Nella
Russia prerivoluzionaria, la fondazione del Teatro d'Arte di Mosca
da parte di Konstantin Sergeevic Stanislavskij e Vladimir Ivanovic
Nemirovic-Dancenko nel 1898 segna una rivoluzione
scenico-drammatica fondamentale dalla quale nasce il Teatro-Studio di
Mejerchol'd, il Primo Studio
e si formano nuovi linguaggi teatrali, come il costruttivismo e la
biomeccanica di Mejerchol'd,
la recitazione emotiva di Vachtàngov, il metodo di Michail Čechov,
esperienze destinate ad alimentare la « fabbrica dei sogni
», tentativo di resistenza a quello che sarà il « realismo
socialista ».
In
questo contesto si collocano gli esordi di Michail Čechov (San
Pietroburgo 1891- Hollywood 1955), nipote del celebre drammaturgo
Anton, che a venti anni è scritturato da Stanislavskij nel Primo
Studio del Teatro d'Arte di Mosca, diventandone direttore nel 1923,
sempre su invito di Stanislavskij, quando il Primo Studio si
trasforma nel Secondo Teatro d'Arte. L’incontro tra Stanislavskij,
Vachtangov, Mejerchol'd e Čechov fa del Teatro d' Arte di Mosca
una vivace realtà sperimentale, nella quale la recitazione ispirata
scaturisce dall’individuazione di principi oggettivi sui quali
articolare il lavoro attoriale. Qui il giovane Čechov pone le basi
di una personalissima tecnica di recitazione psicofisica, nella quale
immaginazione, corpo e intelletto confluiscono organicamente, creando
opere di una tale forza espressiva e libertà da sembrare presto
reazionarie agli occhi di un potere sempre più repressivo, che non
esita a dichiararlo nemico del popolo.
E’
il 1928 quando Čechov, che Stanislavskij definisce il suo più
brillante allievo, nonostante questi abbia già maturato il passaggio
dal suo Sistema ad una tecnica di recitazione che va oltre la
dimensione soggettiva dell’attore, è costretto a lasciare l’URSS
in seguito alle feroci persecuzioni staliniste contro gli
intellettuali e contro quanti, come lui, non seguono le rigide
direttive di partito e amano sperimentare. Seguono anni di
peregrinazioni in giro per l’Europa, tra Germania, Francia,
Lettonia, Lituania, Polonia, Inghilterra, dove recita ed insegna,
lavora con Max Reinhardt a Berlino e Vienna, fonda una propria
compagnia a Parigi, allestisce e dirige spettacoli per i Teatri di
Riga e dei Paesi Baltici, apre nel 1936 il Teatro Studio Čechov a
Dartington Hall, in Inghilterra.
Nel
1938, le condizioni politiche sempre più drammatiche inducono Čechov
a trasferire lo Studio cinematografico nel Connecticut, a Ridgefield;
George Shdanoff è nominato direttore associato. Nel frattempo Čechov
fonda una compagnia teatrale professionista con attori permanenti,
The Čechov Theatre Players, che debutta
a Broadway, recitando poi in tournée in tutta l'America,
nelle università e nei college fino al 1942, momento del suo
scioglimento. Čechov si stabilisce quindi a Hollywood
ed insegna alla compagnia The Drama Society, diventando
l’importante riferimento di celebri attori come Gregory Peck,
Ingrid Bergman, Marilyn Monroe (sua allieva dal 1951), Lloyd Bridges,
Paul Newman, Jack Colvin, Clint Eastwood, Joanna Merlin, Patricia
Neal, Jack Palance, Gary Cooper, Robert Taylor, Yul Brynner, Anthony
Quinn.
La fortuna critica del suo metodo attesta l’attualità di una
tecnica ancora importante in tempi più recenti per numerosi attori,
come Anthony Hopkins, Jack Nicholson e molti altri ancora, ripresa
poi nel 1980 nella scuola fondata a New York da Beatrice Straight e
Robert Cole, The Mikhail Čechov Studio.
La
lezione di Čechov negli Stati Uniti offre anche a molti attori una
valida alternativa all’Actor Studio di Lee Strasberg:
energia ed immaginazione sono alla base di questo metodo, fondato su
principi psicofisici e sulla consapevolezza che il nostro è un corpo
energetico, in costante relazione con la psiche, dove Concentrazione,
Immaginazione, Gesto, Centri Immaginari ed Atmosfera sono gli
strumenti che liberano l’individualità creativa dell’attore,
permettendogli di scoprire il suo personaggio. Su tutto domina il
Gesto Psicologico, lo strumento di recitazione che è un movimento
fisico, in grado di risvegliare la vita interiore dell’attore, la
sua forza di volontà, i sentimenti e di far emergere in una visione
condensata le caratteristiche nascoste ed essenziali del suo
personaggio.
L’inedita
tecnica recitativa di Čechov –attore, regista, pedagogo- si fonda
sul binomio di teoria e prassi e subito riscuote l’ammirazione del
pubblico; la sua ricerca sperimentale trae forza dal folklore russo
(lo stesso che informa le ricerche di Vladimir Propp, Marc Chagall,
Vasilij Kandinskij), come pure dalla sorprendente consonanza con il
Teatro della Crudeltà di Antonin Artaud. E’
attraverso questa tecnica recitativa nuova, asistematica,
anticonformistica, aperta all’improvvisazione e alla forza
dell’immaginazione, che l’attore supera la quotidianità grazie
all’energia di una intenzione comunicativa fatta di gestualità e
suoni, dell’euritmia di Rudolf Steiner e che rifiuta ogni forma di
realismo e di universalità.
Infatti, a premessa del Capitolo quinto di La tecnica
dell’attore,
allorché introduce il gesto psicologico, Čechov, sempre sensibile
alle arti figurative, cita un celebre aforisma leonardesco «L'anima
desidera risiedere nel corpo, perché, senza le membra del corpo, non
può né agire né sentire».
E’ un suggestivo riferimento alla poetica degli affetti di Leonardo
da Vinci, che, attraverso la teoria dei moti del corpo, fa
corrispondere i sentimenti (moti dell’anima) ai microsegnali, alla
gestualità e alla prossemica (i moti del corpo).
Sono
due le performances
attraverso le quali è possibile capire il ruolo portante del gesto
psicologico: la messa in scena dell’Amleto nel 1923 e
l’interpretazione del Dottor Brulov in Spellbound
di
Hitchcock nel 1945.
Allo straordinario Erik
XIV diretto
da Vachtangov nel 1921,
segue
il debutto al Teatro d’Arte di Mosca-2, già Primo Studio, della
singolare versione dell’Amleto
per la regia collettiva di Valentin Smyšljaev, Vladimir
Tatarinov,
Aleksandr Ceban e Čechov, al quale spetta anche il ruolo del
protagonista, ora un eroe tragico connotato da energia e volontà.
Čechov,
nel suo Amleto, mette in scena una drammatica rappresentazione
del passaggio dal mondo materiale al mondo spirituale e il lavoro sul
personaggio diventa un vero e proprio percorso di autoconoscenza;
tutti gli esercizi psicofisici
servono all’attore per sviluppare la creatività e per sperimentare
uno stile recitativo sempre nuovo, in continua trasformazione. Amleto
rappresenta i valori positivi contrapposti alla malvagità di Claudio
e della sua corte, proprio perché Čechov lo riscatta dalla
tradizionale condizione di inetto, interpretandolo come un eroe
tragico che si esprime attraverso il gesto psicologico, che può
essere uno sguardo intenso e penetrante o il silenzio che si
contrappone alla parola, ma che è ancora più eloquente. Alla base
del gesto psicologico può esserci un movimento astratto e simbolico,
come quello di un braccio che fuoriesce dalle sbarre di una prigione,
movimento con il quale Amleto comunica la sua frustrazione perché si
sente ostaggio della corrotta corte di Danimarca. Čechov, che riduce
gli atti da 5 a 3 con 14 scene, affida al gesto psicologico tutta la
messa in scena della tragedia di Shakespeare; lo Spettro del padre di
Amleto, che Čechov chiama Spirito, non è interpretato da un attore,
ma la sua rappresentazione è affidata a effetti di luce e di suoni.
Le parole dello Spirito sono recitate da un coro di voci maschili con
un ritmo lento e cadenzato, ma potente.
Un altro aspetto radicalmente innovativo emerge nel celeberrimo
monologo, che Čechov trasforma completamente: anziché porsi
domande, Amleto parte dalle risposte al dilemma della sua esistenza,
contrapponendo all’incertezza la determinazione ad accettare la sua
missione.
Čechov
dà vita a quella che viene definita una tragedia espressionista,
nella quale Amleto diventa il protagonista del dilemma etico che
mette di fronte il bene e il male, un eroe che combatte per i propri
ideali e permette al Maestro di approfondire la sua riflessione sul
genere tragico e «il tema del dolore e della sofferenza»,
già al centro dell’Erik XIV, assume un valore più
universale e il protagonista del capolavoro di Shakespeare diventa il
punto d’incontro tra il dolore del singolo e il dolore
dell’umanità.
Il
trasferimento in America equivale per il Maestro ad un progressivo
abbandono delle scene teatrali a favore della cinematografia; la
migliore interpretazione di Čechov è quella del Dottor Brulov in
Spellbound (Io ti salverò), il film girato nel 1944 da Alfred
Hitchcock
con Ingrid Bergman e Gregory Peck. Nelle sale dal 1945, è tratto dal
romanzo La casa del dottor Edwardes di Francis
Beeding per la sceneggiatura di Angus MacPhail e Ben
Hecht; può essere definito un vero e proprio thriller freudiano
dal momento che il produttore David O. Selznick esige che sia la sua
analista a visionare la sceneggiatura quando si parla di psicanalisi,
poiché la storia racconta di John Ballantine, un giovane paziente
affetto d’amnesia (Gregory Peck), che giunge in una clinica per
malattie mentali fingendosi il sostituto del primario, assassinato in
circostanze misteriose. Di lui si innamora la Dottoressa Costance
Peterson (Ingrid Bergman), che lo segue anche quando viene
smascherato e accusato ingiustamente dell’assassinio del primario;
durante la fuga trovano rifugio dal Dottor Brulov (Michail Čechov),
l’anziano medico psichiatra del quale la Peterson è stata
assistente e che li aiuterà nella ricerca della verità, alla quale
si giunge dopo vari colpi di scena. La pellicola è resa
particolarmente suggestiva dalle inquadrature realizzate con il fish
eye, vale a dire l’obiettivo che abbraccia un campo visivo di
180 gradi, e dalle scenografie di Salvador Dalì, al quale si
deve la geniale sequenza del sogno.
Spellbound viene
candidato agli Oscar del 1946; ottiene sei
nomination per Miglior Film alla Selznick Production, Miglior
Regia, Miglior Attore non Protagonista a Michail Čechov, Miglior
Fotografia a George Barnes, Migliori Effetti
Speciali a Jack Cosgrove, Miglior Colonna Sonora
a Miklòs Ròzsa, che vince l’Oscar e dal tema del film
compone la sinfonia Spellbound Concerto.
Il
suo Dottor Alexander Brulov brilla non solo per efficacia ed
incisività, ma per la raffinata ironia con la quale affronta il tema
psicoanalitico e le sue implicazioni.
Čechov
con maestria adatta una recitazione di stampo realistico, ereditata
dal Teatro d’Arte di Mosca, alle esigenze cinematografiche e si
sofferma con attenzione su ogni singolo dettaglio attraverso uno
studio meticoloso, come nel caso dell’interpretazione del sogno di
John, scena nella quale le mani parlano: mentre il Dottor
Brulov versa il caffè, una mano è al centro dell’inquadratura e
l’altra ora è nell’inquadratura, ora fuori campo e crea un
crescendo di tensione.
Attraverso
la costruzione del personaggio del Dottore, che entra in scena nel
secondo tempo, rimanendo presente quasi fino alla conclusione del
film, Čechov ci rende concretamente partecipi dell’importanza
dell’improvvisazione, cioè della capacità di sviluppare
nell’interpretazione quei momenti di felice creatività che chiama
le «perle», scaturite dalle modifiche apportate alle azioni
o alle battute.
Infatti
Čechov lavora con Hitchcock molto volentieri, anche perché il
regista lascia il Maestro libero di spaziare e sperimentare.
L’ammirazione di Hitchcock per Čechov è condivisa dal produttore
Selznick e il Maestro contraccambia; il film, che pure non è tra
quelli che il grande regista inglese preferisce, diventa una preziosa
esperienza professionale.
Recitare
in Spellbound equivale per Čechov, caratterizzato da una
profonda capacità di autoanalisi, a riflettere non soltanto sul suo
stile recitativo, che ora deve adattarsi alle regole della
performance cinematografica, ma anche a trovare una nuova
conferma ai capisaldi della sua Tecnica, considerando che sul set si
trova a lavorare con due dei suoi allievi, Ingrid Bergman e Gregory
Peck.
Nella
versione originale del film l’ascolto della voce di Čechov, delle
incertezze nella pronuncia, delle variazioni del tono restituiscono
tutto il fascino della sua recitazione e della versatilità con la
quale passa repentinamente da un’atmosfera all’altra,
presentandosi ora bonario e rassicurante ora scostante.
La
particolarità della recitazione di Čechov e l’uso virtuosistico
della voce in tutte le sue modulazioni sono restituiti in modo
magistrale dal doppiaggio nella versione italiana, che, se messa a
confronto con l’originale, fa ancor più apprezzare la grande
bravura del doppiatore Lauro Gazzolo, che dà la voce al Dottor
Brulov. Ascoltare Čechov che recita, sia pure in un film, ci
permette di capire l’importanza che il Maestro attribuisce alla
pausa, poiché ad una recitazione enfatica o concitata contrappone
l’importanza del silenzio, lasciando parlare gli oggetti: il
tagliacarte, il bicchiere di latte, i fiammiferi, la pipa, il
bastone.
L’interpretazione
del Dottor Brulov consente a Čechov di indagare anche un altro
aspetto che lo interessa particolarmente, cioè la relazione tra
attore e spettatore e di estendere il concetto di pubblico anche a
tutti quei professionisti dello spettacolo (macchinisti, attrezzisti,
costumisti, assistenti, operai, tecnici delle luci) che si trovano
sul set e con i quali gli attori devono familiarizzare.
La
recitazione di Čechov in Spellbound è una prova magistrale e
il film ha il valore di un documento prezioso, perché, malgrado le
dovute differenze tra scena e set cinematografico, ci permette di
avere un’idea più precisa di quel che doveva essere Čechov attore
teatrale e di come costruiva il suo personaggio.
Esemplare
a questo proposito è la celebre scena dell’accensione della pipa;
dopo una notte movimentata, mentre John dorme ancora sul
divano, stordito dal bicchiere di latte al bromuro somministratogli
da Brulov, che ha capito tutto, c’è un vivace confronto tra lui e
Constance, riluttante a chiamare la polizia. Al culmine di questo
scambio di battute, Brulov vorrebbe cominciare a fumare, ma la
scatola dei fiammiferi gli sfugge dalle mani nervose e soltanto dopo
vari tentativi riesce ad accendere la pipa.
Attraverso
la testimonianza di Charles Marowitz,
il biografo di Čechov, sappiamo che l’attore ebbe molte difficoltà
con questa scena, che, nonostante i numerosi ciack, non funzionava,
perché l’attore non riusciva a trovare il giusto coordinamento tra
battuta e gesto. Tuttavia, proprio quando Hitchcock avrebbe voluto
interrompere le riprese, Čechov trovò la soluzione, recitando le
battute con i tempi giusti e, improvvisando con quello humor
che era solito definire la vera caratteristica delle persone serie,
esclamò, mentre tutti i fiammiferi cadevano a terra, «Non dovrei
fumare al mattino, ma oggi sono molto nervoso». Il risultato fu
una scena memorabile, connotata da una forte ironia, che restituisce
ancora oggi con efficacia tutta l’umanità della sua recitazione.
NOTE
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