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Le case d'artista nel Novecento  

Noemi De Venere
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 7 Maggio 2021, n. 911
http://www.bta.it/txt/a0/09/bta00911.html
Articolo presentato il 12 Marzo 2021, approvato il 29 Aprile 2021 e pubblicato il 7 Maggio 2021
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Area Musei

La casa-museo: una particolare forma museale

Quando si pensa ad una possibile definizione di casa-museo occorre innanzitutto riflettere sui due termini che la compongono: casa intesa come luogo dell'abitare e museo come istituzione secolare.

Per meglio comprendere le ragioni della nascita di questa forma museale è bene prestare attenzione alla connessione esistente tra i concetti di casa quale struttura, il proprietario con i suoi desideri e aspirazioni, e il contesto nel quale essa (la casa-museo) si va ad inserire.

In essa il visitatore comprende immediatamente ciò che vede grazie al contenuto che vi è conservato, a ciò si può anche aggiungere il fatto che al suo interno tutto conserva l'atmosfera originale, intima, voluta da colui che vi abitava.

Questa particolare tipologia di dimora presenta inoltre due peculiarità: nasce dalla trasformazione di un'abitazione privata in museo aperto al pubblico e vi è insito l'elemento umano.

È il celebre anglista e letterato Mario Praz ad introdurre un'altra caratteristica fondamentale di queste dimore sui generis: il persistere di una raccolta artistica all'interno di un ambiente domestico abitato da un collezionista e dunque ricco di opere d'arte, ma anche di arredi, mobili e di oggetti d'arte decorativa.

Praz scriveva «[...] Dentro una casa-museo ci si sente a contatto con il passato, la disposizione degli arredi agisce come un incanto, l'odore dei mobili, della cera dei pavimenti, delle stanze antiche agiscono sulla nostra immaginazione [...]» 0

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Le radici storiche della casa-museo

La codificazione della casa-museo quale istituzione museale risale alla metà del XIX secolo, sulla scorta di numerosi lasciti testamentari che destinarono raccolte eterogenee ad uso e beneficio pubblico.

La gran parte di queste collezioni era frutto di trasmissioni ereditarie o di acquisti sul mercato antiquario che consentivano all'acquirente di legittimare la propria posizione sociale.

È solo nei primi decenni del XX secolo che la tipologia della casa-museo riesce a godere di una grande fortuna in America e in Europa, dove erano molti i collezionisti che, prendendo a modello i grandi filantropi ottocenteschi, iniziano a donare allo Stato le proprie dimore e tutte le raccolte in esse custodite al fine di permettere ad un pubblico sempre più ampio di poter ammirare i capolavori da loro acquistati.

Le ragioni del passaggio delle case-museo dalla sfera privata a quella pubblica possono essere ricondotte alla presenza o meno di un testamento, che ne costituisce un valido metro di paragone.

Sotto la generica definizione di casa-museo confluiscono differenti tipologie di dimore: regge e palazzi reali, case di uomini illustri, case d'artista, case di collezionisti, case dedicate ad uno stile o a un'epoca, case di famiglia, case intese come contenitori di raccolte storiche e case con precisa individuazione socioculturale.

A dispetto delle similitudini apparenti ogni dimora trasformata in museo presenta una propria originalità, frutto di bisogni, aspettative e finalità a cui la persona o le persone che vi risiedevano voleva ottemperare.

Nell'ambito dell'Assemblea Demhist di Vienna dell'agosto 2007 questo primo elenco è stato ulteriormente ampliato e ad occuparsene sono stati gli studiosi Hetty Berens e Julius Brant, i quali hanno aggiunto al precedente elenco: case della bellezza; case dedicate ad eventi storici; case volute da una comunità; luoghi del potere; case del clero e case a carattere etno-antropologico. 1



La musealizzazione della casa-museo

«[…] I cambiamenti che trasformano la casa in museo sono quasi tutti riconducibili essenzialmente a due politiche di intervento: la prima riguarda i cambiamenti del quadro istituzionale, con la nuova organizzazione e gestione del bene, la seconda riguarda i cambiamenti di un quadro spaziale, con la scelta di un nuovo allestimento della casa, del suo giardino e degli spazi interni [...]». 2

Alla base di ogni progetto di trasformazione della casa in museo – noto come processo di musealizzazione – si deve tener conto di tre condizioni: comprendere la personalità del suo fondatore, considerare il ruolo del curatore nella gestione, e infine quello dell'architetto incaricato dell'interpretazione del lascito.

«[…] la musealizzazione agisce inizialmente dall'esterno verso l'interno, perché porta gli oggetti verso il museo, ma poi procede in senso contrario, dall'interno verso l'esterno, riportando quegli oggetti verso il mondo, anche se in un modo diverso [...]». 3

Così la studiosa Maria Vittoria Marini Clarelli descrive questo processo preliminare, individuandone tre fasi: separazione, ricomposizione ed esposizione. 4

La separazione è il processo attraverso il quale le cose vengono trasformate in “musealia” 5 e introduce un primo problema: se la conversione in oggetto possa incidere o meno sulla sua funzione, sul suo statuto e sulla sua natura.

La fase di ricomposizione che, oltre a rendere evidente la relazione tra oggetto e collezione museale, fa sì che la coesistenza dei pezzi di una raccolta all'interno del museo sia armonica.

L'esposizione, l'ultima tappa del percorso, agisce come mediatore tra collezione e pubblico e può essere suddivisa in tre livelli: ostensione (messaggio visivo), esplicazione (messaggio verbale) e implicazione (l'oggetto è aperto al dialogo con l'osservatore).

Al termine di questa trasformazione l'oggetto diventa un “pezzo da museo” e affinché ciò avvenga è necessario sottoporlo ad un duplice intervento che si ripercuote sulla sua durata e sull'ubicazione 6: il primo, di tipo conservativo, mira all'accertamento delle condizioni fisiche e, ove necessario, prevede l'applicazione di misure di conservazione preventiva o attiva, procedendo alla stabilizzazione o addirittura al restauro; il secondo è volto ad assicurare che la custodia dell'oggetto sia duratura, ricorrendo alla compilazione di un inventario e alla realizzazione di fotografie.

La musealizzazione di una casa-museo è ben altra cosa e questo processo viene inteso come un tentativo di continuare ideologicamente il volere del suo abitante, ripristinando tracce e memorie. Da ciò discende però una contraddizione poiché attraverso questo processo di conversione gli oggetti e la casa vengono sottratti alla loro funzione per essere “sepolti” all'interno di un museo.

Si tratta dunque di un processo che deve avere alla base un lungo lavoro di studio filologico che porta a considerare la casa-museo come: “simbolo” 7 del pensiero dello scrittore, del collezionista o dell'artista rendendo essenziale che il curatore, trasfigurando gli oggetti da oggetti personali a oggetti espositivi, rispetti i messaggi e i significati di cui sono un veicolo.

Tra i casi di studio più interessanti si possono citare dimore afferenti a diverse tipologie, ascrivibili alla categoria delle “case d'artista”, termine quest'ultimo non usato stricto sensu, ma nella sua accezione più generica, che comprende in sé pittori, collezionisti, scrittori.



Casa d'arte futurista Depero: la Casa del Mago

Primo caso di studio affrontato è la Casa d'Arte futurista Depero, nata da un'idea del maggiore degli esponenti del Futurismo, in base ad un progetto che comprendeva innovazione, ironia e abbattimento di ogni gerarchia nelle arti.

Fortunato Depero elabora il progetto di fondare un laboratorio d'arte nel 1917, durante un soggiorno estivo a Capri, trascorso con l'amico Gilbert Clavel, sperimentando i primi quadri di stoffa cuciti.

Da questa data inizia la storia di quella che viene definita dagli studiosi “La Casa del Mago”.

Nel 1919, tornato a Rovereto, l'artista decide di attuare questo programma prodigandosi subito per trovare un edificio nel quale trasferire la sede del suo laboratorio, che inizia le attività nell'autunno di quell'anno.

A dare la notizia dell'apertura di una bottega d'arte è un articolo pubblicato qualche mese prima nel numero 12 della rivista Cronache di attualità. 8

Nell'agosto del 1920 Depero dispone il trasferimento della sede dal piccolo locale di via Vicenza ai grandi saloni di Casa Kappel, in via 2 Novembre, spazio in cui il programma produttivo conosce una grande espansione e un incremento.

Per i successivi sette anni il laboratorio attraversa il periodo di maggior sviluppo, grazie all'instancabile attività di promozione avviata dal suo fondatore che, alla ricerca di nuovi acquirenti, fissava appuntamenti ai quali si presentava munito di un piccolo campionario di arazzi e cuscini.

Nel 1925 l'artista, nella prospettiva di ampliare e agevolare i contatti con i committenti, manifesta l'intenzione di spostare l'officina a Milano, progetto che però tramonta appena due anni dopo.

Nel 1927 Depero insegue il sogno di abbandonare l'Italia per approdare in America e l'anno seguente, a New York, fonda la Depero's Futurist House, filiale americana della Casa d'Arte. Questo progetto trova la luce grazie al cospicuo finanziamento di tre soci della New Transit Import & Export Co, ma a causa dei rapporti tesi il contratto viene drasticamente risolto e l'impresa tramonta.

Alle soglie degli anni Trenta Depero, di ritorno in Italia, mette a frutto l'esperienza acquisita negli Stati Uniti revisionando in toto il progetto della Casa d'Arte Futurista, che per l'occasione diventerà Officina d'Arte Fascista, dedicata alla produzione e alla formazione professionale.

A distanza di poco più di un anno, il laboratorio roveretano si trova a far fronte a prolungati arresti nella produzione da imputare alla mancanza di commissioni.

Gli eventi bellici degli anni Quaranta poi pongono definitivamente fine alla produzione della bottega fino al 1957, quando la sede viene trasferita in un edificio rinascimentale, un posto sicuramente più congeniale e adatto all'esposizione di mosaici, mobili e pannelli dipinti, un luogo dove architettura e pittura si compenetravano suscitando nello spettatore una sensazione di spaesamento.

Nello stesso anno l'amministrazione comunale delibera inoltre l'apertura della Galleria Museo Depero, primo esempio di museo futurista in Italia, nato grazie alla stipula di una convenzione con la quale l'artista destinava all'ente cittadino un patrimonio consistente in circa tremila oggetti.

Il 1957 è anche l'anno in cui la Casa d'Arte diventa sede di importanti esposizioni, che portano anche ad una seria catalogazione critica delle opere, mirante da una parte a cogliere gli aspetti emblematici dell'eterogenea attività dell'artista, e dall'altra a mettere in luce il carattere innovativo della produzione tessile deperiana.

Alla morte di Depero, avvenuta nel 1960, solo una esigua parte della documentazione archivistica era conservata nel Museo, poiché quella più consistente si trovava ancora nell'abitazione privata di via Valbusa, sotto le cure della vedova. Solo all'indomani della scomparsa di quest'ultima, nel 1976, tutto il materiale viene fatto confluire nello storico edificio di via della Terra.

Due anni dopo viene annunciata l'inaugurazione del museo, del quale il Maestro aveva disegnato il progetto, ma dato il vincolo di dover operare all'interno di un edificio storico quale il Palazzo del Monte dei Pegni, al quale si aggiungono le difficoltà dei mezzi e le scarse finanze, l'artista non riesce ad ottemperare al programma espositivo elaborato.

Nel 1989 la Galleria entra a far parte del Mart (Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto) con conseguente acquisizione dei locali della vicina Casa Caden, consentendo così la creazione di un nuovo ingresso al museo e un ampliamento dei servizi.

Nel 2008 l'edificio è protagonista di una lunga campagna di restauro conservativo, diretta dall'architetto Renato Rizzi e volta al recupero delle zone originali, completate con due nuovi livelli.

Questo nuovo impianto distingueva di fatto l'edificio in due parti: Corpo A che corrisponde agli attuali spazi del museo, articolati in tre livelli, con funzione espositiva; Corpo B che coincide con il volume e il corpo di Casa Caden, destinato alle funzioni di servizio.

Il 17 gennaio 2009, data del centenario del Futurismo, riapre la Casa-museo Depero con il nuovo nome di Casa d'Arte Futurista Depero.

Oggi questa dimora ha un nuovo percorso espositivo che, richiamando quello della celebre mostra La Casa del Mago – tenutasi presso l'Archivio del ‘900 dal 12 dicembre 1992 al 30 maggio 1993 – reinterpreta l'originaria vocazione del luogo come laboratorio per la creazione di prodotti artistici e di artigianato.

Questa esposizione, che riprende il titolo da un'opera del 1920 in cui è raffigurato l'interno del laboratorio-officina della Casa d'Arte di Rovereto, ha il merito di aver dato impulso ad uno studio sistematico e approfondito delle opere, distribuite in undici sezioni elaborate seguendo un criterio cronologico.



Casa-museo de Chirico: una galleria privata

Il secondo caso di studio è la casa-museo Giorgio de Chirico, dimora nella quale l'artista vive fino alla sua morte.

La dimora, sita al quarto piano del Palazzetto dei Borgognoni a Roma, è stata concepita dal Pictor Optimus come una galleria privata, nella quale esporre sempre e solo i suoi quadri, come è possibile notare sin dall'ingresso e nel resto delle sale, le cui pareti sono “ricoperte” di quadri rappresentativi di tutta la produzione dechirichiana.

Giorgio de Chirico aveva affittato i due piani dell'appartamento, al civico 31 di piazza di Spagna nel 1947, e subito si era affrettato a descriverne le vicende nel volume Memorie della mia vita, sottolineando il cattivo stato conservativo in cui versavano le stanze. 9

La scelta di questa abitazione non era stata casuale, dal momento che lo stesso Maestro era rimasto affascinato dalla posizione strategica, con vista su Trinità dei Monti, Piazza di Spagna e il Caffè d'Aragno, luogo frequentato da lui e da intellettuali con i quali nel corso della vita aveva avuto vivaci scambi e dibattiti.

Giorgio de Chirico e la moglie Isabella Pakszwer Far, dopo aver corrisposto il primo canone d'affitto, decidono di arredare i vani nel miglior gusto di una casa borghese anni Cinquanta, con mobilio in stile Luigi XVI, tende damascate color rosso, argenterie, tavolini in marmo e un primo piano di grandi saloni nei quali il celebre pittore espone i quadri della cosiddetta Nuova Metafisica – o Metafisica continua secondo una definizione di Maurizio Calvesi –, le nature morte e i d'après.

Questa dimora d'artista, dalla data in cui i due coniugi vi si sono trasferiti, è stata un'officina creativa nella quale de Chirico realizza acquerelli, disegni e sculture, poi entrate a far parte della collezione permanente.

L'ambiente più suggestivo di questo appartamento è certamente l'atelier 10, sito al quinto piano del palazzetto, nel quale tutto è rimasto fermo all'ultimo giorno di lavoro e di vita del pittore e nel quale sono esposti, sui cavalletti, una copia incompiuta del Tondo Doni di Michelangelo e un non finito Ritratto di ragazza che, una volta ultimati, sarebbero entrati a far parte della serie dei D'après de Chirico – opere che risentono dell'ammirazione del pittore per i grandi capolavori del passato, esposte nel cosiddetto salone neobarocco – insieme al camice grigio macchiato di pittura appoggiato casualmente su una sedia di vimini, i pennelli sporchi di colore rappreso e le tavolozze gettate alla rinfusa.



Fig. 1 - Atelier, Casa-museo di Giorgio de Chirico
Fig. 1 - Atelier, Casa-museo di Giorgio de Chirico
Foto di Noemi De Venere



Dopo la scomparsa di de Chirico, avvenuta nel 1978, la sua eredità materiale e immateriale è stata raccolta dalla moglie Isabella Pakszwer Far, la quale si era resa promotrice di una serie di attività, prima tra tutte la nascita, nel 1986, della Fondazione a loro dedicata, accompagnata l'anno seguente dalla donazione di ventiquattro opere, poi confluite nelle collezioni della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma.

Questo ente ha operato negli anni per la promozione di campagne di restauro che hanno coinvolto il mobilio, i tendaggi e le opere, rispettando il vincolo di non alterare l'aspetto che la dimora aveva quando de Chirico era ancora in vita.

A questa attività si accompagnano oggi le attività di raccolta, conservazione, promozione e valorizzazione del patrimonio ivi conservato anche per mezzo di mostre temporanee, il cui scopo è quello di favorire la conoscenza e gli studi sull'arte dechirichiana e risolvere l'annoso problema della circolazione di falsi.

Nel 1990, all'indomani della morte di Isabella Far, la sopra menzionata Fondazione eredita la casa del pittore e la maggior parte del patrimonio, ottenendo il riconoscimento della personalità giuridica e quindi l'autorizzazione ad accettare il lascito dell'artista, avviando un lungo iter burocratico che ha avuto come esito, il 20 novembre 1998, l'apertura al pubblico della casa-museo.

La dimora è stata subito oggetto di un'intensa attività di ricostruzione filologica – anticipata da un accurato studio delle foto d'epoca – e di una campagna di restauro del mobilio, accompagnati entrambi questi interventi dalla pubblicazione di tre importanti scritti dell'artista.

All'interno delle sale sono ancora oggi conservati, oltre ai quadri più rappresentativi dell'intensa produzione artistica dechirichiana, anche tre diversi archivi: uno costituito da carte personali e manoscritti, il secondo, istituito da Carlo Bruni, primo curatore della dimora, con la documentazione relativa al corpus letterario del Maestro e il terzo è l'archivio della Fondazione, che dal 2002, tenendo fede al suo scopo, pubblica periodicamente, sulle pagine della rivista Metafisica – Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, documenti inediti relativi alla produzione artistica del Pictor Optimus.



Casa-museo Alberto Moravia. La casa-museo di un letterato

Altra casa-museo da menzionare, sicuramente di tenore diverso rispetto alla precedente, è la dimora nella quale lo scrittore Alberto Moravia si trasferisce nel 1963, su consiglio della sorella Adriana, con la compagna Dacia Maraini.

Non appena si varca la soglia di questo appartamento sito in Lungotevere della Vittoria, si respira un'atmosfera di intimità, tanto da avvertire la sensazione che il celebre proprietario sia appena uscito.

L'abitazione, caratterizzata da ampi spazi bianchi, è il palcoscenico su cui si incontrano e scontrano le due anime di questo straordinario intellettuale: il letterato e l'appassionato di pittura. 11

Parlando di arte non si può mancare di ricordare che Moravia respirò l'arte fin da bambino, il padre era un architetto e la sorella, Adriana Pincherle (questo il primo cognome della famiglia), era una pittrice e moglie del pittore Onofrio Martinelli.

Questa predilezione per l'arte ha la sua diretta rappresentazione nella collezione, comprendente dipinti e oggetti – per un totale di oltre quattrocento opere – che periodicamente vengono sostituite le une con le altre così da esporle a rotazione, e nei suoi scritti sull'arte, nei quali la letteratura, presente in forma di citazioni, diventa il paragone privilegiato per spiegare sul piano dell'analogia l'azione dell'artista.

Esposti alle pareti della dimora questi capolavori fanno sì che lo spettatore si trovi catapultato all'interno di una piccola galleria, animata dai quadri di Corrado Cagli, Giulio Turcato e Mario Schifano.

Tra gli ambienti più suggestivi dell'appartamento figura il soggiorno, teatro di numerosi incontri con quanti accorrevano in casa Moravia per chiedere consigli o sottoporre al giudizio del grande letterato le proprie opere.

La sala ospita due ritratti dello scrittore, risalenti agli anni Trenta e Ottanta del secolo scorso, entrambi firmati da Renato Guttuso, accompagnati da maschere rituali, souvenirs di viaggi in Oriente e in Africa, e dipinti di altri artisti con cui il Maestro aveva condiviso soggiorni estivi a Sabaudia o Anacapri, località nelle quali possedeva delle proprietà. Questo ambiente luminoso è poi abitato da un'immensa libreria nella quale è conservata intatta parte della collezione libraria moraviana.



Fig. 2 - Soggiorno della Casa-museo Alberto Moravia con opere di Guttuso, Scialoja, Guccione, Schifano e maschere rituali
Fig. 2 - Soggiorno della Casa-museo Alberto Moravia
con opere di Guttuso, Scialoja, Guccione, Schifano e maschere rituali

Foto di Noemi De Venere



Altro spazio emblematico è lo studio nel quale dominano incontrastate la poltrona e la scrivania, oggetti di design site-specific, realizzati proprio per essere esposti in questa dimora e donati a Moravia dall'amico scultore Sebastian Schadhauser.

A decorare le pareti della stanza, oltre agli scaffali – ricolmi di volumi, dizionari e vocabolari – sono presenti altri ritratti dello scrittore, opere di pittori per i quali il Maestro aveva redatto testi di presentazione inseriti nei cataloghi di mostre personali e collettive.

La casa, spazio antiscenografico che si fonde con le personalità dei due abitanti, è arredata con mobili essenziali, in accordo con le tendenze tipiche degli anni Settanta, e conserva una straordinaria collezione d'arte. I capolavori esposti nelle sale di questo appartamento borghese sono la testimonianza degli intensi rapporti con gli artisti che poi entreranno a far parte del cosiddetto «clan Moravia», secondo un'etichetta allora adottata dalla stampa.

Fanno da imprescindibile corredo a questo patrimonio visivo la nutrita biblioteca personale, contenente circa 12.000 volumi che testimoniano dei molteplici interessi dell'intellettuale non solo verso la letteratura italiana e straniera del Novecento ma anche verso le arti, la politica, la psicoanalisi e le culture extra-europee; e un archivio nel quale sono conservati ancora oggi manoscritti e dattiloscritti dei più famosi romanzi composti dagli anni Trenta agli anni Novanta e più di quattromila lettere.

Nel 1990, all'indomani della morte del letterato, le eredi Dacia Maraini e Carmen Llera (ultima compagna di vita dello scrittore), in concerto con le sorelle Elena e Adriana Pincherle e un gruppo ristretto di amici, si rendono promotrici della nascita dell'Associazione Fondo Moravia-Onlus.

Suddetta istituzione, operante dal 1991, custodisce l'eredità culturale e materiale del grande letterato e si occupa della gestione del centro di ricerca e documentazione sulla vita e le opere dell'artista, promuovendo incontri, dibattiti, mostre e pubblicazioni, mantenendo fede alla volontà di conservare il luogo inalterato, preservando, in accordo con le esigenze conservative e di spazio, la disposizione dei mobili e degli oggetti ivi custoditi.

Grazie all'instancabile impegno di Toni Maraini, direttrice della casa-museo per quindici anni, è stata avviata una campagna di inventariazione e catalogazione dei beni presenti nella dimora, accompagnata dal fortunato e casuale ritrovamento, nella cantina, di due valigie – provenienti con ogni probabilità dalla precedente dimora di Via dell'Oca – contenenti documenti databili tra la fine degli anni Trenta e l'inizio degli anni Sessanta.

Dal 1997 l'Associazione Fondo Moravia-Onlus pubblica la rivista semestrale Quaderni, mentre risale agli anni 2000 il progetto, avanzato dalle eredi, di rendere la dimora fruibile al pubblico, poi accompagnato dalla proposta di donare l'appartamento e tutto il suo contenuto al Comune di Roma.

Dopo un lungo iter burocratico, conclusosi nel 2009, sono state messe in atto tutte le operazioni di musealizzazione della casa, è stato avviato un intenso lavoro di schedatura e inventariazione degli oggetti e delle opere d'arte, al quale sono seguite una revisione conservativa e una campagna di restauro pittorico.

L'ultima tappa di questo percorso è stata l'inaugurazione della Casa-museo che ha rappresentato un fatto eccezionale per tre ragioni: ha permesso di conoscere e visitare il luogo dove l'intellettuale è vissuto per quasi trent'anni; ha consentito di inserire nel circuito del Sistema dei Musei Civici di Roma Capitale un altro importante bene rappresentativo della storia della città; e infine ha contribuito a rendere nota la profonda e sfaccettata personalità di uno scrittore che ha attraversato il Novecento italiano, le guerre, il Fascismo, fornendo con il suo impegno letterario e umano un contributo diretto alla storia del nostro Paese.



Casa-museo Mario Praz. Un esempio di Wunderkammer contemporanea

Di tenore completamente opposto è la dimora abitata da Mario Praz dal 1969 fino al 1982.

Ospitata al terzo piano di Palazzo Primoli 12 a Roma, al quale afferiscono la Fondazione omonima e il Museo Napoleonico, questa dimora viene trasformata dal letterato romano in una Wunderkammer contemporanea, una stanza delle meraviglie, ricolma di oggetti d'arte acquistati in oltre sessanta anni di appassionato collezionismo.

L'arredo degli ambienti viene costruito da Praz seguendo il criterio della ricerca di rimandi evidenti tra gli oggetti, di simbologie e riprese tematiche, in modo che la dimora potesse stimolare nello spettatore una specie di gioco.

La straordinaria collezione prazziana, precedentemente esposta nell'abitazione di Palazzo Ricci, consta di 1200 opere tra mobili, dipinti, marmi, cere, bronzi, terrecotte, avori, porcellane, cristalli, sculture, ventagli, tappeti, tendaggi, miniature, argenti e strumenti musicali.

Di questa preziosa raccolta di oggetti d'arte troviamo esempi in ciascuno dei nove ambienti che compongono la casa, a partire dall'ingresso dove sono conservati oltre agli oggetti ottocenteschi anche una modesta raccolta di opere di artisti figurativi, una piccola libreria siciliana decorata con erme maschili a tutto tondo e sormontata da due quadri d'interno e la libreria in mogano e piuma d'oro appartenuta a Gabriele D'Annunzio; segue poi la Grande Galleria, sala rimaneggiata da Praz nell'anno del trasferimento nella nuova dimora, avvalendosi della collaborazione di un architetto, e sormontata da un lungo ballatoio sul quale sono esposti i ritratti in cera. Si tratta di un ambiente, decorato oltre che dalle opere d'arte anche da oggetti di mobilio, tra i quali spicca la libreria-alcova disegnata nel 1934 dal celebre anglista, al di sotto della quale spicca il divano ricamato con la collaborazione della moglie Vyvien Eyles.

Questi oggetti d'arredo si ispirano a quelli che compaiono nell'opera di Vincenzo Abbati intitolata Maria Isabella di Napoli nel suo appartamento nel Casino della Reggia a Capodimonte, presente in collezione.

Attraversando questo spazio si accede a due diversi ambienti: lo studio e la biblioteca, raggiungibili mediante una scalinata sormontata da soggetti militari, soldati, sciabole e strumenti musicali da parata terminanti in teste di draghi.

Nel primo ambiente citato si apre una vera e propria quadreria, composta da nove dipinti ordinati su tre registri, raffiguranti paesaggi e uomini illustri, ma il pezzo che colpisce di più è certamente la consolle sistemata tra le due finestre e caratterizzata da un piano realizzato grazie alla sovrapposizione di marmi diversi e sostenuto da elementi in bronzo.

Nella biblioteca i veri capolavori d'antiquariato sono la libreria napoletana che si trovava nel salone della precedente abitazione e un mobile in stile Regency. 13

Tutti questi oggetti sono stati descritti nel dettaglio da Praz nel volume La casa della vita, la cui prima edizione è stata pubblicata a Milano da Arnoldo Mondadori nel 1958.

Nella scelta dei pezzi il letterato si atteneva a stretti limiti cronologici, dalla seconda metà del Settecento alla prima metà dell'Ottocento, e questo criterio ha concorso a costruire una serie di ambienti che contaminano diversi stili e ricostruiscono idealmente i viaggi intrapresi dal professore per effettuare i suoi acquisti in Inghilterra, Francia, Germania, Russia e Italia.

La Fondazione Primoli, alla quale la casa-museo afferisce, custodisce oltre al Fondo Mario Praz 14, donato con atto pubblico del 29 maggio 1972, anche tre archivi: uno storico, comprendente lettere e manoscritti, uno dedicato alle incisioni e alle stampe con ritratti, vignette, vedute e caricature, e infine uno fotografico.

Nel documento in cui l'anglista dichiarava la volontà di fare questa donazione, era presente anche l'elenco dei volumi distinti in quattro sezioni. 15

Nel settembre 1980, in occasione del suo ottantaquattresimo compleanno, Praz offre in vendita allo Stato italiano questo suo corpus di opere e oggetti. Lo scopo precipuo del testamento, che raccoglieva le ultime volontà dell'anglista, era quello di garantire che il patrimonio da lui conservato rimanesse integro, a Roma e sotto il suo nome. 16

Già nel 1957 il professore aveva inserito nelle pagine de La Casa della vita, una sorta di testamento auspicando che «[…]quei capolavori di pazienza e di gusto che sono certi arredamenti si conservino come musei, dopo che è scomparso lo spirito che loro die' vita […] tra tanti visitatori indifferenti o distratti o volgari, vi sarà l'anima sensitiva che, sia pure per un momento si sentirà investita da quel calore che un tempo animò tutti i begli arredi. […]». 17

Seguendo il volere dell'anglista la Fondazione, in accordo con lo Stato, non appena ricevuto il lascito testamentario, ha messo in atto tutte le operazioni necessarie all'apertura al pubblico della dimora, provvedendo alla ricollocazione degli oggetti, portata a termine grazie all'ausilio della ricca documentazione, con disegni e inventari compilati dallo stesso Praz. 18

L'elenco dei pezzi esposti in ogni singola sala era stato compilato per generi: mobili, arredi, pittura, scultura, tappeti, tendaggi.

Ogni opera acquistata era poi identificata da cinque voci (provenienza, tipologia, mese e anno dell'acquisto e cifra pagata) e veniva inserito nell'inventario seguendo un criterio topografico.

Mentre la Fondazione Primoli stava ultimando il lavoro di disposizione dei pezzi dell'immensa raccolta prazziana, ci si accorse dell'assenza di circa duecento cinquanta oggetti, soprattutto dipinti di piccola dimensione, porcellane, miniature e argenti, trafugati dalla casa-museo e poi ritrovati dai Carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio artistico e ricomprati dagli eredi.

Ad oggi la consistenza della collezione è di 1057 pezzi ed è composta da 113 dipinti ad olio su tela e su tavola; 150 tra pastelli, acquerelli, tempere, disegni, dipinti su vetro e miniature su avorio, pergamena o carta; 236 stampe; 71 sculture in marmo, terracotta, bronzo, legno e stucco; 113 opere in ceroplastica; 160 pezzi tra porcellane, avori, intarsi, ceramiche, oggetti d'uso quotidiano, strumenti musicali, armi e orologi; 119 oggetti d'arredo come cristalli, bronzi, lampadari, camini; 169 mobili di manifattura europea, cornici, specchi; infine 39 oggetti vari come stoffe, ricami, ventagli, argenti e tappeti.

Casa-museo Luigi Pirandello. La casa-museo del Premio Nobel

La casa-museo di Luigi Pirandello, sita in via Bosio a Roma, è l'ultima abitazione nella quale il letterato visse gli ultimi tre anni della sua vita, dal 1933 al 1936, di ritorno da un soggiorno a Parigi.

La prima permanenza prolungata di Pirandello a Roma risale al 1914, quando prende in affitto un appartamento al piano terra di questo villino liberty edificato agli inizi degli anni Dieci e che diventerà ben presto teatro di alterne vicende.

Nel mese di marzo di quattro anni dopo la famiglia è però costretta a lasciare questa dimora trasferendosi nel villino Ciangottini, nell'allora via di Pietralata, a pochi metri di distanza dalla loro vecchia casa, evento di cui il poeta fa menzione in alcuni scritti quali la novella Berecche e la guerra e due lettere inviate al primogenito, l'una del 14 dicembre 1917 19 e l'altra del 16 febbraio 1918. 20

Dopo numerosi viaggi tra l'Italia e l'Europa, nel 1933 Pirandello torna a Roma stabilendosi nel villino – oggi la casa-museo a lui dedicata – insieme al figlio Stefano e alla sua famiglia, occupando rispettivamente l'ultimo e il penultimo appartamento del complesso.

Ambiente emblematico di questa dimora è sicuramente lo studio-salotto nel quale il grande drammaturgo ricevette, il 9 novembre 1934, la notizia del conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, episodio ricordato dall'amico giornalista Corrado Sofia nel volume Pirandello. Storia di un amore. 21

La sala, descritta nell'incipit di Visita, la novella inclusa nella raccolta Una giornata pubblicata postuma nel 1937 22, assolveva ad una duplice funzione: era luogo di meditazione e ispirazione, ma anche di incontri letterari e di piacevoli conversazioni amicali.

Lungo le pareti corrono le librerie in stile razionale, che Pirandello aveva fatto costruire su misura per accogliere la sua immensa biblioteca personale 23, alle quali si alternano dipinti del figlio Fausto, di Pasquarosa Marcelli – precedente affittuaria dell'appartamento –, tre piccoli paesaggi ad olio dello stesso Pirandello e due ritratti fotografici di Federigo Tozzi e Massimo Bontempelli.

La parete più piccola ospita invece due ovali che ritraggono le nipoti Maria Luisa e Lietta e un ritratto a carboncino.

Altro ambiente suggestivo è la camera da letto, il cui mobilio viene acquistato da Pirandello telefonicamente. All'interno degli armadi è conservata intatta la divisa da Reale Accademico d'Italia.

Negli spazi del villino, oggi noto con il nome di Villa Pirandello, il Nostro era solito far compilare a quanti gli andavano a fare visita – soprattutto amici di vecchia data e nuove conoscenze, ma anche giovani scrittori giunti per chiedergli consiglio, traduttori, attori e registi che volevano la conferma della giusta interpretazione delle sue opere – un Registro delle firme dei visitatori.

Nelle stanze sono ancora oggi conservati tutti gli arredi originali, le opere d'arte, i volumi e i manoscritti appartenuti al Maestro e che costituiscono un inestimabile patrimonio artistico.

All'indomani della scomparsa di Luigi Pirandello, l'immobile diventa oggetto di alterne vicende burocratiche. I figli, pur essendo subentrati nel contratto di locazione, sono costretti a lasciare, a soli due anni di distanza, la proprietà che nel frattempo era stata acquistata dallo Stato per farne la sede dell'Ufficio Centrale Metrico.

Gli eredi decidono così di includere nel lascito quanto era contenuto nello Studio a patto che lo Stato a sua volta si impegnasse a consegnare l'immobile al Ministero dell'Educazione Nazionale, impegnandosi a conservare tutto intatto e a non distruggere la memoria del suo celebre abitatore.

L'impegno tra le due parti, sottoscritto nel 1942, viene mantenuto solo in parte, venendo meno l'onere di provvedere alla manutenzione del villino, con il risultato di un progressivo degrado.

Nel 1961 il Ministero della Pubblica Istruzione, in concerto con i figli dello scrittore e con un gruppo di intellettuali, decide di affidare la custodia di questo straordinario patrimonio all'Istituto di Studi Pirandelliani e sul Teatro Contemporaneo. 24

Dal 1998 Alessandro d'Amico, presidente dell'ente, ha promosso un progetto mirante da un lato alla conservazione e tutela del patrimonio ivi conservato, e dall'altro all'apertura verso la ricerca.

Nel 2010 è stato anche avviato un progetto per la digitalizzazione del patrimonio pirandelliano, ampliato prima nel 2012 e poi nel 2017, grazie alla Fondazione Roma-Terzo Settore.

L'anno successivo, grazie al contributo della Compagnia di San Paolo, è stata avviata una campagna di tutela e conservazione del patrimonio archivistico-documentario custodito presso lo Studio di Luigi Pirandello, iniziando dai volumi che presentavano un cattivo stato di conservazione.

Oltre al restauro del patrimonio librario, i lavori hanno incluso anche un intervento sui documenti manoscritti conservati presso l'Archivio.

L'Istituto di Studi Pirandelliani e sul teatro Contemporaneo, congiuntamente all'obbligo morale e giuridico di conservare e promuovere l'eredità intellettuale e materiale del Maestro, si occupa anche della gestione di alcuni archivi e fondi dichiarati di notevole interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio.

Tali beni non riguardano esclusivamente il patrimonio librario pirandelliano ma anche un archivio fotografico-iconografico costituito da circa 1500 negativi e positivi, disegni, documenti originali e riproduzioni fotografiche di pagine manoscritte, quadri e frontespizi di edizioni a stampa. Tutto il materiale è stato suddiviso in sezioni tematiche all'interno delle quali sono confluite anche le riproduzioni.

L'analisi di questi cinque casi di studio ha messo in luce le differenze relative alle scelte museografiche di ciascuna casa-museo oggetto dell'elaborato, constatando l'importanza della presenza di archivi e biblioteche, e focalizzando gli oneri ai quali ogni ente deve assolvere nell'esercizio delle proprie attività.

L'attenzione va dunque indirizzata sull'individuazione di differenze e analogie che caratterizzano queste dimore e il loro quadro amministrativo.

È possibile affermare che, eccezion fatta per la Casa-museo Mario Praz, le altre abitazioni oggetto di questo studio non sono state trasformate in museo in virtù di volontà testamentarie bensì su iniziativa dei diversi enti, fondazioni e associazioni ai quali viene demandata la gestione di questi beni immobili.

Si evincono poi notevoli differenze nelle scelte museografiche adottate, sempre coerenti con la professione svolta da ciascun proprietario e nell'assenza – nei documenti d'archivio – di un'esplicita vocazione collezionistica di questi intellettuali.

Allo stesso tempo si possono individuare analogie che pertengono ad aspetti conservativi, stilistici e personali. Tutte le dimore oggetto di indagine sono state protagoniste di campagne di restauro volte a ripristinare l'aspetto originario degli ambienti, a consolidare o modificare le parti strutturali o conservare i beni ivi custoditi, sia opere d'arte che materiale cartaceo/librario, nondimeno sono accomunate dall'attenzione riservata dai loro proprietari all'arte pittorica e letteraria e dall'influenza esercitata, sulle collezioni e sugli arredi, dallo stile o dal movimento artistico imperante in ciascun periodo al quale tali case-museo devono i loro natali.

È dunque lecito chiedersi, alla luce delle riflessioni fatte, dello stato attuale degli studi e delle norme che regolamentano l'esistenza di queste celebri dimore, quale futuro esse potranno avere e quali misure o strategie potranno essere messe in campo per la promozione e valorizzazione di un patrimonio così prezioso.

 
                    

NOTE

0 PRAZ 1993, p. 41.

1 PAVONI 2008, pp. 5-6.

2 DE POLI, PICCINELLI 2006, p. 21.

3 MARINI CLARELLI 2011, p.42.

4 Ivi p. 33.

5 Ibidem.

6 MARINI CLARELLI 2017, pp. 17-18.

7 RUGGIERI TRICOLI 2000, p. 35.

8 BELLI 1993, p. 20. «Il pittore Depero sta per fondare un grande stabilimento per mobili e oggetti d'arte decorativa nel Trentino [...]».

9 DE CHIRICO 2019, p. 288. «[...] benché le camere di quell'abitazione fossero in pessimo stato, in alcune ci pioveva persino dentro, avvertito il proprietario che la volevo affittare e con suo consenso, mi precipitai a occupare i vani facendo portare in una camera il mio letto. Però prima di abitarci definitivamente con mia moglie, ci toccò far riparare le camere e per circa tre mesi fu un continuo va' e vieni di muratori, di stuccatori, di imbianchini, di verniciatori ecc. inoltre ci toccò far procedere a una disinfestazione totale dei vani e delle camere poiché erano piene di scarafaggi d'ogni grandezza e d'ogni colore».

10 Ivi p.290. «[…] Nella mia casa di piazza di Spagna ho pure un magnifico studio, che sta al quinto piano. Dalla terrazza del mio studio vedo spesso splendidi spettacoli celesti, cieli tersi e cieli caliginosi, tramonti infuocati, notti di luna ed effetti notturni con le luci cerchiate di giallo pallido, come in certe marine di maestri olandesi e fiamminghi. Io sono sempre pronto con matita e colori per notare rapidamente questi spettacoli della natura e tali annotazioni mi servono in seguito per l'esecuzione dei suoi quadri [...]».

11 T. MARAINI 2003, p. 161. «La compagnia dei pittori mi piace per la medesima ragione per cui preferisco la pittura alla letteratura. Hanno sempre qualcosa al tempo stesso di artigianale e di creativo, mentre lo scrittore che non sia geniale è spesso un piccolo borghese. Insomma il pittore è sempre artista, lo scrittore solo qualche volta [...]. Mi piace la buona pittura come la buona letteratura [...]. La pittura è l'arte che credo di capire e amare di più».

12 PRAZ 1995, p. 415. «[...] Per me, cultore dello stile Impero, la casa è più congeniale dell'antico palazzo di Via Giulia, e non solo per l'associazione coi Bonaparte, ma anche per via di Montaigne, principe dei saggisti».

13 Ivi p. 50. «[...] un'ampia biblioteca Regency in legno rosa, con la parte inferiore occupata da sportelli adorni di losanghe e palmette di bronzo dorato, affiancati da tre telamoni barbuti dipinti di verde cupo e d'oro: [...]».

14 Ivi p. 425. «[...] Avevo un precedente illustre. Petrarca nel 1362 aveva offerto di lasciare la sua biblioteca alla Repubblica di Venezia in cambio di una casa dove abitare [...]».

15 Già nel 1968 Praz aveva donato alla Fondazione Primoli la cospicua biblioteca di quindicimila volumi, conservandone solo l'uso.

16 ROSAZZA-FERRARIS 2013, p.5. «Nel mese in cui ho compiuto ottantaquattro anni di età, essendomi deciso a provvedere al destino della collezione di arte neoclassica di mia proprietà alla quale ho dedicato un'intera vita, il mio primo pensiero è stato di offrirla in vendita ad un prezzo equo allo Stato italiano [...]».

17 ROSAZZA-FERRARIS 2008, p. XII.

18 Si trattava di sessantasette pagine composte da strisce dattiloscritte incollate tra loro alle quali erano state aggiunte, a penna, moltissime annotazioni.

19 A. PIRANDELLO 2005, p. 255. «[...] Debbo darti la notizia che tra due mesi ci toccherà lasciare questa casa dove io sto da anni! Il villino è stato venduto e il proprietario nuovo ha scelto per sua abitazione proprio il quartino dove stiamo noi (anche tu, col pensiero). Pazienza!».

20 Ivi p. 269 «Vi abiteremo col primo di marzo. Dalle finestre si vedrà il villino in cui stiamo ancora per pochi giorni».

21 SOFIA 1992, pp. 49-55. «[...] Quando mi recai a trovarlo per comunicargli la notizia del premio Nobel e consegnargli il dispaccio telegrafico [...] Sembrava compiaciuto che un giovane delle sue contrade gli avesse portato la notizia del premio e rimanesse ad ascoltarlo [...]».

22 SAPONARO, TORSELLO 2019, p. 10. «Il mio studio è tra i giardini. Cinque grandi finestre, tre da una parte e due dall'altra; quelle, più larghe, ad arco; queste, a usciale, sul lago di sole d'un magnifico terrazzo a mezzogiorno; e a tutt'e cinque, un palpito continuo di tende azzurre di seta [...]».

23 Ivi p. 45 «[…] Trattengo qua ancora il mio appartamentino, che s'era ancora tutto riempito di libri: peso e condanna della mia vita, come la palla del galeotto. Ho un bel dire che sono un uomo con la valigia in mano! […]».

24 Il 26 luglio 1979 l'atto costitutivo dell'Istituto fu rinnovato e perfezionato; nel 1998 ha ottenuto il riconoscimento della Personalità Giuridica (D. M. del 4 dicembre 1997, G. U. 12 febbraio 1998).

                    
                    

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La casa del mago: le arti applicate nell'opera di Fortunato Depero, 1920-1942, (Catalogo della Mostra, Rovereto, Archivio del ‘900, 12 dicembre 1992 – 30 maggio 1993) a cura di G. Belli, Milano, Charta, 1993.


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Dalla casa-atelier al museo: la valorizzazione museografica dei luoghi dell'artista e del collezionista, Aldo DE POLI – Marco PICCINELLI – Nicola POGGI, Milano, Lybra Immagine, 2006.


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Giorgio DE CHIRICO, Memorie della mia vita, Milano, La Nave di Teseo, 2019.


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Rosanna PAVONI, Collezioni ambientate e ambienti collezionati: due strategie museologiche tra Otto e Novecento, in “Annali di Storia Moderna e Contemporanea”, Istituto di Storia Moderna e Contemporanea Università Cattolica del sacro Cuore, anno IX, 2003.


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SITOGRAFIA

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<http://casemuseoitalia.it/pdf/Case-museo-MADRID.pdf> (visitato in data 25/11/2020).
                                    
                   
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