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Strategie di marketing dietro le pratiche espositive dell’arte contemporanea: display e spazio espositivo  

Arianna Palmieri
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 22 Agosto 2021, n. 918
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00918.html
Articolo presentato il 22 Maggio 2021, approvato il 18 Agosto e pubblicato il 22 Agosto 2021
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Area Economia

Le idee su cosa sia il display e a cosa si riferisca il termine ad oggi variano. Relativamente al campo dell’arte è costantemente associato alla parola “esposizione” e in generale al processo dell’esibire.

Il libro di Hans Neuburg pubblicato nel 1969 lo presenta direttamente come una nuova categoria espositiva 1, mentre George Nelson nel suo testo pubblicato nel 1953, lo associa ad un comportamento e un’attività di seduzione 2.

A prescindere da quale possa essere la più valida interpretazione del termine, il display esercita un potere su ruoli e funzioni dell’atto espositivo e condiziona il mercato degli artisti, il significato e la ricezione della loro stessa opera.

In termini di marketing 3 ha senza dubbio l’obiettivo di catturare l’attenzione del pubblico sviluppando il desiderio per il prodotto e incoraggiando all’acquisto.

Sempre di più marketing e arte si supportano, si completano e quasi si rinvigoriscono a vicenda facendo emergere la componente artistica e rendendola più fruibile 4 soprattutto in questo momento storico in cui, nel mondo dell’arte, la tendenza a spettacolarizzare e il coinvolgimento fisico ed emotivo stanno scalzando il razionalismo.

Il visitatore privilegia opere che offrono un’esperienza e l’emozione che si vive nell’ambiente espositivo conta quasi quanto il prodotto stesso. Dunque, anche l’atmosfera ambientale dello spazio può essere determinante ai fini del successo di un’artista e della vendita delle sue opere - per via di impulsi e stimoli trasmessi direttamente dal palcoscenico – e insieme ad esse e al display, costituisce il codice attraverso il quale si esprime o si rafforza la sua identità 5.

Grazie alla miriade di possibilità applicative offerte dal marketing e dalle nuove tecnologie in campo artistico - specie quelle immersive - artisti, galleristi e curatori stanno dando vita ad una realtà espositiva multiforme e a display, spazi e vetrine virtuali dal grande potenziale comunicativo.


Lo sviluppo del display e delle pratiche espositive nel tempo

Negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento - epoca in cui accanto alle classi più elevate e nobili quella borghese cominciò ad affacciarsi nel mercato dell’arte - quando Parigi divenne il più importante centro sul panorama artistico internazionale e meta costante di artisti d’avanguardia, mercanti e importanti collezionisti il caotico e affollato stile espositivo del Salon 6 francese rappresentava il principale e universale modello di riferimento. Si tratta di uno stile espositivo incentrato sulla quantità piuttosto che sulla qualità, caratterizzato da uno schema di dipinti accatastati su più file di una stessa parete di un rosso intenso dal pavimento in su, come a formare un mosaico di generi diversi in un horror vacui 7 espositivo.

Benché lo spazio intermedio (all’altezza dell’osservatore medio) venisse riservato alle tele ritenute migliori dalla commissione, non veniva di certo garantita una collocazione favorevole a tutte le opere e il valore di alcuni capolavori poteva facilmente rimanere inosservato; inoltre, al potenziale collezionista non veniva fornita alcuna indicazione in merito alle opere esposte (Fig. 1).



Fig. 1 - Pietro Antonio Martini, Exposition au Salon du Louvre en 1787, 1787; incisione, Acquaforte, Immagine: 10 7/8 x 19 1/8 in. (27.6 x 48.6 cm), Foglio: 14 1/4 x 20 3/4 in. (36.2 x 52.7 cm), Metropolitan Museum of Art, New York. (Foto cortesia: www.metmuseum.org, © A. Hyatt Mayor Purchase Fund, Marjorie Phelps Starr Bequest, 2009).
Fig. 1 - Pietro Antonio Martini, Exposition au Salon du Louvre en 1787, 1787
incisione, Acquaforte, Immagine: 10 7/8 x 19 1/8 in. (27.6 x 48.6 cm)
Foglio: 14 1/4 x 20 3/4 in. (36.2 x 52.7 cm), Metropolitan Museum of Art, New York
(Foto cortesia: www.metmuseum.org
© A. Hyatt Mayor Purchase Fund, Marjorie Phelps Starr Bequest, 2009).


Fu proprio la ricerca di qualità e informazioni a far nascere le gallerie, le quali si fecero strada verso gli anni Sessanta dell’Ottocento proponendosi come alternativa alle esposizioni ufficiali, dunque come luoghi più intimi in grado di offrire sostegno e inedite modalità di visione delle opere d’arte.

Molte di queste trovarono posto a Rue Laffitte, la cosiddetta “via dei quadri”, caratterizzata inizialmente da vetrine composte da una selezione in continua evoluzione di dipinti, finché si arrivò al “one solo show”, ovvero alla presentazione di un solo quadro dapprima posizionato fino alla sua vendita, poi visibile solo per tre o quattro giorni in modo da far arrivare al potenziale acquirente il messaggio di cogliere il momento.

I galleristi a mano a mano, iniziarono a pulire sempre più le pareti ricorrendo alla selezione e limitando il numero di pezzi esposti (questo, oltre ad aiutare il pubblico a muoversi visivamente meglio, costituiva una buona opportunità per i galleristi di mettere in risalto ciò che si voleva vendere), dando vita a quelle strategie espositive commerciali che, adottate da importanti icone del mercato dell’arte, sono diventate modello per la generazione contemporanea e per lo stesso funzionamento di base del mercato odierno 8.

All’epoca, una delle gallerie più famose di Parigi fu quella di Adolphe Goupil, fondata nel 1829. La Maison Goupil iniziò la sua attività trattando esclusivamente incisioni e litografie di ogni tipo e formato di grandi capolavori d’arte antica e di opere contemporanee selezionate al Salon parigino; attraverso queste fu in grado di raggiungere ogni clientela (anche la più povera) proponendo un prodotto di alta qualità a basso costo.

Grazie all’apertura della nuova sede a L’Aja e di altre a Berlino, Vienna e Bruxelles tra il 1865 e il 1866 e all’avvio della vendita di pezzi originali, la Maison divenne un punto di riferimento per collezionisti e mercanti. Goupil, particolarmente concentrato sulle tendenze del momento e sul gusto della borghesia, ha saputo farsi strada in un commercio ormai libero adattandosi ai cambiamenti e sfruttando con grande abilità la strategia oggi ampliamente utilizzata dell’”edizione limitata”, grazie alla quale poteva alzare il prezzo delle opere a suo piacimento giocando su fattori quali la rarità.

Al pari del Salon, anche da Goupil si proponeva l’horror vacui espositivo, tuttavia veniva sfruttato dal gallerista a proprio vantaggio per indirizzare come meglio voleva il cliente, che difficilmente trovava logica nella disposizione e si faceva guidare volentieri 9.

Tale modello espositivo, dunque, nonostante molti galleristi stessero voltando pagina, resistette piuttosto a lungo e si espanse oltre i confini europei.

Sappiamo che Thomas Walker, barone del Midwestern e imprenditore di successo, protagonista dell’”età d’oro americana” (il periodo di tempo che va dal 1870 al 1900 circa, caratterizzato da una rapida crescita industriale ed economica e da un modello comune di galleria d’arte), all’interno della sua casa-galleria aperta al pubblico e ai prestiti, rese questo horror vacui all’apparenza casuale una vera e propria tattica di presentazione che in realtà nascondeva una regia e dei punti focali precisi.

In America, molti altri galleristi riproposero fedelmente - per un primo momento - il consolidato stile di visualizzazione francese. Gli americani, in particolare coloro che appartenevano alla categoria degli operatori di borsa di Brooklyn, i maggiori acquirenti di arte francese accademica e d'avanguardia di quel tempo, ebbero modo di osservare la pratica espositiva e incoraggiare la nascita del collezionismo nel loro paese già negli anni Settanta, pur essendo clienti non esperti, appassionati agli investimenti e alle scommesse.

Alle soglie del Novecento, con l’ingresso dei cataloghi e quindi di una segnaletica, cambiò l’approccio dell’osservatore nei confronti delle opere (meno impegnato e più rapido) e ben presto molti misero da parte il “Salon style” per lanciarsi verso ulteriori nuovi schemi, abbandonando l’idea di molteplicità per l’unità e sperimentando dunque il formalismo espositivo, vale a dire l’isolamento di un dipinto per ogni parete. Questa rivoluzionaria, inedita e audace modalità - la quale permetteva al gallerista di impreziosire l’opera e al compratore di concentrarsi sul singolo pezzo - fu particolarmente vincente in America e si impose nel panorama espositivo dove tutt’oggi domina, nonostante sia stato recentemente aperto un dibattito su quale tra le due modalità espositive (dunque strategie di marketing) risulta più efficiente in termini di valorizzazione del prodotto.

Già gli Impressionisti in Francia, verso la fine dell’Ottocento nelle loro mostre indipendenti, al fine di facilitare l’apprezzamento e l’esaltazione dell’accostamento di colori, dei dettagli e delle tecniche dei loro lavori, ricorrevano alla selezione delle opere e per quanto riguarda l’esibizione sostituirono le tradizionali cornici dorate con altre dai toni chiari o complementari preferendo ambienti divisi, più piccoli e semplici, come la galleria di Paul Durand-Ruel 10 (Fig. 2).



Fig. 2 - Galerie Paul Durand-Ruel, esposizione opere di Renoir, 1920; 16 rue Laffitte, Parigi; Archives Durand-Ruel (Foto cortesia: Photo Archives Durand-Ruel © Durand-Ruel & Cie).
Fig. 2 - Galerie Paul Durand-Ruel, esposizione opere di Renoir, 1920
16 rue Laffitte, Parigi; Archives Durand-Ruel
(Foto cortesia: Photo Archives Durand-Ruel © Durand-Ruel & Cie)


Bisogna dire però, che il vero pioniere in quel momento delle modalità espositive più intime e delle mostre organizzate in ambienti ristretti e divisi da pareti colorate fu James Abbott McNeill Whistler, l’artista attivo nella Londra della seconda metà dell’800 che boicottò gli eventi della Royal Academy 11 e riformò l’esposizione in modo del tutto originale portando avanti il credo dall’“arte per l'arte” e il concetto di Gesamkunstwerk 12 (opera d’arte totale) - nato nella metà del secolo - concependo le sue mostre indipendenti come opere d’arte in sé e curando ogni elemento al minimo dettaglio in modo che si connettesse al meglio con il resto. Egli fu anticipatore di un certo gusto nella decorazione di interni nella Londra del 1874 e dunque di quella tendenza a valorizzare anche lo “sfondo” espositivo, nonché a rendere più attivo l’osservatore.

Più che una mostra, un vero e proprio spettacolo fu allestito in occasione dell’esposizione del 1883 alla London Fine Arts Society, dedicata alle sue incisioni raffiguranti Venezia. Le silenziose sale della galleria apparivano al pubblico trasfigurate in una sinfonia di giallo e bianco, i due colori che tingevano le pareti, le porte, i fiori e i vasi negli angoli e persino gli abiti della servitù che girava per la sala a consegnare i suoi cataloghi (anch’essi in tinta) e i calzini indossati dallo stesso Whistler (messi bene in mostra) e le cravatte dei suoi assistenti. Lo spettacolo coinvolse anche alcune importanti personalità venute in visita indossando uno o più accessori in tono.

Già vent’anni prima, nel 1863, il concetto di Gesamkunstwerk fu sfruttato per scopi commerciali e trasformato in una vera e propria strategia di mercato grazie al progetto di Louis Martinet.

Rifiutandosi di seguire il tradizionale modello commerciale, Martinet trasformò il suo spazio espositivo di Parigi - accessibile al pubblico sia dal 26 Boulevard des Italiens che da rue Laffitte - in una sala di incontri che, oltre ad accogliere mostre, ospitava concerti; adottò quindi il principio dell’opera d’arte totale dando origine ad una corrispondenza tra musica e pittura, creando un’atmosfera ibrida, unica e quasi poetica 13.

Il suo pubblico, infatti, poteva ascoltare e lasciarsi trasportare ed emozionare dalla musica di Felix Mendelssohn, mentre osservava le opere di Corot, che a quel punto potevano facilmente mutare o prendere vita nella mente del visitatore.

L’abbattimento del muro tra le arti “applicate” e “pure” e lo sviluppo dell’idea di unione o sintesi delle arti, si rafforzò notevolmente nel corso del Novecento, quando, partendo dall’azione delle avanguardie storiche, si arrivò sempre più alla consapevolezza che l’opera potesse uscire dalla cornice, dal quadro e dalla sua concezione materiale, e agire direttamente sullo spazio diventando tutt’una con esso.

Presero dunque vita i primi esempi di installazione e furono ripensate l’opera, la parete e il luogo espositivo, che, col passare del tempo, da contenitore sacro e regolare - quale era considerato negli anni Cinquanta quando nacque l’idea di white cube 14 - divenne esso stesso parte dell’opera, spesso concepita, manipolata e creata site-specific 15.

Questa concezione in realtà era a suo modo viva anche fino alla prima metà dell’Ottocento, quando gli interventi degli artisti rispondevano a una determinata commissione o contesto, quindi le opere e le loro massicce cornici venivano situate o messe in relazione in un ambiente scelto di comune accordo tra il committente e l’artista stesso. Per un lungo periodo infatti l’arte, che non aspirava ancora a circolare liberamente come prodotto di scambio e di consumo, si legava strettamente con il contesto. Il dialogo si spezzò quando nella metà del secolo, una volta scomparso il mecenatismo dei nobili, le opere si dovettero adeguare ad un mercato borghese più dinamico e caratterizzato da artefatti disponibili alla circolazione; è a quel punto che nacquero ambientazioni quali i Salons, in cui i lavori artistici da mettere in vendita venivano raccolti e appesi alle pareti nelle modalità già approfondite precedentemente.

Col tramontare del secolo poi, lo spuntare dei paesaggi impressionisti, i quali iniziarono ad occupare una notevole porzione di spazio sulle pareti, cominciò a dare istruzioni all’osservatore: qual è la distanza e il punto giusto da cui guardare un’opera, che atteggiamento assumere 16.

Una volta scavallata la metà del Novecento avanzò quindi sempre più l'idea di spazio espositivo non solo come spazio rappresentativo ma di immersività e partecipazione. Gli artisti della Pop art – in particolare quelli appartenenti alla corrente britannica - rientrano tra coloro che intervennero in maniera significativa nella rivoluzione delle pratiche e dell’idea stessa di esposizione, sfruttando e rendendo protagonista lo spazio e lo spettatore. L’attività dell’Independence Group 17, formatosi nel 1952 all’Istitute of Contemporary Art di Londra (ICA), fu rilevante in tal senso. Il gruppo sviluppò pratiche artistiche non concentrandosi esclusivamente sulla creazione della singola opera ma sul nuovo concetto di mostra partecipata, sperimentando un inedito e particolare approccio all’organizzazione dello spazio espositivo e dando ai visitatori la possibilità di investigarlo autonomamente. Un grande esempio di questo nuovo principio espositivo fu la mostra This is Tomorrow, inaugurata l’8 agosto del 1956 alla Whitechapel Gallery di Londra, a cui partecipò anche il gruppo acquisendo maggiore visibilità e mostrando il proprio interesse pionieristico nella cultura popolare e commerciale.

La mostra raccolse grande successo tra i critici e il pubblico accogliendo quasi mille visitatori al giorno e segnò la consacrazione definitiva della Pop art e del New Brutalism, movimenti che ebbero un’influenza decisiva su tutta la produzione artistica degli anni Sessanta 18

Fra le dodici sezioni individuali - gestite autonomamente da gruppi di artisti che decisero il tipo di allestimento e il poster che le pubblicizzava, mantenendo comunque lo scopo di ottenere un unico ambiente e risultato espositivo finale - spiccarono, oltre a opere celebrative del mondo del domani e i suoi possibili scenari, dettagli volti all’introduzione di una totale esperienza sensoriale del visitatore. Infatti, la sezione del Gruppo 2 capitanato da Richard Hamilton e John McHale situato proprio di fronte all’ingresso principale, includeva anche un pavimento in schiuma che rilasciava un profumo di fragola, capace di coinvolgere ancor più direttamente chiunque vi camminava sopra.

La classificazione delle arti era dunque sempre più in bilico ma si è dovuto attendere il clima del ’68 per assistere a un definitivo superamento di questa e al matrimonio vero e proprio fra lo scenario espositivo e il pubblico.

Ad essere rivalutato fu pian piano anche il rapporto tra artista, curatore e pubblico, che sfociò nell’idea dell’opera-evento consacrata in occasione di una delle rassegne più celebri e importanti del secolo, passata alla storia per l’approccio radicale e innovativo del curatore alla pratica espositiva: When attitudes became form, curata da Harald Szeemann e inaugurata il 22 marzo del 1969 alla Kunsthalle di Berna.

L’opera, da prodotto confezionato e fabbricato posizionato su un piedistallo, venne presentata come processo in situ di “situazioni collettive” in cui lo spettatore non stava più semplicemente a guardare, ma era più coinvolto del creatore 19.

Le cose che fino ad allora non erano state considerate arte lo divennero e da quel momento - dall’unione fra arte e vita - presero il via diverse e molteplici attitudini curatoriali e compositive, in grado di creare forti legami fra autore e pubblico, definendo al contempo nuovi e complessi meccanismi pubblicitari, strategici e comunicativi dell’arte contemporanea.


Dagli spazi espositivi reali a quelli virtuali: giocare con gli allestimenti e generare strategie di marketing

Proiettandoci ai giorni d’oggi, scavando ancora più a fondo nel legame dell’artista e della sua opera con l’ambiente circostante e la sua interazione con il pubblico e con il mercato, scopriamo che molto spesso l’artista nell’azione creativa punta allo sfruttamento deciso e diretto dello spazio espositivo, ricorrendo talvolta ad una vera e propria manipolazione e trasfigurazione di esso. In tal modo è in grado di creare un qualcosa capace di catturare e stupire il pubblico e innescare un forte ritorno di immagine.

Tali azioni non solo valgono come strategie promozionali e contribuiscono, insieme a quelle messe in atto dai galleristi che li rappresentano, ad accrescere la notorietà e alzare le quotazioni di mercato, ma sono diventati dei veri marchi di fabbrica per alcuni artisti. È il caso del duo scandinavo di successo formato da Michael Elmgreen e Ingar Dragset.

Sin dalla loro più nota “Powerless structure” (struttura impotente) Prada Marfa, realizzata nel 2005, la relazione fra arte, architettura e design è alla base delle loro sperimentazioni, così come lo è la ricerca di un umorismo sovversivo e l’analisi di tematiche socioculturali di grande rilievo nella contemporaneità; gli ambienti da loro progettati oscillano fra realtà e finzione e sono concepiti come teatrali spazi dalle capacità performative, o anche come sculture iperrealiste che invitano il pubblico ad attraversare situazioni alienanti 20.

Nel 2009 fecero scalpore alla 53ma Biennale di Venezia, in occasione della quale, unendo il Padiglione della Danimarca e dei Paesi Nordici, misero in scena The Collectors, una mostra narrativa che analizzava il rapporto tra i nostri desideri e i mondi materiali che costruiamo intorno agli stessi. Il percorso espositivo invitava i visitatori dentro la casa del misterioso collezionista Mr. B per coinvolgerli e lasciarli investigare nelle pieghe dell’arredamento e allestimento, su come il proprietario fosse finito annegato nella piscina 21.

Overheated è la mostra che ha avuto luogo dal 26 marzo al 4 maggio 2019 nella sede di Hong Kong della galleria Massimo De Carlo. Per l’occasione tubi industriali di varie dimensioni color pastello (intenti a rievocare il passato della città, un tempo importante centro di produzione di beni e prodotti, oggi centro del mercato dell’arte) si incrociavano nello spazio e animavano il terzo piano della galleria trasformandolo in una “boiler room” (locale caldaia) abbandonata.

I visitatori intenti a perlustrare ed a interrogarsi sull’ambiguità dell’ambiente e degli oggetti dislocati all’interno – i quali alludevano a tracce di attività umane in un ambiente dismesso - erano costretti a scavalcare, piegarsi o aggirare le installazioni per muoversi all’interno, sorpresi di tanto in tanto dal vapore emesso a intervalli dai tubi fittizi (Fig. 3).



Fig. 3 - Michael Elmgreen e Ingar Dragset, Boiler room, installazione composta da tubi industriali di varie dimensioni color pastello, sculture e oggetti comuni dislocati nella stanza per  Overheated, 2019, MASSIMODECARLO Hong Kong, Pedder Building. (Foto cortesia: © MASSIMODECARLO and the artist).
Fig. 3 - Michael Elmgreen e Ingar Dragset, Boiler room
installazione composta da tubi industriali di varie dimensioni
color pastello, sculture e oggetti comuni dislocati nella stanza per
Overheated, 2019, MASSIMODECARLO Hong Kong, Pedder Building
(Foto cortesia: © MASSIMODECARLO and the artist).

La coppia, in vent’anni di attività ha congegnato un sistema personalissimo di espressione sospeso tra arte concettuale e racconto e quella di modificare gli spazi espositivi in set immersivi è diventata ormai una loro caratteristica molto apprezzata dal pubblico, pronto a seguire la loro attività e a lasciarsi coinvolgere ogni volta.

Una dimensione completamente ipnotica e affascinante appartiene alle installazioni immersive della famosa artista giapponese Yayoi Kusama conosciute come Infinity Mirror Rooms. Passando dallo spazio bidimensionale delle tele ad un ambiente senza fine (sensazione dovuta all’effetto caleidoscopico delle superfici specchianti), l’artista, con il suo apprezzatissimo repertorio fatto di universi micro e macroscopici ripetuti all’infinito, di colori sgargianti e psichedelici, diventato ormai iconico, esplora il concetto di infinito e approfondisce il suo interesse per le pratiche installative ed esperienziali e per gli spazi virtuali.

Nel corso della sua carriera, l'artista - attiva già dagli anni Sessanta, ma guardata con molta attenzione solo nei primi anni 2000 e che, con un fatturato di 552,9 milioni di dollari è attualmente l’artista donna più popolare e ricca al mondo 22 - ha prodotto più di venti distinte Infinity Mirror Rooms e tutte hanno attratto l’attenzione di un gran numero di musei, galleristi, collezionisti e spettatori, tanto che è stata protagonista di blockbuster exhibitions (mostre campioni di incassi) come quella al Seattle Art Museum nel 2017: Yayoi Kusama: Infinity Mirrors, tenutasi nello stesso anno in cui è sorto nel quartiere di Shinjuku lo Yayoi Kusama Museum di Tokyo, oggi tra i più visitati al mondo.

Parlando proprio di Kusama, è opportuno esaminare l’importanza e il potere dei social network, i quali stanno contribuendo notevolmente a dare più visibilità agli artisti influenzando il loro successo e quello delle loro esposizioni: nel 2017 ben 75.000 persone hanno segnalato su Instagram di aver visitato la mostra dell’artista giapponese a New York da Zwirner, facendo scattare una “Kusama-mania” 23; mentre una sua grande “zucca” comparsa a Parigi in Place Vendôme, in occasione di FIAC – Fiera internazionale d'arte contemporanea 2019, è stata apprezzatissima e “postatissima” 24 su tutti i Social Media.

A parlarne è stata la stessa curatrice capo dell’ICA Eva Respini, che in occasione della recente acquisizione e presentazione di una Infinity Mirror Rooms di Kusama, LOVE IS CALLING del 2019, ha dichiarato l’importanza di coinvolgere il nuovo pubblico digitale: «Ho sentito che se avessimo intenzione di convincere le persone a cercare quell'esperienza o quel momento su Instagram, questa era un'opportunità per dare loro un contesto 25».

Nonostante i molti anni di attività, è tra il 2004 e il 2014 che le vendite totali delle sue opere sono aumentate di oltre il 262%, da $ 931.446 nel 2004 a $ 35.455.059 nel 2014 26. A portarla al successo (agevolando la vendita di tutta la sua produzione) e a renderla nota in tutto il mondo sono state proprio le sue stanze immersive.

Il suo mercato è stato rinvigorito notevolmente nell'anno precedente alla sua retrospettiva al Whitney Museum di New York nel 2012, che ha anche coinciso con il suo periodo di collaborazione con Louis Vuitton, uno degli incontri più felici tra arte e moda. Una scelta fortemente voluta dal direttore creativo della maison Marc Jacobs, non indifferente al fascino delle sue opere, che riportò i famosi pois dell’artista - ripetuti fino all’ossessione - su borse e accessori di pelletteria, dando vita a una collezione che passerà alla storia.

La produzione di Yayoi Kusama, chiaramente di stampo commerciale e di fascino globale, è d’esempio per molti altri artisti e dimostra non solo che l’arte è anche intrattenimento - quello che accadde in Australia dal 19 novembre 2011 all'11 marzo 2012, alla Queensland Gallery of Modern Art, che, in occasione della mostra Look Now, See Forever, è stata trattata come una gigantesca tela bianca su cui visitatori di ogni età erano invitati ad attaccare dei punti adesivi colorati, contribuendo alla creazione della sua Obliteration room, è puro divertimento e coinvolgimento - ma che a volte il marketing non si basa necessariamente sulle cose che fai, ma sulle storie che racconti (Fig. 4).

Fig. 4 - Riproduzione della Obliteration Room di Yayoi Kusama, installazione/stanza composta da elementi di arredo decorati con bollini adesivi colorati applicati dai visitatori, dicembre 2019, Christmas Wonderland Roma, spazi dell'ex Deposito Atac in Viale Angelico 52, Roma. (Foto cortesia: © Arianna Palmieri).
Fig. 4 - Riproduzione della Obliteration Room di Yayoi Kusama
installazione/stanza composta da elementi di arredo decorati
con bollini adesivi colorati applicati dai visitatori, dicembre 2019
Christmas Wonderland Roma, spazi dell'ex Deposito Atac in Viale Angelico 52, Roma
(Foto cortesia: © Arianna Palmieri).

Una delle tante storie raccontata dal noto artista Christo Vladimirov Javacheff nel giustificare una delle sue ultime “magie” autofinanziate (costata all’incirca 18 milioni di euro), ovvero il The Floating Piers, la passerella galleggiante sul Lago di Iseo che dal 18 giugno al 3 luglio del 2016 a detta dello stesso artista ha permesso ad oltre 40.000 visitatori al giorno (per un totale di oltre 1,2 milioni di spettatori) di “provare l’emozione di camminare sulle acque” del Lago di Iseo dal paesino di Sulzano a Monte Isola, ha contribuito a garantire all’opera e all’artista quel grande successo ottenuto (Fig. 5).



Fig. 5 - Christo e Jeanne-Claude, The Floating Piers, 2014-16, 4,5 km×16m×50 cm, installazione temporanea composta da una rete di pontili galleggianti (circa 220.000 cubi di polietilene ad alta densità) e ricoperta da 100.000 metri quadrati di tessuto giallo brillante, Lago Iseo, tra Sulzano e Monte Isola. (Foto cortesia: Wolfgang Volz © 2016 Estate of Christo V. Javacheff).
Fig. 5 - Christo e Jeanne-Claude, The Floating Piers, 2014-16
4,5 km × 16m × 50 cm, installazione temporanea composta da una rete di pontili galleggianti
(circa 220.000 cubi di polietilene ad alta densità) e ricoperta da 100.000 metri quadrati
di tessuto giallo brillante, Lago Iseo, tra Sulzano e Monte Isola
(Foto cortesia: Wolfgang Volz © 2016 Estate of Christo V. Javacheff).


La passerella, infatti, ha smesso di essere un ponte o un’opera d’arte nella mente del pubblico diventando il simbolo dell’amore - un messaggio alla portata di tutti - nel momento in cui Christo ha specificato che sua moglie Jeanne-Claude, prima di morire, gli ha confidato il desiderio di costruire un ponte sulle acque per poter arrivare a piedi alla più grande isola lacustre d’Europa. Vera o no, questa storia ha colpito nel profondo molte persone.

The Floating Piers con il suo carattere maestoso e provvisorio (altro punto forte dell’opera da non sottovalutare poiché, quando una risorsa è scarsa o limitata nel tempo, assume molto più valore e appeal di una cosa definitiva), direttamente o indirettamente, ha generato un diverso appeal e un grande “Effetto Gazzetta” attorno a sé e all’artista ed ha riscosso un grande successo riuscendo a toccare i punti giusti. Questo è il Marketing 27.

L’opera – evento, anche se non insolita, è stata descritta come l’eccellente esempio di marketing territoriale che ha mitizzato un luogo, triplicato il volume di affari delle attività che si trovavano in prossimità e rilanciato la zona del Sebino a livello planetario battendo per affluenza i numeri del poco precedente evento mondiale “Expo”.

Attraverso la manipolazione, trasfigurazione o adattamento al luogo espositivo, artisti come quelli appena citati, oltre ad esprimere indubbiamente i loro messaggi e ideali artistici, cercano continuamente di proporre un’immagine e un visual sempre nuovi e competitivi in grado di stimolare i sensi e le emozioni del pubblico, coinvolgendolo in modo diretto e dirigendosi così alla conquista del mercato attraverso l’adozione di un marketing non convenzionale, esperienziale, emozionale o relazionale 28.

Creare una personale atmosfera nello spazio espositivo e costruire quindi un ambiente in cui il messaggio dell’artista sia forte ed evidente, in grado di trasformare lo stesso in un brand/marchio, così come anche la collaborazione con altre industrie quali quella della moda, può rivelarsi dunque una buona strategia di promozione e di vendita della propria produzione e un buon metodo per raggiungere un pubblico ancora più ampio e variegato.

Insomma, in una società consumistica ed effimera il valore di un bene dev’essere sapientemente costruito. Il sistema dell’arte non è quindi isolato, al contrario interagisce fortemente con l’ambiente circostante e ne è influenzato.

Attualmente sempre più artisti e galleristi collaborano anche con il mondo della tecnologia, arricchendo il proprio linguaggio e le proprie possibilità di vendita e visualizzazione attraverso l’utilizzo del web 2.0 e lo sfruttamento dei social network, o dando vita a opere, mostre, scenari e vetrine virtuali dal grande potenziale comunicativo ed esperienziale. Si stanno dunque facendo largo tra le nuove opportunità testando il nuovo mercato dell’arte online, in continua ascesa.

È ciò che hanno fatto alcuni famosi artisti come Marina Abramovic, Jeff Koons o Kaws in collaborazione con Acute Art, la nuova piattaforma d’arte e di intrattenimento digitale che, sin dal 2019, per mezzo della realtà virtuale, si propone di produrre e distribuire opere d'arte 29.

Oppure galleristi del calibro di David Zwirner, Perrotin o Massimo De Carlo, che a partire dalla scorsa primavera, anche per far fronte all’attuale emergenza sanitaria, hanno inaugurato la propria serie di mostre virtuali o addirittura dato vita a sedi e spazi espositivi virtuali come il “V Space” di De Carlo (Fig. 6),

Fig. 6 - “The Rob Pruitt and John Armleder Show”, 14 aprile 2020, galleria Massimo De Carlo, VSpace. (Foto cortesia: © MASSIMODECARLO and the artist).
Fig. 6 - “The Rob Pruitt and John Armleder Show”, 14 aprile 2020
galleria Massimo De Carlo, VSpace
(Foto cortesia: © MASSIMODECARLO and the artist).


all’interno del quale gli artisti hanno la possibilità di interagire e giocare con l’architettura con una libertà senza precedenti, i galleristi di attuare un accostamento e un ricambio più veloce di mostre e opere anche “born digital” (nate in ambiente digitale), mentre il pubblico ha l’opportunità di sperimentare l’arte da casa come mai prima d’ora.

D’altronde, nell’odierna epoca caratterizzata da un’abbondante e variegata offerta la competizione fra gli artisti è viva e in crescita; per ognuno di loro è dunque fondamentale “rimanere sul pezzo” e ricorrere a continue strategie e soluzioni innovative e comunicative in grado di sorprendere il pubblico, per ottenere la sua fedeltà e coltivare il suo successo.


Nel cuore delle fiere internazionali d’arte contemporanea

È nel mondo e nello scenario espositivo delle fiere d’arte contemporanea, il cuore del mercato artistico, che tutto ciò che è stato trattato finora si manifesta acutizzandosi e trovando ancor più libero sfogo.

Le fiere d’arte internazionali rappresentano un vero e proprio campo di battaglia per i vari attori del sistema i quali, dopo una lunga preparazione, si incontrano in occasione dell’imperdibile evento artistico - col tempo diventato anche mondano - sfoderando i migliori assi che hanno nella manica, specie nella fase del Vernissage 30.

Oltre a incidere sulle dinamiche del mercato dell’arte e a offrire grandi opportunità di commercio e di sviluppo economico diventando dei potenti strumenti di marketing, le fiere dedicate all’arte contemporanea costituiscono le principali vetrine di promozione per artisti e galleristi, i quali sono in un certo senso obbligati a partecipare – attuando una strategia selettiva - per mantenere una buona posizione pubblica e di farlo al meglio per non rischiare di cadere nell’anonimato o peggio ancora di non riuscire a vendere opere31.

Per certi versi, possono essere associate alle mostre in galleria ma di una durata minore e con un pubblico, una mole di affari, una scelta ed un’offerta di opere decisamente maggiore e più concentrata. In virtù di ciò, le modalità espositive e il display assumono nuovamente un valore strategico anche in tale circostanza.

Negli ultimi anni le fiere sono state oggetto di rinnovamento e reinterpretazione da un punto di vista espositivo e curatoriale, in unottica di coinvolgimento del fruitore e di narrazione del percorso espositivo che interessa anche gli spazi esterni e travolge e movimenta la stessa città che ospita l’evento.

Spingendoci oltre il perimetro dei singoli stand - la cui posizione e dimensione risultano fattori altamente strategici e significativi al fine di dimostrare il prestigio della galleria e di consentire la realizzazione di varie forme o tematiche espositive identificative –installazioni su larga scala trovano spazio in settori dedicati fungendo da specchietti per le allodole e catturando dunque l’attenzione di un pubblico sempre più aperto al dialogo e alle novità.

L’obiettivo è quello di rafforzare l’identità e massimizzare il ritorno sia in termini di vendite che di immagine, visibilità e notorietà di marchio, compiendo un investimento ponderato e mirato, considerati gli elevati costi che girano intorno all’evento fieristico.

Nel contesto di Art Basel (attualmente il formato di fiera di maggior successo) il solo costo per l’acquisto di uno spazio nel settore Art Unlimited - dedicato ad opere su larga scala - si aggira intorno ai 19.000 franchi svizzeri.

Art Unlimited (per la fiera di Basilea) ed Encounters 32 (per la fiera gemella di Hong Kong) sintetizzano le proposte intorno a cui il mercato è o sarà più attivo nell’anno e si riservano di creare un’interazione con il pubblico, trasformando la fiera in un luogo dove acquistare e vivere arte 33.

Basta dare uno sguardo alle divertenti opere di Castern Höller e di Takashi Murakami, ai curiosi e colorati orsi di Paola Pivi o al già citato caso della galleria italiana Massimo De Carlo, che in occasione della 7a edizione di Art Basel Hong Kong del marzo 2019, insieme alla Perrotin e Kukje Gallery, è stata protagonista nella sezione Encounters con la suggestiva installazione City in the sky (Fig. 7)

Fig. 7 - Michael Elmgreen e Ingar Dragset, City in the Sky, 2019, 400.0 x 500.0 x 220.0 (cm). 157.5 x 196.9 x 86.6 installazione in acciaio inossidabile, acciaio, vetro acrilico in alluminio e luci a LED, Art Basel Hong Kong, settore “Encounters”, Massimo De Carlo, Milano, London, Hong Kong; Perrotin, Paris, New York, Tokyo, Seoul, Hong Kong, Shanghai; Kukje Gallery, Seoul; 2019, Hong Kong.  (Foto cortesia: © MASSIMODECARLO and the artist).
Fig. 7 - Michael Elmgreen e Ingar Dragset, City in the Sky, 2019, 400.0 x 500.0 x 220.0 (cm)
157.5 x 196.9 x 86.6 installazione in acciaio inossidabile, acciaio
vetro acrilico in alluminio e luci a LED, Art Basel Hong Kong, settore “Encounters”
Massimo De Carlo, Milano, London, Hong Kong
Perrotin, Paris, New York, Tokyo, Seoul, Hong Kong, Shanghai; Kukje Gallery, Seoul;
2019, Hong Kong. (Foto cortesia: © MASSIMODECARLO and the artist).


realizzata dal duo Elmgreen & Dragset, a cui non solo ha riservato posto nel suo stand ottenendo un gran successo dal punto di vista delle vendite, ma a cui ha dedicato proprio nello stesso momento anche il “
solo showOverheated nello spazio in H Queen.

Nel caso di Art Basel Hong Kong, ricco è infine il programma di mostre e di eventi collaterali – in cui talvolta sono esposti artisti e opere presenti in fiera – al di fuori della manifestazione (ma parallele ad essa) nelle numerose gallerie anche occidentali che hanno trovato posto nella città, attratte dalla sua atmosfera creativa e nei luoghi pubblici. Ciò segna un’ulteriore trasformazione del concetto stesso di esposizione.

L’artista Kaws ad esempio, si è fatto protagonista dell’art week di Hong Kong 2019 con un gonfiabile di circa 37 metri che galleggiava vicino le rive del porto Victoria Harbour, esattamente di fronte a dove si svolgeva la fiera Art Central. La giocosa installazione pubblica, fra selfie e commenti, ha reso così in qualche modo accessibile ad un più ampio pubblico l’art week che ha invaso la città in quei giorni 34.

A dare un notevole contributo in questo scenario, il progresso tecnologico e la trasformazione digitale, i quali, come già detto, hanno investito in pieno anche il mondo dell’arte portando allo sviluppo dello straordinario recente fenomeno che, specie nel difficile e delicato frangente storico che stiamo attraversando - dovuto principalmente allo scoppio della pandemia di Covid-19 sta permettendo agli operatori dell‘arte di continuare la loro attività: le Online Viewing Rooms.

Si tratta di stanze (o meglio vetrine) virtuali che ricreano ambienti esistenti o inediti attraverso semplici layout e con l’ausilio della tecnologia 3D e della realtà aumentata, in grado di favorire la fruizione digitale delle opere e la visita online in occasione di fiere, mostre o grandi esposizioni, senza limiti spaziali o temporali.

Art Basel Hong Kong, prima fiera ad essere annullata per via dell’attuale pandemia, a fine marzo 2020 ha inaugurato la sua edizione digitale grazie alle Online Viewing Rooms con la partecipazione di 233 espositori.

I risultati sono stati importanti in termini di vendite e di visitatori virtuali: Art Basel ha attirato oltre 250.000 visitatori (la precedente edizione della fiera dal vivo aveva registrato circa 88.000 visitatori) che hanno potuto visionare via sito web o app oltre 2.000 opere d’arte, per un valore complessivo di circa 253 milioni di dollari 35.

Anche la realtà fieristica italiana ha cercato di puntare in maniera forse poco uniforme sul digitale. Un nuovo e interessante progetto virtuale è stato sviluppato e lanciato in piena pandemia dalla fiera torinese Artissima con l’intento di rinnovare le modalità di scambio tra gallerie e collezionisti e avvicinare anche un bacino più giovane di acquirenti. Il progetto Fondamenta è stato online per un mese, dal 5 giugno al 5 luglio 2020, sul sito www.artissima.art rappresentando un’opportunità per i galleristi in un momento in cui la gran parte dell’attenzione dell’arte internazionale si è spostata su mostre online e virtual tour 36.

Più che di una fiera digitale, si è trattato di una ricognizione sulle ricerche artistiche contemporanee, mirata a offrire gratuitamente alle gallerie della fiera nuove opportunità di visibilità, vendita e contatto con il pubblico dell’arte. Le opere degli espositori aderenti sono state presentate attraverso un’interfaccia semplice e intuitiva su pagine virtuali immaginate come ideali muri portanti e ad accomunarle è stato il prezzo, non superiore ai 15 mila euro (un limite stabilito di modo da renderle più accessibili rispetto agli standard presentati nell’evento torinese e costruire una proposta utile anche ad avvicinare un pubblico nuovo, giovane, senza però rinunciare alla qualità firmata Artissima) 37.

Sulla stessa linea si è sviluppato il progetto PLAYLIST di Arte Fiera Bologna, l’iniziativa digitale gratuita e fruibile dal 21 al 24 gennaio 2021. 

Sorprende tuttavia il disinteresse verso la soluzione digitale dovuta al semplice annullamento delle edizioni primaverili e all’attaccamento al contesto fisico di Art Parma Fair, uno dei più importanti appuntamenti italiani dell’anno per i collezionisti sia in termini di mostra mercato ma anche come un evento culturale, mentre Mercanteinfiera, la più grande fiera dell’antiquariato d’Europa che conta decine di migliaia di visitatori provenienti da tutta Italia e dall’estero, ha avviato un progetto online nella primavera 2020 che ha richiamato una platea di oltre 700 mila visitatori, tornata però dal vivo già ad ottobre 2020 al polo fieristico di Parma.

Al contrario di TEFAF – The European Fine Art Foundation di Maastricht, il grandissimo e imperdibile evento annuale per ogni appassionato d’arte o anche semplice visitatore curioso che, pur in un momento di generale ripresa di manifestazioni e eventi in presenza - dato il procedere della campagna vaccinale in tutti i Paesi - ha deciso di restare online – migliorando perfino le prestazioni digitali già sperimentate - anche per la prossima edizione di settembre 2021 che tenterà di abbracciare e promuovere i sette mila anni di storia dell’arte che la fiera rappresenta. Per raggiungere questo obiettivo l’edizione online ha messo a disposizioni diversi tipi di navigazione: si potranno visitare gli spazi virtuali dei singoli espositori oppure accedere alle TEFAF Collection Pages, una grande catalogazione di lavori disposti in ordine cronologico che potranno essere consultati per periodo, sezione e tecnica, attraverso gli appositi filtri di ricerca.

Quanto al ritorno all’edizione in presenza, il presidente Hidde van Seggelen ha rimandato l’appuntamento a Maastricht al prossimo marzo, per il 35º anniversario della fiera 38.

Questi “show”, dunque, nelle loro grandi potenzialità, continuano ad aprire la strada a nuovi approcci e tattiche di vendita in cui risulta essere di nuovo determinante lo spazio (sia reale che virtuale) e il display espositivo, capace di catturare l’attenzione del pubblico ponendosi come mezzo interpretativo delle idee della contemporaneità e come strumento di marketing.

Il futuro del mercato dell’arte

Il mercato dell’arte ormai da diversi anni sta sviluppando modalità di fruizione sempre più staccate dall’esperienza fisica (a cui è storicamente legato) e inarrestabile sta affrontando la nuova sfida virtuale.

Un numero crescente di gallerie in tutto il mondo si sta servendo di tecnologie avanzate all’insegna dell’innovazione per dare vita a rivoluzionari luoghi d’esposizione e inaugurare quindi nuove e personali vetrine e mostre in realtà aumentata, confrontandosi in questo modo col fresco e ancora sperimentale mercato online di oggi e del domani.

Dunque, che ne sarà delle esposizioni dal vivo e dell’esperienza di vendita e di acquisto reale?

Ultimamente si è parlato molto di “fine delle fiere”, ma per il momento è più giusto affermare che tecnologie come le Online Viewing Rooms rappresentano la nuova frontiera dell'arte destinata a dettare le regole del mercato ma ad ogni modo non eliminano il bisogno quasi imprescindibile di un terreno reale, bensì lo accompagnano dando più corpo all’esperienza d’acquisto. È certo però che diventerà sempre più difficile, anzi, è quasi da escludere, giudicare il successo di una fiera dalle vendite che vi si chiudono all’interno del contesto fisico.

Stando ai dati del report di Art Basel del 2020 39 i risultati ottenuti dalle vendite online anche se significativi e in crescita, non hanno ancora superato quelli legati al contesto reale. C’è da tenere presente però che i collezionisti che hanno osato compiere il fatidico “click” per acquistare un’opera, rientrano per lo più nella categoria dei “Millennials”40, ovvero i giovani collezionisti del futuro.

C’è, dunque, molta strada da fare e il dubbio che assilla gli intermediari finanziari è che il pubblico non sembra ancora pronto per scollegarsi del tutto dalla realtà e lanciarsi con spavalderia nel mercato online, così come non è preparato a lasciare l’oggetto per l’esperienza e tuffarsi in quel mercato delle opere virtuali, ancora decisamente di nicchia.

La valutazione di un’opera in realtà aumentata infatti, pone al momento molti collezionisti di fronte ad una grossa sfida: se non la posso appendere in salotto, a cosa mi serve quest’opera? L’Apparizione di Christian Lemmerz del 2017 – opera virtuale riprodotta in cinque copie, ognuna al prezzo di circa 100,000$, tra le più “chiacchierate” alla Biennale di Venezia di quell’anno - può essere paragonata alla sua scultura in bronzo del 2013 Jesus?

Non è poi da sottovalutare il fatto che l’arte digitale può essere facilmente soggetta alla falsificazione e alla libera diffusione attraverso file digitali craccati 41.

A prescindere da ciò che riserverà il futuro all’arte, il display espositivo e il marketing giocheranno sempre un ruolo fondamentale nell’ottimizzazione del processo di valorizzazione dei prodotti artistici. E se negli anni passati numerosi esperti del settore hanno ritenuto di dover escludere i prodotti artistici dagli ambiti applicativi del marketing, risulta ora estremamente chiara la necessità di un’opportuna riconsiderazione.





NOTE

1 Cfr. NEUBURG 1969.

2 Cfr. NELSON 1953.

3 Per marketing si intende lo studio del mercato e la pianificazione delle azioni che in esso si compiono e che permettono ad un bene/servizio artistico di raggiungere il suo target, soddisfacendolo.

4 Cfr. FOGLIO 2009.

5 Cfr. CARTY 2005, pp 91-105.

6 Il Salon, la più importante istituzione espositiva dell’Ottocento e una vetrina di prestigio internazionale, fu inaugurato nel 1667 all'Accademia reale. Inizialmente veniva allestito, ogni due anni, nella galleria del Palais-Royal e nel cortile dell’hotel Richelieu, per poi prendere definitivamente posto, ogni anno, al Louvre nel Salon Carrè, da cui il nome Salon.

7 horror vacui= locuzione latina che sta a significare letteralmente “terrore del vuoto”. Nell'arte definisce l'atto di riempire completamente l'intera superficie di un'opera senza lasciare respiro alla tela. Pertanto, in campo espositivo, si collega all’occupazione totale della parete con quadri.

8 Cfr. CHAGNON-BURKE 2012

9 Cfr. SERAFINI 2013.

10 Cfr. VOLLARD 2012

11 La Royal Academy è una istituzione artistica che si trova presso Burlington House a Piccadilly, nella città di Londra, fondata il 10 dicembre 1768 da re George III. Nell’Ottocento vestiva i panni di una istituzione pubblica che assunse un ruolo di rappresentanza nella cultura, impegnata principalmente a promuovere una scuola nazionale d’arte britannica.

12 Il termine tedesco Gesamkunstwerk, traducibile appunto in “opera d’arte totale”, fu impiegato per la prima volta nel 1827 dallo scrittore e filosofo tedesco K. F. E. Trahndorff e poi, a partire dal 1849, valorizzato dal famoso compositore tedesco Richard Wagner, secondo cui l’arte è un evento della natura applicabile a tutto.

13 Cfr. CHAGNON-BURKE 2012.

14 Per white cube si intende uno spazio regolare e bianco di una galleria d’avanguardia, affermatosi negli anni Cinquanta negli Stati Uniti e, a seguire, nel resto dell’emisfero occidentale. È una sorta di luogo intangibile e senza tempo, costruito in base a leggi rigorose, dove le opere esposte non interferiscono tra di loro e il mondo esterno resta fuori.

15 Cfr. O’DOHERTY 2012.

16 Cfr. ADAMS 2013.

17 Independent Group (IG) è stato un gruppo di artisti inglesi attivo dal 1952 al 1955. Era composto da pittori, scultori, architetti, scrittori e critici che volevano contrastare l'approccio modernista dominante nella cultura. Introdussero la cultura popolare nei dibattiti sull'alta cultura, rivalutarono il modernismo e riscoprirono l'estetica dell'"oggetto trovato" tipico dei dadaisti. L'Independent Group suscitò un rinnovato interesse nell'età post-disciplinare e fu il precursore del movimento Pop art britannico. Il loro punto di ritrovo era l'Institute of Contemporary Arts (ICA) di Londra, all'interno del quale tennero le loro sessioni artistiche. L'IG cessò di riunirsi formalmente nel 1955, ma i suoi membri continuarono a incontrarsi informalmente fino al 1962 e il 1963, e le connessioni tra i vari membri continuarono a dare i loro frutti negli anni successivi tramite i giovani artisti e studenti del Royal college. Nel marzo 2007, l'IG fu l'argomento di una conferenza internazionale durata due giorni alla Tate Britain di Londra.

18 Cfr. SUBRIZI 2008, p. 172.

19 Cfr. CELANT 2015.

20 Cfr. YABLONSKY, HERBERT 2019.

21 Cfr. BEITLIN, WEIBEL 2011, pp. 223-256.

22 Cfr. ARTNET.

23 Cfr. ARTSLIFE 2019.

24 Cfr. EXIBART 2019.

25 Cfr. ICA BOSTON.

26 Cfr. EXIBART 2019.

27 Cfr. BELZANI 2016.

28 Cfr. CARTY 2005, pp 91-105.

29 Cfr. ACUTE ART.

30 Il termine francese Vernissage viene usato per indicare l'inaugurazione di una mostra d'arte, una fase altamente riservata e promozionale. Nel contesto fieristico equivale ad uno dei momenti più delicati dell’evento, riservato a pochi: nel mostrare in anteprima cosa si esporrà al cliente, il gallerista agisce in modo da conquistare quanta più clientela e autorevolezza possibile, talvolta concludendo già degli affari.

31 Cfr. BUCK, GREER 2008, p. 131.

32 Il settore Encounters è chiamato così, “Incontri”, perché i lavori esposti sono visibili attraverso tutto lo sviluppo della fiera, ed è possibile, appunto, incontrarli ad ogni angolo del padiglione.

33 Cfr. ART BASEL.

34 Cfr. CAROLLO 2019.

35 Cfr. Cfr. ART RIGHTS 2020.

36 Cfr. Cfr. ARTISSIMA.

37 Cfr. RONCHI 2020.

38 Cfr. RONCHI 2021.

39 Cfr. ART RIGHTS 2020.

40 Vengono definiti Millennials i collezionisti nati fra gli anni ‘80 e metà degli anni ‘90.

41 Cfr. BELTRAMO 2017.



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