Come
sottolineato
da Arnaldo Bruschi, nella varietà dei loro modi
grafici ed espressività, i disegni di architettura
devono essere riconosciuti come autentici documenti
di gusto, rivelatori di determinate tendenze
culturali, e dunque dotati di un proprio valore di
documento storico .
Gli architetti moderni, infatti, attraverso i
diversi e specifici mezzi di espressione grafica,
raccontano una concezione dell’arte del costruire
che, talora, per molti versi ricalca o integra la
teoria architettonica stilata in trattati e scritti
di altro genere.
Specialmente
nello
studio e nel rilievo dell’Antico, oltre a palesare
un’affascinata soggezione per l’opera presa in
esame, gli architetti ne propongono
un’interpretazione critica, più o meno consistente a
seconda del contesto geografico e cronologico. Il
Quattrocento vede l’esperienza di Roma imperiale non
solo come una miniera di forme di per sé ricche di
significato, ma soprattutto come un’occasione di
rintracciarvi contenuti assolutamente moderni, e
dunque di intraprendere un confronto assai fruttuoso
con e per il presente ;
la sua rappresentazione grafica non di rado
asseconda l’estro immaginativo dell’architetto, nel
quale la componente antiquaria è elemento
fondamentale
- ed ecco allora proporsi sulla carta il restauro o
la reintegrazione ideale e originale del rudere
antico, impregnata delle inquietudini e dei fermenti
intellettuali propri dell’Umanesimo.
Si
riscontra
una differenza sostanziale tra i disegni d’antichità
del XV e del XVI secolo: in questo senso, fu
decisiva la rivoluzionaria (benché incompiuta)
impresa di Raffaello al servizio di Leone X a inizio
Cinquecento – il cosiddetto “Trattato nuovo”
d’architettura sulle antichità di Roma, rivolto
tanto ai professionisti del settore quanto agli
appassionati antiquari, letterati, collezionisti e
alle corti che incoraggiano e finanziano i nuovi
studi dell’Antico. Nella Lettera
del
1519
indirizzata al papa Medici, il Sanzio trae le somme
degli anni dedicati agli studi
teorico-architettonici nella Città eterna, che lo
portano a trovare insufficiente l’opera vitruviana e
a sentire l’urgenza di un trattato assolutamente
innovativo: in esso, a piante, prospetti e sezioni
degli edifici antichi sarebbero seguite tavole a
mano a mano più dettagliate della sintassi e della
morfologia di ogni costrutto che li componeva;
dell’architettura romana antica si dovevano prendere
in esame solo i fabbricati «del tempo delli
imperatori, li quali sono li più excellenti e fatti
con più bella maniera e magior spesa e arte di tutti
gli altri»; l’obiettivo finale di tale progetto, cui
prendono parte Raffaello e la foltissima cerchia di
collaboratori, è offrire un corpus
la
cui
lettura possa far credere di aver visto la Roma dei
Cesari in tutto il suo originario splendore: in
essa, la variegata fenomenologia degli edifici
antichi avrebbe stimolato negli architetti moderni
un’imitazione analogica e critica, non più
interessata ai dispositivi meramente strutturali e
linguistici da riproporre meccanicamente, ma
finalizzata a coniugare armonia di proporzioni e
strutture alla preziosità dei materiali e delle
multiformi vesti che l’Antico vantava. Capace di
rispondere alle richieste delle corti
cinquecentesche, l’approccio del “Trattato nuovo”
raffaellesco sarà destinato a diffondersi
capillarmente fra gli architetti contemporanei e
delle generazioni successive .
A
livello tipologico, la
classificazione
più recente ed efficace dei taccuini d’antichità del
XV e XVI secolo è stata stilata da Arnold Nesselrath
.
Una
prima
distinzione fondamentale da attuare, spiega lo
studioso, è quella fra i libri di disegni originali
e i libri di copie: i primi sono redatti sul posto,
al cospetto dei monumenti antichi e disegnando su un
taccuino pre-rilegato, non di rado affiancando più
figure su una stessa pagina; i secondi raccolgono
invece le copie più o meno puntali di disegni o
illustrazioni originali.
I
libri di disegni originali sono sopravvissuti solo
raramente al trascorrere dei secoli, principalmente
a causa dell’usura o del trasferimento del loro
contenuto su libri di copie; inoltre, se il
collezionismo di metà Cinquecento considera di pari
valore i disegni di figura e d’architettura, così
non sarà in tempi successivi, facendo sì che molti
disegni d’architettura si conservino solo perché a
fianco o sul retro di studi di figura .
L’abbondante maggioranza dei taccuini di disegni
dall’Antico sopravvissuti al tempo sono libri di
copie, ed è possibile valutare quanto essi fossero
in voga in età moderna consultando le fonti
documentarie ;
se ne possono individuare diverse tipologie: i libri
di modelli; i codici a carattere autobiografico; il
libro di disegni-souvenir; i libri di
disegni-trattato; il libro-corpus.
Si noti che i codici solo di rado corrispondono
pienamente a una delle tipologie di libro di disegni
citate: da tale constatazione, e dunque dalla
mescolanza di una o più specie di libro di disegni,
si individua l’ulteriore categoria dei cosiddetti
libri di disegni “misti”.
I
taccuini di disegni dall’Antico degli artisti italiani
del XV-XVI secolo attualmente noti alla comunità
scientifica ammontano al numero di 29: se ne propone
di seguito un’analisi sintetica, che procede
presentando i libri di disegni stessi in ordine
cronologico (dal più antico al più recente).
Il
“Taccuino dei viaggi” di Francesco di Giorgio
Martini agli Uffizi (UA 318-337)
Il
cosiddetto
“Taccuino dei viaggi”
al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Firenze
offre una serie non omogenea di schizzi a mano
libera, databili approssimativamente alle ultime tre
decadi del XV secolo, realizzati in diverse località
,
direttamente davanti ai soggetti prescelti; non è
possibile affermare con certezza se il materiale
formò sin dal principio un taccuino unitario o se
derivi invece da più codici ,
o ancora se si trattasse di fogli sciolti mai
rilegati ma sistemati in gruppi omogenei. Il
taccuino costituisce il libro di disegni originali
da cui derivano molte delle copie dirette presenti
nell’addendum
al Trattato di Torino dello stesso autore ,
il cosiddetto Codice Saluzziano. Sulle pagine del
taccuino, di diverse dimensioni e di differenti
qualità di carta, si affollano su uno stesso foglio
più soggetti, nell’evidente tentativo di risparmiare
su un materiale costoso; tutto si caratterizza come
rapide note e ricordi dei siti visitati; non mancano
commenti e annotazioni autografe su misure e
distanze date in “piedi”, sulla collocazione dei
monumenti (si noti che i nomi geografici sono o mal
interpretati o volgarizzati secondo la tradizione
locale). L'interesse principale di Francesco di
Giorgio si mostra diretto al dato tecnico e
strutturale; un interesse speciale è rivolto anche
alle decorazioni scultoree delle architetture
pubbliche, ma anche in questo caso gli schizzi non
sono che mere impressioni; del tutto marginale è
invece l’attenzione per la scultura classica.
Il
Codice Saluzziano di Francesco di Giorgio Martini
alla Biblioteca Reale di Torino (Cod. Saluzziano
148, F71-F95)
Come
anticipato,
i temi e i motivi presenti nel “Taccuino dei viaggi”
di Francesco di Giorgio Martini dovevano essere
trasferiti in speciali libri di disegni, con
l’obiettivo di classificare e sistematizzare le
impressioni avute durante i soggiorni per l’Italia.
I fogli del Codice Saluzziano
possono essere visti come degli esempi di
adattamenti successivi dei temi che avevano
catturato particolarmente l'interesse dell'artista.
Corrado Maltese, nella sua edizione del più
importante manoscritto di Francesco ,
ha commentato accuratamente i fogli apposti al
Codice Saluzziano e ne ha sottolineato la
particolare importanza: essi dovrebbero essere
considerati come dotati di un autentico valore
antiquario, nonostante le modifiche e il costante
desiderio dell'artista di restaurare i monumenti
osservati. I disegni mostrano non solo lo sviluppo
intellettuale dell'architetto, ma anche la sua
personale concezione delle forme e delle proporzioni
dell'architettura antica, trasformata e rimodellata
con notevole libertà.
Il
taccuino di Simone del Pollaiolo (detto il Cronaca)
al Canadian Centre for Architecture di Montreal
(inv. DR 1985: 674-680)
Al
Canadian
Centre for Architecture di Montreal si conservano
attualmente sette fogli di mano di Simone del
Pollaiolo, probabilmente nucleo di un taccuino in
parte disperso ,
raffiguranti soprattutto membrature architettoniche
tratte indifferentemente da monumenti fiorentini
dell'epoca romanica o romani dell'età imperiale. I
singoli disegni, eseguiti a penna sfruttando
entrambe le facciate dei fogli di carta bianca, si
presentano perlopiù come schizzi realizzati davanti
ai fabbricati scelti, data la loro spiccata
immediatezza; lo stile del Cronaca si
contraddistingue per la una visione rudemente
semplificatrice dei monumenti: la stessa esperienza
architettonica di Simone del Pollaiolo,
tendenzialmente plastica, informa il suo gusto
disegnativo. Il piccolo codice, unico documento
della grafica architettonica dell’artista, condensa
e chiarisce, in una rassegna di significato
mnemonico ed esemplare, precedenti osservazioni ed
esercitazioni compiute a Roma e a Firenze dal
Cronaca stesso: i soggetti selezionati per il
rilievo sono la chiesa romanica dei Santi Apostoli a
Firenze, il “bel San Giovanni” nella stessa città,
il Pantheon, il Settizonio, i ruderi del Palatino e
l’Arco di Settimio Severo a Roma.
Il
Codex Barberini di Giuliano da Sangallo alla
Biblioteca Apostolica Vaticana (Barb. Lat. 4424)
Il
celeberrimo
Codex
Barberini
di Giuliano da Sangallo è un prezioso e ricco volume
membranaceo nel quale l’architetto toscano raccolse
disegni di progetti personali e numerosissimi
rilievi di monumenti antichi e contemporanei,
situati in Italia e nel Mezzogiorno della Francia .
L’autore del volume vi incluse un libriccino di
disegni più antico, anch’esso in pergamena, il
cosiddetto “libro piccolo” ,
adattandone la dimensione delle pagine con delle
strisce aggiuntive dello stesso materiale. Il
frontespizio del codice non solo è eloquente sul
carattere di “monumento” che Giuliano intendeva dare
all’intero corpus,
ma fornisce anche ulteriori e interessanti
informazioni: la datazione apposta può essere intesa
come la data di inizio della raccolta del materiale
dell’intero
corpus;
l’indicazione del luogo suggerisce invece dove
l’architetto mise insieme il codice. L’autore, nel
corso della sua maturazione artistica, non smise di
aggiungervi fogli, quasi si trattasse di
un’autobiografia. Assai probabilmente Giuliano
pensava di trasmettere l’opera in eredità al figlio
Francesco (che peraltro collaborò alla produzione
del codice), tesi supportata anche dal tipo di
materiale prescelto; d’altra parte, l’erede conservò
e intese il libro precisamente come un lascito
paterno .
Il risultato complessivo del Barberiniano Latino
4424 è un ricchissimo, prezioso repertorio d'una
antichità magmatica e ancor respirante, in cui
confluiscono creazioni di grande originalità,
suggestioni diverse dall'entourage Sangallo e
interessanti dialoghi con altri taccuini del tempo:
i fogli rivelano un atteggiamento molto consapevole,
un'indagine trasfigurante dalle sfumature infinite,
in cui ogni dettaglio viene restituito dalla
commossa oratoria storica del Sangallo in un insieme
fluido, facendo sì che gli edifici monumentali non
assumano semplicemente un interesse architettonico.
Il
Codice Strozzi di cerchia sangallesca al Gabinetto
dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (inv.
1584A-1605A)
Tra
i
disegni conservati agli Uffizi, la raccolta di fogli
rilegata e segnata da 1584 A a 1605 A è nota come
Codice Strozzi. Lo studio di tale volume, che
comprende rilievi di monumenti romani, fiorentini e
senesi, presenta tuttora notevoli problemi: i suoi
fogli sono di controversa attribuzione, datazione,
relazioni con altre raccolte di schizzi o singoli
disegni; estremamente difficile è altresì
ricostruire la consistenza originaria e la
disposizione dei fogli del corpus
che,
più
volte smembrato e ricomposto, ci giunge
probabilmente mutilo .
Si può asserire che i fogli in esso contenuti
offrono
rilievi
di prima mano riconducibili alla cerchia dei
fratelli Sangallo, come suggeriscono tanto i rimandi
a personaggi a loro vicini, quanto le analogie con
il Taccuino
senese
di Peruzzi.
Redatti tra la fine del XV e il primo decennio del
XVI secolo, è possibile dividere i disegni del
Codice Strozzi in due gruppi: il primo è costituito
da repertori di capitelli, velocemente appuntati
senza misure e senza indicazione di luogo, di epoche
e provenienze diverse, corredati da osservazioni e
misure annotate con una certa cura; il secondo
gruppo raccoglie disegni di una selezione di famosi
monumenti antichi. Nel codice si proporrebbero due
modi profondamente diversi di guardare all’Antico:
la ricerca di forme da copiare e reinventare con
gusto pittorico e antiquario da una parte, lo studio
accurato degli edifici (in alcuni casi con tentativi
di restituzione della forma originaria) dall’altra.
Il
Codice Escurialense di cerchia sangallesca (inv.
28-II-12)
Il
Codex
Escurialensis
venne a far parte delle raccolte dell'Escorial nel
1576, proveniente dalla collezione di Don Diego de
Mendoza, cugino del suo primo proprietario. Il
taccuino dovette esser stato acquistato da Don Diego
durante il suo soggiorno romano. Shearman fu il
primo ad analizzare la rilegatura del codice :
la diversa tecnica di legatura per il volume II e
III corrisponde al mutare degli autori dei rilievi
in essi contenuti, e sembra evidente che il codice
sia, nel suo insieme, il prodotto di una cerchia
chiusa, di una bottega; pare che Hülsen, con la sua
originaria attribuzione del Codex
Escurialensis
a Giuliano da Sangallo, abbia avuto ragione, e non
perché si tratti di un’opera autografa
dell'architetto fiorentino, ma piuttosto perché la
provenienza del codice dalla bottega di Giuliano era
stata bene riconosciuta dallo studioso .
Il contenuto del Codex
Escurialensis
è quanto mai eterogeneo: per esempio, vi si trovano
disegni di celebri sculture antiche a tutto tondo e
rilievi, riproduzioni di vasi, ornamenti e
membrature architettonici, vedute e schizzi
panoramici. Il risultato è una sintesi più o meno
rappresentativa di quanto si poteva ancora ammirare
dell'antica Roma all'inizio del XVI secolo; forse il
Mendoza, al termine del suo viaggio nella città
eterna, intendeva acquistare, tramite esso, una
sorta di "libro-souvenir" da portare a casa con sé;
evidente è d’altra parte il suo entusiasmo per lo
stile rinascimentale italiano, che si spinse tanto
oltre da fargli infine impiegare il libro come
repertorio di modelli da sfruttare nella decorazione
de La Calahorra .
“Taccuino
senese”
di Giuliano da Sangallo alla Biblioteca comunale
di Siena (Codice S. IV. 6 e 8)
Il
cosiddetto
“Taccuino senese” di Giuliano da Sangallo appartiene
all'ultimo periodo della vita dell’artista.
Precisamente come il Codice Barberiniano Latino
4424, passò nelle mani di eredi poco riverenti,
forse degli stessi Sangallo, che non ebbero scrupoli
a servirsene già nel XVI secolo, tanto che sulle
pagine lasciate in bianco scrissero diverse ricette
per la fabbricazione della colla (fortunatamente non
toccarono le tavole contenenti i disegni). Il volume
si presenta come un grazioso codice membranaceo di
ridotte dimensioni, e doveva esser formato dalla
riunione di vari quaderni sciolti; i disegni in esso
contenuti abbracciano non solo opere dell'antichità
classica ma anche opere medievali e contemporanee,
dell’Italia e del Mezzogiorno della Francia; vi si
trovano pure infiniti studi e progetti
architettonici (la gran parte di Giuliano stesso),
saggi di meccanica applicata in varie guise, disegni
di quadri e d'oggetti artistici, come armi, arredi
domestici, maioliche e simili; senza essere condotti
nei particolari al livello dei disegni in Vaticano,
i rilievi mostrano tuttavia una maggiore maturità e
spontaneità, e tradiscono l'assoluta padronanza del
soggetto. Non mancano commenti personali
dell’artista, che danno luce sulla sua vita e il suo
carattere .
Il
Codice
Coner conservato
presso
il Sir John Soane’s Museum di Londra (vol. 115)
I
disegni inseriti nel Codice
Coner,
attribuiti a Bernardo della Volpaia, descrivono una
vasta gamma di tipologie architettoniche,
rappresentate in proiezione ortogonale, con accurate
planimetrie, sezioni e prospetti .
La storia del volume è assai articolata ;
il suo autore realizzò il taccuino
probabilmente
entro
il 1515 circa, facendovi confluire, come proposto da
Tilmann Buddensieg ,
rilievi eseguiti in anni precedenti; a differenza di
molti manoscritti antecedenti o contemporanei, il
volume organizza i contenuti per gruppi tematici
compatti (atteggiamento, questo, tipico del
Rinascimento maturo), separando i diversi blocchi
con fogli bianchi completati da disegni nel XVII
secolo, quando il codice fu acquisito da Cassiano
dal Pozzo perché facesse parte del suo Museo
Cartaceo
.
La precisione metrica che caratterizza il Codex
Coner,
sottolineata perfino nel frontespizio, doveva
costituire ormai un requisito sostanziale per
avvicinarsi all’Antico .
Date le numerosissime corrispondenze tra Codice
Strozzi, Codex
Escurialensis
e Codex
Coner,
ampiamente descritte da Paola Zampa ,
si può immaginare l'esistenza di modelli condivisi
da una vasta cerchia di artisti, proprio come
avveniva nel clima culturale inaugurato da Raffaello
Sanzio con la sua Lettera
a
Leone X.
Il
taccuino dei viaggi di Baldassarre Peruzzi al
Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi
Originariamente,
i
disegni peruzziani degli Uffizi 381-398A, 401-405A,
408A, 410A, 419-422A e 426A fecero indubbiamente
parte di un taccuino unitario .
Le carte superstiti del volume contengono
esclusivamente schizzi dal vero di monumenti antichi
di Roma, Ferento, Bomarzo, Todi, Via Appia,
Terracina, Mola, Gaeta e Capua; evidentemente, il
Peruzzi dovette impiegare questo taccuino a Roma e
nei viaggi nelle località menzionate. Poiché due
gruppi di disegni possono essere datati con certezza
(i disegni di Ferento, Bomarzo, Todi al 1518, quelli
del Mausoleo d’Augusto al 1519), tutti gli altri
disegni o stanno in questi termini cronologici o di
poco se ne discostano. Baldassarre mise in bella
copia alcuni rilievi del taccuino fiorentino nel
Cod. S. II 4 alla Biblioteca comunale di Siena, come
dimostrato da Bartoli: lo studioso ne deduce che i
sette fogli senesi sono l’avanzo di un libretto, su
ciascuna pagina del quale Peruzzi copiava in pulito
gli schizzi e le relative note di ogni pagina del
taccuino agli Uffizi.
Il
taccuino
alla Biblioteca Civica Passionei di Fossombrone di
un anonimo membro della cerchia di Raffaello (inv.
Disegni Vol. 3 = Cod. C. 5. VI)
Il
libro
di disegni dall’Antico conservato presso la
Biblioteca Civica Passionei di Fossombrone
proviene dalla collezione di Gherardo Cibo, il quale
dovette acquistarlo nel 1533 circa.
L'identificazione dell'autore del volume,
appartenente alla cerchia di Raffaello Sanzio, resta
tutt’ora difficile: se i prototipi del codice si
riferiscono a materiale raffaellesco degli ultimi
anni del maestro, il codice fu probabilmente
realizzato dopo la sua morte. La rappresentazione
ivi contenuta della statua di Marco Aurelio ancora
davanti al Laterano, dove restò fino al 1538,
fornisce un termine ante
quem
di realizzazione del libro. Come tanti altri
taccuini del tempo, è composto unicamente da copie :
fra esse, non mancano le fonti di diversi modelli di
decorazione, come ad esempio i fregi del teatro
marittimo di Villa Adriana; tra i monumenti antichi
studiati ,
troviamo il celebre sarcofago della collezione
Savelli, i mausolei antichi. Le tecniche esecutive
dei rilievi nel taccuino corrispondono a quelle
descritte da Sanzio nella Lettera
a
Leone X: si trovano infatti perlopiù disegni in
proiezione ortogonale.
I
taccuini dall’Antico di Amico Aspertini a Parma,
Wolfegg e Londra
La
lettura
dei quattro volumi di disegni attribuiti
all’Aspertini consente di ricostruire l’approccio
dell’artista al patrimonio classico dalla giovinezza
alla maturità. Il codice a Parma ,
il più antico, contiene prevalentemente decorazioni
presenti a Roma; delle grottesche disegnate, molte
presentano morfologie miste, al punto che per la
loro intitolazione si adottarono a suo tempo due
alternative terminologiche, grottesca o drôlerie,
con l'intento di sottolineare l'ambivalenza di certi
ornati, reminiscenti di tipologie ornamentali
medievali piuttosto che interamente ispirati alla
classicità e, in particolare, al sistema decorativo
neroniano della Domus
Aurea
.
Il poco più tardo Codex
Wolfegg
è una possibile committenza di Giovanni Achillini,
detto il Filoteo :
i disegni ivi contenuti, senza alcuna eccezione,
sono le opere d'arte antiche a Roma, e sovente gli
schizzi sono accompagnati da indicazioni sulla
collocazione. Contrariamente al Codex
Wolfegg,
il membranaceo London
I
si
preserva
intatto, e combacia perfettamente alla descrizione
di Malvasia: di provenienza sconosciuta, in esso
l’artista sperimenta il maggior numero di tecniche
esecutive. Il secondo taccuino al British Museum ,
proveniente dalla collezione di Sir Thomas Lawrence,
consiste in fogli di carta ritagliati e incollati su
pagine più grandi, quindi rilegati; i contenuti sono
molto variegati: rilievi d’antichità (solitamente
rielaborate drasticamente), saggi compositivi
abbozzati, vedute di rovine, copie da pattern-books
d'architettura, disegni o incisioni rinascimentali.
I quattro taccuini condividono una trasformazione
caratteristica dello stile classico di rilievo, che
riguarda le ambiguità spaziali derivanti dalla
traduzione delle convenzioni del rilievo antico in
termini pittorici.
Taccuino
attribuito
a Baldassarre Peruzzi della Biblioteca Comunale di
Siena (inv. S. IV. 7)
Benché
mai
pubblicato interamente, il Taccuino senese
attribuito tradizionalmente a Baldassarre Peruzzi è
stato esaminato da diversi studiosi nel tempo .
Esso rappresenta uno dei numerosi quaderni di
schizzi sui quali si esercitavano e da cui traevano
ispirazione gli artisti del Cinquecento: infatti,
non solo la raccolta è stata consultata a lungo da
diversi artisti, ma fu anche completata da questi,
per un periodo che va oltre la morte di Baldassarre
Peruzzi .
I soggetti contenuti nel codice sono variegati: fra
essi, teste di leoni ed elefanti, due statue di
donne, una colonna tortile riccamente decorata, i
disegni (copie dall’Hypnerotomachia
Poliphili)
di fregi decorativi, frammenti di architettura
antica, obelischi e statue egiziane, fasci e
stendardi romani, studi di animali ed uccelli,
niobidi, copie degli epitaffi di Raffaello e Perin
del Vaga ,
disegni di soldati romani che combattono, dettagli
architettonici, copie di fattura scolastica
dall'Antico.
Il
taccuino di un anonimo artista italiano di primo
Cinquecento al Canadian Center for Architecture di
Montreal (Collezione Weinreb, inv. DR 1982)
Ancora
inedito,
il suo autore deve averlo realizzato nella prima
metà del XVI secolo, probabilmente copiando in
pulito gli schizzi precedentemente realizzati
davanti a monumenti osservati in diverse località
del Lazio e in Campania: i rilievi sono connotati da
notevole accuratezza, tanto a livello tecnico quanto
nel fornire spesso le misure dei monumenti
rappresentati. Nel libro non emerge alcun interesse
per lo studio di figura e della statuaria antica (a
tutto tondo e in rilievo), mentre domina
l’attenzione per le membrature architettoniche di
alcuni fabbricati del cuore di Roma (come il tempio
di Serapide, la porta Carmentalis,
il portico del tempio del Divo Claudio) e
soprattutto per gli edifici a pianta centrale, quasi
sempre ricostruiti arbitrariamente dall’artista e
rappresentati in pianta: fra essi, il Mausoleo di
Santa Costanza, Santo Stefano Rotondo, il tempio di
Minerva Medica, il ninfeo di Egeria, il tempio di
Ercole Vincitore al foro Boario, il cosiddetto
“teatro marittimo” e il canopo di villa Adriana, il
tempio di Vesta e il tempio della Tosse a Tivoli, il
tempio di Apollo a Pozzuoli; non mancano progetti
personali dell’architetto, soprattutto di chiese e
monumenti sepolcrali a pianta centrale, anche molto
complessi.
Il
Taccuino di Girolamo da Carpi alla Biblioteca Reale
di Torino
Il
taccuino
dovette confluire nelle raccolte della Biblioteca
Reale di Torino quando, nel 1839, l'incisore
Giovanni Volpato vendette la sua collezione a Carlo
Alberto di Savoia ;
per il loro carattere archeologico, i disegni
torinesi di Girolamo da Carpi, erroneamente
attribuiti a Battista Franco, vennero inseriti in
una cartella di recupero della Biblioteca e
contrassegnati con il termine “contraffazioni". Il
codice è composto da fogli di dimensioni differenti
e dall'insolito formato stretto e lungo, di cui
l'artista sfrutta entrambi le facciate, rilevando
sculture antiche e motivi di ispirazione
rinascimentale, seguendo un metodo alquanto libero
nella trascrizione grafica dei modelli. Norman
Wigton Canedy
ne ha offerto una pubblicazione completa, ponendo
delle questioni metodologiche fondamentali: in primo
luogo, ipotizzava la pertinenza dei disegni torinesi
a un unico taccuino eseguito da Girolamo da Carpi
negli anni del suo soggiorno romano; anche gli studi
effettuati nel contesto della mostra di Philadelphia
del 2005
fanno perdere forza alle obiezioni poste da John A.
Gere e Rita Parma Baudille all’ipotesi di Canedy
circa l’esistenza di un solo “taccuino romano”. Il
contributo sul codice torinese di Anna Maria
Riccomini
ha corretto invece i precedenti tentativi di
riconoscere i modelli statuari e ha portato
all’identificazione sicura di ulteriori pezzi,
gettando nuova luce sul rapporto dell’artista con
l’antico e con i luoghi del collezionismo romano di
metà Cinquecento.
Il
taccuino di Giovanni Colonna da Tivoli alla
Biblioteca Apostolica Vaticana (Cod. Vat. lat. 7721)
Il
Codice
Vaticano Latino 7721 è noto solo in parte e appare
sporadicamente in pubblicazioni di varia natura .
Gli studi più recenti di Caluisi
hanno confermato che il suo autore è il Giovanni
Colonna membro della famiglia Brigante Colonna ,
sostenendo che «era molto probabilmente anche
architetto» oltre ad occuparsi di letteratura,
disegno e antichità .
Il libro offre riproduzioni di piante e alzati di
monumenti (sia antichi che moderni), capitelli,
basi, modanature architettoniche, are funerarie,
antiche iscrizioni latine e greche, rilievi, statue,
obelischi, vedute di paesaggi, fantasie ornamentali,
grottesche; i disegni, spesso accostati in un unico
foglio, sono accompagnati da numerose annotazioni.
Questa ricca miscellanea di rilievi mostra
l’inesauribile curiosità del suo autore per
l’ambiente che lo circonda, ed è possibile ricavarne
anche gli interessi specifici: per quanto concerne i
disegni di monumenti e marmi antichi, di essi viene
colto solo l'aspetto compendiario; l’autore
privilegia i dettagli, sottolineando il valore
decorativo dei motivi riprodotti, spesso e
volentieri apponendovi discrete varianti personali.
Una nota autografa al f. 94v del codice fa supporre
che il disegnatore possedesse un secondo taccuino,
di cui purtroppo non si ha ancora ulteriore notizia.
Il
Codex Coburgensis al Kupferstichkabinett delle
Collezioni d’arte del Castello di Coburg (inv. no.
Hz 2)
Henning
Wrede
e Richard Harprath
hanno collegato due importantissime ma poco studiate
collezioni di disegni dall’Antico all’Accademia
dello studio dell’architettura di Tolomei: uno di
essi è il Codex
Coburgensis
.
I due studiosi lo descrivono come il «primo libro
sistematico di archeologia», ma il volume non è solo
ordinato sistematicamente concordemente alla storia
mitica degli dei greco-romani: i suoi disegni sono
anche esempi precoci di un metodo che merita di
esser chiamato “archeologico”, perché documentano
gli artefatti antichi molto accuratamente, con tutti
i loro danneggiamenti e senza addizioni, correzioni
o ricostruzioni; in aggiunta, le annotazioni e le
considerazioni sono separate distintamente dai
disegni e dalle iscrizioni antiche. Harprath
colloca
l’autore del Codex
Coburgensis
nel contesto della Roma di metà Cinquecento,
supponendolo di origine romana o probabilmente
mantovana; lo studioso ne esplora altresì l’abilità
disegnativa e la personalità artistica,
caratterizzata da uno stile raffinatissimo, mettendo
in luce anche il suo metodo di lavoro.
I
Codici Destailleur A, B, C dell’Ermitage
Le
tre
raccolte di disegni conservate dal 1932 presso la
Biblioteca dell’Ermitage di San Pietroburgo,
designate convenzionalmente come Album Destailleur
A, B, e C (dal nome dell’architetto francese che li
acquisì, i primi due nel 1854 e il terzo nel 1888),
sono datati attorno alla metà del Cinquecento.
Purtroppo, per diverse ragioni, manca ancora una
pubblicazione accurata ed esaustiva degli album ,
ma il recente e prestigioso volume di Orietta
Lanzarini e Roberta Martinis ha risposto quantomeno
all’appello lanciato da Hülsen nel 1910 ,
che sottolineava l’urgenza di studiare in
particolare il Codice B. La più recente attribuzione
di tale volume è formulata nel 1992 da Nesselrath,
che vi riconobbe la mano del cosiddetto Anonimo
Mantovano A, attivo fino al terzo quarto del XVI
secolo (tale ipotesi fu ribadita dallo stesso
studioso l’anno seguente e accolta poco più tardi
anche da Campbell ).
All’interno
del codice sono stati contati 605 soggetti in totale
:
563 di essi raffigurano la ricostruzione o, più di
rado, lo stato conservativo di templi, sepolcri,
edifici, ponti, elementi architettonici e decorativi
antichi presenti a Roma, Albano, Brindisi, Capua,
Cuma, Grottaferrata, Maddaloni, Napoli, Nettuno,
Nola, Palestrina, Pozzuoli, Teano, Terracina, Tivoli
e lungo le principali vie consolari; un piccolo
nucleo offre invece delle copie da disegni di Du
Cerceau; le architetture sono raffigurate attraverso
piante, vedute, alzati interni e/o esterni, mentre
sia dei complessi tratti da Du Cerceau, sia di
cornici, trabeazioni, basi, capitelli, elementi
architettonici e decorativi è riprodotta
generalmente una porzione o la metà di sinistra, più
raramente quella di destra. Ogni fascicolo del
codice è monotematico, salvo alcune eccezioni,
dovute forse a modifiche della rilegatura originale.
Il
Codex Ursinianus alla Biblioteca Apostolica Vaticana
(inv. Vat. Lat. 3439)
Il
Codex
Ursinianus
è
una raccolta di disegni derivati dai codici a
Napoli, Parigi e Oxford di Pirro Ligorio, dovuta
alla collaborazione fra Onofrio Panvinio e Fulvio
Orsini .
Ai ff. 50-51 la ricostruzione del Tempio della
Fortuna Primigenia a Preneste è stata copiata
dall'enciclopedia di Torino compilata a Ferrara dopo
il 1569: da ciò consegue che non è accettabile
quanto proposto da Erna Mandowsky e Charles Mitchell
,
secondo cui il codice fu completato entro il 1570;
non è condivisibile nemmeno la loro datazione di
inizio di realizzazione del codice nel 1564-1565,
poiché alcune annotazioni d’accompagnamento ai
rilievi suggeriscono una data più precoce: per fare
solo un esempio, al f. 7v una statua è detta di
proprietà di Gentile Delfini, che morì nel 1559. La
presenza di moltissime annotazioni di mano di
Onofrio Panvinio, fornisce un solido termine ante
quem
al 1568, anno in cui egli morì; Onofrio doveva
essere responsabile dell'organizzazione dell'intero
corpus:
egli organizzò per tipologia delle schede di
provenienza diversa, in un quaderno destinato
originariamente a contenere dei testi di salmi; i
suoi fogli non sono sistemati nel loro ordine
originale, e molti sono stati ritagliati e poi
incollati su altri fogli in un ordine nuovo. Nei
secoli, non pochi studiosi si interessarono ai
commenti presenti nel Vat. Lat. 3439 ;
i suoi soggetti, copiati da altri libri di disegni,
sono perlopiù monumenti antichi: fra essi, monumenti
egizi ed egizianeggianti, piante dell'antica Roma,
frammenti della Forma
Urbis,
templi e tombe.
Il
taccuino di Giovanni Antonio Dosio alla Biblioteca
Nazionale di Firenze (Cod. N.A. 618, inv. II. I.
511)
Il
codice
N.A. 618 conservato alla Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze offre un numero assai cospicuo
di rilievi dosiani inerenti le antichità romane che
nella seconda metà del Cinquecento facevano parte
delle maggiori collezioni private della capitale
pontificia. Con la scoperta di tale volume, si sono
recuperati disegni pertinenti a due opere che
l'artista andava preparando nella seconda metà del
XVI secolo, una sola delle quali fu infine data alle
stampe: le 50 vedute di monumenti romani e l'album
di Dis
manibus,
pili, epitaffi et altre cose antiche,
rimasto inedito. Dal punto di vista archeologico –
antiquario, i disegni in N.A. 618, realizzati tra il
1568 e il 1583 circa, sono di importanza notevole
per almeno tre ragioni: anzitutto, essi documentano
opere ormai scomparse, in alcuni casi note solo
grazie a questi rilievi; in seconda istanza, essi
sono assolutamente fedeli, scevri di arbitrarie
integrazioni; curioso è anche il fatto che il codice
presenti molti disegni ripetuti su carte diverse, a
vari stadi di esecuzione; infine, i disegni
registrano la collocazione dei pezzi prima
dell'ingresso nelle grandi collezioni pubbliche nel
periodo più fiorente del commercio antiquario.
Il
libro di disegni di Giovanni Antonio Dosio a Modena
(Biblioteca Estense Universitaria, Cod. Campori,
App. 1755 = y Z 2.2)
Uno
studio
accurato e la pubblicazione del volume si deve a
Eugenio Luporini, che non ebbe difficoltà a
retrodatare di circa due secoli la precedente
attribuzione :
confrontando i fogli modenesi con quelli custoditi
agli Uffizi e alla Biblioteca Marucelliana di
Firenze, che risultano condividere molte
caratteristiche ,
lo studioso ha ricondotto a Dosio l’abbondante
maggioranza dei disegni nel codice camporiano.
Valutando attentamente i modi stilistici e i
soggetti è possibile avanzare una datazione
precedente alla formulazione del progetto del
trattato dell’architetto, e dunque ai primi anni
romani di formazione, nei quali era intento a
studiare e restaurare reperti; è possibile che il
codice in esame sia composto da alcuni di quei
taccuini che Dosio soleva portare con sé nel suo
girare all'interno di una città e durante i viaggi,
al fine di memorizzare tutto ciò che attirava il suo
interesse. Diversi fogli presentano una
caratteristica molto comune nell’architetto, quella
cioè di proporre due varianti dello stesso soggetto,
anche molto diverse tra loro, simmetricamente poste
su di un foglio diviso a metà; è da notare poi che
su alcuni fogli rappresentanti cantieri moderni si
trovano annotazioni con i nomi dei loro autori e il
soggetto raffigurato, delle quali alcune non sono
autografe, e dunque probabilmente di mano di
collaboratori del Dosio o di artisti che si sono
serviti a loro volta di questi modelli da copiare.
Il ventaglio di soggetti è estremamente eterogeneo:
schizzi di sculture, stucchi e rilievi di area
romana e fiorentina, ma anche di altre località
(come Cuma e Siena); sono presenti anche copie da
altri disegni, come quelli tratti dagli originali
michelangioleschi per la Sagrestia Nuova di San
Lorenzo, per le finestre della Biblioteca Medicea
Laurenziana e il modello per la chiesa di San
Giovanni dei Fiorentini a Roma; disegni di macchine
ispirati agli esempi di libri più antichi, come il Codex
Barberini
di Giuliano da Sangallo, il Codex
Escurialensis
e i disegni di Francesco di Giorgio Martini;
progetti per tombe parietali ;
copie di monumenti funebri antichi; disegni di
fontane, acquasantiere, stemmi, candelabri.
Il
taccuino di un allievo di Giovanni Antonio Dosio
alla Biblioteca Nazionale di Firenze (Cod. N.A.
1159)
Le
annotazioni
sui fogli che indicano le collocazioni dei monumenti
rilevati in diverse collezioni romane suggeriscono
che i disegni contenuti nel Codice N.A. 1159 alla
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze furono
realizzati perlopiù durante il pontificato di Pio IV
(1559-1565); Giovanna Tedeschi Grisanti
sostiene che il volume potrebbe essere stato
assemblato in un periodo di tempo più lungo, forse
negli anni Sessanta e Settanta del XVI secolo.
Comparando i disegni con gli schizzi del Dosio,
possiamo vedere non solo quanto il loro autore fosse
coscienzioso nell'interpretare le indicazioni del
maestro, ma anche timide tracce della sua
individualità personale; l'attribuzione di
Nesselrath
del codice al pittore fiorentino Battista Naldini
pare ancora oggi illuminante, ma sembra più
probabile, in definitiva, che i disegni nel Codice
N.A. 1159 siano di un artista brillante ma molto
meno sofisticato, forse fiorentino, attivo nella
bottega del Dosio contemporaneamente a Naldini .
I disegni nel volume sono troppo pochi e selettivi
per essere considerati un corpus
autonomo, nonostante il codice sia ancora
incompleto; in esso prevalgono nettamente i disegni
di altari funerari romani, con iscrizioni perlopiù
in latino, sovente accompagnate da decorazioni;
assai poche sono le statue rappresentate, così come
i rilievi marmorei con raffigurazioni, tutti scevri
di iscrizioni (eccezion fatta per una statua di
Vibia Sabina).
I
disegni di Alberto Alberti all’Istituto Centrale per
la Grafica: i volumi 2501, 2502, 2503, 2504
Uno
studio
appassionato e rigoroso dei quattro codici
tradizionalmente attribuiti a Cherubino e Giovanni
Alberti, oggi conservati all'Istituto Centrale per
la Grafica di Roma, è stato compiuto solo trent’anni
fa da Giovanna Forni ,
che li attribuisce con fermezza ad Alberto Alberti.
I disegni nel codice 2501 hanno il carattere di
appunti presi sul posto, talvolta frettolosamente;
viceversa i codici 2502 e 2504 sono graficamente più
curati ed elaborati, e spesso vi si trovano copie
opportunamente corrette e pulite degli schizzi nei
primi due volumi. I rilievi raccolti da Alberto
Alberti nei quattro taccuini rappresentano nella
quasi totalità monumenti antichi di Roma; le poche
opere moderne, le composizioni di fantasia, abbozzi
e studi per affreschi sembrano capitati in questi
fogli quasi per caso (assai di rado occupano
posizioni principali). I motivi di interesse offerti
da un corpus
tanto vasto sono molteplici: anzitutto,
l'originalità e l’indipendenza dei disegni, tutti
frutto dell'osservazione diretta e dello studio
dell'Alberti; il valore di documentazione relativa a
fabbricati oggi non più visibili a Roma; la
rappresentazione di dettagli poco studiati dei
monumenti più celebri; la correzione nel tempo delle
annotazioni da parte di Alberto stesso; la
segnalazione di curiose notizie sulle conoscenze
archeologiche contemporanee. Il volume 2503
dimostra come, a metà Cinquecento, il forte
interesse per la grafica si rifletteva anche nel
collezionismo moderno, tant’è che in esso trovano
posto anche disegni di altri maestri quali Pontormo,
Bandini, Raffaellino del Colle; per quanto concerne
le copie dall'antico, la scelta delle statue
rappresentate ricade soprattutto sui celeberrimi
Dioscuri e il Torso del Belvedere ;
non mancano anche disegni di ornamenti di
provenienza varia, macchine (perlopiù copie da
Francesco di Giorgio Martini) e copie da opere
cinquecentesche, spesso di grande valore
documentario poiché tramandano opere altrimenti
perdute o sconosciute del primo Cinquecento.
Ripercorrendo
sinteticamente
lo studio analitico dei taccuini di disegni
dall’Antico degli artisti italiani di Quattro e
Cinquecento, è possibile discernere come mutano nel
corso dei decenni le loro caratteristiche e le loro
finalità.
Come
si
è visto, in ordine cronologico, i primi esemplari di
libri di disegni d’antichità pervenuti alla comunità
scientifica sono quelli di Francesco di Giorgio
Martini, databili agli ultimi trent'anni del XV
secolo: il “Taccuino dei viaggi” agli Uffizi, che
raccoglie una serie non omogenea di schizzi dal vero
realizzati nei soggiorni italiani dell’artista, e
che nacque dunque come libriccino ad uso esclusivo
dell’autore; dei rilievi in esso contenuti Francesco
si servì per realizzarne delle copie nell'addendum
al Trattato di Torino, il Codice Saluzziano, copie
che mostrano non solo lo sviluppo intellettuale
dell’architetto, ma anche la sua personale
concezione delle forme e delle proporzioni
dell'architettura antica, trasformata e rimodellata
con notevole libertà, atteggiamento assai comune a
quell'altezza cronologica. Degli stessi anni è il
piccolo codice di Simone del Pollaiolo al Canadian
Centre for Architecture di Montreal, realizzato
entro il 1500, che condensa e chiarisce, similmente
al “Taccuino dei viaggi” di Francesco di Giorgio
Martini, precedenti osservazioni ed esercitazioni
compiute a Roma e a Firenze dall’artista stesso, con
uno stile particolare che si contraddistingue per la
visione rudemente semplificatrice dei monumenti.
Se
nella
seconda metà del XV secolo si riscontra dunque una
certa omogeneità nelle caratteristiche e nelle
finalità dei taccuini di studi dall’Antico, un
discorso a parte meritano i codici di cerchia
sangallesca, che si collocano nelle ultime due
decadi del Quattrocento e nei primi vent’anni del
secolo successivo: essi sono infatti rappresentativi
di quella stagione transitoria tra la grafica di
Francesco di Giorgio e il clima culturale inaugurato
dalla Lettera a Leone X di Raffaello, aprendo i
libri di disegni d’antichità a nuove peculiarità e
destinazioni d’uso. Il Barberiniano Latino 4424 fu
concepito da Giuliano da Sangallo come fosse
un’autobiografia da lasciare in eredità al figlio
Francesco, ed è un repertorio unico e nutritissimo
ove l’interpretazione dei monumenti antichi sfocia
in creazioni di grande originalità; sono
caratterizzati da una maggiore maturità e
spontaneità in disegni nel poco più tardo “Taccuino
senese” di Giuliano (appartenente all'ultimo periodo
della vita dell’artista), formato dalla riunione di
vari quaderni sciolti. Il Codice Strozzi agli Uffizi
offre invece due modi differenti di guardare al
patrimonio classico: la ricerca di forme da copiare
e reinventare con gusto pittorico e antiquario da
una parte, lo studio accurato degli edifici (in
alcuni casi restitutivo) dall’altra; in entrambi i
casi, comunque, non si percepisce alcuna necessità
di omologare i sistemi di misura, rilevamento e
rappresentazione, come avverrà invece da Raffaello
in poi. Il Codex
Escurialensis
costituiva, dal canto suo, una sintesi più o meno
rappresentativa di quanto si poteva ancora ammirare
dell'antica Roma a inizio Cinquecento, e dovette
servire al suo acquirente da “libro-souvenir” ma
anche da fonte di prototipi per canteri moderni.
Anche
il
Codice
Coner,
realizzato entro il 1515,
rappresenta un caso molto particolare nel panorama
di inizio XVI secolo perché, a differenza di molti
manoscritti antecedenti o contemporanei, organizza i
contenuti per gruppi tematici compatti -
atteggiamento, questo, tipico del Rinascimento
maturo; esso possiede le caratteristiche proprie del
“libro-trattato”: estrema precisione metrica,
un’impostazione grafica volta a evidenziare le
caratteristiche principali dei fabbricati (sia
spaziali che di dettaglio), l’organizzazione del
materiale per gruppi tematici già menzionata; le
numerosissime e riconosciute corrispondenze tra
Codice Strozzi, Codex
Escurialensis
e Codex
Coner
fanno anche immaginare già l'esistenza di modelli
condivisi da una vasta cerchia di artisti, come
promosso dal Sanzio; rilevante è altresì il fatto
che, nel codice, le descrizioni grafiche di opere
antiche e moderne sono affiancate sui fogli,
suggerendo che esse possedevano un pari valore di
modello.
Il
“Taccuino dei viaggi” agli Uffizi di Baldassarre
Peruzzi, benché realizzato negli anni intorno al
1518-1519, si inserisce ancora nella tradizione
grafica della seconda metà del XV secolo, in quanto
dovette essere impiegato dall’artista a Roma e nei
soggiorni nel Centro Italia, rilevando i monumenti
antichi dal vero; Baldassarre mise in bella copia
alcuni rilievi del volume nel Codice S. II 4 alla
Biblioteca comunale di Siena, similmente a quanto fece
Francesco di Giorgio Martini con il proprio “Taccuino
dei viaggi” e il Codice Saluzziano.
A
partire dal secondo decennio del XVI secolo (dopo la
morte di Raffaello), l’approccio al patrimonio
classico muta profondamente: ne consegue
un’inevitabile e significativa moltiplicazione delle
tipologie di taccuini di studi dall’Antico.
Il
libro
di disegni conservato alla Biblioteca Civica
Passionei di Fossombrone, databile tra il 1524 e il
1538, come molti altri taccuini del tempo, è
composto unicamente da copie (quasi mai dirette); le
tecniche esecutive in esso impiegate e le modalità
di rappresentazione dei fabbricati corrispondono a
quelle suggerite da Raffaello nella Lettera
a
Leone X.
I
quattro codici di Amico Aspertini, che coprono quasi
l’intero arco della vita dell’artista, sono taccuini
stricto
sensu,
ossia volumi già rilegati prima di essere utilizzati
e portati con sé come vademecum
ad
uso
esclusivo dell’autore; dedicati specialmente allo
studio di antichità, il Codex
Wolfegg
e il London
I
in particolare condividono una trasformazione
caratteristica dello stile classico di rilievo, che
riguarda le ambiguità spaziali che derivano dalla
traduzione delle convenzioni del rilievo antico in
termini pittorici.
Il
Taccuino senese tradizionalmente attribuito a
Baldassarre Peruzzi, dai soggetti molto variegati
(rilievi dall’Antico, copie di opere contemporanee di
celebri Maestri, ecc.) rappresenta uno dei numerosi
quaderni di schizzi sui quali si esercitavano e da cui
traevano ispirazione gli artisti del pieno
Cinquecento: eseguiti i suoi disegni, il taccuino
dovette cominciare a circolare da una mano all'altra,
riempiendosi poco a poco di nuove immagini.
L’inedito
libro di disegni dall’Antico conservato al Canadian
Centre for Architecture di Montreal (collezione
Weinreb), messo insieme nella prima metà del XVI
secolo, contiene probabilmente delle copie in pulito
di schizzi precedentemente realizzati davanti a
monumenti antichi del Centro Italia; non vi mancano
anche progetti personali dell’architetto, soprattutto
di chiese e monumenti sepolcrali a pianta centrale.
Degli
anni intorno alla metà del Cinquecento è il taccuino
di Girolamo da Carpi alla Biblioteca Reale di Torino,
composto da fogli che presentano da uno a più disegni
raffiguranti sculture antiche e motivi di ispirazione
rinascimentale, tutti caratterizzati da un metodo
alquanto libero nella trascrizione grafica dei
modelli, collocandosi dunque nell’ambito dei volumi
pensati ad uso esclusivo dell’autore.
Il
Codice Vaticano Latino 7721 di Giovanni Colonna da
Tivoli, sempre databile alla metà del XVI secolo
(1554) è un'opera discontinua ed eterogenea, nella
quale i monumenti antichi e moderni sono giustapposti
suggerendo il rapporto dinamico dell’autore con
l’Antico; il volume si rivela un documento prezioso
anche perché Giovanni esplicita sempre le collezioni
da cui provengono i pezzi da lui rappresentati, così
come la loro collocazione.
La
nascita
dell’«Accademia
de
lo studio de l’architettura» dovette
influenzare
in modo evidente le caratteristiche dei libri di
disegni dall’Antico della seconda metà del XVI
secolo, che si configurano perlopiù come eleganti
libri di copie, il cui contenuto è sovente
organizzato secondo precisi criteri.
Al
progetto
di Claudio Tolomei è stato collegato il Codex
Coburgensis,
definito come il «primo libro sistematico di
archeologia»: esso non è solo ordinato
sistematicamente concordemente alla storia mitica
degli dei greco-romani, ma i suoi disegni sono anche
esempi precoci di un metodo che merita di esser
chiamato “archeologico”, perché documentano gli
artefatti antichi molto accuratamente, con tutti i
loro danneggiamenti e senza addizioni, correzioni o
ricostruzioni; in aggiunta, le annotazioni e le
considerazioni sono separate distintamente dai
disegni e dalle iscrizioni antiche. Anche nel
contemporaneo Codex
Destailleur
B
ogni fascicolo di copie di disegni dall’Antico è
monotematico, salvo poche eccezioni. Qualcosa
di
simile si verifica altresì nel Codex
Ursinianus,
nel quale
Onofrio
Panvinio
organizzò per tipologia delle schede di provenienza
diversa, in un quaderno destinato originariamente a
contenere dei testi di salmi.
I
disegni nel codice N.A. 618 di Dosio alla Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze sono di importanza
notevole per almeno tre ragioni: anzitutto, essi
documentano opere ormai scomparse, in alcuni casi note
solo grazie a questi rilievi; in seconda istanza, essi
sono assolutamente fedeli, scevri di arbitrarie
integrazioni; insolito è altresì il fatto che il
codice presenti molti disegni ripetuti su carte
diverse, a vari stadi di esecuzione; infine,
registrano la collocazione dei pezzi prima
dell'ingresso nelle grandi collezioni pubbliche nel
periodo più fiorente del commercio antiquario. Una
larga porzione dei rilievi del volume è stata copiata
da un allievo nel Codice N.A. 1159 alla Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze, realizzato anch’esso
durante la messa in atto dei progetti dell'Accademia
romana e destinato a essere sfogliato e condiviso
dagli apprendisti in bottega. Un uso simile dovette
esser fatto del libro conservato a Modena contenente
perlopiù rilievi del Dosio, sulle cui pagine non
mancano però annotazioni di mano di collaboratori o di
artisti che si servirono a loro volta dei modelli ivi
contenuti.
I
codici di Alberto Alberti all'Istituto Centrale per
la Grafica di Roma rappresentano un corpus
sconfinato e assai eterogeneo, che si può
considerare una sorta di “canto del cigno” del
patrimonio grafico moderno inerente gli studi
d’antichità. I disegni raccolti nei quattro libri
rappresentano nella quasi totalità monumenti della
Roma imperiale, e i motivi di interesse offerti da
un corpus
tanto vasto sono molteplici: anzitutto,
l'originalità e l’indipendenza dei disegni; il
valore di documentazione relativa a fabbricati oggi
non più visibili nell’Urbe; la rappresentazione di
dettagli poco studiati dei monumenti più celebri; la
correzione nel tempo delle annotazioni da parte di
Alberto stesso; la segnalazione di curiose notizie
sulle conoscenze archeologiche contemporanee. Il
volume 2503
è
particolarmente esemplificativo dell’enorme
interesse per la grafica che si rifletté anche nel
collezionismo cinquecentesco: nel codice, una
cartella nella quale confluirono i più diversi fogli
sciolti di enorme valore, trovano posto infatti
disegni di altri maestri quali Pontormo, Bandini,
Raffaellino del Colle, copie dall'antico, studi di
grottesche, disegni di macchine (da Francesco di
Giorgio), copie da capolavori contemporanei che
talora tramandano opere altrimenti perdute o
sconosciute del primo Cinquecento.
Legenda:
ASF =
Archivio di Stato di Firenze
BAV =
Biblioteca Apostolica Vaticana
CCA =
Canadian Centre for Architecture di Montreal
GDSU
= Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi
NOTE
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