«L'arte
è esperienza di universalità. [...] È conoscenza tradotta in linee, immagini e suoni, simboli che il concetto sa riconoscere come proiezioni sull'arcano della vita, oltre i limiti che il concetto non può superare: aperture, dunque, sul profondo, sull'alto, sull'inesprimibile dell'esistenza, vie che tengono libero l'uomo verso il mistero e ne traducono l'ansia che non ha altre parole per esprimersi». Con questa
definizione
Giovanni Paolo II, in occasione dell'incontro avvenuto
il 16 giugno
1985 con gli artisti del teatro “La Fenice” di
Venezia,
sintetizza gli aspetti principali del ruolo dell'arte.
Molto
spesso, infatti, pensando a questa disciplina si
compie l'errore di
reputarla come semplice attività ludica - raramente
veicolo di
messaggi - in cui le opere d'arte in quanto tali
rappresentano il
fine ultimo dell'artista. Eppure, prima ancora di
considerare un
quadro, una statua, un film o un'opera lirica è
importante
analizzare il contesto storico-culturale in cui tali
manifestazioni
sono nate, al fine di comprenderne pienamente il
significato.
Nel
corso della mia carriera universitaria mi sono più
volte domandata
se esistesse un modo concreto per rendere fruibile il
nostro
patrimonio artistico anche alle persone cieche. Nel
lavoro di Tesi
– svoltosi insieme al Prof. Stefano Colonna – ho
voluto porre
l'attenzione sulla relazione che intercorre tra due
mondi
apparentemente in antitesi tra loro: quello dell'arte
e quello
delle persone non vedenti, al fine di dimostrare come
questa
disciplina, grazie anche alle moderne tecnologie,
possa tradursi in
esperienza fruibile a tutti.
Il tatto, considerato da sempre meno attendibile rispetto alla vista, si rivela fondamentale per il cieco, in quanto gli permette di conoscere il mondo che lo circonda. In ambito artistico ciò è reso possibile grazie alla realizzazione di tavolette pseudo-Braille in cui il dipinto viene riprodotto attraverso linee-contorno. Queste ultime, essendo in rilievo, consentono ai non vedenti di entrare in contatto con opere bidimensionali famose, abbattendo il pregiudizio che da anni li ha visti esclusi dalle visite guidate nei musei e relegati ai margini della società.
Questo articolo, dopo un'introduzione sul tatto utile a comprenderne il suo funzionamento, propone dei brevi cenni storici sull'alfabeto Braille, lo strumento che più di tutti ha permesso ai non vedenti di emanciparsi e di integrarsi nella realtà circostante. La ricerca si sposta poi in ambito prettamente artistico. Vengono presentate le personalità più importanti – italiane e straniere- che per prime hanno abbattuto i pregiudizi legati alla sensibilità tattile. Infine, segue un'analisi dei musei e degli strumenti moderni che ad oggi permettono ai ciechi e deboli di vista di entrare in contatto con il nostro patrimonio storico-culturale.
Come
funziona il tatto?
Già
Aristotele nel De Anima, attribuiva al tatto
il primato sugli
altri sensi poiché esso ha come medium il corpo
stesso. La pelle è
sede di numerosi sistemi sensoriali: il termico, il
dolorifico e il
tattile. Quest'ultimo, oltre che da terminazioni
nervose libere, è
costituito anche da particolari meccanorecettori. Essi
hanno
struttura semplice e sono situati a diversi livelli: i
corpuscoli di
Meissner, le terminazioni di Ruffini e i dischi di
Merkel nel derma,
mentre i corpuscoli di Pacini nel tessuto
sottocutaneo. La loro
attività di scarica può dipendere da diversi fattori
quali:
l'intensità, la velocità o l'accelerazione dello
stimolo
meccanico che deforma localmente la pelle. Non c'è un
vero e
proprio organo tattile ma un insieme di differenti
piccoli recettori
dispersi e innervati da una sola o da molte fibre,
potenzialmente
capaci di un enorme numero di possibili combinazioni.
Sul piano
funzionale i meccanorecettori differiscono per il tipo
di adattamento
e per l'estensione del campo recettivo. Come tutti i
filtri, anche
questi sono selettivi: scelgono alcune informazioni e
ne bloccano
altre. Ad esempio, i recettori a lento andamento (LA)
– i Merkel e
i Ruffini – sono capaci di trasmettere le informazioni
spaziali più
dettagliate; i Pacini, invece, funzionano come filtri
a bassa
definizione.
Nella
sensibilità tattile sembra parzialmente coinvolto
anche il sistema
cinestetico, responsabile delle informazioni che
riguardano la
posizione delle articolazioni e del loro andamento. I
recettori
cinestetici, inoltre, contribuiscono alla raccolta
delle informazioni
sulle relazioni spaziali che servono per valutare le
dimensioni di un
oggetto esplorato o per dare giudizi di parallelismo,
di curvatura e
simili.
Un
aspetto fondamentale nella storia delle ricerche
psicologiche sul
tatto riguarda le differenze tra tatto attivo
e tatto
passivo. Si parla comunemente di percezione
attiva o aptica
quando la mano e le dita toccano, girandolo e
rigirandolo, un oggetto
o esplorano una superficie premendola e strisciandovi
sopra; al
contrario, si parla di tatto passivo quando uno
stimolo è
semplicemente premuto sulla pelle. Spetta a Gibson
(1962) il merito
di aver richiamato l'attenzione degli psicologi sulle
caratteristiche della percezione aptica, sulla sua
superiorità
rispetto al tatto passivo e sulla sua complessità e
competenza a
cogliere l'“invarianza” dell'oggetto.
È
innegabile che per molti aspetti la vista domina sul
tatto. Nel
confronto tra giudizi visivi e giudizi tattili, i
primi risultano
quasi sempre più veloci e più corretti dei secondi,
soprattutto
quando la valutazione implica qualità spaziali come la
forma,
l'estensione, l'orientamento e la localizzazione degli
stimoli.
Queste forme della dominazione visiva dipendono in
larga misura dal
fatto che quando si usa la vista le informazioni
spaziali relative ad
uno stimolo di piccole e medie dimensioni sono
percepite quasi
simultaneamente dalla retina, mentre i
meccanorecettori della pelle
sono per lo più stimolati in sequenza, in tempi e in
aree diverse.
Sia per la vista che per il tatto, la densità dei
recettori è
massima in alcuni siti ben limitati che sono
rispettivamente la fovea
e i primi polpastrelli delle dita .
Il
Braille e Augusto Romagnoli
Sappiamo
al giorno d'oggi quanto la cultura sia importante per
la crescita
evolutiva della società e dell'uomo. I non vedenti,
nel corso
degli anni hanno dovuto lottare per affermare che la
loro minorazione
visiva non intaccava la loro intelligenza.
Il
primo tentativo volto a consentire l'accesso alla
lettura in modo
serio e organizzato ai non vedenti risale alla seconda
metà del ‘700
grazie a Valentin Haüy che, rimasto colpito da come
i suonatori ciechi
maneggiavano e riconoscevano al tatto le monete
offerte loro in
elemosina, pensò che questi sarebbero stati
altrettanto bravi a
discernere le lettere impresse su fogli di carta.
Inventò la lettura
per ciechi a segni orizzontali e ne vennero fuori
libri spessissimi
del peso di 6/7 kg l'uno e lunghi 60 cm. Orgoglioso
della scoperta,
nel 1786 introdusse alla corte di Luigi XVI i primi
ciechi capaci di
leggere ma il Re non mostrò alcun interessamento. La
Costituente
Francese, invece, profondamente interessata da tale
scoperta, nel
1791 fondò l'Istituto dei Giovani Ciechi di Parigi.
La
scintilla nata in Francia si diffuse presto negli
altri paesi europei
ponendo in evidenza un tema fino ad allora trascurato.
Nel 1809 Luigi
Braille – divenuto accidentalmente cieco all'età di
tre anni –
diede vita ad un ingegnoso sistema in rilievo. Egli
prese ispirazione
dalla scrittura notturna inventata da un ufficiale
dell'esercito
napoleonico, Charles Barbier de la Serre, che se ne
serviva per
evitare fuochi notturni e per avere un codice
incomprensibile al
nemico.
Il
nuovo metodo di comunicazione, in uso ancora oggi, si
basa sulla
combinazione di sei puntini in rilievo posizionati
idealmente in un
rettangolo della misura approssimativa di un
polpastrello alto tre
punti e largo due. Data la natura combinatoria del
codice, i
caratteri sono limitati e corrispondono alle lettere
dell'alfabeto,
ai segni di interpunzione, ai simboli matematici e
alla scrittura
musicale. Sebbene questa invenzione fosse eccezionale,
il metodo non
fu accettato subito negli Istituti poiché questi erano
diretti da
soggetti vedenti che non volevano imparare la nuova
scrittura. Solo a
partire dalla seconda decade dell'Ottocento, pur con
qualche
difficoltà, l'educazione dei ciechi cominciò a
svilupparsi con
pienezza. Con il Decreto del 10 luglio 1818, i Borbone
instituirono –
presso l'Ospizio dei Santi Giuseppe e Lucia di Napoli
– la prima
scuola italiana per ciechi. Il 1838 fu la volta di
Padova con
l'istituto “Luigi Configliachi” organizzato per
istruire gli
alunni al fine di indirizzarli ad un lavoro
redditizio. Seguì la
fondazione dell'Istituto dei Ciechi di Milano nel 1840
che, sorto
all'interno della Pia Casa d'Industria di San
Vincenzo, fu la
prima scuola italiana ad adottare l'alfabeto Braille.
Nel 1868
nacquero Istituti a Genova e a Roma. Grazie alla
Riforma Gentile del
1923 e al Regolamento generale del 1928, la
scolarizzazione dei
ciechi cominciò ad essere praticata nelle scuole
speciali fino alla
terza classe, mentre dalla quarta classe in poi gli
alunni vennero
iscritti alle scuole pubbliche comuni .
I
risultati che seguirono in campo sociale non furono
altro che la
manifestazione di un'ondata di cambiamento
verificatasi nel periodo
di disorientamento che seguì la Prima guerra mondiale.
Nell'autunno
1920, a Genova, i non vedenti italiani provenienti da
quasi tutte le
regioni costituirono l'Unione Italiana dei Ciechi con
la voglia di
dimostrare come, nonostante la minorazione visiva, un
cieco potesse
svolgere un ruolo attivo nella società. Uno degli
obiettivi più
importanti che vennero raggiunti fu il rinnovamento
della scuola. Gli
istituti – che prima di allora erano stati sottoposti
alla
vigilanza del Ministero dell'Interno – passarono in
conformità a
quanto disposto dal R.D. del 30 dicembre 1923, n.
2839, alla
vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel
corso degli
anni le scuole per ciechi accolsero, insieme ai ciechi
assoluti,
anche ragazzi con grave minorazione della vista che
non potevano
essere definiti ciechi. Alcuni provvedimenti
legislativi emanati dal
1950 in poi, dovendo disciplinare il diritto
soggettivo ad usufruire
di particolari benefici, si orientarono verso la
definizione legale
di cecità estendendone il concetto alla grave
minorazione della
vista sino ad un decimo di funzione visiva residua. La
necessità di
arricchire di immagini e di forme la mente dei
fanciulli ciechi
spiega la maggiore importanza che si attribuì al
disegno e alle
esercitazioni manuali.
Promotore
di queste esigenze rinnovatrici fu Augusto Romagnoli.
La sua qualità
di non vedente e l'autoeducazione compiuta nella sua
giovinezza gli
diedero l'autorità necessaria per parlare con
chiarezza delle
difficoltà e dello sforzo necessario per uscire dalla
condizione di
inferiorità in cui la minorazione pone colui che ne è
affetto.
Egli, divenuto cieco a causa di una congiuntivite
neonatale, nel 1884
entrò nell'Istituto per ciechi di Bologna. Con
difficoltà
raggiunse la licenza liceale e si laureò. Nel 1926
istituì la
Scuola di Metodo per gli educatori dei ciechi, statale
ed unica in
Italia. La sua massima aspirazione era far sì che
tutti i ragazzi
ciechi potessero essere educati con i loro coetanei
vedenti: la
cecità, infatti, impoverisce la vita soltanto perché
il fanciullo
colpito da tale privazione – di cui nulla sa – non è
aiutato ad
acquisire fiducia in sé e a convivere da pari tra i
vedenti.
Nel
suo volume Ragazzi
ciechi si
può notare come le esercitazioni studiate per la
normalizzazione
motoria, i cosiddetti giuochi,
sono tutti d'insieme. Gli alunni si aiutano a vicenda
e ne consegue
un'educazione sociale necessaria a far uscire il cieco
dall'isolamento in cui lo confina spesso la società
più che la
natura della minorazione. Romagnoli non fissò un
metodo unico perché
l'educatore non deve pretendere di prevedere e di
fissare tutto, ma
deve sapersi piegare a tutte le novità e alla varietà
delle
circostanze .
In
questi stessi anni nacque a Firenze la principale
stamperia Braille.
La sua realizzazione fu possibile grazie alle
sottoscrizioni bandite
negli anni 1923 e 1925 in tutte le scuole della
Nazione, con l'invito
agli studenti normodotati di versare una piccola quota
per garantire
anche agli allievi ciechi di poter leggere. I non
vedenti adulti,
invece, il cui recupero educativo non poteva avvenire,
vennero
accolti in case di riposo con una retta a carico delle
amministrazioni comunali, secondo quanto fu stabilito
dall'art.91
lett. h) punto 6° del T.U. delle leggi comunali e
provinciali.
Completata
la riforma e l'organizzazione scolastica, nel 1934 il
fondatore e
primo Presidente dell'Unione Italiana dei Ciechi,
Aurelio Nicolodi,
pose all'attenzione del Governo il problema del
lavoro. Fu
istituita un'industria speciale con manodopera mista,
formata
prevalentemente da non vedenti: l'Ente Nazionale di
Lavoro per
Ciechi. Purtroppo, l'esperienza della Seconda guerra
mondiale ebbe
conseguenze anche sugli opifici dell'Ente, che si vide
costretto a
ridurre in maniera notevole il ritmo della produzione .
Marinetti
e Munari: i pionieri della percezione tattile
Dopo
gli importanti successi ottenuti in campo sociale, il
tema cominciò
pian piano ad invadere anche l'ambito artistico.
L'idea che
l'arte potesse essere fruita attraverso sensi diversi
della vista,
come ad esempio il tatto, trovò le sue radici nel
primo dopoguerra
con Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento
futurista.
Sono
proprio gli anni della Prima guerra mondiale passati
all'interno
delle trincee, che spingono Marinetti a pensare ad
un'educazione al
tatto: «nel sotterraneo buio di una trincea di
Gorizia, nel 1917, io
feci i miei primi esperimenti tattili ».
È in seguito a quest'esperienza che lo porta a
mettersi nei panni
di un non vedente che nel gennaio 1921, a Milano,
viene pubblicato il
Manifesto
sul Tattilismo.
In esso Marinetti sottolinea quanto il tatto debba
essere allenato
per far sì che sia in grado di comunicare le stesse
emozioni che
solitamente vengono trasmesse attraverso gli occhi.
Uno dei punti più
interessanti del Manifesto riguarda le cosiddette tavolette
tattili per improvvisazioni parolibere in
cui «il tattilista esprimerà ad alta voce le diverse
sensazioni
tattili che gli saranno date dal viaggio delle sue
mani. La sua
improvvisazione sarà parolibera, ossia liberata da
ogni ritmo,
prosodia e sintassi, improvvisazione essenziale e
sintetica e quanto
meno umana possibile ».
Tra
le tavolette tattili astratte realizzate da Marinetti,
bisogna citare
Sudan-Parigi del 1922. Essa è divisa in tre
parti: la parte
superiore è realizzata con materiali ruvidi, come una
grattugia, una
spazzola rinsecchita, sughero e carta vetrata, per
richiamare il
Sudan; nella parte centrale l'oceano è rappresentato
con la carta
di alluminio che ne richiama la superficie liscia;
mentre nella parte
inferiore, che identifica Parigi, sono stati usati
materiali pregiati
come la seta e contorni molto morbidi. Certamente a
Marinetti va
riconosciuto il merito di aver ragionato in termini
globali
indipendentemente dalle singole arti, cercando di
sollecitare l'uso
di tutti i sensi per percepire non solo l'arte, ma
anche tutta la
realtà che ci circonda.
Anche
l'artista e designer Bruno Munari, dopo una prima
adesione al
Futurismo da cui se ne distaccò, dedicò la sua
attenzione
all'educazione artistica dei bambini. Munari volle
creare un tipo
di arte in grado di coinvolgere tutti i sensi e non
solo la vista. «La conoscenza del mondo, per un
bambino, è di tipo
plurisensoriale. E tra tutti i sensi, il tatto è
quello maggiormente
usato, il tatto completa una sensazione visiva e
auditiva, dà altre
informazioni utili alla conoscenza di tutto ciò che ci
circonda. Il
senso viene poi trascurato, come non importante,
secondo gli adulti
che sono stati a loro volta condizionati da
un'educazione
limitativa, orientata solo sulla vista e l'udito. (…)
NON
TOCCARE! Quante volte i bambini si sentono ripetere
questa
imposizione. Nessuno direbbe mai: non guardare, non
ascoltare, ma
pare che per il tatto sia diverso, molti pensano che
se ne possa fare
a meno».
La
prima Tavola Tattile risale al 1931; a questa
seguiranno quelle del
1943 e del 1993. Esse sono realizzate su tavole di
legno e presentano
l'utilizzo di vari materiali come carte vetrate di
varia finezza,
sughero, corde, metallo, pelle e pelliccia, così da
offrire diverse
sensazioni visive e tattili. Databile al 1976 è il Messaggio
tattile
per una bambina non vedente, una composizione
lineare
alta due metri che lo stesso artista invita a farla
passare tra le
mani come fosse un rosario. È composta da una corda di
plastica
liscia, un nodo di canapa, una catenella di palline
cromata, plastica
morbida in strisce, un anello in ferro a cui sono
attaccati altri
materiali quali canapa sfilacciata, corda di manila,
rafia naturale,
un tubo in PVC morbido, una molla metallica, un altro
nodo, un filo
di lana, un pezzetto di pelliccia e una fettuccia con
bottone e
asole. Il Messaggio, con le sue continue
sorprese, riprende
l'idea di un'opera d'arte da concepire con il tatto,
indispensabile per un non vedente, ma altrettanto
importante per i
vedenti.
La
funzione educativa dell'arte
Già
Platone considerava l'arte come un tassello
fondamentale
nell'educazione dell'individuo, poiché questa
disciplina è in
grado di sviluppare al tempo stesso la singolarità, la
coscienza
sociale e la reciprocità degli individui; essa,
inoltre, può
aiutare a superare la crisi che si instaura nel
passaggio
dall'infanzia all'adolescenza. Uno dei compiti in
questo
importantissimo periodo di transizione da un'età
all'altra è
proprio quello di ricercare i mezzi e i metodi di
stimolo che possano
consentire al fanciullo di non smarrire la fiducia in
sé, che è la
ragione per cui molti soggetti pongono fine alla loro
attività
creatrice. Promotore di tale linea di pensiero fu
Viktor Lowenfeld.
Le osservazioni alle quali giunse non sono altro che
il risultato
della sua lunga esperienza passata come educatore di
ciechi e deboli
della vista. Durante la sua attività si impegnò a
lungo per
combattere quel senso di inferiorità che deriva ai
ciechi dal loro
difetto fisico al fine di dimostrare come, nonostante
il loro
handicap visivo, essi potessero raggiungere uno
sviluppo
intellettuale completo. La loro condizione non è
quindi da
considerarsi inferiore rispetto a quella di un
normovedente, bensì
diversa.
Le
persone non affette da deficit visivo, solitamente,
osservano
dapprima il tutto, poi analizzano i particolari e
infine se ne
servono per costruire una sintesi dell'intero. Al
contrario, la
percezione spaziale del cieco e del debole di vista
consiste nel
fatto che essi pervengono all'immagine globale
soltanto attraverso
una sintesi costruttiva.
Le
ricerche compiute da Münz e Lowenfeld
prendono come punto di partenza i disegni dei bambini,
in cui è
possibile individuare i due tipi – il visivo e il
tattile – e
dimostrano come l'artista tattile è anzitutto
collegato non con un
oggetto del mondo esterno, ma col suo mondo interiore
formato da
sensazioni e sentimenti. Col diminuire dell'importanza
attribuita
al senso della vista, aumenta quella della percezione
tattile in cui
si verifica una sintesi tra la sensazione tattile
della realtà
esterna e le esigenze soggettive che appaiono
strettamente legate con
l'esperienza del proprio io.
Nel
libro Creatività
e sviluppo mentale Lowenfeld
approfondisce i due tipi di espressione artistica. Le
indagini da lui
compiute dimostrano che solo in pochi individui si
rivelano eguali
quantità di predisposizioni aptiche e visive, poiché
nella maggior
parte dei casi tende a prevalere o l'uno o l'altro
tipo. La
differenza sostanziale tra i due tipi fondamentali di
rappresentazione dello spazio, il “visivo”
e il “tattile”
– e quindi di attività artistica – consiste nel fatto
che il
primo riconosce lo spazio a distanza e lo pone come
oggetto distinto
dal soggetto, mentre il tipo aptico fa dello spazio un
espandersi e
articolarsi del soggetto il cui principale mezzo
intermediario è
l'Io
corporeo, ovvero
le sensazioni muscolari, le impressioni tattili e le
esperienze
cinestetiche. Riguardo la figura umana, per il
soggetto visivo essa
fa parte dell'ambiente e quindi si conforma alle
stesse regole;
mentre il tipo aptico si serve della figura umana per
interpretare le
sue emozioni e i suoi sentimenti. Poiché le varie
parti del corpo
hanno diverse funzioni ed importanza, le loro
proporzioni nel disegno
corrisponderanno al significato emozionale loro
attribuito. Tuttavia,
Lowenfeld precisa che «la rappresentazione spaziale,
sia essa visiva
o tattile, comincia allo stesso modo »
e cioè con i primi atti diretti ad estendere
all'ambiente la
consapevolezza e la vitalità dell'essere umano.
L'autore
non considera mai le rappresentazioni figurative dei
ciechi e dei
deboli di vista come mere testimonianze rivelatrici di
una diversa
esperienza della realtà, bensì come veri e propri
elaborati
artistici e, in quanto tali, li esamina criticamente.
L'assenza
di attenzione da parte delle autorità preposte alla
riabilitazione
del cieco è tra i fattori che contribuisce ad
incrementare
l'isolamento dei non vedenti nonché la persistenza di
immagini
fortemente stereotipate.
La
difettologia si è a lungo battuta per far sì che le
persone affette
da minorazione venissero considerate come diversamente
sviluppate. Il
bambino non percepisce direttamente il proprio
deficit, ma le
difficoltà che da esso derivano. Secondo Adler, nel
processo
binominale «deficit – compensazione» si inserisce un
terzo membro
intermedio «deficit – senso di inferiorità –
compensazione».
L'errata concezione del deficit da parte della
psicologia è stata
la causa dell'insuccesso dell'educazione tradizionale
dei bambini
ciechi e sordi. Persino in famiglia il bambino cieco o
sordo è prima
di tutto un bambino speciale e nei suoi confronti si
instaura un
rapporto esclusivo, insolito. Soprattutto l'amore e la
pietà
eccessivi con cui alle volte sono trattati causa un
grande peso per
il bambino e un muro che lo separa dai suoi coetanei.
La scuola dello
psichiatra viennese Adler ha mostrato il significato e
il ruolo
psicologico del deficit organico nel processo di
sviluppo e di
formazione della personalità. Se un qualsiasi organo,
a causa di
un'insufficienza morfologica o funzionale non riesce a
svolgere
completamente il proprio lavoro, il sistema nervoso
centrale e
l'apparato psichico si assumono il compito di
compensare la
funzione difettosa dell'organo. Nel cieco la capacità
di
distinzione mediante il tatto si affina in modo da
compensare la
vista, non per effettivo aumento dell'eccitabilità
nervosa, ma per
esercizio all'osservazione, alla valutazione e alla
compensazione
delle differenze .
I
musei come luoghi di accoglienza
Le
arti visive rientrano in quell'ambito culturale in cui
i minorati
visivi sono esclusi a priori poiché si ritiene che
essi non siano in
grado di poter apprezzare una disciplina che fonda
sulla vista la sua
natura d'essere. Eppure, gli studi compiuti
recentemente hanno
dimostrato come la percezione tattile, eseguita su
supporti che
tengono conto di particolari parametri, possa
restituire al non
vedente una conoscenza esaustiva dell'opera presa in
esame.
Solitamente
quando si parla di musei tattili, la prima
considerazione che viene
fatta è l'esclusività del luogo riservato a persone
colpite da
una grave minorazione visiva. Tuttavia, tali strutture
possono
rivelarsi un valido canale di conoscenza anche per
tutte le altre
persone che fanno della vista la loro unica modalità
di conoscenza.
A
partire dalla seconda metà del ‘900 gli architetti
hanno iniziato
a dar vita ad una serie di edifici pensati per una più
ampia gamma
di utenti. Quando si parla barriere o di accessibilità
si pensa solo
a quei luoghi in cui è impossibile entrare per via di
difficoltà di
natura prettamente strutturale. Col tempo, invece, si
è constatato
come gli ostacoli per un accesso alla cultura si
trovino anche in
quegli oggetti che sono di uso quotidiano. Per
esempio, la dimensione
del carattere di stampa, il font utilizzato o il
contrasto
testo/sfondo condizionano fortemente la capacità di
lettura.
Questo aspetto, messo in luce solo
recentemente, riguarda le
cosiddette «barriere percettive», ovvero tutti
quegli
ostacoli, non solo strutturali, che rendono difficile
l'autonomia
delle persone con disabilità sensoriali come i non
vedenti, gli
ipovedenti o i sordi, in cui è impossibile l'uso di
uno o più
sensi. Nel loro caso, infatti, le problematiche più
consistenti
riguardano l'orientamento e la sicurezza. Per questo
motivo
l'accesso alle informazioni all'interno degli edifici
pubblici
deve essere garantito attraverso diverse modalità: in
forma visiva
con caratteri ingranditi; in forma verbale con
messaggi acustici e in
forma tattile con la scrittura in Braille. All'interno
di un museo
in cui si decide di creare un percorso tattile non
deve mancare la
segnaletica plantare. Il Sistema Vettore – studiato,
testato,
brevettato e unico riconosciuto dall'Unione Italiana
dei Ciechi e
degli Ipovedenti – è un linguaggio speciale impresso
su piastrelle
in materiale plastico innovativo, finalizzato alla
mobilità delle
persone con difficoltà visiva. Le componenti
strutturali di questo
sistema si riducono a due elementi: la linea per la
direzione e i
punti per l'attenzione e la segnalazione di pericolo.
Gli elementi
modulari che compongono il percorso – dotati di
scanalature
appositamente studiate per forma, spaziatura e raggio
del rilievo –
permettono ai non vedenti e agli ipovedenti di
raggiungere una
destinazione.
Tra
i musei che per primi hanno reso fruibili le opere
d'arte alle
persone non vedenti va ricordato il Museo Tattile
Statale “Omero”
di Ancona, ideato da Aldo Grassini, rimasto cieco
giovanissimo in
seguito all'esplosione di un ordigno. Istituito nel
1993 dal Comune
di Ancona con il contributo della Regione Marche su
ispirazione
dell'Unione Italiana Ciechi, è stato riconosciuto
Museo Statale
dal Parlamento con Legge n. 452 del 1999, la cui
finalità – come
recita l'art. 2 della Legge precedentemente citata, è
quella di
«promuovere la crescita e l'integrazione culturale dei
minorati
della vista e di diffondere tra essi la conoscenza
della realtà ».
Le opere raccolte costituiscono per i non vedenti una
straordinaria
opportunità per lo studio delle corrispondenze tra
stati d'animo
ed espressioni facciali, rappresentative dei diversi
assetti
psicologici dell'animo umano. Attraverso sensori a
sfioramento
posizionati su ciascun busto è possibile attivare
un'istallazione
sonora in grado di restituire la gamma emozionale
delle espressioni
del volto di ciascuna opera (la risata, il lamento, il
pianto, ecc…).
L'impatto emozionale può essere amplificato attraverso
un commento
audio di tipo teatrale che rivela i pensieri che
suscita quella
particolare espressione del volto .
Altro
fiore all'occhiello italiano è il Museo tattile di
Pittura Antica
e Moderna Anteros dell'istituto dei Ciechi Francesco
Cavazza.
Fondato nel 1999 in seguito ad un progetto di ricerca
applicata
avviato nel 1995 presso l'Associazione Scuola di
Scultura
Applicata, in collaborazione con la Cattedra di Ottica
fisiopatologica dell'Ospedale Sant'Orsola, l'Unione
Italiana
dei Ciechi e l'Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza
di Bologna,
esso custodisce traduzioni tridimensionali di
capolavori pittorici
rappresentativi delle età comprese tra classicità e
contemporaneità, corredate da tavole propedeutiche
alla conoscenza
degli stili e alla comprensione delle categorie della
rappresentazione (forma chiusa/forma aperta;
naturalismo/stilizzazione; realismo/idealismo).
Ad
ogni rilievo corrispondono tre tipi di schedature
descrittive
tradotte sia in Braille, sia stampate con caratteri
ingranditi,
corrispondenti a tre diversi livelli di
approfondimento
dell'immagine, che informano il lettore sui contenuti
stilistici,
iconografici e iconologici dell'opera d'arte e che
guidano lo
spettatore nell'esplorazione aptica. Il dipinto,
trasformato in
rilievo, diventa un bassorilievo prospettico
funzionale alla lettura
tattile. Il rapporto di somiglianza tra dipinto
originale e
traduzione tridimensionale è direttamente
proporzionale alla
leggibilità dell'opera. La tecnica di realizzazione
richiede che,
dapprima, si decida in quale dimensione realizzare il
bassorilievo
(in scala reale, maggiore o minore rispetto
all'originale); di
seguito si passa alla preparazione della matrice in
argilla sulla
quale viene tracciato il disegno e infine si giunge
alla costruzione
di volumi per arrivare ad una progressiva definizione
delle forme. È
necessario valutare anche il grado di leggibilità del
rilievo, nel
rispetto delle soglie tattili tollerabili e condivise
nel mondo della
percezione aptica e della disabilità visiva. In fase
di
realizzazione e completamento, la riproduzione viene
testata da
persone minorate della vista che abbiano maturato
competenza in
materia. Una volta realizzato il prototipo
tridimensionale in creta,
levigato, texturizzato e perfezionato le qualità
tattili delle
superfici, si procede alla realizzazione dello stampo
in gomma
siliconata da cui si ricaverà un nuovo originale in
resina bianca o
gesso alabastrino.
Sia
le persone normodotate che quelle con minorazione
visiva leggono
l'opera d'arte con sistemi percettivi e semantici
affini, anche
se nelle persone non vedenti e ipovedenti le modalità
di costruzione
mentale dell'immagine prevedono fasi di scomposizione
e
ricostruzione dell'immagine ineludibili. Dopo aver
letto le
strutture geometriche nascoste e gli schemi interni
della
composizione (analisi preiconografica), riconosciuto i
contenuti
convenzionali dell'immagine (analisi iconografica), ed
esplorato il
senso dell'opera d'arte (analisi iconologica), il
lettore giunge
all'esperienza estetica, anche in relazione al suo
pregresso
culturale e alle sue potenzialità percettive. L'uso
della
descrizione verbale, simultaneo alla guida tattile,
serve a
rafforzare la comprensione dell'opera ma il linguaggio
deve essere
essenziale ed esauriente .
Per l'apprezzamento delle qualità spaziali e di quelle
volumetriche ed espressive di aggettanze, dei piani di
posa
prospettici o degli scorci, si potrà ricorrere:
all'alternanza di
movimenti a “pinza” e a “pennello” con uso dell'indice
e
pollice congiunti, con rotazione e allineamento dei
polpastrelli per
afferrare e ridisegnare i contorni delle forme;
all'uso della
bimanualità, talvolta simmetrico, talvolta speculare
e, infine, allo
sfioramento della superficie per percepire variazioni
di texture e
modulazioni plastiche .
Come
abbiamo notato, gran parte del materiale dedicato alle
persone
affette da minorazione visiva è realizzato tramite
l'uso della
stampante 3D. Tra le molteplici startups che hanno
rivolto
l'interesse a questo campo vi è 3D-Archeolab, nata da
un'idea
dell'archeologo Giulio Bigliardi e dell'architetto
Sofia
Menconero, i quali hanno deciso di puntare sulla
realizzazione di
oggetti archeologici, scultorei e architettonici.
Partendo da una
serie di fotografie che riprendono il soggetto da
varie angolazioni,
tramite un software open source esse vengono
assemblate così da
permettere la creazione dell'oggetto tridimensionale.
Una volta
ottenuto un primo prototipo, esso viene disposto su un
piano
cartesiano da cui si originano le coordinate che
saranno inviate alla
stampante .
Sempre
in campo artistico una startup che ha dato vita ad
un'importante
innovazione tecnologica è Tooteko: TalkingTactile,
nata nel 2014 da
un'idea di Serena Ruffato e Fabio D'Agnano, in
collaborazione con
Cristiano D'Angelo, Gilda Lombardi e Deborah
Tramentozzi. Si tratta
di un anello che, dotato di speciali sensori NFC (Near
Field
Communication), riproduce la traccia audio relativa al
punto toccato
sfruttando il collegamento wireless per lo scambio di
informazioni
mediante un'applicazione che può essere scaricata su
tablet o
smartphone .
Nella riproduzione di opere d'arte bidimensionali i colori sono forse la più difficile da trasmettere ai non vedenti in quanto gli occhi sono l'unico canale in grado di cogliere le varie sfumature cromatiche che caratterizzano un dipinto.
Una delle
ultime scoperte
nel campo della scomposizione delle immagini in RGB
(Red, Green,
Blue), compiute dal Dott. Guglielmo Maria Gioele
Chiavistelli
sotto la direzione del Prof. Stefano Colonna, ha permesso
di effettuare un
ulteriore passo avanti nella ricerca. La metodologia
sematometrica
scientifica maltesiana alla base di questo progetto è
stata applicata dal Dr. Chiavistelli il quale ha usato un criterio matematico-scientifico, applicato ad un'opera grafica-visiva. L'immagine - raffigurante il
Sogno del
Cavaliere (1503-1504) di Raffaello Sanzio - tradotta
in informazione
binaria dall'elaboratore, è stata poi processata con
specifici
algoritmi per mezzo di software professionali in grado
di
trasferirla, sotto forma di rilievo, ad un oggetto
tridimensionale.
Per creare il bassorilievo prospettico si è usato lo
stesso
meccanismo che è alla base delle bump maps
(mappe di
rilievo). Esse sono grayscale, ovvero
presentano una scala
cromatica di differenti tonalità limitata ai colori
nero, grigio e
bianco che invia al sofware 3D due tipi di input
fondamentali e
opposti: quando i colori si avvicinano al nero,
l'effetto ottico è
quello dello sprofondamento della superficie, mentre
se i dettagli
hanno un colore tendente al bianco, questi sembrano
uscire dalla
superficie. L'immagine prescelta, con l'utilizzo di
Photoshop, è
stata poi scomposta nei tre canali RGB. Ciascuno di
essi presenta già
all'interno del programma le immagini in scala di
grigio. Sempre
con Photoshop, attorno ad esse viene aggiunta una piccola cornice nera, così da avere
una minima
bordatura. I pixel vengono rielaborati e trasformati
in “istogrammi
tridimensionali” che, una volta letti dal software
della stampante
3D, danno vita al modello in rilievo.
Con
ArtCAM, software CAD/CAM è stato possibile creare e
gestire i
rilievi di ciascuna delle immagini ottenute in scala
di grigio
generando un primo rilievo in base ai parametri
inseriti (unità di
misura, altezza e larghezza). Il metodo per la
realizzazione delle
tavolette pseudo-braille RGB, oltre che l'utilizzo di
componenti
tecnologiche, presuppone il coinvolgimento di un
operatore.
Quest'ultimo perfeziona, riduce gli artefatti e
aggiusta le forme,
smussandole e rendendole il più possibile omogenee
così da offrire
una migliore percezione aptica, cercando sempre di
garantire la
corretta corrispondenza cromatica tra i rilievi
prodotti e i canali
RGB dell'opera originale. Per rendere più resistenti
queste
tavolette, viene dato uno spessore aggiuntivo che non
inficia con
quello del rilievo.
Nonostante
questi piccoli ma sostanziali cambiamenti, il tema
della disabilità
viene visto ancora come un tabù, specialmente in
Italia. Troppo
spesso facciamo riferimento ad un solo modello di
“normalità”
che in realtà non esiste in quanto ciascuno di noi è
al contempo
abile e disabile rispetto all'altro. Per tale motivo
ognuno di noi
dovrebbe imparare a convivere con la propria
condizione e ad
interagire con quella altrui, trovando gli strumenti
necessari per
massimizzare la fruizione del patrimonio artistico,
così da
risvegliare percezioni normalmente smorzate e che in
altri soggetti
rappresentano invece l'asse portante di questa
esperienza.
I
veri limiti esistono solo negli occhi di chi si
sofferma prima sulle
mancanze piuttosto che sulle potenzialità.
NOTE
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