Abstract
Il
panorama socio-politico del tardo Quattrocento è caratterizzato da
un susseguirsi di guerre che rischiavano di compromettere la
stabilità sociale. Se dal punto di vista politico si soffre, dal
punto di vista culturale ed artistico le cose stanno diversamente. Ma
cosa succederebbe se un generale d’armi diventasse un fervente
mecenate? Niccolò III Orsini conte di Pitigliano (1442 – 1510) fu
un ottimo soldato di ventura che lavorò per i più importanti casati
e per diversi pontefici, dai quali ebbe numerose lodi. Il presente
contributo prende in considerazioni almeno due aspetti che ruotano
intorno alla sua figura: uno è quello di mecenate, più o meno
diretto, e l’altro riguardante invece la sua glorificazione,
avvenuta attraverso la commissione - da coloro che usufruirono dei
suoi servigi - di opere d’arte. Questi due aspetti andranno ad
intrecciarsi sempre più, quasi a «concatenarsi».
La
figura del «mecenate» prende proprio ispirazione a Mecenate,
storico protettore di Orazio; questa figura nei secoli si è andata
definendo sempre più e grazie alle informazioni che ci sono giunte
(ad esempio i registri contabili che attestavano i «pagamenti»
dovuti agli artisti) possiamo definire le metodologie che stanno alla
base di gestazione di un’opera.
Nell’epoca
prescientifica, nelle corti, i signori allocavano danaro per
finanziare gli studi e la cultura di preti, letterati e filosofi, i
quali venivano pagati, oltre che per istruire i figlioli dei signori,
anche «per mantenere le capacità esistenti e non per crearne di
nuove». Il signore (mecenate) finanziava, ad esempio, il filosofo le
cui capacità servivano per legittimare il suo potere, mantenere il
suo dominio e mantenere l’ordine delle cose1.
Anche nel campo artistico si viene a creare una relazione analoga
costituita da committente – letterato – artista2;
infatti il «letterato» forniva le indicazioni iconografiche che
l’artista avrebbe dovuto seguire per esaltare, e quindi
legittimare, il potere del signore. Questo schema seguiva un certo
ordine, quasi si trattasse di una equazione matematica.
Anche
nella corte del conte di Pitigliano, Niccolò III Orsini, dovette
replicarsi la stessa situazione. Purtroppo non disponiamo di
documentazione cartacea, quindi il lavoro sarà quello di
«interrogare la storia» e considerare le opere d’arte che,
direttamente o indirettamente, ruotavano intorno a questa figura,
ancora poco studiata. Sin da giovane si distinse per le sue
straordinarie doti militari, partecipò in molte campagne dalle quali
ne uscì sempre vittorioso e questo gli permise di consolidare il suo
potere. Questi successi militari, con conseguenti ingenti guadagni,
gli permisero di finanziare molte opere d’arte e per le sue
prodezze fu investito di altre tre contee: Fiano Romano, Nola, e
Ghedi; ed in ognuna di esse lasciò il suo segno distintivo.
Un
primo problema da affrontare riguarda l’identificazione della
consorte di Niccolò III. Verso la fine degli anni Sessanta del
Quattrocento, egli sposò Elena Conti di Montalcino. Alcune
testimonianze – erroneamente – hanno identificato la consorte
come Elena Conti di Montelanico e non Montalcino; l’errore –
puramente semantico – mescolato a coincidenze non secondarie ha
generato non pochi dubbi: in primo luogo sappiamo che Elena Conti era
figlia di un Giovanni Conti e che l’araldica ci mostra lo stemma di
famiglia caratterizzato da un’aquila «scaccata». Alla luce di
questo sappiamo che i Conti, con lo stesso stemma, erano signori
rispettivamente sia di Montelanico che di Montalcino (il ché non
nega una parentela), ma che in ambedue le famiglie, nello stesso
periodo era presente un Giovanni Conti; la chiarezza avvenne quando
analizzando i lignaggi delle due famiglie ho individuato la notizia
che il Giovanni Conti «di Montelanico» non aveva figlie, ma solo
due figlioli; al contrario a Montalcino abbiamo la testimonianza di
Elena Conti del ramo corrispondente3.
Il topos
dell’aquila scaccata ricorre a Montelanico, Montalcino e Pitigliano
(qui unitamente allo stemma Orsini), e il casato Conti lo ottenne da
Corradino di Svevia insieme al « popolo romano e un campo rosso»4
.
L’aquila
su campo rosso è ben visibile in un’opera che Niccolò III commissionò a
Michele da Verona ed oggi conservata nella pinacoteca
di Brera. Michele « firma con orgoglio» la Crocefissione5,
lo stesso orgoglio che il generale Orsini sentì facendo immettere le
sue effigi all’interno dell’opera: a destra, su una colonna, è
presente lo stemma Orsini e l’uomo al centro ha uno stendardo che
rappresenta un’aquila nera su campo rosso. Nella «sala d’armi»
della fortezza di Pitigliano possiamo notare tutti gli elementi
dell’araldica; infatti – unito allo stemma Orsini – vediamo
un’aquila scaccata (nera ed ocra) su fondo rosso (Fig. 1).
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Fig. 1 - Stemma Orsini- Conti, Palazzo Orsini di Pitigliano, Sala D'armi
Foto cortesia di Leo Gavillucci.
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L’identificazione
della consorte è stata fondamentale, sopratutto perché siamo
digiuni di informazioni circa la sua identità; sappiamo per certo
che morì a Nola (Napoli) il giorno 8 giugno del 1504. Il conte fu
privato della contea partenopea,
per anni appartenuta alla famiglia Orsini,
negli anni Ottanta per esserne di nuovo proprietario dal 1494 dopo
alcune contrattazioni avvenute con gli aragonesi. Nella contea
nolana, presso la chiesa di San Francesco – oggi dedicata a San
Biagio – Niccolò organizzò una sontuosa cerimonia funebre,
commissionando successivamente un monumento funebre. Di questo oggi
non resta che la vasca del sarcofago e una epigrafe che recita:
«
Niccolò III Orsini conte di Nola e di Pitigliano volle che qui
venisse sepolto il corpo della sua cara moglie Elena Conti e che per
l’anima di lei si celebrasse una messa per settimana e ogni anno un
uffizio funebre: per il che donò a questo convento 50 iugeri di
terreno nel Piano delle Palme. Anno 1504: 8 giugno»
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Fig. 2 - Probabile Sarcofago di
Elena Conti con ritratto di Niccolò III Orsini, Chiesa di San Biagio,
Nola (Napoli) part.
Foto cortesia di Leo Gavillucci.
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Il
sarcofago (Fig.2), oggi conservato nella sacrestia della chiesa, non
presenta iscrizioni e non è stato mai soggetto a studi (è
plausibile pensare che varie parti del monumento siano state disperse
o ripiegate). In esso è ben riconoscibile la figura del generale
genuflesso e, inoltre, nella parte sinistra è presente lo stemma
Orsini, ma non vi è traccia del blasone della famiglia Conti;
tuttavia – come vedremo – la scultura funeraria ricorre
frequentemente nella committenza di Niccolò (si conoscono almeno
altri quattro monumenti funebri del generale e almeno uno
commissionato per il figlio).
La
ripresa della contea di Nola da parte del generale Orsini fu per atto
diplomatico: il generale difese il regno aragonese dalla discesa di
Carlo VIII; quest’ultimo chiese al generale di allearsi con lui
contro gli Aragona, rammentandogli l’antica parentela intercorsa
tra Carlo e gli Orsini e dicendogli che «in Italia nulla si era
fatto mai senza il valore ed il senno degli Orsini che finalmente
Niccolò poteva sperare da lui qualunque gran premio che un monarca
potesse concedere»6.
Il generale decise di tenere fede alla corona aragonese e per questo
fu reinvestito della contea di Nola; inoltre su richiesta di
Alessandro VI Borgia (alleato degli Aragona) riuscì a confinare il
nemico. Oltre al conte di Pitigliano, nella battaglia furono
coinvolti anche Gentil Virginio Orsini e Giacomo Trivulzi i quali
rimasero fedeli sia al pontefice che alla corona d’Aragona. Con il
passare del tempo Gentil Virginio Orsini cercò di passare nella
fazione francese perché la situazione che si venne a creare stava
nuocendo, irrimediabilmente, ai suoi affari; inoltre Alessandro VI
voleva impossessarsi dei territori di Gentil Virginio per affidarli
al duca di Gandìa, e col pretesto della sovversione gli confiscò i
beni. Nottetempo avvenne la pace e per celebrare la conciliazione con
Carlo VIII, Alessandro VI incaricò Pinturicchio di affrescare la
Torre Borgia – in Vaticano – per commemorare l’evento.
Della
Torre Borgia, in particolare nella vita di Pinturicchio, Vasari ci
dice che:
«In
Castello Sant’Angelo dipinse infinite stanze a grottesche, ma nel
Torrione
da basso nel giardino
fece istorie di papa Alessandro, e vi ritrasse Isabella regina
Cattolica, Niccolò
Orsini di Pitigliano,
Giacomino Triulzi, con molti parenti ed amici di detto papa, ed in
particolare Cesare Borgia, il fratello e le sorelle, e molti altri
virtuosi di que’ tempi»7
La
parte descritta dal Vasari purtroppo è andata perduta, ma dalla
citazione possiamo trarre alcune informazioni: l’assenza di Gentil
Virginio Orsini e il legame che potrebbe intercorrere tra Alessandro
VI, Pinturicchio e Niccolò III. Il primo punto potrebbe essere
spiegato grazie ai fattori politici, ossia l’astio tra papa Borgia
e Gentil Virginio; la seconda questione potrebbe espletarsi facendo
dei collegamenti di natura storico - artistica.
Nel
duomo di Pitigliano8
il
pittore senese Guidoccio Cozzarelli dipinse una Maestà; il
Cozzarelli fu tra maestri attivi nel duomo di Siena, in particolare
fornì il disegno della Sibilla Libica per il pavimento (di cui il
capo cantiere fu proprio il Pinturicchio) e ottenne la commissione
per la realizzazione di quattro antifonari per la biblioteca
Piccolomini 9.
Inoltre il generale ebbe contatti significativi sia con Pio II
Piccolomini sia con Pio III Piccolomini durante il suo breve
pontificato (ottobre 1503); per di più la presenza di maestranze
senesi è molto importante dato che Siena e Pitigliano furono nemiche
sin da tempi più antichi
10.
Inoltre
echi della scuola di Pinturicchio sono ravvisabili nella cappella
Orsini nella chiesa di Santo Stefano Nuovo a Fiano Romano, che il
generale acquisì nel 1489, e nella quale è presente anche un altro
monumento funebre dedicato a Niccolò III Orsini. Per quanto riguarda
il legame col casato Borgia, questo avvenne nel 1492, quando il
generale Orsini difese il conclave che elesse Alessandro VI dai
disordini provocati da Ascanio Sforza. Il
neo pontefice per ringraziarlo gli fece visita a Fiano e Pitigliano
11.
Nel
cortile della rocca di Fiano Romano un’epigrafe commemorativa, che
reca la data 19 dicembre 1493, ricorda l’evento in cui il
pontefice concede l’indulgenza a tutta la popolazione. Gli ingenti
guadagni del conte, a seguito delle numerose campagne guerresche, gli
permisero di acquistare ed abbellire le sue contee con decorazioni
scultoree ed affreschi; infatti in questi anni risultano le
decorazioni sia di Fiano Romano, sia quelle della prima sala della
fortezza di Pitigliano – da qui Sala dei Trionfi – ove appare la
raffigurazione della fortezza di Fiano Romano. Il castello di Fiano
fu edificato secondo uno stilema rinascimentale, in particolare
quella che ci interessa maggiormente è l’ala quattrocentesca,
divisa in nove sale, collegate tra loro da porte nei cui stipiti
ricorre il nome « NICOLAUS TIRTIUS URSINUS 1493», ossia la data in
cui i lavori furono eseguiti e, verosimilmente, quando gli affreschi
furono ultimati.
La
volontà del conte di offrire il decoro necessario alle proprie
residenze è testimoniato dalla presenza degli affreschi. Nelle sale
della rocca di Fiano lo stemma degli Orsini campeggia nelle volte a
botte ed è collegato, simbolicamente con un filo di perle, agli
stemmi di altri casati, sintomo dei legami intessuti dal conte (Fig.
3); infatti troviamo gli stemmi delle famiglie: Savelli (la figlia di
Niccolò, Dianora, sposerà Paolo Savelli di Castel Gandolfo) Aragona
( il conte fu a servizio, in quegli anni, del re), Montefeltro (che
come vedremo, in modo più o meno diretto, avranno dei contatti),
Medici (nel 1486 il conte prese servizio presso Lorenzo il Magnifico
ed in una lettera egli dirà «di avere a cuore il conte di
Pitigliano» 12),
Colonna, Conti, Anguillara (Il conte acquistò la rocca da Elisabetta
dell’Anguillara nel 1489), Borgia, Caetani e Farnese (la figlia di
Niccolò III, Lelia o Lella, fu sposata con Angelo Farnese dal 1488
al 1494, ma su questo torneremo più tardi).
L’impianto
compositivo ricorda molto la sala delle Sibille affrescate negli
appartamenti Borgia in Vaticano, sempre realizzate dal Pinturicchio,
anche se qui a Fiano non sembra – a mio avviso – ravvisabile la
mano dell’artista senese.
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Fig. 3 - Sala dello «Zodiaco»,
Palazzo Orsini di Fiano Romano, 1493
Foto cortesia di Leo Gavillucci.
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La
presenza dello stemma Farnese all’interno della rocca acquista
valenza significativa; considerando il matrimonio tra Angelo Farnese
e la figlia del conte, Lelia, la rappresentazione dell’araldica
farnesiana nel castello di Pitigliano, nella sala dei Trionfi,
costituisce in terminus ante quem per la datazione degli affreschi
pitiglianesi. Infatti essi possono essere datati tra il 1488 (anno
del matrimonio) e il 1494 anno di morte del Farnese 13;
sappiamo inoltre che la figlia del conte non si risposò dopo la di
lui dipartita. Angelo Farnese, oltre che fratello di Paolo III, fu
anche fratello di Giulia Farnese (concubina di papa Borgia) e da un
documento edito (Romei, Rosini), proveniente dall’archivio di
Giulia Farnese, leggiamo la descrizione delle nozze tra Lucrezia
Borgia e Giovanni Sforza:
«
Alessandro ha mantenuto e ampliato le abitudini iniziate da Innocenzo
(VIII) di maritare le figlie femmine. Pertanto tutto il clero si è
messo di impegno – e davvero con diligenza – a far figli,
cosicché tutti, dal maggiore al minimo mantengano delle concubine
come se fossero delle mogli; e se Dio non provvede, questa corruzione
passerà fino ai monaci e ai religiosi, benché quasi tutti i
conventi di Roma siano diventati bordelli, senza che nessuno si
opponga.
E
perché si sappia meglio come è passata la faccenda, la sera
rimasero a cena alcuni cardinali e sedettero alla stessa tavola per
primo il papa, poi i cardinali e lo sposo cono alcuni altri signori,
e fra loro anche donne, cioè anzi tutto la figlia del papa, quindi
Giulia sua bella concubina; in terzo luogo la nipote di Innocenzo,
Teodorina di lui figlia, la
figlia del conte di Pitigliano,
la moglie e la figlia di Gabriele Cesarini»
14.
Questa
testimonianza non fa altro che rendere più stringente i contatti tra
Borgia, Farnese e Orsini che avrebbero potuto portare alla
realizzazione di qualche opera; inoltre in un altro documento edito
(sempre Romei e Rosini) riguardante il matrimonio tra Giulia e Orsino
Orsini, celebrato il 9 maggio 1490, troviamo, seduto accanto a
Francesco Cybo figlio del papa, Nicolaum de Ursinus Pitiliani. Il
matrimonio tra Lelia Orsini e Angelo Farnese, fu celebrato anche
dalla famiglia Farnese che per l’occasione restaurò il cortile
della rocca di Valentano (nell’attuale provincia di Viterbo);
infatti i capitelli del portico sono decorati con motivi riferibili
alle nozze: giochi augurali con i due stemmi unificati.
Nella
Sala dei Trionfi a Pitigliano, per giunta, c’è un probabile
ritratto di Gentil Virginio Orsini
15
che trova la sua giusta ubicazione tra gli «illustri Orsini»; non
solo Gentil Virginio fu cugino del conte di Pitigliano, ma fu anche
il suo compagno di battaglia, proprio negli anni in cui questi
affreschi furono realizzati. Il conte di Bracciano è fondamentale
per stabilire delle connessioni tra la produzione artistica e il
rapporto con i letterati. Abbiamo già evidenziato l’importanza
degli umanisti nelle corti principesche e nella relazione
committente/artista. Finora le opere, verosimilmente, commissionate
dal generale Orsini seguono un programma celebrativo ben preciso; per
di più le connessioni con altri casati farebbero presupporre
un’ottima organizzazione, che potrebbe espletarsi attraverso
documentazione, purtroppo non reperibile ma deducibile da fatti
storici. Sappiamo che sicuramente Gentil Virginio Orsini ebbe
contatti con Pomponio Leto, Giovanni Gioviano Pontano e Adriano
Fiorentino16,
che furono al servizio dell’Orsini per circa due anni, e che poi
seguiranno a Napoli – presso gli aragonesi – dove il signore di
Bracciano si trattenne fino al 1495, anno della storica battaglia
contro Carlo VIII. Proprio in quell’anno Niccolò III fu investito
capo delle milizie veneziane e sicuramente entrò in contatto con gli
umanisti; infatti sappiamo che nel 1503 Pietro Bembo fece visita, a
Fiano Romano, al generale Orsini. Il grande umanista, probabilmente
conosciuto a Venezia, potrebbe essere la «chiave di volta» per
determinare la relazione committente/umanista/artista; sopratutto
perché Bernardo Bembo, padre di Pietro, era un esponente della
bresciana Accademia dei Vertunni.
L’Accademia
dei Vertunni nacque a Brescia intorno al 1479 e Niccolò Orsini per i
suoi servigi alla Repubblica lagunare fu investito della contea di
Ghedi, nell’attuale provincia di Brescia e quindi, probabilmente,
ebbe contatti con l’Accademia; l’ipotesi inoltre è suffragata
anche da un possibile collegamento con il Polifilo. Stefano Colonna
ha evidenziato connessioni tra il testo polifilesco e l’Accademia
dei Vertunni, di come quest’ultima si sia ispirata al dio Vertunno
– della fecondità – e che sia nata per volere di Bartolomeo
Averoldi, abate di Leno. Inoltre Stefano Colonna ha evidenziato un
importante collegamento tra gli esponenti dell’Accademia dei
Vertunni, l’Accademia romana di Pompionio Leto, l’Accademia
napoletana di Giovanni Pontano
e Francesco Colonna, signore di Palestrina, indicato come autore del
Polifilo
17.
Bernardo
Bembo, esponente dell’Accademia bresciana, fu amico di Francesco
Diedo, autore di molteplici traduzioni di testi antichi, il quale
ebbe contatti sicuri con Andrea Brenta, segretario di Oliviero
Carafa. Maurizio Calvesi – come ricorda Stefano Colonna – crea un
parallelismo tra la cultura antiquariale del Polifilo con i
«geroglifici romani» presenti nella cappella di Oliviero Carafa
nella basilica di Santa Maria Sopra Minerva a Roma. La cappella della
Minerva a questo punto assume un significato rilevante dal momento in
cui Francesco De Santis ci informa18
circa un ritratto di Niccolò III Orsini eseguito da Filippino Lippi.
La cappella di Oliviero Carafa fu realizzata nel 1493, un anno dopo
l’elezione di Alessandro VI, e non dimentichiamo che una delle
figlie di Niccolò III sposò Sigismondo Carafa, nipote di Oliviero,
e questo spiegherebbe anche la presenza dello stemma araldico dei
Carafa all’interno della rocca di Fiano, eseguito proprio nel 1493.
Un’ulteriore
prova circa i contatti tra il generale Orsini e l’Accademia dei
Vertunni è dovuta alla frequentazione della famiglia Barbarigo;
sicuramente un esponente importante dell’Accademia fu Pierfrancesco
Barbarigo, figlio del doge Agostino Barbarigo.
Abbiamo
detto che Niccolò III divenne capo delle milizie veneziane e per i
suoi straordinari servigi ricevette in dono la contea di Ghedi nel
bresciano (dove l’Accademia si costituì); e proprio in questa
«nuova» contea sorge un «nuovo» palazzo Orsini, che Niccolò fece
decorare con storie della sua vita19
.
Gli affreschi, di cui rimangono dei lacerti conservati tra Budapest e
Brescia, sono riferibili a Girolamo Romanino. Il nome di questo
artista è emerso quando sono stati rinvenuti dei suoi documenti del
1545, che attestavano un certo rammarico dell’artista verso gli
Orsini, ancora creditori per gli affreschi realizzati a Ghedi del
1509 20.
Gli affreschi furono strappati nel 1843 da Giovan Battista Speri, e
uno di questi
rappresenta la
consegna dei labari da parte del doge Agostino Barbarigo a Niccolò
III e
questo naturalmente ci riconduce ai legami con la famiglia del doge
ed, eventualmente, con l’Accademia dei Vertunni. Altri lacerti ci
mostrano due ritratti: uno di Niccolò III e l’altro di Napoleone
Orsini, padre di Gentil Virginio Orsini, questi ultimi sono invece
conservati nel museo Tosio. Sappiamo21
che su un foglio incollato sul retro, autografo di Tito Speri, che
questi affreschi erano ubicati nel salone; inoltre, sempre nel museo
Tosio, sono conservati altri due ritratti di Valerio e Gentil
Virginio Orsini, riferibili ad Altobello Meloni22.
Questi affreschi vengono menzionati nel «memoriale» di Pietro
Contarini del 1623 come ubicati nella loggia. Sempre nel bresciano,
nel museo di Santa Giulia, è conservato un altro sarcofago del
generale Orsini e anch’esso presenta un epitaffio che ricorda le
imprese del soldato di ventura:
«Niccolò
Orsini proteggerà i suoi resti mortali in questo sepolcro. Egli
portò le insigne del leone per il re di Napoli, fu capitano delle
milizie toscane e pontificie e generale dell’esercito veneto»
L’opera
sembra sia attribuita allo scultore Antonio Mangiacavalli, di cui non
abbiamo notizie specifiche se non alcuni recenti studi23;
inoltre sappiamo che fu allievo di Gaspare Cairano e che collaborò
col maestro nella realizzazione del portale del duomo di Salò24.
Gli
anni in cui il generale Orsini militò per la repubblica veneziana,
come abbiamo potuto vedere, si rivelarono estremamente prolifici, non
solo sotto il profilo militare ma anche culturale. Le straordinarie
imprese militari di Niccolò Orsini sollecitarono l’interesse di
Paolo Giovio; egli seguì la diatriba intercorsa tra l’Orsini e
Bartolomeo D’Alviano sulla strategia da adottare per respingere
l’imperatore Massimiliano, che voleva attaccare la città lagunare
25.
L’importanza di Niccolò III agli occhi di Giovio è ravvisabile
negli Elogi che il letterato redige quando ormai il
generale
era deceduto, leggiamo infatti:
«Parve
non senza cagione, che la Signoria piangesse, come capitano molto
fedele e prudente, […] e per questo per cagion di honore gli fece
una statua a cavallo di legno: con animo però di fargliene fare una
di bronzo indorata, a più tranquillo tempo della Repubblica (qui
Giovio si riferisce ad un altro monumento funebre nella basilica dei
Santi Giovanni e Paolo di Venezia): havendo egli, se non
altro,
per almeno meritato perpetuo honore, che senza pigliar mai in nessun
luogo per gli Re stranieri, come si convenne a huom romano: d’ogni
tempo combatté solamente per la gloria, o per la salute, e
reputatione dell’Italia»26.
Il
progetto di Giovio, per gli Elogia, prevedeva che
ad ogni
biografia dovesse corrispondere il ritratto del personaggio
«elogiato»; ma questi ritratti non dovettero rimanere soltanto «su
carta», egli voleva creare un vero e proprio museo degli «uomini
illustri»: il museo di Giovio di Borgovico. Di questo grandioso
progetto facevano parte, tra gli altri, anche i ritratti di Pomponio
Leto e Giovanni Pontano e anche il ritratto di Niccolò III Orsini.
Il ritratto «cartaceo» del generale Orsini contenuto negli Elogi,
corrisponde ad un ritratto del generale Orsini conservato nel museo
civico di Como, il quale proviene dal museo di Borgovico; infatti nel
1843 l’ultimo erede di Giovio vendette il dipinto a Pietro
Baragiola per poi confluire nel museo lombardo, dove si trova
tutt’ora. Su modello di questo dipinto furono realizzate almeno
altre tre copie: una conservata agli Uffizi di Firenze, un’altra al
Kunsthistorisches Museum di Vienna e un’altra nel museo diocesano
di Pitigliano, anche se stilisticamente lontane nel tempo si rifanno
al modello proposto dal museo gioviano.
Maggiori
informazioni ci arrivano dalla copia degli Uffizi: su modello
inaugurato da Giovio, il duca Cosimo de Medici, intorno alla metà
del Cinquecento, volle riprodurre l’intera serie di Borgovico;
infatti il duca inviò l’artista Cristofano dell’Altissimo a
copiare i ritratti degli uomini illustri per un totale di 484
dipinti; Cristofano ne copiò almeno 280, tra cui quello del generale
Niccolò III Orsini.
Venezia
salutò il generale Orsini come Fabio D’Italia
che, ormai gravato dalla malattia, si spense il 10 febbraio 1510 e la
sua salma fu trasportata nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo,
dove si trova un altro monumento funebre dedicato al grande generale,
e che Paolo Giovio cita nei suoi Elogi.
Il monumento, ubicato nel transetto destro della basilica lagunare,
presenta ancora una scultura lignea placcata in oro (e non fu mai
realizzata in bronzo, come Paolo Giovio ci fa intuire), di autore
ignoto, rappresenta il generale a cavallo, affiancato da due figure
di virtù riferibili allo scultore Tullio Lombardo, che realizzerà
nella stessa basilica il monumento funebre al doge Andrea Vendramin.
L’ epitaffio del generale Orsini recita:
«
A Niccolò Orsini, grande per valore e per fedeltà principe
celeberrimo di Nola e di Pitigliano, fortunatissimo generale dei
Senesi, dei Fiorentini, dei pontefici Pio II, Innocenzo e Alessandro,
dei re napoletani Ferdinando e Alfonso: per quindici anni operatore
di cose grandi a favore della Repubblica veneta, ed in ultimo per
aver valorosamente salvata Padova dal più duro di tutti gli assedi,
il Senato veneziano questo monumento poneva. Morì a 68 anni nel
1510.»
L’esercizio
del potere e l’esaltazione del suo casato, naturalmente, avvennero
anche nella natìa Pitigliano. Finora abbiamo accennato agli
affreschi della sala dei Trionfi e della sala d’armi della fortezza
pitiglianese; ma la fortezza sotto il potentato nicolino fu
riedificata, probabilmente dopo il matrimonio con Elena Conti o
quando il generale spodestò la sua matrigna – Penelope - dopo un
tentativo di usurpazione. Ciò che è certo che questa
ristrutturazione avvenne tra gli anni Sessanta e Settanta. Di
notevole interesse sono le sculture del cortile interno (che conduce
all’ingresso) in special modo quelle del pozzo e quelle del
portone, riferite alla bottega di Ambrogio Barocci, antenato del ben
più noto Federico27.
Ambrogio Barocci, in quegli anni, lavorò a Castell’Ottieri vicino
Pitigliano; inoltre Niccolò III commissionò il sarcofago di suo
figlio Francesco, morto e sepolto a Spoleto nel 1499, e che il marmo
per la sua realizzazione provenisse da «Favobello in tenimento
Cammori districtus Spoleti»28;
quindi abbiamo un legame diretto con Ambrogio Barocci che,
naturalmente, approfondiremo.
I
fasti della famiglia Orsini vengono magistralmente celebrati da un
monumento nella piazza del duomo di Pitigliano: il
monumento alla progenie orsina,
che sappiamo essere stato realizzato nel 1490 ed ha delle assonanze
con le decorazioni scultoree del palazzo. Esso consiste in un
pilastro decorato con un orso in cima (simbolo della famiglia); la
decorazione verte in tre fasce con motivi floreali e cornucopie
(simbolo di prosperità sotto il dominio nicolino), l’epigrafe
recita:
«
Ercole dopo la guerra della fatica nemea operò vari altri portenti:
ma si guardò bene dal tentare la collera mia. L’amello non ha
merito che per la bellezza e la fragranza: la rosa supera questo e
mille altri fiori in ambo i pregi. Da questi segni è dato conoscere
facilmente che la rosa supera tutti i fiori e l’orso tutte le
belve. E cosi la progenie orsina che s’illustra d’ambedue questi
simboli primeggia fra tutti per la virtù del braccio, della mente e
del cuore.
Niccolò
III Orsini reggente e provveditore e capitano generale delle milizie.
Niccolò Turero pretore, Feliciano Vannuzzi sindaco, Domenico Covelle
e Angelo Dominici. Anno del Signore 1490»
Per
questa ed altre opere non bisogna non considerare nuovamente la
figura di Gentil Virginio Orsini di Bracciano; il richiamo al duca di
Bracciano è anzitutto un aggancio utile alla ricerca poiché se è
vero che egli ha avuto un enorme fortuna critica è altrettanto vero
che il conte di Pitigliano non ne abbia goduto affatto. Una
pubblicazione di Gabriele Fattorini29
ha rivelato un possibile coinvolgimento di Francesco di Giorgio nella
realizzazione di palazzo Orsini di Campagnano, appartenuto a Gentil
Virginio. Il noto architetto senese, inoltre, sostò per un periodo
di dieci giorni a Bracciano sotto l’ala protettrice di Gentil
Virginio nel novembre del 1490. Quale legame potrebbe sorgere con
Pitigliano? Anzitutto bisogna considerare la figura di Francesco di
Giorgio quale protetto del duca Federico da Montefeltro (ricordiamo
il suo stemma a Fiano Romano), il quale da tempo fu amico di
Napoleone Orsini, padre di Gentil Virginio (rammentiamo il ritratto
di Napoleone a Ghedi); il grande signore di Bracciano può essere
annoverato tra i più potenti signori del tempo, anch’egli aveva
numerose contee tra cui quella marsicana di Tagliacozzo che
tratteremo a breve.
Francesco
di Giorgio prese servizio nella corte urbinate del Montefeltro nel
1477 per poi prendere servizio presso gli aragonesi, come del resto
Gentil Virginio e Niccolò Orsini. Fattorini alimenta l’ipotesi
secondo cui Francesco di Giorgio abbia lavorato nella marsica
specialmente a Scurcola Marsicana, Avezzano e Tagliacozzo. In effetti
in questi territori è ravvisabile una certa diffusione della cultura
artistica urbinate, special modo a Tagliacozzo, nel palazzo Orsini.
Già Adolfo Venturi scorgeva degli «echi martiniani» nella loggia
del palazzo, nella quale ricorrono gli elementi eseguiti da Ambrogio
Barocci e Giovanni di Stefano ad Urbino, i quali
seguirono i dettami di Francesco di Giorgio; e se è vero che le
sculture pitiglianesi siano riferibili ad Ambrogio Barocci questo
sarebbe sorprendente. Tutti questi elementi vanno a creare una sorta
di relazione insiemistica tra: gli Orsini di Bracciano, gli Orsini di
Pitigliano, la corte urbinate del Montefeltro, Francesco di Giorgio e
Ambrogio Barocci.
Le
decorazioni marsicane richiamano un gusto pienamente rinascimentale
con foglie di acanto, panoplie e gli stemmi Orsini collocabili al
1497 quando poi il territorio passò ai
Colonna, dopo la morte di Gentil Virginio Orsini. Lo stesso gusto
ispirato da Francesco di Giorgio Martini, Ambrogio Barocci e Giovanni
di Stefano è riscontrabile anche nelle sculture del cortile del
palazzo di Pitigliano, che presentano gli stessi motivi «guerreschi»
della porta «della
guerra»
di Urbino, e gli stessi motivi guerreschi ricorrono negli affreschi,
seppur frammentari, della sala d’armi del palazzo pitiglianese.
Accanto
a Giovanni di Stefano, a Pitigliano, operò anche un altro artista
senese Antonio Federighi30,
col quale collaborò alla realizzazione del monumento
alla
progenie orsina
che a sua volta
richiama le sculture del palazzo; quindi si ha una continua
contaminazione fra maestranze senesi e cultura urbinate.
La
forte presenza di maestranze senesi a Pitgliano, coincide con la pace
perpetrata tra le due città che da sempre furono nemiche; infatti le
«ambizioni» espansionistiche di Siena furono sedate dal generale
Orsini, dopo secoli di lotte. Quindi il probabile «invio» di
maestranze da parte della città di Siena fu un atto diplomatico,
come accadde per esempio fra Lorenzo il Maginifico e Sisto IV dopo la
congiura dei Pazzi nella quale anche Niccolò III fu coinvolto.
Sebbene la cultura filo «senese – urbinate» andrebbe approfondita
maggiormente, la presenza del Barocci nella corte di Niccolò III non
sembrerebbe del tutto aliena; infatti sappiamo per certo che lo
scultore lavorò per il conte nell’esecuzione del monumento funebre
al figlio Francesco che morì nel 1499 nella città umbra31
con decorazioni che richiamano le sculture pitiglianesi con quei
«mirabil fogliami» che Giovanni Santi connota come vera e propria
specialità del maestro32.
Il
legame tra gli Orsini e la città di Spoleto ci viene, inoltre,
ricordato dal Sansovino il quale ci dice che:
«
fra tutti gli altri popoli, a quelli dell’Umbria et specialmente a
gli huomi di Spoleti, il nome degli Orsini è sempre sta gratissimo
et caro».33
La
decorazione interna ad affresco presenta anch’essa una certa
criticità; non solo essa fu realizzata in differenti epoche, ma la
maggior parte di essa è stata scoperta solo recentemente e siamo,
quindi, digiuni di studi approfonditi. Una parte della «sala dei
trionfi» è stata circoscritta – da chi scrive – tra il 1488 e
il 1494 per una fattore prettamente storico; nella volta di suddetta
sala è rappresentata la «ruota astrologica» ed abbiamo una
descrizione sommaria proveniente
da un «anonimo apatista» che scrisse nel 1771:
«
La sala del primo piano è ammirabile per la sua volta ridotta quasi
in piano dove sono dipinti tutti i segni dello zodiaco».34
Nonostante
queste difficoltà, anche qui c’è un richiamo ad un gusto
«antiquariale» con un riferimento filo-senese; già nel 1994 Alessi
notava un’analogia tra gli affreschi del secondo piano, con
ritratti dei membri del casato orsino (quella che l’anonimo
apatista definisce «camera del conte») e le decorazioni operate
nella cappella di Piazza di Siena realizzate da Antonio Federighi nel
1470, il quale collaborò al monumento della
progenie
orsina.
Inoltre la Alessi ci
ricorda che tali ritratti probabilmente rammentano quelli eseguiti da
Masolino in Monte Giordano a Roma. Anche a Tagliacozzo, proprietà di
Gentil Virginio Orsini, ricorre una serie di «uomini illustri» del
casato orsino, realizzate da Lorenzo da Viterbo e stando a De Simone35
questi ultimi affreschi sono avvicinabili alle incisioni di Maso
Finiguerra.
Quello
con Maso Finiguerra è un collegamento importante perché egli fu
maestro del discreto incisore Baccio Baldini, che il Vasari indica
come come collaboratore del Botticelli nella realizzazione della
commedia dantesca; in effetti chi scrive ravvisa echi botticelliani
negli affreschi del secondo piano e che guardando alcune incisioni
del Baldini – raffiguranti una «serie di pianeti» dei musei
civici di Pavia databili al 1460 - il particolare del «carro di
Marte» ricorda molto il cavaliere del «medaglione astronomico»
nella sala dei Trionfi; ma gli affreschi del cosi detto medaglione
sono sicuramente più tardi, forse oltre gli anni Venti del
Cinquecento ciò non toglie che esso potrebbe esser stato ispirato
alle incisioni del Baldini.
Mangiavacchi
trova analogia tra i clipei del secondo piano con la Madonna
del perdono di
Donatello
realizzata per l’altare della Madonna delle Grazie di Siena36,
pertanto un sottile aggancio che evoca tanto il mondo di Francesco di
Giorgio quanto quello del Federighi, il cui richiamo si nota
benissimo nei lacerti con il compasso a sesta del portale di ingresso
del palazzo pitiglianese con una fascia recante il motto di Niccolò
III Orsini: T.O.N.M (Tempus – Ordo – Numeros – Mesura) nella
sala d’armi (Fig.4); ma i parallelismi continuano sempre sul filo
senese. Cecilia Alessi dice che probabilmente l’artista faceva
parte della cerchia del Vecchietta che guardava con entusiasmo gli
ultimi esisti dell’arte di Donatello, chiamando in causa Neroccio
di Bartolomeo, Benvenuto di Giovanni e Andrea di Niccolò.
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Fig. 4 - Sala «d'Armi», Palazzo Orsini di Pitigliano
Foto cortesia di Leo Gavillucci.
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In
conclusione possiamo dire che l’intrecciarsi di relazioni
diplomatiche sono fondamentali per comprendere non solo la storia, ma
anche la società d’ogni tempo, la quale si espleta anche
attraverso l’arte.
Arte,
politica e potere si intrecciano e si inseriscono nella «macro
storia» che troviamo nei manuali scolastici, i quali il più delle
volte omettono questo aspetto. La complessità nascosta dietro una
figura quale Niccolò III Orsini, in questo caso, è significativa
poiché racchiude in sé una storia variegata che comprende ogni
aspetto della vita quattrocentesca: corti principesche, papato,
contee, umanisti e artisti di tutta la penisola italica. Non potendo
analizzare singolarmente ogni aspetto di questa situazione, spero che
questo contributo sia d’ispirazione per la prosecuzione di studi
più approfonditi, che possano portare alla stesura di un lavoro
molto articolato e che possa restituire una storia, per molti versi
ancora lacunosa e nebbiosa.
NOTE
6 FABRIZIANI, 1897 p. 269
8 Restaurato per volere del
conte Niccolò III
9 PADOA RIZZO, 1984, senza
pagine
10 BRUSCALUPI 1906 p. 253
11 Il notaio Luca di
Bartolo di Galonta narra: « il Papa giunse in Pitigliano la sera del 20
novembre 1493: era accompagnato da cinque cardinali cioè Ascanio
(Sforza), qui vocabatur Cardinalis de Valentia, Cardinale di San
Giorgio (Raffaele Riaro), Cardinale Orsino e Cardinali Clonacensis. Vi
erano pure cinque vescovi, ma di questi non sono noti i nomi. Il papa
si trattenne in Pitigliano il 20 e il 21 novembre e partì il 22. La
sera del 20 dette la benedizione al popolo nella piazza S. Francesco;
ed il giorno successivo visitò la città […] nel dopopranzo del giorno
22 ripartì per Orvieto.» Cfr. in FABRIZIANI, op.cit. p. 268
12 Dei rapporti con la
Repubblica fiorentina, abbiamo una certa documentazione. La stima del
Magnifico nei confronti di Niccolò III è descritta in uno scambio tra
Lorenzo e Niccolò Michelozzi, conservata nella Biblioteca Centrale di
Firenze, nel Fondo Ginori – Conti, 29, 118-119, Firenze. Lettere emesse
il 24 febbraio 1488 o 1489.
Sempre tramite corrispondenze ho individuato,nel fondo di Gentil
Virginio Orsini nell’Archivio Capitolino, una lettera di un tal «
Honofri Tornabuoi da Firenze in Roma per lo Magnifico Lorenzo De Medici
al conte di Pitigliano» a proposito di «innumerevoli chosti» che il
Magnifico avrebbe dovuto affrontare e che «gli sono spariti parecchi
ducati» e che saranno inviati «molti giovani fiorentini», forse in
riferimento alla battaglia che Niccolò III stava affrontando a Perugia
nel 1491; infatti la lettera è firmata «Honofri Tornabuoi Roma, 23
settembre 1491 al mio tt.mo S.re di Pitigliano». Archivio Capitolino,
Roma, archivio Orsini, Serie 2 Vol. 102/11 f. 396.
Onofrio Tornabuoi era colui che teneva gli affari medicei a Roma dopo
che suo zio, Giovanni Tornabuoi, dovette ritirasi a Firenze, per la
questione rimando a F. ARCELLI,, 2001, Catanzaro p. 21
13 GAVILLUCCI, op. cit. p.
83
14 ROMEI, ROSINI, 2012, pp
40-41
15 MANGIAVACCHI, 2009, p. 40
16 CAVALLARO, 1981, pp.
36-38
17 COLONNA, 2012, pp.
126-139
18 DE SANTIS, 2015, p. 14
19 Un altro ciclo
riguardate la vita di Niccolò III Orsini pare fosse conservato presso
il perduto Palazzo Nicosia a Roma di proprietà del vescovo Aldobrandino
Orsini, figlio di Niccolò
20 LUCCHESI RAGNI, 2014,
p.18
21 CASTELLINI, 2006, pp.
327-359
22 Altobello Melone
realizzò un celebre ritratto di Cesare Borgia. Il Valentino cercò di
conquistare Pitigliano durante la sua campagna, ma fu respinto
24 ZANI, 2010, pp. 108, 127-128
25 BRUSCALUPI op.cit,
pp.282-290
26 GIOVIO, 2006, p.312 (Corsivo
mio)
27 ALESSI, 1994, pp. 241-242
30 ANGELINI, 2005, pp. 323
– 324
31 CERIANA, 2002, pp. 289
– 303
32 SANTI, 1492, 134-136 in
FATTORINI, 2013, p. 6
34 ANONIMO APATISTA ,2004,
p.89
36
MANGIAVACCHI, 2009, op.cit. p.35
BIBLIOGRAFIA
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