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Il Roden Crater un progetto di 'Architettura Liquida'  

Elisabetta Tizzoni
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 28 Gennaio 2021, n. 904
http://www.bta.it/txt/a0/09/bta00904.html
Articolo presentato il 20 Novembre 2019, approvato il 12 Dicembre 2020 e pubblicato il 28 Gennaio 2021.
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Area Architettura

James Turrell: a kaleidoscopic artist

 «My work has no object, no image and no focus.
With no object, no image and no focus,
what are you looking at?
You are looking at you looking
1
».



Alla maggior parte dei grandi artisti soprattutto dei nostri giorni è stata più volte diretta la critica di non fornirci sufficienti delucidazioni in merito all'ideazione e soprattutto alla corretta interpretazione delle proprie opere. La necessità di una spiegazione da fornire al destinatario, associata a una mancata codificazione da parte del mittente, porta oggi a vedere l'arte contemporanea come qualcosa di quasi completamente inaccessibile, ermetica e ad affibbiarle indistintamente l'etichetta di “concettuale” per giustificare questa mancata comprensione. Questo in parte accade perché gli artisti “non stanno dalla parte del pubblico” o quanto meno non fanno della comprensione dei fruitori un loro obbiettivo primario. Fortunatamente questo non rappresenta il pensiero di tutti, anzi è ravvisabile un impegno davvero notevole di molti nella comunicazione e divulgazione dei concetti chiave del proprio pensiero. Tra di essi una larga parte è costituita da artisti transoceanici abituati ad esporre i propri lavori in ogni angolo del globo; in particolare è da segnalare un artista che fa del pubblico una parte essenziale per non dire vitale della sua performance artistica: il caleidoscopico James Turrell.

Grazie a questa particolare attenzione verso i destinatari del suo lavoro, per merito delle sue innumerevoli interviste e i suoi sforzi esplicativi che ritroviamo nelle numerose pubblicazioni di cui è protagonista, conosciamo ogni sfaccettatura della sua cangiante personalità. Quello che l'artista è oggi nel suo complesso non è altro che il frutto di tutta una molteplicità di esperienze che si sono andate stratificando nella sua vita e di cui è l'artista stesso a parlarne e a darcene notizia.

Sappiamo ad esempio che la storia del suo genio creativo in realtà ha avuto inizio prima che nascesse. È Turrell che ha raccontato un aneddoto che risulta essere a tutti gli effetti la molla principale che ha innescato la sua ricerca e che ha generato tutto il suo lavoro.

«Beh, sono stato affascinato dalla luce fin dall'inizio. Ho fatto diverse cose nella mia camera quando ero molto giovane. Avevamo questi tendaggi scuri a Pasadena, per prevenire la minaccia di un attacco aereo. E li ho tirati giù e ho messo le costellazioni lungo l'eclittica in modo che durante il giorno potessi vedere le stelle. Mi interessavano i fenomeni di luce. Penso che non sia troppo diverso da un cervo che guarda i fari di un'auto, in cui trova qualcosa di “inevitabilmente” accattivante2».

Racconta che ancora bambino nella casa del padre si trovavano pesanti tendaggi di velluto nero che esercitavano una certa attrattiva sulla sua infantile immaginazione. Infatti, tutti i giorni di ritorno da scuola come un gioco, un hobby, aveva l'abitudine di chiuderli e di iniziare a bucarli. I genitori inizialmente non avevano posto molta attenzione a queste azioni, queste propensioni del ragazzo, perché avevano immaginato che si trattasse di un gioco destinato ad esaurirsi col passare del tempo. Invece Turrell continuò imperterrito a bucare i tendaggi senza sosta, praticando dei fori nel tessuto oltre tutto di dimensioni differenti e dislocati in maniera strana sulla superficie totale. Disattese le speranze genitoriali la madre, medico, decise di affrontare il giovanissimo artista e di chiedergli che cosa stesse facendo temendo che tali azioni reiterate ossessivamente potessero essere i sintomi di qualche patologia psico-ossessiva più seria. L'artista rispose con un'affermazione strana che lasciò i genitori perplessi: stava costruendo uno “stellario”. Aveva sentito parlare a scuola delle stelle, che nascono e muoiono, della loro magnitudo, delle loro caratteristiche e si era appassionato a tutto ciò che le riguardava. I buchi sul tendaggio infatti erano dimensionati a seconda della grandezza delle stelle e le configurazioni che assumevano su queste tende erano quelle delle costellazioni che studiava a lezione. A ben pensare questa ricerca potrebbe essere considerata la prima opera di Turrell, una sua proto-installazione in cui alla base vi è uno studio, una ricerca che si concretizza in un gioco illusorio: con i suoi buchi di diverse grandezze aveva riprodotto le costellazioni; la luce del sole diurna che filtrava da questi infatti le ricreava offrendo uno spettacolo che in natura, effettivamente, sarebbe stato visibile solo di notte.

«Quando avevo sei anni, con lo scopo di affermare la mia presenza nella stanza, avevo l'abitudine di forare, con un ago o uno spillo, questi tendaggi ottenendo uno schema stellare in cui si riconoscevano anche delle costellazioni. I buchi più grandi corrispondevano semplicemente a stelle di magnitudine maggiore. Tirando giù le tende e oscurando la stanza, si sarebbero viste le stelle in pieno giorno. Quelli però non erano semplici buchi, ma erano buchi nella realtà. Cambiando la natura dello stato di coscienza-risveglio diurno, ci si poteva spingere oltre, in uno spazio immaginario, verso le stelle, che erano effettivamente lì, ma oscurate dalla luce del Sole3».

Le sue opere mature in effetti ci mostrano eventi che non si vedrebbero o che non si potrebbero vedere sempre: fenomeni che per esempio in questo caso non potremmo osservare alla luce del giorno. Ed è proprio da qui, da questo piccolo episodio, che si ritrovano i germi di quello spirito creativo che confluirà nella sua ricerca successiva.

Classe 1943, per il suo aspetto sobrio e austero, piuttosto che un cangiante e polimorfo autore contemporaneo, potrebbe ricordare un inflessibile e intransigente pastore. Il paragone è particolarmente calzante e indicativo in quanto la famiglia da cui proviene e l'artista in primis appartengono alla “Società degli amici”, meglio conosciuti come quaccheri. Questo movimento si pone in una congiuntura tra misticismo, filosofia e religione, in cui il culto del silenzio come meditazione e come via maestra per conoscere la volontà del divino è possibile grazie alla luce interiore presente in ognuno dei fedeli.

Ma come avevamo detto in precedenza, Turrell è molto di più di un semplice esploratore del mondo celeste, alla ricerca di una luce che proviene dal cosmo. In realtà è decisamente più interessato all'elemento “luce” come qualcosa di interno all'umano e anche questa attenzione viene esplicitata dall'artista stesso in un altro episodio significativo legato alla sua infanzia che segnerà e indirizzerà l'attenzione futura dell'artista.

Ritengo quindi indispensabile trattare in questo contesto, anche se verrà ripresa più volte successivamente, la tematica religiosa che è tanto cara all'artista e quanto essa sia stata fondamentale per lui fin da giovane: la luce intesa nella sua simbologia sacra e spirituale che deriva dalla sua esperienza di praticante quacchero, fede derivatagli dalla sua famiglia materna.

«Mia nonna mi diceva che mentre eri seduto in silenzio quacchero dovevi entrare per salutare la luce. Quell'espressione mi ha colpito. Una cosa sui Quakers, e penso che molti Amici potrebbero ridere di questo, è che spesso le persone si chiedono cosa dovresti fare, quando entri lì. Ed è difficile da dire. Dire a un bambino di entrare “per salutare la luce” è quanto mi è mai stato detto4».

È evidente già esplicitando questi pochi concetti che non dovrebbe risultarci per nulla bizzarro a questo punto ritenere che questo “figlio della luce” (come si definivano inizialmente i quaccheri) non poteva che essere la stella più fulgida di un movimento artistico che ha fatto della ricerca sulla luce e sullo spazio il suo life goal: il Light and Space.

«To be an artist is not a matter of making paintings or objects at all. What we are really dealing with is our state of consciousness and the shape of our perceptions5».

Vagamente affine all'arte optical e al minimalismo questo movimento, sorto in California alla fine degli anni '50, è caratterizzato da un'attenzione particolare ai fenomeni percettivi come luce, volume e colore. Un'arte quindi sostanzialmente priva di oggetto basata sull'allestimento di ambienti immersivi generalmente modellati dalla luce: mediante l'uso di materiali come vetro, neon, luci fluorescenti, resina e acrilico colato, spesso unendo questi diversi elementi tra loro, gli artisti che fanno parte di questa corrente sono arrivati a creare installazioni site specific, installazioni proiettate sul muro, misteriose colonne luminose collocate all'interno di una stanza buia e sculture totemiche che riflettono e assorbono la luce ambientale e le ombre invece di irradiare le proprie. Sia dirigendo il flusso di luce naturale, sia incorporando la luce artificiale all'interno di oggetti o di architetture, sia giocando con la luce attraverso l'impiego di materiali trasparenti, traslucidi o riflettenti, gli artisti del Light and Space6 hanno fatto dell'esperienza dello spettatore, attraverso la luce e altri fenomeni sensoriali in condizioni specifiche, il fulcro del loro lavoro.

Incorporando nelle loro opere le ultime tecnologie delle industrie aerospaziali e di ingegneria della California meridionale hanno inoltre sviluppato oggetti sensuali e iridescenti. Tra di essi un posto di riguardo è riservato a Turrell che non solo ha diffuso il movimento in tutto il mondo, riassumendo la sua filosofia nella frase «mangiamo luce, la beviamo attraverso le nostre pelli7», ma ha anche toccato le vette più alte della ricerca condotta dal movimento con i suoi lavori.

Nel 1966 iniziò le sue prime sperimentazioni con la luce indagando le relazioni percettive tra stimoli luminosi e acustici. Questi primi esperimenti furono condotti in un albergo dismesso, il Mendota Hotel di Santa Monica, che l'artista affittò e che in seguito divenne il suo studio e luogo dove poter esporre le sue “installazioni-sculture”; qui infatti furono presentate le prime Cross Corner projections8 che innescano un gioco sottile tra il ruolo dell'ambiente e l'azione rivelatrice, o talvolta disorientante, della luce. Si tratta di lastre metalliche forate delle dimensioni di una diapositiva che vengono proiettate con precise angolazioni su muri adiacenti tra loro dando all'osservatore l'impressione della presenza di un solido luminoso. Fra queste proiezioni la più nota è Afrum (poi ribattezzata Afrum-Proto) che venne presentata insieme alle precedenti nella prima mostra personale dell'artista presso il Pasadena Art Museum9. In essa si percepisce l'immagine di un parallelepipedo luminoso ancorato all'angolo (diedro) formato dalle due pareti verticali provocando una doppia illusione: da un lato lo spettatore percepisce la forma luminosa fluttuante di questo “solido non-euclideo” come un qualcosa di reale anche muovendosi nello spazio (avendo però sempre premura di mantenere una certa distanza dalla proiezione luminosa), dall'altro l'effetto “rilievo” è aumentato dalla reale tridimensionalità della stanza su cui tale proiezione si incardina, palese per il nostro sistema visivo10. Turrell realizzò così numerose serie di ambienti che giocano con la luce e la percezione visiva tra la fine degli anni '60 e gli inizi dei '70, di cui fanno parte le Single Wall Projections (sorta di reminiscenze del piano iconico rinascimentale, seppur non delimitato dai bordi della cornice, come in un dipinto classico; dove tuttavia la luce coinvolta nell'installazione è lì fisicamente presente quasi trasformata in materia solida)11, le prime Shallow Space Constructions e le Mendota Stoppages12, queste ultime con interazioni acustiche oltre che luminose all'interno di camere progettate ad hoc. Con il loro linguaggio formale raffinato e le atmosfere silenziose, quasi riverenti, le sue installazioni celebrano gli effetti ottici ed emotivi della luminosità13.

Questi “ambient art” sono nati grazie agli esperimenti sui campi percettivi totali e sulla deprivazione sensoriale che l'artista, insieme al collega Robert Irwin, aveva condotto all'interno del programma Art and Technology (istituito dal Los Angeles County Museum in collaborazione con gli scienziati e gli ingegneri della Lockheed Aircraft, della IBM e della Garrett Aerospace Corporation). Numerose sono quindi le installazioni site-specific create dall'artista con illuminazioni studiate ad hoc per architetture preesistenti, che si basano sull'effetto Ganzfeld14 (una parola tedesca per descrivere il fenomeno della perdita totale della percezione della profondità come nell'esperienza di un whiteout15): gli spettatori esposti alla stimolazione diretta di un campo luminoso, colorato e uniforme, subiscono temporaneamente una perdita della visione; questo comporta un fenomeno allucinatorio e uno stato riflessivo che Turrell stesso definisce «seeing yourself seeing – vedere sé stessi nell'atto di vedere16». La sua arte incoraggia quindi uno stato di visione riflessiva, in cui diventiamo consapevoli della funzione dei nostri sensi e della luce come sostanza tangibile. In perfetta risonanza con questa azione riflessiva sull'atto del vedere vi sono alcune opere, di ambigua decifrazione da parte dei fruitori, che Turrell produsse alla fine degli anni Ottanta sfruttando in maniera più intensiva e architettonica i suoi studi sui Ganzfeld. La più celebre è quella intitolata City of Arhirit, un'installazione di luce solare filtrata realizzata presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1976 in cui l'osservatore era costretto ad attraversare una sequenza di quattro stanze: la successione di spazi assolveva allo scopo di miscelare l'afterimage17 cromatica della camera appena attraversata con il colore del nuovo ambiente in cui si entrava, sapendo che quel residuo retinico era destinato progressivamente a decadere18. Tali contrasti durante il percorso producevano nello spettatore un senso di instabilità, di perdita dell'equilibrio e dell'orientamento, al punto che alcuni visitatori querelarono Turrell, avendo riportato delle fratture da caduta in seguito all'attraversamento dei suoi Ganzfeld, e da quel momento l'artista decise di realizzare installazioni in cui fosse impossibile entrare ma solo guardare al loro interno19.

Queste preoccupazioni percettive sono accoppiate con un profondo impegno per il mondo naturale e un interesse ad orientare il suo lavoro attorno agli eventi celesti. Proprio da questa sua attenzione nasceranno i primi Sky Spaces. Da sempre attratto dal cielo fu suo padre ingegnere aeronautico ad avvicinarlo al volo e alla sua meccanica, appassionandolo a tal punto da spingerlo a diventare pilota.

Oltre alla luce, nucleo centrale della poetica turrelliana, il tema architettonico della stanza è una sorta di archetipo per molte sue opere che si innerva in complessi riferimenti metaforici riconducibili alle speculazioni del filosofo inglese Locke (sulla scia del pensiero cartesiano): la stanza quale luogo in cui avviene la conoscenza e modello degli stessi processi celebrali. Così negli anni '70 Turrell iniziò la sua serie di “spazi celesti”, opere che mirano a sfidare la percezione e l'esperienza della luce dello spettatore, facendo convergere cielo e terra. Si tratta di ambienti simili a camere appositamente proporzionati che possono essere strutture autonome o integrate nell'architettura esistente, con un'apertura (rotonda, ovale o quadrata) nel soffitto rivolta verso il cielo. Sono attraversati sia dalla luce naturale che da quella artificiale e spesso vengono illuminati con colori vivaci. Il primo Skyspace fu costruito nel 1976 in Italia, nella dimora del conte Giuseppe Panza di Biumo il quale, rimasto affascinato dai lavori e dalle ricerche condotti da Turrell in America, invitò l'artista nella sua villa nei pressi di Varese per realizzare alcune opere appositamente pensate per la sede della sua collezione. Ad oggi di queste moderne “scatole prospettiche” se ne contano più di 75 sparse per il mondo che testimoniano lo sviluppo della sua ricerca luministica: dagli Skyspaces di Villa Litta, passando per gli Space that Sees del '92, la House of Light del'97 vera e propria architettura solida e di luce, il One Accord del 2000, le Unseen Blue e Plato's Eye del 2002, Sky Mass, Light Reign e Boullee's Eye del 2003, Picture Plan e Above Horizon del 2004, lo Stone Sky del 2005, il Dividing the Light del 2007, l'Arrowhead del 2009, Il Within Without del 2010, l'Outside, Insight e l'Above-Between-Below del 2011, fino al Twilight Epiphany del 2012 e al Rising Kayne del 2013, e così via. Da notare che non solo la concezione del progetto di base si amplia di anno in anno ma avviene anche un'evoluzione attestata dai titoli stessi delle installazioni da lui realizzate che si fanno sempre più ricercati e volti a focalizzare lo sguardo, gli occhi (molte installazioni infatti hanno nel nome il termine eye, con gli occhi il pubblico si immerge nello spazio e c'è un “occhio” che lo collega direttamente tra cielo e terra, “Occhio” che potrebbe rimandare a un'onniscienza celeste, divina), e a indirizzare l'attenzione dello spettatore su concetti che sono alla base della sua ricerca artistica (“Con, Senza, Fuori, Dentro”, ecc). Lo Skyspace riassume da un punto di vista sia strutturale che funzionale la configurazione di un organo visivo che ora rivolge il suo sguardo verso il cielo; tuttavia in questo “spazio che guarda” siamo presenti anche noi osservatori, paradossalmente intenti nel guardare fuori e dentro di noi20.

L'unicità dell'esperienza visiva è spesso evidenziata dall'artista insieme alla sua indicibilità e sembra quasi che Turrell faccia una excusatio non petita di sapore dantesco: il sommo poeta infatti nella terza cantica più avanza nel suo cammino verso il mondo sempre più rarefatto del Paradiso, più procede avvicinandosi alla luce totale, completa del divino, e più dice di non riuscire a ricordare, di non poter descrivere ciò che gli si presenta innanzi. Allo stesso modo di Dante, l'artista americano afferma l'impossibilità di fornire una descrizione verbale o scritturale adeguata dei suoi fenomeni immersivi totalizzanti, esperienze per altro molto simili a quelle provate dagli aviatori che non riescono a rendere conto degli straordinari fenomeni atmosferici visibili ad alta quota.

«Più esperienze straordinarie hai in volo, più difficile diventa condividerle con altri. La tua esperienza è tale che diventa quasi impossibile parlarne. […] Sarebbe più facile far provare le stesse sensazioni agli altri facendoli volare. L'idea del bodhisattva21, che ritorna e incoraggia gli altri a compiere il viaggio, è per certi versi il compito dell'artista. Si tratta di un ruolo differente da quello di colui che è già lì quando anche tu ci arrivi. Il bodhisattva ti invita ad attraversare quel passaggio, a fare quel viaggio. Questo è il motivo per il quale ho cominciato ad apprezzare un'arte che non si costituisse come un atto vicario, bensì come un vedere il cui soggetto fosse il tuo stesso vedere22».

La sensazione di isolamento individuale e di immersione nel paesaggio di luce durante i voli ad alta quota in soaring rimandano inevitabilmente agli elaborati letterari di un grande scrittore e aviatore francese: Antoine de Saint-Exupéry. Umberto Eco diceva giustamente a proposito del poeta «è incerto se Saint-Exupéry volasse per scrivere o scrivesse per volare23», infatti l'aviazione fu per lo scrittore molto più di una passione, una vera e propria estensione dell'immaginario; il cielo è il luogo che più di ogni altro rappresenta il paesaggio della sua scrittura, come per Turrell il paesaggio della sua arte (egli stesso definisce il cielo il suo grande studio). L'etere quindi come un universo da esplorare con la leggerezza e la fantasia di un pilota, proprio come l'amico aviatore del Piccolo Principe.

Ad affascinare Turrell è soprattutto l'esperienza riportata dallo scrittore francese sul volo notturno, nel momento in cui avanza la luce o l'oscurità: da queste esperienze nascerà la serie dei Dark Spaces, di cui il primo lavoro Pleiades del 1983 agiva preferenzialmente sulla “visione notturna”. Alla deriva in un'oscurità indifferenziata, lo spettatore, privo di riferimenti spaziali, rimuove anche i propri legami corporei e precipita, benevolmente, in uno stadio prossimo all'esperienza allucinatoria dov'è possibile vedere fenomeni che sono al limite delle percepibilità quasi avvertendo l'attivazione dei propri fotorecettori retinici.

Molti vedono in questo approccio artistico, incardinato sull'unicità percettiva dell'esperienza, una risonanza con le sperimentazioni musicali del compositore americano John Cage il quale aveva preso parte, come Turrell, al progetto gemello dell'Art and Technology. In particolare il celebre 4'33'', brano in cui l'esecutore non suona nemmeno una nota restando immobile e osservando, cronometro alla mano, lo scorrere del tempo. Scopo di questa provocatoria composizione fu dimostrare che il silenzio assoluto non esiste, facendo automaticamente slittare l'attenzione dell'ascoltatore dal palcoscenico all'uditorio fino allo spazio esterno alla sala da concerto.

Analogo scopo hanno i Dark Spaces progettati da James Turrell che mostrano come sia impossibile creare uno spazio in cui si realizzi la totale assenza di luce24.

Esiste potremmo dire un precursore delle idee tradotte nelle ricerche di Cage e di Turrell, un artista che rifletteva sugli stessi concetti ad esempio parlando di esperienza percettiva, e che arrivava a conclusioni simili a quelle dei due artisti precedentemente citati.

«A painting is not a picture of an experience; it is an experience»; «silence is so accurate»; «I'm not an abstractionist. I'm not interested in the relationship of color or form or anything else. I'm interested only in expressing basic human emotions: tragedy, ecstasy, doom25» sono frasi che ben riassumono la poetica di quest'uomo: un artista che si chiamava Mark Rothko.

Rothko, con la sua insaziabile ricerca e tensione neoromantica verso l'infinito – debitore in questo verso il tedesco Friedrich – per tutta la sua vita contemplò quello spazio infinito e ideale: il cielo, talvolta puro e rasserenante, altre volte più scuro e minaccioso. Non a caso, la sua pittura fu definita dal critico Harold Rosenberg come «il versante teologico dell'Espressionismo astratto26». Rothko tuttavia non si considerava affatto un uomo religioso e non volle mai circoscrivere la sua ricerca, prima di tutto umana, esistenziale, alla sfera esclusiva del sacro27. Tuttavia, i suoi quadri per mezzo della luce e del colore straripanti e totalizzanti appaiono ai più come una teofania, come apparizione del “divino”, distruggendo l'illusione e rivelando la verità come fu egli stesso a confermare riferendosi alle sue tele. Quadri percettivi che hanno come aspirazione massima, prima di quella estetica, quella di provocare reazioni emotive e inconsce. «Il fatto che un gran numero di persone rimanga profondamente turbato e pianga quando si trova di fronte ai miei dipinti dimostra che riesco ad entrare in contatto con quelle fondamentali emozioni umane28». Un'opera d'arte che non è un “messaggio” ma una finestra sulla realtà, in grado di trasformare il modo ordinario, standard di vedere le cose, sfidando l'osservatore a una partecipazione intensa e senza vie di fuga. Per questa serie di motivi l'opera di Rothko resta un confronto con l'assoluto ed è religiosa in radice, nel senso che è icona della finitezza tesa all'estremo, una notte oscura che, alla fine, gli si è rivelata fatale. Ritrovarsi di fronte ad un'opera dell'artista significa entrare e perdersi in spazi altri, ampi, liberi, ma anche melmosi, vaporosi, carichi delle emozioni più contraddittorie. In entrambi i casi, anche se con soluzioni formali molto diverse, la lezione di Rothko sembra calare proprio nell'attenzione all'assoluta centralità data alla luce e al suo contrario. Quando la luce e la sua negazione sono protagoniste assolute dello spazio significa che il visitatore diventa esso stesso parte dell'opera con il proprio corpo che trattiene, deforma, devia la luce e ne è attraversato. Espressione massima della sua poetica la sua chapel29, la Cappella di Houston, in cui Rothko realizza un'opera d'arte totale (non in senso wagneriano ma come unicum compiuto di un genio): è un caso tipico di questa impasse che ti «prende alla gola, costringe a una reazione, non la si dimentica nemmeno se la si rifiuta30». L'artista aveva in mente il suo studio a New York, dove la luce filtrava da un “lucernaio” centrale, «l'occhio del tetto» scrive suggestivamente Carrera a proposito della Cappella. Rothko vide nella Cappella di Houston la grande occasione per celebrare la “religione della luce” «in ogni suo apparire – commenta Carrera –, inclusa la sua assenza, incluso il nero»31.

È innegabile quindi l'ascendenza di questo maestro della luce su un giovane artista come Turrell che si affacciava all'arte e alla ricerca della luce.

Nel momento in cui si ferma la ricerca artistica dell'uno, Rothko con la sua Chapel (a Huston, Texas), partirà la ricerca artistica dell'altro, Turrell, sempre nell'ambito religioso con la Live Oak Friends Meeting (sempre a Huston, Texas). Si ritrovano infatti in entrambi le stesse sfumature di colori e la stessa volontà di provocare nello spettatore dei sentimenti, con la loro caratteristica semplicità ed essenzialità che molto spesso è stata scambiata per una ricerca prettamente estetica e superficiale.

Bisogna sempre diffidare di chi ritiene che tali installazioni siano frutto di un lavoro immediato e per nulla complicato, che si tratti di un'idea che una volta innestata nella mente dell'artista possa facilmente tramutarsi in una manifestazione concreta del suo pensiero: Turrell è un sognatore creativo e visionario non c'è dubbio ma è anche un calcolatore esigente nonchè pignolo scienziato che è ben consapevole che per raggiungere un traguardo bisogna farlo senza fretta ma senza sosta. Un esempio di artista paziente che studia a fondo le proprie possibilità artistiche per poi donarci un prodotto confezionato nel migliore dei modi. Non di meno l'artista studia e progetta alacremente le sue installazioni dedicando un'attenzione particolare soprattutto se l'ambiente atto a ospitarle è già precostituito o se i propri lavori si debbano inserire all'interno di uno spazio di un edificio. Un esempio di paziente lavorio, durato ben sei anni, e di perfetto inserimento nell'edificio preesistente è Aten Reign (2013), un importante progetto creato appositamente per il Guggenheim di New York che reinventa la rotonda dell'iconico edificio di Frank Lloyd Wright come uno degli ambienti più luminosi e immersivi di Turrell. L'artista offusca l'interno del museo con i colori dell'intero spettro in modo che i visitatori entrino in un ambiente prismatico all'interno del guscio madreperlaceo della conchiglia creata da Wright. Indubbiamente la forma cilindrica dell'edificio e il lucernaio a cupola hanno ispirato a lungo gli Skyspaces dell'artista. Lo stesso Turrell dichiara che avrebbe potuto togliere il tetto al Guggenheim ma così com'è crea uno Skylight Space che prende il nome di un dio del sole della mitologia egizia32, ricreando artificialmente il potere di fornire la luce alla nostra stella principale, consentendo al contempo alla luce naturale di essere filtrata nella scena.

Lo spettatore mentre osserva le transizioni cromatiche che si verificano nelle ellissi sopra di lui si ritrova in una dimensione sospesa: lo stato d'animo più facilmente raggiungibile qui è simile a quando si prende il sole o si vede una stella cadente – un calore interiore o una breve ma intensa meraviglia che rilascia endorfine. Ancora una volta sono le fasi di transizione quando il sole sorge o cala a essere le più vitali, proprio come il momento dell'entrata in Aten Reign può formare la trasformazione più memorabile per il visitatore.

Per le diverse sperimentazioni, studi e ricerche dell'artista americano che si sono tradotte praticamente in tutti i casi in installazioni dal sapore contemplativo, filosofico e mistico, è stata coniata la definizione di “architettura percettiva”, concetto che si incardina proprio sull'assunto che la percezione è il medium, sottolineando in aggiunta che non esista distinzione di sorta tra percezione e comprensione. Le opere di Turrell si collocherebbero in una zona di confine tra creazione materiale, solida vera e propria, e percezione: sensazioni che derivano da essa attraverso il medium del fruitore. Il punto è che non esiste un prima e un dopo, ma esiste una sincronia che si ricollega direttamente alle speculazioni di alcuni influenti fenomenologi e psicologi della percezione, come Maurice Merleau-Ponty: «[…] più che vedere il quadro, io vedo secondo il quadro o con esso33».

Infine, come devoto quacchero, Turrell ha progettato anche numerosi spazi religiosi, di contemplazione e aggregazione spirituale per la Society of Friends, come la Live Oak Meeting House. Quest'ultima è nata proprio dall'esigenza di creare uno spazio dove riunirsi ed è stata dotata dall'artista di un'apertura, un vero e proprio squarcio nel tetto, in cui la nozione di luce assume una connotazione decisamente religiosa. In realtà esiste una lunga serie di altrettante installazioni che l'artista ha inserito in spazi religiosi e mistici in generale, come il Gathered Sky realizzato nel 2002: uno spazio meditativo presso il Temple Hotel a Pechino. Nel 2016 invece Turrell a Berlino ha realizzato la Dorotheenstadt Cemetery Memorial Chapel. Là, nei luoghi dove l'arte per millenni ha posto pietre, ori, marmi, incisioni, segni, suppellettili, epitaffi e fotografie, Turrell oggi offre l'impalpabilità poetica della luce.



Sooner than Later: il Roden Crater Project

«Ottenni infine un bagliore di speranza […] e intravidi che se vi era un mezzo per dare forma alle idee in cui ero penetrato, questo non poteva consistere che nel modo di introdurre la luce nel tempio. È la luce che produce gli effetti […]. Allora non pensai ad altro che a mettere in opera tutti i mezzi che mi offriva la natura. Così mi dissi, e lo confesso con una certa fierezza: la tua arte ti rende maestro di questi mezzi, e anche tu avrai modo di dire fiat lux, e secondo la tua volontà il tempio sarà uno splendore di luce o non sarà altro che dimora delle tenebre. E presto non mi occupai altro che di architettura34».

Questa dichiarazione di poetica non è stata pronunciata da Turrell anche se tutto lo lascerebbe intendere. In realtà riporta ciò che affermava uno dei sommi architetti di luci e ombre del XVIII secolo, Étienne-Louis Boullée (1728-99), considerato all'epoca uno degli artisti più visionari e influenti del neoclassicismo francese nonostante non avesse visto prendere vita a nessuno dei suoi progetti più straordinari. Nelle sue immaginifiche speculazioni, Boullée ha cercato di ispirare alti sentimenti nello spettatore attraverso forme architettoniche che suggeriscono la sublimità, l'immensità e la bellezza del mondo naturale, nonché l'intelligenza divina alla base della sua creazione. Allo stesso tempo fu fortemente influenzato dall'entusiasmo indiscriminato per l'antichità (in particolare per i monumenti egiziani) sentito dai suoi contemporanei, passione che come abbiamo visto per Aten Reign è ampiamente condivisa anche da Turrell.

L'architettura di Boullée è rivoluzionaria; le forme proposte ed utilizzate in maniera pura e grandiosa (tronchi di cono, sfere, piramidi, cilindri, ecc.) sono innovative per l'epoca. Tra i suoi progetti più celebri ricordiamo un monumento sepolcrale celebrativo, il cosiddetto Cenotafio per Newton, costituito da un'enorme sfera elevantesi su una struttura circolare, circondata all'esterno da file di alberi disposte su diversi livelli e all'interno, a parte la presenza del sarcofago, completamente vuota. Piccole aperture avrebbero permesso l'illuminazione, con effetti di particolare suggestione. Si tratta in ogni caso di strutture dotate di valore più simbolico che funzionale. Un'enorme sfera cava è sostenuta da tre grandi terrazzamenti sovrapposti, volti ad assorbire le spinte del corpo principale. Le terrazze, a base circolare, sono piantumate a cipressi; in tal modo, l'insieme richiama gli antichi mausolei imperiali romani. All'interno, sul soffitto, una serie di piccole aperture avrebbe dovuto rivelare, facendo filtrare la luce del sole, le diverse costellazioni. All'interno la sfera cava doveva contenere soltanto il sarcofago commemorativo. Al centro della sfera, illuminata durante la notte, doveva essere sospesa una grande sfera armillare, ovvero la rappresentazione dell'universo secondo l'antica concezione tolemaica, che vedeva la terra al centro del sistema solare.

Anche in questo caso ritroviamo delle similitudini con l'artista californiano del Light and Space: Turrell infatti non solo aveva progettato Spread nel 1989 ma anche Boullée Boola l'anno successivo. Entrambe hanno numerosi punti in comune con le idee architettoniche alla base del progetto del Cenotafio newtoniano, ma anche nel suo caso si tratta di edifici rimasti su carta (almeno per il momento). Il nome poi che Turrell ha dato al suo secondo progetto (“Sfera di Boullée”) lascia poco all'immaginazione, esplicitando quindi un chiaro omaggio a questo architetto settecentesco visionario. Queste opere, insieme ad altri suoi modelli, attingono quindi ad una ricchezza passata di architetture tra l'esotico e l'immaginario che Turrell traduce in un insieme indissolubile. I progetti visionari di Boullée e Ledoux della fine del XVIII secolo sono quindi evidenti nelle forme di opere come Spread e Boullée Boola. C'è anche una forte affinità con la pionieristica architettura cubista del californiano Irving Gill, soprattutto nell'uso del liscio intonaco bianco non decorato, particolarmente evidente a Cold Storage la cui cupola fa riferimento all'architettura islamica che Gill stesso citava occasionalmente. Turrell rende anche omaggio ai templi precolombiani in opere come Transformative Space e anche ai miti del deserto degli UFO nei titoli di Abduction e Jump Start.

Nel 2003 prende finalmente vita il progetto “boulleiano” dell'artista californiano in una commissione privata dalla collezione Lhoist (Group Limelette) a Bruxelles in Belgio. Nasce infatti Boullee's Eye, uno strepitoso Skyspace perfettamente integrato nel verdeggiante ambiente circostante, che dalla forma e dalle caratteristiche rimanda efficacemente ai suoi precedenti modelli. Turrell ha così tradotto finalmente il modello in realtà.

Sulla stessa tradizione speculativa di Boullée si inserisce quindi a pieno titolo la figura di Turrell, che nel corso della sua vita e nella realizzazione delle sue visioni si è gradualmente orientato allo sviluppo di un linguaggio sempre più prossimo all'architettura. Nel caso specifico però dell'artista californiano, si tratta di un'architettura che tende a rimuovere percettivamente il significante per far emergere il significato, il suo spazio interno, attraverso l'azione rivelatrice della luce e dell'ombra. Forse da questa necessità funzionale, ma anche se non di più dal riduzionismo latente nel puritanesimo quacchero, discende il design minimalista di Turrell che influenza in modo evidente la poetica di architetti come Steven Holl, Billie Tsien, Michael Gabellini e Tod Williams. Alla domanda sul perché allora egli, che non è un architetto professionista, eserciti un così grande fascino sulle nuove generazioni di progettisti, l'artista risponde:

«Sono uno al quale effettivamente piace vedere le proprie strutture costruite. Il mio scopo è realizzare un'architettura fatta di luce e spazio. Un'architettura topologica. Questo non significa che non mi preoccupi di perimetrazioni e forma, bensì che voglio rendere più rilevante ciò che si situa nell'interstizio, come contrapposto a ciò che contribuisce a creare l'interstizio. Si tratta di un'architettura molto semplice. Un'architettura di luce35».

Nel 1973 un intero isolato di Santa Monica, che ospitava gli studi di famosi artisti contemporanei come Sam Francis, Charles Hervigny e Richard Diebenkorn, fu interessato da un'imponente azione speculativa da parte di un consorzio privato la cui maggiore azionista era l'attrice e cantante Barbra Streisand36. Nell'occhio del ciclone si ritrovò anche il Mendota Hotel, il cui locatario Turrell, per cessazione del contratto, fu costretto a lasciare il suo atelier (adesso uno Starbucks) e ad abbandonare tutte le camere predisposte per lo studio dei fenomeni percettivi legati ai Mendota Stoppages37. Per l'artista quella sfortunata circostanza, e la conseguente perdita di un numero considerevole di opere fino ad allora prodotte, poteva sembrare una battuta d'arresto irreparabile per la sua carriera, più in generale per un professionista che era ancora in cerca di affermazione; ma il maestro sfruttò la situazione in cui versava a proprio vantaggio trasformando radicalmente la sua storia personale e professionale. Come prima cosa era impellente la necessità di ritrovare un proprio spazio creativo e nel 1974, grazie a una borsa erogata dalla Solomon R. Guggenheim Foundation, l'artista acquistò del carburante per il suo velivolo con il quale per sette mesi perlustrò l'America dell'Ovest in lungo e in largo alla ricerca di un luogo in cui stabilizzarsi nuovamente, un qualcosa in cui ricreare opere che sfruttassero la straordinaria intensità della luce solare naturale e la relativa prossimità al cielo che sarebbe stata garantita dall'alta quota del sito. Quest'ultimo doveva possedere alcune caratteristiche geomorfologiche ben precise e una in particolare: un sito dal cui interno fosse esperibile il fenomeno del cosiddetto celestial vaulting38. Durante i suoi voli di ricognizione Turrell individuò dei possibili candidati al suo progetto che avevano tutti una qualità comune: si trattava in tutti i casi di crateri vulcanici.

L'artista aveva già in precedenza avuto a che fare con crateri vulcanici, infatti aveva preso parte alla costruzione dell'Irish Sky Garden o Crater. Il sito offre allo spettatore un'opportunità assolutamente unica per ammirare e godersi la “volta celeste” e Turrell ha trasformato il cratere in un enorme osservatorio ad occhio nudo. Ogni elemento è stato attentamente progettato per apparire naturale, ma come sempre in realtà nessun elemento è stato lasciato al caso. Il suo design consente allo spettatore, sia di giorno che di notte, di vivere veramente il cielo in ogni suo particolare momento senza distrazioni o impedimenti. Sul morbido sfondo verde dell'erba e sul bordo superiore del cratere strettamente ritagliato non rimangono distrazioni che catturino l'occhio dello spettatore: ciò che resta è solo il cielo.

Così facendo tesoro dell'esperienza irlandese l'artista ha continuato tale linea di indagine sul suolo americano, cominciando dalla ricerca del sito più idoneo per il suo progetto: per le sue proporzioni, per il suo posizionamento in un ambiente abbastanza isolato da qualsiasi contesto urbano, nonché per la sua collocazione all'interno di un deserto sontuoso, il Painted Desert, uno scenario naturale che sembrava un'opera d'arte eseguita dallo stesso artista, la scelta ricadde sul Roden Crater.

Si tratta di un vulcano naturale spento di origine strombolica la cui nascita risale a 300 mila anni fa circa e che si erge per 150 metri circa lungo il deserto dipinto. Localizzato a circa 40 miglia a nord-est dalla città di Flagstaff è posto ai confini delle riserve naturali degli indiani Navajo e Hopi ed è collocato sulla linea di demarcazione tra le culture Anasazi (gli “Antichi”) ad est e Sinagua (i “Senza Acqua”) ad ovest. È il cono di ceneri più giovane di un'estesa regione vulcanica ancora molto attiva che conta la presenza di 600 vulcani che hanno “dipinto” un paesaggio molto diversificato con aree desertiche rocciose dai colori sgargianti miste a imponenti foreste di conifere. La quasi totale assenza di inquinamento atmosferico e luminoso, combinato con la secchezza dell'aria caratteristica delle regioni desertiche, esaltano le sue qualità cromatiche rendendo i colori saturi, immergendo il visitatore in uno scenario che sembra un vero e proprio quadro.

Questo cono di ceneri estinto prende il nome dall'originario proprietario ottocentesco della tenuta che includeva il vulcano, un certo William D. Roden, un allevatore di bovini nella vicina valle del Little Colorado River. Ai limiti degli attuali confini del podere sono ancora visibili i resti della sua casa in mattoni che l'artista non ha voluto rimuovere. In seguito lo spazio era diventato di proprietà del magnate delle ferrovie americane e latifondista Robert Chambers, per nulla incline a vendere terreni ma semmai ad acquistarli. Solo in seguito a una serrata corte da parte dell'artista americano, il latifondista cedette alle sue lusinghe, anche persuaso dalle parole di Turrell che vedeva nel cratere inimmaginabili potenzialità per la trasformazione del sito, che venne infine acquistato, dalla Dia Art Foundation e grazie al sostegno del collezionista italiano Giuseppe Panza di Biumo, per una cifra pari a 66.000 dollari. Dei progetti per il cratere rimasero entusiasti e si persuasero in seguito alle parole dell'artista anche le famiglie Hopi residenti nelle vicinanze del sito, inizialmente preoccupate per le sorti del cono di ceneri poiché, per la sua “prossimità al cielo”, il Roden era stato un luogo liturgico e rimaneva un luogo sacro e inviolabile. Gli Hopi vennero rassicurati ulteriormente in seguito alla rivelazione che l'idea di base dell'artista era proprio quella di valorizzare ed esaltare le caratteristiche ambientali e rituali del luogo. In seguito, Turrell cominciò a tradurre in forme grafiche e plastiche le suggestioni, le idee che progressivamente assumevano una loro coerenza progettuale: al 1985 risale il Deep sky portfolio, (raccolta di incisioni in bianco e nero che suggerivano le qualità visive previste dall'artista per i futuri spazi del cratere) seguito nel 1987 dal Mapping Spaces portfolio (schemi planimetrici degli ambienti ipogei sovrapposti a foto aeree del cratere scattate dallo stesso Turrell). Nel 1976 presso lo Stedelijk Museum, fu invece presentato, insieme ad alcuni disegni tecnici, il primo modello fisico del Roden Crater, già all'epoca concettualmente monumentale e sbalorditivo nei contenuti, ma che sarà in seguito ampliato, implementato e presentato con la collaborazione di importanti personalità per una retrospettiva sull'opera dell'artista americano tenutasi nel 1985 presso il Museum of Contemporary Art di Los Angeles39 .

Inoltre all'avvio di una serie di consulenze scientifiche con alcuni astronomi e archeo-astronomi di fama mondiale, Turrell definì un progetto sempre più complesso che, grazie all'intenso lavoro di équipe, avrebbe coinvolto l'osservatore in un coacervo di esperienze sensoriali legate alla percezione della luce e delle sue interazioni, in tempo reale, con l'atmosfera e i paesaggi terrestri, ma anche agli eventi che si svolgono nello spazio siderale, ben visibili in varie posizioni del cratere, sebbene avvenuti milioni di anni fa. L'interesse dell'artista era rivolto nello specifico a far emergere, potremmo dire riaffiorare, «il lato più primitivo, aurorale, animale delle capacità sensoriali del fruitore che si fanno specchio, analogon, del paesaggio e delle atmosfere circostanti40».

Il suo progetto prevedeva infatti la ricerca di un'area in cui fosse manifesta la stratigrafia geologica, sensibile all'accumularsi dei secoli. Turrell voleva che il sito ospitante la sua visione avesse una risonanza archetipica, in cui ancora oggi echeggiassero le immagini e i suoni della creazione, in cui il visitatore percepisse esattamente di trovarsi sulla crosta di un pianeta attivo.

È l'artista che sostiene di aver avvertito questa connessione per la prima volta quando nel 1970 visitò il Giappone a seguito di un programma di scambi culturali. In particolare, su di lui esercitò uno straordinario fascino la visione dell'isola vulcanica attiva di Suwanose-jima, nell'arcipelago delle Ryukyu settentrionali, sorvolando la quale avvertì:

«la vitalità della terra, il paesaggio e la riemersione delle culture stratificate. La geologia corrobora questa visione con il movimento delle piattaforme continentali, la subduzione e la riemersione dei vulcani. Ho memoria dei terremoti in California, ma a Sunwanose la terra trema quotidianamente. I vulcani, naturalmente, sono elementi di connessione col centro della Terra e il magma liquefatto. Nel momento in cui ho visto la catena di isole vulcaniche a sud del Giappone, ho capito che anch'io volevo trovare un vulcano. I vulcani e le isole possiedono una “matericità” terrestre. Ugualmente il mio interesse verso la percezione è nel donargli questa “matericità”. Essa esiste proprio come un oggetto fisico41».

Questa rivelazione della profonda natura geologica della superficie terrestre avvenne in volo e consentì all'artista di riflettere approfonditamente su quella pelle come una forma di rivestimento su cui si depositano, si stratificano nel corso della storia immagini di diverse civiltà che potenzialmente sono sempre pronte a rinascere, a rivedere la luce grazie agli scavi archeologici o attraverso l'analisi dei contenuti delle foto aeree.

Nell'area intorno al Roden sono state rinvenute tracce archeologiche di insediamenti nativi molto antichi: nello specifico un'ampia corte in cui si svolgevano danze rituali, un anfiteatro lapideo circolare (simili a quelli rinvenuti in alcuni siti meso-americani), fondazioni murarie di abitazioni e cocci di vasellame.

L'intera struttura del cratere funziona come un enorme Skyspace a scala paesaggistica in cui l'artista è riuscito a modellare la percezione del cielo attraverso la configurazione dello spazio che ospita l'osservatore, generando un totale appiattimento, l'aderenza della volta celeste semi-sferoide al piano dell'apertura e una sua compressione.

Sarebbe riduttivo definirla solo opera, poiché ci troviamo di fronte all'apice della carriera di un artista e ad un punto di svolta nella storia dell'architettura contemporanea. Scavalchiamo uno dei più sublimi e visionari architetti del XX secolo come Frank Lloyd Wright per approdare all'incarnazione di un'utopia che sembrava destinata a rimanere tale. Non siamo più solo davanti a quello che alcuni hanno definito un supremo esempio di Land Art, ma potremmo dire in un legame indistricabile di quest'ultima con il Light and Space e tale fusione ha generato lava così incandescente che in sua presenza si corre il rischio di rimanerne folgorati. Lo scopo ultimo infatti di quest'opera, definita dallo stesso artista come un landformed work, è quello di inglobare al suo interno una sequenza di fenomeni atmosferici e celesti e veicolarli attraverso il suo lavoro per poterli offrire al sistema percettivo del visitatore. A tal fine il vulcano viene scolpito, scavato e modellato fino a ricavarne complesse strutture architettoniche, completamente ipogee, con aperture dall'intenso impatto scenografico; una volta completato assisteremo a uno spettacolo composto da 21 spazi e 6 tunnel, un osservatorio a occhio nudo di un susseguirsi di camere, gallerie dotate di aperture aventi il preciso compito di intensificare la percezione umana di terra e cielo.

In un'intervista rilasciata dall'artista in occasione della mostra AISTHESIS - All'origine delle sensazioni, Turrell ha spiegato come per lui la luce sia parte della nostra alimentazione:

«La nostra pelle assorbe la luce e il nostro organismo la assume sotto forma di vitamina D, ciò significa che siamo coinvolti fisicamente dalla luce, che essa, attraverso il corpo umano, da immateriale si trasforma in materiale42».

Tutto questo è esattamente ciò che ritroviamo e a cui assistiamo all'interno dello scrigno Roden: la luce viene incanalata e assorbita per essere esperita dall'uomo, per diventare un qualcosa di materiale, di contemplabile, quasi tangibile.







«Siamo fatti della stessa sostanza della luce»: Inside the Light

Turrell iniziò a realizzare il suo “teatro celeste” alla fine degli anni ‘70 e più di trenta anni dopo è ancora presente ma i posti a sedere rimangono piuttosto limitati fatta eccezione infatti per alcuni giornalisti e potenziali donatori, nessun visitatore è ammesso fino al completamento del progetto che è stato ritardato ripetutamente. Alcuni critici affermano che come la cattedrale di Antoni Gaudí, la Sagrada Família, l'opera non sarà terminata nella vita dell'artista.

Nella tradizione di artisti visivi come Ansel Adams, Turrell costruì e visse in una baita vicino al cratere per diciannove mesi, studiando i giochi di luce sul cono durante tutto l'anno prima di mettersi al lavoro. I suoi progetti delineano nove camere sotterranee, quattro fuori terra (orientate verso le direzioni cardinali), un grande spazio all'aperto (la gola del vulcano) e passerelle e tunnel che collegano questi punti focali tra loro. I numeri possono essere impressionanti, ma da soli non rendono giustizia al culmine dell'opera di una vita: l'equivalente architettonico del Grande romanzo americano. Il frutto dell'ingegno di Turrell fa apparire The Lightning Field di Walter De Maria (nel New Mexico), Spiral Jetty di Robert Smithson (nello Utah) e persino Double Negative di Michael Heizer (in Nevada) come semplici racconti.

Influenzato dai siti megalitici in Irlanda, dalle fortezze dell'età del ferro in Inghilterra, dai templi egizi e dall'archeoastronomia sud-occidentale, Turrell vede il cratere Roden come un santuario che trascende le epoche, un osservatorio a occhio nudo che potrebbe sopravvivere alla nostra società.

Traducendo l'esterno nello spazio interno, l'artista cerca di collegare gli osservatori ai ritmi celesti e agli “antichi templi”, creando un percorso storico-spazio-temporale che renda conto dei milioni di anni che ci vogliono per arrivare qui da galassie lontane. Supervisiona la scultura della luce attraverso la quale il cratere diventa sia oggetto che atmosfera: nel credo di Turrell è ciò che sta dietro l'occhio che forma la realtà che creiamo.

La presentazione di stimoli in contesti nuovi e insoliti ci scuote dallo stupore della percezione offuscata, come il “blu” dei cieli del bel tempo che diamo per scontato e di cui raramente notiamo le sfumature. Lavorando con la luce proiettata e ambientale, Turrell esplora le variazioni di colore, densità, luminosità e umore e in che modo influiscono sul nostro senso dello spazio: l'ora del giorno, la stagione e le condizioni atmosferiche contano. Perfino il terreno esterno al cratere aggiunge note di grazia alla sinfonia della luce. Fedele alla sua formazione come psicologo percettivo, l'artista non ignora neppure il non visivo: il suo approccio è multisensoriale e multidimensionale.

Accanto a questo epifanico potere della luce in Turrell convive anche la sua capacità di nascondimento, il fatto che la sua presenza inibisca la percezione della straordinaria complessità delle sue configurazioni astrali, del moto dei pianeti e più in generale degli eventi celesti: così, sulla scorta della profonda suggestione esercitata dai siti archeo-astronomici come quello progettato da Tycho Brahe (1546-1601) sull'isola danese di Hven (Uraniborg), o del maharaja Jai Singh a Jaipur e a Delhi (India), l'artista iniziò a individuare una parallela funzione per ciascun spazio ipogeo che avrebbe abitato il vulcano estinto: quella di divenire un osservatorio a occhio nudo di fenomeni siderali, in cui ancora una volta ciò che è lontano è ricondotto a un contatto più diretto con l'osservatore.

Per la sua realizzazione fisica Turrell si è ispirato ad antichi osservatori come Borobudur, Angkor Wat, Pagan, Machu Picchu, le piramidi Maya e le piramidi egiziane. Durante il servizio civile sostitutivo nel 1960, in qualità di pilota, sorvolò la Cambogia – vedendo i templi di Pagan, Borobodour e Angkor Vat – e l'India – dove scoprì le complesse configurazioni degli Stupa e le immagini di queste strutture architettoniche e religiose esercitarono una profonda influenza sui suoi progetti identificati come Autonomous Structures.

La dimensione fondativa dello spazio è presenta anche nel Roden Crater anche se l'artista più e più volte ribadisce la non lettura della sua opera in termini strettamente spirituali: quello che condividono le camere ipogee di Turrell con quelle rituali di antiche civiltà sono le idee di “accesso” come “abbandono”delle trite convenzioni sensoriali e di “invito” ad aprirsi verso una nuova orientazione cosmica. L'artista ha più volte riconosciuto l'influenza esercitata sul suo progetto da alcuni siti archeo-astronomici, approfonditamente studiati nel corso di numerosi viaggi in tutto il continente, ma il suo interesse oltre che per l'evidente caratura siderale di quei luoghi, sembra maggiormente rivolto tanto a come essi siano riusciti a delineare una cesura formale rispetto alla scansione degli eventi quotidiani, quanto a come abbiano interagito con il paesaggio che li ospita. Anche il percorso previsto per l'avvicinamento al luogo è assimilabile ad una moderna via di pellegrinaggio, predisponendo il visitatore all'esperienza mistica e multisensoriale che in esso si compirà.

È lo stesso artista a contestualizzare il ruolo dell'opera d'arte affermando che con questo “tempio geologico” voleva creare spazi che coinvolgessero eventi celesti nella luce in modo che gli spazi eseguano una musica delle sfere nella luce.

Craig Adcock nel 1990 ha profeticamente osservato che quando sarà completato, il Roden Crater Project sparirà nel Roden Crater: questa “liquefazione” dei confini dell'intervento artistico nel corpo vivente della natura, al punto da confondersi reciprocamente, avvicina l'intervento di Turrell a quello rinvenibile nei giardini secchi nipponici, dove artificio e natura appaiono indistinguibili.

Lo scopo dell'opera, definita dall'artista come dicevamo in precedenza landformed work, sarebbe dunque quello di incorporare una precisa sequenza di fenomeni atmosferici e celesti al suo interno e offrirli al sistema percettivo del visitatore:

«Il mio desiderio è quello di predisporre un evento al quale condurre l'osservatore e lasciare che sia lui a vederlo. Sto facendo questo al Roden Crater. Non si tratta tanto di appropriarsi della natura, quanto di porre l'osservatore in contatto con essa 43».

Ad accogliere il visitatore è la South Lodge, un piccolo edificio coperto parzialmente incassato nelle pendici meridionali del vulcano. Destinato ad ospitare un numero massimo di quattro persone, si compone di due camere da letto matrimoniali, con servizi annessi, e di un ampio salone e cucina attrezzata, arredati con mobili disegnati personalmente da Turrell. Le pareti perimetrali sono caratterizzate da estese superfici vetrate rivolte verso il sublime panorama del Painted Desert, a sud-est, mentre verso sud-ovest sono visibili i profili austeri dei crateri Merriam, North e South Sheba; a est invece emergono, sull'orizzonte, le eleganti masse lineari che delimitano il corso del Little Colorado River e le “vicine” Grand Falls. Il belvedere esterno, oltre a fungere da elemento di chiusura del circuito pedonale che servirà l'intero Roden Crater Project, presenta un'avvolgente panchina a pianta ellittica, dalla quale è possibile osservare il panorama desertico, di giorno, e il cielo stellato, di notte. Attraverso una rampa elicoidale impostata su una pianta spiraliforme che si incassa parzialmente nella massa lavica, offrendo continui cambiamenti di prospettiva a chi la percorrerà, si arriverà alla sua fine a uno spiazzo circolare panoramico che consentirà di osservare la distesa del Painted Desert verso sud-est, mentre una panchina circolare inviterà alla sosta, configurandosi anche come parapetto al vuoto emisferico del sottostante ambiente a cielo aperto, vero nucleo spaziale del South Space, al quale si accederà solo attraverso un altro tunnel sotterraneo che conduce a una galleria anulare coperta da una volta debolmente illuminata da una sequenza lineare di lampade tubolari al neon.



South Space

Il South Space è lo spazio che guarda verso il Polo nord celeste e più nello specifico è l'ambiente allineato in asse alla Stella Polare, che sarà visibile da un unico posto ben specifico nel sito. L'area concentra l'attenzione dello spettatore sul cielo notturno e offre una vista panoramica diurna impareggiabile sul Painted Desert che circonda il cratere: i visitatori potranno salire attraverso una rampa a spirale crescente verso uno spazio circolare aperto nella parte superiore (offrendogli una finestra sull'immensità del deserto), ma potranno anche scendere verso l'interno (lo spazio è infatti aperto verso il basso, permettendo alla luce di entrare in profondità), ritrovandosi in uno Sky Space dotato di una calotta rovesciata incorniciante lo zenit del Sole sia d'estate che d'inverno. Sarà possibile ai visitatori, seduti su una panchina circolare, ammirare il fenomeno del celestial vaulting (qui però ricreato artificialmente a differenza che nel cratere) modellato dall'equatore circolare che concluderà l'ambiente. Quest'ultimo quindi riceverà luce dal sole al suo apice e di notte consentirà avvistamenti astronomici con l'aiuto di mappe in acciaio inossidabile posizionate sul pavimento nero. La caratteristica centrale dell'ambiente è una struttura che forma uno strumento astronomico simile al Jai Prakash Yantra nell'osservatorio celeste di Jaipur, in India44.


Fig. 1 - South Space, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 1 - South Space, James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


Da sempre l'influenza del Sole sulla Terra, le relazioni che si instaurano e si modificano, affascinano l'Uomo. La necessità di capirne di più ha sempre stimolato la ricerca e in diverse parti del mondo restano oggi antiche testimonianze che dimostrano questo interesse, spesso con una modernità che stupisce. A Jaipur, nel Rajasthan, c'è un osservatorio astronomico all'aperto i cui giganteschi strumenti astronomici sono costruiti in pietra. È il Jantar Mantar, realizzato tra il 1727 (anno di fondazione ad opera del Maharaja Sawai Jai Singh II) e il 1734. Il nome Jantar Mantar significa letteralmente “strumenti per misurare l'armonia dei cieli”: quando si entra nell'osservatorio si ha come la sensazione di trovarsi in un fantasioso parco giochi. La curiosa forma di quelle che sono vere e proprie costruzioni – chiamate yantras - messe a punto grazie all'ingegnosità degli studiosi, a ben guardare fa poi comprendere che ci si trova davanti a qualcosa di sofisticato e scientifico. Ma persino filosofico: in effetti c'è una teoria alla base del Jantar Mantar ed evoca un'atmosfera che deriva dall'espressione sanscrita Yantra Mantra, dove “Yantra” significa strumento e “Mantra” significa calcolo. Il Jai Prakash Yantra è formato da due strutture emisferiche molto innovative che vengono usate per allineare le posizioni delle stelle ai segni. Ha un grande valore educativo per chi comincia gli studi astronomici, poiché è ritenuto uno strumento ideale per dimostrare la “dottrina della sfera” e per rilevare il moto apparente del Sole. Con questo strumento, si possono seguire i corpi e gli eventi celesti (come eclissi lunari e solari) che si verificano, in particolare il ciclo di Saros45; infatti Turrell si riferisce alla parte centrale del South Space come a una Saros Chamber.

Ricapitolando quindi, lo Spazio Sud è sia uno spazio con le sue caratteristiche peculiari, sia una sorta di calendario per i movimenti e gli eventi celesti che sono, potremmo dire, gli autentici protagonisti, gli eventi centrali più importanti all'interno dei vari spazi del progetto del Roden Crater.



East Space

Già dal nome è intuibile l'orientamento a oriente di questo spazio, che quindi trarrà linfa dagli effetti prodotti dal Sole nascente e dal suo percorso diurno nel cielo. Secondo spazio cardinale del progetto turrelliano, la sua struttura costituirà una sorta di snodo per l'intero complesso di spazi sotterranei, permettendo di accedere direttamente alla camera sovrastante, il Fumarole Space, tramite una monumentale rampa oppure di proseguire il percorso fino al North Space e infine al West Space. Il progetto prevede la costruzione di un'ampia piscina cuneiforme ipogea circondata da pilastri, e l'immersione al suo interno del visitatore permetterà a quest'ultimo di contemplare la luce solare che si rifletterà sull'acqua, generando un caleidoscopio cromatico di increspature in continuo movimento nello spazio. Essendo inoltre un ambiente semiaperto l'artista ha immaginato un possibile mutamento di aspetto per via delle forti correnti d'aria presenti nel deserto che penetreranno all'interno producendo ulteriori e imprevisti cambiamenti dello Space. La presenza dell'acqua costituisce un potente elemento di decantazione e sublimazione della radiazione solare che l'artista cercherà di isolare in alcune specifiche manifestazioni legate al suo corso diurno. Dotato di una grande apertura, questa finestra pensata sul paesaggio assumerà la configurazione di uno Structural Cut, e non la luce artificiale, bensì quella naturale solare sarà il vero spettacolo in tutta la sua potenza: i raggi infatti a seconda dell'orario e dell'intensità faranno brillare gli spazi e influenzeranno la percezione dell'area nella camera. La luce solare darà il meglio di sé in questo luogo, anche perché l'asciutta atmosfera desertica, supportata dai riflessi acquei, la intensificherà. I colori, le luci, i riflessi di cui si nutre questo ambiente lo rendono quello più intimamente connesso alle sperimentazioni condotte dall'artista ai suoi esordi nel Mendota Hotel, con la differenza che dalla luce artificiale (fondamentalmente neon) si è passati qui all'impiego della radiazione solare rielaborata radicalmente dall'ecosistema desertico46.

Non ancora realizzato alla fine del 2007 risulta evidente che mentre l'artista progettava queste piscine ne stava concludendo una simile ispirata a simili ricerche: la Baker Pool. Lisa Baker, regista e curatrice principale dell'HBC Global Art Collection, aveva lavorato con James Turrell in importanti progetti alla Baker International Exhibits per sostenere il successo degli artisti nella produzione di progetti su larga scala, e proprio in seguito a questa partnership i Baker decisero di commissionare all'artista dei lavori per la loro residenza privata a Greenwich: la piscina nel suo connubio di acqua e luce riflette la ricerca attuata dall'artista per le piscine dell'East Space ed è singolare che anche questo spazio “ricreativo” sia posto sotto il livello della terra, essendo stato progettato nel seminterrato dell'abitazione dei Baker. Anche qui ci troviamo davanti a uno spazio luminoso di ipnotizzanti installazioni, un alterarsi di percezioni. Non è quindi strano credere che durante la festa che celebrava la sua Baker Pool, un'ospite involontariamente finì in acqua credendo che quella non fosse acqua. Turrell stesso la tirò fuori, scusandosi.

Precedentemente l'artista aveva disegnato un'altra piscina – per un centro culturale francese – in cui i nuotatori dovevano immergersi per poter vedere la firma di Turrell.

Oltre alla luce naturale, Turrell utilizza lampadine a LED nella piscina dei Baker, per produrre una varietà di viste, aumentando così l'impatto visivo. I colori cambiano automaticamente o sono programmati. Il design dei cambi di colore crea uno spettacolo visivo sbalorditivo così avvincente, e colpisce quelli seduti nelle altre estensioni. Molteplici combinazioni di colori consentono ai Baker di sperimentare viste. I colori riflettono stati d'animo diversi, quindi i proprietari possono scegliere il loro umore ideale da riflettere in piscina. Per elevare la bellezza della piscina, Turrell ha aggiunto cavi in ​​fibra ottica di alta qualità intorno alla piscina per interagire con il sistema di illuminazione. Le fibre ottiche raddoppiano l'efficacia dell'emissione luminosa e modificano le immagini visive in scene intriganti.

Le piscine dell'East Space sfrutteranno invece al massimo gli effetti della luce naturale e le diverse sfumature nelle diverse ore del giorno. Nel 2010 nello Yucatan (Messico) Turrell ha inoltre realizzato una serie di suoi Skyspace accanto ad alcune piscine, all'interno di una piramide. Agua de Luz, una serie di Skyspace e piscine costruite all'interno di una piramide nello Yucatán, e i prossimi progetti in tutto il mondo, da Ras al-Khaimah alla Tasmania, integrano molti dei principi e delle caratteristiche incorporati nel cratere Roden. Anche se il cielo è la metà dell'ambiente e la luce è ciò che attiva la vista, entrambi sono dati per scontati oggi. Tuttavia, dalla preistorica Newgrange dell'Irlanda all'Egitto Abu Simbel fino al messicano Chichén Itza, gli antichi ingaggiarono il cielo e ne manipolarono la luce. L'astronomo e direttore dell'osservatorio Griffith EC Krupp esplora i parallelismi con l'antichità e gli impegni con la percezione nelle installazioni di Turrell, in particolare a Roden Crater e Agua de Luz (2012) al Cenote Santa María di Mérida, in Messico.

Nel 2018 Turrel ha invece realizzato Árbol de Luz, nel cuore di San Pedro Ochil, una hacienda del XVIII secolo, sempre nella penisola dello Yucatan, in Messico. Un luogo in cui le persone possono riunirsi, con intenzione, per condividere le esperienze ordinarie e celebrare l'unicità dello spazio stesso: celebrando il collegamento con le acque sottostanti. Lo scopo dell'artista è stato quello di creare una nuova sinfonia di luci per riflettere sul misterioso cenote e sull'anfiteatro che la ospita. I colori fluenti ora danzano in spazi diversi, combinandosi con la meravigliosa magia dal suono proveniente dalla giungla vicina.

Un cenote è un fenomeno naturale carsico, una grotta parzialmente o totalmente collassata che si riempie di acqua dolce, formando una piscina naturale. Nella penisola dello Yucatan se ne contano circa 7.000, di diversi tipi – a cielo aperto o sotterranei – ma solo alcuni sono visitabili. la penisola dello Yucatan è stata la patria della dinastia Maya. Il loro rapporto con le divinità ha sempre avuto una forte connotazione con gli eventi ed i luoghi della natura. I cenotes, oltre che essere un'importantissima fonte di acqua dolce, avevano quindi una rilevante una valenza mistica. Erano considerati luoghi sacri, una porta di accesso al mondo spirituale. Erano uno dei punti in cui rapportarsi con gli Dei mediante sacrifici umani. Prigionieri di guerra e giovani vergini venivano lasciati affogare in modo cruento in loro onore. Non solo. Durante recenti esplorazioni sul fondo dei cenotes, sono stati trovati gioielli d'oro, oggetti e tessuti preziosi, i quali venivano probabilmente gettati insieme ai sacrifici umani proprio per rendere omaggio agli dei.



Fumarole Space

Seconda bocca di fuoriuscita dei vapori e dei gas vulcanici, siamo ora nella fumarola. In questo particolare spazio Turrell ha previsto la realizzazione di una struttura a più piani molto articolata da un punto di vista spaziale, il Fumarole Space, che ospiterà esperienze sensoriali e di osservazione celeste, spesso interconnesse con gli eventi previsti per lo spazio successivo, il Sun and Moon Space. L'ambiente è dotato di un osservatorio, una sorta di stazione provvisoria interrata nelle ceneri vulcaniche in cui James Turrell coadiuvato dall'astronomo Richard L. Walker hanno intenzione di realizzare ciò che costituirà l'installazione più complessa presente nel cratere. Attualmente lo spazio, per la maggior parte interrato, ricorda una tomba a tholos e l'intero complesso sarà isolato dal punto di vista elettrostatico ed elettromagnetico grazie alla schermatura fornita da una gabbia Faraday annegata nelle strutture cementizie. Le poche aperture sono funzionali all'aerazione e al soleggiamento dei vani, la cupola oblunga presenterà un foro in grado di canalizzare la luce solare che grazie a un eliostato47 proietterà su un vetro circolare smerigliato un'immagine stabile del disco solare durante parte del suo percorso diurno all'equinozio di primavera. La percezione del fenomeno sarà ancora più intensa grazie a delle onde di calore emesse da un piccolo fornello a gas che creerà masse di aria calda generando un'immagine instabile e fluttuante, allusiva alla reale attività eruttiva del Sole e un rimando nel subconscio dell'osservatore alle caratteristiche proprie del luogo da cui sta assistendo al fenomeno, rammendandogli che si trova pur sempre in un vulcano, anche se inattivo. Un'altra apertura invece consentirà di inquadrare la regione celeste sovrastante, a chi risiederà nello Sky Bath collocato al centro di un ambiente cilindrico scoperto: si tratta di una vasca in una lega bronzea (la silicon bronze), scelta dall'artista per l'alta resistenza alla corrosione, il cui fuoco si collocherà esattamente in corrispondenza dell'estremo occidentale del diametro dell'oculo superiore. La relazione tra la superficie paraboloidica del catino bronzeo e questo punto della struttura non è casuale, ma attentamente pensato da Turrell, in modo che il sistema creato da questi elementi si configuri come un semi-telescopio Cassegrain: qui però, quelle raccolte dallo strumento non saranno tanto le informazioni fotoniche provenienti dagli oggetti celesti, bensì le relative onde radio. La “musica delle sfere” sarà finalmente udibile dal visitatore, quando questi si immergerà, fino alle orecchie, nell'acqua riscaldata contenuta nella vasca: il liquido infatti fungerà da cassa di risonanza per le informazioni acustiche captate da un apparecchio ricevente a cristalli di quarzo, collocato proprio nel punto focale di cui si parlava in precedenza. Un piatto parabolico sotto la piscina raccoglierà onde elettromagnetiche dai quasar e da altri corpi celesti e li trasmetterà nell'acqua dove i visitatori che fluttuano, come se si trovassero nel liquido amniotico, possano sentirli e risentirli. A differenza di qualsiasi serbatoio di privazione solipsistica, questa piscina ricreerà simbolicamente la pulsazione dell'universo, restituendo agli spettatori (in questo caso uditori) l'immagine di un cosmo che sta nascendo ed è sconfinato. Inoltre, la luce aspirata in un anello di quarzo attorno alla piscina, verrà reindirizzata per coprire l'acqua con uno strato radiante. Questo crystal set (o crystal radio), funzionante senza l'ausilio di pile sarà in grado di ricevere trasmissioni, così i segnali radio risuoneranno all'interno dello Sky Bath. L'acqua del catino invece fungerà da cuffie ad alta impedenza generalmente utilizzate in studi di registrazione o da professionisti, nonché da audiofili che cercano o hanno esigenza di alta qualità e fedeltà sonora. È evidente che il coinvolgimento fisico totale del fruitore implicherà una sua partecipazione emotiva assoluta: l'acqua riscaldata lo indurrà a uno stato di rilassamento muscolare, mettendolo nella condizione migliore per accogliere l'epifania dei suoni celesti, sia di giorno che di notte.

                              
                              
                              
                              
                              
                              
                              
                              


Fig. 2 - Fumarole Space, Sky Bath, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 2 - Fumarole Space, Sky Bath
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


Il Fumarole Space inoltre, in quanto radiotelescopio, sarà in grado di catturare e riprodurre anche i segnali sonori provenienti dall'ambiente ecologico circostante. Quindi per riassumere, lo Sky Bath occuperà il centro di un ambiente cilindrico dotato di due porte simmetriche, e al visitatore che rivolgerà un ultimo sguardo indietro mentre si avvia verso la rampa esterna gli si offrirà il riflesso aureo dell'immagine solare prodotta dall'eliostato sulla superficie liquida contenuta nella vasca bronzea, appena increspata dalle correnti aeree sempre attive nel Roden Crater. Il percorso elicoidale si trasformerà poi in un tunnel che sfocerà nel piano inferiore del Fumarole Space, il cui assetto distributivo radiale si incardinerà intorno alla presenza di una grande sfera cava. Le immagini che si creeranno al suo interno saranno messe a fuoco da un dispositivo ottico, inserito nell'ampia porta scorrevole cilindrica (Iris Pocket Door), composto da un anello cilindrico sulle cui basi sarà collocato un sistema ottico formato da due lenti convesse. Il fenomeno cromaticamente più spettacolare che si proietterà al suo interno sarà costituito dal twilight arch, definito da Turrell night-rise: allora l'ambiente sferico risulterà invaso da un'eterea luce blu e rosa, trasformandosi così in un potente Ganzfeld. Simmetricamente a questo dispositivo ottico, sempre nella porta scorrevole, sarà collocato un altro oculare (un sistema di lenti), di analoga sezione ma più profondo. L'oculare permetterà di proiettare l'immagine del disco solare, al suo sorgere al solstizio d'estate, oltre il vano d'ingresso, prima attraverso un foro circolare e poi lungo un tunnel, fino a colpire la superficie del monolito già esistente, collocato nello spazio successivo del Sun and Moon Space. Il perfetto allineamento che si creerà tra la posizione del Sole, l'oculare e l'area circolare in pietra calcarea bianca inserita nel blocco granitico darà luogo a una perfetta, ma invertita, immagine della stella di diametro pari a 90 cm. Inoltre, la sfera quando non sarà invasa dalla luce ambientale proveniente dall'apertura rivolta a est potrà trasformarsi in un'enorme boulléeiana camera oscura: luogo otticamente neutro in cui eseguire le osservazioni indirette, un altro degli archetipi astronomici scientificamente citati da Turrell nei suoi cupi bunker sotterranei. L'insieme delle esperienze sensoriali a cui il visitatore potrà esperire nel Fumarole Space, sia pure in tempi distinti, rappresenta una sintesi emblematica delle intenzioni dell'artista al Roden Crater: isolare alcuni fenomeni, sia percettivi sia celesti dal contesto ambientale, per sublimarne in questi spazi il potere, in termini sia fisici sia evocativi, generando un nuovo livello di consapevolezza nel fruitore dal punto di vista sia biologico che spirituale48.



Sun | Moon Space

Una volta percorso il ballatoio posto attorno alla cisterna sferica del Fumarole Space e proseguendo per un lungo tunnel, si accede al Sun | Moon Space. Esiste una serie di sei stampe che mostra un piano di questa camera, un'immagine della image stone di basalto, presente al suo interno, e quattro immagini diverse di lune. Qui è infatti possibile ammirare le sagome del sole e della luna sulla superficie di una grande pietra di basalto, la “pietra dell'immagine”, di cui parlavamo in precedenza. Un camminamento di 275 metri conduce a un portale che sfocia in un'apertura verso il cielo. Il tunnel funge da telescopio rifrattore gigante e contiene una lente molto grande al centro per focalizzare la luce. L'ambiente si presenta a pianta circolare, una sorta di enorme cilindro illuminato da neon nascosti, al cui centro si erge il gigantesco monolito a pianta trapezoidale in marmo nero, scelto appositamente di questo colore per aumentare la brillantezza dell'immagine della Luna; il più grande blocco marmoreo mai estratto in America, impreziosito da un inserto cilindrico in calcare bianco. Le finiture interne, la forma planimetrica rastremata e la sezione verticale della galleria, sono tutte caratteristiche delineate da James Turrell, proprio per convogliare in questo spazio sotterraneo l'immagine della Luna quando questa raggiunge la sua declinazione orbitale più meridionale, in corrispondenza del suo punto di arresto maggiore (major standstil), indicando così l'inizio di un ciclo di Saros. L'ambiente funziona come un'enorme camera oscura in cui i due tunnel di accesso serviranno per canalizzare sulle due facce del monolito centrale, rispettivamente, le immagini del Sole e della Luna: al di fuori della finestra spazio-temporale offerta dagli eventi astronomici, la camera ipetrale è inondata da una luce generante un Ganzfeld uniforme e senza punto focale. The Sun | Moon Space, una delle camere già completate, potrebbe essere la caratteristica più impressionante. Funziona come una fotocamera a foro stenopeico, capace di proiettare la luce, come un obiettivo fotografico, creando un'immagine. Al centro troneggia una lastra di marmo di tredici piedi e mezzo, il più grande pezzo singolo mai estratto negli Stati Uniti; un tunnel a forma di buco della serratura si inclina verso l'alto dalla camera per quasi novecento piedi. Rivolta a sud-ovest, questa galleria canalizza la luce verso il basso durante l'apogeo più meridionale della luna. Un secondo tunnel, orientato verso nord-est, dirigerà la luce del sol levante perfettamente allineato sui solstizi e quel sole toccherà il monolito centrale. Una volta ogni 18.061 anni, quando si ferma al suo punto più basso nel cielo meridionale, la luna piena proietterà la sua immagine larga otto piedi sul retro del monolito, un'immagine così chiaramente definita che saranno visibili i dettagli del volto della sua superficie49.



Fig. 3 - Sun | Moon Space, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 3 - Sun | Moon Space, James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


Una delle strutture più attivamente impiegate ai fini dell'osservazione astronomica nel Roden Crater è sicuramente quella di questa camera ipogea contenente questo monolito lapideo che con la sua carica di arcano minimalismo si trasforma in superficie ricettiva dell'immagine stenopeica della Luna piena – ai lunistizi – e del Sole – ai solstizi. Ai cinefili potrà sicuramente ricordare l'opera di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, ma più nello specifico ricordano le cosiddette costruzioni megalitiche note come dolmen (dal bretone antico tol o tuol, “tavola”, e men, “pietra”). Per la maestosità della costruzione ma anche per le decorazioni e la preziosità dei beni custoditi al loro interno indicano come alla funzione prettamente funeraria se ne fosse poi aggiunta una religiosa. Un classico esempio di dolmen è quello che si trova a Newgrange in Irlanda la cui orientazione astronomica era tale da consentire ai raggi del Sole nascente di penetrare nella parte più interna a ogni solstizio d'inverno, attraverso il dispositivo ottico costituito da un roof box e dal corridoio di accesso. Un altro esempio di costruzioni megalitiche a cui si potrebbe rifare è quello dei menhir (dal bretone men, “pietra”, e hir, “lunga”), elementi litici più o meno grezzi e di varie dimensioni infissi nel terreno. Sembra comunemente accettata l'ipotesi che la loro edificazione fosse legata ai culti solare e lunare, infatti gran parte di questi menhir furono eretti con il palese scopo di fungere da marcatori per segnare il sorgere o il tramontare, sulla sfera celeste, del Sole ai solstizi, della Luna ai lunistizi e delle principali stelle.



Alpha Tunnel

Oltre a svolgere un importante ruolo di collegamento tra il Sun | Moon Space e l'East Portal, questo tunnel è stato concepito e realizzato per assolvere al ruolo di vero e proprio condotto otticamente attrezzato, risultando il più lungo osservatorio a occhio nudo del mondo: a tal fine, la sua configurazione geometrico-strutturale e l'allineamento del suo asse con una precisa regione celeste sottesa allo Skyspace aperto nell'East Portal, sono stati prima attentamente predisposti da Turrell e Walker in fase progettuale, e realizzati non senza difficoltà da un'équipe di operai specializzati. Il profilo della struttura portante è particolarmente singolare, assume una forma ad arco a tutto sesto sostenuto da piedritti verticali alla base, evolvendosi durante la salita in un caratteristico contorno “a buco di serratura” (keyhole). La sezione a keyhole del tunnel rimanda all'ingresso orizzontale di una delle cinque kiva presenti nell'insediamento della Far View House che gli indiani Anasazi fondarono, a partire dal XII secolo, presso Mesa Verde (Colorado). Nella lingua Hopi, il termine kiva sta ad indicare luoghi utilizzati dai Pueblo per le loro funzioni religiosi o assemblee. Solitamente questi ambienti sono a pianta circolare, sotterranei o semi-sotterranei e vi si accede con un'apertura sul tetto e delle scale a pioli. Un'altra delle sue possibili fonti di ispirazione potrebbe rintracciarsi nel lungo condotto dell'Antro della Sibilla (Cuma, Italia), il cui profilo mostra un analogo approccio processionale e monumentale. Il percorso del tunnel non è inoltre dissimile da quello che si trova nella KV9, sigla che identifica una delle tombe della Valle dei Re in Egitto, la sepoltura iniziata per Ramses V e usata poi per Ramses VI, in cui si trova un lungo corridoio di cui non si vede la fine, facendolo sprofondare in un'oscurità indistinta.



Fig. 4 - Alpha Tunnel, Baffles, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 4 - Alpha Tunnel, Baffles, James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


Attraversando il moderno corridoio di Turrell si ha la sensazione di uno spazio prospetticamente accelerato, e il vero pattern visivo che si impone è quello delineato dal contorno stroboscopio dei 208 baffles (diaframmi) dai sottili profili metallici collocati per tutta la lunghezza del tunnel, che rendono perfettamente continuo, dal punto di vista ottico, il condotto. I baffles, inoltre, assolvono allo scopo non secondario di intercettare precocemente la luce solare proveniente da sud-ovest nel resto dell'anno, consentendo che anche in quell'ambiente si generi un potente Ganzfeld. La superficie tra ciascun diaframma è stata lisciata sovrapponendo alla struttura cementizia una incannucciata metallica finita a stucco veneziano di colore blu scuro (lath and plaster): la scelta di questa specifica tonalità ctonia risiede nella necessità di aumentare il contrasto visivo per chi, percorrendo il tunnel, osservi l'area celeste inquadrata dal foro praticato nell'Alpha Space. La geometria di questa apertura verrà percepita, durante il percorso in salita, come un foro circolare, seppur ellittico, su una superficie verticale, anche se trattasi di un piano obliquo, producendo un potente effetto visivo. Esiste un'altra dimensione sensoriale che accompagna il visitatore nel tragitto lungo l'Alpha Tunnel: quella acustica, curata nei suoi aspetti fisici dall'ingegnere nipponico Hiroshi Morimoto. L'intero condotto si trasforma in un whispering tunnel, in cui è possibile pronunciare a bassa voce qualsiasi parola perché essa venga udita chiaramente da chi si ponga all'ingresso dell'Alpha Space50.



Fig. 5 - Alpha Tunnel, Keyhole, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 5 - Alpha Tunnel, Keyhole
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


Come un anfiteatro greco (in cui i sussurri del palcoscenico sono udibili nelle gradinate più alte), il tunnel est è stato calibrato tenendo conto degli effetti sonori, sensibilizzando gli intenditori d'arte a spazi acustici spesso ignorati. Dal punto a metà del tunnel la voce di una persona porta verso il Sole e lo spazio lunare o, quando è rivolto nella direzione opposta, verso una camera superiore, il portale est. Alla testa del tunnel est, un lucernario è stato tagliato nel soffitto di una grande stanza ellittica. Questo portale orientale - uno Skyspace come il primo studio di Los Angeles modificato di Turrell - dona alla luce naturale una presenza scultorea. «Il cielo non è più là fuori», afferma Turrell «è calato nel nostro territorio». Panchine di arenaria fiancheggiano le pareti sotto questa apertura, dove i visitatori del kiva cosmico possono sedersi e contemplare il pannello quasi tangibile mentre si trasforma da un velluto azzurro color uovo di pettirosso a nero. Un'ellisse incassata nel pavimento della stanza tratterrà la sabbia bianca che, saturata dall'acqua piovana, rifletterà la luce delle stelle. Secondo Turrell, il bagliore di Venere da solo sarà sufficiente per vedere la propria ombra. Una seconda apertura incornicerà Polaris, o qualunque stella segnerà il polo celeste in un futuro prossimo. Questo oculo manterrà la stella centrata mentre l'osservatorio apparentemente ruota su di essa come una ruota su un asse. Questo, ovviamente, sfida la nostra aspettativa di stelle che si arcuano attraverso il firmamento, ma poiché vagano solo i pianeti (tutte le stelle sono “fisse”) è esattamente ciò che accade.







Alpha Space o East Portal

Questo ambiente ha la forma di un cilindro a base ellittica, il cui solaio di copertura appare inclinato e forato da uno Skyspace, anch'esso ellittico, mentre le pareti verticali di colore bianco riverberano la luce notturna e diurna: seduto sulla panca rivestita in pietra che perimetra l'ambiente, il visitatore ha la sensazione che il cielo aderisca al foro praticato nel solaio di copertura. Salendo la scala e uscendo all'aria aperta, la “membrana” celeste sembra invece espandersi e trasformarsi in una grande volta tesa al di sopra del bordo del cratere. Una volta giunto sul pianerottolo esterno della scala bronzea il fruitore, guardando verso il basso, oltre a vedere il lungo condotto dell'Alpha Tunnel che si inabissa nelle viscere del vulcano potrà osservare l'intarsio marmoreo pavimentale collocato alla base della scala e di forma ellittica assumere un contorno circolare: il percettivo visivo è assai vicino a quello che si avrebbe osservando la Terra dallo spazio cosmico. Il sentiero luminescente conduce all'esterno, verso l'arena piena di luce del cratere, suggerendo riti di passaggio, rinascita, risveglio spirituale. È proprio questo lo spazio che più è ispirato alla configurazione di un kiva, lo spazio risulta infatti come una moderna e autonoma rielaborazione dei principi configurativi delle kiva Anasazi anche per la presenza dell'imponente scala bronzea senza corrimano, che rimanda ai riti apotropaici celebrati in quei luoghi anche da altre etnie, come i Navajo e gli Hopi. In particolare, nella Grande Kiva cilindrica presso Casa Rinconada (Chaco Canyon, New Mexico), la luce del Sole all'alba, durante il solstizio d'estate, penetra attraverso un'apertura rivolta a nord-est, raggiungendo l'interno della camera cerimoniale e illuminando totalmente una delle ventotto nicchie scavate sulla superficie muraria interna. Quindi i kiva come una sorta di forma prototipica di molti degli Skyspaces realizzati da Turrell al Roden Crater (sia l'Alpha che il Beta Space) ma anche in altri luoghi.



Fig. 6 - Alpha Space o East Portal, Interno, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 6 - Alpha Space o East Portal, Interno
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)




Fig. 7 - Alpha Space o East Portal, Scala, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 7 - Alpha Space o East Portal, Scala
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


L'orientazione spaziale degli Hopi era legata ai punti ove si levava e tramontava il sole ai solstizi (estivo e d'inverno) e non alle classiche quattro direzioni cardinali. A queste quattro direzioni di caratura sacra, piuttosto che cardinale, ne venivano associate altre due, ovvero il basso e l'alto, proprio a indicare l'asse verticale associato al classico mito della traslazione dall'inframondo. Inoltre, a ognuna di queste direzioni era abbinato un cromatismo – segnatamente rosso, giallo, blu, bianco -, che, durante i riti cerimoniali, veniva evocato attraverso l'uso di sabbie colorate sparse sul suolo durante le danze propiziatorie. Tra di esse va menzionata la Snake Dance, celebrata ogni anno dagli Hopi, ma anche dagli Zuni e dai Pueblo in Arizona e Nuovo Messico, dove il devoto danzava faccia a faccia con un serpente a sonagli tenuto stretto nella propria mano. Nei giorni precedenti tale danza alcuni Hopi si recavano nel deserto per raccogliere questi rettili che in seguito venivano condotti nella kiva e nutriti per alcuni giorni. Nel giorno della danza per prima cosa i serpenti venivano posti sui disegni eseguiti con sabbie colorate sul pavimento delle kiva; i tracciati sabbiosi, rimossi dai sinuosi movimenti degli animali, costituivano veri e propri messaggi che gli Hopi affidavano agli stessi ofidi perché li consegnassero alla Madre Terra: cancellandoli coi loro movimenti, i rettili ne assorbivano l'essenza e il contenuto. Al termine del rituale, i serpenti venivano accompagnati nel deserto e liberati così da poter veicolare il messaggio propiziatorio alle divinità (ad esempio la richiesta di una pioggia copiosa che potesse incrementare i raccolti). La riemersione all'aperto del capo clan, attraverso il foro praticato sulla copertura della kiva, avveniva risalendo una scala lignea priva di corrimano e sorreggendo nelle mani i pericolosi rettili. Turrell riferisce di aver assistito a una di queste cerimonie in cui l'anziano Gene Sequakaptawa, capo del clan Eagle e suo collaboratore al Roden Crater, conduceva fuori dalla kiva ben sei serpenti, restando perfettamente eretto sulla schiena, durante l'ascesa sulla rapida scala a pioli.



Fig. 8 - Alpha Space o East Portal, Esterno, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 8 - Alpha Space o East Portal, Esterno
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)




Eye of the Crater

Spazio cardine intorno al quale ruotano tutti gli ambienti del progetto turrelliano. Modellato come l'interno di un kiva cilindrico, circondato da un sedile anulare, l'ambiente si conclude con uno Skyspace circolare di enormi dimensioni, e dalla cosiddetta Plaza è possibile fruire dell'esperienza del celestial vaulting. Intorno all'occhio del cratere infatti sono disposti quattro basamenti calcarei allineati alle direzioni cardinali. Questi quattro lettini di foggia vetero-egizia leggermente inclinati, se ci si stende sopra e ci si copre gli occhi dal sole essendo il rim del cratere perfettamente ellittico e orizzontale, il cielo assume la forma di una cupola elissoidica il cui apice scende violentemente da altissime quote provocando nello spettatore la sensazione di levitare verso l'alto. La natura materiale della luce - come se tu potessi toccarla - e la forma del cielo non possono essere spiegate come fenomeno fisico, ma sono il risultato della tua stessa osservazione, un'impressione creata nella tua testa. Nel suo storico volume Light and Colour in the outdoor, Marcel Minnaert, biologo e astronomo olandese, ha studiato con sperimentazioni durate dieci anni. Turrell ha studiato tali sperimentazioni e le ha fatte proprie.



Fig. 9 - Eye of the Crater, Interno, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 9 - Eye of the Crater, Interno
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


Anche in questo spazio sono attivi due fenomeni acustici distinti: il primo permette a un visitatore appoggiato allo schienale della panca anulare di far sentire il proprio sussurro a chi si disponga all'estremità opposta della seduta (whispering gallery), il secondo è un fenomeno di eco percepito soggettivamente solo da chi si collocherà al centro dell'area coperta da sabbia vulcanica al di sotto del foro dello Skyspace. A metà del percorso elicoidale di risalita al centro del cratere è possibile sbattere violentemente i piedi sul pavimento perché si generi un rumore tonante che risuona cupamente in tutti i condotti e le stanze sotterranee finora realizzate, quasi una memoria acustica dei boati prodotti dalla remota attività eruttiva. James Turrell inizialmente voleva plasmare la configurazione in modo che risultasse più emisferica, ma un attento rilievo geologico fece propendere l'artista per correggerne solo leggermente la forma, livellando il rim, che ora si presenta perfettamente ellittico e orizzontale51.



Fig. 10 - Eye of the Crater, Plaza, James Turrell, Roden Crater (digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 10 - Eye of the Crater, Plaza
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)


Ogni elemento artificiale o naturale nel Roden Crater Project è destinato a esercitare un potenziamento esponenziale delle nostre esperienze sensoriali, sempre mutevoli, come il contesto ambientale che ci ospita. Tutta l'area intorno al cratere era stata fino a qualche secolo fa oggetto di saccheggi per la costruzione di armi poiché il Painted Desert ha nel sottosuolo un'elevata concentrazione di metalli. Non è infrequente assistere quindi a temporali “magnetici” o possiamo assistere al raro fenomeno del raggio verde, osservato da Turrell con una certa frequenza dal cratere, dove in quelle occasioni lo spazio si trasforma per qualche secondo in un rilucente cristallo dal colore smeraldo. Infatti, in questo singolare fenomeno il nucleo magmatico del vulcano agisce come un gigantesco parafulmine attirando lampi sulla sua superficie, soprattutto durante il periodo dei monsoni estivi, quando i temporali costituiscono una presenza quotidiana nel deserto: allora la danza elettrica attiva nello spazio aereo sovrastante il Roden Crater illuminerà di una luce drammaticamente aliena gli spazi sotterranei.

Per la topografia dell'area desertica, il raggio verde si manifesta a est all'alba e a ovest al tramonto. Secondo Craig Adcock, un altro fenomeno atmosferico potenzialmente presente nel Painted Desert sarebbe l'aurora boreale. La sua comparsa, secondo l'autore, produrrebbe ulteriori mutazioni cromatiche all'interno degli spazi sotterranei progettati da Turrell52.

I bulldozer hanno spostato più di un milione di metri cubi di terra e rocce, abbellendo il bordo del cono in un ovale elegante, livellato uniformemente, una parabola quasi perfetta. Quattro piattaforme inclinate di calcare disposte come punti cardinali al centro della ‘ciotola' invitano gli spettatori a sdraiarsi sulla schiena, perdendosi in una cupola fatta di cielo. Qui possono scivolare via dagli attacchi della Terra, mettendo in discussione la loro posizione rispetto alla cosa osservata, come hanno fatto nel portale di fissaggio della stella polare. Sto guardando in alto o in basso? Cadrò o leviterò nello spazio? Questa illusione ottica confonde gli osservatori del cielo ovunque gli orizzonti siano liberi, ma l'elevazione e l'inquadramento la intensificano. L'effetto di questa deliziosa vertigine è noto da secoli e pittori come Michelangelo l'hanno usato sui soffitti a cupola per i loro affreschi. La vista dal bordo del cratere gioca un simile scherzo agli occhi. Nelle giornate limpide e soleggiate il paesaggio sembra curvare verso il cielo, in una sorta di volta a crociera. «In realtà diamo al cielo il suo colore e la sua forma», ha detto Turrell in un'intervista. Come un imbroglione, l'artista cambia entrambi, modificando il contesto della visione. Ci si può solo chiedere quali altri assi nella manica abbia questo moderno da Vinci con le maniche abbottonate.



West Portal (o Beta Space) e Beta Tunnel

West Portal, Beta Tunnel, North Moon Space e Amphitheatre sono spazi ancora in fase costruttiva che si vanno a disporre rispettivamente sul crinale ovest del Roden Crater.

Il West Portal (o Beta Space) è l'ambiente simmetrico all'Alpha Space, di cui costituirà una sorta di clone, ma diversamente orientato: l'apertura ellittica predisposta del soffitto dell'area svolgerà il ruolo sia di Skyspace sia di camera oscura dotata di foro stenopeico, canalizzando l'immagine della luna lungo il gradinato Beta Tunnel, formato da baffles metallici e dotato di un'enorme lente biconvessa che proietterà l'immagine del satellite terrestre sullo schermo lapideo collocato nello spazio successivo che fa da contrario al Sun / Moon Space. Un mese dopo il major standstill lunare, il punto di arresto maggiore o lunistizio estremo superiore, osservabile nel Sun | Moon Space, sarà possibile tornare ad ammirare la proiezione parastatica del satellite terrestre sullo schermo lapideo collocato nel livello inferiore del North Moon Space. Questo evento si verificherà nella prima serata del 15 dicembre 2024, anno in cui sarebbe stata prevista l'apertura al pubblico di tutto il progetto del cratere. L'ambiente una volta che sarà realizzato, si presenterà come l'insieme di tre spazi comunicanti, il primo dei quali risulterà un cilindro ellittico sormontato da un catino elissoidico articolato su due livelli: quello superiore sarà interamente occupato da un ballatoio anulare che affaccerà, grazie a un parapetto in vetro, sul vuoto centrale dal quale sarà possibile vedere la camera inferiore. Immaginata come un prolungamento del Beta Tunnel, questa sarà raggiungibile proseguendo la discesa ctonia attraverso un'ultima rampa, il cui terminale sarà costituito da una pietra calcarea circolare aggettante dalla struttura cementizia: proprio questo blocco marmoreo accoglierà l'immagine invertita della Luna piena, nella sua declinazione più settentrionale, al major north standstill di cui si diceva in precedenza53.



North Moon Space

Da un punto di vista funzionale, il North Moon Space costituirà l'ambiente gemello del Sun | Moon Space, a conferma di ciò abbiamo non solo la relativa orientazione astronomica, ma anche la sua testata formata da due ambienti comunicanti. Il primo, planimetricamente circolare, presenterà un'ampia apertura rivolta al vero ovest, i cui limiti fisici inquadreranno il tramonto del Sole ai solstizi (amplitudine occasa). Solo in quelle date la luce solare penetrerà all'interno dello spazio attraversando la sottile fenditura verticale praticata dal monolito in alabastro, dal profilo a mastaba, posto al centro dell'anticamera: le proiezioni luminose costrette ad assumere una configurazione planare raggiungeranno allora l'ambiente più remoto dalla caratteristica pianta a forma di “rene”, al centro del quale un ampio muro concavo verrà spazzato dalla radiazione solare creando dei Wedgeworks e delle Single Wall Projections. Più in generale, il North Moon Space sarà invaso da luce ambientale, sostenuta dalla debole illuminazione artificiale occultata in alloggiamenti collocati nel piano di imposta dei sistemi voltati (elettrificati) che coprono ciascun spazio: in particolare, la radiazione luminosa, filtrata dalla pietra traslucida, creerà effetti cromatici sempre cangianti che implementeranno le variazioni di illuminazione ambientale. Nel momento in cui la luce del Sole filtrerà, al tramonto dell'equinozio di primavera, attraverso il monolito di alabastro, vedremo giochi di luce del Sunset Entry.

Fuoriuscendo attraverso il vano del North Moon Space rivolto a ovest sarà possibile continuare il percorso in un complesso e labirintico circuito di scale e rampe ospitate in un allungato blocco prismatico la cui facciata meridionale costituirà la scenografia fissa dell'Amphitheatre54.



Amphitheatre e Saddle Space

Posizionato alla base occidentale del cratere, nell'accogliente invaso creato dalle colate laviche fuoriuscite in epoche remote, sarà un classico teatro all'aperto, caratterizzato da una cavea con gradinate semicircolari concentriche rivolte verso un palcoscenico multifunzionale a pianta semiovale, al di sotto del cui calpestio si articolerà un vano tecnico a doppia altezza: questo spazio internamente fungerà anche da Skypace dal momento che un'area circolare della sua copertura – e, per corrispondenza, del calpestio del palcoscenico – sarà rimovibile grazie a un pistone idraulico annegato nel pavimento del livello inferiore. Le caratteristiche strutturali e illuminotecniche di questa camera ipogea saranno simili a quelle degli altri ambienti sotterranei presso il Roden Crater e, quando non saranno in programma rappresentazioni, esso funzionerà come semplice spazio di luce. L'accessibilità diretta all'Amphitheatre sarà garantita da una serie di percorsi all'aperto che permetterà al visitatore sia viste panoramiche plurime sul Painted Desert, sia di reimmettersi nel circuito fruitivo dell'intero progetto dirigendosi verso sud, sia di abbandonare definitivamente il sito attraverso la West Entrance: posta alla base occidentale del cratere, a essa si arriverà provenendo dallo spazio teatrale dopo aver attraversato un piccolo Skyspace cilindrico, dalla copertura inclinata, battezzato da Turrell Saddle Space55.



North Space

Una volta usciti dall'East Space, al visitatore si offre una doppia possibilità di percorso: da una parte può scalare le pendici orientali del cratere per giungere al Fumarole Space; dall'altra può continuare il percorso all'aperto seguendo il sentiero tracciato dalla stella polare giungendo al North Space. Questo complesso è formato internamente da diversi spazi interconnessi, dentro i quali il visitatore è invitato a seguire un percorso processionale, di cui l'artista si serve per evidenziare e palesare agli occhi di chi osserva l'integrazione crescente tra cielo e terra. L'avvicinamento allo spazio celeste, iniziato dall'uscita dell'East Space attraverso un percorso pedonale panoramico, culminerà in cima in uno Skyspace che l'artista ha denominato Stupa, da un caratteristico profilo a “campana”56.

Uno stupa è un monumento buddhista, simbolo della mente illuminata e del percorso per il suo raggiungimento. Un monumento spirituale, quindi, che a livello simbolico rappresenta il corpo di Buddha, la sua parola e la sua mente che mostrano il sentiero dell'illuminazione. Lo stupa perciò nel senso più ampio del termine, è una struttura sacra che riporta alla cosmogonia indiana, ed è la rappresentazione del microcosmo. Solo in seguito il buddhismo se ne è appropriato, trasformandolo in pagoda.

Nel 2010 Turrell ha realizzato uno Skyspace prendendo come modello uno Stupa, il Within Without, che è molto utile per capire come intende realizzare lo Stupa in questo particolare ambiente. Dai rendering infatti possiamo osservare una specularità interessante nell'impostazione dello spazio costruito in Australia e di quello che sarà costruito nel North Space del cratere. Commissionatogli dalla National Gallery of Australia, Canberra, Within Without si trova nel nuovo giardino australiano della galleria sul lato sud dell'edificio. Si entra in una piramide a base quadrata con pareti interne color ocra rossa e uno stupa di basalto al centro illuminato dall'acqua turchese. Lo stupa ha una camera di osservazione con uno spazio a cupola che si apre verso il cielo con una pietra di luna incastonata al centro del pavimento che riflette l'apertura dell'oculo sopra. Da qui lo spettatore può contemplare i cieli che appaiono particolarmente drammatici all'alba e al tramonto. Quando entri in una stanza piena di luce, senti un senso di assenza di gravità mentre i tuoi occhi vengono ingannati e i colori sembrano cambiare di intensità e le forme materiali solide si dissolvono nello spazio. È eccezionalmente efficace perché sei trascinato in uno stato trascendentale mentre trascuri il vuoto. La mostra di James Turrell è essenzialmente un'esplorazione delle qualità psico-fisiche della luce, del colore e dello spazio e di come ciò abbia un impatto sulla percezione individuale di sé e del mondo circostante. All'interno dello spazio, la luce sembra più pittorica. Il movimento e il suono si intensificano, il cielo luccica e pulsa. Turrell rivela così l'immensità del mondo naturale e la bellezza dell'architettura celeste. Questo Skyspace offre mancanza di arte, semplicità, percezione senza fretta.

Il percorso inverso invece presenterà superfici murarie inclinate verso il visitatore, al fine di fargli avvertire una sensazione di accelerazione prospettica, quasi un senso di vertigine.

«Ci troviamo ai confini di un oceano d'aria. Siamo noi a creare il colore e la forma del cielo. Essa non esiste al di fuori del proprio sé» dice l'artista in merito allo Stupa. Questo Sky Space si presenterà come un ambiente in cui alla forma del lucernario si combinerà la sensazione schiacciante di discesa del cielo attraverso l'apertura superiore. In questo spazio l'artista condenserà i tre elementi perno attorno ai quali si irradia l'intero progetto del Roden Crater: la terra, l'acqua e l'aria. Attraverso la modulazione di questi diversi elementi, lo spettatore sarà costretto a portare la propria percezione ai suoi limiti massimi, poiché diventerà sempre più arduo distinguere dove finisca la luce e dove cominci la struttura fisica. All'interno dello Space i continui shiftings cromatico-luministici, sia naturali (luce esterna) che artificiali (LED) aiuteranno l'osservatore a riemergere da questo oceano luminoso. Una volta usciti dall'esperienza totalizzante dello Stupa, il North Space consentirà l'accesso alla Plaza, che presenterà alcuni ingressi di locali del servizio di accoglienza, oltrepassati i quali si penetrerà all'interno di un ulteriore spazio che Turrell ha indicato come Camera Obscura. Questa camera mostrerà la ciclicità del giorno, favorendo l'esperienza conoscitiva dell'armonia celeste, attraverso la proiezione sul suo pavimento coperto, in una zona delimitata da sottilissima sabbia bianca, del giorno e della notte in tutte le loro diverse sfaccettature: le stelle della Via Lattea mostreranno il moto reale della Terra; nelle notti invernali nella camera ipogea entrerà la luce della Luna e dei pianeti più prossimi alla Terra. Con il verificarsi di questi fenomeni e la possibilità dell'osservazione diretta, sarà così infine verosimile raggiungere gli infiniti spazi siderali uscendo dal mondo secolare.

Lasciata alle spalle la Camera Obscura, proseguendo il percorso in un corridoio illuminato da una fioca luce, si giungerà alla sommità del complesso denominata da Turrell Rotational Space o Cannon, proprio perché la forma sarà quella di un cannone con la bocca rivolta in direzione di un'area specifica del cielo – similmente al telescopio presente nel South Space – osservando la quale sarà possibile percepire durante la notte il moto apparente delle stelle intorno a Polaris. L'osservazione distinta dei corpi celesti sarà implementata dalla colorazione nera interna dello spazio, che aumenterà il contrasto rendendo maggiormente visibili le stelle allo spettatore. Continua il riferimento al mondo indiano, in particolare scientifico, attraverso la scala bronzea configurata e orientata ispirandosi al celebre strumento astronomico Samrat Yantra, progettato dal maharaja Jai Singh presso Jaipur, che apparirà quindi come un ponte che si staglia verso il cielo anche se consentirà la riemersione sulla crosta lavica del Crater al livello dell'Esplanade e attraverso un successivo percorso pedonale, arriverà alla Sunrise Tearoom, un padiglione isolato dalle perfette proporzioni sferiche rivolto verso il Sole nascente57.



West Space

Dalla Plaza del North Space, il percorso proseguirà verso ovest. Come il North, anche il West Space accoglierà al suo interno una serie di spazi, a cominciare da un tunnel che porterà al primo degli ambienti previsti: uno Skyspace a pianta circolare, al cui centro sarà previsto un lucernario ellittico, e dalla posizione della panca interna, secondo un tòpos turrelliano di manipolazione visiva delle sezioni coniche, i visitatori potranno percepire il profilo come circolare. In seguito, un altro tunnel permetterà di accedere a un'ampia sala prismatica, Veil Space, in cui lo spettatore sarà invitato ad avanzare verso una superficie verticale squadrata apparentemente sospesa; qui la sensazione visiva che sarà provata dal visitatore sarà simile, ma assai più intensa, a quella esperita dai fruitori dei Ganzfeld: sarà infatti come oltrepassare una soglia dimensionale, penetrando in un ambiente indifferenziato in cui agiranno i diversi fenomeni luminosi diurni e notturni, prodotti dall'evoluzione atmosferica del cielo. Un ulteriore tunnel poi porterà dal Veil Space al Sunset Space: qui Turrell realizzerà una nuova forma ibrida di installazione in cui agirà al suo massimo la luce del sole che tramonta. In quel momento infatti dice Turrell, «la quantità di luce nel cielo diminuisce, ma l'intensità delle tinte aumenta- i gialli, gli arancio, i rossi, nella luce attenuata del sole, e i blu del cielo diventeranno lucidi e precisi58».

Tale cromatico riverbero caleidoscopico si rifletterà anche nell'ultima propaggine architettonica del complesso, ovvero la Sunset Entry, un ambiente cilindrico che fornirà attraverso la giacitura dei muri esterni di contenimento i limiti solstiziali del tramonto solare (amplitudine occasa), incorniciando anche il sunrise arch (o anti twilight) all'alba, opposto a quello visibile dall'East Space al tramonto, ma ugualmente prezioso da un punto di vista cromatico. Delicate tonalità sul rosa e sul blu pastello invaderanno la camera alle prime luci dell'alba, intensificandosi sempre di più durante l'arco della giornata fino al calar del sole, la cui luce penetrerà attraverso l'apertura occidentale della camera, la cui configurazione sembrerà mutare alchemicamente forma. Durante i due solstizi poi, si assisterà a un vero e proprio spettacolo in cui i raggi solari occidui riusciranno a penetrare e ad invadere la sottile feritoia verticale incisa nel monolito lenticolare di alabastro che si troverà sito al centro dell'ambiente, proiettandosi anamorficamente per pochi istanti sulla parete posteriore concava, e quello stesso monolito fungerà anche da prisma atto a decantare sulle pareti interne, in forma spettrale, ogni singolo fotone che raggiungerà la Sunset Entry59.

«Sto realizzando spazi che saranno potenziati dalla luce solare, stellare e lunare. Ci saranno degli allineamenti molto precisi correlati a specifici eventi luminosi e astronomici, ma la maggior parte degli eventi più interessanti proverranno dalle nuvole collocate tra la fonte luminosa e la Terra, oppure dalla neve che si poserà sul pavimento, illuminando dal basso gli spazi in modo suggestivo. Ci saranno eventi che sappiamo si verificheranno, ma non possiamo predire esattamente cosa accadrà. Ho realizzato questi spazi in modo tale che essi stessi vedano. Ho messo le cose in moto e poi toccherà al cratere fare il suo show. Ci sarà dunque una struttura generale, ma all'interno di questa struttura c'è una certa quantità di casualità sulla quale non avrò controllo60».



Never Ending Story

«I can't say it strongly enough: It's not a question of whether there's money for such a project: There is. The question is, will people decide that's what they want to do with it61».

Nel 1974, dopo una lunga ed estenuante ricerca, Turrell trovò il Roden Crater, il sito che faceva al caso suo: lontano da qualsiasi inquinamento luminoso e atmosferico, così perfetto e familiare62.

Fa quasi sorridere il fatto che un luogo di “distruzione”, dove i vulcani per secoli avevano arso la terra limitrofa, diventasse ora un luogo di “costruzione” e questo grazie all'arte.

Come sempre però in ogni progetto, specie in uno così ambizioso e colossale come quello turrelliano, i principali problemi del lento incedere della sua costruzione sono legati alle numerose peripezie economico finanziarie che fino ad oggi hanno investito, travolto in certi casi, l'opera.

Si deve alla Dia (allora Dia Art Foundation) il primo ingente investimento alla fine degli anni'70, di circa 300.000 dollari, per la pianificazione del progetto.

Ironia della sorte al momento dell'assegnazione di queste prime sovvenzioni il cratere era su un terreno privato che non era in vendita. Solo nel 1977 il proprietario terriero, il magnate delle ferrovie in pensione Robert Chambers, accettò di vendere la terra e solo perché aveva stretto amicizia con l'artista durante gli anni.63. Per finanziare l'acquisto del sito sappiamo che Turrell richiese un prestito come allevatore di bestiame64. Sebbene questa impresa di ranch fosse inizialmente un mezzo pragmatico di acquisizione di un prestito, il Walking Cane Ranch si è dimostrato poi redditizio crescendo fino ad avere 3.000 capi di bovini da carne di prima scelta. Può sembrare strano a dirsi ma effettivamente all'inizio l'artista non era conosciuto in America per le sue opere o per le sue sperimentazioni luminose ma era famoso per le sue succulente bistecche.

Mentre molti hanno applaudito l'ingegnosità e l'imprenditorialità di Turrell (come ha affermato un intervistatore: «Hai usato l'agricoltura per fare arte!») è importante considerare le implicazioni del finanziamento delle arti con capitale federale per avviare un ranch di bestiame privato e a scopo di lucro che, nel corso di quarantacinque anni, ha probabilmente fallito nel fornire un servizio pubblico dimostrabile65.

Dopo aver acquisito la terra Turrell trascorse almeno tre anni a modellare sottilmente il cono del vulcano e a livellare il suo cratere mentre contemporaneamente si preparava per due mostre personali per l'anno 1980. Le esposizioni si tennero entrambe a New York, una presso l'influente Leo Castelli Gallery e l'altra al Whitney Museum of Art. Quest'ultima si rivelò alquanto disastrosa: durante l'esecuzione della light performance due visitatori scambiarono un muro di luce per un vero muro e caddero a terra avendolo cercato di usare come supporto. Conseguentemente entrambi avevano fatto causa al museo affermando che la natura disorientante della mostra aveva causato le loro lesioni. Così dopo la seconda causa il Whitney Museum fece a sua volta causa all'artista. Sebbene l'incidente alla fine sia stato risolto in via extragiudiziale Turrell non si è mai più presentato al Whitney Museum a dimostrazione evidente che l'incidente ha avuto un peso significativo (sia psicologico, sia finanziario) sull'artista66.

Gli anni '80 avrebbero solo peggiorato la situazione dell'artista: la Dia non fu più in grado di assicurare una copertura finanziaria costante per il completamento e il mantenimento dell'opera, rendendosi disponibile però a elargire speciali sovvenzioni annuali direttamente all'artista. La crisi petrolifera del 1982 fece precipitare le azioni Schlumberger di de Menil, fondatore della fondazione, e la Dia cessò di corrispondere anche lo stipendio mensile a Turrell. Poco dopo la fondazione avrebbe iniziato a vendere opere d'arte della propria collezione così come molte delle installazioni site specific dei singoli artisti presenti nei musei acquisite in precedenza. A un certo punto hanno considerato anche la possibile vendita del Roden Crater (anche se non è chiaro se avrebbero avuto il diritto di farlo)67.

Nel 1982 per volontà di Turrell nasce la Skystone Foundation, struttura no-profit destinata a raccogliere i fondi necessari per l'esecuzione e il completamento del progetto, provenienti sia dalla vendita delle opere dell'artista sia da istituzioni e donatori privati. Da questo momento in cui le potenziali fonti di finanziamento pubbliche e private per gli artisti si sono amplificate, Turrell e altri hanno iniziato a incorporare organizzazioni no profit proprie, istituzionalizzando essenzialmente le loro pratiche artistiche. La Skystone Foundation di Turrell è citata da alcune fonti a partire dal 198268. Sebbene non vi sia alcuna documentazione pubblica delle attività dell'organizzazione prima di allora, l'elenco dei “donatori fondatori” sul sito web del cratere da un'idea di come poteva essere la partecipazione privata prima di quell'anno e poi tra il 1982 e il 1999. Sono elencati sette donatori tra cui la fondazione Dia, la NEA e la Fondazione Guggenheim.

Come precedentemente sottolineato la fondazione Guggenheim ha fornito il finanziamento iniziale per il processo di scouting di Turrell mentre la fondazione Dia ha fornito fondi per una sovvenzione della NEA che è stata infine utilizzata per acquistare il ranch contenente il Roden Crater. La maggior parte dei donatori fondatori, incluso il conte Giuseppe Panza di Biumo, Martin Bucksbaum e Nathan Cummings, sono tutti noti collezionisti d'arte. In quel momento storico in particolare i collezionisti di arte contemporanea sarebbero stati motivati ​​a sostenere o ad essere coinvolti con organismi di finanziamento privati ​​come Skystone ritenendo ciò principalmente un mezzo di manovra sociale. Investendo nella costruzione di un'opera d'arte che richiederebbe una vita per essere costruita e che apparentemente non può essere posseduta, la reputazione di quel collezionista tra galleristi e commercianti si distingue come più di quella di un semplice speculatore ma come di qualcuno disposto a investire su un artista: questo gli avrebbe potuto aprire le porte, garantendogli l'accesso a un lavoro migliore e più ricercato. In questo senso fondazioni private come Skystone sarebbero potute servire come strumenti per collezionisti e altri agenti del mondo dell'arte per gonfiare il loro status e potere all'interno di quel mondo mentre si rispondeva alle nuove realtà del mercato. I primi anni della Skystone Foundation non hanno visto molti progressi sul sito del cratere. Tuttavia, gli anni ‘80 e ‘90 sono stati anni produttivi della carriera di Turrell più in generale come descrive il critico Calvin Tomkins:

«A un certo punto [Turrell] ha scoperto di poter addebitare una commissione per le installazioni nelle mostre dei suoi skyspaces fino a 10.000 dollari per esposizione. Un anno ebbe sedici mostre personali in questo paese, in Europa e in Giappone, e guadagnò 160.000 dollari69».

Nel 1984, Turrell e il suo collega artista Light and Space Robert Irwin furono i primi visual artists a ricevere il McArthur Genius Grants. In seguito all'assegnazione di questo premio anche la MacArthur Foundation è stata elencata come un donatore fondatore del progetto del Roden Crater, nonostante il fatto che questo supporto sia arrivato molto più tardi di quello degli altri fondatori e in un momento in cui i progressi sul sito sembravano essere giunti a un punto di non ritorno.

Il MacArthur Grant è stato assegnato a Turrell al culmine del tentativo di vendita dell'opera da parte della Dia, e probabilmente ha giocato un ruolo importante nel mantenere il cratere Roden fuori dal mercato.

Nel 1987 la Dia aveva iniziato a recuperare la salute finanziaria ma la sua attenzione si era spostata ampiamente.

Alla luce di queste priorità mutevoli all'interno delle istituzioni d'arte americane il progetto inaccessibile e apparentemente apolitico di Turrell appariva nella migliore delle ipotesi obsoleto e nella peggiore delle ipotesi un emblema di arroganza e diritto patriarcale, facendo emergere una evidente disconnessione tra arte e vita reale. La stabilità fornita dalla crescente reputazione internazionale di Turrell così come il sostegno della Skystone Foundation ha aiutato a proteggere il cratere dal peso di questo cambiamento nell'opinione pubblica ma i progressi nel progetto sono stati comunque lenti. Tuttavia, l'artista ha continuato a esporre foto, diagrammi e modelli del cratere in mostre in tutto il mondo; diverse monografie e cataloghi di mostre che documentano e mitizzano il cratere sono stati pubblicati durante tutto questo periodo. Pertanto, forse contro le probabilità di vederlo irrealizzato, l'interesse e l'impegno per il progetto sono continuati costantemente.

Risale al 1986 la scoperta da parte dell'artista della possibilità di accedere a un prestito fondiario (Farm Credit Loan) se nella sua proprietà si fosse svolta un'attività di allevamento di bovini; così alla ricerca di nuovi introiti per finanziare le attività costruttive del cratere, inizia un nuovo lavoro di rancher (allevatore). La fattoria in cui si trova il Roden è in gran parte di proprietà dello stesso artista e della Skystone Foundation, mentre una piccola parte è ancora in possesso dello Stato dell'Arizona, che ne ha garantito l'uso per i prossimi ottant'anni. Solo nel 1990 Turrell è riuscito ad ottenere tutte le licenze necessarie per l'apertura della fattoria, ottemperando alla normativa locale che prevedeva il possesso di due aree stagionali di pascolo ciclico (una invernale e una estiva), identificate, rispettivamente, con il Kellum ranch e con il Walking Cane ranch. I semi del cambiamento furono piantati tuttavia nel 1994 quando Charles Wright, fiscalmente cauto, lasciò la Fondazione Dia e il giovane, energico, straordinariamente esperto e ben collegato Michael Govan prese il suo posto come direttore della fondazione. L'arrivo di Govan ha ispirato la speranza di una nuova era d'oro nell'organizzazione che rivaleggia con la visione originale di Heiner e Philippa. Immediatamente dopo la sua nomina si recò in pellegrinaggio a tutte le opere site specific avviate dalla Dia, tra cui il Roden Crater, nel tentativo di riallacciare contatti con gli artisti che erano stati lasciati in disparte un decennio prima. Questa speranza iniziale di re-impegno è stata sprecata però da un colpo di stato alla fondazione a livello del consiglio e che è durato per diversi anni70.

Nel frattempo, il cratere era nuovamente nei guai. Nel 1996 Turrell e sua moglie divorziarono. Quest'ultima nel momento in cui iniziarono i lavori nel cratere aveva dato un ultimatum all'artista: o lei e i loro tre figli piccoli o il vulcano. Turrell scelse il vulcano71. L'artista non fu in grado di acquistare la sua metà della proprietà attorno al cratere e avrebbe dovuto vendere la terra se non fosse stato per il sostegno della vicina Fondazione Lannan, situata dall'altra parte degli insediamenti Hopi e Navajo tra il Roden Crater e Santa Fe72. La missione della Fondazione Lannan era ed è quella di concedere sovvenzioni a organizzazioni no profit nell'arte visiva e nella letteratura contemporanee a sostegno delle comunità indigene e della libertà culturale73. Negli anni che seguirono la borsa di studio della Fondazione Lannan, Turrell iniziò a impiegare persone provenienti dalle riserve vicine e ad offrire spazi per l'apprendistato di artisti indigeni74. Apparentemente era anche impegnato a costruire relazioni con i funzionari locali della contea di Coconino. Nel 1997 si accordarono per proteggere lo spazio del cielo attorno al vulcano approvando un'ordinanza sul “cielo scuro” che escludeva qualsiasi illuminazione diretta verso l'alto entro trentacinque miglia dal sito75. Inoltre, i funzionari hanno concordato di modificare il codice di costruzione per consentire una nuova categoria chiamata “land-formed work art” che ha effettivamente permesso a Turrell di costruire una rampa pericolosamente ripida di scale di bronzo senza ringhiere nel suo East Space.

Come sostiene Tomkins, quest'arco di tempo nella storia del cratere è caratterizzato da un approfondimento delle connessioni con i beni e le comunità culturali della regione, qualcosa che non era stato al centro del progetto iniziale. Solo nel 1998 sono iniziati i primi lavori strutturali al Roden Crater; all'epoca Turrell era ancora ignaro di dover chiedere un'apposita concessione all'Ufficio Tecnico della municipalità di Flagstaff, per quella che a lui sembrava essenzialmente un'opera d'arte e non architettura. Quando il progetto approdò alla Commissione edilizia locale, i tecnici non sembrarono interessati all'intima natura artistica dell'opera, assumendo che fosse, in tutto e per tutto, equivalente a un qualsiasi progetto di lottizzazione, fra l'altro, potenzialmente, il più alto di tutta l'Arizona, sopraelevandosi le sue strutture di circa 150 metri dal livello del deserto circostante. Grazie all'aiuto di un movimento di opinione locale, Turrell riuscì a dimostrare pubblicamente che il suo progetto rimandava non tanto alle classiche tipologie previste dai regolamenti edilizi, quanto agli ambienti ipogei di natura cerimoniale delle kiva Navajo e Hopi. Nel frattempo, riuscì anche a convincere il Building Departement della Coconino County (AZ) ad approvare un progetto di legge che ha introdotto una nuova categoria di opere edili, rubricabili come Land Art, con una specifica legislazione attuativa in cui il Roden Crater Project rientrava pienamente. Nel 1998 Govan aveva ripreso il controllo della Dia Foundation e durante questo entusiasmante ritorno la fondazione aveva ricominciato a finanziare il progetto Roden Crater. Anche se non sono stati pubblicati rapporti sui progressi pubblici c'è da precisare però che gli stessi schizzi e modelli dei piani di Turrell per il sito hanno continuato ad essere esposti in gallerie e musei di tutto il mondo. Nel 2006 Govan lasciò la Dia per diventare direttore del Los Angeles County Museum of Art (LACMA) e contemporaneamente si unì al consiglio di amministrazione di Skystone76.

Sorprendentemente la Dia non supporta il Roden Crater Project dalla partenza di Govan e non include Turrell nel loro archivio online, almeno fino al momento attuale (la ricerca di “Turrell” o del “Roden” sul sito web della Dia Foundation non produce risultati).

Tuttavia, il supporto di Govan al progetto era cresciuto. Poco dopo la sua nomina al consiglio di amministrazione ha iniziato a pianificare una retrospettiva di Turrell al LACMA per la stagione espositiva del 2013. La mostra si trasformò presto in una retrospettiva di tre musei con installazioni del lavoro di Turrell che andarono anche al Museum of Fine Arts di Houston e al Guggenheim Museum di New York77. Nel 2009 durante la pianificazione di questi successi concomitanti, che hanno interessato l'intero paese, Turrell e Govan hanno incorporato una seconda organizzazione no profit, una fondazione operativa chiamata Turrell Art Foundation.

In questo caso la distinzione tra una fondazione operativa e una fondazione privata come Skystone si riduce principalmente a una cosa: una fondazione operativa deve dimostrare di avere un sostegno pubblico sufficiente. Le fondazioni private non hanno tale requisito e spesso ricevono la maggior parte delle loro entrate da un singolo donatore o famiglia. Inoltre, poiché la fondazione operativa si basa sul sostegno pubblico in teoria è tenuta a standard di servizio pubblico più elevati. Sebbene non sia insolito che una fondazione operativa sia associata a una fondazione privata non è chiaro perché il progetto del Roden Crater avrebbe potuto trarre beneficio da tale struttura organizzativa. Grazie alla Ashton Company Inc. di Tucson (Arizona), la prima compagnia impegnata dal 1999 nei lavori di modellamento del cratere, è stato possibile avviare la fase 1 del Project che prevedeva la costruzione dei primi spazi ipogei del Sun|Moon Space, dell'Alpha Tunnel, dell'East portal (o Alpha Space) e dell'Eye of the Crater.

Il completamento di questi ambienti è avvenuto nel 2006 ed è stato possibile grazie agli investimenti del 1995 della Nathan Cummings Foundation e soprattutto a quelli del 1996 della Lannan Foundation. La Dia, una volta completati tutti i lavori, si è impegnata a gestire la futura vita del Roden Crater Project, non solo attraverso la programmazione e l'organizzazione delle visite ma anche provvedendo alla sua manutenzione ordinaria e straordinaria. Il 2016 è stato il primo anno dalla fondazione della Turrell Art Foundation che ha incluso un elemento pubblicitario nel loro prospetto delle spese funzionali che ha designato fondi per “Spese di programma – Skystone”. Nel 2016 la spesa annuale per questa categoria è stata di 625.000 dollari. Nello stesso anno la Skystone Foundation ha investito oltre 2 milioni di dollari in obbligazioni societarie di grandi banche e altri 1,7 milioni di dollari in case automobilistiche e compagnie petrolifere. Questi acquisti non tenevano conto delle recenti tendenze verso investimenti a impatto e disinvestimento di combustibili fossili assai popolari tra le fondazioni e le comunità filantropiche nell'ultimo decennio. Data la probabilità che il sostegno pubblico a un progetto di land art come il Roden Crater possa essere influenzato negativamente dalla consapevolezza pubblica delle loro pratiche di investimento ha senso pensare che il mantenimento di un ente finanziario pubblico associato a uno privato sarebbe potuto risultare utile. Questo potenziale interesse a nascondere le attività finanziarie del progetto invita a speculare su altri modi in cui il team del Roden Crater avrebbe potuto oscurare alcune delle proprie politiche amministrative.

Quell'anno la Skystone Foundation fece causa al rapper Drake per aver plagiato il lavoro dell'artista nel suo popolare video musicale Hot Line Bling78. Nella pubblicità che circonda lo scandalo le dichiarazioni di Turrell, rilasciate dal suo avvocato, presentano un'immagine mite e giocosa dell'artista. Quest'ultimo è citato e avrebbe detto: «Drake ha onorato il mio lavoro» e avrebbe poi scherzato sul fatto che «più persone hanno sentito parlare di me attraverso Drake che in ogni altra occasione79». In questa circostanza il personaggio dell'artista ha preso decisamente le distanze dal suo rappresentante legale litigioso. Assumere il primo direttore esecutivo di Skystone ha ulteriormente ampliato la distanza tra il personaggio dell'artista e il lato commerciale della sua impresa. Appena un mese dopo la prima notizia dell'episodio di Turrell con Drake, Skystone ha annunciato Yvette Y. Lee, ex direttore del programma della Fondazione Guggenheim, come primo direttore esecutivo che ha continuato a capitalizzare speculando sulla visibilità mediatica che l'artista stava ottenendo in quel momento a seguito della causa80.

Più tardi nello stesso anno Lee e il consiglio invitarono una sessantina di donatori a sperimentare il sito di persona per un prezzo del biglietto ampiamente pubblicizzato di 6.500 dollari a persona81.

Nelle giornate del 14, 15, 16, e 17 maggio del 2016, per dare nuovamente risalto al cratere e per ottenere ulteriori finanziamenti, vengono erogati biglietti per l'ingresso agli spazi al costo di 5.000 dollari, più 1.500 per il soggiorno nell'albergo, un tour, una cena “in situ”, e la colazione la mattina seguente.

È importante sottolineare che hanno anche avviato una presenza sul web più sostanziale per il progetto e pubblicato le prime immagini di spazi completati nel vulcano. Queste decisioni in merito a una rinnovata visibilità hanno segnato la prima prova dei progressi sul sito in costruzione almeno dal 2002 e notevoli miglioramenti in tal senso. Sono stati rappresentati sei spazi e le immagini coreografiche disorientanti, i vertiginosi rendering hanno ispirato meraviglia, invidia e confusione. Negli anni da quando Lee è stato assunto, Skystone è cresciuta esponenzialmente.

Nel 2016 ha ricevuto la sua più grande donazione di sempre 10 milioni di dollari dall'investitore miliardario David Booth che ha aumentato le sue attività nette di oltre il 200%. Mentre le registrazioni più recenti documentano solo le donazioni fino al 2017, l'organizzazione ha fatto notizia nel 2019 quando il rapper Kanye West ha donato 10 milioni di dollari al progetto82.

Curiosamente i media popolari hanno incorniciato questa storia come un episodio nella faida pubblica in corso tra Drake e Kanye come rivali nello stesso panorama musicale.

Poiché Turrell aveva portato Drake in tribunale anni prima la donazione di West è stata vista da alcuni come motivata dalle dinamiche sociali della celebrità del rap contemporaneo più che da un gesto filantropico83. In realtà il rapper è un appassionato di arte e del lavoro sulla luce compiuto dall'artista, e un'altra grandissima opportunità di visibilità per il progetto è stata data in seguito alla realizzazione di un nuovo film in collaborazione con IMAX con riprese di una serie di sue performances del Sunday Service ambientate nel cratere. «Girato nell'estate del 2019, Jesus Is King dà vita al famoso Sunday Service di Kanye West nel Roden Crater, l'installazione inedita dell'artista visionario James Turrell nel Painted Desert dell'Arizona», si legge in un comunicato pubblicato da IMAX, con notizie di proiezioni nei cinema a partire dal 25 ottobre. «Questa esperienza unica nel suo genere presenta brani arrangiati da West nella tradizione gospel insieme alla musica del suo nuovo album Jesus Is King, il tutto presentato nel suono coinvolgente e nella straordinaria chiarezza di IMAX84».

Sulla scia di quella storia l'Arizona State University (ASU) annunciò che avrebbe aiutato Skystone a raccogliere almeno 200 milioni di dollari nei prossimi due anni per completare la costruzione del progetto del cratere e a costruire l'infrastruttura fisica e amministrativa necessaria per accogliere i visitatori del sito85. Sebbene questa collaborazione sia ancora nelle sue fasi di pianificazione l'obiettivo è garantire il sostegno finanziario per il Roden Crater in perpetuo, nonché un accesso privilegiato per gli studenti ASU per imparare dal sito attraverso le diverse discipline implicate.

In un comunicato dell'ASU l'iniziativa è stata propagandata come «la prima significativa impresa accademica costruita attorno a un'opera d'arte singolare86».

In una transazione correlata il Presidente dell'ASU ha recentemente collaborato con Michael Govan anche al LACMA guidando congiuntamente un'iniziativa per creare leader per un campo museale più inclusivo. Al momento della negoziazione di questa iniziativa LACMA, Govan era anche presidente del consiglio di amministrazione di Skystone. Questi tipi di relazioni interistituzionali non sono insolite né necessariamente condannabili; tuttavia gli interessi sovrapposti dei vari ruoli istituzionali di Govan mostrano come possano esserci linee sfocate tra relazioni personali e istituzionali nelle arti. A causa di questi recenti sviluppi della raccolta fondi e probabilmente di altre grandi donazioni che non sono riuscite a fare notizia, il completamento del Roden Crater Project è ora previsto entro i prossimi cinque anni. Che aspetto avrà in termini di accesso del pubblico deve ancora essere visto ma date le strutture attualmente esistenti sembra probabile che il sito rimarrà semi-privato e accessibile principalmente a coloro che sono rappresentati da organizzazioni che hanno investito nel lavoro come ASU e LACMA.

La nuova e innovativa collaborazione tra Turrell e l'Arizona State University contribuirà quindi a completare l'opera magna dell'artista ai margini del Painted Desert, rendendolo accessibile a molte più persone in futuro e sviluppando una componente accademica indispensabile per Turrell, al fine di condividere la sua visione artistica e ispirare la pratica interdisciplinare e stimolare sempre nuovi approcci alla creatività. Se da un lato l'impresa cerca di raccogliere almeno 200 milioni di dollari per preservare l'eredità di Turrell costruendo infrastrutture sul sito, incluso un centro visitatori, e volendo garantire la conservazione di uno dei beni culturali più famosi della nazione, dall'altro darà nuove opportunità di formazione accademica uscendo dai confini disciplinari. È sicuramente un progetto davvero ambizioso ma sarà un investimento che gioverà da qualunque lato lo si guardi.

L'ASU e la Skystone Foundation sono nel bel mezzo di un processo di pianificazione annuale per determinare la portata del progetto e organizzare programmi accademici. Un corso online è ora in fase di sviluppo con Turrell e quattro corsi di laboratorio si sono svolti nella primavera del 2019 in cui gli studenti ASU hanno visitato il sito. Il lavoro di Turrell al Roden Crater87 è una fusione di arte, ingegneria, astronomia, architettura e neuroscienza, e tale approccio si adatta perfettamente all'ASU, secondo Steven Tepper, decano dell'Herberger Institute for Design and the Arts.

«Questo unico progetto è uno dei migliori esempi di esplorazione interdisciplinare che abbiamo. È una straordinaria espressione artistica ed estetica, una straordinaria impresa di ingegneria, uno spazio straordinariamente riflessivo e contemplativo in un mondo che sembra essere molto frettoloso. Ti porta fuori dalla tua normale routine e ti pone in uno spazio di trasformazione per sperimentare il mondo».

Come sostiene Tomkins, la storia del cratere Roden è caratterizzata da connessioni assai profonde con i beni e le comunità culturali della regione, e un qualcosa che non era stato al centro del progetto, il bestiame, è tornato più utile del previsto fungendo da cuscinetto attorno al cratere e impedendo conseguentemente qualsiasi forma di sviluppo.

Il capoluogo della contea di Coconino, Flagstaff – l'unica grande città nelle vicinanze - ha da tempo “abbracciato” i cieli, assai adatti per osservare le stelle. Mezza dozzina di telescopi principali circondano la città, incluso quello da cui fu scoperto Plutone (da allora è stato retrocesso da pianeta a pianeta nano). Nel 1958 Flagstaff ha implementato restrizioni di illuminazione che si pensa siano state le prime al mondo. La città e la contea hanno approvato parecchie ordinanze di illuminazione negli anni'80 e gli attivisti del cielo oscuro di oggi continuano a educare i residenti locali sui modi per preservare la notte e le sue meraviglie.

Agli inizi del 2020, il miliardario americano Mark Pincus, fondatore della società di giochi online Zynga, ha donato 3 milioni di dollari al Roden Crater Project. Il regalo è stato annunciato da Marc Glimcher della Pace Gallery, che ha interpretato le opere di Turrell con Kayne Griffin Corcoran al Frieze di Los Angeles in occasione di una festa privata in onore dell'artista al San Vicente Bungalows di West Hollywood il 13 febbraio. «Il progetto stesso sembra, per me, come le piramidi di oggi88», ha detto Pincus al Los Angeles Times. L'ambizione e la portata di esso sono qualcosa che ha il potenziale per ottenere che le persone, da molte generazioni a oggi, possano essere in grado di provare qualcosa di straordinario, forse qualcosa al di là di ciò che possiamo immaginare oggi89». Turrell, che non è apparso alla festa, che vantava molti partecipanti di alto profilo - tra cui l'attore Leonardo DiCaprio, la tennista Maria Sharapova e il Museum of Contemporary Art, il regista di Los Angeles Klaus Biesenbach - ha detto al Times: «Il supporto di Mark arriva in un momento cruciale. Il progetto sta vivendo un grande slancio e questo porterà ulteriori progressi90».

Grazie a questi recenti sviluppi della raccolta fondi e probabilmente ad altre grandi donazioni che non sono riuscite a fare notizia, il cratere Roden dovrebbe ora essere completato entro i prossimi anni: l'apertura era infatti prevista per il 2024 e recentemente è stata posticipata al 2026.

Nel frattempo, l'Arizona State University in collaborazione con la Skystone Foundation e la campagna crowdsourcing Friends of Roden Crater stanno raccogliendo fondi per le fasi finali di costruzione e per le spese operative per il progetto.

Come abitante del deserto, nonostante possa sembrare un artista piuttosto recluso, Turrell non si sintonizza solo con l'ambiente naturale, ma anche con la qualità dell'esperienza del visitatore. Quando l'osservatorio si aprirà finalmente al pubblico solo quattordici persone al giorno potranno entrare al suo interno e anche meno potranno pernottarvi. Un giorno alla settimana sarà riservato ai soli studenti. Incerto se la domanda supererà la capacità di carico dell'osservatorio, Turrell considera di concedere l'accesso attraverso una lotteria: i vincitori possono ringraziare le loro stelle fortunate mentre le osservano attraverso le aperture del cratere. Le migliori ore di visione generalmente cadono tra il periodo pre-alba e un po' dopo l'alba e tra il tramonto e la mezzanotte. Come un bravo padrone di casa Turrell ha anche costruito una piccola lodge per gli ospiti, parzialmente nascosta in una parte del cratere. Ha persino progettato i suoi mobili, e nei diversi spazi saranno infine ripiantati fiori ed erbe autoctone: più in generale tutte le aree disturbate durante la costruzione dei diversi ambienti saranno ripristinate per la fauna selvatica, riportate alle loro origini, in modo tale che i passanti difficilmente noteranno una differenza nel cratere dopo che tutto il lavoro sarà portato a termine.

Nelle credenze Hopi, esiste una divinità, Maasawu, che preserva l'equilibrio del mondo ma che allo stesso tempo può anche nuovamente stravolgerlo: una creatura dualistica appunto, signore sia della vita sia della morte, creatore e distruttore. Questo dualismo che si incarna nella figura di Maasawu è abbastanza comprensibile se si osserva il Painted Desert con la sua sterminata serie di vulcani: guardando l'intero territorio sfregiato, dilaniato dal carattere divino o bruciato dallo sconvolgimento tettonico, diventa facile accettare la distruzione come gemello indispensabile della creazione. Ciò che la natura solleva con una mano la cancella con l'altra. Tra i cataclismi però il nostro genere può prosperare: se in un futuro imprevedibile l'area vulcanica di San Francisco si risveglierà, il fuoco sottostante saluterà nuovamente la luce in un'altra esibizione di terribile bellezza; fino ad allora il Roden Crater attirerà il nostro timore reverenziale e la nostra attenzione su questa pianura abbronzata dal sole.



Conclusioni

Dopo questo imponente percorso attraverso le diverse parti che compongono il Roden Crater e le sue peripezie finanziarie (che però sembrerebbero volte al termine) occorre evidenziare alcuni aspetti per effettuare una sintesi efficace di tutto ciò che rappresenta questa opera, somma e punto di arrivo di una speculazione durata quasi cinquant'anni. Alla luce delle sue diverse componenti, senza ulteriori indugi, credo si possa affermare che il Roden Crater Project rappresenti un esempio supremo di ciò che nella contemporaneità abbiamo registrato sotto l'etichetta di ‘Architettura liquida'. Troviamo infatti qui declinate tutte quelle componenti che sono emerse in altri edifici, strutture architettoniche che possono fregiarsi di questo titolo.

Il cratere Roden si distende su una vasta pianura, uno dei coni più orientali nel campo vulcanico. Il profilo basso ed eroso del vulcano principale è quasi simmetrico e certamente sensuale, baciato dal sole arrossisce all'alba, si imbianca di neve, si scurisce sotto le tende di pioggia che possono o meno bagnare il terreno e di tanto in tanto dipingono arcobaleni nel cielo sovrastante. La vista dal bordo apre il mondo come un obiettivo fish-eye. A sud e ad ovest, sopra le colline e le foreste di pini, le cime di San Francisco si inclinano verso il cielo. Navajo Mountain si gonfia all'orizzonte settentrionale, più sogno che realtà. Verso est, oltre le Grand Falls del Little Colorado, dimora la maggior parte della popolazione Navajo.

«Un deserto di pura sensazione. E l'ho letteralmente portato nel deserto. La verità è che le persone che amano il deserto sono pazze. O il deserto attira le persone che sono pazze, o dopo che rimangono nel deserto abbastanza a lungo diventano così. Non è diverso con l'arte. Non sono sicuro di quale sia il primo. Ma dopo essere stato qui abbastanza a lungo, che differenza fa?91».

James Turrell ha paragonato le linee morbide e sensuali del suo cratere alla celebre tela di “labbra scarlatte nel cielo” di Man Ray: «Alle sette del mattino, prima di soddisfare una fame immaginaria – il sole non ha ancora deciso se sorgere o tramontare –, la tua bocca viene a soppiantare tutte queste indecisioni. Unica realtà, che dà valore al sogno e ripugna al risveglio, essa rimane sospesa nel vuoto, fra due corpi. La tua bocca stessa diventa due corpi, separati da un orizzonte sottile, ondulato. Come la terra e il cielo, come te e me […]. Labbra del sole, mi attraete incessantemente, e nell'istante che precede il risveglio, quando mi distacco dal mio corpo […] vi incontro nella luce neutra e nel vuoto dello spazio e, unica realtà, vi bacio con tutto ciò che ancora rimane in me: le mie labbra92».

Già solo osservando il cratere da lontano col suo pendio scosceso e quell'immagine sensuale che a Turrell fa ricordare labbra umane, ritroviamo la linea obliqua: un vulcano spento dalle forme sinuose, morbide. L'imponenza e l'eleganza del suo profilo trasmettono dinamicità non solo esternamente: tutti gli spazi concepiti al suo interno hanno una presenza costante di linee oblique che si intersecano tra loro, creando gorghi. Il tema della spirale è evidente all'interno del percorso a cominciare proprio da dove inizia il tour, con il ballatoio che gira intorno esternamente alla South Lodge e le scale a chiocciola che vorticano verso l'interno. Forme ellittiche e oblique ci si presentano costantemente davanti ipnotizzandoci con una conseguente rottura degli schemi tradizionali, dei parallelismi e delle simmetrie “classiche”. Turrell ci illude che si tratti di forme geometriche tradizionali ma è evidente che queste lasciano il posto a geometrie non euclidee e a rovesciamenti prospettici continui.

«Ero interessato anche alla matematica. La geometria euclidea è meravigliosa, ma non puoi arrivare sulla luna con la geometria euclidea. Devi usare la geometria riemanniana dove nello spazio la linea curva è la più vicina tra due punti. Ti rendi conto che devi passare a questo livello successivo se hai intenzione di parlare di visione. Devi parlare di luce e non solo di luce riflessa dalla superficie, che ha a che fare con la pittura93».

La natura si muove attraverso schemi non geometrici: le nuvole non sono sfere, un fiume non è una semplice linea, le montagne e quindi anche i vulcani non possono essere definiti semplicemente coni. Non abbiamo nemmeno una vera e propria facciata ma, come in un tempio classico, qui troviamo per accedere al cratere diverse scale e “scalette”: mi riferisco nello specifico a quella esterna all'East Space o quella interna dello stesso ambiente. A seconda di come le osserviamo mutano le loro funzioni simboliche: ad esempio invece di innalzarci e assottigliare le distanze tra noi e il cielo, ci può condurre agli inferi, all'interno di un cratere vulcanico, immergendoci nelle viscere della terra. Qui tutto è silente e il vulcano tace, ma ciò che vediamo al suo esterno è stato il frutto di smottamenti terrestri, movimenti ondulatori della terra, colate di lava che hanno disegnato i pendii vulcanici, tingendoli di rosso sanguigna. Liquido viscoso dalle profondità della Terra è qui riemerso, e fuoriuscendo si è poi andato a solidificare e a stratificare cingendo in un caldo abbraccio il Roden Crater. In un mare desertico il cratere ci appare dunque in tutto il suo splendore con le sue onde colorate.

Abbiamo ribadito più volte che si tratta di un tempio della luce e dunque la parte inerente all'illuminotecnica e alle sperimentazioni luminose trova nei diversi spazi del cratere declinazioni sempre nuove ed originali. Attraverso l'utilizzo di luce artificiale e naturale, Turrell plasma i diversi spazi che mutano costantemente nelle diverse ore del giorno, stimolando le nostre percezioni: dai veri e propri Ganzfeld, quindi spazi totali di luce, si passa agli effetti luminosi “orientati” degli Skyspaces, fino a tipologie di illuminazione minime, altamente suggestive, che incorniciano i diversi fenomeni atmosferici e astronomici che saranno proiettati nel corso degli anni in alcuni degli spazi preposti a tale scopo. Il Roden Crater assume quasi le fattezze di un organismo vivente, è un luogo metamorfico e camaleontico: di giorno, di notte, nelle diverse stagioni e in differenti condizioni climatiche muterà costantemente durante l'anno, creando una struttura dinamica e sempre diversa.

Un altro tema profondamente sentito e rappresentato in questo luogo è quello dello specchio. Reso possibile non solo materialmente attraverso la costruzione di vasche, piscine, bacini d'acqua ma anche attraverso le proiezioni dei fenomeni astronomici su pannelli, monoliti e strumenti astronomici quali cannocchiali (che tra i loro componenti annoverano lenti e specchi) che diventano centrali come portatori di esperienze sensoriali e riflessioni filosofiche.

La Sky Bath del Fumarole Space ma in particolare quelle presenti nell'East Space progettate dall'artista riflettono le lame luminose che penetrano nelle fessure tra i muri in cui gli effetti della luce saranno amplificati anche dall'apertura soprastante l'ambiente. L'acqua nelle vasche non rifletterà però soltanto la luce proveniente dall'esterno ma anche noi stessi nel momento in cui ci avvicineremo per osservarle; scrutare poi i fenomeni celesti all'interno del cannocchiale e delle sue lenti o l'immagine riflessa degli astri sui monoliti posti da Turrell in altri spazi permetterà di vedere un riflesso del riflesso.

Le aperture di cui l'artista ha dotato tutti i suoi spazi sono occhi che guardano all'interno e ci permettono di guardare al di fuori. Uno spazio si carica nello specifico di questo apparente paradosso, l'Eye of the Crater che non a caso è l'ambiente intorno a cui ruota tutta la complessa struttura del progetto turrelliano e a cui l'artista ha voluto dare rilievo nel momento in cui l'ha denominato appunto l'Occhio del Cratere. Sembra quasi di ritrovarci in uno dei quadri più famosi di René Magritte che non a caso si chiama Il falso specchio e ci presenta in tutta la sua interezza un grande occhio celeste: il dipinto infatti inquadra un grande occhio che esclude il resto del volto a cui appartiene. L'iride appare come una finestra circolare che si affaccia su un cielo attraversato da nuvole bianche. La pupilla è raffigurata come una sorta di sole nero in bilico tra la superficie del globo oculare e lo sfondo celeste.

Magritte ha rappresentato soggetti verosimili (il cielo, l'occhio, la pupilla-sole) ma accostati in modo inverosimile. Il procedimento usato è quello del paradosso visivo, tipico dei surrealisti, che consiste appunto nel giustapporre elementi che appartengono alla nostra esperienza quotidiana ma che non hanno alcuna relazione logica fra loro. In questo modo essi assumono un carattere enigmatico e costringono l'osservatore a usare la sua immaginazione per dare un senso all'opera.

L'ambiguità dell'immagine è sottolineata anche dal titolo Il falso specchio. Il cielo è un riflesso del mondo esterno sulla superficie dell'iride oppure è il riflesso di un'immagine interiore del soggetto a cui l'occhio appartiene? Il cielo nell'occhio è ciò che l'uomo sta vedendo o è il desiderio che lo abita? Il titolo orienta la risposta: un falso specchio è uno specchio che non riflette. Dunque, ciò che vediamo viene dal di dentro di quell'uomo. La pupilla è senza luce perché, appunto, non è proiettata fuori ma vede dentro. E dentro danzano cielo e oscurità. Impossibile all'uomo vivere senza un accordo tra realtà esterna e realtà interna. Il pittore, anche se dipinge scene verosimili, non “riproduce” mai in modo pedissequo il vero visibile, anzi non lo riproduce affatto, almeno non secondo l'assioma di Paul Klee, che recita: «L'arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è94».

È soprattutto lo sguardo del pittore e dopo di esso quello dell'osservatore a fare di un quadro (di una superficie coperta in fin dei conti soltanto di macchie colorate) un'opera d'arte.

«I quadri li fanno coloro che li guardano95» ha affermato Marcel Duchamp, e quindi dapprima il pittore e poi il suo pubblico, un po' come Turrell quando spiega che concepisce degli spazi di luce a cui però a dare il senso e il significato ultimo è indispensabile il contributo del fruitore.

«Chiudi il tuo occhio fisico così da vedere l'immagine principalmente con l'occhio dello spirito. Poi porta alla luce quanto hai visto nell'oscurità, affinché si rifletta sugli altri, dall'interno verso l'esterno96».

Sulla stessa scia si inseriscono anche le speculazioni di Cézanne: «Chiuda gli occhi, attenda, non pensi a niente. Li apra […] che dice? Non si vede che un immenso ondeggiare colorato, no? Un'iridescenza, dei colori, una ricchezza di colori. Questo deve darci il quadro in primo luogo […] un abisso dove l'occhio sprofonda, una sorda germinazione. Uno stato di grazia colorato. Tutti questi toni vi penetrano nel sangue, vero? Ci si sente rianimati. […] si diventa se stessi, si diventa pittura97». «L'occhio per vedere e per comunicare con la visione dell'artista deve a sua volta comportarsi da visionario98». Il quadro diventa un enigma, un rebus da risolvere, e le immagini agiscono da stimolo per la mente dell'osservatore, pongono un interrogativo. «O mi sforzo di non dipingere se non immagini che evochino il mistero del mondo. Perché ciò sia possibile, devo essere ben vigile, ossia devo cessare di identificarmi interamente con idee, sentimenti, sensazioni. (Il sogno e la follia sono, al contrario, propizi a un'identificazione assoluta)99».

Il nostro occhio funziona quasi a specchio, la retina invia al cervello quello che viene riflesso. Magritte focalizza la retina come parte che trasmette, c'è il detto che dice “gli occhi sono lo specchio dell'anima”, in riferimento a ciò René attraverso il cielo individua qui la sfera interiore. Tale volontà di intraprendere questo percorso di ricerca è nata nell'artista belga in seguito alla scoperta della metafisica di De Chirico: «È stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita: i miei occhi hanno visto il pensiero per la prima volta100», disse davanti a una riproduzione di Le chant d'amour. Il falso specchio è quindi un'opera che condanna la verità dell'immagine, le nuvole dell'illusione: un grande occhio mette in crisi il mondo. Esiste un duplice punto di vista, essere e apparire.

L'ambiguo oscillare dell'immagine tra realtà e finzione, l'attrazione per le atmosfere notturne e crepuscolari, per gli stati di sospensione e di ansietà collegano l'illusionismo onirico di Magritte, volto a creare nell'osservatore un cortocircuito visivo, alle speculazioni percettive di Turrell: «see yourself seeing101» ovvero vedere sé stessi nell'atto di vedere. Il fenomeno di questa visione riflessiva è stato più volte architettato dall'artista prima ancora che nel Roden all'interno dei suoi Skyspaces. Lo spettatore infatti, immerso in un ambiente cangiante, deve soffermarsi a sperimentare le variazioni di luce che cambiano in base alla stagione, al giorno, all'ora e al tempo. Di questi ultimi in precedenza abbiamo preso in esame diversi esemplari, in cui avevamo evidenziato come oltre alla caratteristica attenzione agli aspetti luministici, l'artista avesse previsto una stretta connessione con l'ambiente circostante in cui andava ad inserirsi lo space e come alcuni siano stati dotati intorno, o internamente, di vasche d'acqua, specchi in cui non solo si riflettevano gli spettatori ma anche gli stessi effetti luminosi.

Commissionato nel 2001, Stone Sky, 2005, è quello che più di tutti stimola la riflessione sul tema dello specchio e del riflesso: comprende infatti un padiglione e una piscina a sfioro che si estende verso il fondovalle e le vette vulcaniche al di là. L'installazione di Turrell all'interno del padiglione aperto riporta un quadrato di cielo sulla sua sommità, ma ciò che più stupisce è la piscina in cui è stata inserito una sorta di gigantesco monolito che si rispecchia sulla sua superficie. Nuotando sott'acqua alla fine della piscina si emerge all'interno dello Skyspace vero e proprio di forma cubica, il cui interno è rifinito in teak.

Provocando all'interno del cratere vari effetti visivi e multisensoriali, che vanno dall'esaltazione dei fenomeni luminosi fino alla percezione dei suoni dell'universo, le camere progettate dall'artista non invitano solo alla riflessione, ma funzionano come sofisticati osservatori astronomici ad occhio nudo, dove il visitatore può catturare ed interagire con la luce solare, lunare e stellare. Gli effetti di luce sono poi favoriti dal basso grado di umidità e dalle particolari condizioni climatiche asciutte proprie del deserto, nel quale ogni stimolo sensoriale, visivo, acustico e tattile subisce una dilatazione senza precedenti. L'idea di Turrell è stata quindi quella di trasformare il Roden Crater da semplice cratere inattivo in una grandiosa opera d'arte, “come un monumento alla percezione” e parla nello specifico di un occhio di cui quotidianamente ci serviamo che apparentemente dovrebbe mostrarci il mondo per quello che è ma che in realtà non ci restituisce quell'oggettività ricercata.

Non meno importante e di compiuta realizzazione all'interno del progetto è il tema del labirinto: complessità e disorientamento sono infatti due termini che Turrell sfrutta al massimo per ogni sua opera. Snodandosi su forme e livelli diversi, il labirinto turrelliano rientra in una dinamica di spaesamento e ci offre diverse tipologie di percorsi facendoci perdere nei suoi antri. L'artista ha descritto più volte l'esperienza di volare tra due strati di nuvole e un getto che le attraversa lasciando uno squarcio tra questi due strati in cui si inoltrava. Più volte ha ribadito di sentirsi un “abitante del cielo”, avvicinando la sua percezione a quella di alcuni popoli che ha definito “persone del cielo” e più volte si è prodigato per spiegare il suo punto di vista.

Il volo ha permesso all'artista di sperimentare alcune sensazioni facendolo arrivare alla conclusione che ci sono molti momenti lassù che ti fanno entrare in un mondo a parte. Il cielo ci appare sconfinato e libero da muri o da percorsi prestabiliti e mentre si è in volo vediamo il corrispettivo della terra che invece è un labirinto. La particolarità di questa esperienza risiede nel fatto che un pilota apparentemente non ha punti di riferimento e non sa come pensare in vista del piano. Ma l'artista rassicura nel momento in cui afferma che questa “perdita” in realtà è necessaria in vista di una futura “conquista”:

«Il tuo pensiero sta passando a un altro livello. Questo succede nel volo, ed è quello che fa l'arte. L'arte ci porta a questo livello successivo, sia che si tratti di estetica, sia che si tratti anche di oggetti comuni o che si tratti dell'arte della pubblicità e delle cose che ci circondano continuamente. Ci prende e amplia la nostra prospettiva».

Per l'artista dovremmo quindi addentrarci in questo mondo così labirintico terrestre proprio come fanno i piloti nel cielo: lasciare che il nostro timore, la nostra inquietudine di non saperci orientare, di non sapere dove andare sulla terra lasci il posto a una sorta di fiducia nello sconfinato. Dobbiamo imparare a convivere con la perdita dell'orientamento perché solo in questo modo potremo sperimentare l'“estasi delle altezze” o l'“estasi del profondo” e aprirci a una nuova percezione totalizzante: lo strumento poi che ci permette di elevarci, di oltrepassare, di progredire a questo livello più alto di comprensione ampliando la nostra prospettiva è l'arte.

Per uscire dal labirinto “terrestre” ed elevarci alla visione “celeste” esiste però la figura dell'artista come bodhisattva. In senso letterale è un essere vivente (sattva) che aspira all'Illuminazione (bodhi) conducendo pratiche altruistiche. In quanto individuo che cerca l'Illuminazione per sé stesso e per gli altri, è centrale nella tradizione buddista mahayana, e la compassione – vale a dire la condivisione empatica delle sofferenze altrui – è il suo tratto distintivo. Il sentiero del bodhisattva non deve esser visto come un impegno distaccato dal mondo, un percorso che possono fare solo persone con particolari doti di empatia e saggezza, ma – al contrario – una condizione vitale presente nella vita di noi persone comuni.

Lo scopo della pratica buddista è di rafforzare quello stato vitale affinché la compassione diventi la base di tutte le nostre azioni. Oltre alla condivisione empatica, i voti dal bodhisattva riguardavano il dominio di sé, lo studio e l'ottenimento della saggezza. Nessuno di questi, però, viene perseguito in astratto o con l'unico scopo di migliorarsi o dare prestigio a sé stessi: alla base di tutti questi sforzi c'è sempre la determinazione di togliere la sofferenza dalla vita degli altri esseri viventi, sostituendola con la felicità.

Il XX secolo si è aperto con una delle teorie scientifiche più rivoluzionarie di sempre, la teoria della relatività di Einstein (1905). Da quel momento in poi tutto ciò che sembrava chiaro e prestabilito è stato messo in discussione, tutto è diventato relativo e le ripercussioni di questa straordinaria scoperta sono state fortemente avvertite in campo artistico. Già il cubismo con le sue scomposizioni delle figure ha tradotto in pittura queste scoperte, ma se vogliamo rimanere sulla tematica del labirinto penso che sia particolarmente calzante l'esempio della litografia realizzata da Escher nel 1953: Relatività. La questione dei diversi punti di vista viene riassunta in un'immagine iconica composta da più immagini, da più scene possibili: notiamo uomini che assomigliano a delle pedine di scacchi salire alcune rampe di scale, altri che si affacciano ad un balcone, altri ancora che scendono, ed è proprio qui che sta il paradosso, un'immagine impossibile composta da tante scene possibili, tante scene quanti sono gli occhi degli osservatori che si perdono nel seguire i percorsi delle varie figure rappresentate, sfociando quindi nell'incomunicabilità, in un mondo in cui gli uomini svolgono ognuno il proprio compito e, per quanto vicini, destinati a non incontrarsi mai, uomini muti e inconsapevoli di ciò che accade intorno a loro: e per questo parliamo di un mondo relativo, un mondo senza un punto di vista ben preciso, ed è questo elemento che dà, appunto, il titolo all'opera. La litografia dell'artista raffigura un ambiente diviso da rampe di scale che ribaltano la normale percezione dello spazio, rendendo le pareti soffitti e i soffitti pavimenti: tale slittamento e ribaltamento percettivo è quello di cui insistentemente parla Turrell e che ritroviamo nelle sue opere, in primis nel Roden.

Le incisioni e le litografie dell'artista olandese suscitarono proprio per questi motivi l'interesse di fisici e matematici ancor prima dell'attenzione dei critici d'arte e, tuttora, Escher rimane un outsider rispetto ogni classificazione sebbene sia stata ravvisata in lui una vicinanza con Magritte, per la loro comune tendenza a creare mondi impossibili, costruzioni impossibili, in cui le figure disegnate si muovono nella relatività ipnotica di spazio e tempo. Tali realtà alterate, relative ed ipnotiche dove le categorie di spazio e tempo sono disciolte e indistinguibili, sono quelle di cui ci rende partecipe Turrell nel cratere, di cui fin dall'inizio abbiamo evidenziato il legame indissolubile che è insito nelle sue installazioni tra arte creativa vera e propria e scienza matematica.

«La fede in un mondo esteriore indipendente dall'individuo che lo esplora è alla base di ogni scienza della natura. Poiché tuttavia le percezioni dei sensi non danno che indizi indiretti su questo mondo esteriore, su questo “reale fisico”, quest'ultimo non può essere afferrato da noi che per via speculativa. Ne deriva che le nostre concezioni del reale fisico non possono mai essere definitive102».

Ultimo tema, forse più emblematico e che ha maggiori rimandi a una tradizione mistico filosofica, è quello della caverna, di cui il mito platonico è archetipo. L'idea della liberazione dell'uomo dalle catene della sua esperienza limitata e il raggiungimento della pura conoscenza della realtà è comune a molte culture. Anche le scoperte e le invenzioni che rendono tale il mondo moderno possono essere viste come il risultato del tentativo dell'uomo di superare i propri limiti per raggiungere ciò che è “oltre” la conoscenza del momento.

Nel 2002 Turrell aveva realizzato uno Skyspace sui generis, Plato's Eye ma adesso l'artista con il Roden ha realizzato qualcosa di decisamente più ampio e totalizzante: la Plato's cave. Con i suoi ambienti ipogei e i suoi spazi riflessivi di pura percezione inserisce fisicamente i visitatori nell'allegoria platonica e gli permette di sperimentare un percorso meditativo nei suoi meandri che lo porteranno alla sua liberazione e uscita esterna. Il mito della caverna diventa quindi la descrizione della faticosa salita dell'uomo verso la vera conoscenza. Esiste un'interpretazione che mette in parallelo questa allegoria con quella dell'illuminazione.

Come prima cosa, l'uomo deve svegliarsi da quel sonno che viene chiamato “vita” (equivalente alla liberazione del prigioniero); in seguito egli si rende conto delle finzioni che l'uomo credeva entità reali (le ombre sulla parete della caverna); infine, egli giunge a vedere la verità per quella che è realmente (il sole ed il mondo all'esterno della caverna). L'istinto dell'uomo è quello di liberare gli altri prigionieri per condividere le sue scoperte, ma questo tentativo è inutile in quanto i prigionieri non possono e non vogliono vedere oltre le rassicuranti ombre ed attaccano il portatore della verità. Normalmente gli uomini sono tenuti prigionieri, costretti ad osservare delle semplici ombre di forme che non sono neanche dei veri oggetti; essi possono essere trovati soltanto “fuori della caverna”, cioè nel mondo intelligibile delle forme conosciute dalla ragione e non dalla percezione.

Turrell invita i fruitori a riflettere su ragione e percezione che avrebbero un minimo comune denominatore: una volta fuori dalle tenebre infatti le percezioni dell'individuo avranno messo in discussione le ragioni primigenie e viceversa, solo a questo punto il soggetto sarà finalmente libero dai preconcetti e potrà avvicinarsi alla pura conoscenza di luce. È curioso riflettere sul fatto che questa visione offertaci dal mito della caverna possa essere applicata all'attualità. Questo modello che tutti noi seguiamo e in nome del quale, se usciamo fuori dagli schemi, iniziano a giudicarci e a criticarci. Dobbiamo pensare che molte delle nostre verità assolute le abbiamo fatte nostre senza fermarci a metterle in discussione, senza chiederci se il mondo è ben lontano o vicino dall'essere così come lo dipingiamo. L'uomo che nel mito della caverna decide di liberarsi delle catene che lo tengono prigioniero prende una decisione molto difficile che, lungi dall'essere accettata dai suoi compagni, viene considerata da questi ultimi come un atto di ribellione. Un atteggiamento non ben visto che avrebbe potuto farlo demordere dal suo intento. Quando si decide intraprende solitario il cammino, supera il muro, avanzando verso quel falò che tanta sfiducia gli provoca e che lo abbaglia. I dubbi lo devastano, poiché non sa cosa è reale e cosa non lo è. Deve liberarsi delle credenze che porta con sé da molto tempo. Idee che non solo sono radicate in lui, ma che rappresentano anche la base del resto dell'albero delle sue convinzioni.

Tuttavia, man mano che avanza verso l'uscita della caverna, capisce che quello in cui credeva non era del tutto veritiero. Adesso cosa può fare? Convincere gli altri che si burlano di lui riguardo la libertà a cui possono aspirare se si decidono a mettere fine all'apparente comodità nella quale vivono. Il mito della caverna ci presenta l'ignoranza come quella realtà che diventa scomoda quando iniziamo ad essere consapevoli della sua presenza. Dinanzi alla minore possibilità che ci sia un'altra eventuale visione del mondo, la storia ci dice che la nostra inerzia ci spinge ad abbatterla poiché la consideriamo una minaccia per l'ordine stabilito: «Le ombre non si proiettano più, la luce ha smesso di essere artificiale e adesso l'aria sfiora il mio volto103».

La caverna è il luogo dove tutto ha avuto inizio non solo da un punto di vista religioso, ma anche storico culturale: sulle pareti all'interno troviamo infatti le prime manifestazioni artistiche dell'uomo primitivo, le pitture rupestri. In un certo senso Turrell vuole farci tornare a quei momenti primigeni in cui ancora non esistevano codificazioni nette e dove la cultura e la storia dovevano ancora essere fissate; ci vuole invitare a ripensare ai nostri “pre-concetti”. È come se i popoli primitivi avessero vissuto in un effetto Ganzfeld totale, in una sorta di oscurità avvolgente come quella dei Dark Spaces che permeava ogni cosa e solo dopo aver trascorso abbastanza tempo all'interno di quella sorta di grotta oscura, solo in seguito hanno consapevolmente deciso di uscire dalla caverna e compiere passi in avanti nel mondo sperimentando quindi una visione di rivelazione.

La caverna è presente nei miti di origine, di rinascita e di iniziazione di numerosi popoli. Come anticamera misteriosa di un mondo sotterraneo, spesso piena di bizzarre costruzioni stalattitiche la caverna è oggetto, simbolicamente ricco, di molti culti, miti e leggende. Basti solo ricordare che le caverne sono i più antichi santuari dell'umanità e anticamente molte di esse venivano considerate sfere “dell'altro mondo”. Non erano abitazioni, bensì luoghi di culto: nelle tradizioni iniziatiche greche infatti l'antro rappresenta il mondo. La spelonca che Levi Strauss definiva luogo “buono per pensare” funziona come referente a due livelli: uno macroscopico, suggerendo una metafora del cosmo nel suo complesso e un livello microcosmico, dove la caverna è figura della cella in cui ogni anima trascorre la triste detenzione terrena. Esistono testimonianze di un uso figurato di vocaboli inerenti all'idea dell'“antro” per designare l'involucro di materia che incatena la psyché.

Nelle Lettere a Lucilio Seneca sostiene che l'uscita dall'antro-tomba corrisponde a un attingimento di una plaga luminosa, inondata da un chiarore purissimo: una nuova nascita alla vera vita, un “venire alla luce” che si presta alla fruizione analogica della variante funzionale del parto, dove il buio ventre materno funge da sostituto alla spelonca; dove il passaggio doloroso dalla “porta stretta” significa il cammino di purificazione che libera dai gravami della carne; dove infine la luce che attende all'esterno simboleggia la percezione del vero, tanto bruciante per gli occhi dell'anima abituati all'ombra, quanto è doloroso per il neonato il primo sguardo rivolto al mondo. Il fatto che il progetto di Turrell sia costellato di ellissi che rimandano alla forma uterina femminile poiché trattasi di vere e proprie aperture che conducono verso l'esterno, rende ancora più evidente il discorso freudiano. Bruno Zevi aveva cercato una chiave freudiana per l'interpretazione architettonica parlando del terrore infantile del padre: la dialettica maschio-femmina esiste in architettura, quella classica è maschile e quella liquida (anticlassica) è femminile.

Se quindi si parlava di “dittatura del cerchio” relativamente alla classicità, a un certo punto tale impostazione viene soppiantata nella modernità e nell'architettura liquida dalla sua deformazione geometrica, l'ellissi, figura cara a molti architetti del passato “devianti” (Bernini, Borromini, ecc.), ma anche e soprattutto usatissima dagli architetti moderni. Le ellissi sono figure geometriche di cui si serve Turrell all'interno del Roden Crater: la forma ellittica posta verticalmente come punto di uscita o di entrata a seconda del punto di vista dello spettatore è carica di significati come portale, passaggio per un percorso verso il fuori o verso il dentro che ricorda la forma e la funzione generatrice dell'utero materno e quindi evidenziando il rimando obbligato alla femminilità.

Lo spazio del Roden Crater offre una lettura doppia: se da una parte è un percorso che è stato concepito per portarci verso la luce, per farla apparire ancora più bella, preziosa e rivelatrice, tale itinerario è anche un percorso verso l'ombra, poiché solo immergendoci inizialmente nell'ombra, nel ventre della terra possiamo tornare a quella situazione iniziale da cui ha avuto tutto origine, quel ventre che ci ha generati e solo attraverso la discesa e il ritorno nelle profondità della terra il percorso verso la luce e la conseguente uscita ci apparirà come un'esperienza totalizzante, la più autentica possibile.

Già negli Skyspaces si ritrova un legame tra spazio e tempo: all'interno di questi spazi infatti le stagioni, le ore del giorno e le diverse condizioni atmosferiche che si alternano, sono introiettate al loro interno per indurre una rispondenza tra individuo e cosmo. Se da un lato le proiezioni umbratili permettono di spazializzare il tempo, dall'altro avviene una temporalizzazione spaziale. All'interno di questi ambienti tali esperienze si fondono restituendoci un continuum. Le candide pareti delle installazioni dell'artista richiamano le archetipiche pareti di una caverna, rimandando ad antichi modelli filosofici (ad esempio la caverna platonica). Inoltre, essendo dotate sulla copertura di un oculo, è evidente il rinvio anche agli antichi modelli architettonici (ad esempio il Pantheon di Roma).

Qui l'artista, come uno sciamano, è entrato in una dimensione spirituale e quindi costruisce sistematicamente per noi un ambiente attraverso il quale anche noi possiamo sperimentare questo mondo che non è vincolato da norme materiali e fisiche.

«L'esperienza rivelatrice sta nel rendersi conto di come stiano reagendo i nostri sensi, più che in ciò che si guarda. Non è un caso che Turrell stesso abbia ripetutamente affermato che il suo scopo è quello di continuare a ricostruire la caverna del mito platonico, affinchè il suo segreto venga continuamente svelato104».









NOTE

1 TURRELL 2013.

2 WHITTAKER 2017.

3 HOLBORN 1993, pp. 11-12.

4 WHITTAKER 2017.

5 IRWIN 1999, p. 269.

6 Il termine “Light and Space” deriva da una mostra del 1971 presso la UCLA University Art Gallery, intitolata Transparency, Reflection, Light, Space: Four Artists, tra cui Peter Alexander, Larry Bell, Robert Irwin e Craig Kauffman, in cui, come descritto dal catalogo, le opere esposte sono servite da collegamento tra gli artisti e gli spazi che hanno scelto di animare. Attraverso questa idea, viene rivelato il legame tra Luce e Spazio con l'Arte Cinetica, così come l'esperienza, sull'oggetto, che gli artisti hanno sottolineato.

7 MAGI 2018.

8 ADCOCK 1990a, p. 8.

9 TURRELL 1967.

10 ADCOCK 1990b, pp. 7-15.

11 Ibidem, p. 53.

12 DIDI-HUBERMAN 1999, p. 46.

13 Turrell è ammaliato dal lavoro che Caravaggio ha compiuto sulla luce, per l'artista americano sinonimo di luce “emotiva”; in contrasto potremmo dire con la luce “intellettuale” di un Vermeer o di una luce “espressionista” alla Turner. Ama anche il modo in cui gli Impressionisti ritraggono la luce, che ha qualcosa di fisico, quel pulviscolo che potrebbe tranquillamente essere associato allo smog che si erge dalle città di oggi.

14 L'esperienza del Ganzfeld è comune agli astronauti, poiché fluttuano nello spazio siderale, ma anche ai piloti di aerei quando in particolari situazioni luministico-meteorologiche, alla ricerca di punti di riferimento, per esempio dovendo atterrare su piste innevate, distinguono fenomeni cromatici soggettivi, basati o meno sulle condizioni ambientali che appaiono essere proprietà delle regioni sensoriali del loro campo visivo.

15 Condizione meteorologica in cui la neve e le nuvole cambiano il modo in cui la luce viene riflessa, in modo da poter vedere solo oggetti molto scuri.

16 BRIGHT 2014.

17 Una afterimage è un'illusione ottica che si produce dopo aver osservato direttamente un oggetto luminoso per un periodo di tempo prolungato. Si correla al fenomeno ercettivo definito “persistenza della visione”, impiegato ampiamente nell'animazione e nel cinema. Una delle afterimages più comuni è la luminosità brillante che sembra fluttuare davanti agli occhi dopo aver fissato una sorgente radiante per qualche secondo.

18 BEVERIDGE 2000, p. 308.

19 Così l'artista, alla fine degli anni Ottanta, elaborò una serie di modelli, mai tradotti in costruzioni in scala reale, basati proprio sul principio di isolamento percettivo dell'osservatore all'interno di Ganzfeld cromatici e acustici, di cui il più celebre è sicuramente Boullée Boola (1989).

20 DIDI-HUBERMAN 1999, p. 48.

21 Nel Buddhismo, un bodhisattva è qualsiasi persona che si trovi sulla via della Buddhità: essere (sattva) “illuminazione” (bodhi). Nelle prime scuole buddhiste e nel moderno buddhismo Theravada, un bodhisattva si riferisce a chiunque abbia preso la decisione di diventare un Buddha.

22 TURRELL 1993, p. 18.

23 MENDITTO 2016.

24 È interessante evidenziare come dalla tematica del silenzio sia nata nel 2017 a Londra un'esposizione promossa dalla Nahmad Project, che vede per la prima volta una rappresentazione congiunta di tre icone culturali dell'America del dopoguerra: Turrell, Cage e Rothko. Quest'ultimo ha cercato di coinvolgere la mente e lo spirito attraverso l'immobilità dei suoi dipinti che evocano il tragico mistero della nostra condizione deperibile: il silenzio insopportabile di Dio. Per Rothko il silenzio nel colore, per Turrell il silenzio nella luce e per Cage il silenzio nella musica.

25 ROTHKO 2004.

26 NIFOSI' 2020.

27 ROTHKO 2004.

28 NIFOSI' 2020.

29 VENTURI 2007.

30 POUCHARD 2019.

31 CECCHETTI 2019.

32 Aton (o Aten) è una divinità appartenente alla religione dell'antico Egitto. Veniva definito “il Corpo visibile di Ra” e la rappresentazione iconografica del dio lo raffigura come un disco solare che sovrasta generalmente il re e la sua famiglia, colpiti dai suoi raggi, che in corrispondenza delle narici recano mani che porgono il geroglifico ankh (il segno della vita).

33 MERLEAU-PONTY 1989, p. 20; p. 49.

34 BOULLÈE 1967, pp. 85-86.

35 HOGREFE 2000, p. 83.

36 TURRELL 2005, p. 8.

37 GOVAN 2011.

38 La ‘volta celeste' è il fenomeno che ci fa percepire il cielo come una volta strettamente montata che ci copre dall'orizzonte all'orizzonte, piuttosto che un vuoto illimitato che si estende nello spazio. La “ciotola” del cratere migliora questo effetto e dà allo spettatore la sensazione che il cielo sia un piano pieno di luce e colore direttamente sopra di lui.

39 MIGAYROU 1992.

40 DE ROSA 2007.

41 HOLBORN 1993, p. 26.

42 MAGI 2018.

43 DE ROSA 2014, p. 12.

44 LIVA 2007, pp. 186-187.

45 Ciclo astronomico lungo approssimativamente 6585,3 giorni (equivalenti a 18 anni, 11 giorni e 8 ore), che deriva dalla naturale armonia che si verifica tra tre dei periodi orbitali della Luna: il mese “sinodico”, il mese “draconitico” e il mese “anomalistico”. Il ciclo di Saros permette di predire con sufficiente precisione le eclissi sia solari che lunari.

46 LIVA 2007, pp. 198-201.

47 Apparecchio che serve per inviare in una determinata direzione per un certo periodo di tempo, l'immagine riflessa del sole. Gli eliostati sono molto usati in fisica solare e possono servire per seguire il moto di molti astri.

48 MONTELEONE 2007, pp. 210-212.

49 FRISO 2007, p. 220.

50 FRISO 2007, p. 221.

51 FRISO 2007, pp. 234-235.

52 ADCOCK 1990a, p. 204.

53 LIVA 2007, p. 243.

54 LIVA 2007, p. 243.

55 Ibidem.

56 MONTELEONE 2007, p. 260.

57 MONTELEONE 2007, p. 261.

58 ADCOCK 1990a, p. 171.

59 TORRES 2007, pp. 270-271.

60 FARROW 1993, p. 50.

61 GOVAN 2011.

62 Turrell una volta, quando era bambino, si era accampato con i suoi genitori nel vicino Sunset Crater.

63 ADCOCK 1990a, p. 112.

64 FINKEL 2013.

65 GOVAN 2013, p. 273.

66 GLUECK 1982.

67 HADEN GUEST 1998, pp. 49-53 e pp. 82-99.

68 TOMKINS 2003.

69 TOMKINS 2003.

70 LIEBERMAN REYNOLDS 2006.

71 HYLTON 2013.

72 GOVAN 2013, p. 133-139.

73 LANNAN 2020.

74 Ibidem.

75 TOMKINS 2003.

76 LIEBERMAN REYNOLDS 2006.

77 GOVAN 2013.

78 CARROLL 2015.

79 IZADI 2016.

80 SHER 2015.

81 MILLER 2015.

82 KINSELLA 2019.

83 MOEN 2019.

84 REGOLI 2019.

85 FALLER 2019.

86 Ibidem.

87 FALLER 2019.

88 VANKIN 2020.

89 Ibidem.

90 Ibidem.

91 GOVAN 2011.

92 FORNI 2016.

93 GOVAN 2011.

94 DANTINI 2018, p. 15.

95 DUCHAMP 1993, p. 59.

96 DI BENEDETTO 2016, p. 512.

97 GASQUET 2010, p. 97.

98 SALLES 2011.

99 CAMANZI 2016, p. 23.

100 MAGRITTE 2006, p. 11.

101 KIM-COHEN 2016, p. 29.

102 EINSTEIN 1951.

103 PLATONE 1991.

104 DE ROSA 2014, p. 152.




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Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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