Il legame che intercorre tra arte e società
ha sempre avuto una valenza significativa per la storia dell’umanità, riuscendo
ad adattarsi ed evolversi all’interno del tempo e dello spazio. Da ciò ne
derivano dei profondi mutamenti inerenti in modo particolare al cuore della
definizione stessa di arte. Quest’ultima, oggi considerata una delle pratiche
più caratterizzanti ed universali della specie umana, evolve la propria
identità, in particolare, relazionandosi con il concetto di società a seconda
del periodo storico vigente. L’arte, proprio per tale motivo, è da riconoscere
come un meccanismo di comunicazione simbolica, un elemento complementare per
l’organizzazione dei sistemi culturali e, nelle sue opere, si è pensato di
poter leggere le più profonde attitudini di una determinata società.
Parlare di arte equivale a parlare
dell’uomo. Non può esistere un’istanza estetica se non si riconosce in essa
l’elemento di identificazione antropologica. Si è messo in rilievo come
attività sociali e valori culturali possano trovare espressione figurativa,
come l’arte sia uno strumento di controllo ma possa essere usufruita anche come
coscienza critica.
A tal riguardo si possono, quindi,
distinguere modi diversi per poter affrontare uno studio che faccia da
congiunzione tra arte e società: uno, come detto precedentemente, di tipo
antropologico, studia lo spazio e le sue funzioni che i fenomeni artistici
occupano entro una certa società; un altro, proprio degli storici dell’arte,
legge nella produzione artistica – di cui non mette in questione lo statuto –
la capacità di esprimere i problemi ed i valori di una determinato ambiente, e
punta generalmente la sua attenzione sullo stile e
sull’iconografia delle opere; un terzo, di tipo sociologico, indaga sui modi in
cui i rapporti tra arte e società si sono strutturati ed intessuti, sulle
funzioni attribuite alle opere, sulla figura, la situazione sociale e la
carriera artistica, sulle forme della committenza, sul mercato, sul pubblico.
Sull’argomento si può partire dagli
studi svolti da Winckelmann per
poi passare attraverso gli scritti di Hegel, il quale creò un sistema che
permetteva di abbracciare la storia universale delle arti. Eliminando la
concezione che faceva del classicismo un unico punto di riferimento del
giudizio estetico, Hegel giunse ad un atteggiamento omnicomprensivo di
apprezzamento delle arti di ogni epoca, accompagnandolo alla sua teoria dello
“spirito del tempo”, ovvero alla reciproca affinità che intercorre fra sviluppo
dello spirito umano ed evoluzione dell’arte e del gusto, concetto fondamentale
per gli storici tedeschi fondatori della storia dell’arte moderna. Un
successivo grande sviluppo si ebbe nel momento in cui Arnold Hauser, storico e
sociologo dell’arte, inglese e di origine ungherese, allargò i suoi studi
procedendo attraverso il pensiero marxista, dimostrando fin dal principio una
certa predisposizione ad una mentalità progressiva.
Hauser, infatti, è da considerare
l’esponente più importante della storia sociale dell’arte di orientamento
marxista.
I primi contatti con questo tipo di
visione
che diedero origine a tutte le sue
successive riflessioni, avvennero a Budapest, dove iniziò gli studi di storia
dell’arte. Lì fece parte della cerchia di intellettuali progressisti che si
raccoglieva intorno a Lukàcs, il
quale era convinto che vi fosse un’alienazione dell’uomo nella società
capitalistica.
Egli
si identificava nella filosofia nietzschiana ed in generale nella cultura
irrazionalista come matrice ideologica del fascismo europeo, non andando a
sviluppare direttamente le idee ma solo una corrente di pensiero che parte dal
marxismo e sulla quale si evolve l’ideologia fascista. Ciò implica che Hauser
abbraccerà il pensiero di Karl Marx in cui vengono messi in discussione i
valori spirituali in quanto armi politiche che metteranno le proprie radici
all’interno di una apparente verità o comunque utilizzando una visione per
nulla complessiva ma parziale, distorta, quindi, a seconda degli interessi di
una determinata classe. Ciò che Hauser sottolinea è il fatto che lo stesso Marx
trascurò un elemento importante: l’uomo combatte continuamente contro la propria
parzialità, alla ricerca di un punto di vista obiettivo, poiché, in caso
contrario, si rischierebbe di sfuggire alla casualità della società. Questo dovuto anche al fatto che in alcun
caso un determinato ordinamento sociale può essere definito unitario e di
conseguenza alcuna forma artistica potrà mai presentare la stessa identica
condizione. Un esempio concreto è quell’arco temporale che cinge il XVIII ed il
XIX secolo, in cui ci troveremo dinanzi ad un pubblico molto più aperto nei
confronti della letteratura che non coloro che si accostavano alla pittura.
Potremmo quindi parlare di varie ideologie di un eventuale preciso presente che
andranno a congiungersi dal punto di vista dialogico con un parte della
collettività sociale e, come sottolinea Hauser, solo così potremmo ricavarne di
più del loro inquadramento storico, sociologicamente usufruibile.
Non a caso Hauser prende spunto
dalle sue teorie per riflettere sulla storia dell’arte improntata sull’analisi
tra i fenomeni artistici ed il loro retroterra socio–economico. Egli andrà a
rielaborare queste teorie per adattarle allo sviluppo dei movimenti artistici e
al rapporto con la società. Fondamentale per questo suo lavoro furono gli studi
su Troltsch, figura influente
all’epoca, da cui apprese che sono le azioni dell’uomo a guidare la storia.
Infine, a Vienna, fu particolarmente influenzato dall’interpretazione della
storia dell’arte come Geistesgeschichte e
dagli studi sul manierismo di Max Dvorak, il quale, partendo da spunti
romantici elaborò nelle sue lezioni una teoria intorno all’opera d’arte come
prodotto dello spirito e
sulla mutevolezza del concetto dell’arte nel corso del tempo. Il fattore
principale è che egli respinse la teoria sull’autonomia dell’arte, a suo dire
formata da fattori materiali indipendenti tra loro.
Per Hauser ogni società ha un suo
specifico stile: la società aristocratica predilige uno stile rigido,
tradizionalista, mentre una società come quella democratica ne preferisce
elementi che siano più naturalistici possibili, un’arte più vicina alla città e
così a seguire. Sarebbe da chiedersi cosa avrebbe potuto dedurre Hauser
esaminando la società odierna ed a quale tipo di stile avrebbe potuto
accostarla.
Resta il fatto che Hauser analizza
l’uomo alla luce di ciò che diventa in seguito a cambiamenti. Nel susseguirsi
di movimenti storici, letterari ed artistici, l’uomo acquisisce caratteri nuovi
e diversi, il tutto impastato ed amalgamato dalle mani dell’artista.
Leggendo Hauser ci si rende conto
immediatamente che i suoi scritti, in particolar modo Storia sociale dell’arte,
pubblicata per la prima volta dopo il 1945, subito dopo la fine della seconda
guerra mondiale, potrebbero essere riferite e rapportate ad ogni epoca.
Ripercorrere, quindi, quei periodi storici da lui analizzati permette di
giungere a quel tempo che noi definiamo presente e che può costruire il ponte
con tutti gli innumerevoli presenti artistici che l’umanità ha vissuto.
Affrontare le problematiche dell’arte
dal punto di vista sociologico, considerando l’opera anche come prodotto
commerciale, sembrava, inizialmente, essere un tipo di approccio estraniante da
una corretta analisi di storia dell’arte, intesa come studio di valori
qualitativi. Successivamente ci fu una forte presa di coscienza nel considerare
lo studio di interconnessione fra valore artistico e valore economico, di
fondamentale importanza per comprendere il senso complessivo della produzione
artistica come fenomeno peculiare della nostra cultura. Una presa di coscienza
che ha lacerato fortemente l’animo degli artisti di oggi, portando le loro
opere ad una schiacciante business art, estremizzando in questo caso la
coincidenza fra valore artistico ed economico. Già a partire dagli anni Sessanta,
critici di peso internazionale dibattevano riguardo questo prepotente mercato,
come scrisse Germano Celant , che
andava contro ogni forma di mercificazione dell’arte ma con un senso di
vittimismo irrisorio: «Il mercato è dappertutto. Togliamoci questa moralista
attitudine».
I due termini arte e società hanno
dato vita a due scienze, l’estetica e la sociologia dell’arte e qui Arnold
Hauser giocò un ruolo imprescindibile, chiarendo l’esatto significato
dell’opera attraverso la conoscenza dei fenomeni sociologici. La conseguenza di
questo rapporto tra arte e società si esprime nella sovvenzione economica
dell’arte, sia nella nostra epoca, sia nel passato: la Chiesa è stata il
mecenate dell’arte sicuramente più longevo, mentre dal Rinascimento si sono
aggiunti i principi, infine nel XVII e XVIII secolo questo ruolo fu ricoperto
più che altro dai mercanti e dai borghesi.
L’artista, nonostante sia da
considerare come il creatore del manufatto, risulterà essere un tassello di un
grande mosaico meccanico volto al processo di realizzazione di questo specifico
prodotto allo stesso tempo culturale ed economico. La creatività del singolo
era tendenzialmente subordinata al volere dei mercanti, dei collezionisti, di
coloro che in passato commissionavano un’opera. Poi si è arrivati nel nostro
presente, ai direttori dei musei e ai critici d’arte, i quali manovrano in modo
a volte sottile, a volte esplicito ciò che l’artista è destinato a generare.
Arte ed economia costituiscono,
infatti, due sfere con caratteristiche ed origini sicuramente distinte, ma non
opposte, in cui la società rappresenta uno degli anelli di congiunzione tra
questi due aspetti, che fin dal passato si sono incrociati e sovrapposti.
L’analisi del mercato dell’arte
comporta alcune difficoltà di interpretazione risalenti in particolar modo ad
un’imperfetta distribuzione dell’informazione nel settore ma non possiamo
sorprenderci o rinnegare questo punto se si rimane all’interno di quella
considerazione dell’arte in quanto attività economica.
La funzione economica dell’arte,
infatti, oltre al suo valore estetico e sovraestetico, tende ad esprimersi
tramite il sostegno di complessi processi di commercializzazione che, come
detto, comportano un cambiamento motivazionale e le condizioni dell’attività
artistica. L’approccio a questa tipologia di “prodotto di mercato artistico” si
è sicuramente evoluto nel corso del tempo, al pari modo di come è andato man
mano a mutare l’idea stessa dell’artista in relazione al mondo circostante. In
passato quest’ultimo era stato visto non inerente al rapporto con il sistema
dell’arte, ma all’interno della società, e saranno proprio questi due termini
“arte e società” a dare vita alle due scienze primarie per una visione non
esclusivamente tecnica dell’arte: l’estetica e la sociologia, le quali saranno
successivamente aggregate nella cosiddetta “sociologia dell’arte” di Hauser.
Hauser, legando il mondo dell’arte al materialismo storico di matrice marxista,
riuscì ad interpretare l’arte come parte di una realtà più ampia ed articolata.
È a lui che si deve l’elaborazione di una vera e propria teoria dell’arte,
nella quale le forme artistiche risultano direttamente collegate ai fenomeni
socio–economici. Nella sua analisi, l’arte non riflette meramente la società,
ma interagisce con essa. In questo senso la forma ed il contenuto
dell’espressione artistica risultano in stretto rapporto con il contesto
culturale della società in cui essa si sviluppa.
Lo studioso parte dall’osservazione
che nella storia tutto è realizzazione di individui, ma che gli individui sono
condizionati sia temporalmente sia spazialmente, essendo la loro condotta il
risultato di disposizioni personali e delle circostanze e finirà per
riconoscere che l’arte di un’epoca storicamente più o meno evoluta, non può
essere socialmente omogenea, dal momento che tale società non è essa stessa
omogenea.
Alle medesime conclusioni giungerà
anche Friedrich Antal che,
nel corso delle sue analisi storiche, pone come punto di discussione una
riflessione sul manufatto artistico. Quest’ultimo, infatti, pur essendo
contestualizzato in un tempo ben preciso, riuscirà ad effondere solo una parte
delle cognizioni culturali del pubblico, espresse attraverso l’artista, dal
momento che lo stesso pubblico non è omogeneo, ma risulta articolato in diversi
strati spesso in contrasto fra loro. Questa riflessione permette di
giustificare il perché, analizzando una determinata parentesi temporale
storica–artistica, potremmo imbatterci all’interno di un intreccio di più
stili, direttamente proporzionali agli innumerevoli micro(o macro)circuiti di
persone in grado di apprezzarli.
Una critica intensa a capire l’arte
attraverso un metodo sociologico si sviluppa soprattutto nella vasta Storia
sociale dell’arte (1951) che ha inoltre costituito il primo tentativo del
genere. Successivamente nella sua ultima opera, Sociologia dell’arte (1974),
mette a fuoco ulteriori punti metodologici, tra cui la dialettica
dell’estetica, costituita insieme da spontaneità e resistenza, invenzione e
convenzione. Vi è qui un disarcionamento riguardo l’approccio critico
dell’analisi delle opere, in favore di una sociologia dell’arte che volge il
proprio interesse sul rapporto opera–pubblico. La sua non fu una posizione
passiva nei confronti della storia ma la rottura del concetto di continuità
storicista della cultura che professava, andando in tal modo a sottolineare che
quello che noi chiamiamo “pubblico”, non essendo un corpo omogeneo, si
articolerà in vari settori, spesso antagonisti, poiché lo considera come
un’altra parola per indicare la società, quella società che accoglie l’arte e
di conseguenza la prima cosa da fare per esaminare quest’ultima sarà il doverci
rivolgere verso la struttura sociale e le strutture intercorrenti tra i suoi
vari ordini.
Non esiste un periodo storico o un
epoca che abbia una valenza maggiore o minore rispetto ad un’altra, tutto è
consequenziale, ogni momento necessita di un suo passato per poter persistere
nel presente ma per quanto riguarda il punto di vista culturale, artistico ed
evolutivo–umano, il Rinascimento ha quel nescio quid che lo distingue
all’interno di questo campo.
Il concetto stesso di Rinascimento
equivale ad una diffusa ripresa socio–economica, la quale andrà a riversarsi,
in modo proficuo, anche sulle arti e la cultura. I tanto attesi e sfuggenti
ideali diventano, nel Rinascimento, una vera e propria applicazione progettuale
e come Persefone tornano sulla terra
regalando una nuova primavera umanistica, seminando non solo nel mondo
dell’arte ma contribuendo anche alla fioritura del ruolo dell’uomo nella
società e nel mondo, dopo l’apparente interminabile inverno di fine Trecento.
Hauser nel suo lavoro scritto mette
in risalto tutto ciò attraverso l’individuazione dei motivi che hanno spinto
l’uomo ad intraprendere la strada di questo forte cambiamento sociale ed
artistico, partendo proprio dall’individuazione dei punti cardine che hanno
dato origine a quello da noi conosciuto, appunto, come Rinascimento, per
condurre quelle stesse sue individuazioni verso il tramonto del classicismo
rinascimentale, nella crisi spirituale che investe l’uomo del Cinquecento. Ogni
primavera, d’altronde, così come inizia è destinata a concludersi. I drammatici
eventi storici, le catastrofi economiche, l’instabilità politica e sociale
porranno fine all’ottimismo umanistico nelle facoltà dell’uomo, alle sue
possibilità razionali di dominio e lettura della realtà, fino ad arrivare
all’abbandono dell’unità e dell’equilibrio classico proprio del Manierismo e la
tendenza ad una visione più soggettiva, spirituale della realtà.
All’interno del già citato volume,
Storia sociale dell’arte, non è presente solo un resoconto di alcuni periodi
storici, ma un susseguirsi di stagioni sensoriali dell’uomo e del mondo
dell’arte, l’inizio del pensiero moderno, di un processo capitalistico e per
certi aspetti oserei dire di quella globalizzazione che oggi vive nel suo
massimo aspetto l’uomo del “2000”.
Il Rinascimento potrebbe esser
considerato, per alcuni aspetti, precursore di un grande progetto visionario,
una visione che andrà poi a riflettersi all’interno di tutto ciò che
circoscrive il concetto stesso di arte. Come disse Hauser:
«Il Rinascimento intensifica questo
processo di sviluppo dell’economia e della società medioevale verso il
capitalismo solo per l’indirizzo razionalistico che vi porta, indirizzo che
d’ora in poi sarà predominante in tutta la vita intellettuale e materiale. E ad
esso si ispirano i principi che di qui in avanti saranno normativi per l’arte:
la coerente unità dello spazio e delle proporzioni, l’accentrarsi della
rappresentazione su un solo tema principale e l’ordinarsi della composizione in
una forma immediatamente afferrabile. Vi si esprime la stessa avversione per
tutto quello che sfugge al calcolo e alla prova, che si ritrova nell’economia
del tempo, che apprezza il metodo, il calcolo, la convenienza; lo stesso
spirito che pervade l’organizzazione del lavoro, la tecnica commerciale e
bancaria, la contabilità a partita doppia, i metodi di governo, la diplomazia e
la strategia.»
Seguendo la prospettiva sociologica
di Hauser, una buona parte di studiosi perseverano nel voler abbattere un muro
già da tempo in fase di distruzione: che nessun movimento artistico o
letterario è definibile come un unicum e che, a rigore, non esistono quasi
“movimenti”, ma si dovrebbe piuttosto parlare di un consorzio culturale,
costituito da più o meno incoerenti singole personalità artistiche e linguaggi
formali, raggruppati intorno ad un nucleo comune che scaturisce nella coscienza
della propria solitudine cosmica. Hauser sicuramente ho svolto il proprio
lavoro di lettura, comprensione ed interpretazione della storia e della storia
dell’arte ma d’altronde intuizione ed analisi personale sono il motore di
ricerca per ogni studioso, storico e letterato; da non trascurare un elemento
di fondamentale importanza ovvero che ogni sua supposizione si è sempre
poggiata su di una ben salda struttura muraria fatta di dati scientifici e
storici.
Per certo si può affermare con
disinvoltura che questo suo lavoro di ricerca ha la capacità di rendere molto
più intimo quel rapporto che intercorre tra l’uomo, la società ed il suo
creato. Come affermò durante l’apertura di una conferenza da lui sostenuta, «le
opere d’arte sono una forma di provocazione». Non parla, infatti, di arte nel
senso aulico del termine, parla di opere d’arte, opere dell’uomo, opere per
l’uomo. Egli afferma che vede nell’uomo un meccanismo ordinato ed efficiente,
un meccanismo come venne teorizzato da Galilei, Cartesio, Newton.
Non può essere sicuramente
trascurato il fatto che, sotto un certo punto di vista, il lavoro svolto dal
nostro storico è limitativo poiché, proprio attraverso la distinzione da lui
operata tra la produzione artistica dei distinti gruppi sociali, imporrebbe di
rivedere una forte contraddizione: la rivoluzione scientifica e le sue
conseguenze religiose e morali. Il punto sta che questo “meccanismo ordinato ed
efficiente” quale è appunto l’uomo, rappresenta pur sempre una struttura che
come qualunque altra macchina è soggetto a commettere errori. Alla luce di
quanto riportato sarebbe riduttivo anche solo ipotizzare chi in questo caso
possa avere o meno ragione su una problematica così importante e non solo
inerente a qualunque genere di opposizione nei confronti di Hauser ma
nell’immenso mare di pensieri in cui gli addetti al mestiere o i profani
rischiano di annegare.
Personalmente condivido
l’affermazione di Hauser quando riconduce le opere d’arte ad una forma di
provocazione. Le quali non possono essere spiegate ma possiamo solo misurarci
con esse. Possiamo interpretarle in conformità dei nostri fini e delle nostre
aspirazioni, dando in tal modo loro un senso. La loro origine si trova nelle
nostre forme di vita e nelle nostre abitudini di pensiero ma, tenendo conto di
questa cosa, consegue che non esiste un rigore scientifico, uno schema
pertinente che ci conduce verso la Storia in generale e verso la Storia
dell’arte. Forse la problematica sta nel fatto che l’uomo in generale cerca
costantemente qualche cosa che sia diverso dalla propria esperienza pregressa
ma allo stesso tempo si mantiene legato alla sussistenza di un’idea
stereotipata legata solo ed esclusivamente alle radici della sua cultura di
origine.
In realtà è che ogni opera d’arte ci
costringe non solo ad una rivalutazione delle opere precedenti ma essendo
ciascuna la visione dell’estrapolazione di un determinato evento storico,
comporterà questa forte congiunzione tra arte e società, in quanto entrambe
possono essere definite mìmesis di realtà che attraversano una
determinata sfera collettiva o più precisamente di un individuo inserito in una
collettività. Concludendo il breve excursus del pensiero dello storico–filosofo
trattato, varrebbe la pena chiedersi cosa comporterebbe riadattare quelle
parole oltre il tempo da lui trascorso in vita e ricontestualizzandole all’interno
del nostro presente.
Partendo dal presupposto hauseriano
in cui non solo l’arte non può essere socialmente omogenea considerando
l’eterogeneità all’interno di una stessa società, ma anche dal fatto che,
mentre l’opera d’arte come forma raggiunge sempre il suo scopo, in quanto
creazione di un singolo, l’arte, in quanto dottrina e verità, non lo raggiunge
mai. Come potrebbe apparire oggigiorno una simile visione?
‹‹In una società post–industriale,
come quella in cui viviamo, dove non dovrebbero esistere più tabù o
superstizioni ideologiche che possano causare rimozioni e censure, è possibile
aprire un discorso e fare un’analisi lucida di un fenomeno quale quello del
mercato dell’arte?
L’arte contemporanea vive in un
sistema articolato di funzioni, corrispondenti ad altrettanti ruoli, giocati
dall’opera, dalla critica, dal pubblico e dal mercato appunto››.
Nella storia, come già detto, tutto
è realizzazione di individui. Gli individui si trovano sempre in una situazione
condizionata temporalmente e spazialmente, e la loro condotta è il risultato
sia delle loro disposizioni personali che di questa situazione.
Eppure il mercato ha avuto l’elasticità di adeguare il proprio circuito alle
novità dell’arte, promuovendo spazi espositivi privati, capaci di richiamare un
pubblico incuriosito di ricchi borghesi, pronti ad accettare i linguaggi di una
nuova arte che significa anche un nuovo modo di vedere il mondo. Questa
capacità camaleontica nella quale appunto si riversa il mercato, in realtà, non
è per nulla lontana da ciò che poteva accadere nei secoli precedenti. Anche
oggi il mercato è in continua evoluzione quanto la stessa società che lo
accoglie, un mercato che condiziona e che è condizionato a sua volta. Questa
appare come una considerazione alquanto semplice se si tiene in considerazione
il fatto che il vero caleidoscopio universale non sono gli occhi della comunità
che guarda ma solo ed esclusivamente gli occhi di chi in quel momento fa da
capo–bandiera della società in questione, qualunque essa possa essere.
Decadrebbe e decade in tal modo quello stretto rapporto tra opera d’arte e
società che, partendo dai presupposti hauseriani, si potrebbero affermare.
Il paradosso è costituito
dall’intreccio tra la generosa utopia delle avanguardie storiche, cioè quella
di voler trasformare il mondo, e l’intraprendenza di un mercato dell’arte,
legato necessariamente alla iniziativa privata e dunque all’economia di
profitto che comporta la regola di considerare l’opera come un prodotto di cui
va incentivato il valore, mediante un sistema capace di dilatare l’informazione
intorno ad essa ed eventualmente anche l’alone mitico che la circonda. Il
denaro è il parametro che ne determina l’identità di valore.
Il denaro, inoltre, è un timbro
universale che, nel caso del mondo artistico, ha una struttura formata dal
valore semantico dell’opera e dal lavoro di riflessione critica effettuato
dalla moderna figura del critico d’arte. L’opera, nel senso generale del
termine, diventa una sorta di nuova torre di Babele, una stratificazione di
pensieri, opinioni, uomini e culture, tutte rivolte alla ricerca di una propria
ideologia che possa identificarsi all’interno di essa. Tale accumulo di
pensieri determina, sicuramente, un processo di accrescimento del valore, un
paradigma che abbiamo visto iniziò proprio all’interno di quello che è padre
del nostro sentire quotidiano: il Rinascimento. Il punto è che il susseguirsi
di questa stratificazione ideologica ha, da sempre, come punto apice
l’identificazione sociale dell’uomo all’interno del mondo circostante, sia per
quanto riguarda la struttura sociale, sia per quanto riguarda quella culturale
e spirituale. Oggigiorno ci si trova di fronte ad un grande capovolgimento dei
valori e delle varie stratificazioni di questa nuova grande torre di Babele, il
cui apice, è costituito dal mercato dell’arte stesso. Questa interpretazione
genera un crollo dell’emisfero culturale.
Il mercato crea uno stimolo
produttivo intorno al prodotto artistico condizionando il pubblico ed il collezionista
in modo esponenziale e assume, in tal modo, le vesti di una presenza mitica.
‹‹Il mito è determinato anche dalla
qualità del circuito entro cui l’opera si muove, costituita dall’identità
culturale e sociale di coloro che vi gravitano. Il circuito è un circolo, una
struttura circolare entro cui si muovono forze culturali, mondane, economiche e
più generalmente sociali che formano un’opinione pubblica, capace cioè di
imporsi come opinione di tutto il corpo sociale.››
Forse
sta proprio qui il punto: nonostante ci sia sempre stato questo legame
incentivato da un costante scambio di interessi tra apparente libera creazione
dell’immaginario artistico e colui che detiene il potere, vi è una netta
differenza tra il tipo di sociologia artistica che Hauser affronta nel corso dei suoi studi e
la situazione che nel presente viviamo, la perdita della nostra individualità
in un mondo in cui la società è venuta a mancare.
L’individualismo
regna in questa utopica globalizzazione artistica, quel genere di
individualismo de–costruttivo, tutto intento non a combattere o sostenere la
società in cui esso è inserito ma proiettato verso un unico scopo, ovvero
l’emergere dal nulla in cerca di gloria, rinunciando al proprio essere
“creatore” per adeguarsi a quei parametri che nulla più dicono al di fuori di
quello che è il costume della società dell’arte: le gallerie, i critici, i
curatori, i quali rappresentano il teatro espositivo in cui l’opera si incontra
col pubblico, la cornice che fa da cerniera tra la solitudine dell’opera tutta
ritagliata dall’immaginario dell’artista ed il corpo sociale.
Nonostante
persista nel nostro immaginario l’idea che l’arte possa appartenere a chi la
guarda, l’artista non riconosce né un dialogante beneficiario della sua opera,
né tanto meno potrà più illudersi di voler raggiungere la moltitudine,
piuttosto riconoscerà il mercante–mediatore, il quale si farà doppiamente
garante nei riguardi dell’artista e del collezionista. Si genera in tal mondo
un circuito chiuso, governato da paramenti che escludono il manufatto
artistico, che escludono la vera etica sociale a cui l’artista si riallacciava.
Un’arte in cui il nome arriva prima dell’opera generata, sempre se quest’ultima
riesca a cogliere l’animo di chi puntualmente dimenticherà anche il nome stesso
del suo creatore.
In
una prospettiva come questa, come si suol dire, la colpa sta nel mezzo. Non può
esser puntato il dito contro solo ed esclusivamente ad un mercato che da sempre
monopolizza tutto ciò che incontra, comprese l’umanità e la sensibilità del
singolo. L’artista cede alle lusinghe e provocazioni del mercato divenendone
egli stesso parte integrante.
Ciò
comporta aspettative eccessive e frequenti riscontri con la realtà che già in
passato vedevano coinvolti giovani che si dedicavano all’arte con la speranza
di diventare ricchi e famosi ed i numeri del mercato palesavano un popoloso
sostrato di bassa manovalanza artistica, cosa che continua a verificarsi in
modo sempre più esponenziale nel nostro presente.
Come
oggi accade anche nelle altre epoche gli artisti che non raggiungevano la
prospettiva iniziale, davano la colpa del loro fallimento all’incomprensione
del pubblico, sognando l’aureo passato in cui vigeva la credenza di un arte
realmente apprezzata.
Lo
stesso Vasari, avendo potuto constatare con i propri occhi il fallimento di
molti amici artisti, aveva ben compreso quale fosse quel meccanismo che
azionava il motore di quel mondo non più dettato esclusivamente dal tanto
discusso genio creativo ma era ben altro ciò che aveva ormai preso il comando.
Lamentandosi dell’eccessiva differenza di trattamento, che vedeva da una parte
artisti ricoperti di fama e denaro e dall’altra degli altrettanto capaci
artisti costretti alla miseria, scrisse al riguardo qualcosa che si potrebbe adattare
benissimo a qualsiasi epoca successiva, compresa la nostra:
‹‹Se in questo nostro secolo fusse
la giusta remunerazione, si farebbero senza dubbio cose più grandi, e molto
migliori che non fecero mai gli antichi. Ma lo avere a combattere più con le fame
che con la fama, tien sotterrati i miseri ingegni, né gli lascia (colpa o
vergogna di chi sollevare gli potrebbe, e non se ne cura) farsi conoscere.››
La triste realtà probabilmente è che in tutta la Storia non
esiste un periodo in cui l’attività dell’artista sia stata una garanzia di
sopravvivenza, non solo economica ma libera sopravvivenza creativa.
Come ricorda Hauser nella sua sociologia dell’arte, l’arte
non è solo fonte di conoscenza ma un vero e proprio completamento della scienza
psicologica umana, e mantenendoci su questo fronte, riportando al pensiero
nostro contemporaneo, la psiche artistica è tutta avvalsa e presa da questa
corsa alla scala di notorietà senza cognizione di causa, perdendo ogni
tipologia di esteticità ed unicità del valore artistico:
‹‹le obiezioni contro la storia
sociale dell’arte derivano principalmente dal fatto che le si attribuiscono
intenzioni che essa non può né vuole perseguire. In particolare essa non cerca
mai, neppure nelle sue forme più rozze, di presentare l’arte come un’espressione
omogenea, comprensiva e diretta di una determinata società.››
Probabilmente
soluzioni non possono esserci al riguardo o comunque al momento ma se è vero
che l’universo è manovrato da questa forza ciclica indomabile ed infrenabile,
ciò che verrebbe da dire ripercorrendo il corso degli eventi storico–artistici,
è che l’unico forte cambiamento che possa rigenerare il sistema lo vedo nella
riconsiderazione del concetto puro di arte attraverso un ridimensionamento
radicale dell’industrializzazione artistica.
A
tal proposito, ci verrebbe da chiedere ad Hauser: cosa accadrebbe alla
sociologia del mercato artistico se improvvisamente tutti i pittori, scultori e
letterati smettessero improvvisamente di firmare le proprie opere?
NOTE
Winckelmann reca contributi
importanti in progressi questa sua parte di studi, partendo da una posizione
liberal democratica fornì una chiave per riscoprire la realtà storica tra vita
artistica antica e vita politica–sociale contemporanea.
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HAUSER 1997 b
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