzo Massimo alle Terme, Roma) esposto accanto alla tela; questo abbinamento ci restituisce la capacità del Sanzio di utilizzare il genius loci antico senza cadere nel banale né nell’imitazione sterile della classicità.

Fig. 3 - Raffaello, San Giovannino, 1520, Galleria degli Uffizi, Firenze
Fig. 3 Raffaello, San Giovannino, 1520, Firenze, Galleria degli Uffizi
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra
Fig. 4 - Torso di Efebo del I secolo, età giulio-claudia  (I sec. d. C.)  Palazzo Massimo alle Terme, Roma
Fig. 4  Torso di Efebo del I secolo, età giulio-claudia  (I sec. d. C.)  Palazzo Massimo alle Terme, Roma
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Superato l’ emblematico debutto con il dramma della sua scomparsa12, ossia, con la fine del percorso biografico-creativo del maestro, interrottosi bruscamente a Roma, a soli 37 anni, mentre sta lavorando ancora alla Trasfigurazione13 (1518-1520, Pinacoteca Vaticana), grande assente dell’evento, che secondo il racconto vasariano viene posta accanto al suo capezzale di morte14, ci imbattiamo nelle eterne parole del biografo aretino sul sommo pittore “(…) finì il corso della sua vita il giorno medesimo che nacque, che fu il venerdì santo d’anni XXXVII, l’anima del quale è da credere che come di sue virtù ha abbellito il mondo, così abbia di sé medesima adorno il cielo.”15. Le cronache del tempo raccontano della fiaccolata-corteo di 100 pittori che accompagna la salma al Pantheon, e della commozione per la sua scomparsa, tale che la città sembra fermarsi in una condizione di totale incredulità e di rimpianto. Non a caso con la sua dipartita finisce convenzionalmente anche l’armoniosa ed apollinea visione dell’arte rinascimentale e inizia il sofisticato, anticlassico ed intellettualistico linguaggio del Manierismo16.

La sala esibisce tre bellissimi studi del maestro per il dipinto vaticano della Trasfigurazione, commissionato dal Cardinale Giovanni de’ Medici assieme alla tavola, suo pendant, della Resurrezione di Sebastiano del Piombo (1516-1519, National Gallery, Londra). I tre disegni documentano la genesi dell’opera, su cui lavora ben 4 anni, completata successivamente dal suo allievo prediletto Giulio Romano (1499-1546), che consta di due parti: la parte superiore vede Cristo, sul Monte Tabor, mentre, entro una luce radiante e luminosa, si trasfigura nella sua natura divina, alla presenza di due profeti (Mosè ed Elia) e di alcuni apostoli sconvolti e persi nella visione dall’episodio biblico. In basso una scena terrena, a cui rimanda la palette scura, che sotto alcuni aspetti anticipa certe cupe atmosfere caravaggesche, che vede la rappresentazione della vicenda della guarigione dell’ossesso; gli astanti cercano di aiutare il giovane e di confortare la madre, mentre altri indicano la parte superiore del quadro come a sottolineare che solo l’intervento divino possa salvare. Uno dei disegni autografi ripete l’intera invenzione raffaellesca, mentre gli altri due, anch’essi di mano del Sanzio, sono studi per il posizionamento delle figure nella composizione definitiva. È interessante notare come l’impostazione prospettica, data da due prospettive diverse, guardi ancora a Leonardo e alla sua incompiuta Adorazione dei Magi (1481, Galleria degli Uffizi, Firenze), il più anziano maestro, tra 1513 e il 1516, è in città e diventa ancora, dopo esserlo stato durante la permanenza a Firenze, un punto di riferimento della attività matura del giovane17.

Le sale espositive che seguono si caratterizzano per attenta e raffinata ricostruzione della sofisticata cultura antiquaria dell’epoca leonina che plasma l’artista, ma che egli stesso contribuisce a creare18: reperti antichi (busti, erme, steli …), trattati di architettura (mss e a stampa), codici d’antichità, taccuini, diari, disegni, stampe e incisioni dall’antico e di rilievo testimoniano il clima vivace e stimolante dell’Urbe. Roma rappresenta una fonte di nutrimento essenziale per la sua crescita professionale e per la maturazione dell’estro del pittore, l’antico è, cioè, la humus su cui Raffaello innesta e sviluppa il suo personale linguaggio artistico, derivante dall’armoniosa unione sincretica tra forme antiche e pensiero cristiano. La mostra ricrea con dovizia ed attenzione questa temperie antiquaria, da cui nasce il cosiddetto stile classico, codice normativo che per i successivi quattro secoli domina il fare artistico. Negli ultimi mesi di vita il maestro, nominato, dal 1515, da Leone X19, Prefetto delle antichità di Roma (Praefectus marmorum et lapidum omnium), decide di cimentarsi in un’impresa archeologico-architettonica, mai tentata prima: il progetto di ricostruzione grafica “per regioni” della Roma imperiale20. L’operazione, il cui senso si coglie dalla lettura della famosa lettera a Leone X (fig. 5, 1519, Archivio di Stato, Mantova), è ambiziosa, e nasce dall’idea di celebrare quella città che tanto gli sta dando professionalmente, ma la prematura scomparsa interrompe anche questo magno progetto di mappatura topografica. Per i circoli di eruditi umanisti che, caldeggiando l'iniziativa, molto si attendono, si tratta di una perdita immensa quanto grave e non nascondono la loro delusione21.

Fig. 5 - Raffaello e B. Castiglione, Lettera a Leone X, 1519, Mantova, Archivio di Stato
Fig. 5 Raffaello e B. Castiglione, Lettera a Leone X, 1519, Mantova, Archivio di Stato
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

L’interesse per il mondo passato culmina, abbiamo accennato, nella celeberrima lettera a Leone X, scritta a due mani, da Raffaello e Baldassarre Castiglione (1478-1529), amico ed intellettuale che dà le parole ai pensieri dell’Urbinate; in essa si rileva lo stato di degrado delle vestigia archeologico-architettoniche dell’Urbe e si lancia un appello volto alla salvaguardia delle antichità in pericolo. In anticipo di quasi quattro secoli Raffaello introduce i moderni concetti di conservazione, restauro, tutela, rispetto dell’antico e responsabilità dei contemporanei nell’assicurare alle future generazioni le testimonianze del passato, che diventano patrimonio nostro solo alla metà del secolo scorso. L’epistola, esposta nel prezioso esemplare manoscritto di Mantova, è offerta al pubblico in un contesto espositivo suggestivo e facilmente fruibile, grazie alla trascrizione in caratteri leggibili e alla disposizione a cerchio che ne consente una lettura e comprensione in movimento.

E l’affezionato Baldassarre è celebrato dal “divin pittore” nello stupefacente, per umanità22, ritratto del poeta (fig. 6, 1513, Museo del Louvre, Parigi)23, in cui l’artista coglie la caratura intellettuale del rappresentato, posto di ¾24, e raffigurato in abiti invernali, in un momento senza tempo, che cristallizza la sua condizione di amico e letterato. Un’opera semplice, naturale, quasi essenziale, di un’intensità fuori dal comune che il maestro ha probabilmente potuto condurre poiché conosce molto bene il Castiglione.

Fig. 6 - Raffaello, Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1513, Parigi, Museo del Louvre
Fig. 6 Raffaello, Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1513, Parigi, Museo del Louvre
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Nella stessa sala, angolata rispetto al letterato, è posta la splendida raffigurazione di Leone X tra i cardinali suoi cugini Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi (fig. 2), restaurata per l’occasione dall’Opificio delle Pietre Dure25. La composizione, in una ambientazione monumentale di tipo classico, immersa nella penombra, vede il pontefice, la cui personalità volitiva, raffinata e pacifica, è colta sapientemente dal Sanzio26. È raffigurato seduto allo scrittoio da lavoro, sul quale sono presenti diversi oggetti che riconducono alla disposizione dell’effigiato e all’idea di corte sofisticata e culturalmente elevata, nonchè denotano la perizia del maestro27: il campanello, di cui abbiamo già relazionato28, un prezioso codice miniato, identificato con la cosiddetta Bibbia Hamilton, riportante in calce l’arme dei Medici29, sfogliato e letto per il tramite di una raffinata lente di ingrandimento. Sempre al casato fiorentino allude il pomello della seggiola papale (la foggia richiama le palle dello scudo gentilizio) sul quale si riflette la schiena del papa e una finestra posta fuori campo (dettaglio di matrice fiamminga, cultura conosciuta probabilmente durante la sua infanzia e formazione iniziale ad Urbino).

La scena è dominata da un magnifico e caldo colore rosso, variato nelle tonalità e nella qualità, particolarmente bella, efficace ed espressiva è la sua resa nel camauro e nella mozzetta bordata di ermellino, il cui velluto cangiante si contrappone con virtuosismo al bellissimo damascato bianco-avorio della veste pontificia che secondo la felice espressione vasariana “suona e lustra”30.

Fig. 7 - Raffaello, Santa Cecilia con i santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena, 1518, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Fig. 7 Raffaello, Santa Cecilia con i santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena, 1518, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Proseguendo attraverso la mostra è esibita la superba e monumentale Estasi di Santa Cecilia (fig. 7, ante 1518, Pinacoteca Nazionale, Bologna), un olio su tavola trasportato su tela per questioni conservative, raffigurante la santa tra i santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena disposti a semicerchio, come entro un’esedra classica (ancora una volta una scena cristiana innestata nella cultura antica, la statuarietà dei soggetti e l’allusione ad un ambiente termale). Le maestose figure dei santi creano uno spazio vero e profondo, definito anche dalla natura morta di strumenti musicali ai piedi dei personaggi31. In particolare, l’elegante rappresentazione della Maddalena ricorda, ancora una volta, il mondo passato e i rilievi di danzatrici o vestali di età ellenistica. La veste gialla della Cecilia è, però, qualificata da allusioni in un’ottica di captatio benevolentiae, i motivi del broccato intrecciati a tralci rovereschi (rimando a papa Giulio II della Rovere) sono riconducibili a simboli medicei (riferimento al regnante Leone X).

Fig. 8 - Manifattura di Peter van Aelst, Il Sacrificio di Lystra, 1517-19, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana
Fig. 8 Manifattura di Peter van Aelst, Il Sacrificio di Lystra, 1517-19, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Il piano termina con una gradita sorpresa: l’imponente arazzo vaticano raffigurante Il Sacrificio di Lystra (fig. 8, 1517-1519, Manifattura di Peter van Aelst, Pinacoteca Vaticana)32, posto frontalmente alla rimaterializzazione a colori del cartone raffaellesco di riferimento33. Le raffigurazioni pensate per la tessitura dal maestro, di forte impatto sulle generazioni successive, dipinti a tempera su carta 1:1, illustrano gli atti degli apostoli Pietro e Paolo. Il Sanzio, stimolato dal fatto che finalmente può misurarsi con il grande Michelangelo, concepisce, per una collocazione così prestigiosa, in soli tre mesi, una serie di cartoni preparatori bellissimi, splendidi e, soprattutto, non bidimensionali (come vuole la traduzione su tessuto), ma vere e proprie finestre illusionistiche sul mondo. Per narrare le storie dei due principi, elabora figure atletiche e statuarie rivolgendo la sua attenzione alla composizione generale più che ai dettagli, proprio perchè destinati ad essere tradotti su lana34.

Al momento dell’esposizione dei cartoni in Cappella Sistina il maestro si sente soddisfatto perché le sue invenzioni ben si inseriscono in un ambiente così nobile e non sfigurano con le esibizioni anatomiche di Michelangelo, Vasari li dice opera miracolosa “più che di artificio umano”35. I cartoni inviati a Bruxelles per la traduzione, rimangono presso il tessitore, dimenticati in un angolo polveroso, fino al momento in cui un collezionista di Genova li acquista per poi rivenderli a Carlo I d’Inghilterra (oggi sono conservati al Victoria ed Albert Museum).

Salendo al piano superiore si entra nella sezione in cui si è proceduto ad indagare l’ideale di bellezza femminile elaborato dal Sanzio, che parte dall’eredità del primo Rinascimento sul mondo del femmineo e la nutre con la rivitalizzazione della cultura petrarchesca in chiave antiquaria avviata, a inizio ‘500, proprio nella cerchia di Raffaello36. La figura della donna, epurata del marchio medievale di peccatrice, è per il Rinascimento uno dei soggetti preferiti, quasi un’ossessione (si veda, a tal proposito, l’interpretazione di bellezza muliebre consegnataci da Sandro Botticelli (1445-1510)), l’Urbinate prende la beltà della donna e ci restituisce forme che, sebbene vere, soggiacciono alle regole della rappresentazione della natura, secondo i principi di equilibrio, grazia, armonia e perfezione.

Fig. 9 - Raffaello, Ritratto di donna detta “La Velata” 1512-13, Firenze, Galleria Palatina
Fig. 9 Raffaello, Ritratto di donna detta “La Velata”, 1512-13, Firenze, Galleria Palatina
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

È la visione a confronto di alcuni dei quadri che lo hanno reso famoso (Ritratto di donna detta “La Velata” (fig. 9, 1512-13, Firenze, Galleria Palatina), Ritratto di donna detta “La Fornarina” (fig. 10, 1519-20, Roma, Palazzo Barberini)) a spiegarci la sua personale visione: un equilibrio perfetto, fatto di forme carnose, seni pieni, sguardi intensi e vividi, capelli lunghi, fluidi e lucidi. In una famosa e controversa lettera del Sanzio al Castiglione, Raffaello scrive del suo cruccio nel poter rendere la vera bellezza femminile, affermando che, per giungere alla più genuina rappresentazione, abbia bisogno di vedere molte bellissime donne37

Fig. 10 - Raffaello, Ritratto di donna detta “La Fornarina” , 1519-20, Roma, Palazzo Barberini
Fig. 10 Raffaello, Ritratto di donna detta “La Fornarina” , 1519-20, Roma, Palazzo Barberini
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

In effetti, l’unica vera debolezza del maestro sembra sia stata il “gentil sesso”, le cronache riportano che si sia fatto incantare da molte donne, ed abbia vissuto come un vero Casanova38. Ma una sola è stata capace di rapire il suo cuore e la sua anima, ossia, Margherita Luti, detta la Fornarina, perché figlia di un fornaio trasteverino, incontrata, per caso, in occasione delle passeggiate compiute per raggiungere la Villa di Agostino Chigi, uno degli uomini più ricchi d’Europa e amico del nostro, per il quale il Sanzio sta lavorando. Lei sola ha saputo soddisfare il desiderio di bellezza del maestro, con lei Raffaello conosce il vero amore e lo sublima nel quadro di Palazzo Barberini. Sebbene idealizzata, il dipinto raffigura una donna vera, in carne ed ossa, dallo sguardo malizioso, audace ed intenso, il pubblico comprende che si tratta di un personaggio dall’esistenza reale, che vive di quelle emozioni, che mancano alle opere classiche. Il pittore, dunque, parte dalla realtà, selezionata appositamente in un aspetto bello, il brutto non lo interessa, e poi ne idealizza i tratti, mantenendo, però, quel contatto con la vita in un circolo virtuoso di venustas e voluptas. La Fornarina si mostra, infatti, audace e carnale (voluptas), ma anche elegante e perfetta come le Veneri antiche (venustas). Attraverso la sua rappresentazione l’Urbinate riesce ad comunicare quel legame vero, nutrito di passione, che esiste tra la modella e l’artista39.

Margherita presta probabilmente il volto anche alla Velata40, l’opera, completamente autografa, è una rappresentazione certamente più casta e si contrappone per aspetto più “divino” alla sensuale Venere precedente, allo stesso tempo, però, rileviamo che il ritratto non pecca di concretezza o naturalezza, ancora una volta l’artista raggiunge un equilibrio perfetto tra bellezza ideale e esistenza fisica.

Segue la sezione dedicata all’attività di architetto: quando, morto Donato Bramante (1444-1514), amico e guida41, Raffaello gli succede nelle vesti di magister operis dalla Fabbrica di San Pietro, comincia per il nostro un percorso nuovo, non ancora esaurientemente indagato e parzialmente offuscato dai lavori pittorici. Qui il racconto espositivo non è chiarissimo, non si comprende bene la scelta di non mostrare, accanto alla preziosissima pergamena bramantesca a pianta centrale per la nuova San Pietro, il successivo progetto raffaellesco! Notevole è, invece, il modello della facciata di Palazzo Branconio, a cura di Francesco Paolo Di Teodoro, e realizzato da Opera Musei Fiorentini in collaborazione con il Centro Studi Vitruviani e il Comune di Fano, presso cui tornerà alla chiusura dell’evento. La ricostruzione esemplifica icasticamente l’ideale di bellezza universale di tutte le arti al servizio della produzione artistica.

Fig. 11 - Raffaello, Ritratto di Giulio II, 1512, Londra, National Gallery
Fig. 11 Raffaello, Ritratto di Giulio II, 1512, Londra, National Gallery
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

A ritroso nel tempo si entra nel vivo degli anni spesi al servizio Giulio II42, il cui Ritratto (fig. 11, 1512, Londra, National Gallery), noto in diverse versioni43, ritrae il pontefice a 68 anni; di ¾44, avanti con l’età e lontano dalla terribilità che accompagna la fama del personaggio, il soggetto non si mostra né sconfitto né piegato, ma propagandisticamente impegnato nella quotidianità della missione papale in modo da coinvolgere lo spettatore nella scena. Il pubblico si relaziona al della Rovere che, accanto, condivide lo spazio fino a far nascere una sensazione di interazione diretta. Il Vasari lo dice talmente “vivo e verace” da indurre a pensare che si tratti del papa in persona: “Et egli, che nome grandissimo aveva acquistato, ritrasse in questo tempo papa Giulio in un quadro a olio, tanto vivo e verace, che faceva temere il ritratto a vederlo, come se proprio egli fosse il vivo (…)”45.

La tela è costruita da Raffaello unendo due componenti dialettiche (quella cerimoniale e quella più intimista) con un risultato eccezionale in termini di resa introspettiva e psicologica. Le mani, per esempio, sono usate per esprimere sia il rango del pontefice (attraverso i gioielli indossati), ma anche il suo carattere volitivo (si noti l'atto risoluto di stringere il pomello della sedia). Lo sguardo pensoso e malinconico comunica una stanchezza fisica, ma anche spirituale, Raffaello lo rappresenta assorto nei suo pensieri, e, dunque, impegnato “attivamente” nelle sue occupazioni mentali, e, sebbene non ci sia idealizzazione nella rappresentazione del pontefice, non viene meno neanche la bellezza, l’immagine si veste di un’intima malinconia, che svela la psiche di Giulio senza cadere nel crudo realismo. In questa sezione possiamo ammirare una serie di disegni, studi, cartoni e cartoni ausiliari di mano l’artista concepiti per le famose Stanze Vaticane (1508-1524). Si entra in confidenza con la pratica tutta raffaellesca, e poi seguita dalla sua bottega, in particolare Giulio Romano, dell’uso dei cartoni ausiliari, ossia, quegli studi di dettagli (teste e mani, soprattutto), ottenuti tramite foratura da cartone definitivo, utilizzati dal maestro per vagliare possibili varianti, che quando applicate danno origine ai cosiddetti pentimenti46

Fig. 12 - Raffaello, Testa di Musa, 1509 ca, cartone ausiliario, New York, Collezione privata
Fig. 12 Raffaello, Testa di Musa, 1509 ca, cartone ausiliario, New York, Collezione privata
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

La bellissima, elegante e sofisticata Testa di Musa (fig. 12, 1509 ca, New York, Collezione privata), realizzata in fase avanzata per una delle muse del Parnaso, di dimensioni pari alla raffigurazione definitiva, è servita al maestro per meglio studiare e posizionare, durante l’attuazione finale dell’affresco, la figura femminile47. Il cartone reca tracce di spolvero, lasciate dal carboncino passato sui contorni forati per il trasferimento del disegno. Sebbene impegnatissimo nell’esecuzione degli appartamenti papali48, Raffaello riesce, comunque, a soddisfare una clientela di mecenati privati, la Madonna Alba (fig. 13, Washington, D.C., National Gallery of Art) e il relativo disegno a penna e matita rossa (1510-11, Studio per la Madonna Alba, Lille, Palais de Beaux-Arts) ne sono una testimonianza. Si tratta del tipico tondo per la devozione domestica che ripete i tipi toscani, in cui, però, non rimane nulla della severità iniziale.

Fig. 13 - Raffaello, Madonna con il Bambino e san Giovannino (Madonna d'Alba), 1510 ca, Washington, D.C., National Gallery of Art
Fig. 13 Raffaello, Madonna con il Bambino e san Giovannino (Madonna d'Alba), 1510 ca, Washington, D.C., National Gallery of Art
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Si entra, quindi, nel periodo fiorentino documentato largamente dai raffinati ed intensi Ritratti (Dama con liocorno (1504-05, Roma, Galleria Borghese); Ritratto di giovane con pomo (1504 ca, Firenze, Galleria degli Uffizi); Autoritratto (fig. 14, 1506-08, Firenze, Galleria degli Uffizi)), dalle dolcissime Madonne di matrice leonardesca (Madonna Tempi (1507-08, Monaco, Staatsgemäldesammlungen, Alte Pinakothek); Madonna del Granduca (1506-07, Firenze, Galleria degli Uffizi)), e dai disegni, studi e cartoni per alcune opere del tempo (studio per la Deposizione (1507, Londra, British Museum)49; studio per Madonna del Granduca (1505, Firenze, Galleria degli Uffizi); studio per Madonna con bambino e San Giovannino (1505-06, New York, Metropolitan Museum); Studio per la Santa Caterina d’Alessandria (fig. 15, 1507 ca, Parigi, Musée du Louvre)50; Cartone preparatorio della Madonna Tempi (fig. 16, 1507-08, Montpellier, Musée Fabere)).

Fig. 14 - Raffaello, Autoritratto, 1506-08, Firenze, Galleria degli Uffizi
Fig. 14 Raffaello, Autoritratto, 1506-08, Firenze, Galleria degli Uffizi
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra
Fig. 15 - Raffaello, Studio per la Santa Caterina d’Alessandria, 1507 ca, Parigi, Musée du Louvre
Fig. 15 Raffaello, Studio per la Santa Caterina d’Alessandria, 1507 ca, Parigi, Musée du Louvre
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra
Fig. 16 - Raffaello, Cartone preparatorio della Madonna Tempi, frammento, 1507-08, Montpellier, Musée Fabere
Fig. 16 Raffaello, Cartone preparatorio della Madonna Tempi, frammento, 1507-08, Montpellier, Musée Fabere
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

È un momento, quello fiorentino estremamente vitale, importante e ricco di sfide, Firenze è il cuore pulsante del Rinascimento e, dunque, è li che sceglie di andare e dove si affranca definitivamente dagli stilemi della pittura umbra appresi presso la bottega del Perugino (1446-1523)51. Il giovane si aggira per le strade della Repubblica di Pier Soderini assetato di conoscenza, e percorre gli stessi vicoli frequentati dai più anziani ed affermati Leonardo (1452-1519) e Michelangelo (1475-1564), il cui debito, nei confronti di entrambi, è chiaro nella produzione del periodo, ma anche in quella successiva. Nella città toscana entra in contatto con la recuperata ed imperante cultura figurativa classico-rinascimentale e con i modi, assolutamente diversi, dei due artista. Leonardo, afferma l’Urbinate nei suoi scritti, lo accoglie come un amico nella sua bottega, Michelangelo, invece, lo tiene a distanza con sospetto e diffidenza52. Suggestionato dalla ritrattistica leonardiana, in particolare dalla Monna Lisa (1503-04, Museo del Louvre, Parigi), il giovane Raffaello concepisce le sue prime Madonne fiorentine, databili al 1506-07, contro un paesaggio che, pur adottando la luminosità prospettica vinciana, partecipano ancora della dolcezza di quelli umbri-perugineschi e non mostrano la forza evocatrice e primordiale degli sfondi montuosi del più anziano maestro. Il soggetto è per lui un modo per sperimentare un diverso rapporto tra figure e spazio nonché per esprimere attitudini e moti interiori alla ricerca varianti espressive. La Madonna Tempi (1507-08, Alte Pinakothek, Monaco), per esempio, esposta evocativamente accanto al cartone preparatorio (fig. 16), è immersa in una chiara e serena luce, tiene in braccio un Gesù riottoso e cerca di trattenerlo a se in un’ottica di protezione, non è una semplice immagine divina di devozione privata, ma raffigura una donna vera, dallo sguardo tristemente consapevole del destino del bambino, al quale il piccolo cerca simbolicamente di sfuggire mediante l’evidente tentativo di divincolarsi. La tavola indica anche che il giovane ha subito e già rielaborato, in una parvenza di reale, e di movenze spontanee, il fascino del linguaggio di gesti e affetti ideato dal da Vinci. Molte delle Madonne di questo periodo, infatti, sono composizioni piramidali, immerse nel verde calmo di un prato, in posa contrapposta, caratterizzate da un delicato intimismo nei volti e da un fluido dinamismo della composizione, come lo studio per la Madonna del prato (1505-06, The Metropolitan Museum, New York), il cui impianto compositivo ricorda la Vergine delle Rocce (1483-85, Museo del Louvre, Parigi) sia nella centralità della disposizione del gruppo che nello sviluppo piramidale: Maria volge la testa, lievemente inclinata, a sinistra e, mentre distende la gamba destra lungo la diagonale e porta la sinistra indietro (come nel quadro del Louvre), sorregge realisticamente il bambino che, considerata l’età, ancora non ha un proprio equilibrio e si protende con curiosità verso il San Giovannino inginocchiato di fronte a lui, nel gesto di porgergli qualcosa (che nella tavola definitiva del Belvedere è una croce astile). Un gioco di sguardi, che parte con la Madonna che posa serenamente lo sguardo sul Battista, tiene emotivamente insieme i tre personaggi, che sono comunque fisicamente uniti da una concatenazione di mani.

Per quanto sappiamo, non ottiene commissioni pubbliche, quelle arrivano dopo, nel periodo romano, ma lavora moltissimo per privati, notabili del posto, i Pitti, i Doni, i Canigiani per i quali realizza ritratti e Madonne di un tenore poeti e lirico eccezionale.

La pittura del periodo, dunque, si dimostra influenzata dalla tecnica sfumata di Leonardo53 e dall’eroica anatomia michelangiolesca, ma queste suggestioni sono fuse e rielaborate in un nitore tutto toscano (o fiammingo, o ancora pierfrancescano54) in modo da creare uno stile personale fatto di grazia, poesia, eleganza, dolcezza, colore … immagini poetiche ed inedite, in cui l’indeterminatezza velata di Leonardo e la tragica anatomia di Michelangelo sono superati in chiare, pulite e limpide raffigurazioni. È, dunque, il nitore smaltato, la chiara luminosità che dona concretezza ai corpi e li fa emergere dal paesaggio, che si perde in una lucente atmosfera in lontananza, e il perfetto equilibrio tra serenità ed armonia la vera cifra stilistica del nostro. Non copia, ma incorpora nel suo stile, non imita, fa propri, in un’arte assolutamente personale, una serie di influssi che capta lungo il suo percorso e lo traghettano verso la maturità.

L’ultima sala presenta la fase iniziale del pittore tra Urbino, Città di Castello e Perugia55.

Fig. 17 - Raffaello, Il sogno del cavaliere, 1504, Londra, National Gallery
Fig. 17 Raffaello, Il sogno del cavaliere, 1504, Londra, National Gallery
Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

Le opere esibite sono caratterizzate dai tipici modi assunti in seguito all’alunnato presso Pietro Perugino56. Si osservi, per esempio, la tavoletta Il sogno del cavaliere (fig. 17, 1504, Londra, National Gallery), sono evidenti gli insegnamenti dell’anziano umbro (nel fare dolce, lezioso, prezioso, perfezionista e stereotipato), ma presto l’ambizioso Raffaello supera il maestro misurandosi, e vincendo, nell’interessantissima sfida Consegna delle Chiavi vs Sposalizio della Vergine. Nello Sposalizio (1504, Pinacoteca di Brera, Milano) lo stile peruginesco è “migliorato” in una solennità spaziale che manca alla Consegna (1481-82, Cappella Sistina, Città del Vaticano), l’aneddotica scena liturgica del Perugino diventa in Raffaello una scena reale, interpretata da soggetti veri in un contesto religioso che può sembrare un matrimonio qualsiasi e non l’evento evangelico.

Un percorso ragionato, fatto di causa ed effetto all’inverso, un’accurata restituzione del personaggio universale, attraverso tutti i campi in cui si è impegnato, dalle arti all’urbanistica, dalla tutela all’architettura, al collezionismo e alla letteratura, un’approfondita indagine sul clima culturale in cui si forma il maestro e non una mera presentazione di capolavori indiscussi è la mostra dedicata al “divin pittore”: Raffaello. 1520-1483, colui che nelle parole di Pablo Picasso ci ha dato il cielo57.



IL CATALOGO

A cura di Marzia Faietti e Matteo Lafranconi con Francesco P. Di Teodoro e Vincenzo Farinella, il poderoso volume in brossura, pubblicato da Skira, si presenta con una veste editoriale pregiata e curata.

La leggera e snella parte introduttiva tradizionale di ringraziamenti, di coloro che hanno reso possibile questa impresa espositiva (istituzioni, partner ed organizzatori), è seguita da un’importante e scientificamente notevole unità saggistica, intercalata, curiosamente, dal catalogo delle opere in mostra sticto sensu. L’originalità costruttiva del catalogo, forse un po’ farraginosa nell’accesso, non essendoci un indice delle opere non resta che procedere sfogliando il testo, si spiega con la volontà di legare i lavori presentati al saggio di catalogo esplicativo della sezione. L’intero scritto si pone nel panorama editoriale sul maestro non come un mero catalogo, ma come un aggiornamento scientifico, importante ed approfondito delle ricerche sulla figura dell’Urbinate.

Ben 15 saggi di tenore scientifico, scritti da studiosi, storici ed esperti di Raffaello, che restituiscono il personaggio assoluto, l’“ottimo universale” come lo definisce Vasari, alludendo alla pratica di dedicarsi a tutte le discipline artistiche ed intellettuali (pittura, architettura, topografia, disegno, urbanistica, collezionismo, letteratura, tutela … ).

Schede tradizionali completano il racconto saggistico: autore, titolo, datazione, supporto/tecnica, dimensioni, provenienza e data di acquisizione, numero di riferimento, l’analisi storico-critica del quadro e specifica bibliografia.

Di notevole rilievo sono le magnifiche e molteplici immagini a tutta pagina a colori, corredate da ingrandimenti significativi di dettagli, e accompagnate da didascalie complete e riferimenti di scheda di catalogo.

Rileviamo, purtroppo, l’assenza dei tradizionali e fondamentali strumenti di studio a completamento del volume: fatto salvo l’aggiornatissima bibliografia, mancano le appendici documentarie molto utili agli studiosi e studenti,

In chiusura i sempre presenti crediti fotografici.

Il catalogo nelle parole di Lafranconi che auspica di offrire al pubblico di addetti ai lavori nuove prospettive di lettura del maestro e al vasto pubblico di amanti Raffaello vie di accesso meno note e non banali: “Inevitabilmente, l’ampiezza dei saggi e la notevole quantità di opere schedate consentiranno di fare il punto sugli studi raffaelleschi, mentre la presenza in catalogo di specialisti di vari settori, che hanno consolidate esperienze di studi sull’Urbinate, consentirà approcci differenziati ma tra loro comunicanti. Un artista universale come Raffaello meritava quella polisemia di linguaggi e di metodi di ricerca che abbiamo fin dall’inizio ricercato intenzionalmente per non limitare la nostra indagine al solo pittore, per quanto «divino». Noi non studiamo solo il pittore, ma l’artista universale. Lo stesso Vasari, quando scrisse la Vita di Raffaello lo definì pittore e architetto (lo fu infatti della Fabbrica di San Pietro), ma sappiamo che egli era molto di più. Era un collezionista, un antiquario, il «praefectus marmorum et lapidum omnium» (vale a dire il soprintendente alle antichità di Roma) e intraprese la ricostruzione grafica di Roma antica affidatagli dal papa Medici, cui va collegata appunto la «Lettera a Leone X» sull’architettura classica scritta con il supporto letterario di Castiglione. Marginalmente si occupò di scenografie teatrali e scrisse qualche sonetto. La mostra vuole restituire lo spessore della sua complessa figura di artista, sperimentale e poliedrica, e stupire per l’apparente naturalezza dei risultati conseguiti in ognuna delle sue creazioni artistiche, attraverso la ragionata selezione delle opere esposte.




DOVE

Scuderie del Quirinale, Roma

Quando: 05 marzo - 02 giugno 2020



NOTE

1 Urbinate di nascita, il maestro può dirsi pienamente romano di adozione, pur formandosi tra Urbino, Perugia, Siena e Firenze, è a Roma che deve la sua fama, la città dei papi gli consente di raggiungere quel suo stile che lo consacra ad artista universale allora, come oggi. Dopo la Renovatio Urbis quattrocentesca conseguita dai papi di ritorno da Avignone (Martino V Colonna (1417-1431), Eugenio IV Condulmer (1431-1447), Niccolò V Parentuccelli, Callisto III Borgia (1455-1458), Pio II Piccolomini (1458-1464), Paolo II Barbo )1464-1471), Sisto IV della Rovere (1471-1484), Innocenzo VIII Cibo (1484-1492), Alessandro VI Borgia (1492-1503)), nel ‘500 la città diventa oggetto di Renovatio Imperii, i pontefici (Giulio II della Rovere (1503-1513), Leone X de’ Medici (1513-1521), Clemente VII de’ Medici (1523-1534), Giulio III del Monte (1550-1555) cercano di restituire all’Urbe il primato politico e culturale che le spetta, di ripristinare, cioè, il suo antico splendore. Raffaello è l’artista che meglio interpreta questo proposito politico-culturale di matrice cristiana; Roma è per il maestro un luogo stimolante che gli offre molte occasioni di successo e nessuno come lui è in grado di tradurre in forme chiare e coerenti concetti complessi e verità religiose non dimostrabili.

2 L’epitaffio, composto dall’amico poeta Antonio Tebàldi (1463-1537), detto il Tebaldèo, è inciso sulla sua tomba nel Pantheon, luogo dove il maestro stesso chiede di essere sepolto: “ILLE. HIC. EST. RAPHAEL. TIMVIT. QUO. SOSPITE. VINCI/RERUM MAGNA PARENS ET MORIENTE MORI.”
È Raffaello, come racconta il Vasari, a dare indicazioni piuttosto precise sulla propria sepoltura: anzitutto, esprime il desiderio di essere tumulato nella
Rotonda, luogo emblematico di quel sincretismo cultural-rinascimentale, simbolo, cioè, del collegamento e della continuità fra la tradizione antica e quella cristiana. Il maestro, inoltre, dispone che un giovane allievo della sua bottega, Lorenzo Lotti detto il Lorenzetto (1490-1542), realizzi una Madonna con Bambino, da mettere sopra la sua tomba (la Madonna del Sasso (1520)). Di seguito le parole dello scrittore aretino: Il quale Raffaello, attendendo in tanto a’ suoi amori così di nascosto, continuò fuor di modo i piaceri amorosi, onde avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito; perché tornato a casa con una grandissima febbre, fu creduto da’ medici che fosse riscaldato; onde, non confessando egli il disordine che aveva fatto, per poca prudenza, loro gli cavarono sangue; di maniera che indebilito si sentiva mancare, là dove egli aveva bisogno di ristoro. Perché fece testamento e prima come cristiano mandò l’amata sua fuor di casa e le lasciò modo di vivere onestamente; dopo divise le cose sue fra’ discepoli suoi: Giulio Romano, il quale sempre amò molto, Giovan Francesco Fiorentino detto il Fattore, et un non so chi prete da Urbino suo parente. Ordinò poi che delle sue facultà in Santa Maria Ritonda si restaurasse un tabernacolo di quegli antichi di pietre nuove et uno altare si facesse con una statua di Nostra Donna di marmo, la quale per sua sepoltura e riposo dopo la morte s’elesse; e lasciò ogni suo avere a Giulio e Giovan Francesco, faccendo essecutore del testamento Messer Baldassarre da Pescia, allora datario del Papa.” (cfr. G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze 1568, ed. Newton, collana “I Mammut”, Roma, 1991, p. 639).

3 Raggiunto in mostra il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, afferma: "Abbiamo co-organizzato insieme alle Scuderie del Quirinale questa mostra. Sin dall'inizio era chiaro che, solo in sinergia, potevamo realizzare una mostra veramente grande per celebrare Raffaello in questa suo cinquecentenario. Non immaginavamo che poteva  nascere una mostra così grande, così bella, con così tante opere che normalmente non viaggiano da tutto il mondo, da 52 musei diversi, con 3 opere che non erano mai rientrate in Italia, quindi veramente un evento unico, sicuramente la più grande mostra mai fatta su Raffaello".

4 L’idea di riprodurre la tomba è di Matteo Lafranconi (direttore delle Scuderie del Quirinale), co-curatore della mostra, assieme a Marzia Faietti, la realizzazione è di Factum Foundation for Digital Tecnology in Conservation (Leader mondiale dei rilievi digitali legati alla conservazione del patrimonio). A loro si deve anche la rimaterializzazione del cartone raffaellesco preparatorio per l’arazzo, esposto in mostra, Il Sacrificio di Lystra (fig. 8, Manifattura di Peter van Aelst, 1517-19, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana), realizzato su concessione della Royal Collection e in collaborazione con il Victoria & Albert Museum di Londra. Incontrata in mostra la Faietti afferma: “Matteo ha avuto l'idea di questo inizio spettacolare con la riproduzione tridimensionale della tomba di Raffaello al Pantheon, da lì ci siamo mossi per distribuire la mostra in queste sessioni, undici in totale, che dovevano fare, appunto, un percorso a ritroso”. Un percorso cronologico inverso, dunque, strutturato per tematiche.

5 Pareti uniformi di colore neutro (diverse scale di grigi e blu), con iscrizioni didattiche in color panna (grandi e chiari pannelli esplicativi raccontano e spiegano le varie sezioni) e didascalie su preziosi cartellini in simil-oro, accolgono e accompagnano i visitatori.

6 Più di cento opere, circa 120, autografe tra dipinti, cartoni, disegni, arazzi, progetti architettonici, le restanti riconducibili al contesto in cui il nostro di è mosso (manufatti vari come sculture antiche e rinascimentali, documenti, disegni, progetti, codici preziosi, reperti di arte applicata, nonché ricostruzioni e rimaterializzazioni). Prestiti straordinari, nazionali ed internazionali, che consentono una mostra dal valore scientifico molto alto e difficilmente ripetibile in futuro, un’occasione di vedere insieme opere famosissime in tutto il mondo in un’unica sede. Tra i prestatori nazionali troviamo le maggiori istituzioni italiane (Polo Museale dell’Emilia Romagna, Fondazione Brescia Musei, Biblioteca Medicea Laurenziana , Biblioteca Nazionale Centrale (Firenze), Museo Horne, Museo Nazionale del Bargello, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana, Gallerie Estensi, Museo Archeologico Nazionale (Napoli), Museo e Real Bosco di Capodimonte, Biblioteca Nazionale Centrale (Roma), Galleria Borghese, Gallerie Nazionali di Arte Antica(Roma), Istituto Centrale per la Grafica, Museo Nazionale Romano …), lo stesso dicasi per i prestatori internazionali (Hamburger Kunsthalle, Kupferstichkabinett, Biblioteca Apostolica Vaticana, Musei Vaticani, Palais des Beaux-Arts (Lille), Royal Institute of British Architects, The British Museum, The National Gallery, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Museo Nacional del Prado, Bayerische Staatsbibliothek München, Bayerische Staatsgemäldesammlungen - Alte Pinakothek, Staatliche Graphische Sammlung München, Montpellier Méditerranée Métropol, Musée Fabre, The Metropolitan Museum of Art, Ashmolean Museum of Art and Archaeology University of Oxford, Fondation Custodia, Collection Frits Lugt, Galerie Paul Prouté, Musée du Louvre, Petit Palais - Musée des Beaux-Arts de la Ville de Paris …).

7 Nel contesto della più raffinata cultura antiquaria romana il semplice linguaggio raffaellesco si caratterizza per l’incredibile capacità di riprodurre l’indicibile e l’invisibile in un segno incredibilmente naturale e chiaro, riuscendo ad arrivare con la bellezza tipica delle opere del Sanzio dove il sapere non è sufficiente. Nelle parole della curatrice Raffaello “descrive l’invisibile e rende semplice ciò che è complesso”.

8 Allontanatosi da Urbino, ed introdotto nella bottega di Pietro Perugino (1446-1523), il giovane fin da subito fa propri i modi perugineschi (in particolare, assimila la dolcezza tipicamente umbra) restituendo, però, uno stile già personale, dato da una solennità che manca all’aneddotica umbra.

9 Interprete sensibile ed originale del genio vinciano, nelle sue opere possiamo riscontrare sottili richiami e fini rispondenze, nonché ossequi alla ricerca artistica di tipo luministico-prospettica, ma non copia il più anziano maestro, vi si ispira producendo un nuovo e vincente linguaggio completamente personale. Il chiaro nitore ravvisabile nelle sue composizioni dimostra palesemente la capacità di fondere in una nuova e diversa armonia le atmosfere leonardesche e altre suggestioni in un lessico rivoluzionario e assolutamente unico.

10 Il suo stile maturo deriva direttamente da tutte le sue esperienze formative che coesistono in una fusione e reinterpretazione di diverse suggestioni in una forma unica ed originale: composizione, intensità espressive e luce da Leonardo, plasticità aggraziata da Michelangelo, dolcezza delicata, ma non stucchevole, dal Perugino, chiarezza e nitore da Piero della Francesca o dai maestri fiamminghi, visti alla corte urbinate, il tutto condito con continui ed attualizzati rimandi, in chiave cristiana, al mondo antico, conosciuto a Roma per il tramite del compaesano Donato Bramante.

11 Una delle basi, al tempo di Raffaello, è conservata nella Chiesa di San Marco, mentre una seconda in San Basilio, altre nelle numerose collezioni aristocratiche private (cfr. Raffaello. 1520-1483, catalogo della mostra Roma (Scuderie del Quirinale, 5 marzo – 2 giugno 2020), p. 250).

12 I motivi della sua morte sono ancora incerti, c’è chi si pensa a febbri malariche, molto diffuse nella Roma dell’epoca, chi ad avvelenamento da polveri da piombo, il Vasari, ancora, molto romanticamente lo dice morto per essersi abbandonato, una notte, agli eccessi amorosi (“continuò fuor di modo i piaceri amorosi, onde avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito; perché tornato a casa con una grandissima febbre, fu creduto da’ medici che fosse riscaldato; onde, non confessando egli il disordine che aveva fatto, per poca prudenza, loro gli cavarono sangue; di maniera che indebilito si sentiva mancare, là dove egli aveva bisogno di ristoro, cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 639).

13 Vasari racconta che gli ultimi momenti di vita cosciente Raffaello li abbia dedicati a dipingere il volto del Cristo trasfigurato: “Il quale vestito di colore di neve, pare che aprendo le braccia et alzando la testa, mostri la essenza e la deità di tutt’e tre le Persone unitamente ristrette nella perfezzione dell’arte di Raffaello, il quale pare che tanto si restrignesse insieme con la virtù sua, per mostrare lo sforzo et il valor dell’arte nel volto di Cristo, che finitolo, come ultima cosa che a fare avesse, non toccò più pennelli, sopragiugnendoli la morte.” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 637).

14 Gli misero alla morte al capo nella sala, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinale de’ Medici, la quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ogni uno che quivi guardava. La quale tavola per la perdita di Raffaello fu messa dal cardinale a San Pietro a Montorio allo altar maggiore; e fu poi sempre per la rarità d’ogni suo gesto in gran pregio tenuta” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 639) .

15 Vasari, 1568, 1991, p. 639.

16 La morte di Raffaello, si è detto, rappresenta per i contemporanei la fine dell'età dell'oro della Roma dei papi e il 1520 è ritenuto convenzionalmente, secondo alcuni studiosi, la data di inizio del Manierismo in arte

17 Cfr. nota 9.

18 Leon Battista Alberti (1404-1472) lo definisce “l’ingegno scopritore erudito”.

19 Leone X de’ Medici (1475-1521), uno dei figli di Lorenzo il Magnifico (1449-1492), è un uomo ambizioso, molto colto, un intellettuale raffinato, conoscitore di arte e poesia, ha subito un ottimo rapporto con il maestro, che ammira senza riserve. e ancor più di Giulio II della Rovere (1443-1513), può definirsi il papa di Raffaello. Gli anni d’oro della sua carriera coincidono, infatti, con quelli vissuti sotto papa Medici, che fin da subito gli riconosce il suo ruolo di pictor papalis.

20 Un progetto di estrema modernità che testimonia la profonda cultura antiquario-archeologica di cui è imbevuto Raffaello, non mero erudita, ma grande conoscitore dell’antico capace di attualizzare la sua conoscenza del mondo passato in progetti non banali, e di alto valore culturale. L’impresa è affrontata dal maestro con un team di tecnici esperti dediti ai rilievi tra cui Antonio da Sangallo il giovane (1484-1546), di cui ci sono i disegni di rilievi in mostra, che lavora sui Fori imperiali, e, in particolare, sul Foro di Nerva (I sec. d. C).

21 Marcantonio Michièl (1484-1552), letterato e collezionista d’arte veneziano, in una lettera ad un amico veneto Antonio di Marsilio riporta che sono proprio i letterati ed intellettuali, che aspettavano la pianta di Roma antica, a soffrire maggiormente per la perdita dell’artista: “ Il venerdì santo di notte, venendo il sabato, a ore 3 morse il gentilissmo ed eccellentissimo pittore Raffaello di Urbino con universal dolore di tutti, e massimamente dei dotti, per li quali più che per altrui, benchè ancora per li pittori ed architetti, egòli stendeva in un libro, siccome Tolomea ha isteso il mondo, su gli edifici antichi di Roma, mostrando sì chiaramente le proporzioni, forme ed ornamenti loro, che averlo veduto arìa iscusato ad ognuno aver veduto Roma antica; e già aveva fornita la prima regione. Ne mostrava solamente le piante degli edifici ed il sito, il che con grandissima fatica ed industria delle ruine s’avea raccolta, ma ancora la faccia con gli ornamenti, quanto da Vitruvio e dalla ragione dell’architettura e dalle istorie antiche, ove le ruine non le ritenevano, avevano appreso, espressissimamente disegnava. Ora sì bella e lodevole impresa ha interrotto morte, avendosi invidiosa rapito il maestro giovane di anni 34 (deve dire 37), e nel suo istesso giorno natale.” (cfr. G. G. Bottari – S. Ticozzi, Raccolta di Lettere sulla Pittura, Scultura ed Architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, Milano, 1822, Vol. I, pp. 572-573).

22 Si noti la dolcezza dello sguardo.

23 due si incontrano ad Urbino presso la corte dei Montefeltro, ma è a Roma che la loro conoscenza diventa più intima, scoprono, infatti, di condividere interessi comuni. Baldassarre, intervenuto, come rappresentante del duca, ai funerali di Giulio II, subisce il fascino di Raffaello, già il dominatore artistico della corte pontificia, ne nasce un rapporto di amicizia sempre più forte e fraterno, testimoniato dall’intensità emotiva del Ritratto in questione (cfr. Raffaello 1520-1483, 2020, p. 117).

24 Si tratta di un’opera estremamente moderna, Raffaello abdica alla tradizionale iconografia legata alla ritrattistica ufficiale dell’epoca e ritrae con sobrietà un momento cristallizzato, senza tempo. La posa innovativa di ¾ è ammirata ed imitata e da artisti successivi quali Tiziano, Rembrandt, Rubens e Matisse.

25 Il catalogo della mostra dedica alla tavola e al suo restauro un intero saggio (cfr. Il ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, in Raffaello. 1520-1483, 2020, pp. 501-511).

26 Papa Leone X è un papa colto ed ambizioso, ha subito un ottimo rapporto con Raffaello ed è ricordato come il grande pacificatore, in contrapposizione all’indole guerriera di Giulio II. L’artista coglie empaticamente la sua personalità come anche quelle schive ed ambigue dei due cardinali-cugini, posti significativamente nella penombra, ai quali il papa mostra totale indifferenza. La restituzione psicologica che Raffaello fa dei tre personaggi è particolarmente felice, un gioco di sguardi che si estende al pubblico coinvolgendolo. Lo sguardo intelligente, curioso e indagatore di Leone X è quello di un uomo abituato alle raffinatezze della cultura aristocratica (ricordiamo che è figlio di Lorenzo il Magnifico). Le mani delicate, il volto curato e la corporatura sono quelli di chi vive nell’agiatezza (cfr. Cricco – Di Teodoro, 2018, Vol. IV, p. 390). Il restauro precedente, del 1997, ha rivelato che i due cardinali, come anche la monumentale architettura, siano stati inseriti in un secondo tempo, originalmente, infatti, il ritratto presentava solo il papa seduto al tavolo di lavoro su uno sfondo verte (come il Ritratto di Giulio II (fig. 11), (cfr. Cricco – Di Teodoro, 2018, Vol. IV, p. 391).

27 La presenza di dettagli è cifra stilistica per il nostro che considera i particolari fonte di bellezza: Raffaello, sempre alla ricerca della beltà, che coglie in ogni aspetto del mondo circostante, rappresenta scene ricche di particolari accurati e realistici, veri, perché tratti dalla realtà, ma edulcorati da una visione estremamente bella ed idealizzante. La dimensione ideale della sua arte assieme all’abbondanza dei dettagli è caratteristica saliente e imprescindibile, per questo i suoi quadri sono ricchi di bellissimi particolari come: gioielli, calzature, vestiti, seggiole, scialle… tutti elementi studiati appositamente e riportati con estrema cura.

28 Cfr. n. 10.

29 Il manoscritto miniato è aperto alla pagina iniziale del Vangelo di Giovanni, evidente rimando al nome di battesimo del pontefice, in basso si scorgono cinque palle rosse ed una azzurra (cfr. Cricco – Di Teodoro, 2018, Vol. IV, p. 391).

30 Fece in Roma un quadro di buona grandezza, nel quale ritrasse papa Leone, il cardinale Giulio de’ Medici e il cardinale de’ Rossi, nel quale si veggono non finte, ma di rilievo tonde le figure; quivi è il veluto che ha il pelo, il damasco a dosso a quel Papa, che suona e lustra; le pelli della fodera morbide e vive, e gli ori e le sete contrafatti sì che non colori, ma oro e seta paiono.” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 631).

31 La santa è la protettrice della musica, ben si comprende, dunque, quel letto di strumenti musicali in calce ai santi. La Natura morta come genere artistico ancora non esiste, si ravvede, dunque, in questo ragguardevole dettaglio l’inizio del genere che nel ‘600 avrà ampia diffusione (cfr. Cricco – Di Teodoro, 2018, Vol. IV, p. 389).

32 In origine decoravano i muri della Cappella Sistina, oggi si conservano in Pinacoteca Vaticana.

33 cfr. n. 4.

34 Per la traduzione su lana la Manifattura di Peter van Aelst impiega ben 4 anni.

35 per che Raffaello fece in propria forma e grandezza di tutti di sua mano i cartoni coloriti, i quali furono mandati in Fiandra a tessersi, e finiti i panni vennero a Roma. La quale opera fu tanto miracolosamente condotta che reca maraviglia il vederla et il pensare come sia possibile avere sfilato i capegli e le barbe e dato col filo morbidezza alle carni; opera certo più tosto di miracolo che d’artificio umano, perché in essi sono acque, animali, casamenti e talmente ben fatti che non tessuti, ma paiono veramente fatti col pennello. Costò questa opra 70 mila scudi e si conserva ancora nella cappella papale.” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 635).

36 Al tema gli autori del catalogo dedicano un interessante saggio (L. Bertolini – F. P Di Teodoro, Al mio gran foco: Raffaello poeta tra passato prossimo, Petrarca e l’“antico”, in Raffaello. 1520-1483, pp. 287-293).

37 “…per dipingere una bella (sottintesa donna), mi bisogneria veder più belle…” (cfr. R. Sanzio, Tutti gli scritti, Milano 1956, passim). A Raffaello si fa risalire l’introduzione, rivoluzionaria per l’epoca, dell’uso di modelle femminili in posa; fino a quel momento solo gli assistenti e i garzoni di bottega posano nudi dal vivo per i maestri, dopo Raffaello anche le donne cominciano a posare. Per Raffaello, alla ricerca della perfezione nella riproduzione delle morbide fattezze femminili, le forme vanno viste e studiate su corpi veri, non può affidarsi a ricordi frutto di incontri di altro tipo, lo studio dev’essere specifico, deve poter osservare una modella dal vivo e non tentare di ricordare dettagli di attimi intensi e fugaci. Si tratta di un cambiamento epocale per lo studio e la resa dell’anatomia femminile (per approfondimenti cfr. M. C. Viljoen, Between the sheets: Raffaello, il nudo e l’erotizzazione delle incisioni, in Giulio Romano: Arte e Desiderio, (a cura di) B. Furlotti, G. Rebecchini e L. Wolk-Simon, catatogo della mostra Mantova (Palazzo Te, 06 ottobre 2019 – 06 gennaio 2020), Mantova, 2019, pp. 68-77).

38 Vasari, 1568, 1991, ad vocem, passim.

39 Si tratta di una relazione documentata, la donna è la sua amante, colei che l’artista ama, sebbene sia promesso sposo ad una giovane dell’alta società, Maria Bibbiena, nipote del potentissimo Cardinal Bibbiena (Bernardo Dovizi da Bibbiena 1470-1520). Al fidanzamento non può, evidentemente, sottrarsi il che rende tormentata la storia con la sua musa ispiratrice, per la quale nutre un grande amore. Dei fatti ci informa il Vasari stesso che racconta in modo, anche, divertente, come il Bibbiena, di cui sottolinea la petulanza, riesca ad imporre la nipote a questo fenomeno divino di pictor papalis: “Ma avendo oggimai discorso sopra queste cose dell’arte, forse più che bisogno non era, per ritornare alla vita e morte di Raffaello dico che, avendo egli stretta amicizia con Bernardo Divizio cardinale di Bibbiena, il cardinale l’aveva molti anni infestato per dargli moglie e Raffaello non aveva espressamente ricusato di fare la voglia del cardinale, ma aveva ben trattenuto la cosa, con dire di volere aspettare che passassero tre o quattro anni; il quale termine venuto, quando Raffaello non se l’aspettava, gli- fu dal cardinale ricordata la promessa et egli vedendosi obligato, come cortese non volle mancare della parola sua e così accettò per donna una nipote di esso cardinale.” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 637).

40 L’identificazione con la Fornarina non è certa, nonostante il Vasari dica che si tratti di lei (“Fece poi Marco

Antonio per Raffaello un numero di stampe, le quali Raffaello donò poi al Baviera suo garzone ch’aveva cura d’una sua donna, la quale Raffaello amò sino alla morte e di quella fece un ritratto bellissimo che pareva viva viva, il quale è oggi in Fiorenza appresso il gentilissimo Matteo Botti, mercante fiorentino, amico e familiare d’ogni persona virtuosa e massimamente dei pittori, tenuta da lui come reliquia per l’amore che egli porta all’arte e particularmente a Raffaello” cfr, Vasari, 1568, 1991); taluni studiosi pensano genericamente ad una cortigiana, o ad una nobile, altri ancora la ritengono una rappresentazione ideale frutto della meditazione del Sanzio sui concetti di grazia e bellezza (cfr. Raffaello. 1520-1483, 2020, p. 311).

41 È grazie all’intercessione di Bramante che l’ancor giovane Raffaello, pur essendosi distinto nella Firenze del Soderini, viene chiamato da Giulio II, nel 1508, per decorare le Stanze vaticane.

42 Colui che lo richiede a Roma, grazie al quale la sua vita professionale subisce un’impennata.

43 Ricerche recenti sembrano confermare che la versione londinese sia l’originale. Il quadro doveva avere un fondale blu su cui si stagliavano in oro le chiavi papali (delle quali si possono notare ancora le impronte), e in un momento successivo lo sfondo sembra sia stato coperto di verde (cfr. Raffaello. 1520-1483, 2020, p. 412).

44 Raffaello, non adottando il tradizionale schema frontale o di profilo dell’ufficialità, che porrebbe il pubblico di fronte alla condizione di notorietà e solennità dell’effigiato di alto rango, introduce una novità importante nel campo della ritrattistica, consentendogli di portare avanti un’analisi introspettiva del soggetto raffigurato.

45 Vasari, 1568, 1991, p. 634.

46 Raffaello è a capo di una florida e laboriosa bottega che gestisce genialmente. Con più di 50 aiuti, tra apprendisti, garzoni, collaboratori e maestri, riduce, il più delle volte, il suo intervento alla sola progettazione e realizzazione dei disegni e bozzetti, sulla base dei quali i suoi aiuti eseguono le opere. Grazie a questa organizzazione riesce a vivere a corte in tranquillità, come un moderno PR, non da pittore, dunque, ma da principe (Vasari riporta che “Egli insomma non visse da pittore, ma da principe (…)” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 638)), è un noto frequentatore di tutte le feste, sa muoversi a corte molto bene, alla ricerca di commissioni, e sa intrattenere rapporti con i personaggi più potenti che gli garantiscono i lavori più importanti.

47 Studiata nell’espressione, nella gestualità del volto, e nella definizione attraverso luci e ombre.

48 L’impresa, inizialmente, prevede un pool di artisti (tra questi Signorelli, Perugino, Lotto …), ma allo scoprimento delle prime scene di Raffaello, il papa, impressionato dalla bravura dell’Urbinate, decide di licenziare tutti e di affidare l’intera impresa al giovane. Del fatto, ancora una volta, ci aggiorna il Vasari: “Adornò ancora questa opera di una prospettiva e di molte figure finite con tanto delicata e dolce maniera che fu cagione che papa Giulio facesse buttare atterra tutte le storie degli altri maestri e vecchi e moderni, e che Raffaello solo avesse il vanto di tutte le fatiche che in tali opere fussero state fatte sino a quell’ora” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 632).

49 Forse nel 1504 la nobildonna perugina Atalanta Baglioni, morta nel 1509, commissiona una Deposizione per decorare la sua cappella nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia. Il dipinto, noto come Pala Baglioni, eseguito nel 1507, vuole ricordare allo stesso tempo la morte del figlio Federico, detto il Grifonetto, ucciso nel 1500, e il proprio dolore per il funesto evento. La pala è preceduta da numerosi disegni, alcuni dei quali esibiti in mostra, che ci raccontano come l’opera pensata inizialmente come un Compianto si trasformi in un Trasporto del corpo morto di Cristo. Passa, quindi, da essere un soggetto statico a un soggetto in movimento, narrativo, con personaggi in azione. È evidente l’elaborazione delle forme michelangiolesche conosciute a Firenze ad inizio cinquecento con lo scoprimento del David di piazza della Signoria (1501-04, Firenze, Galleria dell’Accademia). La scena è dominata dalla figura del Cristo morto, mentre è portato al sepolcro, il busto pesante è sorretto da Giuseppe di Arimatea, caratterizzato da un volto che manifesta sofferenza fisica e psicologica, le gambe nel disegno sono sorrette con fatica da un personaggio anziano San Pietro, che nella versione definitiva aiuta Giuseppe d’Arimatea, assieme a San Giovanni, mentre la figura di Nicodemo (identificata con Grifonetto Baglioni) da aiuto di Giuseppe passa nella versione pittorica a sorreggere le gambe del Cristo; Maria Maddalena sostiene la mano sinistra di Gesù, sullo sfondo si vede la dolorosa Vergine (rimando alla situazione di Atalanta), (cfr. Cricco –Di Teodoro, 2018, Vol. IV, p. 380).

50 Santa Caterina d’Alessandria colta in posa contrapposta e sinuosa con il viso estatico rivolto verso l’alto (Cricco –Di Teodoro, 2018, Vol. IV, p. 380).

51 La dolcezza tipicamente umbra muta in una naturalezza che gli consente di superare la lezione peruginesca, fatta di stereotipi stucchevoli e leziose figure.

52 Sospetto che nel tempo diventa vera e propria antipatia provata da Michelangelo nei confronti del “divin pittore” del quale non apprezza la sua arte, ma la reputa palese imitazione d'altri. L'antipatia nutrita da Michelangelo nei confronti di Raffaello è testimoniata da più fonti: Onofrio Boni nelle sue riflessioni ottocentesche sul Buonarroti scrive: “(…), che Raffaello, e Michelangelo hanno tra loro un’antipatia si generale, che ciò che fa per l’uno nuoce all’altro; e si potria dire in verità, che uno è il buono, e l’altro il cattivo angelo della pittura ….” (cfr. Boni, 1809, p.7). Gobineau, studioso del Rinascimento, riporta di un incontro tra i due in cui Raffaello incontrando Michelangelo dice “Bonsoir, maitre Buonarroti, donnez-moi votre main”, il Buonarroti risponde “Quand je reviendrai”(cfr. Foglia, Michelangelo nel teatro, 2009, p. 44).

53 “Perciò che vedendo egli l’opere di Lionardo da Vinci, il quale nell’arie delle teste, così di maschi come di femmine, non ebbe pari e nel dar grazia alle figure e ne’ moti superò tutti gl’altri pittori, restò tutto stupefatto e maravigliato; et insomma, piacendogli la maniera di Lionardo più che qualunche altra avesse veduta mai, si mise a studiarla e lasciando, se bene con gran fatica a poco a poco la maniera di Pietro, cercò, quanto seppe e poté il più, d’imitare la maniera di esso Lionardo. Ma per diligenza o studio che facesse, in alcune difficultà non poté mai passare Lionardo; e se bene pare a molti che egli lo passasse nella dolcezza et in una certa facilità naturale, egli nondimeno non gli fu punto superiore in un certo fondamento terribile di concetti e grandezza d’arte, nel che pochi sono stati pari a Lionardo. Ma Raffaello se gli è avvicinato bene più che nessuno altro pittore, e massimamente nella grazia de’ colori.” (cfr. Vasari, 1568, 1991, p.637).

54 Le atmosfere chiare di Piero (1416/17-1492) sono filtrate da un intimità ed una sensibilità tutte leonardesche che negano quel senso di sospeso quasi metafisico tipico del della Francesca.


55 Se è vero che non rimangono molte testimonianze dei primi anni ad Urbino è anche vero che l’attuale storiografia sul maestro ha ampiamente rivalutato il ruolo del padre, Giovanni Santi (1435-1494), offuscato, in primis, dal racconto vasariano (“Nacque adunque Raffaello in Urbino, città notissima in Italia, l’anno 1483, in venerdì santo a ore tre di notte, d’un Giovanni de’ Santi, pittore non molto eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno et atto a indirizzare i figliuoli per quella buona via che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostra nella sua gioventù”, cfr. Vasari, 1568, 1991, p. 619), e del ruolo della città natale sulla formazione del pittore. Urbino è una delle capitali del Rinascimento italiano, una città ideale (recentemente attribuita a Bramante), vivace, internazionale, squisitamente a vocazione geometrico-matematica, dove Federico II di Montefeltro (1422-1482) raduna capolavori secondo un mecenatismo illuminato; in quel contesto, d’interessanti stimoli, Raffaello entra in contatto con molti artisti italiani e stranieri, insomma, considerata la sua fantasia prensile e duttile, è un bel luogo dove formarsi, e, non aver proceduto ad una approfondita restituzione di quanto verosimilmente l’ambiente nativo abbia offerto al giovane, è forse stata un’occasione mancata da parte dei curatori.
Le ricerche più recenti tendono a ridare al padre quanto gli spetta nell’iniziale percorso del Sanzio: egli, infatti, pittore dotto e raffinato, operante presso una delle corti più stimolanti d’Europa, ancora prima del Perugino o del Pinturicchio, maestri incontestati del giovane, ha saputo passare al figlio quell’amore per la cultura umanistica che l’Urbinate ha coltivato ed accresciuto negli anni, sviluppandola nei diversi contesti storici e culturali in cui si è trovato a vivere ed a operare. Vasari, dunque, sminuendo il ruolo del genitore, non considera che fino agli 11 anni Raffaello ha avuto di fronte un modello di pittore consapevolmente colto, che ha nutrito e indirizzato la crescita professionale del fanciullo. È forse questo
imprinting culturale trasmesso dal padre, dal quale, dunque, non impara solo a dipingere, ma anche a scrivere ed a ragionare, accompagnato dalle eccezionali doti del giovane, di cui si è ampiamente detto (in primis la capacità d’immediata assimilazione e di intensa rielaborazione di modelli diversi), a fare di Raffaello il “divin pittore”, l’artista universale che conosciamo. Si ricordi che da poco, con l’avvento dell’Umanesimo, l’arte è passata dall’essere considerata un’ars mecchanica (ossia, un mero esercizio esecutorio di opere pittoriche o scultoree), a ars liberalis (che include l’intervento intellettuale da parte dell’artista chiamato non solo ad eseguire un’opera, ma ad approntarne l’invenzione). Munito di questa base umanistica Raffaello si proietta, per tutta la vita, verso un continuo studio ed apprendimento nei confronti di ciò che lo circonda, e mette in atto un saper fare di stampo culturale che lo conduce fin da subito ad intraprendere un percorso assolutamente autonomo. Questa condizione critico-umanistica, e non solo, lo differenzia dagli altri giovani apprendisti pittori e rappresenta i lmotivo per cui, quando, durante gli anni trascorsi presso la bottega di Pietro, il suo ruolo non è mai quello di un mero allievo, ma, quasi sempre, di un giovane collaboratore geniale. Del debito, nei confronti della figura paterna, Raffaello è, probabilmente, conscio, e, secondo una recente interpretazione, sublima la sua gratitudine per il padre nella Stanza della Signatura, lo celebra rappresentandolo nell’affresco della Scuola di Atene accanto alla propria autorappresentazione e tra filosofi e scienziati importanti.
Per un approfondimento sulla questione Santi padre si veda:
La Grazia e la Luce. La pala di Senigallia del Perugino. Armonia e discordanze nella pittura marchigiana di fine Quattrocento, catalogo della mostra, a cura di Claudia Caldari, Ancona 2014.

56 “Fece Pietro molti maestri di quella maniera, e uno fra gli altri che fu veramente eccellentissimo, il quale, datosi tutto agli onorati studj della pittura, passò di gran lunga il maestro; e fu questo il miracoloso Raffaello Sanzio da Urbino, il quale molti anni lavorò con Pietro in compagnia di Giovanni Santi, suo padre.”(cfr. Vasari, 1568, 1991, Vita di Pietro Perugino pittore, passim). In realtà Vasari si sbaglia, quando Raffaello si sposta presso il Perugino, il padre è già morto.


57 “Sì, da Vinci ci ha promesso il Cielo[…], ma Raffaello ce lo ha dato” (Pablo Picasso).



BIBLIOGRAFIA

Raffaello. 1520-1483, (a cura di) M. Faietti e M. Lafranconi, catalogo della mostra Roma (Scuderie del Quirinale 05 marzo- 2 giugno 2020), Roma 2020.

M. C. Viljoen, Between the sheets: Raffaello, il nudo e l’erotizzazione delle incisioni, in Giulio Romano: Arte e Desiderio, (a cura di) B. Furlotti, G. Rebecchini e L. Wolk-Simon, catatogo della mostra Mantova (Palazzo Te, 06 ottobre 2019 – 06 gennaio 2020), pp. 68-77.

G. Cricco – F. P. Di Teodoro, Itineriario nell’arte, Roma 2018, IV edizione, Vol III, pp. 374-397.

La Grazia e la Luce. La pala di Senigallia del Perugino. Armonia e discordanze nella pittura marchigiana di fine Quattrocento, (a cura di) C. Caldari, catalogo della mostra Senigallia (Palazzo del Duca-Pinacoteca Diocesana), Ancona 2014.

AA VV, I Papi della Memoria: La storia di alcuni grandi Pontefici che hanno segnato il cammino della Chiesa e dell’Umanità, Roma 2012.

B. Foglia, Michelangelo nel teatro, Napoli 2009.

G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, edizione integrale a cura di M. Marino, Roma 1991, parte III, pp. 618-647.

R. Sanzio, Tutti gli scritti, a cura di E. Camesasca, Milano 1956.

J. A. de Gobineau, La Renaissance, Monaco 1947.

G. G. Bottari – S. Ticozzi, Raccolta di Lettere sulla Pittura, Scultura ed Architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, Milano 1822.

O. Boni, Riflessioni sopra Michelangelo Buonarroti del cav. Onofrio Boni in risposta a quanto ne scrisse Rolando Freart sig. De Chambray nell'opera Idée de la perfection de la peinture etc, 1809.


G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze 1568, ed. consultata Newton, collana “I Mammut”, Roma, 1991.



PDF

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali

BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it