La
casa-museo: una particolare forma museale
Quando si
pensa ad una possibile definizione di casa-museo
occorre innanzitutto riflettere sui due termini che la
compongono: casa intesa come luogo dell'abitare e
museo come istituzione secolare.
Per meglio
comprendere le ragioni della nascita di questa forma
museale è bene prestare attenzione alla connessione
esistente tra i concetti di casa quale struttura, il
proprietario con i suoi desideri e aspirazioni, e il
contesto nel quale essa (la casa-museo) si va ad
inserire.
In essa il
visitatore comprende immediatamente ciò che vede
grazie al contenuto che vi è conservato, a ciò si può
anche aggiungere il fatto che al suo interno tutto
conserva l'atmosfera originale, intima, voluta da
colui che vi abitava.
Questa
particolare tipologia di dimora presenta inoltre due
peculiarità: nasce dalla trasformazione di
un'abitazione privata in museo aperto al pubblico e vi
è insito l'elemento umano.
È il
celebre anglista e letterato Mario Praz ad introdurre
un'altra caratteristica fondamentale di queste dimore
sui generis: il persistere di una raccolta
artistica all'interno di un ambiente domestico abitato
da un collezionista e dunque ricco di opere d'arte, ma
anche di arredi, mobili e di oggetti d'arte
decorativa.
Praz
scriveva «[...] Dentro una casa-museo ci si sente a
contatto con il passato, la disposizione degli arredi
agisce come un incanto, l'odore dei mobili, della cera
dei pavimenti, delle stanze antiche agiscono sulla
nostra immaginazione [...]» 0
.
Le radici
storiche della casa-museo
La
codificazione della casa-museo quale istituzione
museale risale alla metà del XIX secolo, sulla scorta
di numerosi lasciti testamentari che destinarono
raccolte eterogenee ad uso e beneficio pubblico.
La gran
parte di queste collezioni era frutto di trasmissioni
ereditarie o di acquisti sul mercato antiquario che
consentivano all'acquirente di legittimare la propria
posizione sociale.
È solo nei
primi decenni del XX secolo che la tipologia della
casa-museo riesce a godere di una grande fortuna in
America e in Europa, dove erano molti i collezionisti
che, prendendo a modello i grandi filantropi
ottocenteschi, iniziano a donare allo Stato le proprie
dimore e tutte le raccolte in esse custodite al fine
di permettere ad un pubblico sempre più ampio di poter
ammirare i capolavori da loro acquistati.
Le ragioni
del passaggio delle case-museo dalla sfera privata a
quella pubblica possono essere ricondotte alla
presenza o meno di un testamento, che ne costituisce
un valido metro di paragone.
Sotto la
generica definizione di casa-museo confluiscono
differenti tipologie di dimore: regge e palazzi reali,
case di uomini illustri, case d'artista, case di
collezionisti, case dedicate ad uno stile o a
un'epoca, case di famiglia, case intese come
contenitori di raccolte storiche e case con precisa
individuazione socioculturale.
A dispetto
delle similitudini apparenti ogni dimora trasformata
in museo presenta una propria originalità, frutto di
bisogni, aspettative e finalità a cui la persona o le
persone che vi risiedevano voleva ottemperare.
Nell'ambito
dell'Assemblea Demhist di Vienna dell'agosto 2007
questo primo elenco è stato ulteriormente ampliato e
ad occuparsene sono stati gli studiosi Hetty Berens e
Julius Brant, i quali hanno aggiunto al precedente
elenco: case della bellezza; case dedicate ad eventi
storici; case volute da una comunità; luoghi del
potere; case del clero e case a carattere
etno-antropologico. 1
La
musealizzazione della casa-museo
«[…] I
cambiamenti che trasformano la casa in museo sono
quasi tutti riconducibili essenzialmente a due
politiche di intervento: la prima riguarda i
cambiamenti del quadro istituzionale, con la nuova
organizzazione e gestione del bene, la seconda
riguarda i cambiamenti di un quadro spaziale, con la
scelta di un nuovo allestimento della casa, del suo
giardino e degli spazi interni [...]». 2
Alla base
di ogni progetto di trasformazione della casa in museo
– noto come processo di musealizzazione – si deve
tener conto di tre condizioni: comprendere la
personalità del suo fondatore, considerare il ruolo
del curatore nella gestione, e infine quello
dell'architetto incaricato dell'interpretazione del
lascito.
«[…] la
musealizzazione agisce inizialmente dall'esterno verso
l'interno, perché porta gli oggetti verso il museo, ma
poi procede in senso contrario, dall'interno verso
l'esterno, riportando quegli oggetti verso il mondo,
anche se in un modo diverso [...]». 3
Così la
studiosa Maria Vittoria Marini Clarelli descrive
questo processo preliminare, individuandone tre fasi:
separazione, ricomposizione ed esposizione. 4
La
separazione è il processo attraverso il quale le cose
vengono trasformate in “musealia” 5
e introduce un primo problema: se la conversione in
oggetto possa incidere o meno sulla sua funzione, sul
suo statuto e sulla sua natura.
La fase di
ricomposizione che, oltre a rendere evidente la
relazione tra oggetto e collezione museale, fa sì che
la coesistenza dei pezzi di una raccolta all'interno
del museo sia armonica.
L'esposizione,
l'ultima
tappa del percorso, agisce come mediatore tra
collezione e pubblico e può essere suddivisa in tre
livelli: ostensione (messaggio visivo), esplicazione
(messaggio verbale) e implicazione (l'oggetto è aperto
al dialogo con l'osservatore).
Al termine
di questa trasformazione l'oggetto diventa un “pezzo
da museo” e affinché ciò avvenga è necessario
sottoporlo ad un duplice intervento che si ripercuote
sulla sua durata e sull'ubicazione 6:
il primo, di tipo conservativo, mira all'accertamento
delle condizioni fisiche e, ove necessario, prevede
l'applicazione di misure di conservazione preventiva o
attiva, procedendo alla stabilizzazione o addirittura
al restauro; il secondo è volto ad assicurare che la
custodia dell'oggetto sia duratura, ricorrendo alla
compilazione di un inventario e alla realizzazione di
fotografie.
La
musealizzazione di una casa-museo è ben altra cosa e
questo processo viene inteso come un tentativo di
continuare ideologicamente il volere del suo abitante,
ripristinando tracce e memorie. Da ciò discende però
una contraddizione poiché attraverso questo processo
di conversione gli oggetti e la casa vengono sottratti
alla loro funzione per essere “sepolti” all'interno di
un museo.
Si tratta
dunque di un processo che deve avere alla base un
lungo lavoro di studio filologico che porta a
considerare la casa-museo come: “simbolo” 7
del pensiero dello scrittore, del collezionista o
dell'artista rendendo essenziale che il curatore,
trasfigurando gli oggetti da oggetti personali a
oggetti espositivi, rispetti i messaggi e i
significati di cui sono un veicolo.
Tra i casi
di studio più interessanti si possono citare dimore
afferenti a diverse tipologie, ascrivibili alla
categoria delle “case d'artista”, termine quest'ultimo
non usato stricto sensu, ma nella sua
accezione più generica, che comprende in sé pittori,
collezionisti, scrittori.
Casa d'arte
futurista Depero: la Casa del Mago
Primo caso
di studio affrontato è la Casa d'Arte futurista
Depero, nata da un'idea del maggiore degli esponenti
del Futurismo, in base ad un progetto che comprendeva
innovazione, ironia e abbattimento di ogni gerarchia
nelle arti.
Fortunato
Depero elabora il progetto di fondare un laboratorio
d'arte nel 1917, durante un soggiorno estivo a Capri,
trascorso con l'amico Gilbert Clavel, sperimentando i
primi quadri di stoffa cuciti.
Da questa
data inizia la storia di quella che viene definita
dagli studiosi “La Casa del Mago”.
Nel 1919,
tornato a Rovereto, l'artista decide di attuare questo
programma prodigandosi subito per trovare un edificio
nel quale trasferire la sede del suo laboratorio, che
inizia le attività nell'autunno di quell'anno.
A dare la
notizia dell'apertura di una bottega d'arte è un
articolo pubblicato qualche mese prima nel numero 12
della rivista Cronache di attualità. 8
Nell'agosto
del 1920 Depero dispone il trasferimento della sede
dal piccolo locale di via Vicenza ai grandi saloni di
Casa Kappel, in via 2 Novembre, spazio in cui il
programma produttivo conosce una grande espansione e
un incremento.
Per i
successivi sette anni il laboratorio attraversa il
periodo di maggior sviluppo, grazie all'instancabile
attività di promozione avviata dal suo fondatore che,
alla ricerca di nuovi acquirenti, fissava appuntamenti
ai quali si presentava munito di un piccolo
campionario di arazzi e cuscini.
Nel 1925
l'artista, nella prospettiva di ampliare e agevolare i
contatti con i committenti, manifesta l'intenzione di
spostare l'officina a Milano, progetto che però
tramonta appena due anni dopo.
Nel 1927
Depero insegue il sogno di abbandonare l'Italia per
approdare in America e l'anno seguente, a New York,
fonda la Depero's Futurist House, filiale americana
della Casa d'Arte. Questo progetto trova la luce
grazie al cospicuo finanziamento di tre soci della New
Transit Import & Export Co, ma a causa dei
rapporti tesi il contratto viene drasticamente risolto
e l'impresa tramonta.
Alle soglie
degli anni Trenta Depero, di ritorno in Italia, mette
a frutto l'esperienza acquisita negli Stati Uniti
revisionando in toto il progetto della Casa d'Arte
Futurista, che per l'occasione diventerà Officina
d'Arte Fascista, dedicata alla produzione e alla
formazione professionale.
A distanza
di poco più di un anno, il laboratorio roveretano si
trova a far fronte a prolungati arresti nella
produzione da imputare alla mancanza di commissioni.
Gli eventi
bellici degli anni Quaranta poi pongono
definitivamente fine alla produzione della bottega
fino al 1957, quando la sede viene trasferita in un
edificio rinascimentale, un posto sicuramente più
congeniale e adatto all'esposizione di mosaici, mobili
e pannelli dipinti, un luogo dove architettura e
pittura si compenetravano suscitando nello spettatore
una sensazione di spaesamento.
Nello
stesso anno l'amministrazione comunale delibera
inoltre l'apertura della Galleria Museo Depero, primo
esempio di museo futurista in Italia, nato grazie alla
stipula di una convenzione con la quale l'artista
destinava all'ente cittadino un patrimonio consistente
in circa tremila oggetti.
Il 1957 è
anche l'anno in cui la Casa d'Arte diventa sede di
importanti esposizioni, che portano anche ad una seria
catalogazione critica delle opere, mirante da una
parte a cogliere gli aspetti emblematici
dell'eterogenea attività dell'artista, e dall'altra a
mettere in luce il carattere innovativo della
produzione tessile deperiana.
Alla morte
di Depero, avvenuta nel 1960, solo una esigua parte
della documentazione archivistica era conservata nel
Museo, poiché quella più consistente si trovava ancora
nell'abitazione privata di via Valbusa, sotto le cure
della vedova. Solo all'indomani della scomparsa di
quest'ultima, nel 1976, tutto il materiale viene fatto
confluire nello storico edificio di via della Terra.
Due anni
dopo viene annunciata l'inaugurazione del museo, del
quale il Maestro aveva disegnato il progetto, ma dato
il vincolo di dover operare all'interno di un edificio
storico quale il Palazzo del Monte dei Pegni, al quale
si aggiungono le difficoltà dei mezzi e le scarse
finanze, l'artista non riesce ad ottemperare al
programma espositivo elaborato.
Nel 1989 la
Galleria entra a far parte del Mart (Museo d'Arte
Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto) con
conseguente acquisizione dei locali della vicina Casa
Caden, consentendo così la creazione di un nuovo
ingresso al museo e un ampliamento dei servizi.
Nel 2008
l'edificio è protagonista di una lunga campagna di
restauro conservativo, diretta dall'architetto Renato
Rizzi e volta al recupero delle zone originali,
completate con due nuovi livelli.
Questo
nuovo impianto distingueva di fatto l'edificio in due
parti: Corpo A che corrisponde agli attuali spazi del
museo, articolati in tre livelli, con funzione
espositiva; Corpo B che coincide con il volume e il
corpo di Casa Caden, destinato alle funzioni di
servizio.
Il 17
gennaio 2009, data del centenario del Futurismo,
riapre la Casa-museo Depero con il nuovo nome di Casa
d'Arte Futurista Depero.
Oggi questa
dimora ha un nuovo percorso espositivo che,
richiamando quello della celebre mostra La Casa
del Mago – tenutasi presso l'Archivio del ‘900
dal 12 dicembre 1992 al 30 maggio 1993 – reinterpreta
l'originaria vocazione del luogo come laboratorio per
la creazione di prodotti artistici e di artigianato.
Questa
esposizione, che riprende il titolo da un'opera del
1920 in cui è raffigurato l'interno del
laboratorio-officina della Casa d'Arte di Rovereto, ha
il merito di aver dato impulso ad uno studio
sistematico e approfondito delle opere, distribuite in
undici sezioni elaborate seguendo un criterio
cronologico.
Casa-museo de
Chirico: una galleria privata
Il secondo
caso di studio è la casa-museo Giorgio de Chirico,
dimora nella quale l'artista vive fino alla sua morte.
La dimora,
sita al quarto piano del Palazzetto dei Borgognoni a
Roma, è stata concepita dal Pictor Optimus
come una galleria privata, nella quale esporre sempre
e solo i suoi quadri, come è possibile notare sin
dall'ingresso e nel resto delle sale, le cui pareti
sono “ricoperte” di quadri rappresentativi di tutta la
produzione dechirichiana.
Giorgio de
Chirico aveva affittato i due piani dell'appartamento,
al civico 31 di piazza di Spagna nel 1947, e subito si
era affrettato a descriverne le vicende nel volume Memorie
della mia vita, sottolineando il cattivo stato
conservativo in cui versavano le stanze. 9
La scelta
di questa abitazione non era stata casuale, dal
momento che lo stesso Maestro era rimasto affascinato
dalla posizione strategica, con vista su Trinità dei
Monti, Piazza di Spagna e il Caffè d'Aragno, luogo
frequentato da lui e da intellettuali con i quali nel
corso della vita aveva avuto vivaci scambi e
dibattiti.
Giorgio de
Chirico e la moglie Isabella Pakszwer Far, dopo aver
corrisposto il primo canone d'affitto, decidono di
arredare i vani nel miglior gusto di una casa borghese
anni Cinquanta, con mobilio in stile Luigi XVI, tende
damascate color rosso, argenterie, tavolini in marmo e
un primo piano di grandi saloni nei quali il celebre
pittore espone i quadri della cosiddetta Nuova
Metafisica – o Metafisica continua secondo una
definizione di Maurizio Calvesi –, le nature morte e i
d'après.
Questa
dimora d'artista, dalla data in cui i due coniugi vi
si sono trasferiti, è stata un'officina creativa nella
quale de Chirico realizza acquerelli, disegni e
sculture, poi entrate a far parte della collezione
permanente.
L'ambiente
più suggestivo di questo appartamento è certamente
l'atelier 10, sito al
quinto piano del palazzetto, nel quale tutto è rimasto
fermo all'ultimo giorno di lavoro e di vita del
pittore e nel quale sono esposti, sui cavalletti, una
copia incompiuta del Tondo Doni di
Michelangelo e un non finito Ritratto di ragazza
che, una volta ultimati, sarebbero entrati a far parte
della serie dei D'après de Chirico – opere che
risentono dell'ammirazione del pittore per i grandi
capolavori del passato, esposte nel cosiddetto salone
neobarocco – insieme al camice grigio macchiato di
pittura appoggiato casualmente su una sedia di vimini,
i pennelli sporchi di colore rappreso e le tavolozze
gettate alla rinfusa.
Fig. 1 - Atelier, Casa-museo di Giorgio de Chirico
Foto di Noemi De Venere
Dopo la
scomparsa di de Chirico, avvenuta nel 1978, la sua
eredità materiale e immateriale è stata raccolta dalla
moglie Isabella Pakszwer Far, la quale si era resa
promotrice di una serie di attività, prima tra tutte
la nascita, nel 1986, della Fondazione a loro
dedicata, accompagnata l'anno seguente dalla donazione
di ventiquattro opere, poi confluite nelle collezioni
della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma.
Questo ente
ha operato negli anni per la promozione di campagne di
restauro che hanno coinvolto il mobilio, i tendaggi e
le opere, rispettando il vincolo di non alterare
l'aspetto che la dimora aveva quando de Chirico era
ancora in vita.
A questa
attività si accompagnano oggi le attività di raccolta,
conservazione, promozione e valorizzazione del
patrimonio ivi conservato anche per mezzo di mostre
temporanee, il cui scopo è quello di favorire la
conoscenza e gli studi sull'arte dechirichiana e
risolvere l'annoso problema della circolazione di
falsi.
Nel 1990,
all'indomani della morte di Isabella Far, la sopra
menzionata Fondazione eredita la casa del pittore e la
maggior parte del patrimonio, ottenendo il
riconoscimento della personalità giuridica e quindi
l'autorizzazione ad accettare il lascito dell'artista,
avviando un lungo iter burocratico che ha avuto come
esito, il 20 novembre 1998, l'apertura al pubblico
della casa-museo.
La dimora è
stata subito oggetto di un'intensa attività di
ricostruzione filologica – anticipata da un accurato
studio delle foto d'epoca – e di una campagna di
restauro del mobilio, accompagnati entrambi questi
interventi dalla pubblicazione di tre importanti
scritti dell'artista.
All'interno
delle sale sono ancora oggi conservati, oltre ai
quadri più rappresentativi dell'intensa produzione
artistica dechirichiana, anche tre diversi archivi:
uno costituito da carte personali e manoscritti, il
secondo, istituito da Carlo Bruni, primo curatore
della dimora, con la documentazione relativa al corpus
letterario del Maestro e il terzo è l'archivio della
Fondazione, che dal 2002, tenendo fede al suo scopo,
pubblica periodicamente, sulle pagine della rivista Metafisica
– Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico,
documenti inediti relativi alla produzione artistica
del Pictor Optimus.
Casa-museo
Alberto Moravia. La casa-museo di un letterato
Altra
casa-museo da menzionare, sicuramente di tenore
diverso rispetto alla precedente, è la dimora nella
quale lo scrittore Alberto Moravia si trasferisce nel
1963, su consiglio della sorella Adriana, con la
compagna Dacia Maraini.
Non appena
si varca la soglia di questo appartamento sito in
Lungotevere della Vittoria, si respira un'atmosfera di
intimità, tanto da avvertire la sensazione che il
celebre proprietario sia appena uscito.
L'abitazione,
caratterizzata
da ampi spazi bianchi, è il palcoscenico su cui si
incontrano e scontrano le due anime di questo
straordinario intellettuale: il letterato e
l'appassionato di pittura. 11
Parlando di
arte non si può mancare di ricordare che Moravia
respirò l'arte fin da bambino, il padre era un
architetto e la sorella, Adriana Pincherle (questo il
primo cognome della famiglia), era una pittrice e
moglie del pittore Onofrio Martinelli.
Questa
predilezione per l'arte ha la sua diretta
rappresentazione nella collezione, comprendente
dipinti e oggetti – per un totale di oltre
quattrocento opere – che periodicamente vengono
sostituite le une con le altre così da esporle a
rotazione, e nei suoi scritti sull'arte, nei quali la
letteratura, presente in forma di citazioni, diventa
il paragone privilegiato per spiegare sul piano
dell'analogia l'azione dell'artista.
Esposti
alle pareti della dimora questi capolavori fanno sì
che lo spettatore si trovi catapultato all'interno di
una piccola galleria, animata dai quadri di Corrado
Cagli, Giulio Turcato e Mario Schifano.
Tra gli
ambienti più suggestivi dell'appartamento figura il
soggiorno, teatro di numerosi incontri con quanti
accorrevano in casa Moravia per chiedere consigli o
sottoporre al giudizio del grande letterato le proprie
opere.
La sala
ospita due ritratti dello scrittore, risalenti agli
anni Trenta e Ottanta del secolo scorso, entrambi
firmati da Renato Guttuso, accompagnati da maschere
rituali, souvenirs di viaggi in Oriente e in
Africa, e dipinti di altri artisti con cui il Maestro
aveva condiviso soggiorni estivi a Sabaudia o
Anacapri, località nelle quali possedeva delle
proprietà. Questo ambiente luminoso è poi abitato da
un'immensa libreria nella quale è conservata intatta
parte della collezione libraria moraviana.
Fig. 2 - Soggiorno della Casa-museo Alberto Moravia
con opere di Guttuso, Scialoja, Guccione, Schifano e maschere rituali
Foto di Noemi De Venere
Altro
spazio emblematico è lo studio nel quale dominano
incontrastate la poltrona e la scrivania, oggetti di
design site-specific, realizzati proprio per
essere esposti in questa dimora e donati a Moravia
dall'amico scultore Sebastian Schadhauser.
A decorare
le pareti della stanza, oltre agli scaffali – ricolmi
di volumi, dizionari e vocabolari – sono presenti
altri ritratti dello scrittore, opere di pittori per i
quali il Maestro aveva redatto testi di presentazione
inseriti nei cataloghi di mostre personali e
collettive.
La casa,
spazio antiscenografico che si fonde con le
personalità dei due abitanti, è arredata con mobili
essenziali, in accordo con le tendenze tipiche degli
anni Settanta, e conserva una straordinaria collezione
d'arte. I capolavori esposti nelle sale di questo
appartamento borghese sono la testimonianza degli
intensi rapporti con gli artisti che poi entreranno a
far parte del cosiddetto «clan Moravia», secondo
un'etichetta allora adottata dalla stampa.
Fanno da
imprescindibile corredo a questo patrimonio visivo la
nutrita biblioteca personale, contenente circa 12.000
volumi che testimoniano dei molteplici interessi
dell'intellettuale non solo verso la letteratura
italiana e straniera del Novecento ma anche verso le
arti, la politica, la psicoanalisi e le culture
extra-europee; e un archivio nel quale sono conservati
ancora oggi manoscritti e dattiloscritti dei più
famosi romanzi composti dagli anni Trenta agli anni
Novanta e più di quattromila lettere.
Nel 1990,
all'indomani della morte del letterato, le eredi Dacia
Maraini e Carmen Llera (ultima compagna di vita dello
scrittore), in concerto con le sorelle Elena e Adriana
Pincherle e un gruppo ristretto di amici, si rendono
promotrici della nascita dell'Associazione Fondo
Moravia-Onlus.
Suddetta
istituzione, operante dal 1991, custodisce l'eredità
culturale e materiale del grande letterato e si occupa
della gestione del centro di ricerca e documentazione
sulla vita e le opere dell'artista, promuovendo
incontri, dibattiti, mostre e pubblicazioni,
mantenendo fede alla volontà di conservare il luogo
inalterato, preservando, in accordo con le esigenze
conservative e di spazio, la disposizione dei mobili e
degli oggetti ivi custoditi.
Grazie
all'instancabile impegno di Toni Maraini, direttrice
della casa-museo per quindici anni, è stata avviata
una campagna di inventariazione e catalogazione dei
beni presenti nella dimora, accompagnata dal fortunato
e casuale ritrovamento, nella cantina, di due valigie
– provenienti con ogni probabilità dalla precedente
dimora di Via dell'Oca – contenenti documenti databili
tra la fine degli anni Trenta e l'inizio degli anni
Sessanta.
Dal 1997
l'Associazione Fondo Moravia-Onlus pubblica la rivista
semestrale Quaderni, mentre risale agli anni
2000 il progetto, avanzato dalle eredi, di rendere la
dimora fruibile al pubblico, poi accompagnato dalla
proposta di donare l'appartamento e tutto il suo
contenuto al Comune di Roma.
Dopo un
lungo iter burocratico, conclusosi nel 2009, sono
state messe in atto tutte le operazioni di
musealizzazione della casa, è stato avviato un intenso
lavoro di schedatura e inventariazione degli oggetti e
delle opere d'arte, al quale sono seguite una
revisione conservativa e una campagna di restauro
pittorico.
L'ultima
tappa di questo percorso è stata l'inaugurazione della
Casa-museo che ha rappresentato un fatto eccezionale
per tre ragioni: ha permesso di conoscere e visitare
il luogo dove l'intellettuale è vissuto per quasi
trent'anni; ha consentito di inserire nel circuito del
Sistema dei Musei Civici di Roma Capitale un altro
importante bene rappresentativo della storia della
città; e infine ha contribuito a rendere nota la
profonda e sfaccettata personalità di uno scrittore
che ha attraversato il Novecento italiano, le guerre,
il Fascismo, fornendo con il suo impegno letterario e
umano un contributo diretto alla storia del nostro
Paese.
Casa-museo
Mario Praz. Un esempio di Wunderkammer contemporanea
Di tenore
completamente opposto è la dimora abitata da Mario
Praz dal 1969 fino al 1982.
Ospitata al
terzo piano di Palazzo Primoli 12
a Roma, al quale afferiscono la Fondazione omonima e
il Museo Napoleonico, questa dimora viene trasformata
dal letterato romano in una Wunderkammer
contemporanea, una stanza delle meraviglie, ricolma di
oggetti d'arte acquistati in oltre sessanta anni di
appassionato collezionismo.
L'arredo
degli ambienti viene costruito da Praz seguendo il
criterio della ricerca di rimandi evidenti tra gli
oggetti, di simbologie e riprese tematiche, in modo
che la dimora potesse stimolare nello spettatore una
specie di gioco.
La
straordinaria collezione prazziana, precedentemente
esposta nell'abitazione di Palazzo Ricci, consta di
1200 opere tra mobili, dipinti, marmi, cere, bronzi,
terrecotte, avori, porcellane, cristalli, sculture,
ventagli, tappeti, tendaggi, miniature, argenti e
strumenti musicali.
Di questa
preziosa raccolta di oggetti d'arte troviamo esempi in
ciascuno dei nove ambienti che
compongono
la casa, a partire dall'ingresso dove sono conservati
oltre agli oggetti ottocenteschi anche una modesta
raccolta di opere di artisti figurativi, una piccola
libreria siciliana decorata con erme maschili a tutto
tondo e sormontata da due quadri d'interno e la
libreria in mogano e piuma d'oro appartenuta a
Gabriele D'Annunzio; segue poi la Grande Galleria,
sala rimaneggiata da Praz nell'anno del trasferimento
nella nuova dimora, avvalendosi della collaborazione
di un architetto, e sormontata da un lungo ballatoio
sul quale sono esposti i ritratti in cera. Si tratta
di un ambiente, decorato oltre che dalle opere d'arte
anche da oggetti di mobilio, tra i quali spicca la
libreria-alcova disegnata nel 1934 dal celebre
anglista, al di sotto della quale spicca il divano
ricamato con la collaborazione della moglie Vyvien
Eyles.
Questi
oggetti d'arredo si ispirano a quelli che compaiono
nell'opera di Vincenzo Abbati intitolata Maria
Isabella di Napoli nel suo appartamento nel Casino
della Reggia a Capodimonte, presente in
collezione.
Attraversando
questo
spazio si accede a due diversi ambienti: lo studio e
la biblioteca, raggiungibili mediante una scalinata
sormontata da soggetti militari, soldati, sciabole e
strumenti musicali da parata terminanti in teste di
draghi.
Nel primo
ambiente citato si apre una vera e propria quadreria,
composta da nove dipinti ordinati su tre registri,
raffiguranti paesaggi e uomini illustri, ma il pezzo
che colpisce di più è certamente la consolle sistemata
tra le due finestre e caratterizzata da un piano
realizzato grazie alla sovrapposizione di marmi
diversi e sostenuto da elementi in bronzo.
Nella
biblioteca i veri capolavori d'antiquariato sono la
libreria napoletana che si trovava nel salone della
precedente abitazione e un mobile in stile Regency. 13
Tutti
questi oggetti sono stati descritti nel dettaglio da
Praz nel volume La casa della vita, la cui
prima edizione è stata pubblicata a Milano da Arnoldo
Mondadori nel 1958.
Nella
scelta dei pezzi il letterato si atteneva a stretti
limiti cronologici, dalla seconda metà del Settecento
alla prima metà dell'Ottocento, e questo criterio ha
concorso a costruire una serie di ambienti che
contaminano diversi stili e ricostruiscono idealmente
i viaggi intrapresi dal professore per effettuare i
suoi acquisti in Inghilterra, Francia, Germania,
Russia e Italia.
La
Fondazione Primoli, alla quale la casa-museo
afferisce, custodisce oltre al Fondo Mario Praz 14,
donato con atto pubblico del 29 maggio 1972, anche tre
archivi: uno storico, comprendente lettere e
manoscritti, uno dedicato alle incisioni e alle stampe
con ritratti, vignette, vedute e caricature, e infine
uno fotografico.
Nel
documento in cui l'anglista dichiarava la volontà di
fare questa donazione, era presente anche l'elenco dei
volumi distinti in quattro sezioni. 15
Nel
settembre 1980, in occasione del suo
ottantaquattresimo compleanno, Praz offre in vendita
allo Stato italiano questo suo corpus di opere e
oggetti. Lo scopo precipuo del testamento, che
raccoglieva le ultime volontà dell'anglista, era
quello di garantire che il patrimonio da lui
conservato rimanesse integro, a Roma e sotto il suo
nome. 16
Già nel
1957 il professore aveva inserito nelle pagine de La
Casa della vita, una sorta di testamento
auspicando che «[…]quei capolavori di pazienza e
di gusto che sono certi arredamenti si conservino
come musei, dopo che è scomparso lo spirito che loro
die' vita […] tra tanti visitatori indifferenti o
distratti o volgari, vi sarà l'anima sensitiva che,
sia pure per un momento si sentirà investita da quel
calore che un tempo animò tutti i begli arredi.
[…]». 17
Seguendo il
volere dell'anglista la Fondazione, in accordo con lo
Stato, non appena ricevuto il lascito testamentario,
ha messo in atto tutte le operazioni necessarie
all'apertura al pubblico della dimora, provvedendo
alla ricollocazione degli oggetti, portata a termine
grazie all'ausilio della ricca documentazione, con
disegni e inventari compilati dallo stesso Praz. 18
L'elenco
dei pezzi esposti in ogni singola sala era stato
compilato per generi: mobili, arredi, pittura,
scultura, tappeti, tendaggi.
Ogni opera
acquistata era poi identificata da cinque voci
(provenienza, tipologia, mese e anno dell'acquisto e
cifra pagata) e veniva inserito nell'inventario
seguendo un criterio topografico.
Mentre la
Fondazione Primoli stava ultimando il lavoro di
disposizione dei pezzi dell'immensa raccolta
prazziana, ci si accorse dell'assenza di circa
duecento cinquanta oggetti, soprattutto dipinti di
piccola dimensione, porcellane, miniature e argenti,
trafugati dalla casa-museo e poi ritrovati dai
Carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio
artistico e ricomprati dagli eredi.
Ad oggi la
consistenza della collezione è di 1057 pezzi ed è
composta da 113 dipinti ad olio su tela e su tavola;
150 tra pastelli, acquerelli, tempere, disegni,
dipinti su vetro e miniature su avorio, pergamena o
carta; 236 stampe; 71 sculture in marmo, terracotta,
bronzo, legno e stucco; 113 opere in ceroplastica; 160
pezzi tra porcellane, avori, intarsi, ceramiche,
oggetti d'uso quotidiano, strumenti musicali, armi e
orologi; 119 oggetti d'arredo come cristalli, bronzi,
lampadari, camini; 169 mobili di manifattura europea,
cornici, specchi; infine 39 oggetti vari come stoffe,
ricami, ventagli, argenti e tappeti.
Casa-museo
Luigi Pirandello. La
casa-museo del Premio Nobel
La
casa-museo di Luigi Pirandello, sita in via Bosio a
Roma, è l'ultima abitazione nella quale il letterato
visse gli ultimi tre anni della sua vita, dal 1933 al
1936, di ritorno da un soggiorno a Parigi.
La prima
permanenza prolungata di Pirandello a Roma risale al
1914, quando prende in affitto un appartamento al
piano terra di questo villino liberty edificato agli
inizi degli anni Dieci e che diventerà ben presto
teatro di alterne vicende.
Nel mese di
marzo di quattro anni dopo la famiglia è però
costretta a lasciare questa dimora trasferendosi nel
villino Ciangottini, nell'allora via di Pietralata, a
pochi metri di distanza dalla loro vecchia casa,
evento di cui il poeta fa menzione in alcuni scritti
quali la novella Berecche e la guerra e due
lettere inviate al primogenito, l'una del 14 dicembre
1917 19
e l'altra del 16 febbraio 1918. 20
Dopo
numerosi viaggi tra l'Italia e l'Europa, nel 1933
Pirandello torna a Roma stabilendosi nel villino –
oggi la casa-museo a lui dedicata – insieme al figlio
Stefano e alla sua famiglia, occupando rispettivamente
l'ultimo e il penultimo appartamento del complesso.
Ambiente
emblematico di questa dimora è sicuramente lo
studio-salotto nel quale il grande drammaturgo
ricevette, il 9 novembre 1934, la notizia del
conferimento del Premio Nobel per la Letteratura,
episodio ricordato dall'amico giornalista Corrado
Sofia nel volume Pirandello. Storia di un amore. 21
La sala,
descritta nell'incipit di Visita, la novella
inclusa nella raccolta Una giornata
pubblicata postuma nel 1937 22, assolveva
ad una duplice funzione: era luogo di meditazione e
ispirazione, ma anche di incontri letterari e di
piacevoli conversazioni amicali.
Lungo le
pareti corrono le librerie in stile razionale, che
Pirandello aveva fatto costruire su misura per
accogliere la sua immensa biblioteca personale 23,
alle quali si alternano dipinti del figlio Fausto, di
Pasquarosa Marcelli – precedente affittuaria
dell'appartamento –, tre piccoli paesaggi ad olio
dello stesso Pirandello e due ritratti fotografici di
Federigo Tozzi e Massimo Bontempelli.
La parete
più piccola ospita invece due ovali che ritraggono le
nipoti Maria Luisa e Lietta e un ritratto a
carboncino.
Altro
ambiente suggestivo è la camera da letto, il cui
mobilio viene acquistato da Pirandello
telefonicamente. All'interno degli armadi è conservata
intatta la divisa da Reale Accademico d'Italia.
Negli spazi
del villino, oggi noto con il nome di Villa
Pirandello, il Nostro era solito far compilare a
quanti gli andavano a fare visita – soprattutto amici
di vecchia data e nuove conoscenze, ma anche giovani
scrittori giunti per chiedergli consiglio, traduttori,
attori e registi che volevano la conferma della giusta
interpretazione delle sue opere – un Registro
delle firme dei visitatori.
Nelle
stanze sono ancora oggi conservati tutti gli arredi
originali, le opere d'arte, i volumi e i manoscritti
appartenuti al Maestro e che costituiscono un
inestimabile patrimonio artistico.
All'indomani
della
scomparsa di Luigi Pirandello, l'immobile diventa
oggetto di alterne vicende burocratiche. I figli, pur
essendo subentrati nel contratto di locazione, sono
costretti a lasciare, a soli due anni di distanza, la
proprietà che nel frattempo era stata acquistata dallo
Stato per farne la sede dell'Ufficio Centrale Metrico.
Gli eredi
decidono così di includere nel lascito quanto era
contenuto nello Studio a patto che lo Stato
a sua volta si impegnasse a consegnare
l'immobile al Ministero dell'Educazione Nazionale,
impegnandosi a conservare tutto intatto e a non
distruggere la memoria del suo celebre abitatore.
L'impegno
tra le due parti, sottoscritto nel 1942, viene
mantenuto solo in parte, venendo meno l'onere di
provvedere alla manutenzione del villino, con il
risultato di un progressivo degrado.
Nel 1961 il
Ministero della Pubblica Istruzione, in concerto con i
figli dello scrittore e con un gruppo di
intellettuali, decide di affidare la custodia di
questo straordinario patrimonio all'Istituto di Studi
Pirandelliani e sul Teatro Contemporaneo. 24
Dal 1998
Alessandro d'Amico, presidente dell'ente, ha promosso
un progetto mirante da un lato alla conservazione e
tutela del patrimonio ivi conservato, e dall'altro
all'apertura verso la ricerca.
Nel 2010 è
stato anche avviato un progetto per la
digitalizzazione del patrimonio pirandelliano,
ampliato prima nel 2012 e poi nel 2017, grazie alla
Fondazione Roma-Terzo Settore.
L'anno
successivo, grazie al contributo della Compagnia di
San Paolo, è stata avviata una campagna di tutela e
conservazione del patrimonio archivistico-documentario
custodito presso lo Studio di Luigi Pirandello,
iniziando dai volumi che presentavano un cattivo stato
di conservazione.
Oltre al
restauro del patrimonio librario, i lavori hanno
incluso anche un intervento sui documenti manoscritti
conservati presso l'Archivio.
L'Istituto
di Studi Pirandelliani e sul teatro Contemporaneo,
congiuntamente all'obbligo morale e giuridico di
conservare e promuovere l'eredità intellettuale e
materiale del Maestro, si occupa anche della gestione
di alcuni archivi e fondi dichiarati di notevole
interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica
per il Lazio.
Tali beni
non riguardano esclusivamente il patrimonio librario
pirandelliano ma anche un archivio
fotografico-iconografico costituito da circa 1500
negativi e positivi, disegni, documenti originali e
riproduzioni fotografiche di pagine manoscritte,
quadri e frontespizi di edizioni a stampa. Tutto il
materiale è stato suddiviso in sezioni tematiche
all'interno delle quali sono confluite anche le
riproduzioni.
L'analisi
di questi cinque casi di studio ha messo in luce le
differenze relative alle scelte museografiche di
ciascuna casa-museo oggetto dell'elaborato,
constatando l'importanza della presenza di archivi e
biblioteche, e focalizzando gli oneri ai quali ogni
ente deve assolvere nell'esercizio delle proprie
attività.
L'attenzione
va
dunque indirizzata sull'individuazione di differenze e
analogie che caratterizzano queste dimore e il loro
quadro amministrativo.
È possibile
affermare che, eccezion fatta per la Casa-museo Mario
Praz, le altre abitazioni oggetto di questo studio non
sono state trasformate in museo in virtù di volontà
testamentarie bensì su iniziativa dei diversi enti,
fondazioni e associazioni ai quali viene demandata la
gestione di questi beni immobili.
Si evincono
poi notevoli differenze nelle scelte museografiche
adottate, sempre coerenti con la professione svolta da
ciascun proprietario e nell'assenza – nei documenti
d'archivio – di un'esplicita vocazione collezionistica
di questi intellettuali.
Allo stesso
tempo si possono individuare analogie che pertengono ad aspetti conservativi,
stilistici e personali. Tutte le dimore oggetto di
indagine sono state protagoniste di campagne di
restauro volte a ripristinare l'aspetto originario
degli ambienti, a consolidare o modificare le parti
strutturali o conservare i beni ivi custoditi, sia
opere d'arte che materiale cartaceo/librario,
nondimeno sono accomunate dall'attenzione riservata
dai loro proprietari all'arte pittorica e letteraria e
dall'influenza esercitata, sulle collezioni e sugli
arredi, dallo stile o dal movimento artistico
imperante in ciascun periodo al quale tali case-museo
devono i loro natali.
È dunque
lecito chiedersi, alla luce delle riflessioni fatte,
dello stato attuale degli studi e delle norme che
regolamentano l'esistenza di queste celebri dimore,
quale futuro esse potranno avere e quali misure o
strategie potranno essere messe in campo per la
promozione e valorizzazione di un patrimonio così
prezioso.
NOTE
2 DE POLI, PICCINELLI
2006, p. 21.
3 MARINI CLARELLI 2011,
p.42.
6 MARINI CLARELLI 2017,
pp. 17-18.
7 RUGGIERI TRICOLI
2000, p. 35.
8 BELLI 1993, p. 20.
«Il pittore Depero sta per fondare un grande
stabilimento per mobili e oggetti d'arte decorativa
nel Trentino [...]».
9 DE CHIRICO 2019, p. 288. «[...] benché le
camere di quell'abitazione fossero in pessimo stato,
in alcune ci pioveva persino dentro, avvertito il
proprietario che la volevo affittare e con suo
consenso, mi precipitai a occupare i vani facendo
portare in una camera il mio letto. Però prima di
abitarci definitivamente con mia moglie, ci toccò
far riparare le camere e per circa tre mesi fu un
continuo va' e vieni di muratori, di stuccatori, di
imbianchini, di verniciatori ecc. inoltre ci toccò
far procedere a una disinfestazione totale dei vani
e delle camere poiché erano piene di scarafaggi
d'ogni grandezza e d'ogni colore».
10 Ivi
p.290.
«[…] Nella mia casa di piazza di Spagna ho pure
un magnifico studio, che sta al quinto piano.
Dalla terrazza del mio studio vedo spesso
splendidi spettacoli celesti, cieli tersi e
cieli caliginosi, tramonti infuocati, notti di
luna ed effetti notturni con le luci cerchiate
di giallo pallido, come in certe marine di
maestri olandesi e fiamminghi. Io sono sempre
pronto con matita e colori per notare
rapidamente questi spettacoli della natura e
tali annotazioni mi servono in seguito per
l'esecuzione dei suoi quadri [...]».
11 T.
MARAINI 2003, p. 161. «La compagnia dei pittori
mi piace per la medesima ragione per cui
preferisco la pittura alla letteratura. Hanno
sempre qualcosa al tempo stesso di artigianale e
di creativo, mentre lo scrittore che non sia
geniale è spesso un piccolo borghese. Insomma il
pittore è sempre artista, lo scrittore solo
qualche volta [...]. Mi piace la buona pittura
come la buona letteratura [...]. La pittura è
l'arte che credo di capire e amare di più».
12 PRAZ 1995, p.
415. «[...] Per me, cultore dello stile Impero, la
casa è più congeniale dell'antico palazzo di Via
Giulia, e non solo per l'associazione coi
Bonaparte, ma anche per via di Montaigne,
principe dei saggisti».
13 Ivi p. 50. «[...]
un'ampia biblioteca Regency in legno rosa, con
la parte inferiore occupata da sportelli adorni
di losanghe e palmette di bronzo dorato,
affiancati da tre telamoni barbuti dipinti di
verde cupo e d'oro: [...]».
14 Ivi p. 425. «[...]
Avevo un precedente illustre. Petrarca nel 1362
aveva offerto di lasciare la sua biblioteca alla
Repubblica di Venezia in cambio di una casa dove
abitare [...]».
15 Già nel 1968 Praz
aveva donato alla Fondazione Primoli la cospicua
biblioteca di quindicimila volumi, conservandone
solo l'uso.
16 ROSAZZA-FERRARIS
2013, p.5. «Nel mese in cui ho compiuto
ottantaquattro anni di età, essendomi deciso a
provvedere al destino della collezione di arte
neoclassica di mia proprietà alla quale ho
dedicato un'intera vita, il mio primo pensiero è
stato di offrirla in vendita ad un prezzo equo
allo Stato italiano [...]».
17 ROSAZZA-FERRARIS
2008, p. XII.
18 Si trattava di sessantasette pagine
composte da strisce dattiloscritte incollate tra
loro alle quali erano state aggiunte, a penna,
moltissime annotazioni.
19 A. PIRANDELLO
2005, p. 255. «[...] Debbo darti la notizia che
tra due mesi ci toccherà lasciare questa casa
dove io sto da anni! Il villino è stato venduto
e il proprietario nuovo ha scelto per sua
abitazione proprio il quartino dove stiamo noi
(anche tu, col pensiero). Pazienza!».
20 Ivi p. 269 «Vi
abiteremo col primo di marzo. Dalle finestre si
vedrà il villino in cui stiamo ancora per pochi
giorni».
21 SOFIA 1992, pp.
49-55. «[...] Quando mi recai a trovarlo per
comunicargli la notizia del premio Nobel e
consegnargli il dispaccio telegrafico [...]
Sembrava compiaciuto che un giovane delle sue
contrade gli avesse portato la notizia del
premio e rimanesse ad ascoltarlo [...]».
22 SAPONARO,
TORSELLO 2019, p. 10. «Il mio studio è tra i
giardini. Cinque grandi finestre, tre da una
parte e due dall'altra; quelle, più larghe, ad
arco; queste, a usciale, sul lago di sole d'un
magnifico terrazzo a mezzogiorno; e a tutt'e
cinque, un palpito continuo di tende azzurre di
seta [...]».
23 Ivi p. 45 «[…]
Trattengo qua ancora il mio appartamentino, che
s'era ancora tutto riempito di libri: peso e
condanna della mia vita, come la palla del
galeotto. Ho un bel dire che sono un uomo con la
valigia in mano! […]».
24 Il 26 luglio 1979 l'atto costitutivo
dell'Istituto fu rinnovato e perfezionato; nel
1998 ha ottenuto il riconoscimento della
Personalità Giuridica (D. M. del 4 dicembre
1997, G. U. 12 febbraio 1998).
BIBLIOGRAFIA
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2006
Dalla casa-atelier al museo: la
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ROSAZZA-FERRARIS 2013
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PAVONI 2008
Rosanna PAVONI, Case museo: prospettive
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(Atti del Congreso casas-museo: La habitación del
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marzo 2008).
<http://casemuseoitalia.it/pdf/Case-museo-MADRID.pdf>
(visitato in data 25/11/2020).
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