Collezionisti
d’arte nel Baden-Württemberg
Molti
collezionisti privati nel Sud della Germania, e in particolare nel
Baden–Württemberg,
da
vari decenni a questa parte hanno aperto le loro raccolte d’arte al
grande pubblico,
dando vita a istituzioni (musei, gallerie) con differenti origini
fondative e modalità di fruizione diverse.
La diffusione dell’arte, in particolare di quella contemporanea, a
un pubblico quanto più ampio possibile appare come l’obiettivo
primario della loro offerta culturale particolarmente ricca, sia dal
punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo. Un impegno a
largo spettro che nel caso di questi collezionisti intende offrire
alla comunità nuove occasioni di crescita culturale, considerata
anche la scelta frequente di insediare tali strutture espositive in
zone decentrate rispetto ai più grandi centri urbani, dimostrando
così la volontà di rivitalizzare la provincia, di offrire inedite
opportunità ad artisti emergenti o sconosciuti e anche di promuovere
sistematici programmi pedagogici per le generazioni più giovani.
Come
spiegazione dei motivi che lo hanno condotto a creare un museo a
Eberdingen –Nussdorf (piccolo borgo nel distretto di Ludwigsburg),
Peter W. Klein ha dichiarato di voler «dare al paese tutto e alle
persone l'opportunità di confrontarsi con l'arte internazionale».
Si palesa ancora una volta quel bürgerschaftliches
Engagement,
impegno civico, molto presente nella tradizione del mecenatismo
tedesco, come sottolineato anche da Marli Hoppe Ritter, la fondatrice
del Museo Ritter a Waldenbuch, fatto appositamente costruire per la
sua collezione, accanto la omonima industria di dolciumi proprietà
della famiglia.
Opportunità di maturazione e divulgazione socio-culturale per la
comunità quindi, che insieme alla possibilità di mantenimento e
valorizzazione di preziose raccolte rendono grandi soddisfazioni
personali ai collezionisti, molto spesso eminenti industriali.
Lo
testimonia esemplarmente Frieder Burda, prestigioso nome
dell’editoria tedesca e artefice dell’omonimo Museo a
Baden-Baden: «per me è importante la passione che provo per l’arte,
e traggo piacere anche dalla possibilità di poterla condividere con
le persone e trasmettere loro – anche se solo per un momento – la
felicità che me n’è venuta».
Sulla stessa linea quanto dichiara l’industriale metallurgico
Reinhold Würth, la cui collezione viene ospitata in due diverse
sedi, a Künzelsau (Museum Würth) e a Schwäbisch Hall (Kunsthalle
Würth) : «la gioia che si dona ritorna al cuore».
Una temperie emotiva e intellettuale che a un certo punto della sua
esistenza ha coinvolto anche l’industriale Jürgen A. Messmer (Fig.
1),
l’ideatore della kunsthalle messmer.
Fig. 1 - Il collezionista Jürgen A. Messmer mostra
Composition abstraite blanche (André Evard, 1932)
Foto cortesia © messmer foundation
La
kunsthalle messmer e il suo creatore
É
un privilegio non comune quello di poter visitare una collezione
privata sotto la guida del collezionista che l’ha raccolta, ed
essere condotti lungo il percorso espositivo di una Kunsthalle
creata grazie a un progetto pervicacemente voluto: si possono
chiarire le diverse acquisizioni nel tempo, i criteri di scelta, le
logiche espositive, all’interno di un disegno di fruizione d’arte
che rispecchia anche un percorso esistenziale e identitario.
E´quanto
Jürgen A. Messmer ha reso possibile a chi scrive il 13 Settembre
2019 a Riegel am Kaiserstuhl, nella suggestiva cornice della sua
galleria, la kunsthalle messmer, che ha sede in un elegante edificio
circondato dalle vestigia dell’attività industriale che vi si
svolgeva,
testimonianza di un passato prossimo che acuisce ancor più la
curiosità del visitatore. Complesso insolito dunque, come il
racconto, razionale e al contempo appassionato, del fondatore Jürgen
Messmer; un imprenditore che, avendo creato nel 1986 (dopo il diploma
in Ingegneria industriale) un’azienda per la produzione di semplici
penne a sfera,
si era anche dedicato alla fabbricazione di prodotti di cancelleria e
di penne di lusso di vario tipo, la cui configurazione, accanto alla
funzionalità di base, mostrava forme e design da veri oggetti
d’arte.
Nel
periodo degli studi universitari a Monaco
il
giovane Messmer aveva cominciato a frequentare la Alte Pinakothek e
altri musei della città, come
la Lehnbachhaus o la Schack-Galerie.
La rivelazione del mondo dell’arte figurativa portò il giovane
studente d’ingegneria alla scoperta dell’arte contemporanea,
suscitando improvvise passioni a prima vista, quali Salvador Dalì,
il Blaue Reiter, Victor Vasarely e altri negli anni Settanta;
per questo motivo Messmer cominciò a fare dei primi acquisti, come
l’acquisizione di una stampa di Cezanne della Bruckmann Verlag
da cui non si è voluto mai separare. Un mondo nuovo per il giovane
ingegnere, che con i primi guadagni continuò le sue acquisizioni: un
Otto Dix, un Braque, «un bel Klee [e altre opere] ancora a buon
mercato a quell’epoca».
Un
interesse, quello della passione per l’arte contemporanea che
continuò ad accompagnarlo pur nell’intensa attività industriale,
che alla fine degli anni Settanta gli fece incontrare un
collezionista americano, Henry Drake. Fu nella casa di Drake a New
York che Messmer restò affascinato dalla collezione di tante opere
di pittori d’avanguardia («ed è stata una tale esperienza!»),
così come più tardi, nel 1978, nello chalet svizzero dell’americano
restò particolarmente colpito da un’opera dello svizzero André
Evard (1876-1972).
Un incontro importante quello con l’opera dell’artista svizzero,
destinato a diventare la pietra miliare dell’atipico itinerario
collezionistico di Messmer
e a scandire, come in una sorta di punto-contrappunto, i cicli delle
sue mostre. Di André Evard lo attrassero, allora, soprattutto i
lavori di ambito costruttivista che avrebbe forse voluto selezionare
dall’intero corpus delle settecento opere in vendita, se questa non
fosse stata attuabile se non in blocco.
«Restai affascinato da quei quadri, affastellati presso un venditore
asiatico; cosa che mi succede ancor oggi».
L’entusiasta ingegnere riuscì a convincere un istituto bancario a
concedergli un consistente mutuo per l’acquisto nel 1978 di tutto
il lascito Evard, artista che gli appare come «la magistrale
esemplificazione delle correnti e degli sviluppi dell’arte
contemporanea, spesso addirittura in anticipo sul suo tempo», come
lui stesso ribadisce più volte durante la visita nel settembre 2019.
L’arte
di Evard fu dunque per l’imprenditore un’attrazione a prima
vista, una sorta di folgorazione destinata a innescare nel tempo
l’importante operazione collezionistico-museale che oggi raggiunge
alti livelli di pubblica rappresentatività, in quanto impresa
lucidamente condotta con la razionalità dell’industriale e, al
contempo, dietro l’inestinguibile spinta dell’attrazione per
l’arte contemporanea, con una passione sempre più rafforzata dalla
«maggiore competenza critica»
maturata negli anni.
Nel
2005 l’imprenditore collezionista fondò la Petra und Jürgen A.
Messmer Stiftung in memoria dell’amata figlia Petra, prematuramente
scomparsa nel 2003.
Una sede per la Fondazione sembrò essere stata trovata nel 2009 a
Friburgo, nel cui comprensorio - a Emmendigen - si trovava l’azienda
Messmer, presso la quale sin dagli anni Novanta il collezionista
aveva cominciato ad organizzare delle mostre.
Malgrado l’entusiasmo del borgomastro di quel tempo, Dieter
Salomon, e di una buona parte della giunta comunale, la diffidenza di
membri dell’opposizione e di alcuni esponenti della locale
compagine artistica fece bocciare il progetto di una Kunsthalle a
Friburgo. Nelle more di una seconda scelta e pur con qualche
esitazione – erano in gioco anche Wuppertal e Müllheim
– la scelta di Messmer e di altri sostenitori cadde allora sulla
storica fabbrica di birra di Riegel am Kaiserstuhl, ormai dismessa
dal 2002 e in via di ristrutturazione edilizia abitativa.
La
birreria divenne dunque la sede definitiva della Fondazione e della
Kusthalle,
che venne aperta al pubblico per la prima volta il 20 giugno 2009 con
la mostra Hommage
an André Evard,
il primo di una serie di esposizioni e di eventi offerti al pubblico,
proprio come era nelle iniziali intenzioni di Jürgen Messmer che
dichiarerà più volte di voler «soprattutto fare delle mostre per
il pubblico e non per gli storici dell’arte».
La consideriamo come un’espressione di quell’impegno civico,
tradizionalmente sentito dai mecenati tedeschi, cui abbiamo
inizialmente accennato.
Fig. 2 - L'edificio della kunsthalle messmer alla confluenza dei tre fiumi
Foto cortesia © messmer foundation
Fig. 3 - Lo Skulpturengarten e l'edificio della kunsthalle messmer
Foto cortesia © messmer foundation
Gli
spazi della Kunsthalle
Romanticamente
posto vicino alla confluenza di tre corsi d’acqua (il Dreisam,
l’Elz e il Glotter) l’edificio che ospita la galleria è
circondato da uno Skulpturengarten
di ca. 850 mq.
(Figg.
2-3),
mentre la galleria di 900 mq. è stata suddivisa in dodici aree
illuminate con luce indiretta e dotate, sin dall’inizio, di moderni
impianti di antifurto e climatizzazione. Si tratta di spazi
espositivi per lo più aperti e disposti con soluzione di contiguità,
in prosieguo con quelli dedicati ai servizi: l’area ricettiva
allocata nell’ampio vestibolo iniziale, che ospita il banco
d’accettazione e vendita; lo spazio espositivo dei libri e
cataloghi
confinante con l’area dedicata alla caffetteria, i cui tavolini,
anche sulla terrazza esterna nella buona stagione, consentono agli
avventori la vista verso lo Skulpturengarten.
Una struttura quindi polifunzionale con spazi per l’esposizione,
aperti e flessibilmente fruibili, anche a uso delle conferenze stampa
indette prima di ogni mostra, degli incontri culturali come
conferenze e concerti, di eventi organizzati anche su richiesta di
privati; e ovviamente delle mostre d’arte allestite nella misura
annuale di tre, sin dalla memorabile prima esposizione del 2009
centrata su André Evard, la stella polare nella costellazione
artistica della collezione Messmer.
Si
coglie la dimensione di una tale affinità elettiva con Evard,
osservando la posizione centrale che l’artista occupa nella
scansione di molti degli eventi della fondazione: l’Evard
Preis,
ad esempio, premio biennale destinato a giovani artisti e giunto nel
2019 alla quinta delle sue edizioni, che continuano a diffondere la
conoscenza dell’arte del pittore svizzero
tra un pubblico più vasto e tra i giovani artisti emergenti, i quali
con la partecipazione al premio colgono a loro volta la possibilità
di far conoscere le proprie opere.
La
collezione Messmer
La
collezione Messmer raccoglie oggi ca. 1200 opere di arte
contemporanea,
tra quadri e sculture; le opere, sottolinea Messmer, vengono esposte
con un criterio di rotazione.
Il
collezionista ha sempre palesato una forte propensione a scegliere
opere legate alle correnti del concretismo e del costruttivismo, i
cui autori sono indicati nel sitoweb della Kusthalle.
Presenze altamente significative delle propensioni di gusto del
fondatore, che nelle esposizioni temporanee a volte le giustappone ad
altre figure di eccellenza dalla propria raccolta, come Georges
Braque, Lucien Clergue, Salvador Dalí, Dare (Sigi von Koeding), Otto
Dix, Gerd Grimm, Paul Klee, A.R. Penck, Pablo Picasso, Adriano Piu,
Leopold Schmutzler. Ma come Messmer ebbe a dichiarare, «i grossi
nomi come Picasso o Otto Dix, che avevo acquistato relativamente
presto per la mia raccolta, oggi non contano più tanto per me. Per
me sono diventati più importanti i classici della corrente
concreto-costruttivista come François Morellet e Alberto Magnelli,
Werner Bauer, Hellmuth Bruch, Roland Helmer, Jean-Pierre Viot, Jo
Niemeyer, Friedrich Geiler e Klaus Staudt».
Nel biennio 2012 la
collezione fu arricchita tramite donazioni provenienti da altre
collezioni private. Quella della collezionista friburghese Renate
Trettin
ha trasmesso una prima dotazione di autori, alcuni dei quali esposti
nella torre della Kunsthalle: René Acht, Cees Andriessen, Hellmut
Bruch, Paul Damsté, Karl Duschek, Franz Eggenschwiler, H.P. Harr,
Werner Haypeter, Bernd Hendriks, Micus Eduard, Koichi Nasu, Horst
Rave, Sigurd Rompza, Robert Schad, Johannes Schreiter, Peter
Staechelin, Anton Stankowski, Arthur Stoll, Axel Vater, Gido
Wiederkehr, Martin Wörn.
Alla donazione Trettin ha fatto seguito nel 2103 quella di un altro
anonimo collezionista della Germania sud-occidentale, che comprendeva
le opere dei seguenti autori: Carlos
Cruz-Diez, Bernard Aubertin, Yvaral, Peter Vogel, Hans Jörg Glattfelder, Jaap Egmond, Cesar
Andrade, Lucio Fontana, Gunter Frenzel .
Mentre le più recenti acquisizioni, nel 2015, sono state queste:
Suzanne Daetwyler, Bruno Erdmann, Sun Jinlong, Klaus J.
Schoen.
Tale vastissima
quantità di opere della collezione non appare contemplabile né
sintetizzabile entro un’unica panoramica complessiva della
raccolta, che sembrerebbe più che esaustiva per quanto attiene alle
correnti artistiche che Messmer predilige; eppure la sua aspirazione
ad arricchire e ampliare la collezione non appare mai sopita. Circa
un decennio or sono, ad esempio, il collezionista esprimeva a Claudia
Fenkart-N’jie il desiderio di poter acquisire nuovi autori, come
Yaacov Agam, Richard Paul Lohse oppure Camille Graeser, oppure di
arricchire la raccolta con altre opere di Max Bill.
Ma come detto, il punto di forza resta sempre André Evard, i cui
quadri vengono a volte giustapposti, nelle esposizioni, ai quadri di
pittori contemporanei di maggiore risonanza, anch’essi presenti
nella collezione: oltre ai già menzionati George Braque, Otto Dix,
Salvador Dalí, Pablo Picasso, Paul Klee, vediamo anche Lucio
Fontana, Alberto Magnelli, Günther Uecker, Victor Vasarely –
quest’ultimo tra i prediletti del collezionista.
Alcune opere hanno
previsto una particolare installazione e soprattutto una grande
collaborazione fra il collezionista e gli autori; è il caso
dell’ultima acquisizione destinata al suggestivo Skulpturengarten,
che abbellisce l’accesso alla Kunsthalle, ed è rappresentata dal
Globo Uovo (Fig. 4), dello svizzero Marc Reist
(Grenchen, 1960), che ha richiesto una complessa operazione per la
sua messa in posa.
Fig. 4 - Marc Reist, Globo Uovo, 2017, marmo, 3 x 2,3 m.
Foto cortesia © messmer foundation
All’imponente scultura (3 x 2.3 m.) Marc Reist
aveva lavorato per circa sei anni (2011-2017), nel suo atelier di
Schnottwil presso Berna, ricavandola da un blocco di sei tonnellate
di marmo di Carrara,
per ottenere, con l’impiego iniziale di una fresa e successivamente
di martello e scalpello, una grande struttura ovoidale dalla
superficie levigatissima, interrotta da aperture rettangolari che
marcano la linea oblunga del manufatto.
Per via della sua dimensione e massa ponderale l’istallazione
dell’opera ha richiesto una speciale cautela da parte dei tecnici
diretti dall’autore, con l’ulteriore supervisione del
collezionista e di Lea Messmer, per raggiungere il risultato di
un’ottimale e definitiva collocazione su una piattaforma di
acciaio. Una complessa istallazione per quest’opera portatrice
simbolica di opposte visioni: in quanto congiunzione tra l’arcaico
simbolo della rinascita, l’uovo, e la rappresentazione di un globo
terrestre, reso vulnerabile dalle ferite di quelle emblematiche
aperture.
Un particolare momento, quello del montaggio, in cui si è rivelata
una volta ancora la forte sintonia tra il collezionista e il creatore
di un’opera della sua raccolta, come ad esempio nel caso della
scultura in acciaio Quadrate-Paar Dynamisch dell’artista
freiburghese Roland Phleps.
Istallata nel giardino nel giugno 2013, la scultura composta da due
lastre d’acciaio inossidabile si inscrive nell’ambito dell’arte
concreta; acquista un’insospettabile leggerezza grazie al movimento
dei due fogli arcuati e distaccati tra loro come pagine riflettenti
di un libro che riverberano la luce (Fig. 5).
Fig. 5 - Roland Phleps, Quadrate-Paar Dynamisch, 2013
acciaio inossidabile
Foto cortesia © messmer foundation
Le
mostre e l’ordinamento dell’esposizione, paradigmi del gusto del
collezionista
Le numerose mostre
allestite nella Kunsthalle – con una scansione media di tre eventi
per anno – sono state organizzate secondo criteri diversi:
esposizioni su temi concettuali, come ad esempio l’acqua (Wasser
- Fantasie und Wirklichkeit, 2011), la cinetica (Kinetik -
Kunst in Bewegung, 2011), la luce e il movimento (Licht und
Bewegung, 2017/18). Oppure esposizioni celebrative e d’occasione,
come, agli inizi, il cinquantennale del costruttivismo a Parigi
(Victor Vasarely-50 Jahre konstruktive Kunst in Paris,
2009/2010); il decennale della Fondazione (10 Jahre messmer
foundation- Die Highlights der Sammlung, 2015/2016); il
centenario del Bauhaus (100 Jahre Bauhaus: Max Bill, Jakob Bill,
David Bill, 2019). E ancora, mostre personali dedicate a singoli
artisti, come Salvador Dalí (2010 e 2018), Marc Chagall (2013), Andy
Warhol (2015), Joan Miró (2016), Pablo Picasso (2017) e altri. Sono
questi soltanto alcuni indicativi esempi della vulcanica
immaginazione e capacità organizzativa di Jürgen Messmer, che negli
allestimenti ha per lo più adottato la scelta di accostare opere di
autori diversi secondo criteri comparativi, in termini di formazione,
appartenenza alle correnti artistiche, stile; un’opzione che si è
rivelata vincente ai fini di una più immediata ricezione del
messaggio della contemporaneità anche da parte dei non esperti.
Ne è un esempio la
mostra del 2012 Le Corbusier & André Evard vom Jugendstil zur
Moderne,
che ha offerto l’occasione per presentare contestualmente la
produzione di due peculiari figure dell’avanguardia svizzera,
rispettivamente identificate – sulla scia delle definizioni coniate
dal loro comune maestro Charles L’Eplattenier – come «der
bauende Maler» (Evard) e «der malende Architect» (Le Corbusier).
Numerose opere di
André Evard sono state presenti
(e sono oggi in esposizione permanente), secondo diverse scansioni
temporali di produzione, con un ordinamento concepito per valorizzare
la produzione anche artistica dell’amico e compagno di studi
architetto Le Corbusier (1887-1965)
sin dalla fase giovanile. Del geniale innovatore dell’architettura
contemporanea sono stati esposte opere di grafica, di pittura e
scultura, e soprattutto i progetti e le foto di alcune storiche ville
in Svizzera: Villa Fallet (1906-1907)
e Villa Schwob (1916-1917) a La Chaux-de-Fonds, nonché di altri
storici capisaldi dell’architettura mitteleuropea, come la
rivoluzionaria struttura della Dom-Ino (1914-1915), la Villa
Savoye (1928-1931) a Poissy, i due edifici per l’area residenziale
Weissenhofsiedlung (1926-27) di Stoccarda, per giungere sino agli
anni Cinquanta con l’Unité d’Habitation (1946-52) e
l’avveniristica quanto suggestiva Notre-Dame-du-Haut (1951-55) a
Ronchamp. Delle creazioni di Le Corbusier per l’arredamento, vere e
proprie icone del modernariato, sono state presentate una seduta con
braccioli LC1 e una storica Chaiselongue LC4 originale (presentata
per la prima volta al Salon d’Automne del 1929).
Per il decennale
della Fondazione, nel 2015, il collezionista Messmer ha ideato un
particolare schema espositivo, utile non solo alla celebrazione
dell’anniversario attraverso Die Highlights der Sammlung,
le opere “faro” della collezione, ma anche ad «esaudire il
desiderio dei tanti che avrebbero voluto rivedere opere
precedentemente esposte».
Una formula che potesse innanzitutto, e ancora una volta, mettere in
luce l’eccezionale evoluzione stilistica e la qualità poliedrica
dell’arte di André Evard, in quanto raro anticipatore degli stili
e delle correnti d’avanguardia del suo tempo.
I trentanove quadri di Evard presenti nella rassegna sono stati
esposti secondo un ordinamento cronologico, correlato alla
metamorfosi creativa dell’artista che seguì tracciati diversi. La
prima fase giovanile, iscritta nella cornice dello Jugendstil,
evidente negli stilemi del celebrato Selbstporträt
vor Krokussen, (1913, olio su tavola)
(Fig. 6), è leggibile nella rappresentazione di un
sorprendente campo verde ornato da fiori di croco, che fa da sfondo
alla figura centrale e geometricamente perfetta dell’autore
trentasettenne: i tratti figurativi mostrano l’armonico equilibrio
del magro volto allungato da una barba decisamente triangolare, dai
seri occhi che trasmettono una svizzera riservatezza, contenuto entro
le parentesi del cappello e della cravatta a papillon tra i due
revers della giacca.
Fig. 6 - André Evard, Selbstporträt vor Krokussen, 1913
olio su tavola, 34,5 x 34,5 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
Lo Jugendstil dell’artista svizzero ci
trasporta, sovente in questa prima fase, in una dimensione arborea e
paesaggistica di rara preziosità: la cogliamo negli smalti su
piastra di rame di ridotte dimensioni (1908), che hanno l’abete
stilizzato come motivo centrale, lo style sapin frutto
dell’insegnamento di Charles L’Eplattenier;
oppure in opere la cui rappresentazione di floreale levità, come
quella di stilizzati alberi e prati in fiore di forte influsso
japoniste (frequente nello Jugendstil), viene spesso
attraversata o interrotta da elementi geometrici e lineari, come ad
esempio la chiesa perfettamente centrata nell’opera Kirche mit
Landschaft (olio su tavola, 1913),
oppure come l’incrocio dei sentieri che nel Nuage Bleu (olio
su tavola, 1912)
attraversa un prato di crochi sormontato dalla doppia circolarità di
un volo d’uccelli entro la campitura di una stupefacente nuvola
bleu.
L’irresistibile
richiamo della geometrizzazione stilistica nel quinquennio 1923-1928
diverrà più pressante ed evidente – Messmer lo sottolinea durante
la visita del settembre 2019 – quando Evard entrò in contatto con
le avanguardie francesi durante i suoi vari soggiorni a Parigi.
Nella capitale francese ebbe modo di entrare nella cerchia di vari
artisti, fra cui i cubisti George Braque e Fernand Léger, Theo Van
Doesburg e il Gruppo De Stjil, Robert Delauney, Piet Mondrian,
divenendo altresì membro della Société des Artistes Indépendents.
Il nomadismo stilistico di Evard lo vide sempre su una posizione
avanzata, dato orgogliosamente ribaditoci dal collezionista;
una consapevolezza che gli fece conseguire presto una grande
maturità stilistica aperta all’innovazione, che si può scorgere
già con chiarezza, ad esempio, in alcune opere cubiste del 1913 e
del 1919: Kubistische Komposition (olio su tavola)
e Stillleben mit Brot (olio su cartone). Molte opere esposte
alla mostra del decennale della Fondazione di tale svolta stilistica,
rispetto alla fase giovanile, forniscono chiara testimonianza; basti
considerare, tra le nature morte, Die Rosenserie (1923-1924),
oppure, tra i paesaggi parigini, Pont Neuf (1925, olio su
tavola) (Fig. 7).
Fig. 7 - André Evard, Pont Neuf, 1925
olio su tavola, 44 x 36,5 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
Durante l’incontro
alla Kunsthalle (settembre 2019) Messmer sottolinea più volte come
Die Rosenserie, di per sé, possa documentare la parabola del
linguaggio stilistico di Evard, che nell’arco di soli due anni si
muove da una rappresentazione più convenzionale del soggetto verso
una sempre più marcata geometrizzazione e astratta costruzione dello
stesso. Il vaso con il bouquet di rose, nei primi esemplari
rappresentato plasticamente si integra sempre più con il complesso
di linee e forme geometriche del suo sfondo. Una soluzione forse
inizialmente influenzata dalla pura razionalità compositiva di Le
Corbusier, ma che va ben oltre mostrando l’assoluta originalità
della ricerca compositiva di Evard
Nonostante il contatto e gli scambi con molti altri artisti in quegli
anni, l’artista svizzero mostrò sempre una marcata tendenza verso
personali soluzioni rappresentative. Il confronto, offerto
all’esposizione della Kunsthalle, tra alcune nature morte
evardiane, come le opere a olio del 1924 delle diverse serie Le
couvert, Symphonia e La pyramide
(tutte sul tema composizione con bottiglia, bicchieri e salvietta)
con la gouache sullo stesso tema di Georges Braque, Nature morte
aux citrons del 1929, evidenzia nell’artista svizzero una
scelta stilistica ancora più ardita, applicata alla continua
sperimentazione di nuove soluzioni prospettiche e coloristiche. I
moduli geometrici già presenti negli anni Venti testimoniano come,
dalle prime scelte pittoriche di uno Jugendstil più
figurativo, il percorso evardiano abbia presto condotto a delle forme
dettate da un intento concreto-costruttivista, per giungere
sino all’astrattismo trionfante delle ultime opere, mirabili per
l’inventivo accostamento di forme e colori: lo esemplificano tre
lavori dal titolo Composition abstraite (blanche,
rouge, noire, 1932, olii su tavola), i due Nocturne
(olii su tavola, 1948) in esposizione, oppure i sontuosi Kabuki
(doré e rouge, 1953, olii su tavola)
(Fig. 8).
Fig. 8 - André Evard, Kabuki (doré), 1953
olio su tavola, 33,5 x 25,5 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
Nell’economia
dell’esposizione per il decennale della Fondazione, la particolare
attenzione riservata dal collezionista alle opere di Evard in quanto suo Lieblingsmaler (artista prediletto), lascia comunque molto
spazio ad altre opere cardine della raccolta, inserite entro
differenti sezioni espositive - Op Art, Kinetische Kunst,
Konkret-konstruktive Kunst – oppure in mostra secondo
appartenenze diverse: aggregazioni di artisti in quanto agenti di
analoghi processi creativi, oppure posizioni a se stanti, di artisti
prescelti individualmente, come ad esempio Horst Antes. Dell’artista
tedesco si ammira un massiccio Kopffüssler,
Graue Figur zwischen Gelb und Blau (1971, acrilico su tela)
(Fig. 9), figura assolutamente incisiva per una sorta di
primordiale energia, impressa dalle membra sovradimensionate di un
soggetto imponente entro un perimetro deliberatamente costrittivo.
Fig. 9 - Horst Antes, Graue Figur zwischen Gelb und Blau, 1971
acrilico su tela, 89, 5 x 67 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
Dei più di dieci
quadri della sezione Op Art particolare attenzione critica è
stata data dalla curatrice Dagmar Thesing alle opere di famosi
esponenti della corrente: degli Elongated Triangles di Bridget
Riley (1971, serigrafia su carta)
si evidenziano i risultati sperimentali ottenuti attraverso «le
interazioni cromatiche e le qualità spaziali del colore».
Dell’ungherese Victor Vasarely,
artista tra gli iniziatori della Op Art e tra i massimi
rappresentanti della corrente, si apprezza in Syta (1988,
acrilico su tela) (Fig. 10) una struttura geometrica che
induce l’osservatore ad una visione mobile, che con lo spostamento
del punto di vista gli offre vibranti progressioni e illusioni
ottiche.
Fig. 10 - Victor Vasarely, Syta, 1988
acrilico su tela, 100 x 96 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
L'opera offre un effetto tridimensionale che suggerisce il movimento, come
nelle creazioni dell’italiana Dadamaino,
qui rappresentata dall’opera Oggetto ottico-dinamico
(alluminio e colore nero su legno, 1961).
Effetti legati a nuovi concetti compositivi frutto di una ricerca
rivoluzionaria, come nel caso dell’assoluta innovazione artistica
del Teatrino - Concetto spaziale (1950, allumino perforato su
carta) (Fig. 11) dell’italo-argentino Lucio Fontana, che
ottiene una volumetria tutta particolare attraverso la pratica
dell’incisione di fori su una superficie d’alluminio.
Fig. 11 - Lucio Fontana, Teatrino - Concetto spaziale, 1950
alluminio perforato su cartone, 49,5 x49 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
Caratteristiche di una nuova spazialità che Fontana seppe ispirare
al gruppo tedesco Zero e che sembra aver enormemente attratto il
collezionista Messmer.
Una corrente che
alla rassegna della Kunsthalle per il decennale è stata collocata in
successione alla Op Art è quella della Kinetische Kunst.
Caratterizzata da istanze legate a un dinamismo di base, espresso
attraverso un linguaggio pittorico che vuole coinvolgere
l’osservatore, rendendolo partecipe sul piano percettivo. In certi
esponenti l’arte cinetica parrebbe evocare forme di apparente
contiguità con creazioni della Op Art, come nell’opera di Rolf
Schneebeli Faszination Interferenz (2008, lamina su refloglas,
alluminio con rivestimento bianco)
esposta nella sezione Kinetische Kunst: per mezzo di un motore
elettrico, l’artista svizzero ha saputo imprimere un movimento
ciclico ad uno spazio pittorico, le cui forme geometriche, con il
movimento, offrono all’osservatore l’immagine stessa della
kinesis. Famoso esponente del movimento informale sud-americano in
quanto abile sperimentatore dell’uso del colore e della sua
variabilità, il venezuelano Carlos Cruz-Diez è presente con due
composizioni - Couleur Additive 13 (1970, acrilico su legno)
e Color Aditivo Permutable, Serie C (1982, acrilico su
alluminio), alti risultati della geniale creatività dell’artista
nell’impiego della luce e del colore.
Appare scontato al
conoscitore delle preferenze e scelte personali di Jürgen Messmer,
che alla Konkret-konstruktive Kunst e ai suoi artisti sia
stata riservata una particolare cura. Non sarebbe stata possibile una
rassegna degli Highlights della collezione senza l’inclusione, tra
gli altri, di autori come lo svizzero Peter Somm (1940), i tedeschi
Karl Pfahler (1926-2002), Klaus J. Schoen (1931) e Anton Stankowski
(1906-1998), il francese Jean-Pierre Viot (1937).
Del medico artista
Peter Somm i visitatori hanno avuto il privilegio di ammirare Am
Meer (1996, acrilico su tela),
una suggestiva marina rappresentata da una scala cromatica con
graduazioni, nei toni blu e rosa, di fasce orizzontali sulla tela;
una composizione rispondente al «principio strutturale della
costruzione stratificata», teorizzata dall’autore con scientifico
rigore nel 1972, nei suoi “quaderni di lavoro”.
Secondo parametri
matematici o geometrici il processo creativo di artisti come Georg
Karl Pfahler, Klaus J. Schoen, Anton Stankoski mostra un linguaggio
pittorico essenziale, la cui semplificazione delle forme si dimostra
funzionale a esaltare le potenzialità dei colori.
Anche Karl Pfahler teorizza a proposito del proprio strumento
rappresentativo, intende il colore come superficie che si espande e
genera forma e profondità. Nel dipinto GP.O.R./ZAD (acrilico
su tela, 1964) anche gli angoli arrotondati contribuiscono alla
diffusa percezione di un’opera, la cui «superficie perde la sua
dogmatica sacralità»
e appare senza demarcazioni verso la parete o spazio ospitante (e
viceversa), guadagnando così una carica psicologica di marcato
effetto. Un effetto di scardinamento rispetto ai canoni tradizionali,
ricercato anche da Klaus J. Schoen (Ohne Titel, 1968, olio su
tela)
e da Anton Stankowski (Vergangenheit, Gegenwart, Zukunft mit
Quadrat, 1980).
Durante tutte le sue
interviste Jürgen Messmer non ha tralasciato occasione per
enfatizzare l’importanza per lui rivestita dagli speciali legami
che solo l’arte sarebbe capace di promuovere, come la
corrispondenza emotiva tra il collezionista e gli autori presenti
nella propria raccolta,
oppure l’intesa tra artisti sorta per il comune sentire davanti ai
medesimi interessi. Al sodalizio di tre grandi della pittura
contemporanea, Jean Arp (1886/1966), Alberto Magnelli (1888/1966) e
Sonia Delauney (1885/1979), si dedica infatti una particolare sezione
della mostra del decennale.
Tale Künstlerfreundschaft, il legame d’amicizia tra questi
artisti, costituì uno speciale stimolo creativo. A Grasse, nel sud
della Francia, nei primi anni Quaranta, insieme anche all’artista
Sophie Taeuber-Arp (consorte di Jean), i quattro artisti divennero
essi stessi un forte richiamo per molti altri, alcuni in fuga dalle
note difficoltà poste dal regime nazista alla libertà espressiva
degli artisti contemporanei; tra i lavori in comune, i quattro di
Grasse produssero anche un album di dieci litografie a colori, Aux
Nourritures Terrestres, di cui la collezione Messmer possiede un
raro esemplare
Nelle opere esposte dei tre artisti il colore gioca, variamente, un
ruolo essenziale. Nel caso specifico dell’opera di Magnelli in
mostra, Ohne Titel (1957, olio su carta) (Fig.12), è
il colore a delimitare sobriamente delle forme che costruiscono piani
diversi e in accordo tra loro.
Fig. 12 - Alberto Magnelli, Ohne Titel, 1957
olio su carta, 65 x 60 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
Anche in quest’opera della maturità
si ha modo di apprezzare il meditato, deciso equilibrio tra forma e
colore,
un’interazione che riemerge anche nelle opere esposte a Riegel am
Kaiserstuhl di Arp e di Delauney. Nell’astrazione biomorfa della
litografia a colori di Arp, Configuration – Nimeton (1955),
l’osservatore coglie l’attrattiva di due forme organiche, quasi
reciprocamente riflesse, che sembrano continuare a muoversi, a
tendere verso configurazioni diverse; una sorta di dinamico
metamorfismo, che nella Composition (1964, acquaforte su
carta) (Fig. 13) di Sonia Delauney viene raggiunto attraverso
la tricromia di forme circolari che sembrano irraggiarsi, secondo
quei giochi di luci e ombre specificamente al centro delle
rappresentazioni di Delauney.
Fig. 13 - Sonia Delauney, Composition, 1964
acquaforte su carta, 34 x 28 cm.
Foto cortesia © messmer foundation
L’impegno
didattico e le attività promozionali per la pubblica partecipazione
L’intento del
collezionista di promuovere e divulgare l’arte contemporanea tra le
nuove generazioni, aggiunto alla volontà di rendere un pubblico
servizio culturale, si realizza alla Kunsthalle di Riegel am
Kaiserstuhl con laboratori didattici programmati per i bambini e con
visite partecipate sia di adulti sia di scolaresche, anche
giovanissime,
talvolta anche insieme alle famiglie.
In occasione della
Pasqua 2018, per la prima volta, l’invito è stato formulato per
illustrare ai bambini (di età dai cinque anni) insieme alle loro
famiglie le circa 120 «opere allegre, coloratissime, ricche di
fantasia di Otmar Alt»,
artista in mostra a quel tempo. La produzione dell’artista tedesco
fu giocosamente presentata ai piccoli visitatori, chiamati ad
interpretare l’opera traendo spunto dal suo titolo, considerato
come chiave d’accesso al mondo incantato di Alt, tema per una
successiva libera espressione dei piccoli.
Tutors dei piccoli e
grandi visitatori in quell’occasione sono state le unità del
personale normalmente dedicate alle visite guidate e ai servizi di
sala. Il reclutamento di tali figure rientra in un programma di
internship attuato ciclicamente, a completamento dello staff
della fondazione, costituito da tre collaboratori scientifici,
da una responsabile per gli eventi, le assunzioni e i rapporti col
pubblico, e dal presidente della Fondazione. Dedicato in prima
persona alle presentazioni e conferenze stampa di ogni nuova
esposizione, Jürgen Messmer sovrintende anche a tutte le nuove
istallazioni negli spazi della fondazione.
L’entusiasmo di
Messmer traspare dalla sua espressione trionfante, come ogni altra
volta abbia accolto, sia nella Kunsthalle sia nella sua casa, una
nuova opera. Ha tenuto a sottolineare come per lui non sia
concepibile una reale separazione tra la galleria e la sua casa. Ne
ho avuto dimostrazione al cortesissimo commiato alla fine del nostro
incontro: in una Kunsthalle senza più visitatori né impiegati,
ormai deserta, è stato il collezionista a chiudermi alle spalle la
porta di quella casa dell’arte.
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