James
Turrell: a kaleidoscopic artist
«My work has no
object, no image and no focus.
With no object, no image and no focus,
what are you looking at?
You are looking at you looking ».
Alla maggior parte
dei grandi artisti soprattutto dei nostri giorni è
stata più volte diretta la critica di non fornirci
sufficienti delucidazioni in merito all'ideazione
e soprattutto alla corretta interpretazione delle
proprie opere. La necessità di una spiegazione da
fornire al destinatario, associata a una mancata
codificazione da parte del mittente, porta oggi a
vedere l'arte contemporanea come qualcosa di quasi
completamente inaccessibile, ermetica e ad
affibbiarle indistintamente l'etichetta di
“concettuale” per giustificare questa mancata
comprensione. Questo in parte accade perché gli
artisti “non stanno dalla parte del pubblico” o
quanto meno non fanno della comprensione dei
fruitori un loro obbiettivo primario.
Fortunatamente questo non rappresenta il pensiero
di tutti, anzi è ravvisabile un impegno davvero
notevole di molti nella comunicazione e
divulgazione dei concetti chiave del proprio
pensiero. Tra di essi una larga parte è costituita
da artisti transoceanici abituati ad esporre i
propri lavori in ogni angolo del globo; in
particolare è da segnalare un artista che fa del
pubblico una parte essenziale per non dire vitale
della sua performance artistica: il caleidoscopico
James Turrell.
Grazie a questa
particolare attenzione verso i destinatari del suo
lavoro, per merito delle sue innumerevoli
interviste e i suoi sforzi esplicativi che
ritroviamo nelle numerose pubblicazioni di cui è
protagonista, conosciamo ogni sfaccettatura della
sua cangiante personalità. Quello che l'artista è
oggi nel suo complesso non è altro che il frutto
di tutta una molteplicità di esperienze che si
sono andate stratificando nella sua vita e di cui
è l'artista stesso a parlarne e a darcene notizia.
Sappiamo ad esempio
che la storia del suo genio creativo in realtà ha
avuto inizio prima che nascesse. È Turrell che ha
raccontato un aneddoto che risulta essere a tutti
gli effetti la molla principale che ha innescato
la sua ricerca e che ha generato tutto il suo
lavoro.
«Beh, sono stato affascinato dalla luce
fin dall'inizio. Ho fatto diverse cose nella mia
camera quando ero molto giovane. Avevamo questi
tendaggi scuri a Pasadena, per prevenire la
minaccia di un attacco aereo. E li ho tirati giù e
ho messo le costellazioni lungo l'eclittica in
modo che durante il giorno potessi vedere le
stelle. Mi interessavano i fenomeni di luce. Penso
che non sia troppo diverso da un cervo che guarda
i fari di un'auto, in cui trova qualcosa di
“inevitabilmente” accattivante».
Racconta che ancora
bambino nella casa del padre si trovavano pesanti
tendaggi di velluto nero che esercitavano una
certa attrattiva sulla sua infantile
immaginazione. Infatti, tutti i giorni di ritorno
da scuola come un gioco, un hobby, aveva
l'abitudine di chiuderli e di iniziare a bucarli.
I genitori inizialmente non avevano posto molta
attenzione a queste azioni, queste propensioni del
ragazzo, perché avevano immaginato che si
trattasse di un gioco destinato ad esaurirsi col
passare del tempo. Invece Turrell continuò
imperterrito a bucare i tendaggi senza sosta,
praticando dei fori nel tessuto oltre tutto di
dimensioni differenti e dislocati in maniera
strana sulla superficie totale. Disattese le
speranze genitoriali la madre, medico, decise di
affrontare il giovanissimo artista e di chiedergli
che cosa stesse facendo temendo che tali azioni
reiterate ossessivamente potessero essere i
sintomi di qualche patologia psico-ossessiva più
seria. L'artista rispose con un'affermazione
strana che lasciò i genitori perplessi: stava
costruendo uno “stellario”. Aveva sentito parlare
a scuola delle stelle, che nascono e muoiono,
della loro magnitudo, delle loro caratteristiche e
si era appassionato a tutto ciò che le riguardava.
I buchi sul tendaggio infatti erano dimensionati a
seconda della grandezza delle stelle e le
configurazioni che assumevano su queste tende
erano quelle delle costellazioni che studiava a
lezione. A ben pensare questa ricerca potrebbe
essere considerata la prima opera di Turrell, una
sua proto-installazione in cui alla base vi è uno
studio, una ricerca che si concretizza in un gioco
illusorio: con i suoi buchi di diverse grandezze
aveva riprodotto le costellazioni; la luce del
sole diurna che filtrava da questi infatti le
ricreava offrendo uno spettacolo che in natura,
effettivamente, sarebbe stato visibile solo di
notte.
«Quando avevo sei anni, con lo scopo di
affermare la mia presenza nella stanza, avevo
l'abitudine di forare, con un ago o uno spillo,
questi tendaggi ottenendo uno schema stellare in
cui si riconoscevano anche delle costellazioni. I
buchi più grandi corrispondevano semplicemente a
stelle di magnitudine maggiore. Tirando giù le
tende e oscurando la stanza, si sarebbero viste le
stelle in pieno giorno. Quelli però non erano
semplici buchi, ma erano buchi nella realtà.
Cambiando la natura dello stato di
coscienza-risveglio diurno, ci si poteva spingere
oltre, in uno spazio immaginario, verso le stelle,
che erano effettivamente lì, ma oscurate dalla
luce del Sole».
Le sue opere mature
in effetti ci mostrano eventi che non si
vedrebbero o che non si potrebbero vedere sempre:
fenomeni che per esempio in questo caso non
potremmo osservare alla luce del giorno. Ed è
proprio da qui, da questo piccolo episodio, che si
ritrovano i germi di quello spirito creativo che
confluirà nella sua ricerca successiva.
Classe 1943, per il
suo aspetto sobrio e austero, piuttosto che un
cangiante e polimorfo autore contemporaneo,
potrebbe ricordare un inflessibile e intransigente
pastore. Il paragone è particolarmente calzante e
indicativo in quanto la famiglia da cui proviene e
l'artista in primis appartengono alla “Società
degli amici”, meglio conosciuti come quaccheri.
Questo movimento si pone in una congiuntura tra
misticismo, filosofia e religione, in cui il culto
del silenzio come meditazione e
come via maestra per conoscere la volontà del
divino è possibile grazie alla luce interiore presente in ognuno
dei fedeli.
Ma come avevamo detto
in precedenza, Turrell è molto di più di un
semplice esploratore del mondo celeste, alla
ricerca di una luce che proviene dal cosmo. In
realtà è decisamente più interessato all'elemento
“luce” come qualcosa di interno all'umano e anche
questa attenzione viene esplicitata dall'artista
stesso in un altro episodio significativo legato
alla sua infanzia che segnerà e indirizzerà
l'attenzione futura dell'artista.
Ritengo quindi
indispensabile trattare in questo contesto, anche
se verrà ripresa più volte successivamente, la
tematica religiosa che è tanto cara all'artista e
quanto essa sia stata fondamentale per lui fin da
giovane: la luce intesa nella sua simbologia sacra
e spirituale che deriva dalla sua esperienza di
praticante quacchero, fede derivatagli dalla sua
famiglia materna.
«Mia nonna mi diceva che mentre eri
seduto in silenzio quacchero dovevi entrare per
salutare la luce. Quell'espressione mi ha colpito.
Una cosa sui Quakers, e penso che molti Amici
potrebbero ridere di questo, è che spesso le
persone si chiedono cosa dovresti fare, quando
entri lì. Ed è difficile da dire. Dire a un
bambino di entrare “per salutare la luce” è quanto
mi è mai stato detto».
È evidente già
esplicitando questi pochi concetti che non
dovrebbe risultarci per nulla bizzarro a questo
punto ritenere che questo “figlio della luce”
(come si definivano inizialmente i quaccheri) non
poteva che essere la stella più fulgida di un
movimento artistico che ha fatto della ricerca
sulla luce e sullo spazio il suo life goal: il Light and Space.
«To be an artist is not a matter of
making paintings or objects at all. What we are
really dealing with is our state of consciousness
and the shape of our perceptions».
Vagamente affine all'arte optical e al
minimalismo questo movimento, sorto in California
alla fine degli anni '50, è caratterizzato da
un'attenzione particolare ai fenomeni percettivi
come luce, volume e colore. Un'arte quindi
sostanzialmente priva di oggetto basata
sull'allestimento di ambienti immersivi
generalmente modellati dalla luce: mediante l'uso
di materiali come vetro, neon, luci fluorescenti,
resina e acrilico colato, spesso unendo questi
diversi elementi tra loro, gli artisti che fanno
parte di questa corrente sono arrivati a creare
installazioni site
specific,
installazioni proiettate sul muro, misteriose
colonne luminose collocate all'interno di una
stanza buia e sculture totemiche che riflettono e
assorbono la luce ambientale e le ombre invece di
irradiare le proprie. Sia dirigendo il flusso
di luce naturale, sia incorporando la luce
artificiale all'interno di oggetti o di
architetture, sia giocando con la luce attraverso
l'impiego di materiali trasparenti, traslucidi o
riflettenti, gli artisti del Light and Space hanno fatto dell'esperienza dello
spettatore, attraverso la luce e altri fenomeni
sensoriali in condizioni specifiche, il fulcro del
loro lavoro.
Incorporando
nelle loro opere le ultime tecnologie delle
industrie aerospaziali e di ingegneria della
California meridionale hanno inoltre sviluppato
oggetti sensuali e iridescenti. Tra di essi un
posto di riguardo è riservato a Turrell che non
solo ha diffuso il movimento in tutto il mondo,
riassumendo la sua filosofia nella frase «mangiamo
luce, la beviamo attraverso le nostre pelli», ma ha anche toccato le vette più alte
della ricerca condotta dal movimento con i suoi
lavori.
Nel 1966 iniziò le sue prime
sperimentazioni con la luce indagando le relazioni
percettive tra stimoli luminosi e acustici. Questi
primi esperimenti furono condotti in un albergo
dismesso, il Mendota Hotel di Santa Monica, che
l'artista affittò e che in seguito divenne il suo
studio e luogo dove poter esporre le sue
“installazioni-sculture”; qui infatti furono
presentate le prime Cross
Corner projections che innescano un gioco sottile tra il
ruolo dell'ambiente e l'azione rivelatrice, o
talvolta disorientante, della luce. Si tratta di
lastre metalliche forate delle dimensioni di una
diapositiva che vengono proiettate con precise
angolazioni su muri adiacenti tra loro dando
all'osservatore l'impressione della presenza di un
solido luminoso. Fra queste proiezioni la più nota
è Afrum (poi ribattezzata Afrum-Proto) che venne presentata insieme alle
precedenti nella prima mostra personale
dell'artista presso il Pasadena Art Museum. In essa si percepisce l'immagine di un
parallelepipedo luminoso ancorato all'angolo
(diedro) formato dalle due pareti verticali
provocando una doppia illusione: da un lato lo
spettatore percepisce la forma luminosa fluttuante
di questo “solido non-euclideo” come un qualcosa
di reale anche muovendosi nello spazio (avendo
però sempre premura di mantenere una certa
distanza dalla proiezione luminosa), dall'altro
l'effetto “rilievo” è aumentato dalla reale
tridimensionalità della stanza su cui tale
proiezione si incardina, palese per il nostro
sistema visivo. Turrell realizzò così numerose serie di
ambienti che giocano con la luce e la percezione
visiva tra la fine degli anni '60 e gli inizi dei
'70, di cui fanno parte le Single Wall Projections (sorta di reminiscenze del piano iconico
rinascimentale, seppur non delimitato dai bordi
della cornice, come in un dipinto classico; dove
tuttavia la luce coinvolta nell'installazione è lì
fisicamente presente quasi trasformata in materia
solida), le prime Shallow
Space
Constructions e le Mendota Stoppages, queste ultime con interazioni acustiche
oltre che luminose all'interno di camere
progettate ad hoc. Con il loro linguaggio formale
raffinato e le atmosfere silenziose, quasi
riverenti, le sue installazioni celebrano gli
effetti ottici ed emotivi della luminosità.
Questi “ambient art” sono nati grazie
agli esperimenti sui campi percettivi totali e
sulla deprivazione sensoriale che l'artista,
insieme al collega Robert Irwin, aveva condotto
all'interno del programma Art and Technology
(istituito dal Los Angeles County Museum in
collaborazione con gli scienziati e gli ingegneri
della Lockheed Aircraft, della IBM e della Garrett
Aerospace Corporation). Numerose sono quindi le
installazioni site-specific create dall'artista con illuminazioni
studiate ad hoc per architetture preesistenti, che
si basano sull'effetto Ganzfeld (una
parola tedesca per descrivere il fenomeno della
perdita totale della percezione della profondità
come nell'esperienza di un whiteout): gli spettatori esposti alla
stimolazione diretta di un campo luminoso,
colorato e uniforme, subiscono temporaneamente una
perdita della visione; questo comporta un fenomeno
allucinatorio e uno stato riflessivo che Turrell
stesso definisce «seeing
yourself seeing –
vedere sé stessi nell'atto di vedere». La
sua arte incoraggia quindi uno stato di visione
riflessiva, in cui diventiamo consapevoli della
funzione dei nostri sensi e della luce come
sostanza tangibile. In perfetta risonanza con
questa azione riflessiva sull'atto del vedere vi
sono alcune opere, di ambigua decifrazione da
parte dei fruitori, che Turrell produsse alla fine
degli anni Ottanta sfruttando in maniera più
intensiva e architettonica i suoi studi sui Ganzfeld. La più celebre è quella intitolata City of Arhirit, un'installazione di luce solare
filtrata realizzata presso lo Stedelijk Museum di
Amsterdam nel 1976 in cui l'osservatore era
costretto ad attraversare una sequenza di quattro
stanze: la successione di spazi assolveva allo
scopo di miscelare l'afterimage cromatica
della
camera appena attraversata con il colore del nuovo
ambiente in cui si entrava, sapendo che quel
residuo retinico era destinato progressivamente a
decadere. Tali contrasti durante il percorso
producevano nello spettatore un senso di
instabilità, di perdita dell'equilibrio e
dell'orientamento, al punto che alcuni visitatori
querelarono Turrell, avendo riportato delle
fratture da caduta in seguito all'attraversamento
dei suoi Ganzfeld, e da quel momento l'artista decise di
realizzare installazioni in cui fosse impossibile
entrare ma solo guardare al loro interno.
Queste preoccupazioni
percettive sono accoppiate con un profondo impegno
per il mondo naturale e un interesse ad orientare
il suo lavoro attorno agli eventi celesti. Proprio
da questa sua attenzione nasceranno i primi Sky Spaces. Da sempre attratto
dal cielo fu suo padre ingegnere aeronautico ad
avvicinarlo al volo e alla sua meccanica,
appassionandolo a tal punto da spingerlo a
diventare pilota.
Oltre alla luce, nucleo centrale della
poetica turrelliana, il tema architettonico della
stanza è una sorta di archetipo per molte sue
opere che si innerva in complessi riferimenti
metaforici riconducibili alle speculazioni del
filosofo inglese Locke (sulla scia del pensiero
cartesiano): la stanza quale luogo in cui avviene
la conoscenza e modello degli stessi processi
celebrali. Così negli anni '70 Turrell iniziò la
sua serie di “spazi celesti”, opere che mirano a
sfidare la percezione e l'esperienza della luce
dello spettatore, facendo convergere cielo e
terra. Si tratta di ambienti simili a camere
appositamente proporzionati che possono essere
strutture autonome o integrate nell'architettura
esistente, con un'apertura (rotonda, ovale o
quadrata) nel soffitto rivolta verso il cielo.
Sono attraversati sia dalla luce naturale che da
quella artificiale e spesso vengono illuminati con
colori vivaci. Il primo Skyspace fu costruito nel 1976 in Italia, nella
dimora del conte Giuseppe Panza di Biumo il quale,
rimasto affascinato dai lavori e dalle ricerche
condotti da Turrell in America, invitò l'artista
nella sua villa nei pressi di Varese per
realizzare alcune opere appositamente pensate per
la sede della sua collezione. Ad oggi di queste
moderne “scatole prospettiche” se ne contano più
di 75 sparse per il mondo che testimoniano lo
sviluppo della sua ricerca luministica: dagli Skyspaces di Villa Litta, passando per gli Space that Sees del '92, la House
of Light del'97
vera e propria architettura solida e di luce, il One Accord del 2000, le Unseen Blue e Plato's
Eye del
2002, Sky
Mass, Light Reign e Boullee's
Eye del
2003, Picture
Plan e Above Horizon del 2004, lo Stone Sky del 2005, il Dividing
the Light del
2007, l'Arrowhead del 2009, Il Within Without del 2010, l'Outside,
Insight e l'Above-Between-Below del 2011,
fino al Twilight
Epiphany del
2012 e al Rising
Kayne del
2013, e così via. Da notare che non solo la
concezione del progetto di base si amplia di anno
in anno ma avviene anche un'evoluzione attestata
dai titoli stessi delle installazioni da lui
realizzate che si fanno sempre più ricercati e
volti a focalizzare lo sguardo, gli occhi (molte
installazioni infatti hanno nel nome il termine eye, con
gli occhi il pubblico si immerge nello spazio e
c'è un “occhio” che lo collega direttamente tra
cielo e terra, “Occhio” che potrebbe rimandare a
un'onniscienza celeste, divina), e a indirizzare
l'attenzione dello spettatore su concetti che sono
alla base della sua ricerca artistica (“Con,
Senza, Fuori, Dentro”, ecc). Lo Skyspace riassume da un punto di vista sia
strutturale che funzionale la configurazione di un
organo visivo che ora rivolge il suo sguardo verso
il cielo; tuttavia in questo “spazio che guarda”
siamo presenti anche noi osservatori,
paradossalmente intenti nel guardare fuori e
dentro di noi.
L'unicità
dell'esperienza visiva è spesso evidenziata
dall'artista insieme alla sua indicibilità e
sembra quasi che Turrell faccia una excusatio non
petita di sapore dantesco: il sommo poeta
infatti nella terza cantica più avanza nel suo
cammino verso il mondo sempre più rarefatto del
Paradiso, più procede avvicinandosi alla luce
totale, completa del divino, e più dice di non
riuscire a ricordare, di non poter descrivere ciò
che gli si presenta innanzi. Allo stesso modo di
Dante, l'artista americano afferma l'impossibilità
di fornire una descrizione verbale o scritturale
adeguata dei suoi fenomeni immersivi totalizzanti,
esperienze per altro molto simili a quelle provate
dagli aviatori che non riescono a rendere conto
degli straordinari fenomeni atmosferici visibili
ad alta quota.
«Più esperienze straordinarie hai in
volo, più difficile diventa condividerle con
altri. La tua esperienza è tale che diventa quasi
impossibile parlarne. […] Sarebbe più facile far
provare le stesse sensazioni agli altri facendoli
volare. L'idea del bodhisattva, che ritorna e incoraggia gli altri a
compiere il viaggio, è per certi versi il compito
dell'artista. Si tratta di un ruolo differente da
quello di colui che è già lì quando anche tu ci
arrivi. Il bodhisattva ti invita ad attraversare quel
passaggio, a fare quel viaggio. Questo è il motivo
per il quale ho cominciato ad apprezzare un'arte
che non si costituisse come un atto vicario, bensì
come un vedere il cui soggetto fosse il tuo stesso
vedere».
La sensazione di isolamento individuale e
di immersione nel paesaggio di luce durante i voli
ad alta quota in soaring rimandano inevitabilmente agli elaborati
letterari di un grande scrittore e aviatore
francese: Antoine de Saint-Exupéry. Umberto Eco
diceva giustamente a proposito del poeta «è
incerto se Saint-Exupéry volasse per scrivere o
scrivesse per volare», infatti l'aviazione fu per lo
scrittore molto più di una passione, una vera e
propria estensione dell'immaginario; il cielo è il
luogo che più di ogni altro rappresenta il
paesaggio della sua scrittura, come per Turrell il
paesaggio della sua arte (egli stesso definisce il
cielo il suo grande studio). L'etere quindi come
un universo da esplorare con la leggerezza e la
fantasia di un pilota, proprio come l'amico
aviatore del Piccolo Principe.
Ad affascinare
Turrell è soprattutto l'esperienza riportata dallo
scrittore francese sul volo notturno, nel momento
in cui avanza la luce o l'oscurità: da queste
esperienze nascerà la serie dei Dark Spaces, di cui il primo
lavoro Pleiades del 1983 agiva preferenzialmente sulla
“visione notturna”. Alla deriva in un'oscurità
indifferenziata, lo spettatore, privo di
riferimenti spaziali, rimuove anche i propri
legami corporei e precipita, benevolmente, in uno
stadio prossimo all'esperienza allucinatoria dov'è
possibile vedere fenomeni che sono al limite delle
percepibilità quasi avvertendo l'attivazione dei
propri fotorecettori retinici.
Molti vedono in
questo approccio artistico, incardinato
sull'unicità percettiva dell'esperienza, una
risonanza con le sperimentazioni musicali del
compositore americano John Cage il quale aveva
preso parte, come Turrell, al progetto gemello
dell'Art and Technology. In particolare il celebre
4'33'', brano in cui
l'esecutore non suona nemmeno una nota restando
immobile e osservando, cronometro alla mano, lo
scorrere del tempo. Scopo di questa provocatoria
composizione fu dimostrare che il silenzio
assoluto non esiste, facendo automaticamente
slittare l'attenzione dell'ascoltatore dal
palcoscenico all'uditorio fino allo spazio esterno
alla sala da concerto.
Analogo scopo hanno i Dark Spaces progettati da James Turrell che mostrano
come sia impossibile creare uno spazio in cui si
realizzi la totale assenza di luce.
Esiste potremmo dire
un precursore delle idee tradotte nelle ricerche
di Cage e di Turrell, un artista che rifletteva
sugli stessi concetti ad esempio parlando di
esperienza percettiva, e che arrivava a
conclusioni simili a quelle dei due artisti
precedentemente citati.
«A painting is not a picture of an
experience; it is an experience»; «silence is so
accurate»; «I'm not an abstractionist. I'm not
interested in the relationship of color or form or
anything else. I'm interested only in expressing
basic human emotions: tragedy, ecstasy, doom» sono frasi che ben riassumono la
poetica di quest'uomo: un artista che si chiamava
Mark Rothko.
Rothko, con la sua insaziabile ricerca e
tensione neoromantica verso l'infinito –
debitore in questo verso il tedesco Friedrich –
per tutta la sua vita contemplò quello spazio
infinito e ideale: il cielo, talvolta puro e
rasserenante, altre volte più scuro e minaccioso.
Non a caso, la sua pittura fu definita dal critico
Harold Rosenberg come «il versante teologico
dell'Espressionismo astratto». Rothko tuttavia non si considerava
affatto un uomo religioso e non volle mai
circoscrivere la sua ricerca, prima di tutto
umana, esistenziale, alla sfera esclusiva del
sacro. Tuttavia, i suoi quadri per mezzo
della luce e del colore straripanti e totalizzanti
appaiono ai più come una teofania, come
apparizione del “divino”, distruggendo l'illusione
e rivelando la verità come fu egli stesso a
confermare riferendosi alle sue tele. Quadri
percettivi che hanno come aspirazione massima,
prima di quella estetica, quella di provocare
reazioni emotive e inconsce. «Il fatto che un gran
numero di persone rimanga profondamente turbato e
pianga quando si trova di fronte ai miei dipinti
dimostra che riesco ad entrare in contatto con
quelle fondamentali emozioni umane». Un'opera d'arte che non è un
“messaggio” ma una finestra sulla realtà, in grado
di trasformare il modo ordinario, standard di
vedere le cose, sfidando l'osservatore a una
partecipazione intensa e senza vie di fuga.
Per questa serie di motivi l'opera di Rothko resta
un confronto con l'assoluto ed è religiosa in
radice, nel senso che è icona della finitezza tesa
all'estremo, una notte oscura che, alla fine, gli
si è rivelata fatale. Ritrovarsi di fronte ad
un'opera dell'artista significa entrare e perdersi
in spazi altri, ampi, liberi, ma anche melmosi,
vaporosi, carichi delle emozioni più
contraddittorie. In entrambi i casi, anche se con
soluzioni formali molto diverse, la lezione di
Rothko sembra calare proprio nell'attenzione
all'assoluta centralità data alla luce e al suo
contrario. Quando la luce e la sua negazione sono
protagoniste assolute dello spazio significa che
il visitatore diventa esso stesso parte dell'opera
con il proprio corpo che trattiene, deforma, devia
la luce e ne è attraversato. Espressione massima
della sua poetica la sua chapel, la
Cappella di Houston, in cui Rothko realizza un'opera d'arte
totale (non in senso wagneriano ma come unicum
compiuto di un genio): è un caso tipico di
questa impasse che ti «prende alla gola, costringe
a una reazione, non la si dimentica nemmeno se la
si rifiuta». L'artista aveva in mente il suo studio
a New York, dove la luce filtrava da un
“lucernaio” centrale, «l'occhio del tetto» scrive
suggestivamente Carrera a proposito della
Cappella. Rothko vide nella Cappella di Houston la
grande occasione per celebrare la “religione della
luce” «in ogni suo apparire – commenta Carrera –,
inclusa la sua assenza, incluso il nero».
È innegabile quindi
l'ascendenza di questo maestro della luce su un
giovane artista come Turrell che si affacciava
all'arte e alla ricerca della luce.
Nel momento in cui si
ferma la ricerca artistica dell'uno, Rothko con la
sua Chapel (a Huston, Texas),
partirà la ricerca artistica dell'altro, Turrell,
sempre nell'ambito religioso con la Live Oak Friends
Meeting (sempre a Huston, Texas). Si ritrovano
infatti in entrambi le stesse sfumature di colori
e la stessa volontà di provocare nello spettatore
dei sentimenti, con la loro caratteristica
semplicità ed essenzialità che molto spesso è
stata scambiata per una ricerca prettamente
estetica e superficiale.
Bisogna sempre diffidare di chi ritiene
che tali installazioni siano frutto di un lavoro
immediato e per nulla complicato, che si tratti di
un'idea che una volta innestata nella mente
dell'artista possa facilmente tramutarsi in una
manifestazione concreta del suo pensiero: Turrell
è un sognatore creativo e visionario non c'è
dubbio ma è anche un calcolatore esigente nonchè
pignolo scienziato che è ben consapevole che per
raggiungere un traguardo bisogna farlo senza
fretta ma senza sosta. Un esempio di artista
paziente che studia a fondo le proprie possibilità
artistiche per poi donarci un prodotto
confezionato nel migliore dei modi. Non di meno
l'artista studia e progetta alacremente le sue
installazioni dedicando un'attenzione particolare
soprattutto se l'ambiente atto a ospitarle è già
precostituito o se i propri lavori si debbano
inserire all'interno di uno spazio di un edificio.
Un esempio di paziente lavorio, durato ben sei
anni, e di perfetto inserimento nell'edificio
preesistente è Aten
Reign
(2013), un importante progetto creato
appositamente per il Guggenheim di New York che
reinventa la rotonda dell'iconico edificio di
Frank Lloyd Wright come uno degli ambienti più
luminosi e immersivi di Turrell. L'artista offusca
l'interno del museo con i colori dell'intero
spettro in modo che i visitatori entrino in un
ambiente prismatico all'interno del guscio
madreperlaceo della conchiglia creata da Wright.
Indubbiamente la forma cilindrica dell'edificio e
il lucernaio a cupola hanno ispirato a lungo gli Skyspaces dell'artista. Lo stesso Turrell dichiara
che avrebbe potuto togliere il tetto al Guggenheim
ma così com'è crea uno Skylight Space che prende il nome di un dio del sole
della mitologia egizia, ricreando artificialmente il potere di
fornire la luce alla nostra stella principale,
consentendo al contempo alla luce naturale di
essere filtrata nella scena.
Lo spettatore mentre
osserva le transizioni cromatiche che si
verificano nelle ellissi sopra di lui si ritrova
in una dimensione sospesa: lo stato d'animo più
facilmente raggiungibile qui è simile a quando si
prende il sole o si vede una stella cadente – un
calore interiore o una breve ma intensa meraviglia
che rilascia endorfine. Ancora una volta sono le
fasi di transizione quando il sole sorge o cala a
essere le più vitali, proprio come il momento
dell'entrata in Aten Reign può formare la trasformazione più
memorabile per il visitatore.
Per le
diverse sperimentazioni, studi e ricerche
dell'artista americano che si sono tradotte
praticamente in tutti i casi in installazioni dal
sapore contemplativo, filosofico e mistico, è
stata coniata la definizione di “architettura
percettiva”, concetto che si incardina proprio
sull'assunto che la percezione è il medium,
sottolineando in aggiunta che non esista
distinzione di sorta tra percezione e
comprensione. Le opere di Turrell si
collocherebbero in una zona di confine tra
creazione materiale, solida vera e propria, e
percezione: sensazioni che derivano da essa
attraverso il medium del fruitore. Il punto è che non esiste
un prima e un dopo, ma esiste una sincronia che si
ricollega direttamente alle speculazioni di alcuni
influenti fenomenologi e psicologi della
percezione, come Maurice Merleau-Ponty: «[…] più
che vedere il quadro, io vedo secondo il quadro o
con esso».
Infine, come devoto
quacchero, Turrell ha progettato anche numerosi
spazi religiosi, di contemplazione e aggregazione
spirituale per la Society of Friends, come la Live Oak Meeting
House. Quest'ultima è nata proprio
dall'esigenza di creare uno spazio dove riunirsi
ed è stata dotata dall'artista di un'apertura, un
vero e proprio squarcio nel tetto, in cui la
nozione di luce assume una connotazione
decisamente religiosa. In realtà esiste una lunga
serie di altrettante installazioni che l'artista
ha inserito in spazi religiosi e mistici in
generale, come il Gathered Sky realizzato nel 2002: uno spazio
meditativo presso il Temple Hotel a Pechino. Nel
2016 invece Turrell a Berlino ha realizzato la Dorotheenstadt
Cemetery Memorial Chapel. Là, nei luoghi dove
l'arte per millenni ha posto pietre, ori, marmi,
incisioni, segni, suppellettili, epitaffi e
fotografie, Turrell oggi offre l'impalpabilità
poetica della luce.
Sooner than
Later: il Roden Crater Project
«Ottenni infine un bagliore di speranza
[…] e intravidi che se vi era un mezzo per dare
forma alle idee in cui ero penetrato, questo non
poteva consistere che nel modo di introdurre la
luce nel tempio. È la luce che produce gli effetti
[…]. Allora non pensai ad altro che a mettere in
opera tutti i mezzi che mi offriva la natura. Così
mi dissi, e lo confesso con una certa fierezza: la
tua arte ti rende maestro di questi mezzi, e anche
tu avrai modo di dire fiat lux, e secondo la tua volontà il tempio sarà
uno splendore di luce o non sarà altro che dimora
delle tenebre. E presto non mi occupai altro che
di architettura».
Questa dichiarazione
di poetica non è stata pronunciata da Turrell
anche se tutto lo lascerebbe intendere. In realtà
riporta ciò che affermava uno dei sommi architetti
di luci e ombre del XVIII secolo, Étienne-Louis
Boullée (1728-99), considerato all'epoca uno degli
artisti più visionari e influenti del
neoclassicismo francese nonostante non avesse
visto prendere vita a nessuno dei suoi progetti
più straordinari. Nelle sue immaginifiche
speculazioni, Boullée ha cercato di ispirare alti
sentimenti nello spettatore attraverso forme
architettoniche che suggeriscono la sublimità,
l'immensità e la bellezza del mondo naturale,
nonché l'intelligenza divina alla base della sua
creazione. Allo stesso tempo fu fortemente
influenzato dall'entusiasmo indiscriminato per
l'antichità (in particolare per i monumenti
egiziani) sentito dai suoi contemporanei, passione
che come abbiamo visto per Aten Reign è ampiamente condivisa anche da Turrell.
L'architettura di
Boullée è rivoluzionaria; le forme proposte ed
utilizzate in maniera pura e grandiosa (tronchi di
cono, sfere, piramidi, cilindri, ecc.) sono
innovative per l'epoca. Tra i suoi progetti più
celebri ricordiamo un monumento sepolcrale
celebrativo, il cosiddetto Cenotafio per Newton,
costituito da un'enorme sfera elevantesi su una
struttura circolare, circondata all'esterno da
file di alberi disposte su diversi livelli e
all'interno, a parte la presenza del sarcofago,
completamente vuota. Piccole aperture avrebbero
permesso l'illuminazione, con effetti di
particolare suggestione. Si tratta in ogni caso di
strutture dotate di valore più simbolico che
funzionale. Un'enorme sfera cava è sostenuta da
tre grandi terrazzamenti sovrapposti, volti ad
assorbire le spinte del corpo principale. Le
terrazze, a base circolare, sono piantumate a
cipressi; in tal modo, l'insieme richiama gli
antichi mausolei imperiali romani. All'interno,
sul soffitto, una serie di piccole aperture
avrebbe dovuto rivelare, facendo filtrare la luce
del sole, le diverse costellazioni. All'interno la
sfera cava doveva contenere soltanto il sarcofago
commemorativo. Al centro della sfera, illuminata
durante la notte, doveva essere sospesa una grande
sfera armillare, ovvero la rappresentazione
dell'universo secondo l'antica concezione
tolemaica, che vedeva la terra al centro del
sistema solare.
Anche in questo caso
ritroviamo delle similitudini con l'artista
californiano del Light and Space: Turrell infatti
non solo aveva progettato Spread nel 1989 ma anche Boullée Boola l'anno successivo. Entrambe hanno
numerosi punti in comune con le idee
architettoniche alla base del progetto del
Cenotafio newtoniano, ma anche nel suo caso si
tratta di edifici rimasti su carta (almeno per il
momento). Il nome poi che Turrell ha dato al suo
secondo progetto (“Sfera di Boullée”) lascia poco
all'immaginazione, esplicitando quindi un chiaro
omaggio a questo architetto settecentesco
visionario. Queste opere, insieme ad altri suoi
modelli, attingono quindi ad una ricchezza passata
di architetture tra l'esotico e l'immaginario che
Turrell traduce in un insieme indissolubile. I
progetti visionari di Boullée e Ledoux della fine
del XVIII secolo sono quindi evidenti nelle forme
di opere come Spread e Boullée Boola. C'è anche una forte affinità con la
pionieristica architettura cubista del
californiano Irving Gill, soprattutto nell'uso del
liscio intonaco bianco non decorato,
particolarmente evidente a Cold Storage la cui
cupola fa riferimento all'architettura islamica
che Gill stesso citava occasionalmente. Turrell
rende anche omaggio ai templi precolombiani in
opere come Transformative Space e anche ai miti del
deserto degli UFO nei titoli di Abduction e Jump Start.
Nel 2003 prende
finalmente vita il progetto “boulleiano”
dell'artista californiano in una commissione
privata dalla collezione Lhoist (Group Limelette)
a Bruxelles in Belgio. Nasce infatti Boullee's Eye, uno strepitoso
Skyspace perfettamente integrato nel verdeggiante
ambiente circostante, che dalla forma e dalle
caratteristiche rimanda efficacemente ai suoi
precedenti modelli. Turrell ha così tradotto
finalmente il modello in realtà.
Sulla stessa
tradizione speculativa di Boullée si inserisce
quindi a pieno titolo la figura di Turrell, che
nel corso della sua vita e nella realizzazione
delle sue visioni si è gradualmente orientato allo
sviluppo di un linguaggio sempre più prossimo
all'architettura. Nel caso specifico però
dell'artista californiano, si tratta di
un'architettura che tende a rimuovere
percettivamente il significante per far emergere
il significato, il suo spazio interno, attraverso
l'azione rivelatrice della luce e dell'ombra.
Forse da questa necessità funzionale, ma anche se
non di più dal riduzionismo latente nel
puritanesimo quacchero, discende il design
minimalista di Turrell che influenza in modo
evidente la poetica di architetti come Steven
Holl, Billie Tsien, Michael Gabellini e Tod
Williams. Alla domanda sul perché allora egli, che
non è un architetto professionista, eserciti un
così grande fascino sulle nuove generazioni di
progettisti, l'artista risponde:
«Sono uno al quale effettivamente piace
vedere le proprie strutture costruite. Il mio
scopo è realizzare un'architettura fatta di luce e
spazio. Un'architettura topologica. Questo non
significa che non mi preoccupi di perimetrazioni e
forma, bensì che voglio rendere più rilevante ciò
che si situa nell'interstizio, come contrapposto a
ciò che contribuisce a creare l'interstizio. Si
tratta di un'architettura molto semplice.
Un'architettura di luce».
Nel 1973 un intero isolato di Santa
Monica, che ospitava gli studi di famosi artisti
contemporanei come Sam Francis, Charles Hervigny e
Richard Diebenkorn, fu interessato da un'imponente
azione speculativa da parte di un consorzio
privato la cui maggiore azionista era l'attrice e
cantante Barbra Streisand. Nell'occhio del ciclone si ritrovò
anche il Mendota Hotel, il cui locatario Turrell,
per cessazione del contratto, fu costretto a
lasciare il suo atelier (adesso uno Starbucks) e
ad abbandonare tutte le camere predisposte per lo
studio dei fenomeni percettivi legati ai Mendota Stoppages. Per l'artista quella sfortunata
circostanza, e la conseguente perdita di un numero
considerevole di opere fino ad allora prodotte,
poteva sembrare una battuta d'arresto irreparabile
per la sua carriera, più in generale per un
professionista che era ancora in cerca di
affermazione; ma il maestro sfruttò la situazione
in cui versava a proprio vantaggio trasformando
radicalmente la sua storia personale e
professionale. Come prima cosa era impellente la
necessità di ritrovare un proprio spazio creativo
e nel 1974, grazie a una borsa erogata dalla
Solomon R. Guggenheim Foundation, l'artista
acquistò del carburante per il suo velivolo con il
quale per sette mesi perlustrò l'America
dell'Ovest in lungo e in largo alla ricerca di un
luogo in cui stabilizzarsi nuovamente, un qualcosa
in cui ricreare opere che sfruttassero la
straordinaria intensità della luce solare naturale
e la relativa prossimità al cielo che sarebbe
stata garantita dall'alta quota del sito.
Quest'ultimo doveva possedere alcune
caratteristiche geomorfologiche ben precise e una
in particolare: un sito dal cui interno fosse
esperibile il fenomeno del cosiddetto celestial vaulting.
Durante i suoi voli di ricognizione Turrell
individuò dei possibili candidati al suo progetto
che avevano tutti una qualità comune: si trattava
in tutti i casi di crateri vulcanici.
L'artista aveva già
in precedenza avuto a che fare con crateri
vulcanici, infatti aveva preso parte alla
costruzione dell'Irish Sky Garden o Crater. Il sito offre allo
spettatore un'opportunità assolutamente unica per
ammirare e godersi la “volta celeste” e Turrell ha
trasformato il cratere in un enorme osservatorio
ad occhio nudo. Ogni elemento è stato attentamente
progettato per apparire naturale, ma come sempre
in realtà nessun elemento è stato lasciato al
caso. Il suo design consente allo spettatore, sia
di giorno che di notte, di vivere veramente il
cielo in ogni suo particolare momento senza
distrazioni o impedimenti. Sul morbido sfondo
verde dell'erba e sul bordo superiore del cratere
strettamente ritagliato non rimangono distrazioni
che catturino l'occhio dello spettatore: ciò che
resta è solo il cielo.
Così facendo tesoro
dell'esperienza irlandese l'artista ha continuato
tale linea di indagine sul suolo americano,
cominciando dalla ricerca del sito più idoneo per
il suo progetto: per le sue proporzioni, per il
suo posizionamento in un ambiente abbastanza
isolato da qualsiasi contesto urbano, nonché per
la sua collocazione all'interno di un deserto
sontuoso, il Painted Desert, uno scenario naturale
che sembrava un'opera d'arte eseguita dallo stesso
artista, la scelta ricadde sul Roden Crater.
Si tratta di un
vulcano naturale spento di origine strombolica la
cui nascita risale a 300 mila anni fa circa e che
si erge per 150 metri circa lungo il deserto
dipinto. Localizzato a circa 40 miglia a nord-est
dalla città di Flagstaff è posto ai confini delle
riserve naturali degli indiani Navajo e Hopi ed è
collocato sulla linea di demarcazione tra le
culture Anasazi (gli “Antichi”) ad est e Sinagua
(i “Senza Acqua”) ad ovest. È il cono di ceneri
più giovane di un'estesa regione vulcanica ancora
molto attiva che conta la presenza di 600 vulcani
che hanno “dipinto” un paesaggio molto
diversificato con aree desertiche rocciose dai
colori sgargianti miste a imponenti foreste di
conifere. La quasi totale assenza di inquinamento
atmosferico e luminoso, combinato con la secchezza
dell'aria caratteristica delle regioni desertiche,
esaltano le sue qualità cromatiche rendendo i
colori saturi, immergendo il visitatore in uno
scenario che sembra un vero e proprio quadro.
Questo cono di ceneri estinto prende il
nome dall'originario proprietario ottocentesco
della tenuta che includeva il vulcano, un certo
William D. Roden, un allevatore di bovini nella
vicina valle del Little Colorado River. Ai limiti
degli attuali confini del podere sono ancora
visibili i resti della sua casa in mattoni che
l'artista non ha voluto rimuovere. In seguito lo
spazio era diventato di proprietà del magnate
delle ferrovie americane e latifondista Robert
Chambers, per nulla incline a vendere terreni ma
semmai ad acquistarli. Solo in seguito a una
serrata corte da parte dell'artista americano, il
latifondista cedette alle sue lusinghe, anche
persuaso dalle parole di Turrell che vedeva nel
cratere inimmaginabili potenzialità per la
trasformazione del sito, che venne infine
acquistato,
dalla Dia Art Foundation e grazie al
sostegno del collezionista italiano Giuseppe Panza
di Biumo, per una cifra pari a 66.000 dollari. Dei
progetti per il cratere rimasero entusiasti e si
persuasero in seguito alle parole dell'artista
anche le famiglie Hopi residenti nelle vicinanze
del sito, inizialmente preoccupate per le sorti
del cono di ceneri poiché, per la sua “prossimità
al cielo”, il Roden era stato un luogo liturgico e
rimaneva un luogo sacro e inviolabile. Gli Hopi
vennero rassicurati ulteriormente in seguito alla
rivelazione che l'idea di base dell'artista era
proprio quella di valorizzare ed esaltare le
caratteristiche ambientali e rituali del luogo. In
seguito, Turrell cominciò a tradurre in forme
grafiche e plastiche le suggestioni, le idee che
progressivamente assumevano una loro coerenza
progettuale: al 1985 risale il Deep sky portfolio, (raccolta di incisioni in
bianco e nero che suggerivano le qualità visive
previste dall'artista per i futuri spazi del
cratere) seguito nel 1987 dal Mapping Spaces portfolio (schemi planimetrici degli
ambienti ipogei sovrapposti a foto aeree del
cratere scattate dallo stesso Turrell). Nel 1976
presso lo Stedelijk Museum, fu invece presentato,
insieme ad alcuni disegni tecnici, il primo
modello fisico del Roden
Crater, già
all'epoca concettualmente monumentale e
sbalorditivo nei contenuti, ma che sarà in seguito
ampliato, implementato e presentato con la
collaborazione di importanti personalità per una
retrospettiva sull'opera dell'artista americano
tenutasi nel 1985 presso il Museum of Contemporary
Art di Los Angeles .
Inoltre all'avvio di una serie di
consulenze scientifiche con alcuni astronomi e
archeo-astronomi di fama mondiale, Turrell definì
un progetto sempre più complesso che, grazie
all'intenso lavoro di équipe, avrebbe coinvolto
l'osservatore in un coacervo di esperienze
sensoriali legate alla percezione della luce e
delle sue interazioni, in tempo reale, con
l'atmosfera e i paesaggi terrestri, ma anche agli
eventi che si svolgono nello spazio siderale, ben
visibili in varie posizioni del cratere, sebbene
avvenuti milioni di anni fa. L'interesse
dell'artista era rivolto nello specifico a far
emergere, potremmo dire riaffiorare, «il lato più
primitivo, aurorale, animale delle capacità
sensoriali del fruitore che si fanno specchio, analogon, del paesaggio e delle atmosfere
circostanti».
Il suo progetto
prevedeva infatti la ricerca di un'area in cui
fosse manifesta la stratigrafia geologica,
sensibile all'accumularsi dei secoli. Turrell
voleva che il sito ospitante la sua visione avesse
una risonanza archetipica, in cui ancora oggi
echeggiassero le immagini e i suoni della
creazione, in cui il visitatore percepisse
esattamente di trovarsi sulla crosta di un pianeta
attivo.
È l'artista che
sostiene di aver avvertito questa connessione per
la prima volta quando nel 1970 visitò il Giappone
a seguito di un programma di scambi culturali. In
particolare, su di lui esercitò uno straordinario
fascino la visione dell'isola vulcanica attiva di
Suwanose-jima, nell'arcipelago delle Ryukyu
settentrionali, sorvolando la quale avvertì:
«la vitalità della terra, il paesaggio e
la riemersione delle culture stratificate. La
geologia corrobora questa visione con il movimento
delle piattaforme continentali, la subduzione e la
riemersione dei vulcani. Ho memoria dei terremoti
in California, ma a Sunwanose la terra trema
quotidianamente. I vulcani, naturalmente, sono
elementi di connessione col centro della Terra e
il magma liquefatto. Nel momento in cui ho visto
la catena di isole vulcaniche a sud del Giappone,
ho capito che anch'io volevo trovare un vulcano. I
vulcani e le isole possiedono una “matericità”
terrestre. Ugualmente il mio interesse verso la
percezione è nel donargli questa “matericità”.
Essa esiste proprio come un oggetto fisico».
Questa rivelazione
della profonda natura geologica della superficie
terrestre avvenne in volo e consentì all'artista
di riflettere approfonditamente su quella pelle
come una forma di rivestimento su cui si
depositano, si stratificano nel corso della storia
immagini di diverse civiltà che potenzialmente
sono sempre pronte a rinascere, a rivedere la luce
grazie agli scavi archeologici o attraverso
l'analisi dei contenuti delle foto aeree.
Nell'area intorno al
Roden sono state rinvenute tracce archeologiche di
insediamenti nativi molto antichi: nello specifico
un'ampia corte in cui si svolgevano danze rituali,
un anfiteatro lapideo circolare (simili a quelli
rinvenuti in alcuni siti meso-americani),
fondazioni murarie di abitazioni e cocci di
vasellame.
L'intera struttura
del cratere funziona come un enorme Skyspace a scala
paesaggistica in cui l'artista è riuscito a
modellare la percezione del cielo attraverso la
configurazione dello spazio che ospita
l'osservatore, generando un totale appiattimento,
l'aderenza della volta celeste semi-sferoide al
piano dell'apertura e una sua compressione.
Sarebbe riduttivo
definirla solo opera, poiché ci troviamo di fronte
all'apice della carriera di un artista e ad un
punto di svolta nella storia dell'architettura
contemporanea. Scavalchiamo uno dei più sublimi e
visionari architetti del XX secolo come Frank
Lloyd Wright per approdare all'incarnazione di
un'utopia che sembrava destinata a rimanere tale.
Non siamo più solo davanti a quello che alcuni
hanno definito un supremo esempio di Land Art, ma potremmo dire in
un legame indistricabile di quest'ultima con il Light and Space e tale fusione ha
generato lava così incandescente che in sua
presenza si corre il rischio di rimanerne
folgorati. Lo scopo ultimo infatti di quest'opera,
definita dallo stesso artista come un landformed work, è quello di
inglobare al suo interno una sequenza di fenomeni
atmosferici e celesti e veicolarli attraverso il
suo lavoro per poterli offrire al sistema
percettivo del visitatore. A tal fine il vulcano
viene scolpito, scavato e modellato fino a
ricavarne complesse strutture architettoniche,
completamente ipogee, con aperture dall'intenso
impatto scenografico; una volta completato
assisteremo a uno spettacolo composto da 21 spazi
e 6 tunnel, un osservatorio a occhio nudo di un
susseguirsi di camere, gallerie dotate di aperture
aventi il preciso compito di intensificare la
percezione umana di terra e cielo.
In un'intervista
rilasciata dall'artista in occasione della mostra
AISTHESIS - All'origine delle sensazioni, Turrell ha spiegato
come per lui la luce sia parte della nostra
alimentazione:
«La nostra pelle assorbe la luce e il
nostro organismo la assume sotto forma di vitamina
D, ciò significa che siamo coinvolti fisicamente
dalla luce, che essa, attraverso il corpo umano,
da immateriale si trasforma in materiale».
Tutto questo è
esattamente ciò che ritroviamo e a cui assistiamo
all'interno dello scrigno Roden: la luce viene
incanalata e assorbita per essere esperita
dall'uomo, per diventare un qualcosa di materiale,
di contemplabile, quasi tangibile.
«Siamo
fatti della stessa sostanza della luce»: Inside
the
Light
Turrell iniziò a
realizzare il suo “teatro celeste” alla fine degli
anni ‘70 e più di trenta anni dopo è ancora
presente ma i posti a sedere rimangono piuttosto
limitati fatta eccezione infatti per alcuni
giornalisti e potenziali donatori, nessun
visitatore è ammesso fino al completamento del
progetto che è stato ritardato ripetutamente.
Alcuni critici affermano che come la cattedrale di
Antoni Gaudí, la Sagrada Família, l'opera non sarà
terminata nella vita dell'artista.
Nella tradizione di
artisti visivi come Ansel Adams, Turrell costruì e
visse in una baita vicino al cratere per
diciannove mesi, studiando i giochi di luce sul
cono durante tutto l'anno prima di mettersi al
lavoro. I suoi progetti delineano nove camere
sotterranee, quattro fuori terra (orientate verso
le direzioni cardinali), un grande spazio
all'aperto (la gola del vulcano) e passerelle e
tunnel che collegano questi punti focali tra loro.
I numeri possono essere impressionanti, ma da soli
non rendono giustizia al culmine dell'opera di una
vita: l'equivalente architettonico del Grande
romanzo americano. Il frutto dell'ingegno di
Turrell fa apparire The Lightning Field di Walter De Maria
(nel New Mexico), Spiral Jetty di Robert Smithson (nello Utah) e
persino Double Negative di Michael Heizer
(in Nevada) come semplici racconti.
Influenzato dai siti
megalitici in Irlanda, dalle fortezze dell'età del
ferro in Inghilterra, dai templi egizi e
dall'archeoastronomia sud-occidentale, Turrell
vede il cratere Roden come un santuario che
trascende le epoche, un osservatorio a occhio nudo
che potrebbe sopravvivere alla nostra società.
Traducendo l'esterno
nello spazio interno, l'artista cerca di collegare
gli osservatori ai ritmi celesti e agli “antichi
templi”, creando un percorso
storico-spazio-temporale che renda conto dei
milioni di anni che ci vogliono per arrivare qui
da galassie lontane. Supervisiona la scultura
della luce attraverso la quale il cratere diventa
sia oggetto che atmosfera: nel credo di Turrell è
ciò che sta dietro l'occhio che forma la realtà
che creiamo.
La presentazione di
stimoli in contesti nuovi e insoliti ci scuote
dallo stupore della percezione offuscata, come il
“blu” dei cieli del bel tempo che diamo per
scontato e di cui raramente notiamo le sfumature.
Lavorando con la luce proiettata e ambientale,
Turrell esplora le variazioni di colore, densità,
luminosità e umore e in che modo influiscono sul
nostro senso dello spazio: l'ora del giorno, la
stagione e le condizioni atmosferiche contano.
Perfino il terreno esterno al cratere aggiunge
note di grazia alla sinfonia della luce. Fedele
alla sua formazione come psicologo percettivo,
l'artista non ignora neppure il non visivo: il suo
approccio è multisensoriale e multidimensionale.
Accanto a questo
epifanico potere della luce in Turrell convive
anche la sua capacità di nascondimento, il fatto
che la sua presenza inibisca la percezione della
straordinaria complessità delle sue configurazioni
astrali, del moto dei pianeti e più in generale
degli eventi celesti: così, sulla scorta della
profonda suggestione esercitata dai siti
archeo-astronomici come quello progettato da Tycho
Brahe (1546-1601) sull'isola danese di Hven
(Uraniborg), o del maharaja Jai Singh a Jaipur e a
Delhi (India), l'artista iniziò a individuare una
parallela funzione per ciascun spazio ipogeo che
avrebbe abitato il vulcano estinto: quella di
divenire un osservatorio a occhio nudo di fenomeni
siderali, in cui ancora una volta ciò che è
lontano è ricondotto a un contatto più diretto con
l'osservatore.
Per la sua
realizzazione fisica Turrell si è ispirato ad
antichi osservatori come Borobudur, Angkor Wat, Pagan, Machu Picchu, le piramidi Maya e le piramidi
egiziane. Durante il servizio civile sostitutivo
nel 1960, in qualità di pilota, sorvolò la
Cambogia – vedendo i templi di Pagan, Borobodour e
Angkor Vat – e l'India – dove scoprì le complesse
configurazioni degli Stupa e le immagini di queste
strutture architettoniche e religiose esercitarono
una profonda influenza sui suoi progetti
identificati come Autonomous Structures.
La dimensione
fondativa dello spazio è presenta anche nel Roden Crater anche se l'artista
più e più volte ribadisce la non lettura della sua
opera in termini strettamente spirituali: quello
che condividono le camere ipogee di Turrell con
quelle rituali di antiche civiltà sono le idee di
“accesso” come “abbandono”delle trite convenzioni
sensoriali e di “invito” ad aprirsi verso una
nuova orientazione cosmica. L'artista ha più volte
riconosciuto l'influenza esercitata sul suo
progetto da alcuni siti archeo-astronomici,
approfonditamente studiati nel corso di numerosi
viaggi in tutto il continente, ma il suo interesse
oltre che per l'evidente caratura siderale di quei
luoghi, sembra maggiormente rivolto tanto a come
essi siano riusciti a delineare una cesura formale
rispetto alla scansione degli eventi quotidiani,
quanto a come abbiano interagito con il paesaggio
che li ospita. Anche il percorso previsto per
l'avvicinamento al luogo è assimilabile ad una
moderna via di pellegrinaggio, predisponendo il
visitatore all'esperienza mistica e
multisensoriale che in esso si compirà.
È lo stesso artista a contestualizzare il
ruolo dell'opera d'arte affermando che con questo
“tempio geologico” voleva creare spazi che
coinvolgessero eventi celesti nella luce in modo
che gli spazi eseguano una musica delle sfere
nella luce.
Craig Adcock nel 1990
ha profeticamente osservato che quando sarà
completato, il Roden Crater Project sparirà nel Roden
Crater: questa “liquefazione” dei confini
dell'intervento artistico nel corpo vivente della
natura, al punto da confondersi reciprocamente,
avvicina l'intervento di Turrell a quello
rinvenibile nei giardini secchi nipponici, dove
artificio e natura appaiono indistinguibili.
Lo scopo dell'opera,
definita dall'artista come dicevamo in precedenza
landformed
work, sarebbe dunque quello di incorporare
una precisa sequenza di fenomeni atmosferici e
celesti al suo interno e offrirli al sistema
percettivo del visitatore:
«Il mio desiderio è quello di predisporre
un evento al quale condurre l'osservatore e
lasciare che sia lui a vederlo. Sto facendo questo
al Roden Crater. Non si tratta tanto di
appropriarsi della natura, quanto di porre
l'osservatore in contatto con essa ».
Ad accogliere il
visitatore è la South Lodge, un piccolo edificio coperto
parzialmente incassato nelle pendici meridionali
del vulcano. Destinato ad ospitare un numero
massimo di quattro persone, si compone di due
camere da letto matrimoniali, con servizi annessi,
e di un ampio salone e cucina attrezzata, arredati
con mobili disegnati personalmente da Turrell. Le
pareti perimetrali sono caratterizzate da estese
superfici vetrate rivolte verso il sublime
panorama del Painted Desert, a sud-est, mentre
verso sud-ovest sono visibili i profili austeri
dei crateri Merriam, North e South Sheba; a est
invece emergono, sull'orizzonte, le eleganti masse
lineari che delimitano il corso del Little
Colorado River e le “vicine” Grand Falls. Il
belvedere esterno, oltre a fungere da elemento di
chiusura del circuito pedonale che servirà
l'intero Roden Crater Project, presenta
un'avvolgente panchina a pianta ellittica, dalla
quale è possibile osservare il panorama desertico,
di giorno, e il cielo stellato, di notte.
Attraverso una rampa elicoidale impostata su una
pianta spiraliforme che si incassa parzialmente
nella massa lavica, offrendo continui cambiamenti
di prospettiva a chi la percorrerà, si arriverà
alla sua fine a uno spiazzo circolare panoramico
che consentirà di osservare la distesa del Painted
Desert verso sud-est, mentre una panchina
circolare inviterà alla sosta, configurandosi
anche come parapetto al vuoto emisferico del
sottostante ambiente a cielo aperto, vero nucleo
spaziale del South Space, al quale si accederà solo attraverso un
altro tunnel sotterraneo che conduce a una
galleria anulare coperta da una volta debolmente
illuminata da una sequenza lineare di lampade
tubolari al neon.
South Space
Il South
Space è lo
spazio che guarda verso il Polo nord celeste e più
nello specifico è l'ambiente allineato in asse
alla Stella Polare, che sarà visibile da un unico
posto ben specifico nel sito. L'area concentra
l'attenzione dello spettatore sul cielo notturno e
offre una vista panoramica diurna impareggiabile
sul Painted Desert che circonda il cratere: i
visitatori potranno salire attraverso una rampa a
spirale crescente verso uno spazio circolare
aperto nella parte superiore (offrendogli una
finestra sull'immensità del deserto), ma potranno
anche scendere verso l'interno (lo spazio è
infatti aperto verso il basso, permettendo alla
luce di entrare in profondità), ritrovandosi in
uno Sky Space dotato di una calotta rovesciata
incorniciante lo zenit del Sole sia d'estate che
d'inverno. Sarà possibile ai visitatori, seduti su
una panchina circolare, ammirare il fenomeno del
celestial vaulting (qui però ricreato
artificialmente a differenza che nel cratere)
modellato dall'equatore circolare che concluderà
l'ambiente. Quest'ultimo quindi riceverà luce dal
sole al suo apice e di notte consentirà
avvistamenti astronomici con l'aiuto di mappe in
acciaio inossidabile posizionate sul pavimento
nero. La caratteristica centrale dell'ambiente è
una struttura che forma uno strumento astronomico
simile al Jai Prakash Yantra nell'osservatorio
celeste di Jaipur, in India.
Fig. 1 - South Space, James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Da sempre l'influenza del Sole sulla
Terra, le relazioni che si instaurano e si
modificano, affascinano l'Uomo. La necessità di
capirne di più ha sempre stimolato la ricerca e in
diverse parti del mondo restano oggi antiche
testimonianze che dimostrano questo interesse,
spesso con una modernità che stupisce. A Jaipur,
nel Rajasthan, c'è un osservatorio astronomico
all'aperto i cui giganteschi strumenti astronomici
sono costruiti in pietra. È il Jantar Mantar,
realizzato tra il 1727 (anno di fondazione ad
opera del Maharaja Sawai Jai Singh II) e il 1734.
Il nome Jantar Mantar significa letteralmente
“strumenti per misurare l'armonia dei cieli”:
quando si entra nell'osservatorio si ha come la
sensazione di trovarsi in un fantasioso parco
giochi. La curiosa forma di quelle che sono vere e
proprie costruzioni – chiamate yantras - messe a
punto grazie all'ingegnosità degli studiosi, a ben
guardare fa poi comprendere che ci si trova
davanti a qualcosa di sofisticato e scientifico.
Ma persino filosofico: in effetti c'è una teoria
alla base del Jantar Mantar ed evoca un'atmosfera
che deriva dall'espressione sanscrita Yantra
Mantra, dove “Yantra” significa strumento e
“Mantra” significa calcolo. Il Jai Prakash Yantra
è formato da due strutture emisferiche molto
innovative che vengono usate per allineare le
posizioni delle stelle ai segni. Ha un grande
valore educativo per chi comincia gli studi
astronomici, poiché è ritenuto uno strumento
ideale per dimostrare la “dottrina della sfera” e
per rilevare il moto apparente del Sole. Con
questo strumento, si possono seguire i corpi e gli
eventi celesti (come eclissi lunari e solari) che
si verificano, in particolare il ciclo di Saros; infatti Turrell si riferisce alla parte
centrale del South
Space come a
una Saros
Chamber.
Ricapitolando quindi,
lo Spazio Sud è sia uno spazio con le sue
caratteristiche peculiari, sia una sorta di
calendario per i movimenti e gli eventi celesti
che sono, potremmo dire, gli autentici
protagonisti, gli eventi centrali più importanti
all'interno dei vari spazi del progetto del Roden Crater.
East Space
Già dal nome è intuibile l'orientamento a
oriente di questo spazio, che quindi trarrà linfa
dagli effetti prodotti dal Sole nascente e dal suo
percorso diurno nel cielo. Secondo spazio
cardinale del progetto turrelliano, la sua
struttura costituirà una sorta di snodo per
l'intero complesso di spazi sotterranei,
permettendo di accedere direttamente alla camera
sovrastante, il Fumarole
Space,
tramite una monumentale rampa oppure di proseguire
il percorso fino al North
Space e
infine al West
Space. Il
progetto prevede la costruzione di un'ampia
piscina cuneiforme ipogea circondata da pilastri,
e l'immersione al suo interno del visitatore
permetterà a quest'ultimo di contemplare la luce
solare che si rifletterà sull'acqua, generando un
caleidoscopio cromatico di increspature in
continuo movimento nello spazio. Essendo inoltre
un ambiente semiaperto l'artista ha immaginato un
possibile mutamento di aspetto per via delle forti
correnti d'aria presenti nel deserto che
penetreranno all'interno producendo ulteriori e
imprevisti cambiamenti dello Space. La
presenza dell'acqua costituisce un potente
elemento di decantazione e sublimazione della
radiazione solare che l'artista cercherà di
isolare in alcune specifiche manifestazioni legate
al suo corso diurno. Dotato di una grande
apertura, questa finestra pensata sul paesaggio
assumerà la configurazione di uno Structural Cut, e non la luce artificiale, bensì quella
naturale solare sarà il vero spettacolo in tutta
la sua potenza: i raggi infatti a seconda
dell'orario e dell'intensità faranno brillare gli
spazi e influenzeranno la percezione dell'area
nella camera. La luce solare darà il meglio di sé
in questo luogo, anche perché l'asciutta atmosfera
desertica, supportata dai riflessi acquei, la
intensificherà. I colori, le luci, i riflessi di
cui si nutre questo ambiente lo rendono quello più
intimamente connesso alle sperimentazioni condotte
dall'artista ai suoi esordi nel Mendota Hotel, con
la differenza che dalla luce artificiale
(fondamentalmente neon) si è passati qui
all'impiego della radiazione solare rielaborata
radicalmente dall'ecosistema desertico.
Non ancora realizzato
alla fine del 2007 risulta evidente che mentre
l'artista progettava queste piscine ne stava
concludendo una simile ispirata a simili ricerche:
la Baker
Pool. Lisa Baker, regista e curatrice
principale dell'HBC Global Art Collection, aveva lavorato con
James Turrell in importanti progetti alla Baker
International Exhibits per sostenere il successo degli artisti
nella produzione di progetti su larga scala, e
proprio in seguito a questa partnership i Baker decisero di commissionare
all'artista dei lavori per la loro residenza
privata a Greenwich: la piscina nel suo connubio
di acqua e luce riflette la ricerca attuata
dall'artista per le piscine dell'East Space ed è singolare che
anche questo spazio “ricreativo” sia posto sotto
il livello della terra, essendo stato progettato
nel seminterrato dell'abitazione dei Baker. Anche
qui ci troviamo davanti a uno spazio luminoso di
ipnotizzanti installazioni, un alterarsi di
percezioni. Non è quindi strano credere che
durante la festa che celebrava la sua Baker Pool, un'ospite
involontariamente finì in acqua credendo che
quella non fosse acqua. Turrell stesso la tirò
fuori, scusandosi.
Precedentemente
l'artista aveva disegnato un'altra piscina – per
un centro culturale francese – in cui i nuotatori
dovevano immergersi per poter vedere la firma di
Turrell.
Oltre alla luce
naturale, Turrell utilizza lampadine a LED nella
piscina dei Baker, per produrre una varietà di
viste, aumentando così l'impatto visivo. I colori
cambiano automaticamente o sono programmati. Il
design dei cambi di colore crea uno spettacolo
visivo sbalorditivo così avvincente, e colpisce
quelli seduti nelle altre estensioni. Molteplici
combinazioni di colori consentono ai Baker di
sperimentare viste. I colori riflettono stati
d'animo diversi, quindi i proprietari possono
scegliere il loro umore ideale da riflettere in
piscina. Per elevare la bellezza della piscina,
Turrell ha aggiunto cavi in fibra ottica di alta
qualità intorno alla piscina per interagire con il
sistema di illuminazione. Le fibre ottiche
raddoppiano l'efficacia dell'emissione luminosa e
modificano le immagini visive in scene intriganti.
Le piscine dell'East Space sfrutteranno invece
al massimo gli effetti della luce naturale e le
diverse sfumature nelle diverse ore del giorno.
Nel 2010 nello Yucatan (Messico) Turrell ha
inoltre realizzato una serie di suoi Skyspace accanto ad alcune
piscine, all'interno di una piramide. Agua de Luz, una serie di Skyspace e piscine costruite
all'interno di una piramide nello Yucatán, e i
prossimi progetti in tutto il mondo, da Ras
al-Khaimah alla Tasmania, integrano molti dei
principi e delle caratteristiche incorporati nel
cratere Roden. Anche se il cielo è la metà
dell'ambiente e la luce è ciò che attiva la vista,
entrambi sono dati per scontati
oggi. Tuttavia, dalla preistorica Newgrange
dell'Irlanda all'Egitto Abu Simbel fino al
messicano Chichén Itza, gli antichi ingaggiarono
il cielo e ne manipolarono la luce. L'astronomo e
direttore dell'osservatorio Griffith EC Krupp
esplora i parallelismi con l'antichità e gli
impegni con la percezione nelle installazioni di
Turrell, in particolare a Roden Crater e Agua de Luz (2012) al
Cenote Santa María di Mérida, in Messico.
Nel 2018 Turrel ha
invece realizzato Árbol de Luz, nel cuore di San
Pedro Ochil, una hacienda del XVIII secolo, sempre
nella penisola dello Yucatan, in Messico. Un luogo
in cui le persone possono riunirsi, con
intenzione, per condividere le esperienze
ordinarie e celebrare l'unicità dello spazio
stesso: celebrando il collegamento con le acque
sottostanti. Lo scopo dell'artista è stato quello
di creare una nuova sinfonia di luci per
riflettere sul misterioso cenote e sull'anfiteatro
che la ospita. I colori fluenti ora danzano in
spazi diversi, combinandosi con la meravigliosa
magia dal suono proveniente dalla giungla vicina.
Un cenote è un fenomeno
naturale carsico, una grotta parzialmente o
totalmente collassata che si
riempie di acqua dolce, formando
una piscina naturale. Nella penisola dello
Yucatan se ne contano circa 7.000, di diversi tipi
– a cielo aperto o sotterranei – ma solo alcuni
sono visitabili. la penisola dello Yucatan è
stata la patria della dinastia Maya. Il loro
rapporto con le divinità ha sempre avuto
una forte connotazione con gli eventi ed i
luoghi della natura. I cenotes, oltre che essere un'importantissima
fonte di acqua dolce, avevano quindi una rilevante
una valenza mistica. Erano considerati luoghi
sacri, una porta di accesso al mondo spirituale.
Erano uno dei punti in cui rapportarsi con gli Dei
mediante sacrifici umani. Prigionieri di guerra e
giovani vergini venivano lasciati affogare in modo
cruento in loro onore. Non solo. Durante
recenti esplorazioni sul fondo dei cenotes, sono stati trovati
gioielli d'oro, oggetti e tessuti preziosi, i
quali venivano probabilmente gettati insieme ai
sacrifici umani proprio per rendere omaggio agli
dei.
Fumarole Space
Seconda bocca di fuoriuscita dei vapori e
dei gas vulcanici, siamo ora nella fumarola. In
questo particolare spazio Turrell ha previsto la
realizzazione di una struttura a più piani molto
articolata da un punto di vista spaziale, il Fumarole Space, che ospiterà esperienze sensoriali e di
osservazione celeste, spesso interconnesse con gli
eventi previsti per lo spazio successivo, il Sun and Moon Space. L'ambiente è dotato di un osservatorio,
una sorta di stazione provvisoria interrata nelle
ceneri vulcaniche in cui James Turrell coadiuvato
dall'astronomo Richard L. Walker hanno intenzione
di realizzare ciò che costituirà l'installazione
più complessa presente nel cratere. Attualmente lo
spazio, per la maggior parte interrato, ricorda
una tomba a tholos e l'intero complesso sarà isolato dal
punto di vista elettrostatico ed elettromagnetico
grazie alla schermatura fornita da una gabbia
Faraday annegata nelle strutture cementizie. Le
poche aperture sono funzionali all'aerazione e al
soleggiamento dei vani, la cupola oblunga
presenterà un foro in grado di canalizzare la luce
solare che grazie a un eliostato proietterà su un vetro circolare
smerigliato un'immagine stabile del disco solare
durante parte del suo percorso diurno
all'equinozio di primavera. La percezione del
fenomeno sarà ancora più intensa grazie a delle
onde di calore emesse da un piccolo fornello a gas
che creerà masse di aria calda generando
un'immagine instabile e fluttuante, allusiva alla
reale attività eruttiva del Sole e un rimando nel
subconscio dell'osservatore alle caratteristiche
proprie del luogo da cui sta assistendo al
fenomeno, rammendandogli che si trova pur sempre
in un vulcano, anche se inattivo. Un'altra
apertura invece consentirà di inquadrare la
regione celeste sovrastante, a chi risiederà nello
Sky Bath collocato al centro di un ambiente
cilindrico scoperto: si tratta di una vasca in una
lega bronzea (la silicon
bronze),
scelta dall'artista per l'alta resistenza alla
corrosione, il cui fuoco si collocherà esattamente
in corrispondenza dell'estremo occidentale del
diametro dell'oculo superiore. La relazione tra la
superficie paraboloidica del catino bronzeo e
questo punto della struttura non è casuale, ma
attentamente pensato da Turrell, in modo che il
sistema creato da questi elementi si configuri
come un semi-telescopio Cassegrain: qui però,
quelle raccolte dallo strumento non saranno tanto
le informazioni fotoniche provenienti dagli
oggetti celesti, bensì le relative onde radio. La
“musica delle sfere” sarà finalmente udibile dal
visitatore, quando questi si immergerà, fino alle
orecchie, nell'acqua riscaldata contenuta nella
vasca: il liquido infatti fungerà da cassa di
risonanza per le informazioni acustiche captate da
un apparecchio ricevente a cristalli di quarzo,
collocato proprio nel punto focale di cui si
parlava in precedenza. Un piatto parabolico sotto
la piscina raccoglierà onde elettromagnetiche dai
quasar e da altri corpi celesti e li trasmetterà
nell'acqua dove i visitatori che fluttuano, come
se si trovassero nel liquido amniotico, possano
sentirli e risentirli. A differenza di qualsiasi
serbatoio di privazione solipsistica, questa
piscina ricreerà simbolicamente la pulsazione
dell'universo, restituendo agli spettatori (in
questo caso uditori) l'immagine di un cosmo che
sta nascendo ed è sconfinato. Inoltre, la luce
aspirata in un anello di quarzo attorno alla
piscina, verrà reindirizzata per coprire l'acqua
con uno strato radiante. Questo crystal set (o crystal
radio),
funzionante senza l'ausilio di pile sarà in grado
di ricevere trasmissioni, così i segnali radio
risuoneranno all'interno dello Sky Bath. L'acqua del catino invece fungerà da
cuffie ad alta impedenza generalmente utilizzate
in studi di registrazione o da professionisti,
nonché da audiofili che cercano o hanno esigenza
di alta qualità e fedeltà sonora. È
evidente che il coinvolgimento fisico totale del
fruitore implicherà una sua partecipazione emotiva
assoluta: l'acqua riscaldata lo indurrà a uno
stato di rilassamento muscolare, mettendolo nella
condizione migliore per accogliere l'epifania dei
suoni celesti, sia di giorno che di notte.
Fig. 2 - Fumarole Space, Sky Bath
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Il Fumarole
Space
inoltre, in quanto radiotelescopio, sarà in grado
di catturare e riprodurre anche i segnali sonori
provenienti dall'ambiente ecologico circostante.
Quindi per riassumere, lo Sky Bath occuperà il centro di un ambiente
cilindrico dotato di due porte simmetriche, e al
visitatore che rivolgerà un ultimo sguardo
indietro mentre si avvia verso la rampa esterna
gli si offrirà il riflesso aureo dell'immagine
solare prodotta dall'eliostato sulla superficie
liquida contenuta nella vasca bronzea, appena
increspata dalle correnti aeree sempre attive nel
Roden Crater. Il percorso elicoidale si
trasformerà poi in un tunnel che sfocerà nel piano
inferiore del Fumarole
Space, il
cui assetto distributivo radiale si incardinerà
intorno alla presenza di una grande sfera cava. Le
immagini che si creeranno al suo interno saranno
messe a fuoco da un dispositivo ottico, inserito
nell'ampia porta scorrevole cilindrica (Iris Pocket Door), composto da un anello cilindrico sulle
cui basi sarà collocato un sistema ottico formato
da due lenti convesse. Il fenomeno cromaticamente
più spettacolare che si proietterà al suo interno
sarà costituito dal twilight
arch,
definito da Turrell night-rise: allora l'ambiente sferico risulterà
invaso da un'eterea luce blu e rosa,
trasformandosi così in un potente Ganzfeld. Simmetricamente a questo dispositivo
ottico, sempre nella porta scorrevole, sarà
collocato un altro oculare (un sistema di lenti),
di analoga sezione ma più profondo. L'oculare
permetterà di proiettare l'immagine del disco
solare, al suo sorgere al solstizio d'estate,
oltre il vano d'ingresso, prima attraverso un foro
circolare e poi lungo un tunnel, fino a colpire la
superficie del monolito già esistente, collocato
nello spazio successivo del Sun and Moon Space. Il perfetto allineamento che si creerà
tra la posizione del Sole, l'oculare e l'area
circolare in pietra calcarea bianca inserita nel
blocco granitico darà luogo a una perfetta, ma
invertita, immagine della stella di diametro pari
a 90 cm. Inoltre, la sfera quando non sarà invasa
dalla luce ambientale proveniente dall'apertura
rivolta a est potrà trasformarsi in un'enorme
boulléeiana camera oscura: luogo otticamente
neutro in cui eseguire le osservazioni indirette,
un altro degli archetipi astronomici
scientificamente citati da Turrell nei suoi cupi
bunker sotterranei. L'insieme delle esperienze
sensoriali a cui il visitatore potrà esperire nel
Fumarole Space, sia pure in tempi distinti, rappresenta
una sintesi emblematica delle intenzioni
dell'artista al Roden Crater: isolare alcuni
fenomeni, sia percettivi sia celesti dal contesto
ambientale, per sublimarne in questi spazi il
potere, in termini sia fisici sia evocativi,
generando un nuovo livello di consapevolezza nel
fruitore dal punto di vista sia biologico che
spirituale.
Sun | Moon Space
Una volta percorso il ballatoio posto
attorno alla cisterna sferica del Fumarole Space e proseguendo per un lungo tunnel, si
accede al Sun
| Moon Space.
Esiste una serie di sei stampe che mostra un piano
di questa camera, un'immagine della image stone di basalto, presente al suo interno, e
quattro immagini diverse di lune. Qui è infatti
possibile ammirare le sagome del sole e della luna
sulla superficie di una grande pietra di basalto,
la “pietra dell'immagine”, di cui parlavamo in
precedenza. Un camminamento di 275 metri conduce a
un portale che sfocia in un'apertura verso il
cielo. Il tunnel funge da telescopio rifrattore
gigante e contiene una lente molto grande al
centro per focalizzare la luce. L'ambiente si
presenta a pianta circolare, una sorta di enorme
cilindro illuminato da neon nascosti, al cui
centro si erge il gigantesco monolito a pianta
trapezoidale in marmo nero, scelto appositamente
di questo colore per aumentare la brillantezza
dell'immagine della Luna; il più grande blocco
marmoreo mai estratto in America, impreziosito da
un inserto cilindrico in calcare bianco. Le
finiture interne, la forma planimetrica rastremata
e la sezione verticale della galleria, sono tutte
caratteristiche delineate da James Turrell,
proprio per convogliare in questo spazio
sotterraneo l'immagine della Luna quando questa
raggiunge la sua declinazione orbitale più
meridionale, in corrispondenza del suo punto di
arresto maggiore (major
standstil),
indicando così l'inizio di un ciclo di Saros.
L'ambiente funziona come un'enorme camera oscura
in cui i due tunnel di accesso serviranno per
canalizzare sulle due facce del monolito centrale,
rispettivamente, le immagini del Sole e della
Luna: al di fuori della finestra spazio-temporale
offerta dagli eventi astronomici, la camera
ipetrale è inondata da una luce generante un Ganzfeld uniforme e senza punto focale. The Sun | Moon Space, una delle camere già completate,
potrebbe essere la caratteristica più
impressionante. Funziona come una fotocamera a
foro stenopeico, capace di proiettare la luce,
come un obiettivo fotografico, creando
un'immagine. Al centro troneggia una lastra di
marmo di tredici piedi e mezzo, il più grande
pezzo singolo mai estratto negli Stati Uniti; un
tunnel a forma di buco della serratura si inclina
verso l'alto dalla camera per quasi novecento
piedi. Rivolta a sud-ovest, questa galleria
canalizza la luce verso il basso durante l'apogeo
più meridionale della luna. Un secondo tunnel,
orientato verso nord-est, dirigerà la luce del sol
levante perfettamente allineato sui solstizi e
quel sole toccherà il monolito centrale. Una volta
ogni 18.061 anni, quando si ferma al suo punto più
basso nel cielo meridionale, la luna piena
proietterà la sua immagine larga otto piedi sul
retro del monolito, un'immagine così chiaramente
definita che saranno visibili i dettagli del volto
della sua superficie.
Fig. 3 - Sun | Moon Space, James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Una delle strutture
più attivamente impiegate ai fini
dell'osservazione astronomica nel Roden Crater è
sicuramente quella di questa camera ipogea
contenente questo monolito lapideo che con la sua
carica di arcano minimalismo si trasforma in
superficie ricettiva dell'immagine stenopeica
della Luna piena – ai lunistizi – e del Sole – ai
solstizi. Ai cinefili potrà sicuramente ricordare
l'opera di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, ma più nello
specifico ricordano le cosiddette costruzioni
megalitiche note come dolmen (dal bretone antico tol o tuol, “tavola”, e men, “pietra”). Per la
maestosità della costruzione ma anche per le
decorazioni e la preziosità dei beni custoditi al
loro interno indicano come alla funzione
prettamente funeraria se ne fosse poi aggiunta una
religiosa. Un classico esempio di dolmen è quello
che si trova a Newgrange in Irlanda la cui
orientazione astronomica era tale da consentire ai
raggi del Sole nascente di penetrare nella parte
più interna a ogni solstizio d'inverno, attraverso
il dispositivo ottico costituito da un roof box e dal corridoio di
accesso. Un altro esempio di costruzioni
megalitiche a cui si potrebbe rifare è quello dei
menhir (dal bretone men, “pietra”, e hir, “lunga”), elementi litici più o meno
grezzi e di varie dimensioni infissi nel terreno.
Sembra comunemente accettata l'ipotesi che la loro
edificazione fosse legata ai culti solare e
lunare, infatti gran parte di questi menhir furono
eretti con il palese scopo di fungere da marcatori
per segnare il sorgere o il tramontare, sulla
sfera celeste, del Sole ai solstizi, della Luna ai
lunistizi e delle principali stelle.
Alpha Tunnel
Oltre a svolgere un
importante ruolo di collegamento tra il Sun
| Moon Space e l'East Portal, questo tunnel è stato concepito e
realizzato per assolvere al ruolo di vero e
proprio condotto otticamente attrezzato,
risultando il più lungo osservatorio a occhio nudo
del mondo: a tal fine, la sua configurazione
geometrico-strutturale e l'allineamento del suo
asse con una precisa regione celeste sottesa allo
Skyspace aperto nell'East Portal, sono stati prima
attentamente predisposti da Turrell e Walker in
fase progettuale, e realizzati non senza
difficoltà da un'équipe di operai specializzati.
Il profilo della struttura portante è
particolarmente singolare, assume una forma ad
arco a tutto sesto sostenuto da piedritti
verticali alla base, evolvendosi durante la salita
in un caratteristico contorno “a buco di
serratura” (keyhole). La sezione a keyhole del tunnel rimanda all'ingresso
orizzontale di una delle cinque kiva presenti
nell'insediamento della Far View House che gli
indiani Anasazi fondarono, a partire dal XII
secolo, presso Mesa Verde (Colorado). Nella lingua
Hopi, il termine kiva sta ad indicare luoghi utilizzati dai
Pueblo per le loro funzioni religiosi o assemblee.
Solitamente questi ambienti sono a pianta
circolare, sotterranei o semi-sotterranei e vi si
accede con un'apertura sul tetto e delle scale a
pioli. Un'altra delle sue possibili fonti di
ispirazione potrebbe rintracciarsi nel lungo
condotto dell'Antro della Sibilla (Cuma, Italia),
il cui profilo mostra un analogo approccio
processionale e monumentale. Il percorso del
tunnel non è inoltre dissimile da quello che si
trova nella KV9, sigla che identifica una delle
tombe della Valle dei Re in Egitto, la sepoltura
iniziata per Ramses V e usata poi per Ramses VI,
in cui si trova un lungo corridoio di cui non si
vede la fine, facendolo sprofondare in un'oscurità
indistinta.
Fig. 4 - Alpha Tunnel, Baffles, James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Attraversando il moderno corridoio di
Turrell si ha la sensazione di uno spazio
prospetticamente accelerato, e il vero pattern visivo che si impone è quello delineato
dal contorno stroboscopio dei 208 baffles (diaframmi) dai sottili profili
metallici collocati per tutta la lunghezza del
tunnel, che rendono perfettamente continuo, dal
punto di vista ottico, il condotto. I baffles, inoltre, assolvono allo scopo non
secondario di intercettare precocemente la luce
solare proveniente da sud-ovest nel resto
dell'anno, consentendo che anche in quell'ambiente
si generi un potente Ganzfeld. La superficie tra ciascun diaframma è
stata lisciata sovrapponendo alla struttura
cementizia una incannucciata metallica finita a
stucco veneziano di colore blu scuro (lath and plaster): la scelta di questa specifica tonalità
ctonia risiede nella necessità di aumentare il
contrasto visivo per chi, percorrendo il tunnel,
osservi l'area celeste inquadrata dal foro
praticato nell'Alpha Space. La geometria di questa
apertura verrà percepita, durante il percorso in
salita, come un foro circolare, seppur ellittico,
su una superficie verticale, anche se trattasi di
un piano obliquo, producendo un potente effetto
visivo. Esiste un'altra dimensione sensoriale che
accompagna il visitatore nel tragitto lungo l'Alpha Tunnel: quella acustica, curata nei suoi
aspetti fisici dall'ingegnere nipponico Hiroshi
Morimoto. L'intero condotto si trasforma in un whispering tunnel, in cui è possibile pronunciare a bassa
voce qualsiasi parola perché essa venga udita
chiaramente da chi si ponga all'ingresso dell'Alpha Space.
Fig. 5 - Alpha Tunnel, Keyhole
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Come un anfiteatro
greco (in cui i sussurri del palcoscenico sono
udibili nelle gradinate più alte), il tunnel est è
stato calibrato tenendo conto degli effetti
sonori, sensibilizzando gli intenditori d'arte a
spazi acustici spesso ignorati. Dal punto a metà
del tunnel la voce di una persona porta verso il
Sole e lo spazio lunare o, quando è rivolto nella
direzione opposta, verso una camera superiore, il
portale est. Alla testa del tunnel est, un
lucernario è stato tagliato nel soffitto di una
grande stanza ellittica. Questo portale orientale
- uno Skyspace come il primo studio
di Los Angeles modificato di Turrell - dona alla
luce naturale una presenza scultorea. «Il cielo
non è più là fuori», afferma Turrell «è calato nel
nostro territorio». Panchine di arenaria
fiancheggiano le pareti sotto questa apertura,
dove i visitatori del kiva cosmico possono sedersi e contemplare il
pannello quasi tangibile mentre si trasforma da un
velluto azzurro color uovo di pettirosso a nero.
Un'ellisse incassata nel pavimento della stanza
tratterrà la sabbia bianca che, saturata
dall'acqua piovana, rifletterà la luce delle
stelle. Secondo Turrell, il bagliore di Venere da
solo sarà sufficiente per vedere la propria ombra.
Una seconda apertura incornicerà Polaris, o qualunque stella
segnerà il polo celeste in un futuro prossimo.
Questo oculo manterrà la stella centrata mentre
l'osservatorio apparentemente ruota su di essa
come una ruota su un asse. Questo, ovviamente,
sfida la nostra aspettativa di stelle che si
arcuano attraverso il firmamento, ma poiché vagano
solo i pianeti (tutte le stelle sono “fisse”) è
esattamente ciò che accade.
Alpha Space o East Portal
Questo ambiente ha la
forma di un cilindro a base ellittica, il cui
solaio di copertura appare inclinato e forato da
uno Skyspace, anch'esso
ellittico, mentre le pareti verticali di colore
bianco riverberano la luce notturna e diurna:
seduto sulla panca rivestita in pietra che
perimetra l'ambiente, il visitatore ha la
sensazione che il cielo aderisca al foro praticato
nel solaio di copertura. Salendo la scala e
uscendo all'aria aperta, la “membrana” celeste
sembra invece espandersi e trasformarsi in una
grande volta tesa al di sopra del bordo del
cratere. Una volta giunto sul pianerottolo esterno
della scala bronzea il fruitore, guardando verso
il basso, oltre a vedere il lungo condotto dell'Alpha Tunnel che si inabissa nelle
viscere del vulcano potrà osservare l'intarsio
marmoreo pavimentale collocato alla base della
scala e di forma ellittica assumere un contorno
circolare: il percettivo visivo è assai vicino a
quello che si avrebbe osservando la Terra dallo
spazio cosmico. Il sentiero luminescente conduce
all'esterno, verso l'arena piena di luce del
cratere, suggerendo riti di passaggio, rinascita,
risveglio spirituale. È proprio questo lo spazio
che più è ispirato alla configurazione di un kiva, lo spazio risulta
infatti come una moderna e autonoma rielaborazione
dei principi configurativi delle kiva Anasazi anche per la
presenza dell'imponente scala bronzea senza
corrimano, che rimanda ai riti apotropaici
celebrati in quei luoghi anche da altre etnie,
come i Navajo e gli Hopi. In particolare, nella Grande Kiva cilindrica presso
Casa Rinconada (Chaco Canyon, New Mexico), la luce
del Sole all'alba, durante il solstizio d'estate,
penetra attraverso un'apertura rivolta a nord-est,
raggiungendo l'interno della camera cerimoniale e
illuminando totalmente una delle ventotto nicchie
scavate sulla superficie muraria interna. Quindi i
kiva come una sorta di forma prototipica di molti
degli Skyspaces realizzati da
Turrell al Roden Crater (sia l'Alpha che il Beta Space) ma anche in altri
luoghi.
Fig. 6 - Alpha Space o East Portal, Interno
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Fig. 7 - Alpha Space o East Portal, Scala
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
L'orientazione
spaziale degli Hopi era legata ai punti ove si
levava e tramontava il sole ai solstizi (estivo e
d'inverno) e non alle classiche quattro direzioni
cardinali. A queste quattro direzioni di caratura
sacra, piuttosto che cardinale, ne venivano
associate altre due, ovvero il basso e l'alto,
proprio a indicare l'asse verticale associato al
classico mito della traslazione dall'inframondo.
Inoltre, a ognuna di queste direzioni era abbinato
un cromatismo – segnatamente rosso, giallo, blu,
bianco -, che, durante i riti cerimoniali, veniva
evocato attraverso l'uso di sabbie colorate sparse
sul suolo durante le danze propiziatorie. Tra di
esse va menzionata la Snake Dance, celebrata ogni anno dagli Hopi, ma
anche dagli Zuni e dai Pueblo in Arizona e Nuovo
Messico, dove il devoto danzava faccia a faccia
con un serpente a sonagli tenuto stretto nella
propria mano. Nei giorni precedenti tale danza
alcuni Hopi si recavano nel deserto per
raccogliere questi rettili che in seguito venivano
condotti nella kiva e nutriti per alcuni giorni. Nel giorno
della danza per prima cosa i serpenti venivano
posti sui disegni eseguiti con sabbie colorate sul
pavimento delle kiva; i tracciati sabbiosi, rimossi dai
sinuosi movimenti degli animali, costituivano veri
e propri messaggi che gli Hopi affidavano agli
stessi ofidi perché li consegnassero alla Madre
Terra: cancellandoli coi loro movimenti, i rettili
ne assorbivano l'essenza e il contenuto. Al
termine del rituale, i serpenti venivano
accompagnati nel deserto e liberati così da poter
veicolare il messaggio propiziatorio alle divinità
(ad esempio la richiesta di una pioggia copiosa
che potesse incrementare i raccolti). La
riemersione all'aperto del capo clan, attraverso
il foro praticato sulla copertura della kiva, avveniva risalendo
una scala lignea priva di corrimano e sorreggendo
nelle mani i pericolosi rettili. Turrell riferisce
di aver assistito a una di queste cerimonie in cui
l'anziano Gene Sequakaptawa, capo del clan Eagle e
suo collaboratore al Roden Crater, conduceva fuori dalla kiva ben sei serpenti,
restando perfettamente eretto sulla schiena,
durante l'ascesa sulla rapida scala a pioli.
Fig. 8 - Alpha Space o East Portal, Esterno
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Eye of the Crater
Spazio cardine
intorno al quale ruotano tutti gli ambienti del
progetto turrelliano. Modellato come l'interno di
un kiva cilindrico,
circondato da un sedile anulare, l'ambiente si
conclude con uno Skyspace circolare di enormi dimensioni, e dalla
cosiddetta Plaza è possibile fruire dell'esperienza del celestial vaulting. Intorno all'occhio
del cratere infatti sono disposti quattro
basamenti calcarei allineati alle direzioni
cardinali. Questi quattro lettini di foggia
vetero-egizia leggermente inclinati, se ci si
stende sopra e ci si copre gli occhi dal sole
essendo il rim del cratere perfettamente ellittico
e orizzontale, il cielo assume la forma di una
cupola elissoidica il cui apice scende
violentemente da altissime quote provocando nello
spettatore la sensazione di levitare verso l'alto.
La natura materiale della luce - come se tu
potessi toccarla - e la forma del cielo non
possono essere spiegate come fenomeno fisico, ma
sono il risultato della tua stessa osservazione,
un'impressione creata nella tua testa. Nel suo
storico volume Light and Colour in the outdoor, Marcel Minnaert,
biologo e astronomo olandese, ha studiato con
sperimentazioni durate dieci anni. Turrell ha
studiato tali sperimentazioni e le ha fatte
proprie.
Fig. 9 - Eye of the Crater, Interno
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Anche in questo spazio sono attivi due
fenomeni acustici distinti: il primo permette a un
visitatore appoggiato allo schienale della panca
anulare di far sentire il proprio sussurro a chi
si disponga all'estremità opposta della seduta (whispering gallery), il secondo è un fenomeno di eco
percepito soggettivamente solo da chi si
collocherà al centro dell'area coperta da sabbia
vulcanica al di sotto del foro dello Skyspace. A metà del percorso elicoidale di
risalita al centro del cratere è possibile
sbattere violentemente i piedi sul pavimento
perché si generi un rumore tonante che risuona
cupamente in tutti i condotti e le stanze
sotterranee finora realizzate, quasi una memoria
acustica dei boati prodotti dalla remota attività
eruttiva. James Turrell inizialmente voleva
plasmare la configurazione in modo che risultasse
più emisferica, ma un attento rilievo geologico
fece propendere l'artista per correggerne solo
leggermente la forma, livellando il rim, che ora
si presenta perfettamente ellittico e orizzontale.
Fig. 10 - Eye of the Crater, Plaza
James Turrell, Roden Crater
(digital image courtesy of Jeanne Fouad El Hayek)
Ogni elemento
artificiale o naturale nel Roden Crater Project è destinato a
esercitare un potenziamento esponenziale delle
nostre esperienze sensoriali, sempre mutevoli,
come il contesto ambientale che ci ospita. Tutta
l'area intorno al cratere era stata fino a qualche
secolo fa oggetto di saccheggi per la costruzione
di armi poiché il Painted Desert ha nel sottosuolo
un'elevata concentrazione di metalli. Non è
infrequente assistere quindi a temporali
“magnetici” o possiamo assistere al raro fenomeno
del raggio verde, osservato da Turrell con una
certa frequenza dal cratere, dove in quelle
occasioni lo spazio si trasforma per qualche
secondo in un rilucente cristallo dal colore
smeraldo. Infatti, in questo singolare fenomeno il
nucleo magmatico del vulcano agisce come un
gigantesco parafulmine attirando lampi sulla sua
superficie, soprattutto durante il periodo dei
monsoni estivi, quando i temporali costituiscono
una presenza quotidiana nel deserto: allora la
danza elettrica attiva nello spazio aereo
sovrastante il Roden Crater illuminerà di una luce
drammaticamente aliena gli spazi sotterranei.
Per la topografia dell'area desertica, il
raggio verde si manifesta a est all'alba e a ovest
al tramonto. Secondo Craig Adcock, un altro
fenomeno atmosferico potenzialmente presente nel
Painted Desert sarebbe l'aurora boreale. La sua
comparsa, secondo l'autore, produrrebbe ulteriori
mutazioni cromatiche all'interno degli spazi
sotterranei progettati da Turrell.
I bulldozer hanno
spostato più di un milione di metri cubi di terra
e rocce, abbellendo il bordo del cono in un ovale
elegante, livellato uniformemente, una parabola
quasi perfetta. Quattro piattaforme inclinate di
calcare disposte come punti cardinali al centro
della ‘ciotola' invitano gli spettatori a
sdraiarsi sulla schiena, perdendosi in una cupola
fatta di cielo. Qui possono scivolare via dagli
attacchi della Terra, mettendo in discussione la
loro posizione rispetto alla cosa osservata, come
hanno fatto nel portale di fissaggio della stella
polare. Sto guardando in alto o in basso? Cadrò o
leviterò nello spazio? Questa illusione ottica
confonde gli osservatori del cielo ovunque gli
orizzonti siano liberi, ma l'elevazione e
l'inquadramento la intensificano. L'effetto di
questa deliziosa vertigine è noto da secoli e
pittori come Michelangelo l'hanno usato sui
soffitti a cupola per i loro affreschi. La vista
dal bordo del cratere gioca un simile scherzo agli
occhi. Nelle giornate limpide e soleggiate il
paesaggio sembra curvare verso il cielo, in una
sorta di volta a crociera. «In realtà diamo al
cielo il suo colore e la sua forma», ha detto
Turrell in un'intervista. Come un imbroglione,
l'artista cambia entrambi, modificando il contesto
della visione. Ci si può solo chiedere quali altri
assi nella manica abbia questo moderno da Vinci
con le maniche abbottonate.
West Portal (o Beta Space) e Beta Tunnel
West Portal, Beta Tunnel, North Moon Space e Amphitheatre sono spazi ancora in
fase costruttiva che si vanno a disporre
rispettivamente sul crinale ovest del Roden
Crater.
Il West
Portal (o Beta Space) è l'ambiente simmetrico all'Alpha Space, di cui costituirà una sorta di clone,
ma diversamente orientato: l'apertura ellittica
predisposta del soffitto dell'area svolgerà il
ruolo sia di Skyspace sia di camera oscura dotata di foro
stenopeico, canalizzando l'immagine della luna
lungo il gradinato Beta
Tunnel,
formato da baffles metallici e dotato di un'enorme lente
biconvessa che proietterà l'immagine del satellite
terrestre sullo schermo lapideo collocato nello
spazio successivo che fa da contrario al Sun / Moon Space. Un mese dopo il major standstill
lunare, il punto di arresto maggiore o lunistizio
estremo superiore, osservabile nel Sun | Moon Space, sarà possibile tornare ad ammirare la
proiezione parastatica del satellite terrestre
sullo schermo lapideo collocato nel livello
inferiore del North
Moon
Space.
Questo evento si verificherà nella prima serata
del 15 dicembre 2024, anno in cui sarebbe stata
prevista l'apertura al pubblico di tutto il
progetto del cratere. L'ambiente una volta che
sarà realizzato, si presenterà come l'insieme di
tre spazi comunicanti, il primo dei quali
risulterà un cilindro ellittico sormontato da un
catino elissoidico articolato su due livelli:
quello superiore sarà interamente occupato da un
ballatoio anulare che affaccerà, grazie a un
parapetto in vetro, sul vuoto centrale dal quale
sarà possibile vedere la camera inferiore.
Immaginata come un prolungamento del Beta Tunnel, questa sarà raggiungibile proseguendo
la discesa ctonia attraverso un'ultima rampa, il
cui terminale sarà costituito da una pietra
calcarea circolare aggettante dalla struttura
cementizia: proprio questo blocco marmoreo
accoglierà l'immagine invertita della Luna piena,
nella sua declinazione più settentrionale, al
major north standstill di cui si diceva in
precedenza.
North Moon Space
Da un punto di vista
funzionale, il North Moon Space costituirà
l'ambiente gemello del Sun | Moon Space, a conferma di ciò
abbiamo non solo la relativa orientazione
astronomica, ma anche la sua testata formata da
due ambienti comunicanti. Il primo,
planimetricamente circolare, presenterà un'ampia
apertura rivolta al vero ovest, i cui limiti
fisici inquadreranno il tramonto del Sole ai
solstizi (amplitudine occasa). Solo in quelle date
la luce solare penetrerà all'interno dello spazio
attraversando la sottile fenditura verticale
praticata dal monolito in alabastro, dal profilo a
mastaba, posto al centro
dell'anticamera: le proiezioni luminose costrette
ad assumere una configurazione planare
raggiungeranno allora l'ambiente più remoto dalla
caratteristica pianta a forma di “rene”, al centro
del quale un ampio muro concavo verrà spazzato
dalla radiazione solare creando dei Wedgeworks e delle Single Wall
Projections. Più in generale, il North Moon Space sarà invaso da luce
ambientale, sostenuta dalla debole illuminazione
artificiale occultata in alloggiamenti collocati
nel piano di imposta dei sistemi voltati
(elettrificati) che coprono ciascun spazio: in
particolare, la radiazione luminosa, filtrata
dalla pietra traslucida, creerà effetti cromatici
sempre cangianti che implementeranno le variazioni
di illuminazione ambientale. Nel momento in cui la
luce del Sole filtrerà, al tramonto dell'equinozio
di primavera, attraverso il monolito di alabastro,
vedremo giochi di luce del Sunset Entry.
Fuoriuscendo attraverso il vano del North Moon Space rivolto a ovest sarà possibile
continuare il percorso in un complesso e
labirintico circuito di scale e rampe ospitate in
un allungato blocco prismatico la cui facciata
meridionale costituirà la scenografia fissa dell'Amphitheatre.
Amphitheatre e Saddle Space
Posizionato alla base occidentale del
cratere, nell'accogliente invaso creato dalle
colate laviche fuoriuscite in epoche remote, sarà
un classico teatro all'aperto, caratterizzato da
una cavea con gradinate semicircolari concentriche
rivolte verso un palcoscenico multifunzionale a
pianta semiovale, al di sotto del cui calpestio si
articolerà un vano tecnico a doppia altezza:
questo spazio internamente fungerà anche da Skypace dal momento che un'area circolare della
sua copertura – e, per corrispondenza, del
calpestio del palcoscenico – sarà rimovibile
grazie a un pistone idraulico annegato nel
pavimento del livello inferiore. Le
caratteristiche strutturali e illuminotecniche di
questa camera ipogea saranno simili a quelle degli
altri ambienti sotterranei presso il Roden Crater
e, quando non saranno in programma
rappresentazioni, esso funzionerà come semplice
spazio di luce. L'accessibilità diretta all'Amphitheatre sarà garantita da una serie di percorsi
all'aperto che permetterà al visitatore sia viste
panoramiche plurime sul Painted Desert, sia di
reimmettersi nel circuito fruitivo dell'intero
progetto dirigendosi verso sud, sia di abbandonare
definitivamente il sito attraverso la West Entrance: posta alla base occidentale del
cratere, a essa si arriverà provenendo dallo
spazio teatrale dopo aver attraversato un piccolo
Skyspace cilindrico, dalla copertura inclinata,
battezzato da Turrell Saddle Space.
North Space
Una volta usciti dall'East Space, al visitatore si offre una doppia
possibilità di percorso: da una parte può scalare
le pendici orientali del cratere per giungere al Fumarole Space; dall'altra può continuare il percorso
all'aperto seguendo il sentiero tracciato dalla
stella polare giungendo al North Space. Questo complesso è formato internamente
da diversi spazi interconnessi, dentro i quali il
visitatore è invitato a seguire un percorso
processionale, di cui l'artista si serve per
evidenziare e palesare agli occhi di chi osserva
l'integrazione crescente tra cielo e terra.
L'avvicinamento allo spazio celeste, iniziato
dall'uscita dell'East
Space
attraverso un percorso pedonale panoramico,
culminerà in cima in uno Skyspace che l'artista ha denominato Stupa, da un
caratteristico profilo a “campana”.
Uno stupa è un
monumento buddhista, simbolo della mente
illuminata e del percorso per il suo
raggiungimento. Un monumento spirituale, quindi,
che a livello simbolico rappresenta il corpo di
Buddha, la sua parola e la sua mente che mostrano
il sentiero dell'illuminazione. Lo stupa perciò
nel senso più ampio del termine, è una struttura
sacra che riporta alla cosmogonia indiana, ed è la
rappresentazione del microcosmo. Solo in seguito
il buddhismo se ne è appropriato, trasformandolo
in pagoda.
Nel 2010 Turrell ha
realizzato uno Skyspace prendendo come modello uno Stupa, il Within Without, che è molto utile
per capire come intende realizzare lo Stupa in questo
particolare ambiente. Dai rendering infatti
possiamo osservare una specularità interessante
nell'impostazione dello spazio costruito in
Australia e di quello che sarà costruito nel North Space del cratere.
Commissionatogli dalla National Gallery of
Australia, Canberra, Within Without si trova nel nuovo
giardino australiano della galleria sul lato sud
dell'edificio. Si entra in una piramide a base
quadrata con pareti interne color ocra rossa e uno
stupa di basalto al centro
illuminato dall'acqua turchese. Lo stupa ha una camera di
osservazione con uno spazio a cupola che si apre
verso il cielo con una pietra di luna incastonata
al centro del pavimento che riflette l'apertura
dell'oculo sopra. Da qui lo spettatore può
contemplare i cieli che appaiono particolarmente
drammatici all'alba e al tramonto. Quando entri in
una stanza piena di luce, senti un senso di
assenza di gravità mentre i tuoi occhi vengono
ingannati e i colori sembrano cambiare di
intensità e le forme materiali solide si
dissolvono nello spazio. È eccezionalmente
efficace perché sei trascinato in uno stato
trascendentale mentre trascuri il vuoto. La mostra
di James Turrell è essenzialmente un'esplorazione
delle qualità psico-fisiche della luce, del colore
e dello spazio e di come ciò abbia un impatto
sulla percezione individuale di sé e del mondo
circostante. All'interno dello spazio, la luce
sembra più pittorica. Il movimento e il suono si
intensificano, il cielo luccica e pulsa. Turrell
rivela così l'immensità del mondo naturale e la
bellezza dell'architettura celeste. Questo Skyspace offre mancanza di
arte, semplicità, percezione senza fretta.
Il percorso inverso
invece presenterà superfici murarie inclinate
verso il visitatore, al fine di fargli avvertire
una sensazione di accelerazione prospettica, quasi
un senso di vertigine.
«Ci troviamo ai
confini di un oceano d'aria. Siamo noi a creare il
colore e la forma del cielo. Essa non esiste al di
fuori del proprio sé» dice l'artista in merito
allo Stupa. Questo Sky Space si presenterà come
un ambiente in cui alla forma del lucernario si
combinerà la sensazione schiacciante di discesa
del cielo attraverso l'apertura superiore. In
questo spazio l'artista condenserà i tre elementi
perno attorno ai quali si irradia l'intero
progetto del Roden Crater: la terra, l'acqua e l'aria. Attraverso
la modulazione di questi diversi elementi, lo
spettatore sarà costretto a portare la propria
percezione ai suoi limiti massimi, poiché
diventerà sempre più arduo distinguere dove
finisca la luce e dove cominci la struttura
fisica. All'interno dello Space i continui shiftings
cromatico-luministici, sia naturali (luce esterna)
che artificiali (LED) aiuteranno l'osservatore a
riemergere da questo oceano luminoso. Una volta
usciti dall'esperienza totalizzante dello Stupa, il North Space consentirà l'accesso
alla Plaza, che presenterà
alcuni ingressi di locali del servizio di
accoglienza, oltrepassati i quali si penetrerà
all'interno di un ulteriore spazio che Turrell ha
indicato come Camera Obscura. Questa camera
mostrerà la ciclicità del giorno, favorendo
l'esperienza conoscitiva dell'armonia celeste,
attraverso la proiezione sul suo pavimento
coperto, in una zona delimitata da sottilissima
sabbia bianca, del giorno e della notte in tutte
le loro diverse sfaccettature: le stelle della Via
Lattea mostreranno il moto reale della Terra;
nelle notti invernali nella camera ipogea entrerà
la luce della Luna e dei pianeti più prossimi alla
Terra. Con il verificarsi di questi fenomeni e la
possibilità dell'osservazione diretta, sarà così
infine verosimile raggiungere gli infiniti spazi
siderali uscendo dal mondo secolare.
Lasciata alle spalle la Camera Obscura, proseguendo il percorso in un corridoio
illuminato da una fioca luce, si giungerà alla
sommità del complesso denominata da Turrell Rotational Space o Cannon, proprio perché la forma sarà quella di
un cannone con la bocca rivolta in direzione di
un'area specifica del cielo – similmente al
telescopio presente nel South Space – osservando la quale sarà possibile
percepire durante la notte il moto apparente delle
stelle intorno a Polaris. L'osservazione distinta
dei corpi celesti sarà implementata dalla
colorazione nera interna dello spazio, che
aumenterà il contrasto rendendo maggiormente
visibili le stelle allo spettatore. Continua il
riferimento al mondo indiano, in particolare
scientifico, attraverso la scala bronzea
configurata e orientata ispirandosi al celebre
strumento astronomico Samrat Yantra, progettato
dal maharaja Jai Singh presso Jaipur, che apparirà
quindi come un ponte che si staglia verso il cielo
anche se consentirà la riemersione sulla crosta
lavica del Crater al livello dell'Esplanade e attraverso un successivo percorso
pedonale, arriverà alla Sunrise Tearoom, un padiglione isolato dalle perfette
proporzioni sferiche rivolto verso il Sole
nascente.
West Space
Dalla Plaza del North
Space, il
percorso proseguirà verso ovest. Come il North, anche
il West
Space
accoglierà al suo interno una serie di spazi, a
cominciare da un tunnel che porterà al primo degli
ambienti previsti: uno Skyspace a pianta circolare, al cui centro sarà
previsto un lucernario ellittico, e dalla
posizione della panca interna, secondo un tòpos
turrelliano di manipolazione visiva delle sezioni
coniche, i visitatori potranno percepire il
profilo come circolare. In seguito, un altro
tunnel permetterà di accedere a un'ampia sala
prismatica, Veil
Space, in
cui lo spettatore sarà invitato ad avanzare verso
una superficie verticale squadrata apparentemente
sospesa; qui la sensazione visiva che sarà provata
dal visitatore sarà simile, ma assai più intensa,
a quella esperita dai fruitori dei Ganzfeld: sarà infatti come oltrepassare una
soglia dimensionale, penetrando in un ambiente
indifferenziato in cui agiranno i diversi fenomeni
luminosi diurni e notturni, prodotti
dall'evoluzione atmosferica del cielo. Un
ulteriore tunnel poi porterà dal Veil Space al Sunset
Space: qui
Turrell realizzerà una nuova forma ibrida di
installazione in cui agirà al suo massimo la luce
del sole che tramonta. In quel momento infatti
dice Turrell, «la quantità di luce nel cielo
diminuisce, ma l'intensità delle tinte aumenta- i
gialli, gli arancio, i rossi, nella luce attenuata
del sole, e i blu del cielo diventeranno lucidi e
precisi».
Tale cromatico riverbero caleidoscopico
si rifletterà anche nell'ultima propaggine
architettonica del complesso, ovvero la Sunset Entry, un ambiente cilindrico che fornirà
attraverso la giacitura dei muri esterni di
contenimento i limiti solstiziali del tramonto
solare (amplitudine
occasa),
incorniciando anche il sunrise arch (o
anti twilight)
all'alba, opposto a quello visibile dall'East Space al tramonto, ma ugualmente prezioso da
un punto di vista cromatico. Delicate tonalità sul
rosa e sul blu pastello invaderanno la camera alle
prime luci dell'alba, intensificandosi sempre di
più durante l'arco della giornata fino al calar
del sole, la cui luce penetrerà attraverso
l'apertura occidentale della camera, la cui
configurazione sembrerà mutare alchemicamente
forma. Durante i due solstizi poi, si assisterà a
un vero e proprio spettacolo in cui i raggi solari
occidui riusciranno a penetrare e ad invadere la
sottile feritoia verticale incisa nel monolito
lenticolare di alabastro che si troverà sito al
centro dell'ambiente, proiettandosi
anamorficamente per pochi istanti sulla parete
posteriore concava, e quello stesso monolito
fungerà anche da prisma atto a decantare sulle
pareti interne, in forma spettrale, ogni singolo
fotone che raggiungerà la Sunset Entry.
«Sto realizzando spazi che saranno
potenziati dalla luce solare, stellare e lunare.
Ci saranno degli allineamenti molto precisi
correlati a specifici eventi luminosi e
astronomici, ma la maggior parte degli eventi più
interessanti proverranno dalle nuvole collocate
tra la fonte luminosa e la Terra, oppure dalla
neve che si poserà sul pavimento, illuminando dal
basso gli spazi in modo suggestivo. Ci saranno
eventi che sappiamo si verificheranno, ma non
possiamo predire esattamente cosa accadrà. Ho
realizzato questi spazi in modo tale che essi
stessi vedano. Ho messo le cose in moto e poi
toccherà al cratere fare il suo show. Ci sarà
dunque una struttura generale, ma all'interno di
questa struttura c'è una certa quantità di
casualità sulla quale non avrò controllo».
Never
Ending Story
«I can't say it strongly enough: It's not
a question of whether there's money for such a
project: There is. The question is, will people
decide that's what they want to do with it».
Nel 1974, dopo una lunga ed estenuante
ricerca, Turrell trovò il Roden Crater, il sito
che faceva al caso suo: lontano da qualsiasi
inquinamento luminoso e atmosferico, così perfetto
e familiare.
Fa quasi sorridere il
fatto che un luogo di “distruzione”, dove i
vulcani per secoli avevano arso la terra
limitrofa, diventasse ora un luogo di
“costruzione” e questo grazie all'arte.
Come sempre però in
ogni progetto, specie in uno così ambizioso e
colossale come quello turrelliano, i principali
problemi del lento incedere della sua costruzione
sono legati alle numerose peripezie economico
finanziarie che fino ad oggi hanno investito,
travolto in certi casi, l'opera.
Si deve alla Dia
(allora Dia Art Foundation) il primo ingente
investimento alla fine degli anni'70, di circa
300.000 dollari, per la pianificazione del
progetto.
Ironia della sorte al momento
dell'assegnazione di queste prime sovvenzioni il
cratere era su un terreno privato che non era in
vendita. Solo nel 1977 il proprietario terriero,
il magnate delle ferrovie in pensione Robert
Chambers, accettò di vendere la terra e solo
perché aveva stretto amicizia con l'artista
durante gli anni.. Per finanziare l'acquisto del sito
sappiamo che Turrell richiese un prestito come
allevatore di bestiame. Sebbene questa impresa di ranch fosse
inizialmente un mezzo pragmatico di acquisizione
di un prestito, il Walking Cane Ranch si è
dimostrato poi redditizio crescendo fino ad avere
3.000 capi di bovini da carne di prima scelta. Può
sembrare strano a dirsi ma effettivamente
all'inizio l'artista non era conosciuto in America
per le sue opere o per le sue sperimentazioni
luminose ma era famoso per le sue succulente
bistecche.
Mentre molti hanno applaudito
l'ingegnosità e l'imprenditorialità di Turrell
(come ha affermato un intervistatore: «Hai usato
l'agricoltura per fare arte!») è importante
considerare le implicazioni del finanziamento
delle arti con capitale federale per avviare un
ranch di bestiame privato e a scopo di lucro che,
nel corso di quarantacinque anni, ha probabilmente
fallito nel fornire un servizio pubblico
dimostrabile.
Dopo aver acquisito la terra Turrell
trascorse almeno tre anni a modellare sottilmente
il cono del vulcano e a livellare il suo cratere
mentre contemporaneamente si preparava per due
mostre personali per l'anno 1980. Le esposizioni
si tennero entrambe a New York, una presso
l'influente Leo Castelli Gallery e l'altra al
Whitney Museum of Art. Quest'ultima si rivelò
alquanto disastrosa: durante l'esecuzione della light performance due visitatori scambiarono un muro di
luce per un vero muro e caddero a terra avendolo
cercato di usare come supporto. Conseguentemente
entrambi avevano fatto causa al museo affermando
che la natura disorientante della mostra aveva
causato le loro lesioni. Così dopo la seconda
causa il Whitney Museum fece a sua volta causa
all'artista. Sebbene l'incidente alla fine sia
stato risolto in via extragiudiziale Turrell non
si è mai più presentato al Whitney Museum a
dimostrazione evidente che l'incidente ha avuto un
peso significativo (sia psicologico, sia
finanziario) sull'artista.
Gli anni '80 avrebbero solo peggiorato la
situazione dell'artista: la Dia non fu più in
grado di assicurare una copertura finanziaria
costante per il completamento e il mantenimento
dell'opera, rendendosi disponibile però a elargire
speciali sovvenzioni annuali direttamente
all'artista. La crisi petrolifera del 1982 fece
precipitare le azioni Schlumberger di de Menil,
fondatore della fondazione, e la Dia cessò di
corrispondere anche lo stipendio mensile a
Turrell. Poco dopo la fondazione avrebbe iniziato
a vendere opere d'arte della propria collezione
così come molte delle installazioni site specific dei singoli artisti presenti nei musei
acquisite in precedenza. A un certo punto hanno
considerato anche la possibile vendita del Roden
Crater (anche se non è chiaro se avrebbero avuto
il diritto di farlo).
Nel 1982 per volontà di Turrell nasce la
Skystone Foundation, struttura no-profit destinata
a raccogliere i fondi necessari per l'esecuzione e
il completamento del progetto, provenienti sia
dalla vendita delle opere dell'artista sia da
istituzioni e donatori privati. Da questo momento
in cui le potenziali fonti di finanziamento
pubbliche e private per gli artisti si sono
amplificate, Turrell e altri hanno iniziato a
incorporare organizzazioni no profit proprie,
istituzionalizzando essenzialmente le loro
pratiche artistiche. La Skystone Foundation di
Turrell è citata da alcune fonti a partire dal
1982. Sebbene non vi sia alcuna
documentazione pubblica delle attività
dell'organizzazione prima di allora, l'elenco dei
“donatori fondatori” sul sito web del cratere da
un'idea di come poteva essere la partecipazione
privata prima di quell'anno e poi tra il 1982 e il
1999. Sono elencati sette donatori tra cui la
fondazione Dia, la NEA e la Fondazione Guggenheim.
Come precedentemente
sottolineato la fondazione Guggenheim ha fornito
il finanziamento iniziale per il processo di
scouting di Turrell mentre la fondazione Dia ha
fornito fondi per una sovvenzione della NEA che è
stata infine utilizzata per acquistare il ranch
contenente il Roden Crater. La maggior parte dei donatori
fondatori, incluso il conte Giuseppe Panza di
Biumo, Martin Bucksbaum e Nathan Cummings, sono
tutti noti collezionisti d'arte. In quel momento
storico in particolare i collezionisti di arte
contemporanea sarebbero stati motivati a
sostenere o ad essere coinvolti con organismi di
finanziamento privati come Skystone ritenendo
ciò principalmente un mezzo di manovra sociale.
Investendo nella costruzione di un'opera d'arte
che richiederebbe una vita per essere costruita e
che apparentemente non può essere posseduta, la
reputazione di quel collezionista tra galleristi e
commercianti si distingue come più di quella di un
semplice speculatore ma come di qualcuno disposto
a investire su un artista: questo gli avrebbe
potuto aprire le porte, garantendogli l'accesso a
un lavoro migliore e più ricercato. In questo
senso fondazioni private come Skystone sarebbero
potute servire come strumenti per collezionisti e
altri agenti del mondo dell'arte per gonfiare il
loro status e potere all'interno di quel mondo
mentre si rispondeva alle nuove realtà del
mercato. I primi anni della Skystone Foundation
non hanno visto molti progressi sul sito del
cratere. Tuttavia, gli anni ‘80 e ‘90 sono stati
anni produttivi della carriera di Turrell più in
generale come descrive il critico Calvin Tomkins:
«A un certo punto [Turrell] ha scoperto
di poter addebitare una commissione per le
installazioni nelle mostre dei suoi skyspaces fino
a 10.000 dollari per esposizione. Un anno ebbe
sedici mostre personali in questo paese, in Europa
e in Giappone, e guadagnò 160.000 dollari».
Nel 1984, Turrell e
il suo collega artista Light and Space Robert Irwin furono
i primi visual artists a ricevere il
McArthur Genius Grants. In seguito
all'assegnazione di questo premio anche la
MacArthur Foundation è stata elencata come un
donatore fondatore del progetto del Roden Crater,
nonostante il fatto che questo supporto sia
arrivato molto più tardi di quello degli altri
fondatori e in un momento in cui i progressi sul
sito sembravano essere giunti a un punto di non
ritorno.
Il MacArthur Grant è
stato assegnato a Turrell al culmine del tentativo
di vendita dell'opera da parte della Dia, e
probabilmente ha giocato un ruolo importante nel
mantenere il cratere Roden fuori dal mercato.
Nel 1987 la Dia aveva iniziato a
recuperare la salute finanziaria ma la sua
attenzione si era spostata ampiamente.
Alla luce di queste
priorità mutevoli all'interno delle istituzioni
d'arte americane il progetto inaccessibile e
apparentemente apolitico di Turrell appariva nella
migliore delle ipotesi obsoleto e nella peggiore
delle ipotesi un emblema di arroganza e diritto
patriarcale, facendo emergere una evidente
disconnessione tra arte e vita reale. La stabilità
fornita dalla crescente reputazione internazionale
di Turrell così come il sostegno della Skystone
Foundation ha aiutato a proteggere il cratere dal
peso di questo cambiamento nell'opinione pubblica
ma i progressi nel progetto sono stati comunque
lenti. Tuttavia, l'artista ha continuato a esporre
foto, diagrammi e modelli del cratere in mostre in
tutto il mondo; diverse monografie e cataloghi di
mostre che documentano e mitizzano il cratere sono
stati pubblicati durante tutto questo periodo.
Pertanto, forse contro le probabilità di vederlo
irrealizzato, l'interesse e l'impegno per il
progetto sono continuati costantemente.
Risale al 1986 la scoperta da parte
dell'artista della possibilità di accedere a un
prestito fondiario (Farm Credit Loan) se nella sua
proprietà si fosse svolta un'attività di
allevamento di bovini; così alla ricerca di nuovi
introiti per finanziare le attività costruttive
del cratere, inizia un nuovo lavoro di rancher (allevatore).
La fattoria in cui si trova il Roden è in gran
parte di proprietà dello stesso artista e della
Skystone Foundation, mentre una piccola parte è
ancora in possesso dello Stato dell'Arizona, che
ne ha garantito l'uso per i prossimi ottant'anni.
Solo nel 1990 Turrell è riuscito ad ottenere tutte
le licenze necessarie per l'apertura della
fattoria, ottemperando alla normativa locale che
prevedeva il possesso di due aree stagionali di
pascolo ciclico (una invernale e una estiva),
identificate, rispettivamente, con il Kellum ranch
e con il Walking Cane ranch. I semi del
cambiamento furono piantati tuttavia nel 1994
quando Charles Wright, fiscalmente cauto, lasciò
la Fondazione Dia e il giovane, energico,
straordinariamente esperto e ben collegato Michael
Govan prese il suo posto come direttore della
fondazione. L'arrivo di Govan ha ispirato la
speranza di una nuova era d'oro
nell'organizzazione che rivaleggia con la visione
originale di Heiner e Philippa. Immediatamente
dopo la sua nomina si recò in pellegrinaggio a
tutte le opere site
specific
avviate dalla Dia, tra cui il Roden Crater, nel tentativo di riallacciare contatti
con gli artisti che erano stati lasciati in
disparte un decennio prima. Questa speranza
iniziale di re-impegno è stata sprecata però da un
colpo di stato alla fondazione a livello del
consiglio e che è durato per diversi anni.
Nel frattempo, il cratere era
nuovamente nei guai. Nel 1996 Turrell e sua moglie
divorziarono. Quest'ultima nel momento in cui
iniziarono i lavori nel cratere aveva dato un
ultimatum all'artista: o lei e i loro tre figli
piccoli o il vulcano. Turrell scelse il vulcano. L'artista non fu in grado di acquistare
la sua metà della proprietà attorno al cratere e
avrebbe dovuto vendere la terra se non fosse stato
per il sostegno della vicina Fondazione Lannan,
situata dall'altra parte degli insediamenti Hopi e
Navajo tra il Roden Crater e Santa Fe. La missione della Fondazione Lannan era
ed è quella di concedere sovvenzioni a
organizzazioni no profit nell'arte visiva e nella
letteratura contemporanee a sostegno delle
comunità indigene e della libertà culturale. Negli anni che seguirono la borsa di
studio della Fondazione Lannan, Turrell iniziò a
impiegare persone provenienti dalle riserve vicine
e ad offrire spazi per l'apprendistato di artisti
indigeni. Apparentemente era anche impegnato a
costruire relazioni con i funzionari locali della
contea di Coconino. Nel 1997 si accordarono per
proteggere lo spazio del cielo attorno al vulcano
approvando un'ordinanza sul “cielo scuro” che
escludeva qualsiasi illuminazione diretta verso
l'alto entro trentacinque miglia dal sito. Inoltre, i funzionari hanno concordato
di modificare il codice di costruzione per
consentire una nuova categoria chiamata “land-formed
work art” che
ha effettivamente permesso a Turrell di costruire
una rampa pericolosamente ripida di scale di
bronzo senza ringhiere nel suo East Space.
Come sostiene Tomkins, quest'arco di
tempo nella storia del cratere è
caratterizzato da un approfondimento delle
connessioni con i beni e le comunità culturali
della regione, qualcosa che non era stato al
centro del progetto iniziale. Solo nel 1998 sono
iniziati i primi lavori strutturali al Roden
Crater; all'epoca Turrell era ancora ignaro di
dover chiedere un'apposita concessione all'Ufficio
Tecnico della municipalità di Flagstaff, per
quella che a lui sembrava essenzialmente un'opera
d'arte e non architettura. Quando il progetto
approdò alla Commissione edilizia locale, i
tecnici non sembrarono interessati all'intima
natura artistica dell'opera, assumendo che fosse,
in tutto e per tutto, equivalente a un qualsiasi
progetto di lottizzazione, fra l'altro,
potenzialmente, il più alto di tutta l'Arizona,
sopraelevandosi le sue strutture di circa 150
metri dal livello del deserto circostante. Grazie
all'aiuto di un movimento di opinione locale,
Turrell riuscì a dimostrare pubblicamente che il
suo progetto rimandava non tanto alle classiche
tipologie previste dai regolamenti edilizi, quanto
agli ambienti ipogei di natura cerimoniale delle kiva Navajo
e Hopi. Nel frattempo, riuscì anche a convincere
il Building Departement della Coconino County (AZ)
ad approvare un progetto di legge che ha
introdotto una nuova categoria di opere edili,
rubricabili come Land Art, con una specifica
legislazione attuativa in cui il Roden
Crater Project
rientrava pienamente. Nel 1998 Govan aveva ripreso
il controllo della Dia Foundation e durante questo
entusiasmante ritorno la fondazione aveva
ricominciato a finanziare il progetto Roden Crater. Anche se non sono stati pubblicati
rapporti sui progressi pubblici c'è da precisare
però che gli stessi schizzi e modelli dei piani di
Turrell per il sito hanno continuato ad essere
esposti in gallerie e musei di tutto il mondo. Nel
2006 Govan lasciò la Dia per diventare direttore
del Los Angeles County Museum of Art (LACMA) e
contemporaneamente si unì al consiglio di
amministrazione di Skystone.
Sorprendentemente la
Dia non supporta il Roden Crater Project dalla partenza di
Govan e non include Turrell nel loro archivio
online, almeno fino al momento attuale (la ricerca
di “Turrell” o del “Roden” sul sito web della Dia
Foundation non produce risultati).
Tuttavia, il supporto di Govan al
progetto era cresciuto. Poco dopo la sua nomina al
consiglio di amministrazione ha iniziato a
pianificare una retrospettiva di Turrell al LACMA
per la stagione espositiva del 2013. La mostra si
trasformò presto in una retrospettiva di tre musei
con installazioni del lavoro di Turrell che
andarono anche al Museum of Fine Arts di Houston e
al Guggenheim Museum di New York. Nel 2009 durante la pianificazione di
questi successi concomitanti, che hanno
interessato l'intero paese, Turrell e Govan hanno
incorporato una seconda organizzazione no profit,
una fondazione operativa chiamata Turrell Art
Foundation.
In questo caso la
distinzione tra una fondazione operativa e una
fondazione privata come Skystone si riduce
principalmente a una cosa: una fondazione
operativa deve dimostrare di avere un sostegno
pubblico sufficiente. Le fondazioni private non
hanno tale requisito e spesso ricevono la maggior
parte delle loro entrate da un singolo donatore o
famiglia. Inoltre, poiché la fondazione operativa
si basa sul sostegno pubblico in teoria è tenuta a
standard di servizio pubblico più elevati. Sebbene
non sia insolito che una fondazione operativa sia
associata a una fondazione privata non è chiaro
perché il progetto del Roden Crater avrebbe potuto trarre beneficio da tale
struttura organizzativa. Grazie alla Ashton
Company Inc. di Tucson (Arizona), la prima
compagnia impegnata dal 1999 nei lavori di
modellamento del cratere, è stato possibile
avviare la fase 1 del Project che prevedeva la costruzione dei primi
spazi ipogei del Sun|Moon Space, dell'Alpha Tunnel, dell'East portal (o Alpha Space) e dell'Eye of the Crater.
Il completamento di
questi ambienti è avvenuto nel 2006 ed è stato
possibile grazie agli investimenti del 1995 della
Nathan Cummings Foundation e soprattutto a quelli
del 1996 della Lannan Foundation. La Dia, una
volta completati tutti i lavori, si è impegnata a
gestire la futura vita del Roden Crater Project, non solo attraverso
la programmazione e l'organizzazione delle visite
ma anche provvedendo alla sua manutenzione
ordinaria e straordinaria. Il 2016 è stato il
primo anno dalla fondazione della Turrell Art
Foundation che ha incluso un elemento
pubblicitario nel loro prospetto delle spese
funzionali che ha designato fondi per “Spese di
programma – Skystone”. Nel 2016 la spesa annuale
per questa categoria è stata di 625.000 dollari.
Nello stesso anno la Skystone Foundation ha
investito oltre 2 milioni di dollari in
obbligazioni societarie di grandi banche e altri
1,7 milioni di dollari in case automobilistiche e
compagnie petrolifere. Questi acquisti non
tenevano conto delle recenti tendenze verso
investimenti a impatto e disinvestimento di
combustibili fossili assai popolari tra le
fondazioni e le comunità filantropiche nell'ultimo
decennio. Data la probabilità che il sostegno
pubblico a un progetto di land art come il Roden Crater possa essere influenzato negativamente
dalla consapevolezza pubblica delle loro pratiche
di investimento ha senso pensare che il
mantenimento di un ente finanziario pubblico
associato a uno privato sarebbe potuto risultare
utile. Questo potenziale interesse a nascondere le
attività finanziarie del progetto invita a
speculare su altri modi in cui il team del Roden Crater avrebbe potuto
oscurare alcune delle proprie politiche
amministrative.
Quell'anno la Skystone Foundation fece
causa al rapper Drake per aver plagiato il lavoro
dell'artista nel suo popolare video musicale Hot Line Bling. Nella pubblicità che circonda lo
scandalo le dichiarazioni di Turrell, rilasciate
dal suo avvocato, presentano un'immagine mite e
giocosa dell'artista. Quest'ultimo è citato e
avrebbe detto: «Drake ha onorato il mio lavoro» e
avrebbe poi scherzato sul fatto che «più persone
hanno sentito parlare di me attraverso Drake che
in ogni altra occasione». In questa circostanza il personaggio
dell'artista ha preso decisamente le distanze dal
suo rappresentante legale litigioso. Assumere il
primo direttore esecutivo di Skystone ha
ulteriormente ampliato la distanza tra il
personaggio dell'artista e il lato commerciale
della sua impresa. Appena un mese dopo la prima
notizia dell'episodio di Turrell con Drake,
Skystone ha annunciato Yvette Y. Lee, ex direttore
del programma della Fondazione Guggenheim, come
primo direttore esecutivo che ha continuato a
capitalizzare speculando sulla visibilità
mediatica che l'artista stava ottenendo in quel
momento a seguito della causa.
Più tardi nello stesso anno Lee e il
consiglio invitarono una sessantina di donatori a
sperimentare il sito di persona per un prezzo del
biglietto ampiamente pubblicizzato di 6.500
dollari a persona.
Nelle giornate del
14, 15, 16, e 17 maggio del 2016, per dare
nuovamente risalto al cratere e per ottenere
ulteriori finanziamenti, vengono erogati biglietti
per l'ingresso agli spazi al costo di 5.000
dollari, più 1.500 per il soggiorno nell'albergo,
un tour, una cena “in situ”, e la colazione la
mattina seguente.
È importante
sottolineare che hanno anche avviato una presenza
sul web più sostanziale per il progetto e
pubblicato le prime immagini di spazi completati
nel vulcano. Queste decisioni in merito a una
rinnovata visibilità hanno segnato la prima prova
dei progressi sul sito in costruzione almeno dal
2002 e notevoli miglioramenti in tal senso. Sono
stati rappresentati sei spazi e le immagini
coreografiche disorientanti, i vertiginosi
rendering hanno ispirato meraviglia, invidia e
confusione. Negli anni da quando Lee è stato
assunto, Skystone è cresciuta esponenzialmente.
Nel 2016 ha ricevuto la sua più grande
donazione di sempre 10 milioni di dollari
dall'investitore miliardario David Booth che ha
aumentato le sue attività nette di oltre il 200%.
Mentre le registrazioni più recenti documentano
solo le donazioni fino al 2017, l'organizzazione
ha fatto notizia nel 2019 quando il rapper Kanye
West ha donato 10 milioni di dollari al progetto.
Curiosamente i media
popolari hanno incorniciato questa storia come un
episodio nella faida pubblica in corso tra Drake e
Kanye come rivali nello stesso panorama musicale.
Poiché Turrell aveva portato Drake in
tribunale anni prima la donazione di West è stata
vista da alcuni come motivata dalle dinamiche
sociali della celebrità del rap contemporaneo più
che da un gesto filantropico. In realtà il rapper è un appassionato
di arte e del lavoro sulla luce compiuto
dall'artista, e un'altra grandissima opportunità
di visibilità per il progetto è stata data in
seguito alla realizzazione di un nuovo film in
collaborazione con IMAX con riprese di una serie
di sue performances del Sunday Service ambientate
nel cratere. «Girato nell'estate del 2019, Jesus Is King dà vita al famoso Sunday Service di
Kanye West nel Roden
Crater,
l'installazione inedita dell'artista visionario
James Turrell nel Painted Desert dell'Arizona», si
legge in un comunicato pubblicato da IMAX, con
notizie di proiezioni nei cinema a partire dal 25
ottobre. «Questa esperienza unica nel suo genere
presenta brani arrangiati da West nella tradizione
gospel insieme alla musica del suo nuovo album Jesus
Is King, il
tutto presentato nel suono coinvolgente e nella
straordinaria chiarezza di IMAX».
Sulla scia di quella storia l'Arizona
State University (ASU) annunciò che avrebbe
aiutato Skystone a raccogliere almeno 200 milioni
di dollari nei prossimi due anni per completare la
costruzione del progetto del cratere e a costruire
l'infrastruttura fisica e amministrativa
necessaria per accogliere i visitatori del sito. Sebbene questa collaborazione sia
ancora nelle sue fasi di pianificazione
l'obiettivo è garantire il sostegno finanziario
per il Roden Crater in perpetuo, nonché un accesso
privilegiato per gli studenti ASU per imparare dal
sito attraverso le diverse discipline implicate.
In un comunicato dell'ASU l'iniziativa è
stata propagandata come «la prima significativa
impresa accademica costruita attorno a un'opera
d'arte singolare».
In una transazione
correlata il Presidente dell'ASU ha recentemente
collaborato con Michael Govan anche al LACMA
guidando congiuntamente un'iniziativa per creare
leader per un campo museale più inclusivo. Al
momento della negoziazione di questa iniziativa
LACMA, Govan era anche presidente del consiglio di
amministrazione di Skystone. Questi tipi di
relazioni interistituzionali non sono insolite né
necessariamente condannabili; tuttavia gli
interessi sovrapposti dei vari ruoli istituzionali
di Govan mostrano come possano esserci linee
sfocate tra relazioni personali e istituzionali
nelle arti. A causa di questi recenti sviluppi
della raccolta fondi e probabilmente di altre
grandi donazioni che non sono riuscite a fare
notizia, il completamento del Roden Crater
Project è ora previsto entro i prossimi cinque
anni. Che aspetto avrà in termini di accesso del
pubblico deve ancora essere visto ma date le
strutture attualmente esistenti sembra probabile
che il sito rimarrà semi-privato e accessibile
principalmente a coloro che sono rappresentati da
organizzazioni che hanno investito nel lavoro come
ASU e LACMA.
La nuova e innovativa
collaborazione tra Turrell e l'Arizona State
University contribuirà quindi a completare l'opera
magna dell'artista ai margini del Painted Desert,
rendendolo accessibile a molte più persone in
futuro e sviluppando una componente accademica
indispensabile per Turrell, al fine di condividere
la sua visione artistica e ispirare la pratica
interdisciplinare e stimolare sempre nuovi
approcci alla creatività. Se da un lato l'impresa
cerca di raccogliere almeno 200 milioni di dollari
per preservare l'eredità di Turrell costruendo
infrastrutture sul sito, incluso un centro
visitatori, e volendo garantire la conservazione
di uno dei beni culturali più famosi della
nazione, dall'altro darà nuove opportunità di
formazione accademica uscendo dai confini
disciplinari. È sicuramente un progetto davvero
ambizioso ma sarà un investimento che gioverà da
qualunque lato lo si guardi.
L'ASU e la Skystone Foundation sono nel
bel mezzo di un processo di pianificazione annuale
per determinare la portata del progetto e
organizzare programmi accademici. Un corso online
è ora in fase di sviluppo con Turrell e quattro
corsi di laboratorio si sono svolti nella
primavera del 2019 in cui gli studenti ASU hanno
visitato il sito. Il lavoro di Turrell al Roden
Crater è una fusione di arte, ingegneria,
astronomia, architettura e neuroscienza, e tale
approccio si adatta perfettamente all'ASU, secondo
Steven Tepper, decano dell'Herberger Institute for
Design and the Arts.
«Questo unico
progetto è uno dei migliori esempi di esplorazione
interdisciplinare che abbiamo. È una straordinaria
espressione artistica ed estetica, una
straordinaria impresa di ingegneria, uno spazio
straordinariamente riflessivo e contemplativo in
un mondo che sembra essere molto frettoloso. Ti
porta fuori dalla tua normale routine e ti pone in
uno spazio di trasformazione per sperimentare il
mondo».
Come sostiene
Tomkins, la storia del cratere Roden è
caratterizzata da connessioni assai profonde con i
beni e le comunità culturali della regione, e un
qualcosa che non era stato al centro del progetto,
il bestiame, è tornato più utile del previsto
fungendo da cuscinetto attorno al cratere e
impedendo conseguentemente qualsiasi forma di
sviluppo.
Il capoluogo della
contea di Coconino, Flagstaff – l'unica grande
città nelle vicinanze - ha da tempo “abbracciato”
i cieli, assai adatti per osservare le stelle.
Mezza dozzina di telescopi principali circondano
la città, incluso quello da cui fu scoperto
Plutone (da allora è stato retrocesso da pianeta a
pianeta nano). Nel 1958 Flagstaff ha implementato
restrizioni di illuminazione che si pensa siano
state le prime al mondo. La città e la contea
hanno approvato parecchie ordinanze di
illuminazione negli anni'80 e gli attivisti del
cielo oscuro di oggi continuano a educare i
residenti locali sui modi per preservare la notte
e le sue meraviglie.
Agli inizi del 2020, il miliardario
americano Mark Pincus, fondatore della società di
giochi online Zynga, ha donato 3 milioni di
dollari al Roden
Crater Project. Il
regalo è stato annunciato da Marc Glimcher della
Pace Gallery, che ha interpretato le opere di
Turrell con Kayne Griffin Corcoran al Frieze di
Los Angeles in occasione di una festa privata in
onore dell'artista al San Vicente Bungalows di
West Hollywood il 13 febbraio. «Il progetto stesso
sembra, per me, come le piramidi di oggi», ha detto Pincus al Los Angeles Times.
L'ambizione e la portata di esso sono qualcosa che
ha il potenziale per ottenere che le persone, da
molte generazioni a oggi, possano essere in grado
di provare qualcosa di straordinario, forse
qualcosa al di là di ciò che possiamo immaginare
oggi». Turrell, che non è apparso alla festa,
che vantava molti partecipanti di alto profilo -
tra cui l'attore Leonardo DiCaprio, la tennista
Maria Sharapova e il Museum of Contemporary Art,
il regista di Los Angeles Klaus Biesenbach - ha
detto al Times: «Il supporto di Mark arriva in un
momento cruciale. Il progetto sta vivendo un
grande slancio e questo porterà ulteriori
progressi».
Grazie a questi
recenti sviluppi della raccolta fondi e
probabilmente ad altre grandi donazioni che non
sono riuscite a fare notizia, il cratere Roden
dovrebbe ora essere completato entro i prossimi
anni: l'apertura era infatti prevista per il 2024
e recentemente è stata posticipata al 2026.
Nel frattempo, l'Arizona State University
in collaborazione con la Skystone Foundation e la
campagna crowdsourcing Friends of Roden Crater
stanno raccogliendo fondi per le fasi finali di
costruzione e per le spese operative per il
progetto.
Come abitante del
deserto, nonostante possa sembrare un artista
piuttosto recluso, Turrell non si sintonizza solo
con l'ambiente naturale, ma anche con la qualità
dell'esperienza del visitatore. Quando
l'osservatorio si aprirà finalmente al pubblico
solo quattordici persone al giorno potranno
entrare al suo interno e anche meno potranno
pernottarvi. Un giorno alla settimana sarà
riservato ai soli studenti. Incerto se la domanda
supererà la capacità di carico dell'osservatorio,
Turrell considera di concedere l'accesso
attraverso una lotteria: i vincitori possono
ringraziare le loro stelle fortunate mentre le
osservano attraverso le aperture del cratere. Le
migliori ore di visione generalmente cadono tra il
periodo pre-alba e un po' dopo l'alba e tra il
tramonto e la mezzanotte. Come un bravo padrone di
casa Turrell ha anche costruito una piccola lodge per gli ospiti,
parzialmente nascosta in una parte del cratere. Ha
persino progettato i suoi mobili, e nei diversi
spazi saranno infine ripiantati fiori ed erbe
autoctone: più in generale tutte le aree
disturbate durante la costruzione dei diversi
ambienti saranno ripristinate per la fauna
selvatica, riportate alle loro origini, in modo
tale che i passanti difficilmente noteranno una
differenza nel cratere dopo che tutto il lavoro
sarà portato a termine.
Nelle credenze Hopi,
esiste una divinità, Maasawu, che preserva
l'equilibrio del mondo ma che allo stesso tempo
può anche nuovamente stravolgerlo: una creatura
dualistica appunto, signore sia della vita sia
della morte, creatore e distruttore. Questo
dualismo che si incarna nella figura di Maasawu è
abbastanza comprensibile se si osserva il Painted
Desert con la sua sterminata serie di vulcani:
guardando l'intero territorio sfregiato, dilaniato
dal carattere divino o bruciato dallo
sconvolgimento tettonico, diventa facile accettare
la distruzione come gemello indispensabile della
creazione. Ciò che la natura solleva con una mano
la cancella con l'altra. Tra i cataclismi però il
nostro genere può prosperare: se in un futuro
imprevedibile l'area vulcanica di San Francisco si
risveglierà, il fuoco sottostante saluterà
nuovamente la luce in un'altra esibizione di
terribile bellezza; fino ad allora il Roden Crater
attirerà il nostro timore reverenziale e la nostra
attenzione su questa pianura abbronzata dal sole.
Conclusioni
Dopo questo imponente
percorso attraverso le diverse parti che
compongono il Roden Crater e le sue peripezie
finanziarie (che però sembrerebbero volte al
termine) occorre evidenziare alcuni aspetti per
effettuare una sintesi efficace di tutto ciò che
rappresenta questa opera, somma e punto di arrivo
di una speculazione durata quasi cinquant'anni.
Alla luce delle sue diverse componenti, senza
ulteriori indugi, credo si possa affermare che il
Roden
Crater
Project rappresenti un esempio supremo di ciò
che nella contemporaneità abbiamo registrato sotto
l'etichetta di ‘Architettura liquida'. Troviamo
infatti qui declinate tutte quelle componenti che
sono emerse in altri edifici, strutture
architettoniche che possono fregiarsi di questo
titolo.
Il cratere Roden si
distende su una vasta pianura, uno dei coni più
orientali nel campo vulcanico. Il profilo basso ed
eroso del vulcano principale è quasi simmetrico e
certamente sensuale, baciato dal sole arrossisce
all'alba, si imbianca di neve, si scurisce sotto
le tende di pioggia che possono o meno bagnare il
terreno e di tanto in tanto dipingono arcobaleni
nel cielo sovrastante. La vista dal bordo apre il
mondo come un obiettivo fish-eye. A sud e ad ovest, sopra le colline e le
foreste di pini, le cime di San Francisco si
inclinano verso il cielo. Navajo Mountain si
gonfia all'orizzonte settentrionale, più sogno che
realtà. Verso est, oltre le Grand Falls del Little
Colorado, dimora la maggior parte della
popolazione Navajo.
«Un deserto di pura sensazione. E l'ho
letteralmente portato nel deserto. La verità è che
le persone che amano il deserto sono pazze. O il
deserto attira le persone che sono pazze, o dopo
che rimangono nel deserto abbastanza a lungo
diventano così. Non è diverso con l'arte. Non sono
sicuro di quale sia il primo. Ma dopo essere stato
qui abbastanza a lungo, che differenza fa?».
James Turrell ha paragonato le linee
morbide e sensuali del suo cratere alla celebre
tela di “labbra scarlatte nel cielo” di Man Ray:
«Alle sette del mattino, prima di soddisfare una
fame immaginaria – il sole non ha ancora deciso se
sorgere o tramontare –, la tua bocca viene a
soppiantare tutte queste indecisioni. Unica
realtà, che dà valore al sogno e ripugna al
risveglio, essa rimane sospesa nel vuoto, fra due
corpi. La tua bocca stessa diventa due corpi,
separati da un orizzonte sottile, ondulato. Come
la terra e il cielo, come te e me […]. Labbra del
sole, mi attraete incessantemente, e nell'istante
che precede il risveglio, quando mi distacco dal
mio corpo […] vi incontro nella luce neutra e nel
vuoto dello spazio e, unica realtà, vi bacio con
tutto ciò che ancora rimane in me: le mie labbra».
Già solo osservando
il cratere da lontano col suo pendio scosceso e
quell'immagine sensuale che a Turrell fa ricordare
labbra umane, ritroviamo la linea obliqua: un
vulcano spento dalle forme sinuose, morbide.
L'imponenza e l'eleganza del suo profilo
trasmettono dinamicità non solo esternamente:
tutti gli spazi concepiti al suo interno hanno una
presenza costante di linee oblique che si
intersecano tra loro, creando gorghi. Il tema
della spirale è evidente all'interno del percorso
a cominciare proprio da dove inizia il tour, con
il ballatoio che gira intorno esternamente alla South Lodge e le scale a
chiocciola che vorticano verso l'interno. Forme
ellittiche e oblique ci si presentano
costantemente davanti ipnotizzandoci con una
conseguente rottura degli schemi tradizionali, dei
parallelismi e delle simmetrie “classiche”.
Turrell ci illude che si tratti di forme
geometriche tradizionali ma è evidente che queste
lasciano il posto a geometrie non euclidee e a
rovesciamenti prospettici continui.
«Ero interessato anche alla matematica.
La geometria euclidea è meravigliosa, ma non puoi
arrivare sulla luna con la geometria euclidea.
Devi usare la geometria riemanniana dove nello
spazio la linea curva è la più vicina tra due
punti. Ti rendi conto che devi passare a questo
livello successivo se hai intenzione di parlare di
visione. Devi parlare di luce e non solo di luce
riflessa dalla superficie, che ha a che fare con
la pittura».
La natura si muove
attraverso schemi non geometrici: le nuvole non
sono sfere, un fiume non è una semplice linea, le
montagne e quindi anche i vulcani non possono
essere definiti semplicemente coni. Non abbiamo
nemmeno una vera e propria facciata ma, come in un
tempio classico, qui troviamo per accedere al
cratere diverse scale e “scalette”: mi riferisco
nello specifico a quella esterna all'East Space o quella interna
dello stesso ambiente. A seconda di come le
osserviamo mutano le loro funzioni simboliche: ad
esempio invece di innalzarci e assottigliare le
distanze tra noi e il cielo, ci può condurre agli
inferi, all'interno di un cratere vulcanico,
immergendoci nelle viscere della terra. Qui tutto
è silente e il vulcano tace, ma ciò che vediamo al
suo esterno è stato il frutto di smottamenti
terrestri, movimenti ondulatori della terra,
colate di lava che hanno disegnato i pendii
vulcanici, tingendoli di rosso sanguigna. Liquido
viscoso dalle profondità della Terra è qui
riemerso, e fuoriuscendo si è poi andato a
solidificare e a stratificare cingendo in un caldo
abbraccio il Roden Crater. In un mare desertico il
cratere ci appare dunque in tutto il suo splendore
con le sue onde colorate.
Abbiamo ribadito più
volte che si tratta di un tempio della luce e
dunque la parte inerente all'illuminotecnica e
alle sperimentazioni luminose trova nei diversi
spazi del cratere declinazioni sempre nuove ed
originali. Attraverso l'utilizzo di luce
artificiale e naturale, Turrell plasma i diversi
spazi che mutano costantemente nelle diverse ore
del giorno, stimolando le nostre percezioni: dai
veri e propri Ganzfeld, quindi spazi totali di
luce, si passa agli effetti luminosi “orientati”
degli Skyspaces, fino a tipologie di illuminazione
minime, altamente suggestive, che incorniciano i
diversi fenomeni atmosferici e astronomici che
saranno proiettati nel corso degli anni in alcuni
degli spazi preposti a tale scopo. Il Roden Crater
assume quasi le fattezze di un organismo vivente,
è un luogo metamorfico e camaleontico: di giorno,
di notte, nelle diverse stagioni e in differenti
condizioni climatiche muterà costantemente durante
l'anno, creando una struttura dinamica e sempre
diversa.
Un altro tema
profondamente sentito e rappresentato in questo
luogo è quello dello specchio. Reso possibile non
solo materialmente attraverso la costruzione di
vasche, piscine, bacini d'acqua ma anche
attraverso le proiezioni dei fenomeni astronomici
su pannelli, monoliti e strumenti astronomici
quali cannocchiali (che tra i loro componenti
annoverano lenti e specchi) che diventano centrali
come portatori di esperienze sensoriali e
riflessioni filosofiche.
La Sky Bath del Fumarole Space ma in particolare
quelle presenti nell'East Space progettate dall'artista riflettono le
lame luminose che penetrano nelle fessure tra i
muri in cui gli effetti della luce saranno
amplificati anche dall'apertura soprastante
l'ambiente. L'acqua nelle vasche non rifletterà
però soltanto la luce proveniente dall'esterno ma
anche noi stessi nel momento in cui ci
avvicineremo per osservarle; scrutare poi i
fenomeni celesti all'interno del cannocchiale e
delle sue lenti o l'immagine riflessa degli astri
sui monoliti posti da Turrell in altri spazi
permetterà di vedere un riflesso del riflesso.
Le aperture di cui
l'artista ha dotato tutti i suoi spazi sono occhi
che guardano all'interno e ci permettono di
guardare al di fuori. Uno spazio si carica nello
specifico di questo apparente paradosso, l'Eye of the Crater che non a caso è
l'ambiente intorno a cui ruota tutta la complessa
struttura del progetto turrelliano e a cui
l'artista ha voluto dare rilievo nel momento in
cui l'ha denominato appunto l'Occhio del Cratere. Sembra quasi di
ritrovarci in uno dei quadri più famosi di René
Magritte che non a caso si chiama Il falso specchio e ci presenta in
tutta la sua interezza un grande occhio celeste:
il dipinto infatti inquadra un grande occhio che
esclude il resto del volto a cui appartiene.
L'iride appare come una finestra circolare che si
affaccia su un cielo attraversato da nuvole
bianche. La pupilla è raffigurata come una sorta
di sole nero in bilico tra la superficie del globo
oculare e lo sfondo celeste.
Magritte ha
rappresentato soggetti verosimili (il cielo,
l'occhio, la pupilla-sole) ma accostati in modo
inverosimile. Il procedimento usato è quello del
paradosso visivo, tipico dei surrealisti, che
consiste appunto nel giustapporre elementi che
appartengono alla nostra esperienza quotidiana ma
che non hanno alcuna relazione logica fra loro. In
questo modo essi assumono un carattere enigmatico
e costringono l'osservatore a usare la sua
immaginazione per dare un senso all'opera.
L'ambiguità dell'immagine è sottolineata
anche dal titolo Il
falso specchio. Il
cielo è un riflesso del mondo esterno sulla
superficie dell'iride oppure è il riflesso di
un'immagine interiore del soggetto a cui l'occhio
appartiene? Il cielo nell'occhio è ciò che l'uomo
sta vedendo o è il desiderio che lo abita? Il
titolo orienta la risposta: un falso specchio è
uno specchio che non riflette. Dunque, ciò che
vediamo viene dal di dentro di quell'uomo. La
pupilla è senza luce perché, appunto, non è
proiettata fuori ma vede dentro. E dentro danzano
cielo e oscurità. Impossibile all'uomo vivere
senza un accordo tra realtà esterna e realtà
interna. Il pittore, anche se dipinge scene
verosimili, non “riproduce” mai in modo pedissequo
il vero visibile, anzi non lo riproduce affatto,
almeno non secondo l'assioma di Paul Klee, che
recita: «L'arte non riproduce ciò che è visibile,
ma rende visibile ciò che non sempre lo è».
È soprattutto lo
sguardo del pittore e dopo di esso quello
dell'osservatore a fare di un quadro (di una
superficie coperta in fin dei conti soltanto di
macchie colorate) un'opera d'arte.
«I quadri li fanno coloro che li guardano» ha affermato Marcel Duchamp, e quindi
dapprima il pittore e poi il suo pubblico, un po'
come Turrell quando spiega che concepisce degli
spazi di luce a cui però a dare il senso e il
significato ultimo è indispensabile il contributo
del fruitore.
«Chiudi il tuo occhio fisico così da
vedere l'immagine principalmente con l'occhio
dello spirito. Poi porta alla luce quanto hai
visto nell'oscurità, affinché si rifletta sugli
altri, dall'interno verso l'esterno».
Sulla stessa scia si inseriscono anche le
speculazioni di Cézanne: «Chiuda gli occhi,
attenda, non pensi a niente. Li apra […] che dice?
Non si vede che un immenso ondeggiare colorato,
no? Un'iridescenza, dei colori, una ricchezza di
colori. Questo deve darci il quadro in primo luogo
[…] un abisso dove l'occhio sprofonda, una sorda
germinazione. Uno stato di grazia colorato. Tutti
questi toni vi penetrano nel sangue, vero? Ci si
sente rianimati. […] si diventa se stessi, si
diventa pittura». «L'occhio per vedere e per comunicare
con la visione dell'artista deve a sua volta
comportarsi da visionario». Il quadro diventa un enigma, un rebus
da risolvere, e le immagini agiscono da stimolo
per la mente dell'osservatore, pongono un
interrogativo. «O mi sforzo di non dipingere se
non immagini che evochino il mistero del mondo.
Perché ciò sia possibile, devo essere ben vigile,
ossia devo cessare di identificarmi interamente
con idee, sentimenti, sensazioni. (Il sogno e la
follia sono, al contrario, propizi a
un'identificazione assoluta)».
Il nostro occhio funziona quasi a
specchio, la retina invia al cervello quello che
viene riflesso. Magritte focalizza la retina come
parte che trasmette, c'è il detto che dice “gli
occhi sono lo specchio dell'anima”, in riferimento
a ciò René attraverso il cielo individua qui la
sfera interiore. Tale volontà di intraprendere
questo percorso di ricerca è nata nell'artista
belga in seguito alla scoperta della metafisica di
De Chirico: «È stato uno dei momenti più
emozionanti della mia vita: i miei occhi hanno
visto il pensiero per la prima volta», disse davanti a una riproduzione di Le chant d'amour. Il
falso specchio è
quindi un'opera che condanna la verità
dell'immagine, le nuvole dell'illusione: un grande
occhio mette in crisi il mondo. Esiste un duplice
punto di vista, essere e apparire.
L'ambiguo oscillare dell'immagine tra
realtà e finzione, l'attrazione per le atmosfere
notturne e crepuscolari, per gli stati di
sospensione e di ansietà collegano l'illusionismo
onirico di Magritte, volto a creare
nell'osservatore un cortocircuito visivo, alle
speculazioni percettive di Turrell: «see yourself
seeing» ovvero vedere sé stessi nell'atto di
vedere. Il fenomeno di questa visione riflessiva è
stato più volte architettato dall'artista prima
ancora che nel Roden all'interno dei suoi
Skyspaces. Lo spettatore infatti, immerso in un
ambiente cangiante, deve soffermarsi a
sperimentare le variazioni di luce che cambiano in
base alla stagione, al giorno, all'ora e al tempo.
Di questi ultimi in precedenza abbiamo preso in
esame diversi esemplari, in cui avevamo
evidenziato come oltre alla caratteristica
attenzione agli aspetti luministici, l'artista
avesse previsto una stretta connessione con
l'ambiente circostante in cui andava ad inserirsi
lo space e come alcuni siano stati dotati
intorno, o internamente, di vasche d'acqua,
specchi in cui non solo si riflettevano gli
spettatori ma anche gli stessi effetti luminosi.
Commissionato nel
2001, Stone
Sky, 2005, è quello che più di tutti stimola
la riflessione sul tema dello specchio e del
riflesso: comprende infatti un padiglione e una
piscina a sfioro che si estende verso il
fondovalle e le vette vulcaniche al di là.
L'installazione di Turrell all'interno del
padiglione aperto riporta un quadrato di cielo
sulla sua sommità, ma ciò che più stupisce è la
piscina in cui è stata inserito una sorta di
gigantesco monolito che si rispecchia sulla sua
superficie. Nuotando sott'acqua alla fine della
piscina si emerge all'interno dello Skyspace vero
e proprio di forma cubica, il cui interno è
rifinito in teak.
Provocando
all'interno del cratere vari effetti visivi e
multisensoriali, che vanno dall'esaltazione dei
fenomeni luminosi fino alla percezione dei suoni
dell'universo, le camere progettate dall'artista
non invitano solo alla riflessione, ma funzionano
come sofisticati osservatori astronomici ad occhio
nudo, dove il visitatore può catturare ed
interagire con la luce solare, lunare e stellare.
Gli effetti di luce sono poi favoriti dal basso
grado di umidità e dalle particolari condizioni
climatiche asciutte proprie del deserto, nel quale
ogni stimolo sensoriale, visivo, acustico e
tattile subisce una dilatazione senza precedenti.
L'idea di Turrell è stata quindi quella di
trasformare il Roden Crater da semplice cratere
inattivo in una grandiosa opera d'arte, “come un
monumento alla percezione” e parla nello specifico
di un occhio di cui quotidianamente ci serviamo
che apparentemente dovrebbe mostrarci il mondo per
quello che è ma che in realtà non ci restituisce
quell'oggettività ricercata.
Non meno importante e
di compiuta realizzazione all'interno del progetto
è il tema del labirinto: complessità e
disorientamento sono infatti due termini che
Turrell sfrutta al massimo per ogni sua opera.
Snodandosi su forme e livelli diversi, il
labirinto turrelliano rientra in una dinamica di
spaesamento e ci offre diverse tipologie di
percorsi facendoci perdere nei suoi antri.
L'artista ha descritto più volte l'esperienza di
volare tra due strati di nuvole e un getto che le
attraversa lasciando uno squarcio tra questi due
strati in cui si inoltrava. Più volte ha ribadito
di sentirsi un “abitante del cielo”, avvicinando
la sua percezione a quella di alcuni popoli che ha
definito “persone del cielo” e più volte si è
prodigato per spiegare il suo punto di vista.
Il volo ha permesso
all'artista di sperimentare alcune sensazioni
facendolo arrivare alla conclusione che ci sono
molti momenti lassù che ti fanno entrare in un
mondo a parte. Il cielo ci appare sconfinato e
libero da muri o da percorsi prestabiliti e mentre
si è in volo vediamo il corrispettivo della terra
che invece è un labirinto. La particolarità di
questa esperienza risiede nel fatto che un pilota
apparentemente non ha punti di riferimento e non
sa come pensare in vista del piano. Ma l'artista
rassicura nel momento in cui afferma che questa
“perdita” in realtà è necessaria in vista di una
futura “conquista”:
«Il tuo pensiero sta
passando a un altro livello. Questo succede nel
volo, ed è quello che fa l'arte. L'arte ci porta a
questo livello successivo, sia che si tratti di
estetica, sia che si tratti anche di oggetti
comuni o che si tratti dell'arte della pubblicità
e delle cose che ci circondano continuamente. Ci
prende e amplia la nostra prospettiva».
Per l'artista
dovremmo quindi addentrarci in questo mondo così
labirintico terrestre proprio come fanno i piloti
nel cielo: lasciare che il nostro timore, la
nostra inquietudine di non saperci orientare, di
non sapere dove andare sulla terra lasci il posto
a una sorta di fiducia nello sconfinato. Dobbiamo
imparare a convivere con la perdita
dell'orientamento perché solo in questo modo
potremo sperimentare l'“estasi delle altezze” o
l'“estasi del profondo” e aprirci a una nuova
percezione totalizzante: lo strumento poi che ci
permette di elevarci, di oltrepassare, di
progredire a questo livello più alto di
comprensione ampliando la nostra prospettiva è
l'arte.
Per uscire dal
labirinto “terrestre” ed elevarci alla visione
“celeste” esiste però la figura dell'artista come
bodhisattva. In senso letterale
è un essere vivente (sattva) che aspira all'Illuminazione (bodhi) conducendo pratiche
altruistiche. In quanto individuo che cerca
l'Illuminazione per sé stesso e per gli altri, è
centrale nella tradizione buddista mahayana, e la
compassione – vale a dire la condivisione empatica
delle sofferenze altrui – è il suo tratto
distintivo. Il sentiero del bodhisattva non deve esser visto come un impegno
distaccato dal mondo, un percorso che possono fare
solo persone con particolari doti di empatia e
saggezza, ma – al contrario – una condizione
vitale presente nella vita di noi persone comuni.
Lo scopo della
pratica buddista è di rafforzare quello stato
vitale affinché la compassione diventi la base di
tutte le nostre azioni. Oltre alla condivisione
empatica, i voti dal bodhisattva riguardavano il dominio di sé, lo studio
e l'ottenimento della saggezza. Nessuno di questi,
però, viene perseguito in astratto o con l'unico
scopo di migliorarsi o dare prestigio a sé stessi:
alla base di tutti questi sforzi c'è sempre la
determinazione di togliere la sofferenza dalla
vita degli altri esseri viventi, sostituendola con
la felicità.
Il XX secolo si è
aperto con una delle teorie scientifiche più
rivoluzionarie di sempre, la teoria della
relatività di Einstein (1905). Da quel momento in
poi tutto ciò che sembrava chiaro e prestabilito è
stato messo in discussione, tutto è diventato
relativo e le ripercussioni di questa
straordinaria scoperta sono state fortemente
avvertite in campo artistico. Già il cubismo con
le sue scomposizioni delle figure ha tradotto in
pittura queste scoperte, ma se vogliamo rimanere
sulla tematica del labirinto penso che sia
particolarmente calzante l'esempio della
litografia realizzata da Escher nel 1953: Relatività. La questione dei
diversi punti di vista viene riassunta in
un'immagine iconica composta da più immagini, da
più scene possibili: notiamo uomini che
assomigliano a delle pedine di scacchi salire
alcune rampe di scale, altri che si affacciano ad
un balcone, altri ancora che scendono, ed è
proprio qui che sta il paradosso, un'immagine
impossibile composta da tante scene possibili,
tante scene quanti sono gli occhi degli
osservatori che si perdono nel seguire i percorsi
delle varie figure rappresentate, sfociando quindi
nell'incomunicabilità, in un mondo in cui gli
uomini svolgono ognuno il proprio compito e, per
quanto vicini, destinati a non incontrarsi mai,
uomini muti e inconsapevoli di ciò che accade
intorno a loro: e per questo parliamo di un mondo
relativo, un mondo senza un punto di vista ben
preciso, ed è questo elemento che dà, appunto, il
titolo all'opera. La litografia dell'artista
raffigura un ambiente diviso da rampe di scale che
ribaltano la normale percezione dello spazio,
rendendo le pareti soffitti e i soffitti
pavimenti: tale slittamento e ribaltamento
percettivo è quello di cui insistentemente parla
Turrell e che ritroviamo nelle sue opere, in
primis nel Roden.
Le incisioni e le
litografie dell'artista olandese suscitarono
proprio per questi motivi l'interesse di fisici e
matematici ancor prima dell'attenzione dei critici
d'arte e, tuttora, Escher rimane un outsider rispetto ogni
classificazione sebbene sia stata ravvisata in lui
una vicinanza con Magritte, per la loro comune
tendenza a creare mondi impossibili, costruzioni
impossibili, in cui le figure disegnate si muovono
nella relatività ipnotica di spazio e tempo. Tali
realtà alterate, relative ed ipnotiche dove le
categorie di spazio e tempo sono disciolte e
indistinguibili, sono quelle di cui ci rende
partecipe Turrell nel cratere, di cui fin
dall'inizio abbiamo evidenziato il legame
indissolubile che è insito nelle sue installazioni
tra arte creativa vera e propria e scienza
matematica.
«La fede in un mondo esteriore
indipendente dall'individuo che lo esplora è alla
base di ogni scienza della natura. Poiché tuttavia
le percezioni dei sensi non danno che indizi
indiretti su questo mondo esteriore, su questo
“reale fisico”, quest'ultimo non può essere
afferrato da noi che per via speculativa. Ne
deriva che le nostre concezioni del reale fisico
non possono mai essere definitive».
Ultimo tema, forse
più emblematico e che ha maggiori rimandi a una
tradizione mistico filosofica, è quello della
caverna, di cui il mito platonico è archetipo.
L'idea della liberazione dell'uomo dalle catene
della sua esperienza limitata e il raggiungimento
della pura conoscenza della realtà è comune a
molte culture. Anche le scoperte e le invenzioni
che rendono tale il mondo moderno possono essere
viste come il risultato del tentativo dell'uomo di
superare i propri limiti per raggiungere ciò che è
“oltre” la conoscenza del momento.
Nel 2002 Turrell
aveva realizzato uno Skyspace sui generis, Plato's Eye ma adesso l'artista
con il Roden ha realizzato qualcosa di decisamente più
ampio e totalizzante: la Plato's cave. Con i suoi ambienti ipogei e i suoi
spazi riflessivi di pura percezione inserisce
fisicamente i visitatori nell'allegoria platonica
e gli permette di sperimentare un percorso
meditativo nei suoi meandri che lo porteranno alla
sua liberazione e uscita esterna. Il mito della
caverna diventa quindi la descrizione della
faticosa salita dell'uomo verso la vera
conoscenza. Esiste un'interpretazione che mette in
parallelo questa allegoria con quella
dell'illuminazione.
Come prima cosa,
l'uomo deve svegliarsi da quel sonno che viene
chiamato “vita” (equivalente alla liberazione del
prigioniero); in seguito egli si rende conto delle
finzioni che l'uomo credeva entità reali (le ombre
sulla parete della caverna); infine, egli giunge a
vedere la verità per quella che è realmente (il
sole ed il mondo all'esterno della caverna).
L'istinto dell'uomo è quello di liberare gli altri
prigionieri per condividere le sue scoperte, ma
questo tentativo è inutile in quanto i prigionieri
non possono e non vogliono vedere oltre le
rassicuranti ombre ed attaccano il portatore della
verità. Normalmente gli uomini sono tenuti
prigionieri, costretti ad osservare delle semplici
ombre di forme che non sono neanche dei veri
oggetti; essi possono essere trovati soltanto
“fuori della caverna”, cioè nel mondo
intelligibile delle forme conosciute dalla ragione
e non dalla percezione.
Turrell invita i
fruitori a riflettere su ragione e percezione che
avrebbero un minimo comune denominatore: una volta
fuori dalle tenebre infatti le percezioni
dell'individuo avranno messo in discussione le
ragioni primigenie e viceversa, solo a questo
punto il soggetto sarà finalmente libero dai
preconcetti e potrà avvicinarsi alla pura
conoscenza di luce. È curioso riflettere sul fatto
che questa visione offertaci dal mito della
caverna possa essere applicata all'attualità.
Questo modello che tutti noi seguiamo e in nome
del quale, se usciamo fuori dagli schemi, iniziano
a giudicarci e a criticarci. Dobbiamo pensare che
molte delle nostre verità assolute le abbiamo
fatte nostre senza fermarci a metterle in
discussione, senza chiederci se il mondo è ben
lontano o vicino dall'essere così come lo
dipingiamo. L'uomo che nel mito della caverna
decide di liberarsi delle catene che lo tengono
prigioniero prende una decisione molto difficile
che, lungi dall'essere accettata dai suoi
compagni, viene considerata da questi ultimi come
un atto di ribellione. Un atteggiamento non ben
visto che avrebbe potuto farlo demordere dal suo
intento. Quando si decide intraprende solitario il
cammino, supera il muro, avanzando verso quel falò
che tanta sfiducia gli provoca e che lo abbaglia.
I dubbi lo devastano, poiché non sa cosa è reale e
cosa non lo è. Deve liberarsi delle credenze che
porta con sé da molto tempo. Idee che non solo
sono radicate in lui, ma che rappresentano anche
la base del resto dell'albero delle sue
convinzioni.
Tuttavia, man mano che avanza verso
l'uscita della caverna, capisce che quello in cui
credeva non era del tutto veritiero. Adesso cosa
può fare? Convincere gli altri che si burlano di
lui riguardo la libertà a cui possono aspirare se
si decidono a mettere fine all'apparente comodità
nella quale vivono. Il mito della caverna ci
presenta l'ignoranza come quella realtà che
diventa scomoda quando iniziamo ad essere
consapevoli della sua presenza. Dinanzi alla
minore possibilità che ci sia un'altra eventuale
visione del mondo, la storia ci dice che la nostra
inerzia ci spinge ad abbatterla poiché la
consideriamo una minaccia per l'ordine stabilito:
«Le ombre non si proiettano più, la luce ha smesso
di essere artificiale e adesso l'aria sfiora il
mio volto».
La caverna è il luogo
dove tutto ha avuto inizio non solo da un punto di
vista religioso, ma anche storico culturale: sulle
pareti all'interno troviamo infatti le prime
manifestazioni artistiche dell'uomo primitivo, le
pitture rupestri. In un certo senso Turrell vuole
farci tornare a quei momenti primigeni in cui
ancora non esistevano codificazioni nette e dove
la cultura e la storia dovevano ancora essere
fissate; ci vuole invitare a ripensare ai nostri
“pre-concetti”. È come se i popoli primitivi
avessero vissuto in un effetto Ganzfeld totale, in
una sorta di oscurità avvolgente come quella dei Dark Spaces che permeava ogni
cosa e solo dopo aver trascorso abbastanza tempo
all'interno di quella sorta di grotta oscura, solo
in seguito hanno consapevolmente deciso di uscire
dalla caverna e compiere passi in avanti nel mondo
sperimentando quindi una visione di rivelazione.
La caverna è presente
nei miti di origine, di rinascita e di iniziazione
di numerosi popoli. Come anticamera misteriosa di
un mondo sotterraneo, spesso piena di bizzarre
costruzioni stalattitiche la caverna è oggetto,
simbolicamente ricco, di molti culti, miti e
leggende. Basti solo ricordare che le caverne sono
i più antichi santuari dell'umanità e anticamente
molte di esse venivano considerate sfere
“dell'altro mondo”. Non erano abitazioni, bensì
luoghi di culto: nelle tradizioni iniziatiche
greche infatti l'antro rappresenta il mondo. La
spelonca che Levi Strauss definiva luogo “buono
per pensare” funziona come referente a due
livelli: uno macroscopico, suggerendo una metafora
del cosmo nel suo complesso e un livello
microcosmico, dove la caverna è figura della cella
in cui ogni anima trascorre la triste detenzione
terrena. Esistono testimonianze di un uso figurato
di vocaboli inerenti all'idea dell'“antro” per
designare l'involucro di materia che incatena la
psyché.
Nelle Lettere a Lucilio Seneca sostiene che
l'uscita dall'antro-tomba corrisponde a un
attingimento di una plaga luminosa, inondata da un
chiarore purissimo: una nuova nascita alla vera
vita, un “venire alla luce” che si presta alla
fruizione analogica della variante funzionale del
parto, dove il buio ventre materno funge da
sostituto alla spelonca; dove il passaggio
doloroso dalla “porta stretta” significa il
cammino di purificazione che libera dai gravami
della carne; dove infine la luce che attende
all'esterno simboleggia la percezione del vero,
tanto bruciante per gli occhi dell'anima abituati
all'ombra, quanto è doloroso per il neonato il
primo sguardo rivolto al mondo. Il fatto che il
progetto di Turrell sia costellato di ellissi che
rimandano alla forma uterina femminile poiché
trattasi di vere e proprie aperture che conducono
verso l'esterno, rende ancora più evidente il
discorso freudiano. Bruno Zevi aveva cercato una
chiave freudiana per l'interpretazione
architettonica parlando del terrore infantile del
padre: la dialettica maschio-femmina esiste in
architettura, quella classica è maschile e quella
liquida (anticlassica) è femminile.
Se quindi si parlava
di “dittatura del cerchio” relativamente alla
classicità, a un certo punto tale impostazione
viene soppiantata nella modernità e
nell'architettura liquida dalla sua deformazione
geometrica, l'ellissi, figura cara a molti
architetti del passato “devianti” (Bernini,
Borromini, ecc.), ma anche e soprattutto
usatissima dagli architetti moderni. Le ellissi
sono figure geometriche di cui si serve Turrell
all'interno del Roden Crater: la forma ellittica
posta verticalmente come punto di uscita o di
entrata a seconda del punto di vista dello
spettatore è carica di significati come portale,
passaggio per un percorso verso il fuori o verso
il dentro che ricorda la forma e la funzione
generatrice dell'utero materno e quindi
evidenziando il rimando obbligato alla
femminilità.
Lo spazio del Roden Crater offre una lettura
doppia: se da una parte è un percorso che è stato
concepito per portarci verso la luce, per farla
apparire ancora più bella, preziosa e rivelatrice,
tale itinerario è anche un percorso verso l'ombra,
poiché solo immergendoci inizialmente nell'ombra,
nel ventre della terra possiamo tornare a quella
situazione iniziale da cui ha avuto tutto origine,
quel ventre che ci ha generati e solo attraverso
la discesa e il ritorno nelle profondità della
terra il percorso verso la luce e la conseguente
uscita ci apparirà come un'esperienza
totalizzante, la più autentica possibile.
Già negli Skyspaces si ritrova un legame
tra spazio e tempo: all'interno di questi spazi
infatti le stagioni, le ore del giorno e le
diverse condizioni atmosferiche che si alternano,
sono introiettate al loro interno per indurre una
rispondenza tra individuo e cosmo. Se da un lato
le proiezioni umbratili permettono di
spazializzare il tempo, dall'altro avviene una
temporalizzazione spaziale. All'interno di questi
ambienti tali esperienze si fondono restituendoci
un continuum. Le candide pareti
delle installazioni dell'artista richiamano le
archetipiche pareti di una caverna, rimandando ad
antichi modelli filosofici (ad esempio la caverna
platonica). Inoltre, essendo dotate sulla
copertura di un oculo, è evidente il rinvio anche
agli antichi modelli architettonici (ad esempio il
Pantheon di Roma).
Qui l'artista, come
uno sciamano, è entrato in una dimensione
spirituale e quindi costruisce sistematicamente
per noi un ambiente attraverso il quale anche noi
possiamo sperimentare questo mondo che non è
vincolato da norme materiali e fisiche.
«L'esperienza rivelatrice sta nel
rendersi conto di come stiano reagendo i nostri
sensi, più che in ciò che si guarda. Non è un caso
che Turrell stesso abbia ripetutamente affermato
che il suo scopo è quello di continuare a
ricostruire la caverna del mito platonico,
affinchè il suo segreto venga continuamente
svelato».