Al suo esordio la Computer Art si impose
come un fenomeno piuttosto di nicchia, un argomento
che sembrava destinato a essere approfondito solo
dai cultori della materia, e quindi meno appetibile
per gli storici dell'arte, i curatori e i narratori
culturali di quel periodo. Questo aspetto lo
sottolinea anche Douglas Dodds, senior curator del
Victoria & Albert Museum, constatando come le
prime consistenti acquisizioni di opere di Computer
Art del museo vennero effettuate molti anni dopo la
sua comparsa: «All'epoca, l'arte informatica era
considerata profondamente fuori moda da molti
storici dell'arte e critici».
Inoltre, continua Dodds, «i curatori erano anche
comprensibilmente preoccupati che il materiale
originale potesse essere difficile da conservare e
da esporre».
Quando iniziò la sperimentazione della
Computer Art i ‘risultati', quindi le opere
prodotte, apparivano in molti casi simili gli uni
agli altri. In questo caso non si trattava solo del
naturale processo di adozione di uno specifico
linguaggio da parte di un gruppo che si riconosceva
sotto forma di una corrente: le opere erano
somiglianti perché venivano realizzate utilizzando
pressoché gli stessi procedimenti, gli stessi
strumenti, macchinari, comandi e parametri
all'interno dei confini, allora circoscritti e
universali, posti dai primi computer. Per questa
ragione, ad un primo sguardo, le opere di Herbert W.
Franke rassomigliano a quelle di Ben F. Laposky,
come quelle di Georg Nees a quelle di Leslie Mezei e
così via.
Tuttavia, a differenza del comune rapporto
tra l'artista e le pratiche artistiche tradizionali,
sotto il segno della Computer Art si registrarono
molteplici approcci creativi. Boris Magrini,
curatore dell'HEK - House of Electronic Arts di
Basilea, ricorda come artisti diversi ebbero
propositi diversi nell'avvicinarsi al computer, come
nel caso di Harold Cohen che infatti non voleva
essere associato esplicitamente né all'Intelligenza
Artificiale né alla Computer Art. Cohen, creatore di
AARON, un programma per il computer in grado di
generare arte autonomamente, e i cui primi disegni
furono protagonisti di una mostra al San Francisco
Museum of Modern Art nel 1979, «voleva
solo comprendere e scoprire il momento in cui si
creava un disegno, cosa succede quando un segno su
un pezzo di carta diventa un oggetto riconoscibile
come tale e perché»,
proponendo quindi una ricerca intorno all'atto
stesso di disegnare che non sulle possibilità
fornite dal computer. Dall'altro lato il computer
apriva a possibilità differenti e non solo legate
alla sperimentazione grafica. Come nel caso di Hans
Haacke, già pioniere dell'arte cinetica, ambientale
e concettuale che, in occasione di Documenta 5, nel
1972, presentò l'installazione performativa “Arc,
Pyramid”, un «ciclo di vita spirituale» durante
il quale condusse un'indagine sociologica sui
profili dei visitatori avvalendosi della
collaborazione di un centro informatico.
I parametri della critica e delle pratiche
curatoriali di allora, applicate al commento, alla
classificazione e all'esposizione delle opere d'arte
digitale, restituivano una narrativa omogenea nella
quale la Computer Art veniva posta come «ponte tra
le materie umanistiche e la scienza», dando
quindi per scontata una loro netta separazione. Ne
intravedevano solo i propositi all'apparenza lontani
dall'arte tradizionale oltre a un'estetica
caratterizzata e differente, senza però considerare
possibile che l'impiego della tecnologia potesse
avere risvolti più ‘emotivi' e rifiutando, quindi,
che l'arte potesse effettivamente essere influenzata
dall'uso del computer poiché questo era considerato
solo come uno strumento. Di
recente si è iniziato a superare questo concetto
che, come spiega Boris Magrini, non solo appariva
riduttivo ma «perpetuava l'idea non necessaria e
stereotipata che l'arte fosse emozionale mentre la
scienza fosse solo oggettiva e priva di emozioni»
forzando, infine, la produzione artistica della
Computer Art a un innaturale ruolo educativo.
A favorire il superamento di questa
determinazione probabilmente concorse anche la
progressiva crisi che la storia dell'arte
tradizionale e la sua storiografia hanno
attraversato, specialmente verso la fine della
seconda metà del Novecento. Un dibattito che portò
studiosi come Henri Zerner e Hans Belting a
ridefinire l'oggetto dell'indagine
storico-artistica, fino a quel momento limitata
entro parametri rigidi che vedevano l'Europa come
incontrastato palcoscenico dell'arte, insieme a una
netta divisione tra arte ‘colta'/alta e quella
popolare/‘folk' e, infine, una distinzione profonda
tra creatività e produttività. Zerner
riteneva che «la nuova storia dell'arte» avrebbe
dovuto tenere in conto l'interesse intrinseco
dell'arte non solo verso aspetti puramente estetici
ma anche per le «funzioni» e i «significati dei
fatti artistici». Una
visione, quindi, della forma artistica in quanto
forma storica condizionata, di conseguenza, anche da
nuove tecniche e materiali oltreché da contenuti e
funzioni, come proposto anche da Hans Belting che
giunse a teorizzare come la stessa struttura visiva
dell'opera d'arte, o dell'oggetto artistico, sia una
sintesi stilistica o iconografica ed estetica in
stretta relazione con «le nozioni generali
dell'epoca e della cultura in cui viene realizzata».
E quanto proposto dal computer, di pari
passo con la sua diffusione e con l'accrescimento
delle sue funzionalità, è una vasta gamma di
possibilità creative che ha contribuito all'imporsi
e al rafforzamento di una produzione visuale ‘folk',
amatoriale, popolare e di ampio respiro, grazie
all'utilizzo quotidiano dello strumento e delle sue
unità ormai di uso più comune, come internet e i social
network. Da un lato «la produzione di immagini non
è più un compito riservato a una categoria precisa e
qualificata di persone», come
scrive Valentina Tanni che in “Memestetica” cita
anche Charles Leadbeater, secondo il quale
«l'approccio sociale alla creatività incoraggiato
dal web sta dando nuova vita a una delle più antiche
forme di creatività – quella folk – consentendo a
una massa di amatori di produrre e condividere
contenuti». Dall'altro lato si è universalmente
arrivati, oggi, alla consapevolezza di come non si
possa relegare il rapporto tra artista (creatore) e
strumento tecnologico in una sola narrativa.
«L'approccio è individuale e specifico» e,
soprattutto, si è evoluto esponenzialmente
abbracciando le ormai vaste e inimmaginabili
possibilità rese dalla tecnologia, come
l'Intelligenza Artificiale, il videogame, il
virtuale, la realtà aumentata o immersiva e la
tecnologia dei materiali, centuplicando gli
argomenti del dialogo tra tecnologia e arte.
Nella mostra “Entangled Realities – Living
with artificial intelligence” curata nel 2019
all'HEK - House of Electronic Arts di Basilea da
Sabine Himmelsbach (direttrice del Museo) e Boris
Magrini, si è voluto mostrare lo stato del rapporto
tra arte e tecnologia nella contemporaneità, dove il
ruolo dell'intelligenza artificiale si è imposto
positivamente, raggiungendo la consapevolezza di
come la tecnologia non sia solo in grado di
restituire immagini o videogame ma di quanto ormai
influenzi le esistenze. La mostra ha proposto una
selezione delle più attuali ricerche in materia,
numerosi esempi di come questa riflessione si sia
spinta oltre i confini di un determinato linguaggio
estetico ma, soprattutto, di come abbracci una
grande varietà di argomenti e temi
incontrovertibilmente ‘nuovi'.
Artisti come Mario Klingemann e Ursula Damm
realizzano immagini inaspettate utilizzando
algoritmi in grado di processare diversi input
casuali. Se Ursula Damm in “Membrane” ottiene
un video in tempo reale, l'esperienza di Mario
Klingemann si lega, almeno iconograficamente, a
segni estetici del passato, trovando nei suoi nuovi
protagonisti – neonate creature fantasmatiche –
soggetti all'apparenza dipinti in altre epoche.
Tuttavia, ad elaborare immagini di quadri e
ritratti, è un algoritmo che sostituisce le
pennellate (unità creativa del dipinto) con
l'assemblaggio di pixel, informazioni visive e
riproduzioni che portano con sé colori, forme e
caratteristiche uniche.
Procedendo verso maestosi elementi
dell'attualità sociale ed economica, come blockchain e
criptovalute, Anna Ridler e David Pfau nell'opera
“Blomenveiling” -
proposta ancora dalla mostra “Entangled Realities” -
danno vita a speciali elementi floreali, dei
tulipani, che vengono generati dall'elaborazione di
dati correlati al funzionamento dei nuovi mercati
economici virtuali. Interrogandosi sulle modalità
con cui la tecnologia guida il desiderio umano e le
dinamiche economiche (a loro volta responsabili di
una scarsità artificiale), i piccoli frammenti in
movimento dei tulipani vengono venduti all'asta
della rete Ethereum e, ogni volta che un fiore viene
venduto, migliaia di computer in tutto il mondo si
attivano e comunicano per verificarne la transazione.
Infine, per concludere questa breve
panoramica di “Entangled Realities” che ha ospitato
anche opere di James Bridle, Trevor Paglen,
Sebastian Schmieg, Lauren McCarthy, Jenna Sutela,
fabrich | ch e di Zach Blas & Jemima Wyman, è
interessante citare “Deep Belief”, lavoro
della musicista e compositrice americana Holly
Herndon. Insieme al collega Mat Dryhurst, la Herndon
ha ‘addestrato' una rete neurale artificiale a
reagire a suoni ‘familiari' che le sono stati
insegnati, istruendola ad emettere altri suoni e
componendo così melodie improvvisate in un dialogo
di brani speciali e astratti. I risultati acustici e
sinestetici di Holly Herndon completano il filo di
queste ‘realtà aggrovigliate' suscitando
nell'autrice una domanda universale per quanto sia
dal tono fantascientifico: «siamo noi i genitori o i
figli in questa nuova epoca? Stiamo addestrando i
nostri sistemi per mettere in atto i nostri ideali,
o siamo piuttosto ri-addestrati a servire gli scopi
opachi degli altri?».
Se da un lato la tecnologia influenza il
procedimento creativo, come nei casi sopracitati,
divenendo quindi un'inedita formula assunta
consapevolmente dall'autore per la realizzazione di
un'opera, il suo potere immaginifico si è
sedimentato, sottoforma di vocabolario estetico,
nell'inconscio degli artisti più giovani, nati a
partire dagli anni '80, i cui lavori sono plasmati
dai videogames.
Un esempio è nelle opere dell'artista
Jacolby Satterwhite (1986), tra i protagonisti di un
altro importante evento espositivo dedicato alla
materia: “New Order: Art and Technology in the
Twenty-First Century”, mostra tenutasi nel 2019
presso il MoMa di New York,
organizzata da Michelle Kuo e Lina Kavaliunas. Da
bambino Satterwhite, a causa di una malattia
aggressiva che lo costrinse a letto, dovette passare
molto tempo fermo. In quel periodo trascorse gran
parte delle sue giornate a giocare con i videogiochi
e, in particolare, al celebre “Final Fantasy”. A
distanza di anni le sue opere, tutte elaborate in
3D, oltre a restituire una naturale riflessione
sulla mortalità, appaiono come il risultato della
sovrapposizione di queste due esperienze nel
linguaggio comune degli elementi iconografici e
stilistici propri del videogioco, assorbiti come
parte del lessico di Satterwhite in quanto
‘creatore'.
A questo si deve un'estetica che rifiuta di
attingere alle sublimi possibilità grafiche offerte
dalle tecnologie contemporanee. Ad esempio in
“Country Ball”,
Satterwhite - oltre a fare riferimento alla ball
culture degli anni '80, sollevando quindi
interessanti tematiche di genere a cui si
intrecciano immagini e suoni prelevati da VHS
originali dell'infanzia dell'autore - elabora
scenari dove certi dettagli di prospettiva, ombre e
tridimensionalità appaiono non rifiniti dando vita a
un'estetica del ‘fai da te' virtuale che ha la stessa voce delle prime
elaborazioni anni ‘80 e ‘90, in una sorta di
neoprimitivismo dell'arte digitale.
La scelta di non perfezionare e migliorare
la grafica delle immagini, oltre a essere guidata da
un certo rapporto di familiarità, si presta anche ad
altre interpretazioni. La storica dell'arte,
curatrice e docente Valentina Tanni in “Memestetica” spiega
come l'uso della bassa qualità nella produzione di
immagini digitali sia in parte correlata alla
percezione collettiva delle immagini stesse, in
particolare della loro verità o veridicità.
Rinunciare alla perfezione qualitativa estetica fa
emergere in primo piano le proprietà concettuali
dell'opera, le qualità intellettuali del suo
contenuto e la bontà del suo ruolo di testimone e
protagonista che assume nei confronti della
contemporaneità: «la perfezione dell'alta
risoluzione porta sempre con sé il sospetto
dell'adulterazione, e dunque intrattiene un rapporto
controverso con il concetto di autenticità, tasto
sensibilissimo nel dibattito culturale
contemporaneo». La
sensazione di inganno scaturita
dall'interiorizzazione della consuetudine di
incontrare sul web notizie false, immagini
manipolate attraverso fotomontaggi, finti scoop,
personaggi, eventi e azioni storiche inventati ma
divenuti virali, viene superata ed esorcizzata
attraverso la caratteristica dell'elemento grezzo,
inalterato, evidentemente appena prodotto e
spontaneo, come assicurazione di verità.
Tuttavia altri artisti della generazione di
Satterwhite, seppur con risultati diversi, accettano
invece immagini smaglianti, impeccabilmente lucide e
quasi realistiche nella loro artefatta e vivida
tridimensionalità, come Tabor Robak (1986) nelle
cui opere un ordine regolatore e armonico evoca
malinconicamente la realtà. Nell'opera “Northtstar”, del
2020, Robak ricostruisce e simula una passeggiata in
un paesaggio naturale idilliaco: un'esperienza che
per la società contemporanea, complice del
disfacimento del mondo naturale, appare come un
lusso. Oltre al virtuosismo stilistico e alla
meticolosa riproduzione di dettagli, l'opera è
concepita come un tromp l'oeil in movimento, una finestra dinamica su un
mondo in parte utopico, in parte reale ma in
estinzione.
La stessa realtà viene decostruita e
reinventata, attraverso una traduzione allegorica e
metaforica dei suoi dettagli, da Ed Atkins (1982)
artista che ha fatto dell'elaborazione digitale
parte della sua cifra stilistica. Celebre per le sue
sperimentazioni visuali, animazioni surreali,
malinconiche e dissacranti, soprattutto nei
confronti della materialità del corpo umano e dei
limiti dell'esistenza stessa, Atkins drammatizza o
sdrammatizza la realtà attraverso illusioni e avatar,
protagonisti di riflessioni poetiche di cui è autore
e scrittore. Senza la sua preparazione letteraria e
la sua familiarità con il linguaggio, le figure
retoriche e l'allegoria – come sottolinea anche in
più occasioni – la
sola immaginazione trasposta nell'animazione
computerizzata non avrebbe raggiunto i risultati che
lo hanno reso celebre.
Nella sua ultima mostra dal titolo “Entropy
of a biased coin”, dal 3 dicembre 2020 al 6 febbraio
2021 presso la galleria Cabinet di Londra, Atkins ha
presentato anche l'opera “Refuse.exe”, una
simulazione 3D in tempo reale a due canali di
oggetti che cadono alla rinfusa verso il suolo,
realizzata attraverso una versione personalizzata di
Unreal Engine, software utilizzato per la creazione
di videogiochi. Nella pubblicazione “Three pieces of
bread”, viene svelato il procedimento di
realizzazione dell'opera, elencando la lista e gli
algoritmi che hanno generato “Refuse.exe”: «Gli
oggetti cadono nella stessa sequenza e allo stesso
tempo per ogni esecuzione - ma il loro movimento
mentre cadono, il loro atterraggio e il loro
accumulo differiscono ogni volta, secondo il
capriccio della fisica simulata. (…) Refuse è un
omonimo, che rimane irrisolto nel testo. Significa
per lo meno sia rifiuto che spazzatura, il
significato è riconciliato solo nel discorso. (…)
Refuse.exe drammatizza il ritorno di cose represse,
rimandate e cose immaginate in altro modo, per mezzo
di un'opera teatrale come programma per computer». Ogni
caduta, ogni performance è unica grazie alla
specificità di un algoritmo che pone al centro della
scena un susseguirsi casuale di elementi comuni
della realtà.
Ricorrendo invece all'animazione, unita
alle possibilità di internet e della rete, David
Oreilly (1985) ha presentato nell'aprile del 2020 –
durante il lockdown – “Corona Voicemails”, una
serie di film d'animazione realizzati utilizzando
messaggi vocali anonimi condivisi da persone sui
social media durante la pandemia di Covid19.
L'artista ha invitato il pubblico a lasciare le
registrazioni chiamando un numero specifico e ne ha
accompagnato le riflessioni, spesso dolorose, con
grafiche ottenute attraverso una stratificazione di
livelli di immagini in rotazione. Ogni pattern, ogni
oggetto, ogni texture etc., è stato progettato e
costruito da zero utilizzando uno strumento
sviluppato in più di un anno di tempo: «Un
sintetizzatore modulare 3d-AV apolide - tutti i
parametri possono essere modificati simultaneamente,
così come programmati e sequenziati».
Ricevendo questi flussi di coscienza sull'andamento
pandemico, Oreilly ha cristallizzato uno dei momenti
più complessi del nuovo millennio poetizzandolo
attraverso il computer.
E proprio mentre gli artisti sopracitati -
Satterwhite, Robak, Atkins e Oreilly - erano
pressoché adolescenti, nel 2000, l'artista svedese
Magnus Wallin (1967) già ricorreva in alcune delle
sue opere all'animazione computerizzata, come in
“Skyline”, rappresentando il corpo umano e la sua
percezione da parte della società contemporanea agli
inizi del nuovo millennio. L'opera, realizzata
all'interno del Moderna Museet Project di Stoccolma
e curata da Maria Lind,
riproduce dei macabri giochi olimpici, tenuti al
cospetto di un pubblico immateriale di cui si ode
solo il tifo ma che non occupa alcun posto nella
desolazione di un piccolo anfiteatro fatiscente
sovrastato da una Torre Olimpica dal tetto
trasparente. Gli atleti sono corpi allo stato puro,
privi di pelle, composti unicamente di muscoli,
simili gli uni agli altri e che si sfidano in
imprese di impossibile sopravvivenza. Ben oltre lo
sport: nessuno di questi ‘atleti' riesce a
sopravvivere alle moderne ed estreme prove fisiche,
finendo quasi sempre a pezzi, schiantati in
particolare dai salti, o dalle rovinose cadute,
dall'imponente altezza della Torre Olimpica.
Ricordando e riflettendo sulle
responsabilità dei media, degli artisti e la loro
intenzionalità a rappresentare l'essere umano in un
determinato modo, e alla luce di specifici standard
spesso irraggiungibili, lo scenario di Wallin
ricorda le estetiche della Riefensthal nel suo
celebre “Olympia”, documentario sulle Olimpiadi del
1936. Tuttavia Wallin non intendeva criticare
lo sguardo della Riefensthal, quanto piuttosto
scagliarsi contro chi, ancora a distanza di anni,
propinava lo stesso irraggiungibile ideale di
perfezione.
Se Wallin già alla fine degli anni '90 era
tra i primi ad essersi avvicinato alle grafiche
computerizzate con la sua serie “Physical
Sightseeing”, di cui “Skyline” fa parte, si inizia a
parlare del «potenziale critico delle animazioni
computerizzate», in particolare di Magnus Wallin,
che «sembra quindi risiedere nella loro capacità non
solo di giustapporre immagini stereotipate esistenti
per disturbarne le connotazioni, ma di ricombinarle
e creare spazi completamente nuovi, nuove narrazioni
e nuove strutture che decostruiscono vecchie
mitologie e propongono alternative».
Al di là, quindi, delle singole esperienze
estetiche e dei percorsi specifici degli ultimi 50
anni, l'incontro tra arte e tecnologia, oggi, è in
grado di affidare alle mani degli artisti la
possibilità di immaginare, intuire o anticipare
infinite immagini del futuro, potendo decostruire
gli aspetti di ciò che si è abituati a considerare
vero o funzionale o gradevole o disturbante oppure
semplicemente esistente, nell'architettura,
nell'urbanistica, nel paesaggio ma anche nei
rapporti sociali, nelle espressioni fisiche, nelle
consuetudini e nella comunicazione della realtà.
NOTE
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Estratto dall'opera, e la sua descrizione,
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http://annaridler.com/bloemenveiling
Estratto dall'opera “Deep belief” di Holly
Herndon e Mat Dryhurst,
http://www.hollyherndon.com/spawn-training-ceremony-i-deep-belief
Estratto dall'opera “Country ball” (2012) di
Jacolby Satterwhite,
https://vimeo.com/38621657
Preview dell'opera “Northstar” di Tabor Robak
(2019),
https://www.taborrobak.com/northstar
La raccolta di video del progetto “Corona
Voicemail” (2020) di DavidOreilly http://www.davidoreilly.com/works#/corona-voicemails/
Estratto dell'opera “Skyline” (2000) di
Magnus Wallin,https://www.youtube.com/watch?v=WBemfrcx2ik
VIDEOGRAFIA
Intervista
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Ed Atkins per il canale Youtube dell'Institut
fürKunstdokumentation und Szenografie, 10 marzo 2019
https://www.youtube.com/watch?v=REQpIDiZinI.
Teaser dell'esposizione “Entropy of a biased
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https://vimeo.com/473801730.
AA.VV, The Incredulity of Jacolby Satterwhite
| Art21 "New York CloseUp", in Art21, 5 febbraio 2020,
https://www.youtube.com/watch?v=8WljeAovjtc&t=239s
DEPLIANT
“New Order. Art and Technology in the
Twenty-First Century”, MoMa, NewYork, USA, 17 marzo-15
giugno 2019 https://www.moma.org/calendar/exhibitions/5033
AA.VV., Tabor Robak on video games, in
Artforum, 2015
https://www.artforum.com/video/tabor-robak-on-video-games-59410
Scheda della mostra internazionale documenta
5 (30 giugno – 8 ottobre1972), https://www.documenta.de/en/retrospective/documenta_5
Scheda del progetto “Skyline” di Magnus
Wallin per il Moderna Museet, 2000 https://www.modernamuseet.se/stockholm/en/exhibitions/mmp-magnus-wallin/
Comunicato stampa della mostra Magnus Wallin
Solo/Physical Sightseeing (14settembre –10 novembre
2002, MALMO KONSTHALL) https://www.e-flux.com/announcements/43411/magnus-wallin-solo-physical-sightseeing/
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