«Di lui ricordo
opere davvero notevoli, nudi di donne belle e
compatte, contadine trasposte nella cultura classica,
donne contenute nei gesti e nelle forme. E ancora
ricordo dei disegni di cavalli che sono moti dello
spirito, come se lo spirito si fosse travestito da
cavallo per palesarsi al riguardante, per mostrare la
propria vivacità, una sorta di invito a correre
insieme l'avventura dell'Arte».
Pietro Cascella, 2
febbraio 1992.
Assai vasta ed
eterogenea è la produzione artistica dello scultore
Giuseppe Di Prinzio (1903-1999), uno dei più autorevoli
protagonisti della cultura abruzzese del XX secolo del
quale manca ancora un'indagine critica strutturata e di
ampio respiro, nonostante alcuni interessanti cataloghi
monografici realizzati soprattutto a partire dagli Anni
'90 a seguito di mostre antologiche. In questa breve
ricognizione storico-critica si cercherà di delineare il
percorso creativo e umano di uno dei testimoni più
rappresentativi di quasi cento anni di storia abruzzese
che, fra gli altri meriti, ha anche quello di aver
formato generazioni di artisti, alcuni dei quali
affermatisi poi in campo nazionale e internazionale, e
con i quali mantenne sempre profondi rapporti di
amicizia e affetto: negli Anni '50, infatti, il Maestro
fu tra i fondatori del Liceo Artistico di Pescara,
l'attuale Liceo Misticoni, in cui insegnò per decenni
Figura e Ornato Modellato.
Nato a Ortona nel
1903, Giuseppe Di Prinzio si formò artisticamente nella
città di Pescara, dove la famiglia si era trasferita nel
1904. Qui seguì le lezioni di disegno del professor
Ginevra che, intuendone il talento, consigliò di
proseguire gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di
Urbino. Era il 1918, ma il giovanissimo Di Prinzio
preferì “imparare il mestiere” sul campo. Rimase
pertanto in Abruzzo rivendicando la natura
antiaccademica della sua ispirazione più autentica,
fondata in
primis
sulla manualità artigianale e sulla conquista, mediante
l'esperienza, della perfetta padronanza del mezzo
tecnico. Tale autonomia di poetica lo tenne sempre
distante tanto dalle suggestioni del Novecento
quanto dai richiami delle Avanguardie che si
susseguirono durante i primi decenni del XX secolo, così
come da ogni forma di scultura monumentale e
celebrativa. L'incontro nel 1923 con Tommaso Cascella,
artista pescarese figlio del grande Basilio, costituì
una svolta nel suo percorso formativo: il laboratorio
cromo-litografico della famiglia Cascella era non solo
una “bottega” d'arte, ma soprattutto un centro di
ricerca e sperimentazione di nuovi linguaggi e tecniche
figurative, oltre che crocevia di intellettuali e punto
di riferimento per gli artisti abruzzesi. Presso il
laboratorio egli collabora nella decorazione della
produzione ceramica cascelliana, perfeziona il disegno,
apprende la tecnica litografica e diventa fedele
assistente di Tommaso, coadiuvandolo durante gli
allestimenti di numerose mostre in varie città italiane.
Negli Anni '30 “Peppino” stringe rapporti di profonda
amicizia con l'elite
culturale della cittadina adriatica e amplia le sue
esperienze umane e professionali frequentando Emilio
Polci, ceramista di Castelli, e soprattutto il celebre
xilografo Armando Cermignani.
Tra il 1926 e il 1940 partecipa a numerose mostre in
Italia e all'estero: oltre alle Sindacali Abruzzesi, è
presente alla Triennale di Milano, a Londra, Berlino e
Budapest.
Nel 1936 si conclude
il lungo apprendistato presso la dinastia Cascella: Di
Prinzio prosegue il suo percorso di ricerca artistica in
modo autonomo dedicandosi, oltre che alla ceramica, alla
scultura e alla grafica. La scoperta dei volumi gli
consente di lasciarsi alle spalle gli ultimi retaggi di
un decorativismo di sapore Art
Noveau
per aprirsi a una spazialità nuova, tesa, nervosa, a un
accentuato lirismo la cui cifra stilistica si ritrova
anche nelle grafiche.
La
produzione tra gli Anni Venti e gli Anni Quaranta è
caratterizzata dalla presenza di ceramiche policrome e
numerose sculture in terracotta: Di Prinzio intuisce le
infinite possibilità plastiche della materia e vi
proietta immediatamente il suo mondo interiore, seguendo
personalmente tutte le fasi di lavorazione, dalla
selezione e preparazione delle terre al filtraggio, a
quelle delicatissime di essiccazione e cottura. Non
mancano sculture in bronzo singole o in coppia e un
nutrito numero di disegni su carta in bianco e nero,
oltre ad acquerelli e incisioni. I temi sono ricorrenti
tanto sulle maioliche che nei disegni e sono
prevalentemente soggetti sacri neotestamentari e
agiografici (Strage
degli
Innocenti,
Annunciazione,
Natività,
Sacra
famiglia,
Battesimo di
Cristo, San Giorgio e il Drago),
mitologici
(Battaglia
tra uomini e centauri,
Ratto delle
ninfe,
Il ratto
d'Europa,
Lotta dei
centauri),
studi
di nudi femminili, cicli dedicati al tema della caccia e
scene desunte dalla quotidianità del mondo
agro-pastorale, spesso ambientate in un contesto
atemporale (Il
lavoro
agricolo,
Verso casa,
La caccia,
Sul ponte,
Paesaggio
abruzzese,
Il riposo,
La strada).
I temi mitologici e quelli della poesia cavalleresca
sono cari all'Artista: desunti da una solida cultura
classica di cui è intrisa la sua formazione e da un
amore esplicito per la storia medievale, torneranno
ciclicamente per tutto l'arco della sua lunga vita
perché ormai parte del suo mondo interiore, portatori di
valori assoluti. Le scene hanno uno spiccato carattere
narrativo in cui i corpi, prevalentemente in gruppo, si
stagliano su paesaggi appena accennati. Cavalieri,
lance, cani, ninfe e cavalli sono attraversati dallo
stesso motus
perpetuus
che si propaga da un elemento all'altro in un vortice
spiraliforme, dominato comunque da un senso di generale
equilibrio: le figure - sottili, filiformi, appena
abbozzate nei volti e pure ricche di particolari nelle
vesti, nei calzari, nei gesti - si snodano attorno a uno
spazio vuoto centrale come in un'antica sequenza
coreutica.
Nell'immediato
dopoguerra
Pescara si trasforma in un grande, febbrile
cantiere. La città era stata distrutta per circa
l'80% della sua superficie dai bombardamenti delle
forze alleate del '43 e Di Prinzio diventa uno dei
principali protagonisti durante il processo di
ricostruzione del tessuto urbano. A lui vengono
commissionati numerosi lavori di arredo di spazi ed
edifici sia pubblici che privati: le sue fontane in
bronzo, i bassorilievi e i pannelli decorativi in
ceramica sono diventati luoghi identitari
nell'immaginario collettivo della comunità locale,
silenziosi testimoni di una città moderna ancora in
costante, frettolosa espansione. Di Prinzio diventa
«l'uomo pubblico, l'artista della città, che cerca
di esprimere la prospettiva della modernità entro
una cornice figurale “leggibile” per i cittadini
stessi. I contenuti di questa espressione sono
quelli dell'etica civile, della tradizione
iconografica cristiana o mitologica: si
rappresentano i simboli dei valori collettivi
fondanti, le immagini dell'identità passata da
ritrovare o progettare, fuor di retorica, ma
sbozzati in una materia informe e forte, fisica,
quasi che da essa riemergano più veri di prima».
Nascono così lavori
come La
Pescara
(fig. 1), fontana che si apre nel cuore amministrativo
del centro urbano, tra il Palazzo della Prefettura e
Palazzo di Città in Piazza Italia: numerosi sono gli
schizzi e i bozzetti in gesso e in bronzo dell'opera che
giunge alla sua completa realizzazione nel '47. L'ampia
vasca rettangolare racchiude al centro del suo specchio
d'acqua il gruppo bronzeo che emerge compatto, simbolo
della città portata verso l'avvenire da una deità
marina: una fanciulla cavalca l'ippocampo alato mentre
con la mano destra porge il corno dell'abbondanza alla
popolazione. Qui Di Prinzio sembra allontanarsi dagli
stilemi figurativi precedenti e coniuga il senso del
movimento con un'euritmica compostezza che rimanda a
matrici di classica memoria, raggiungendo nell'insieme
effetti di straordinaria armonia compositiva.
Fig. 1 - GIUSEPPE DI PRINZIO, La Pescara, 1947
Scultura bronzea, Pescara, Piazza Italia
Foto di Letizia Lizza
Ricordiamo
inoltre,
tra i lavori di arredo urbano, i bassorilievi in
bronzo delle ghiere presso il ponte Risorgimento sul
fiume Pescara (figg. 2 e 3), gli altorilievi in
travertino del Palazzo della Previdenza Sociale, le
ceramiche policrome della Camera di Commercio, della
Cassa di Risparmio e delle Poste Centrali, solo per
citare alcune tra le più felicemente riuscite.
In
questi interventi di arredo gli elementi figurativi
– la storia, il mito, il lavoro dell'uomo – assumono
soluzioni plastiche mai aprioristiche ma che si
calano di volta in volta all'interno del contesto
spaziale di riferimento, in un rapporto dialettico
tra materia, architettura e ambiente, configurandosi
come elementi di un linguaggio figurativo
aggiornato, in sintonia con le esperienze materiche
di Arturo Martini, Marino Marini, Leoncillo
Leonardi, e che caratterizzerà molte delle opere
future.
Fig. 2 - GIUSEPPE DI PRINZIO, Ghiere, 1956
Bassorilievi in bronzo, Ponte Risorgimento, Pescara
Foto di Letizia Lizza
Fig. 3 - GIUSEPPE DI PRINZIO, Ghiere, 1956
Bassorilievi in bronzo, Ponte Risorgimento, Pescara
Foto di Letizia Lizza
Alcuni suoi lavori
vengono nel frattempo pubblicati su importanti riviste
del tempo, grazie anche all'interessamento di Giò Ponti:
dopo aver segnalato nel '42 la scultura San
Bartolomeo
sulla rivista da lui diretta “Lo Stile”, Giò Ponti
pubblica infatti sulla rivista Domus
la scultura in ceramica policroma Ercole
e
Lica e
nel '51 si reca personalmente a Pescara per selezionare
le opere in ceramica del Maestro destinate alla
Triennale di Milano. Di qui le successive esposizioni a
Roma, Utrecht, Monaco di Baviera, San Paolo del Brasile.
La produzione plastica
di questa nuova stagione creativa (Anni
Cinquanta-Sessanta) è contraddistinta dal ritorno
ciclico, nei bassorilievi e nelle sculture a tutto tondo
in pietra, terracotta e soprattutto bronzo, tanto delle
figure della cristianità che delle creature mitiche
della produzione degli Anni Trenta, iconografie che
l'Artista tornerà a indagare, smontare e rimontare in
tutte le possibili modulazioni anche nel periodo della
tarda maturità: gli stilemi mediterranei di classica
memoria e la rivisitazione del mito si coniugano in
questa fase con il vitalismo panico d'ascendenza
dannunziana. Forte di una grande duttilità nel
padroneggiare i materiali, il Maestro abruzzese dà nuova
vita a ninfe e angeli, centauri e santi, figure
instabili dall'inesauribile dinamismo che si librano
nell'aria dialogando con la luce che scivola leggera
sulle superfici. La produzione plastica continua a
essere morfologicamente priva di ogni afflato
monumentale, esprime anzi un senso di sintesi lirica,
mossa da un anelito di fuga romantica nel tempo e nello
spazio. La stessa energia cinetica delle figure
caratterizza i numerosissimi schizzi e bozzetti, in cui
il tratto filamentoso del segno si rarefà nelle linee di
corpi umani e di animali tendenzialmente più stilizzate
ed essenziali rispetto al precedente corpus
su
carta. «Tutta la sua produzione grafica obbedisce
particolarmente a questo desiderio di superamento del
presente e di proposta d'un mondo ove si possa attuare
la vera libertà formale che diviene talora pratica
ludica».
Durante gli Anni '70,
guardando con curiosità ai nuovi paradigmi della
scultura internazionale, Di Prinzio conduce una ricerca
artistica personalissima che lo porta a dilatare i
caratteri formali dell'opera plastica, sperimentando
nello studio-laboratorio soluzioni non lontane da
suggestioni tardo-informali e astratte. Codesta tendenza
al superamento del linguaggio figurativo e alla
dissoluzione delle forme caratterizza in special modo la
creazione di piatti policromi con decorazioni astratte e
linee fluide dai colori tenui attraversati da
luminescenze.
Sono anni febbrili in cui la decorazione
astratto-informale convive con la riscoperta della
scultura figurata: nonostante l'età, il Maestro realizza
sculture in bronzo, marmo e gesso, oltre ad argenti di
piccolo formato e medaglie, tra cui la formella argentea
La famiglia
donata a Papa Paolo VI in visita a Pescara nel 1977. I
corpi scolpiti, ripetuti in tutte le possibilità
combinatorie, si caratterizzano per i gesti frenetici,
febbrili, e giungono all'apice della poetica
del
movimento:
«la figura importa in quanto generatrice di spazio e
movimento, non in quanto definita in se stessa; è la
dinamica insolita a interessare, la torsione più che la
definizione».
Nel '78 gli fu commissionata una scultura che divenisse
simbolo di un premio all'epoca ancora agli esordi:
«Pensai a un cavallo alato, il Pegaso, perché è qualcosa
che si esprime in velocità in espansione in aggressione
e insieme racchiude questo senso mitico e poetico, come
si addiceva a una manifestazione agli inizi ancora tutta
da inventare. Doveva essere necessariamente d'argento,
perché l'argento ha un linguaggio tutto suo, diverso ad
esempio da quello più rude del bronzo che bisogna saper
scoprire attraverso un paziente contatto. È un qualcosa
che esiste e insiste nella materia che si presenta e tu
la usi per realizzare una creazione che ti appartiene e
appartiene anche alla materia. Un connubio tra la
materia e la presenza dell'operatore».
È così che il Maestro, in un'intervista a Michele
Cavicchia apparsa il 9 giugno 1994 su Il
Messaggero
e poi confluita nel catalogo della mostra antologica
dello stesso anno,
racconta la genesi del Pegaso d'argento, che viene
assegnato ogni anno durante le premiazioni del
prestigioso Premio Internazionale Ennio Flaiano. E
ancora, nella stessa intervista, l'Artista descrive il
suo mondo poetico, abitato da creature fantastiche
perennemente in bilico tra instabile grazia delle linee
e dissolvimento dei volumi: «È un mondo che considero
mio, che mi appartiene per eredità…una rivisitazione di
certi momenti che non esistono più, non di cose
accadute, ma pensate. Io opero sulla realtà ma la mia
realtà. Le faccio l'esempio di quel centauro (indica un
bellissimo modello in gesso pronto per la fusione): l'ho
realizzato qualche mese fa. È un pezzo del momento che
appartiene al mio mondo interiore e che sta nella realtà
in quanto quel pezzo esiste. Ecco, il centauro. Io amo i
centauri, che ho trattato in tutte le maniere possibili
per me. Sono personaggi che appartengono a tempi mitici
e hanno in sé un che di eroico, l'idea della
trasformazione».
Negli Anni Novanta
riappaiono, in un idioma figurativo mai reiterato ma
sempre profondamente rinnovato, anche i soggetti più
amati, San
Giorgio
e San
Bartolomeo,
emblemi dell'iconografia sacra in cui il bene trionfa
sul male, la giustizia e la solidarietà sulla
tentazione: la ciclicità di miti e temi è ancora una
volta l'occasione per recuperare ciò che non era stato
definito, indagare ulteriormente con nuove possibilità
combinatorie soluzioni formali ancora inesplorate,
completare ciò che era rimasto in sospeso.
Anche la produzione
grafica si intensifica tra gli anni '80 e '90: con
straordinaria, lucida vitalità, Di Prinzio aggiorna le
tecniche incisorie attraverso sperimentazioni sempre
nuove e una tensione che si manifesta in un procedimento
di graduale dissoluzione dei gesti e scarnificazione
delle forme (fig. 4). La scoperta dell'acquaforte è
liberatoria, gli consente di varcare i limiti della
struttura formale del personaggio, l'incisione gli dona
libertà e sicurezza del segno senza ripensamenti.
«L'incisione mi è stata utilissima perché mi ha dato la
possibilità di disfarmi di un certo bagaglio di maniera
che mi opprimeva un po'. Per esempio, incidendo io ho
acquistato la libertà e la sicurezza del segno perché
nell'incisione il segno è senza pentimento. (…) Questa
vivacità di chiaroscurare, di disegnare, di incidere in
questa maniera liberatoria me l'ha imposta proprio la
necessità della lastra che mi ha obbligato e abituato al
segno sicuro e contemporaneamente rispondente a una
precisa esigenza di ordine tecnico».
Fig. 4: GIUSEPPE DI PRINZIO, Ratto di Europa, 1994
Incisione all'acquaforte, cm 16x18, Collezione privata, Pescara
Foto di Letizia Lizza
Gli anni prima della
morte vedono l'Artista abruzzese, pur se afflitto da
problemi di vista, impegnato freneticamente nel
dipingere, incidere, disegnare, ri-creare. L'ultima
opera di arredo urbano risale al 1995: l'artista, ormai
novantaduenne, realizza il Monumento in travertino
situato presso Piazza della Marina a Pescara, memoria
storica della città, dedicato alle vittime dei
bombardamenti del '43.
Nel 2008, presso il
Museo delle Genti d'Abruzzo di Pescara, è stata
inaugurata una sala a lui dedicata: vi è allestita una
collezione permanente di opere del Maestro, frutto di un
dono degli eredi alla Città.
NOTE
|