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Arte, politica e potere intorno alla figura di Niccolò III Orsini di Pitigliano  

Leo Gavillucci
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 21 Marzo 2020, n. 890
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00890.html
Articolo presentato il 14 Marzo 2020, Approvato il 21 Marzo 2020 e pubblicato il 21 Marzo 2020
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Abstract

Il panorama socio-politico del tardo Quattrocento è caratterizzato da un susseguirsi di guerre che rischiavano di compromettere la stabilità sociale. Se dal punto di vista politico si soffre, dal punto di vista culturale ed artistico le cose stanno diversamente. Ma cosa succederebbe se un generale d’armi diventasse un fervente mecenate? Niccolò III Orsini conte di Pitigliano (1442 – 1510) fu un ottimo soldato di ventura che lavorò per i più importanti casati e per diversi pontefici, dai quali ebbe numerose lodi. Il presente contributo prende in considerazioni almeno due aspetti che ruotano intorno alla sua figura: uno è quello di mecenate, più o meno diretto, e l’altro riguardante invece la sua glorificazione, avvenuta attraverso la commissione - da coloro che usufruirono dei suoi servigi - di opere d’arte. Questi due aspetti andranno ad intrecciarsi sempre più, quasi a «concatenarsi».



La figura del «mecenate» prende proprio ispirazione a Mecenate, storico protettore di Orazio; questa figura nei secoli si è andata definendo sempre più e grazie alle informazioni che ci sono giunte (ad esempio i registri contabili che attestavano i «pagamenti» dovuti agli artisti) possiamo definire le metodologie che stanno alla base di gestazione di un’opera.

Nell’epoca prescientifica, nelle corti, i signori allocavano danaro per finanziare gli studi e la cultura di preti, letterati e filosofi, i quali venivano pagati, oltre che per istruire i figlioli dei signori, anche «per mantenere le capacità esistenti e non per crearne di nuove». Il signore (mecenate) finanziava, ad esempio, il filosofo le cui capacità servivano per legittimare il suo potere, mantenere il suo dominio e mantenere l’ordine delle cose1. Anche nel campo artistico si viene a creare una relazione analoga costituita da committente – letterato – artista2; infatti il «letterato» forniva le indicazioni iconografiche che l’artista avrebbe dovuto seguire per esaltare, e quindi legittimare, il potere del signore. Questo schema seguiva un certo ordine, quasi si trattasse di una equazione matematica.

Anche nella corte del conte di Pitigliano, Niccolò III Orsini, dovette replicarsi la stessa situazione. Purtroppo non disponiamo di documentazione cartacea, quindi il lavoro sarà quello di «interrogare la storia» e considerare le opere d’arte che, direttamente o indirettamente, ruotavano intorno a questa figura, ancora poco studiata. Sin da giovane si distinse per le sue straordinarie doti militari, partecipò in molte campagne dalle quali ne uscì sempre vittorioso e questo gli permise di consolidare il suo potere. Questi successi militari, con conseguenti ingenti guadagni, gli permisero di finanziare molte opere d’arte e per le sue prodezze fu investito di altre tre contee: Fiano Romano, Nola, e Ghedi; ed in ognuna di esse lasciò il suo segno distintivo.

Un primo problema da affrontare riguarda l’identificazione della consorte di Niccolò III. Verso la fine degli anni Sessanta del Quattrocento, egli sposò Elena Conti di Montalcino. Alcune testimonianze – erroneamente – hanno identificato la consorte come Elena Conti di Montelanico e non Montalcino; l’errore – puramente semantico – mescolato a coincidenze non secondarie ha generato non pochi dubbi: in primo luogo sappiamo che Elena Conti era figlia di un Giovanni Conti e che l’araldica ci mostra lo stemma di famiglia caratterizzato da un’aquila «scaccata». Alla luce di questo sappiamo che i Conti, con lo stesso stemma, erano signori rispettivamente sia di Montelanico che di Montalcino (il ché non nega una parentela), ma che in ambedue le famiglie, nello stesso periodo era presente un Giovanni Conti; la chiarezza avvenne quando analizzando i lignaggi delle due famiglie ho individuato la notizia che il Giovanni Conti «di Montelanico» non aveva figlie, ma solo due figlioli; al contrario a Montalcino abbiamo la testimonianza di Elena Conti del ramo corrispondente3. Il topos dell’aquila scaccata ricorre a Montelanico, Montalcino e Pitigliano (qui unitamente allo stemma Orsini), e il casato Conti lo ottenne da Corradino di Svevia insieme al « popolo romano e un campo rosso»4 .

L’aquila su campo rosso è ben visibile in un’opera che Niccolò III commissionò a Michele da Verona ed oggi conservata nella pinacoteca di Brera. Michele « firma con orgoglio» la Crocefissione5, lo stesso orgoglio che il generale Orsini sentì facendo immettere le sue effigi all’interno dell’opera: a destra, su una colonna, è presente lo stemma Orsini e l’uomo al centro ha uno stendardo che rappresenta un’aquila nera su campo rosso. Nella «sala d’armi» della fortezza di Pitigliano possiamo notare tutti gli elementi dell’araldica; infatti – unito allo stemma Orsini – vediamo un’aquila scaccata (nera ed ocra) su fondo rosso (Fig. 1).

Fig. 1 - Stemma Orsini- Conti, Palazzo Orsini di Pitigliano, Sala D'armi
Fig. 1 - Stemma Orsini- Conti, Palazzo Orsini di Pitigliano, Sala D'armi
Foto cortesia di Leo Gavillucci.

L’identificazione della consorte è stata fondamentale, sopratutto perché siamo digiuni di informazioni circa la sua identità; sappiamo per certo che morì a Nola (Napoli) il giorno 8 giugno del 1504. Il conte fu privato della contea partenopea, per anni appartenuta alla famiglia Orsini, negli anni Ottanta per esserne di nuovo proprietario dal 1494 dopo alcune contrattazioni avvenute con gli aragonesi. Nella contea nolana, presso la chiesa di San Francesco – oggi dedicata a San Biagio – Niccolò organizzò una sontuosa cerimonia funebre, commissionando successivamente un monumento funebre. Di questo oggi non resta che la vasca del sarcofago e una epigrafe che recita:

« Niccolò III Orsini conte di Nola e di Pitigliano volle che qui venisse sepolto il corpo della sua cara moglie Elena Conti e che per l’anima di lei si celebrasse una messa per settimana e ogni anno un uffizio funebre: per il che donò a questo convento 50 iugeri di terreno nel Piano delle Palme. Anno 1504: 8 giugno»

Fig. 2 - Probabile Sarcofago di Elena Conti con ritratto di Niccolò III Orsini, Chiesa di San Biagio, Nola (Napoli) part.
Fig. 2 - Probabile Sarcofago di Elena Conti con ritratto di Niccolò III Orsini, Chiesa di San Biagio, Nola (Napoli) part.
Foto cortesia di Leo Gavillucci.

Il sarcofago (Fig.2), oggi conservato nella sacrestia della chiesa, non presenta iscrizioni e non è stato mai soggetto a studi (è plausibile pensare che varie parti del monumento siano state disperse o ripiegate). In esso è ben riconoscibile la figura del generale genuflesso e, inoltre, nella parte sinistra è presente lo stemma Orsini, ma non vi è traccia del blasone della famiglia Conti; tuttavia – come vedremo – la scultura funeraria ricorre frequentemente nella committenza di Niccolò (si conoscono almeno altri quattro monumenti funebri del generale e almeno uno commissionato per il figlio).

La ripresa della contea di Nola da parte del generale Orsini fu per atto diplomatico: il generale difese il regno aragonese dalla discesa di Carlo VIII; quest’ultimo chiese al generale di allearsi con lui contro gli Aragona, rammentandogli l’antica parentela intercorsa tra Carlo e gli Orsini e dicendogli che «in Italia nulla si era fatto mai senza il valore ed il senno degli Orsini che finalmente Niccolò poteva sperare da lui qualunque gran premio che un monarca potesse concedere»6. Il generale decise di tenere fede alla corona aragonese e per questo fu reinvestito della contea di Nola; inoltre su richiesta di Alessandro VI Borgia (alleato degli Aragona) riuscì a confinare il nemico. Oltre al conte di Pitigliano, nella battaglia furono coinvolti anche Gentil Virginio Orsini e Giacomo Trivulzi i quali rimasero fedeli sia al pontefice che alla corona d’Aragona. Con il passare del tempo Gentil Virginio Orsini cercò di passare nella fazione francese perché la situazione che si venne a creare stava nuocendo, irrimediabilmente, ai suoi affari; inoltre Alessandro VI voleva impossessarsi dei territori di Gentil Virginio per affidarli al duca di Gandìa, e col pretesto della sovversione gli confiscò i beni. Nottetempo avvenne la pace e per celebrare la conciliazione con Carlo VIII, Alessandro VI incaricò Pinturicchio di affrescare la Torre Borgia – in Vaticano – per commemorare l’evento.

Della Torre Borgia, in particolare nella vita di Pinturicchio, Vasari ci dice che:

«In Castello Sant’Angelo dipinse infinite stanze a grottesche, ma nel Torrione da basso nel giardino fece istorie di papa Alessandro, e vi ritrasse Isabella regina Cattolica, Niccolò Orsini di Pitigliano, Giacomino Triulzi, con molti parenti ed amici di detto papa, ed in particolare Cesare Borgia, il fratello e le sorelle, e molti altri virtuosi di que’ tempi»7

La parte descritta dal Vasari purtroppo è andata perduta, ma dalla citazione possiamo trarre alcune informazioni: l’assenza di Gentil Virginio Orsini e il legame che potrebbe intercorrere tra Alessandro VI, Pinturicchio e Niccolò III. Il primo punto potrebbe essere spiegato grazie ai fattori politici, ossia l’astio tra papa Borgia e Gentil Virginio; la seconda questione potrebbe espletarsi facendo dei collegamenti di natura storico - artistica.

Nel duomo di Pitigliano8 il pittore senese Guidoccio Cozzarelli dipinse una Maestà; il Cozzarelli fu tra maestri attivi nel duomo di Siena, in particolare fornì il disegno della Sibilla Libica per il pavimento (di cui il capo cantiere fu proprio il Pinturicchio) e ottenne la commissione per la realizzazione di quattro antifonari per la biblioteca Piccolomini 9. Inoltre il generale ebbe contatti significativi sia con Pio II Piccolomini sia con Pio III Piccolomini durante il suo breve pontificato (ottobre 1503); per di più la presenza di maestranze senesi è molto importante dato che Siena e Pitigliano furono nemiche sin da tempi più antichi 10.

Inoltre echi della scuola di Pinturicchio sono ravvisabili nella cappella Orsini nella chiesa di Santo Stefano Nuovo a Fiano Romano, che il generale acquisì nel 1489, e nella quale è presente anche un altro monumento funebre dedicato a Niccolò III Orsini. Per quanto riguarda il legame col casato Borgia, questo avvenne nel 1492, quando il generale Orsini difese il conclave che elesse Alessandro VI dai disordini provocati da Ascanio Sforza. Il neo pontefice per ringraziarlo gli fece visita a Fiano e Pitigliano 11.

Nel cortile della rocca di Fiano Romano un’epigrafe commemorativa, che reca la data 19 dicembre 1493, ricorda l’evento in cui il pontefice concede l’indulgenza a tutta la popolazione. Gli ingenti guadagni del conte, a seguito delle numerose campagne guerresche, gli permisero di acquistare ed abbellire le sue contee con decorazioni scultoree ed affreschi; infatti in questi anni risultano le decorazioni sia di Fiano Romano, sia quelle della prima sala della fortezza di Pitigliano – da qui Sala dei Trionfi – ove appare la raffigurazione della fortezza di Fiano Romano. Il castello di Fiano fu edificato secondo uno stilema rinascimentale, in particolare quella che ci interessa maggiormente è l’ala quattrocentesca, divisa in nove sale, collegate tra loro da porte nei cui stipiti ricorre il nome « NICOLAUS TIRTIUS URSINUS 1493», ossia la data in cui i lavori furono eseguiti e, verosimilmente, quando gli affreschi furono ultimati.

La volontà del conte di offrire il decoro necessario alle proprie residenze è testimoniato dalla presenza degli affreschi. Nelle sale della rocca di Fiano lo stemma degli Orsini campeggia nelle volte a botte ed è collegato, simbolicamente con un filo di perle, agli stemmi di altri casati, sintomo dei legami intessuti dal conte (Fig. 3); infatti troviamo gli stemmi delle famiglie: Savelli (la figlia di Niccolò, Dianora, sposerà Paolo Savelli di Castel Gandolfo) Aragona ( il conte fu a servizio, in quegli anni, del re), Montefeltro (che come vedremo, in modo più o meno diretto, avranno dei contatti), Medici (nel 1486 il conte prese servizio presso Lorenzo il Magnifico ed in una lettera egli dirà «di avere a cuore il conte di Pitigliano» 12), Colonna, Conti, Anguillara (Il conte acquistò la rocca da Elisabetta dell’Anguillara nel 1489), Borgia, Caetani e Farnese (la figlia di Niccolò III, Lelia o Lella, fu sposata con Angelo Farnese dal 1488 al 1494, ma su questo torneremo più tardi).

L’impianto compositivo ricorda molto la sala delle Sibille affrescate negli appartamenti Borgia in Vaticano, sempre realizzate dal Pinturicchio, anche se qui a Fiano non sembra – a mio avviso – ravvisabile la mano dell’artista senese.

Fig. 3 - Sala dello «Zodiaco», Palazzo Orsini di Fiano Romano, 1493
Fig. 3 - Sala dello «Zodiaco», Palazzo Orsini di Fiano Romano, 1493
Foto cortesia di Leo Gavillucci.

La presenza dello stemma Farnese all’interno della rocca acquista valenza significativa; considerando il matrimonio tra Angelo Farnese e la figlia del conte, Lelia, la rappresentazione dell’araldica farnesiana nel castello di Pitigliano, nella sala dei Trionfi, costituisce in terminus ante quem per la datazione degli affreschi pitiglianesi. Infatti essi possono essere datati tra il 1488 (anno del matrimonio) e il 1494 anno di morte del Farnese 13; sappiamo inoltre che la figlia del conte non si risposò dopo la di lui dipartita. Angelo Farnese, oltre che fratello di Paolo III, fu anche fratello di Giulia Farnese (concubina di papa Borgia) e da un documento edito (Romei, Rosini), proveniente dall’archivio di Giulia Farnese, leggiamo la descrizione delle nozze tra Lucrezia Borgia e Giovanni Sforza:

« Alessandro ha mantenuto e ampliato le abitudini iniziate da Innocenzo (VIII) di maritare le figlie femmine. Pertanto tutto il clero si è messo di impegno – e davvero con diligenza – a far figli, cosicché tutti, dal maggiore al minimo mantengano delle concubine come se fossero delle mogli; e se Dio non provvede, questa corruzione passerà fino ai monaci e ai religiosi, benché quasi tutti i conventi di Roma siano diventati bordelli, senza che nessuno si opponga.

E perché si sappia meglio come è passata la faccenda, la sera rimasero a cena alcuni cardinali e sedettero alla stessa tavola per primo il papa, poi i cardinali e lo sposo cono alcuni altri signori, e fra loro anche donne, cioè anzi tutto la figlia del papa, quindi Giulia sua bella concubina; in terzo luogo la nipote di Innocenzo, Teodorina di lui figlia, la figlia del conte di Pitigliano, la moglie e la figlia di Gabriele Cesarini» 14.


Questa testimonianza non fa altro che rendere più stringente i contatti tra Borgia, Farnese e Orsini che avrebbero potuto portare alla realizzazione di qualche opera; inoltre in un altro documento edito (sempre Romei e Rosini) riguardante il matrimonio tra Giulia e Orsino Orsini, celebrato il 9 maggio 1490, troviamo, seduto accanto a Francesco Cybo figlio del papa, Nicolaum de Ursinus Pitiliani. Il matrimonio tra Lelia Orsini e Angelo Farnese, fu celebrato anche dalla famiglia Farnese che per l’occasione restaurò il cortile della rocca di Valentano (nell’attuale provincia di Viterbo); infatti i capitelli del portico sono decorati con motivi riferibili alle nozze: giochi augurali con i due stemmi unificati.

Nella Sala dei Trionfi a Pitigliano, per giunta, c’è un probabile ritratto di Gentil Virginio Orsini 15 che trova la sua giusta ubicazione tra gli «illustri Orsini»; non solo Gentil Virginio fu cugino del conte di Pitigliano, ma fu anche il suo compagno di battaglia, proprio negli anni in cui questi affreschi furono realizzati. Il conte di Bracciano è fondamentale per stabilire delle connessioni tra la produzione artistica e il rapporto con i letterati. Abbiamo già evidenziato l’importanza degli umanisti nelle corti principesche e nella relazione committente/artista. Finora le opere, verosimilmente, commissionate dal generale Orsini seguono un programma celebrativo ben preciso; per di più le connessioni con altri casati farebbero presupporre un’ottima organizzazione, che potrebbe espletarsi attraverso documentazione, purtroppo non reperibile ma deducibile da fatti storici. Sappiamo che sicuramente Gentil Virginio Orsini ebbe contatti con Pomponio Leto, Giovanni Gioviano Pontano e Adriano Fiorentino16, che furono al servizio dell’Orsini per circa due anni, e che poi seguiranno a Napoli – presso gli aragonesi – dove il signore di Bracciano si trattenne fino al 1495, anno della storica battaglia contro Carlo VIII. Proprio in quell’anno Niccolò III fu investito capo delle milizie veneziane e sicuramente entrò in contatto con gli umanisti; infatti sappiamo che nel 1503 Pietro Bembo fece visita, a Fiano Romano, al generale Orsini. Il grande umanista, probabilmente conosciuto a Venezia, potrebbe essere la «chiave di volta» per determinare la relazione committente/umanista/artista; sopratutto perché Bernardo Bembo, padre di Pietro, era un esponente della bresciana Accademia dei Vertunni.

L’Accademia dei Vertunni nacque a Brescia intorno al 1479 e Niccolò Orsini per i suoi servigi alla Repubblica lagunare fu investito della contea di Ghedi, nell’attuale provincia di Brescia e quindi, probabilmente, ebbe contatti con l’Accademia; l’ipotesi inoltre è suffragata anche da un possibile collegamento con il Polifilo. Stefano Colonna ha evidenziato connessioni tra il testo polifilesco e l’Accademia dei Vertunni, di come quest’ultima si sia ispirata al dio Vertunno – della fecondità – e che sia nata per volere di Bartolomeo Averoldi, abate di Leno. Inoltre Stefano Colonna ha evidenziato un importante collegamento tra gli esponenti dell’Accademia dei Vertunni, l’Accademia romana di Pompionio Leto, l’Accademia napoletana di Giovanni Pontano e Francesco Colonna, signore di Palestrina, indicato come autore del Polifilo 17.

Bernardo Bembo, esponente dell’Accademia bresciana, fu amico di Francesco Diedo, autore di molteplici traduzioni di testi antichi, il quale ebbe contatti sicuri con Andrea Brenta, segretario di Oliviero Carafa. Maurizio Calvesi – come ricorda Stefano Colonna – crea un parallelismo tra la cultura antiquariale del Polifilo con i «geroglifici romani» presenti nella cappella di Oliviero Carafa nella basilica di Santa Maria Sopra Minerva a Roma. La cappella della Minerva a questo punto assume un significato rilevante dal momento in cui Francesco De Santis ci informa18 circa un ritratto di Niccolò III Orsini eseguito da Filippino Lippi. La cappella di Oliviero Carafa fu realizzata nel 1493, un anno dopo l’elezione di Alessandro VI, e non dimentichiamo che una delle figlie di Niccolò III sposò Sigismondo Carafa, nipote di Oliviero, e questo spiegherebbe anche la presenza dello stemma araldico dei Carafa all’interno della rocca di Fiano, eseguito proprio nel 1493.

Un’ulteriore prova circa i contatti tra il generale Orsini e l’Accademia dei Vertunni è dovuta alla frequentazione della famiglia Barbarigo; sicuramente un esponente importante dell’Accademia fu Pierfrancesco Barbarigo, figlio del doge Agostino Barbarigo.

Abbiamo detto che Niccolò III divenne capo delle milizie veneziane e per i suoi straordinari servigi ricevette in dono la contea di Ghedi nel bresciano (dove l’Accademia si costituì); e proprio in questa «nuova» contea sorge un «nuovo» palazzo Orsini, che Niccolò fece decorare con storie della sua vita19 . Gli affreschi, di cui rimangono dei lacerti conservati tra Budapest e Brescia, sono riferibili a Girolamo Romanino. Il nome di questo artista è emerso quando sono stati rinvenuti dei suoi documenti del 1545, che attestavano un certo rammarico dell’artista verso gli Orsini, ancora creditori per gli affreschi realizzati a Ghedi del 1509 20. Gli affreschi furono strappati nel 1843 da Giovan Battista Speri, e uno di questi rappresenta la consegna dei labari da parte del doge Agostino Barbarigo a Niccolò III e questo naturalmente ci riconduce ai legami con la famiglia del doge ed, eventualmente, con l’Accademia dei Vertunni. Altri lacerti ci mostrano due ritratti: uno di Niccolò III e l’altro di Napoleone Orsini, padre di Gentil Virginio Orsini, questi ultimi sono invece conservati nel museo Tosio. Sappiamo21 che su un foglio incollato sul retro, autografo di Tito Speri, che questi affreschi erano ubicati nel salone; inoltre, sempre nel museo Tosio, sono conservati altri due ritratti di Valerio e Gentil Virginio Orsini, riferibili ad Altobello Meloni22. Questi affreschi vengono menzionati nel «memoriale» di Pietro Contarini del 1623 come ubicati nella loggia. Sempre nel bresciano, nel museo di Santa Giulia, è conservato un altro sarcofago del generale Orsini e anch’esso presenta un epitaffio che ricorda le imprese del soldato di ventura:


«Niccolò Orsini proteggerà i suoi resti mortali in questo sepolcro. Egli portò le insigne del leone per il re di Napoli, fu capitano delle milizie toscane e pontificie e generale dell’esercito veneto»


L’opera sembra sia attribuita allo scultore Antonio Mangiacavalli, di cui non abbiamo notizie specifiche se non alcuni recenti studi23; inoltre sappiamo che fu allievo di Gaspare Cairano e che collaborò col maestro nella realizzazione del portale del duomo di Salò24.

Gli anni in cui il generale Orsini militò per la repubblica veneziana, come abbiamo potuto vedere, si rivelarono estremamente prolifici, non solo sotto il profilo militare ma anche culturale. Le straordinarie imprese militari di Niccolò Orsini sollecitarono l’interesse di Paolo Giovio; egli seguì la diatriba intercorsa tra l’Orsini e Bartolomeo D’Alviano sulla strategia da adottare per respingere l’imperatore Massimiliano, che voleva attaccare la città lagunare 25. L’importanza di Niccolò III agli occhi di Giovio è ravvisabile negli Elogi che il letterato redige quando ormai il generale era deceduto, leggiamo infatti:


«Parve non senza cagione, che la Signoria piangesse, come capitano molto fedele e prudente, […] e per questo per cagion di honore gli fece una statua a cavallo di legno: con animo però di fargliene fare una di bronzo indorata, a più tranquillo tempo della Repubblica (qui Giovio si riferisce ad un altro monumento funebre nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia): havendo egli, se non altro, per almeno meritato perpetuo honore, che senza pigliar mai in nessun luogo per gli Re stranieri, come si convenne a huom romano: d’ogni tempo combatté solamente per la gloria, o per la salute, e reputatione dell’Italia»26.


Il progetto di Giovio, per gli Elogia, prevedeva che ad ogni biografia dovesse corrispondere il ritratto del personaggio «elogiato»; ma questi ritratti non dovettero rimanere soltanto «su carta», egli voleva creare un vero e proprio museo degli «uomini illustri»: il museo di Giovio di Borgovico. Di questo grandioso progetto facevano parte, tra gli altri, anche i ritratti di Pomponio Leto e Giovanni Pontano e anche il ritratto di Niccolò III Orsini. Il ritratto «cartaceo» del generale Orsini contenuto negli Elogi, corrisponde ad un ritratto del generale Orsini conservato nel museo civico di Como, il quale proviene dal museo di Borgovico; infatti nel 1843 l’ultimo erede di Giovio vendette il dipinto a Pietro Baragiola per poi confluire nel museo lombardo, dove si trova tutt’ora. Su modello di questo dipinto furono realizzate almeno altre tre copie: una conservata agli Uffizi di Firenze, un’altra al Kunsthistorisches Museum di Vienna e un’altra nel museo diocesano di Pitigliano, anche se stilisticamente lontane nel tempo si rifanno al modello proposto dal museo gioviano.

Maggiori informazioni ci arrivano dalla copia degli Uffizi: su modello inaugurato da Giovio, il duca Cosimo de Medici, intorno alla metà del Cinquecento, volle riprodurre l’intera serie di Borgovico; infatti il duca inviò l’artista Cristofano dell’Altissimo a copiare i ritratti degli uomini illustri per un totale di 484 dipinti; Cristofano ne copiò almeno 280, tra cui quello del generale Niccolò III Orsini.

Venezia salutò il generale Orsini come Fabio D’Italia che, ormai gravato dalla malattia, si spense il 10 febbraio 1510 e la sua salma fu trasportata nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, dove si trova un altro monumento funebre dedicato al grande generale, e che Paolo Giovio cita nei suoi Elogi. Il monumento, ubicato nel transetto destro della basilica lagunare, presenta ancora una scultura lignea placcata in oro (e non fu mai realizzata in bronzo, come Paolo Giovio ci fa intuire), di autore ignoto, rappresenta il generale a cavallo, affiancato da due figure di virtù riferibili allo scultore Tullio Lombardo, che realizzerà nella stessa basilica il monumento funebre al doge Andrea Vendramin. L’ epitaffio del generale Orsini recita:


« A Niccolò Orsini, grande per valore e per fedeltà principe celeberrimo di Nola e di Pitigliano, fortunatissimo generale dei Senesi, dei Fiorentini, dei pontefici Pio II, Innocenzo e Alessandro, dei re napoletani Ferdinando e Alfonso: per quindici anni operatore di cose grandi a favore della Repubblica veneta, ed in ultimo per aver valorosamente salvata Padova dal più duro di tutti gli assedi, il Senato veneziano questo monumento poneva. Morì a 68 anni nel 1510.»

L’esercizio del potere e l’esaltazione del suo casato, naturalmente, avvennero anche nella natìa Pitigliano. Finora abbiamo accennato agli affreschi della sala dei Trionfi e della sala d’armi della fortezza pitiglianese; ma la fortezza sotto il potentato nicolino fu riedificata, probabilmente dopo il matrimonio con Elena Conti o quando il generale spodestò la sua matrigna – Penelope - dopo un tentativo di usurpazione. Ciò che è certo che questa ristrutturazione avvenne tra gli anni Sessanta e Settanta. Di notevole interesse sono le sculture del cortile interno (che conduce all’ingresso) in special modo quelle del pozzo e quelle del portone, riferite alla bottega di Ambrogio Barocci, antenato del ben più noto Federico27. Ambrogio Barocci, in quegli anni, lavorò a Castell’Ottieri vicino Pitigliano; inoltre Niccolò III commissionò il sarcofago di suo figlio Francesco, morto e sepolto a Spoleto nel 1499, e che il marmo per la sua realizzazione provenisse da «Favobello in tenimento Cammori districtus Spoleti»28; quindi abbiamo un legame diretto con Ambrogio Barocci che, naturalmente, approfondiremo.

I fasti della famiglia Orsini vengono magistralmente celebrati da un monumento nella piazza del duomo di Pitigliano: il monumento alla progenie orsina, che sappiamo essere stato realizzato nel 1490 ed ha delle assonanze con le decorazioni scultoree del palazzo. Esso consiste in un pilastro decorato con un orso in cima (simbolo della famiglia); la decorazione verte in tre fasce con motivi floreali e cornucopie (simbolo di prosperità sotto il dominio nicolino), l’epigrafe recita:


« Ercole dopo la guerra della fatica nemea operò vari altri portenti: ma si guardò bene dal tentare la collera mia. L’amello non ha merito che per la bellezza e la fragranza: la rosa supera questo e mille altri fiori in ambo i pregi. Da questi segni è dato conoscere facilmente che la rosa supera tutti i fiori e l’orso tutte le belve. E cosi la progenie orsina che s’illustra d’ambedue questi simboli primeggia fra tutti per la virtù del braccio, della mente e del cuore.

Niccolò III Orsini reggente e provveditore e capitano generale delle milizie. Niccolò Turero pretore, Feliciano Vannuzzi sindaco, Domenico Covelle e Angelo Dominici. Anno del Signore 1490»


Per questa ed altre opere non bisogna non considerare nuovamente la figura di Gentil Virginio Orsini di Bracciano; il richiamo al duca di Bracciano è anzitutto un aggancio utile alla ricerca poiché se è vero che egli ha avuto un enorme fortuna critica è altrettanto vero che il conte di Pitigliano non ne abbia goduto affatto. Una pubblicazione di Gabriele Fattorini29 ha rivelato un possibile coinvolgimento di Francesco di Giorgio nella realizzazione di palazzo Orsini di Campagnano, appartenuto a Gentil Virginio. Il noto architetto senese, inoltre, sostò per un periodo di dieci giorni a Bracciano sotto l’ala protettrice di Gentil Virginio nel novembre del 1490. Quale legame potrebbe sorgere con Pitigliano? Anzitutto bisogna considerare la figura di Francesco di Giorgio quale protetto del duca Federico da Montefeltro (ricordiamo il suo stemma a Fiano Romano), il quale da tempo fu amico di Napoleone Orsini, padre di Gentil Virginio (rammentiamo il ritratto di Napoleone a Ghedi); il grande signore di Bracciano può essere annoverato tra i più potenti signori del tempo, anch’egli aveva numerose contee tra cui quella marsicana di Tagliacozzo che tratteremo a breve.

Francesco di Giorgio prese servizio nella corte urbinate del Montefeltro nel 1477 per poi prendere servizio presso gli aragonesi, come del resto Gentil Virginio e Niccolò Orsini. Fattorini alimenta l’ipotesi secondo cui Francesco di Giorgio abbia lavorato nella marsica specialmente a Scurcola Marsicana, Avezzano e Tagliacozzo. In effetti in questi territori è ravvisabile una certa diffusione della cultura artistica urbinate, special modo a Tagliacozzo, nel palazzo Orsini. Già Adolfo Venturi scorgeva degli «echi martiniani» nella loggia del palazzo, nella quale ricorrono gli elementi eseguiti da Ambrogio Barocci e Giovanni di Stefano ad Urbino, i quali seguirono i dettami di Francesco di Giorgio; e se è vero che le sculture pitiglianesi siano riferibili ad Ambrogio Barocci questo sarebbe sorprendente. Tutti questi elementi vanno a creare una sorta di relazione insiemistica tra: gli Orsini di Bracciano, gli Orsini di Pitigliano, la corte urbinate del Montefeltro, Francesco di Giorgio e Ambrogio Barocci.

Le decorazioni marsicane richiamano un gusto pienamente rinascimentale con foglie di acanto, panoplie e gli stemmi Orsini collocabili al 1497 quando poi il territorio passò ai Colonna, dopo la morte di Gentil Virginio Orsini. Lo stesso gusto ispirato da Francesco di Giorgio Martini, Ambrogio Barocci e Giovanni di Stefano è riscontrabile anche nelle sculture del cortile del palazzo di Pitigliano, che presentano gli stessi motivi «guerreschi» della porta «della guerra» di Urbino, e gli stessi motivi guerreschi ricorrono negli affreschi, seppur frammentari, della sala d’armi del palazzo pitiglianese.

Accanto a Giovanni di Stefano, a Pitigliano, operò anche un altro artista senese Antonio Federighi30, col quale collaborò alla realizzazione del monumento alla progenie orsina che a sua volta richiama le sculture del palazzo; quindi si ha una continua contaminazione fra maestranze senesi e cultura urbinate.

La forte presenza di maestranze senesi a Pitgliano, coincide con la pace perpetrata tra le due città che da sempre furono nemiche; infatti le «ambizioni» espansionistiche di Siena furono sedate dal generale Orsini, dopo secoli di lotte. Quindi il probabile «invio» di maestranze da parte della città di Siena fu un atto diplomatico, come accadde per esempio fra Lorenzo il Maginifico e Sisto IV dopo la congiura dei Pazzi nella quale anche Niccolò III fu coinvolto. Sebbene la cultura filo «senese – urbinate» andrebbe approfondita maggiormente, la presenza del Barocci nella corte di Niccolò III non sembrerebbe del tutto aliena; infatti sappiamo per certo che lo scultore lavorò per il conte nell’esecuzione del monumento funebre al figlio Francesco che morì nel 1499 nella città umbra31 con decorazioni che richiamano le sculture pitiglianesi con quei «mirabil fogliami» che Giovanni Santi connota come vera e propria specialità del maestro32.

Il legame tra gli Orsini e la città di Spoleto ci viene, inoltre, ricordato dal Sansovino il quale ci dice che:


« fra tutti gli altri popoli, a quelli dell’Umbria et specialmente a gli huomi di Spoleti, il nome degli Orsini è sempre sta gratissimo et caro».33


La decorazione interna ad affresco presenta anch’essa una certa criticità; non solo essa fu realizzata in differenti epoche, ma la maggior parte di essa è stata scoperta solo recentemente e siamo, quindi, digiuni di studi approfonditi. Una parte della «sala dei trionfi» è stata circoscritta – da chi scrive – tra il 1488 e il 1494 per una fattore prettamente storico; nella volta di suddetta sala è rappresentata la «ruota astrologica» ed abbiamo una descrizione sommaria proveniente da un «anonimo apatista» che scrisse nel 1771:


« La sala del primo piano è ammirabile per la sua volta ridotta quasi in piano dove sono dipinti tutti i segni dello zodiaco».34


Nonostante queste difficoltà, anche qui c’è un richiamo ad un gusto «antiquariale» con un riferimento filo-senese; già nel 1994 Alessi notava un’analogia tra gli affreschi del secondo piano, con ritratti dei membri del casato orsino (quella che l’anonimo apatista definisce «camera del conte») e le decorazioni operate nella cappella di Piazza di Siena realizzate da Antonio Federighi nel 1470, il quale collaborò al monumento della progenie orsina. Inoltre la Alessi ci ricorda che tali ritratti probabilmente rammentano quelli eseguiti da Masolino in Monte Giordano a Roma. Anche a Tagliacozzo, proprietà di Gentil Virginio Orsini, ricorre una serie di «uomini illustri» del casato orsino, realizzate da Lorenzo da Viterbo e stando a De Simone35 questi ultimi affreschi sono avvicinabili alle incisioni di Maso Finiguerra.

Quello con Maso Finiguerra è un collegamento importante perché egli fu maestro del discreto incisore Baccio Baldini, che il Vasari indica come come collaboratore del Botticelli nella realizzazione della commedia dantesca; in effetti chi scrive ravvisa echi botticelliani negli affreschi del secondo piano e che guardando alcune incisioni del Baldini – raffiguranti una «serie di pianeti» dei musei civici di Pavia databili al 1460 - il particolare del «carro di Marte» ricorda molto il cavaliere del «medaglione astronomico» nella sala dei Trionfi; ma gli affreschi del cosi detto medaglione sono sicuramente più tardi, forse oltre gli anni Venti del Cinquecento ciò non toglie che esso potrebbe esser stato ispirato alle incisioni del Baldini.

Mangiavacchi trova analogia tra i clipei del secondo piano con la Madonna del perdono di Donatello realizzata per l’altare della Madonna delle Grazie di Siena36, pertanto un sottile aggancio che evoca tanto il mondo di Francesco di Giorgio quanto quello del Federighi, il cui richiamo si nota benissimo nei lacerti con il compasso a sesta del portale di ingresso del palazzo pitiglianese con una fascia recante il motto di Niccolò III Orsini: T.O.N.M (Tempus – Ordo – Numeros – Mesura) nella sala d’armi (Fig.4); ma i parallelismi continuano sempre sul filo senese. Cecilia Alessi dice che probabilmente l’artista faceva parte della cerchia del Vecchietta che guardava con entusiasmo gli ultimi esisti dell’arte di Donatello, chiamando in causa Neroccio di Bartolomeo, Benvenuto di Giovanni e Andrea di Niccolò.


Fig. 4 - Sala «d'Armi», Palazzo Orsini di Pitigliano
Fig. 4 - Sala «d'Armi», Palazzo Orsini di Pitigliano
Foto cortesia di Leo Gavillucci.

In conclusione possiamo dire che l’intrecciarsi di relazioni diplomatiche sono fondamentali per comprendere non solo la storia, ma anche la società d’ogni tempo, la quale si espleta anche attraverso l’arte.

Arte, politica e potere si intrecciano e si inseriscono nella «macro storia» che troviamo nei manuali scolastici, i quali il più delle volte omettono questo aspetto. La complessità nascosta dietro una figura quale Niccolò III Orsini, in questo caso, è significativa poiché racchiude in sé una storia variegata che comprende ogni aspetto della vita quattrocentesca: corti principesche, papato, contee, umanisti e artisti di tutta la penisola italica. Non potendo analizzare singolarmente ogni aspetto di questa situazione, spero che questo contributo sia d’ispirazione per la prosecuzione di studi più approfonditi, che possano portare alla stesura di un lavoro molto articolato e che possa restituire una storia, per molti versi ancora lacunosa e nebbiosa.




NOTE

1 HARARI, p. 310

2 SETTIS, 2012, p. 32

3 GAVILLUCCI, 2016, p. 85

4 ROBERTI, 1990, p. 53

5 VICO, 2008 -2009, p. 47

6 FABRIZIANI, 1897 p. 269

7 VASARI, 2004, p. 520

8 Restaurato per volere del conte Niccolò III

9 PADOA RIZZO, 1984, senza pagine

10 BRUSCALUPI 1906 p. 253

11 Il notaio Luca di Bartolo di Galonta narra: « il Papa giunse in Pitigliano la sera del 20 novembre 1493: era accompagnato da cinque cardinali cioè Ascanio (Sforza), qui vocabatur Cardinalis de Valentia, Cardinale di San Giorgio (Raffaele Riaro), Cardinale Orsino e Cardinali Clonacensis. Vi erano pure cinque vescovi, ma di questi non sono noti i nomi. Il papa si trattenne in Pitigliano il 20 e il 21 novembre e partì il 22. La sera del 20 dette la benedizione al popolo nella piazza S. Francesco; ed il giorno successivo visitò la città […] nel dopopranzo del giorno 22 ripartì per Orvieto.» Cfr. in FABRIZIANI, op.cit. p. 268

12 Dei rapporti con la Repubblica fiorentina, abbiamo una certa documentazione. La stima del Magnifico nei confronti di Niccolò III è descritta in uno scambio tra Lorenzo e Niccolò Michelozzi, conservata nella Biblioteca Centrale di Firenze, nel Fondo Ginori – Conti, 29, 118-119, Firenze. Lettere emesse il 24 febbraio 1488 o 1489.
Sempre tramite corrispondenze ho individuato,nel fondo di Gentil Virginio Orsini nell’Archivio Capitolino, una lettera di un tal « Honofri Tornabuoi da Firenze in Roma per lo Magnifico Lorenzo De Medici al conte di Pitigliano» a proposito di «innumerevoli chosti» che il Magnifico avrebbe dovuto affrontare e che «gli sono spariti parecchi ducati» e che saranno inviati «molti giovani fiorentini», forse in riferimento alla battaglia che Niccolò III stava affrontando a Perugia nel 1491; infatti la lettera è firmata «Honofri Tornabuoi Roma, 23 settembre 1491 al mio tt.mo S.re di Pitigliano». Archivio Capitolino, Roma, archivio Orsini, Serie 2 Vol. 102/11 f. 396.
Onofrio Tornabuoi era colui che teneva gli affari medicei a Roma dopo che suo zio, Giovanni Tornabuoi, dovette ritirasi a Firenze, per la questione rimando a F. ARCELLI,, 2001, Catanzaro p. 21

13 GAVILLUCCI, op. cit. p. 83

14 ROMEI, ROSINI, 2012, pp 40-41

15 MANGIAVACCHI, 2009, p. 40

16 CAVALLARO, 1981, pp. 36-38

17 COLONNA, 2012, pp. 126-139

18 DE SANTIS, 2015, p. 14

19 Un altro ciclo riguardate la vita di Niccolò III Orsini pare fosse conservato presso il perduto Palazzo Nicosia a Roma di proprietà del vescovo Aldobrandino Orsini, figlio di Niccolò

20 LUCCHESI RAGNI, 2014, p.18

21 CASTELLINI, 2006, pp. 327-359

22 Altobello Melone realizzò un celebre ritratto di Cesare Borgia. Il Valentino cercò di conquistare Pitigliano durante la sua campagna, ma fu respinto

23 CERIANA, 2006, p. 443

24 ZANI, 2010, pp. 108, 127-128

25 BRUSCALUPI op.cit, pp.282-290

26 GIOVIO, 2006, p.312 (Corsivo mio)

27 ALESSI, 1994, pp. 241-242

28 MANNI, 2004, p. 14

29 FATTORINI, 2013, p. 5

30 ANGELINI, 2005, pp. 323 – 324

31 CERIANA, 2002, pp. 289 – 303

32 SANTI, 1492, 134-136 in FATTORINI, 2013, p. 6

33 SANSOVINO, 1565, p. 7

34 ANONIMO APATISTA ,2004, p.89

35 DE SIMONE, 2013, p.2

36 MANGIAVACCHI, 2009, op.cit. p.35






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