In
certe occasioni una sola parola può suggerire dei collegamenti
mentali inaspettati ma allo stesso tempo estremamente suggestivi e
pertinenti. Talvolta anche il semplice cognome di un artista
contemporaneo può provocare un cortocircuito mentale dal quale poter
generare un suggestivo dialogo con un passato che è lontano
cronologicamente ma non così distante culturalmente.
Nel
1928 debuttava sulle scene teatrali L’opera
da tre soldi
(Die
Dreigroschenoper)
di Bertolt Brecht: un violento attacco alla feroce e spregiudicata
società capitalistica; una critica accesa al mondo borghese,
ruffiano, cinico e umanamente spietato. Grazie al cosiddetto effetto
di straniamento di cui si avvale il drammaturgo, l’attore in scena
mostra il proprio personaggio tenendosi tuttavia a debita distanza da
quest’ultimo, mantenendo il contegno di chi si limita a suggerire,
a proporre, sollecitando lo spettatore alla critica del personaggio.
Il teatro come forma d’arte è un ottimo palcoscenico per
rappresentare vividamente una critica e attaccare apertamente un
modus vivendi e operandi ma anche l’arte plastica ha sviluppato i
propri metodi di denuncia come espressione di una volontà di
cambiamento. Da quando l’arte si è fatta interprete della visione
umana, svincolandosi dai limiti imposti dalla committenza, ha
iniziato a cercare nuovi sentieri da percorrere. Fare arte è infatti
anche mettere in discussione ciò che è venuto prima, denunciare un
ristagno della situazione attuale, rintracciare o progettare da capo
nuove vie percorribili. Cercare quindi un dialogo diverso tra arte e
mondo abbracciando il contesto che gli si pone intorno. Quest’ultima
è la direzione che è stata intrapresa da un giovanissimo artista
italiano che nonostante il suo riserbo è riuscito a emergere nel
panorama contemporaneo grazie alla propria freschezza e originalità.
Un artista dal cognome alquanto evocativo appunto: Edoardo Tresoldi.
A
quasi sessant’anni di distanza dall’uscita dell’opera teatrale
brechtiana, nasce a Cambiago, nei pressi di Milano, l’artista
lombardo; ad accomunarlo al drammaturgo tedesco è la stessa ritrosia
compensata dalla sconfinata passione per ogni aspetto dell’arte. Il
giovane Tresoldi ha iniziato a “masticare” arte molto presto: a
nove anni infatti prendeva già lezioni di disegno nello studio del
pittore milanese Mario Straforini. Ma è il paesaggio che gli si
mostra attorno che gli insegna un diverso modo di guardare e di
riflettere; nei luoghi natii scruta casupole, casottini incastonati
nella natura circostante, edifici che sono ormai delle rovine, scopre
con meraviglia un’altra dimensione: quella temporale. Agli occhi
dell’artista queste dimensioni sospese, in bilico tra lo spazio e
il tempo, «risultano come una sorta di isolette sacre, in mezzo a
contrasto con l’urbanizzazione che nel frattempo si mangia tutto il
resto del territorio».
È in questo contesto che inizia a incuriosirsi, ad appassionarsi al
paesaggio, ai suoi linguaggi e alla sacralità che abita alcuni
luoghi. Dopo aver studiato design e arti visive all’ Istituto
d’Arte a Monza apprende, anche grazie alla vicinanza con il
distretto del design, un metodo progettuale scientifico e rigoroso
come può essere quello di un architetto. Tra i suoi riferimenti
culturali primari figurano infatti molti architetti come
Michelangelo, Borromini, Bernini o Palladio. Ma i riferimenti
dell’artista sono estremamente eterogenei essendo fortemente legato
alle teorie paesaggistiche di studiosi come Christian Norberg-Schulz
e ancora, ovviamente, alle esperienze di Land Art. «Ma la vera
palestra è stato il lavoro che ho iniziato nel 2009 come scenografo
per il cinema a Roma. Qui ho imparato tutto».
Lavorando sul campo l’artista ha acquisito le tecniche, ha compreso
come scegliere e manipolare i materiali, come raggiungere un
obiettivo nei tempi prestabiliti e come lavorare in squadra al
meglio. La svolta artistica tuttavia è sopraggiunta grazie alla
conoscenza del pittore e street
artist
Gonzalo Borondo. Quest’ultimo ha spronato il giovane a perseverare
nella propria ricerca personale che stava portando avanti ma in un
tacito silenzio, senza mostrarne a nessuno i risultati. A quel punto
Tresoldi mise a fuoco che tutto ciò che aveva appreso nel cinema
poteva diventare la base per un percorso artistico indipendente, il
proprio personalissimo.
Nel
2013 viene invitato a partecipare a un festival di arte urbana in
Calabria e realizza la sua prima scultura: la figura di uomo seduto
su un muretto che guarda il mare. L’idea che lo guida è quella di
realizzare una storia semplice, sottile e decide quindi di utilizzare
per realizzarla una rete metallica che è trasparente, per cercare di
creare un’opera che sapesse inserirsi nel luogo in maniera timida,
quasi invisibile. Con sua grande sorpresa scopre però che in realtà
la trasparenza ha un potenziale molto più ampio ovvero la capacità
di raccontare il luogo attraverso di sé: il paesaggio stesso infatti
disegnava gli stati d’animo della figura e la luce del sole
cambiando raccontava i suoi diversi stati emotivi. Così si rende
conto che il paesaggio era la vera essenza di cui era fatta la sua
prima opera. Dopo l’esperienza rivelatrice in Calabria decide
quindi di lasciare il suo lavoro come scenografo e inizia a lavorare
in studio realizzando una serie di sculture e intraprendendo un
percorso che lo porterà anche all’estero per creare una serie di
opere d’arte pubblica. Dopo un periodo di ricerca realizza quindi a
Londa Control,
presentando ufficialmente il suo pensiero poetico: il concetto di
materia assente. «Utilizzo la rete e la trasparenza per
rappresentare la materia assente, che è il lato immateriale delle
cose».
Da
quel momento ha iniziato ad animare spazi pubblici, festival
musicali, aree archeologiche con le sue invenzioni plastiche con la
consapevolezza ben chiara che intervenire nello spazio pubblico è
una responsabilità importante nei confronti del luogo e delle
persone che lo vivono.
La
scena dell’arte urbana gli ha dato l’occasione di sviluppare
liberamente il proprio lavoro: l’artista è infatti ben consapevole
del fatto che se non avesse fatto altrimenti sarebbe rimasto
imbrigliato dalle regole del mercato tradizionale dell’arte. Questa
indipendenza gli ha permesso di rischiare e, come tende a precisare
l’artista stesso, «senza il rischio, senza la sperimentazione, non
può esserci avanzamento nella ricerca artistica».
Da quel momento in poi Tresoldi ha iniziato così ad allestire il suo
palcoscenico curando nei minimi particolari il rapporto dialettico
tra spettatore e opera, invitando a una doppia riflessione dal
momento che le sue prime realizzazioni sono proprio figure umane
“pensierose”, dei pensatori “alla Rodin” in rete metallica
che abitano lo spazio urbano. Come uno scultore della trasparenza,
l’artista ha sempre messo infatti al primo posto il rapporto con il
contesto che risulta essenziale: «la mia opera, anziché escludere,
vuole includere l’intorno. La tecnica della rete metallica, che ho
acquisito nel cinema, mi consente di creare opere che siano disegni
nello spazio, capaci di dialogare con il contesto, piuttosto che
occuparlo, puntando a una dimensione immateriale e immaginifica.
L’architettura poi mi interessa molto perché puoi viverla,
abitarla, entrarci in relazione diretta anche con il corpo».
È
il Genius
loci,
come lo chiamavano gli antichi romani, lo spirito intrinseco del
luogo, ciò che è alla base della propria ricerca per ogni sua
creazione artistica.
Inizia
così a realizzare delle installazioni che creano dei volumi che non
escludono il paesaggio ma lo includono, valorizzandolo. Lo step
successivo della sua ricerca artistica è infatti la realizzazione di
una cattedrale sospesa, realizzata in occasione del festival
rock-pop Secret Garden Party (L I F T - 2015). Già da prima l’artista aveva iniziato ad alternare alle figure umane quelle geometriche e aveva iniziato ad immaginare di
realizzare delle architetture nel paesaggio: in Inghilterra quindi
realizza la sua prima cupola ed è Tresoldi stesso a precisare che la
vera materia di cui è fatta è la volta celeste. L’utilizzo del
linguaggio dell’architettura classica è un utile strumento per
l’artista per raccontare la sacralità dei luoghi che tanto
ricercava e così facendo, procedendo con questa nuova tecnica, le
dimensioni delle installazioni sono cresciute di pari passo con la
sua poetica.
Dopo
queste esperienze che lo hanno consacrato come scultore quindi gli
serviva solo l’occasione giusta per mettersi davvero in gioco come
“architetto”, cosa che gli avrebbe permesso di concretizzare
tutta una serie di riflessioni fatte sul paesaggio, sul luogo, sulla
sacralità di quest’ultimo. Finalmente nel 2016 l’attesa volge al
termine: il MIBACT infatti gli commissiona il progetto di riqualifica
del parco archeologico di Manfredonia, nello specifico dell’antica
Sypontum.
L’affascinante
area archeologica di Siponto racconta la storia dell’antica colonia
romana del 194 a.C., centro marittimo di grande rilevanza che venne
abbandonato solo in seguito a due violenti terremoti (nel 1223 e nel
1255) che causarono anche l’impaludamento del porto. Gli abitanti
dell’antica Siponto si trasferirono quindi nella nascente città di
Manfredonia fondata dal figlio dell’Imperatore Federico II di
Svevia nella seconda metà del XIII sec., re Manfredi, che sotto il
successivo dominio angioino recuperò parzialmente l’antico
nome, Sypontum
Novellum.
Siponto
era divenuta inoltre una delle più importanti diocesi della regione
come testimoniano i resti della basilica
paleocristiana a
tre navate con abside centrale e pavimento a mosaico. Pregiati
pavimenti musivi relativi alla fase di edificazione della basilica
(IV sec. d.C.) e alla sua ristrutturazione, avvenuta nel secolo
successivo, sono visibili all’interno della basilica medievale
di Santa Maria Maggiore. La basilica medievale, edificata tra la fine
dell’XI e gli inizi del XII secolo, è uno dei cardini
dell’architettura romanica pugliese: ha la forma di un cubo
sormontato al centro da una piccola cupola e una cripta con ingresso
dall’esterno. Fu sottoposta a numerosi interventi di rifacimento
tra la fine dell’XII e gli inizi del XIII secolo e per la
decorazione e la costruzione architettonica furono reimpiegati
materiali, come colonne e capitelli, della più antica Siponto.
Un
grande “architetto della parola” rimase stregato dal fascino del
luogo ancor prima di Tresoldi, il poeta Giuseppe Ungaretti che nel
1961 descrive in una sua raccolta, le Prose
daunie,
l’area di Siponto con dovizia e ammirazione, ricamando con le
parole gli stilemi architettonici dell’antica basilica ed
esaltandone il primato nella storia dell’arte per i suoi dettami
decisamente innovativi.
«Poi
dalla solitudine si sprigiona una colonnetta, e le fanno seguito a
pochi passi, su leoni, le colonne che, fra le scure sopracciglia di
archi ciechi, reggono in una facciata deserta il ricco portale di
Santa Maria Maggiore di Siponto. Non me ne intendo, ma non stupirei
se questa cattedrale in mezzo al prato fosse davvero il primo esempio
del costruire monastico e guerriero nel quale il Medioevo si provò a
fondere le esperienze del suo rincorrere la visione del mondo,
dall’innocente epica dei Mari del Nord alle erudite voluttà della
svelta Persia. La nascita d’un’architettura significa il
principio d’una chiarezza spirituale e d’una volontà vittoriosa.
[…]. Perché questa regione pietrosa non dovrebbe essere una madre
d’architettura? […] Nella sua desolata vecchiaia, Santa Maria
Sipontina impartisce difatti oggi ancora la lezione più moderna».
In
questo contesto così poetico, evocativo e ricco di storia, Tresoldi
si inserisce col suo progetto mutando il paesaggio dell’intero sito
archeologico e mettendo la propria arte al servizio del luogo per
ricostruire la basilica ai tempi del suo antico splendore: grazie
infatti a questa committenza pubblica, oltre che a lavorare sullo
spazio, l’artista ha potuto lavorare anche sulla linea del tempo.
Il progetto Dove
l’arte ricostruisce il tempo realizzato
a Siponto si compone di una innovativa installazione in rete
metallica che richiama, nelle forme, l’ultima fase dell’antica
basilica paleocristiana. Composta da 4.500 metri di rete
elettrosaldata zincata, la basilica metallica è alta 14 metri e pesa
in tutto circa sette tonnellate. La coraggiosa scelta di far
dialogare archeologia e arte contemporanea rientra in
una
visione complessiva di paesaggio inteso nella sua complessità
temporale fra testimonianze del passato e attualità del presente. La
decisione di riqualificare la basilica con questo innovativo
intervento moderno di restauro ha portato a nuova vita un bene
culturale e storico andato perduto, oggi però reso fruibile e
visibile da tutti grazie all’artista lombardo e al proprio team di
giovani creativi.
La
scelta della commissione è nata da un’esigenza di carattere
conservativo, per la copertura delle strutture antiche in particolare
dei mosaici della basilica paleocristiana, e la conseguente scelta di
investire sull’industria creativa (di far lavorare dei giovani
artisti su un progetto di restauro e di riqualificazione di un’area
archeologica) ha permesso uno scambio tra tipologie artistiche che
sembrano inconciliabili da un punto di vista temporale. Gli
attrattori culturali avevano individuato l’area del Gargano e
conseguentemente avevano selezionato alcuni poli, tra cui appunto
quello di Manfredonia, che avevano assoluta necessità di un
intervento di restauro e di riqualificazione, e quindi di
valorizzazione e re-immissione all’interno di un circuito
turistico. Utilizzando i fondi europei relativi all’agenda
2007-2013, questo intervento di circa 9 milioni di euro ha finito
quindi per riguardare l’area di Santa Maria di Siponto e anche
quella di San Leonardo, un complesso medievale limitrofo.
Tresoldi
è stato scrupoloso e metodico fin dall’inizio: «nella
prima fase di realizzazione sono stati necessari alcuni test e studi,
una ricerca sui materiali e sulle attrezzature. La parte più
importante per me consiste nell’assemblaggio sul posto: è
indispensabile una grande organizzazione in modo tale che sul
cantiere ci sia la possibilità di modificare tutto quello che è
possibile, rimpicciolendo alcune parti e ingrandendone altre in base
a intuizioni a cui si giunge lavorando».
L’artista
ha quindi svolto una ricerca sui materiali, sulla storia e sul luogo,
insieme ad esperti quali archeologi e addetti al lavoro del mondo dei
beni culturali. È stato quindi possibile ricostruire gli ambienti
originari, completi di colonne, capitelli e capriate che hanno
restituito al luogo la basilica perduta. Il lavoro svolto
dall’artista quindi appartiene all’ambito del restauro con però
una compenetrazione progettuale di integrazione e innovazione in
armonioso dialogo con quello che rimane dell’edificio preesistente.
L’artista non ha semplicemente ricostruito una parte mancante
assemblandola col resto come se dovesse ripararla: ha fatto permanere
quell’assenza grazie al materiale impiegato. La rete metallica ci
permette di guardare attraverso, di penetrare il materiale
architettonico, ci fa percepire quell’assenza. La rete fa
traspirare la storia dell’edificio e si inserisce nel tessuto
archeologico sollecitando uno scambio, un dialogo tra l’antico e il
moderno.
In
questo parco archeologico l’artista ha quindi ridato una seconda
vita alla basilica paleocristiana, ricostruendola con una tecnica
spettacolare. L’arte contemporanea ha ricostruito il tempo e i
segni del passato oggi rivivono grazie a questa installazione
permanente che riproduce i volumi originali della chiesa di Santa
Maria. Grazie alla sua struttura in rete metallica, leggera e
trasparente, la nuova basilica dialoga con il sito che la ospita ed è
l’artista stesso a spiegare che il paesaggio qui non è solo lo
sfondo ma è anche parte integrante dell’opera, dell’architettura,
di tutto il contesto.
Frutto
di un lavoro artigianale ma estremamente innovativo, uno dei motivi
per cui l’installazione risulta così speciale è che ci troviamo
davanti alla più grande struttura costruita interamente in rete al
mondo. Quindi l’arte contemporanea è riuscita a valorizzare una
memoria antica che sembrava perduta, ma non solo: è riuscita anche a
rendere fruibile e decisamente più accattivante l’archeologia (a
giudicare dall’incremento delle visite registrate dal marzo del
2016). In questo sito archeologico, con la sua struttura, Tresoldi ha
restituito al luogo la propria antica identità ricreando le
suggestioni, le emozioni di chi viveva al tempo questa basilica. Con
il calare della notte poi il coraggio della sperimentazione rende
ancora più affascinante il tutto, in un gioco di ombre e luci che ci
catapulta in un’altra dimensione.
La
vera protagonista quindi è ancora la trasparenza che invita a
guardare al di là e spinge a riflessioni sempre più profonde e a
ripensare l’architettura nelle sue dimensioni reali. Ammirare un
paesaggio è un’esperienza che tutti facciamo, spesso riesce
quando lasciamo le incombenze per accendere i sensi. Ma sentirsi
parte del quadro è un atto decisamente più intenso che fa correre
l’immaginazione e rianima i ricordi. Forse è proprio questo il
segreto delle installazioni di Edoardo Tresoldi: riuscire a
renderci parte integrante e attiva della sua opera stimolando il
nostro inconscio e liberando la nostra fantasia. L’artista
lombardo costruisce veri e propri ricami in metallo,
leggerissimi, quasi trasparenti, grazie a una tecnica di
elettrosaldatura che permette di tenere insieme enormi statue
raffiguranti figure umane o, in questo caso, architetture complesse.
E noi spettatori, come pesci, ci ritroviamo inevitabilmente
intrappolati nella sua ipnotica rete.
«Attraverso
la trasparenza ricostruisco la basilica sparita: la riporto
attraverso la sua essenza, alla sua dimensione più eterea. Una
chiesa sospesa nel tempo che mostra principalmente la sua assenza
raccontando la sua storia e al tempo stesso esprime l’identità e
la sacralità del luogo in cui è stato fatto l’intervento».
Fig. 1 - Dettaglio dell'abside della basilica paleocristiana ricostruita da Edoardo Tresoldi, Manfredonia, Foggia (2016)
Foto cortesia di Elisabetta Tizzoni
Il
progetto ha acquisito una tale importanza da essere ormai
inscindibile dal paesaggio stesso, riesce a scolpire lo scenario e a
fondere il luogo di collocazione con la basilica in un tableau vivant,
dove gli alberi circostanti la chiesa sono parte integrante di essa.
Ogni elemento naturale ed artificiale presente nel contesto è
difatti visibile dall’interno della basilica ed è parte delle
viste e prospettive percepibili.
Nel suo complesso l’installazione ha impegnato per 5 mesi il giovane
staff di Tresoldi, dell’età media di venticinque anni, che
realizza le opere lavorando manualmente alla piegatura della rete,
per una spesa totale di progetto di 3,5 milioni di euro di cui 900
mila per la basilica “fantasma” di filo metallico. Tresoldi
realizza un’installazione in memoria dell’architettura
paleocristiana ed interviene con un progetto inedito grazie alla sua
architettura e alla sua poetica dell’assenza perché sotto le sue
imponenti architetture esiste sempre la necessità di voler
raccontare la superficie attraverso l’architettura, come
manifestazione dell’uomo che si fa spazio in «una nebbia di rete
in cui la forma sparisce».
«Man
mano che raccoglievo informazioni e assimilavo queste tematiche per
me assolutamente nuove, capivo che dovevo suggerire con il mio lavoro
una specie di riapparizione di questo straordinario edificio nel
luogo che originariamente lo ospitava. Non volevo ricostruirlo
fedelmente, non avrebbe avuto senso. Volevo suggerire la sua
presenza, disegnandola nell’aria, per mantenere intatte le
relazioni con il paesaggio ospitante. Un intervento contemporaneo su
un sito archeologico permette di immettere dei valori attuali e
costruire un’operazione culturale. L’idea è stata quella di
disegnare una nuova icona capace di dialogare con l’antico. In
questo modo siamo riusciti a dare vita ad un progetto innovativo di
conservazione dinamica».
Fig. 2 - Basilica di Santa Maria di Siponto con accanto la ricostruzione della basilica paleocristiana ad opera di Edoardo Tresoldi, Manfredonia, Foggia (2016)
Foto cortesia di Elisabetta Tizzoni
Scolpendo
il paesaggio, Tresoldi è riuscito a fare di un luogo un’opera
d’arte viva che respira e si evolve con gli elementi del luogo
generando un’esperienza in grado di metterci in connessione con
l’identità ma anche con la sacralità del posto, la poetica di un
luogo. Il risultato finale è un impatto altamente suggestivo e
coinvolgente: le trame di fili di ferro ricamano un ideale ponte tra
il tempo e la storia, facendo rivivere i ricordi. Le varie esperienze
artistiche percorse nel corso dei primi anni di formazione e
maturazione, scenografia, scultura, musica e cinema convergono con
sincretismo pregnante nella nuova forma espressiva. In questo modo un
lavoro coraggioso e insolito in un contesto archeologico determina
un’enorme valorizzazione del sito e procura al giovane artista un
prestigioso riconoscimento: la medaglia d’oro per l’architettura
italiana, conferitagli da parte della Triennale di Milano.
«La
basilica di Siponto, la mia unica opera finora concepita in relazione
a una preesistenza storica, ha instaurato un dialogo inedito tra
antico e contemporaneo, permettendo al pubblico di relazionarsi con
il tempo e con la storia secondo una chiave di lettura empatica. C’è
un nesso tra tutte le forme creative e credo fortemente nella
contaminazione tra le arti e nella smaterializzazione dei loro
confini. Alcune sperimentazioni che sto portando avanti in questo
periodo e parte della mia ricerca artistica tendono a questo.
L’impermanenza di luce e musica, la loro dimensione liquida e
astratta, le rendono in qualche modo contraltari della Materia
Assente e
del mio racconto scultoreo dell’effimero. Compenetrandosi, sono in
grado di dar vita a unicum
performativi
che fondono linguaggi contemporanei diversi, ma affini».
Fig. 3 - Dettaglio dall'interno della rete metallica di Edoardo Tresoldi,
Manfredonia, Foggia (2016)
Foto cortesia di Elisabetta Tizzoni
Tanto
monumentale quanto leggera, Tresoldi ha realizzato
una basilica
in fil di ferro che si erge trasparente sul perimetro della perduta
cattedrale paleocristiana. I raggi del sole penetrano tra le maglie
quadrate dell’opera permanente, situata a ridosso della compatta e
bianca chiesa medievale e ne sottolineano dettagli, accuratezza e
grandiosità. Un’installazione metafisica e geniale
che
ha riscritto la storia di questi luoghi attraverso qualcosa di
assolutamente tecnologico, una sorta di “cattedrale cyborg”, un
ologramma sfuggente che però ben si sposa con la storia antica del
posto. Tale felice connubio è ben testimoniato dal boom di
visitatori, senza precedenti, da quando l’installazione è stata
inaugurata. Una grandissima soddisfazione per l’artista e per la
committenza. Tresoldi stesso sottolinea che non era affatto scontato
riuscire ad avvicinare anche un pubblico generalista al tema
dell’archeologia.
«Ho
sempre creduto che l’arte debba essere diretta, deve parlare un
linguaggio chiaro e comprensibile a tutti. Il mio obiettivo era
quello di rendere più democratico l’accesso all’archeologia, al
di là degli addetti ai lavori. Per apprezzare l’installazione che
abbiamo costruito non sono necessarie particolari nozioni culturali.
I pugliesi hanno subito capito che non era un’operazione calata
dall’alto, ma teneva conto delle persone, delle loro tradizioni e
del patrimonio della regione, valorizzandolo. Il successo ha avuto
importanti ricadute sia dal punto di vista dell’immagine che dal
punto di vista economico, con la crescita esponenziale del turismo in
una zona finora poco considerata. L’area archeologica in pochissimo
tempo è diventata un luogo conosciuto da tutti, e non solo in
Italia».
Il
suo intervento di ricostruzione della Basilica di Siponto è stato
quindi un grande successo anche di pubblico, grazie al suo
particolarissimo modo di trattare arte e landscape
con apparente estrema semplicità, una sorta di moderna
“sprezzatura”. Le sue installazioni infatti ci appaiono come
schizzi, disegni nello spazio: sembrano veri e propri progetti
architettonici su carta che prendono vita, come se sollevassimo il
foglio del progetto e lo mettessimo controluce per farlo combaciare
perfettamente con le linee del paesaggio.
Dal
2016 la sua carriera è decollata e l’artista è riuscito a farsi
conoscere non solo in tutta Italia ma anche all’estero dove le sue
opere infatti hanno trovato un miracoloso equilibrio con quello che
le contorna, che siano viste sconfinate, spazi angusti o festival
affollati di persone. Nel 2017 infatti, a testimonianza di questo
crescente interesse verso il proprio lavoro, viene incluso dalla
rivista Forbes tra i 30 artisti under 30 più influenti d’Europa e
così nello stesso anno piovono torrenziali commissioni da ogni dove
e nascono installazioni come Baroque,
Archetipo, Locus e
Aura.
Ideata
per l’Eeaux Claires Festival, prodotto da Aaron e Bryce Dessner
(The National) e Bon Iver, Baroque
è
nata dalla collaborazione con Michael Brown - il direttore creativo
del festival - e l’organista inglese James McVinnie. Questa
scultura è una ben riuscita convergenza tra arti visive e musica,
con una struttura che chiaramente rievoca la cantoria di una chiesa
nella quale spiccano le lunghe canne metalliche di un organo
trasparente, parte integrante della scultura, e allo stesso tempo
però la struttura accoglie al suo interno un organo classico vero e
proprio. Dopo l’esperienza pugliese, il lavoro di Tresoldi ha fatto
un ulteriore salto in avanti. «Ogni nuovo lavoro che affronto è una
nuova sfida. Cerco sempre di pormi in condizioni differenti rispetto
alle precedenti, in modo da poter sperimentare nuove soluzioni dal
punto di vista delle tecniche e del linguaggio, per far evolvere la
mia ricerca. Per me sono essenziali le contaminazioni con altre
discipline, a Siponto ho avuto modo di lavorare con archeologi e
restauratori, qui con grandi musicisti. Baroque non
voleva essere una semplice scenografia. Come sai, per me è
essenziale la relazione tra opera, spettatori e paesaggio. Qui si è
aggiunto un altro elemento: l’opera doveva essere il ponte di
comunicazione tra gli spettatori e il musicista, solo con la riuscita
di questo rapporto, l’esperienza è completa. Nel Winsconsin ho
avuto l’occasione incredibile di lavorare a stretto contatto con
McVinnie, che vanta collaborazioni con Arcade Fire e Martin Creed
solo per fare un paio di esempi. […] Ho dovuto progettare un luogo
che potesse ospitare in uno spazio aperto uno strumento come
l’organo, tradizionalmente parte integrante di un’architettura,
di un ambiente chiuso. Con Baroque abbiamo
potuto portare il suono sacrale di questo strumento all’interno di
un contesto naturale. Il pubblico poteva fare un’esperienza della
performance musicale diversa dal solito, perché la struttura in rete
metallica, grazie alla sua trasparenza, permette di guardare lo
spettacolo a 360°».
L’artista si è dimostrato entusiasta non sono per l’ottima
riuscita della sua installazione ma soprattutto perché quest’ultima,
nata per essere effimera, temporanea e quindi pensata per essere poi
smantellata una volta concluso il festival, è stata invece acquisita
come opera ambientale permanente e destinata ad uno dei parchi in cui
scorre il fiume Chippewa. Anche in questo caso quindi l’opera è
divenuta parte integrante del paesaggio locale.
Archetipo
è
stato disegnato e realizzato per un evento privato della famiglia
reale di Abu Dhabi, in collaborazione con lo studio Designlab
Experience di Dubai.
Un’imponente scenografia di un vero e proprio giardino in cui
architettura e natura danzano e si fondono in continue relazioni e
contrasti fondati: uno spazio immaginario in cui la natura cresce e
si evolve in astratte reti metalliche. Elementi geometrici tagliano e
scompongono le armonie classiche, generando un evolversi continuo di
astrazioni architettoniche e distorsioni evanescenti. Un disegno
spaziale in cui l’architettura trasparente ci mostra due mondi
paralleli e intersecati al tempo stesso: la natura è sintesi del
paesaggio, l’uomo diventa paesaggio attraverso l’architettura. La
fusione del linguaggio classico e di quello modernista ne genera un
terzo che trova il suo tempo nel contemporaneo.
Tresoldi
ritorna in Italia con Locus
realizzando sul mare una suggestiva performance visivo-sonora
all’interno di un progetto sperimentale di arte, musica e poesia,
DERIVE, a Sapri. La scultura questa volta fonde diversi linguaggi
contemporanei e nasce per accogliere la composizione inedita di un
musicista italiano che ha collaborato in prima persona al progetto,
IOSONOUNCANE.
Aura è
invece un intervento site-specific negli
spazi del prestigioso Le Bon Marché Rive Gauche a Parigi. L’opera
è l’occasione per l’artista di mostrare la sua poetica della
rovina attraverso una riflessione sul passaggio del tempo e la
trasformazione della materia, dalle forme classiche ai contenuti
contemporanei. L’evocativo nome infatti si rifà al concetto di
‘Aura’ usato da Walter Benjamin per spiegare ciò di cui sono
intrise le antiche rovine, ovvero «l’apparizione irripetibile di
una lontananza».
Tale riflessione avviene questa volta attraverso l’edificazione di
due cupole realizzate con materiali diversi: una in rete metallica e
l’altra in lamiera ondulata, materiale utilizzato per la prima
volta in questa occasione. Le due eleganti installazioni, dalla forma
quasi identica ma di diversi materiali e fisicità, incarnano due
ambiti diversi della storia dell’architettura: sono frammenti del
passato e parte integrante dell’immaginario occidentale, in bilico
tra forma e antiforma.
Nel
2018 l’artista torna a realizzare una struttura per un contest
musicale, il Coachella Valley Music and Arts Festival, uno degli
eventi musicali più importanti e attesi al mondo. Nasce così
Etherea,
l’installazione site-specific che richiama vagamente nelle forme la
spirituale Basilica di Siponto ma in cui l’artista compie un
decisivo passo in avanti. Ispirata alle architetture barocche e
neoclassiche, l’installazione utilizza l’architettura come luogo
e strumento della contemplazione, uno spazio specifico dove il cielo
e le nuvole fungono da copertura della volta metallica. Il gioco
ottico di prospettive e rapporti dimensionali generato dal passaggio
attraverso le tre sculture e le tre scale di misura riduce o
amplifica la distanza tra uomo e cielo grazie alla trasparenza della
rete metallica. Filamenti, linee e segmenti si intersecano
amplificando i volumi architettonici fino a farli esplodere
nell’etere: astrazione e materialità dialogano in un seducente
contrappunto e lo straordinario virtuosismo degli scheletri metallici
gravita sugli spettatori: presenze teatrali, illuminate da luci
sapienti, offuscano la rigida incisività dei contorni,
vibrando
di nuova vita.
«I
festival sono uno spazio pubblico molto emozionante: le persone ne
aspettano l’apertura per mesi per poi viverlo intensamente,
consapevoli di vivere un tempo unico e denso che non ha passato né
futuro. Forse un tempo libero dal tempo, sicuramente un tempo
pubblico. Ho cercato di creare un luogo per quegli occhi e ritagliare
uno spazio in quel tempo per alzare la testa e guardare il cielo,
godendo di un momento semplice e intimo pur restando tra la folla. La
musica lo fa».
Sempre
nel 2019 per il parco artistico Arte Sella, in Trentino, l’artista
realizza l’opera site
specific
Simbiosi.
Nel parco trentino Tresoldi prosegue la sua ricerca sulla percezione
esperienziale dello spazio e sul rapporto con gli elementi del
paesaggio realizzando una compenetrazione scultorea tra architettura
e natura. Una “simbiosi” appunto che si attua nel momento in
cui l’artista per realizzarla ibrida la rete metallica, materia
assente, con la materialità delle pietre locali. L’installazione
alta 5 metri è interamente aperta verso il cielo e sembra sfidare la
forza di gravità, una rovina sospesa tra natura, architettura e
dimensione temporale. Tuttavia, diversamente dalla rovina diciamo
“convenzionale” segnata da un processo di deterioramento per lo
scorrere del tempo, qui questa viene ricostruita con regole fisiche
che appaiono insolite visto che è l’artista con il suo disegno che
interviene nella sua conformazione. Simbiosi è un organismo
che vive
e respira, e che si fa portavoce del profondo legame con il parco che
ha subito l’azione trasformativa della natura, proprio come la
subiscono le rovine: è interessante notare che la stessa collina
dove sorge l’installazione è nata da un processo naturale a
seguito di una tempesta. In questo tessuto l’installazione di
Tresoldi continuerà ad essere modellata dalla natura che con il suo
incedere darà vita a un’ulteriore architettura che si fonderà col
parco.
Un
posto di riguardo in ogni caso sarà sempre riservato dall’artista
alla basilica di Siponto perché, rimodulando un vecchio detto, “la
prima grande commissione non si scorda mai”. Un’architettura
virtuale e al tempo stesso reale che segna fortemente il paesaggio e
che, nata con l’intento di offrire una protezione ai resti
dell’antica basilica in particolare al mosaico pavimentale, si è
trasformata in tutt’altro. Un’équipe di archeologi, architetti,
ingegneri e tecnici ha deciso – su sollecitazione del progettista e
direttore dei lavori Francesco Longobardi e con una
certa
dose di coraggio – di far realizzare a Tresoldi una struttura che
evocasse la presenza della basilica ormai scomparsa e si ponesse in
dialogo con la chiesa medievale ancora esistente. Una scelta
originale che potrebbe servire da precedente per futuri progetti di
restauro non solo di siti archeologici a patto che vengano rese
disponibili per interventi simili risorse finanziarie consistenti e
che si operi senza danneggiare le strutture preesistenti. «Siponto
essendo un lavoro inedito ha generato nuove prospettive nei campi
dell’arte pubblica, nel restauro, nello sviluppo del territorio,
nella valorizzazione del paesaggio e del patrimonio. Ed è riuscito a
farlo perché ha cercato di raccontare il patrimonio, il paesaggio
attraverso un’esperienza emotiva, attraverso la sacralità di un
luogo e attraverso la poesia, principalmente».
Allo
stupore che in un primo momento suscita nel visitatore l’articolato
volume della struttura, si sostituisce dopo la repentina piacevole
sensazione di essere trasportati indietro nel tempo. La lettura di un
sito archeologico risulta spesso complessa e molte volte addirittura
noiosa soprattutto per i non addetti ai lavori. L’opera realizzata
da Tresoldi nel sito archeologico di Siponto ne rende più agevole e
certamente affascinante la fruizione, capace com’è di porsi in
relazione con il contesto e di sollecitare l’immaginazione dei
visitatori. E se il metallo della struttura molto probabilmente
finirà per deteriorarsi con il trascorrere del tempo diventando una
rovina, se gli uccelli costruiranno i loro nidi sui capitelli, se la
vegetazione della macchia si insinuerà all’interno delle maglie
della rete, l’opera non perderà comunque la sua funzione:
continuerà a parlare del passato agli uomini di oggi, a ribadire la
continuità ideale tra storia e attualità.
NOTE
BIBLIOGRAFIA
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in “Stato quotidiano”, 14 dicembre 2016.
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in “Floornature”, 10 giugno 2019.
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in “Artribune”, 18 marzo 2016.
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Tresoldi, l’uomo che ha stregato il mondo (e Forbes) con le sue
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in “Il Post”, 21 aprile 2016.
LA
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Disponibile
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2019
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in “Artribune”, 22 settembre 2019.
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in “Paesaggi, Blog, asa & Design - La Repubblica”, 7 marzo
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Disponibile
su: https://www.youtube.com/watch?v=iOLW_0T9LkY&t=347s.
TRESOLDI
2020
Edoardo
Tresoldi, Works,
visitato l’8 aprile 2020.
https://www.edoardotresoldi.com/works/
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