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Liquidità a confronto: dalla Filarmonica di Amburgo a quella di Berlino  

Manuela Macchiarulo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 28 Agosto 2021, n. 919
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta000919.html
Articolo presentato il 12 Luglio 2021, approvato il 26 Agosto e pubblicato il 28 Agosto 2021
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Area Architettura

L’obiettivo di questo elaborato è quello di analizzare la Filarmonica di Amburgo, realizzata dagli architetti svizzeri Herzog e De Meuron, mediante l’uso di nuove chiavi ermeneutiche: il labirinto, il frattale e lo specchio. L’edificio preso in esame verrà poi confrontato con la Filarmonica di Berlino, realizzata nella Germania del secondo dopoguerra da Hans Scharoun, poiché gli edifici se messi a confronto presentano delle affinità, funzionali e strutturali. L’analisi di questi due edifici non ha lo scopo di certificare una stretta correlazione tra di loro, i quali essendo stati edificati in periodi storici diversi presentano ovvie difformità sia dal punto di vista strutturale che da quello ideologico. Se infatti la Filarmonica di Amburgo esprime al meglio quanto le ricerche tecnologiche abbiano influenzato il “fare” progettuale, quella di Berlino ha in nuce alcuni elementi che si potranno sviluppare pienamente solo con le conquiste tecnologiche del nostro secolo.

L’autonomia della Filarmonica di Amburgo (fig. 1)

Fig. 1 - Elbphilharmonie vista laterale, 19 Marzo 2017, In PxHere, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 1 - Elbphilharmonie vista laterale, 19 Marzo 2017, In PxHere
Foto cortesia di Manuela Macchiarulo


dal modello precedente, quello di Berlino (fig. 2),

Fig. 2 - JEAN-PIERRE DALBÉRA, La bâtiment de la Philharmonie, 23 August 2013, in  Wikimedia Commons - Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 2 - JEAN-PIERRE DALBÉRA, La bâtiment de la Philharmonie, 23 August 2013
in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo


costituisce un’idea chiara nella mente dei due architetti come essi stessi dichiarano nel sito ufficiale e come viene riportato nel libro di Gerhard Mack Herzog & De Meuron Elbphilharmonie Hamburg. L’assenza di testi che abbiano l’intento di analizzare la Filarmonica di Amburgo sotto una luce nuova, ovvero quella liquida, e che quindi abbiano il fine di inserirla all’interno di recenti categorie (e non in quella più generica di architettura contemporanea), trova una spiegazione se si considera la stessa architettura liquida come un concetto ancora in fieri.

Per comprendere al meglio l’architettura realizzata dagli architetti svizzeri è necessario partire dall’analisi della complessa contemporaneità nella quale questa si sviluppa e prende forma. Una contemporaneità che è governata da sistemi complessi, dal caos e dalla geometria non euclidea ha bisogno, come sostiene Robert Venturi, di un’architettura che si faccia carico di questi cambiamenti e che includa nella sua forma i sistemi complessi della realtà. Così come Cosimo Orban vede nelle tecnologie il mezzo attraverso il quale l’uomo si è sempre evoluto, le odierne scoperte tecnologiche e scientifiche sono artefici del continuo cambiamento nel modo di vivere dell’uomo e del suo relazionarsi con il mondo esterno.

Oggi, quindi, l’uomo reinterpreta continuamente i risultati raggiunti in precedenza ed è ciò che accade all’individuo della società liquida raccontata da Zygmunt Bauman. Bauman, infatti, ha tentato di definire la società contemporanea e la condizione dell’uomo moderno attraverso la metafora della liquidità, poiché essa era la più adatta a rappresentare quello che lui definisce il periodo di interregno, ovvero quella fase di passaggio in cui le vecchie conoscenze non sono più adeguate ad affrontare il presente. L’uomo che vive nell’interregno, così come l’uomo viaggiatore in attesa di intraprendere il proprio viaggio, è pervaso da sentimenti di ignoranza, impotenza e umiliazione che nascono nel momento in cui comprende l’impossibilità di agire in questo nuovo ordine sociale.

L’unica certezza, infatti, per Bauman sembra essere l’incertezza e, come il sociologo polacco, si esprime Paul Virillio il quale si riferisce alla contemporaneità come ad una quotidianità dell’incidente. 1

Ma è la figura poliedrica di Markos Novak, che dagli anni Ottanta si è dedicato allo studio delle interazioni esistenti tra le scienze informatiche e le scienze costruttive, a parlare per la prima volta nel suo testo Cyberspace. Primi passi nelle realtà virtuali di un’architettura liquida. Questo concetto viene descritto da Novak come un’architettura smaterializzata che, grazie alle potenzialità offerte dal cyberspazio, si libera dai vincoli che tradizionalmente l’avevano caratterizzata (ovvero le regole prospettiche e logiche), divenendo effimera come la musica. Novak riflette su quanto la musica nel tempo sia stata l’arte più effimera non essendo riproducibile e su come la sua sopravvivenza avvenisse solo nella memoria di chi l’aveva eseguita e di chi l’aveva udita, ma anche su come, con l’avvento del digitale, divenuta anch’essa ormai riproducibile, sia entrata a far parte delle arti durevoli. Esattamente il contrario accade per l’architettura che, da sempre tangibile e concreta, sfrutta le nuove tecnologie per divenire eterea, effimera e liquida. A chi crede che il cyberspazio sia un luogo che si oppone a quello reale e sia causa dell’alienazione dell’uomo dalla realtà, Novak risponde affermando che questo nuovo spazio, fusosi con quello reale, ha generato un nuovo spazio, ibrido e geometricamente complesso, deformabile e manipolabile in base all’interazione dell’utente con esso e che l’uomo per fruirne ha bisogno di risemantizzare la realtà.

All’interno di questo ampio panorama, gli studi di Stefano Colonna mettono in luce quanto il concetto di liquido rapportato all’architettura non sia così innovativo, ma sia la prosecuzione di quello che Giulio Carlo Argan nel 1930 definì anticlassico, individuandone le prime espressioni nelle architetture di Andrea Palladio. La posizione di Argan si presenta opposta a quella di Francesco Milizia il quale individuava nelle architetture del Palladio non delle innovazioni ma degli “errori”. Gli studi di Colonna, quindi, sottolineano come il concetto di architettura liquida costituisca una trasformazione evolutiva di quella anticlassica e, di questa architettura ancora in fieri, individuano tre elementi ricorrenti: il labirinto, lo specchio e il frattale. Per quanto riguarda il primo elemento gli edifici non seguono più lo sviluppo classico della planimetria, ma sperimentano nuovi sviluppi spaziali che provocano nel visitatore un senso di smarrimento; il fruitore di questo nuovo spazio labirintico, così come l’uomo liquido, ha perso le vecchie coordinate di orientamento per cui gli risultava difficile muoversi all’interno di esso e, così come Kierkegaard scrive nel suo aut aut, l’uomo è chiamato a compiere una scelta su quale percorso intraprendere. La seconda chiave ermeneutica, lo specchio, si avvale delle nuove tecnologie che hanno consentito di sfruttare in un modo prima impensabile le caratteristiche del materiale, le cui capacità riflettenti e opacizzanti consentono la continua osmosi tra interno ed esterno, assurgendo a simbolo del continuo scambio di informazioni tra i due spazi. Tra gli architetti, Rem Koolhaas è stato uno dei primi ad utilizzare il vetro sfruttando in modo innovativo le sue forme, tanto da farne la propria cifra distintiva. È stato invece il matematico Mandelbrot a coniare nel 1970 il termine di geometria frattale dopo aver intuito come queste forme omotetiche, frutto di esatti calcoli matematici, fossero le più adatte a rappresentare le forme irregolari presenti in natura.

In quest’ottica la Filarmonica di Amburgo si discosta dagli edifici classici, lineari e dalle forme pure, presentando da subito, nella forma esterna, la seconda chiave ermeneutica: lo specchio (fig. 3).

Fig. 3 - RAIMOND SPEKKING, Elbphilharmonie, 14 febbraio 2015, in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 3 - RAIMOND SPEKKING, Elbphilharmonie, 14 febbraio 2015
in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo


L’edificio, infatti, all’esterno è avviluppato nello specchio, che diviene la “pelle” 2 della struttura, richiamando la teoria del Puglisi per cui la facciata è la pelle dell’architettura. Questo rivestimento crea un notevole contrasto con il basamento dal quale si eleva: la struttura in vetro, infatti, sorge su un edificio preesistente: un ex magazzino in mattoni rossi. L’incontro del vecchio e del nuovo ha permesso da una parte di preservare la storia del luogo e dall’altra di destinare l’edificio ad una nuova funzione differente da quella originaria. La possente struttura preesistente, trapezoidale in mattoni rossi, aveva perso la sua principale funzione di stoccaggio a partire dagli anni Sessanta del Novecento, così come l’intera area portuale di Amburgo che, a seguito del progresso tecnologico, aveva perso la funzione di stoccaggio e scambio merci, trasformandosi in un quartiere periferico della città, desolato e privo di attrattiva. L’edificio costruito ex-novo desume la propria forma dalla pianta del magazzino sul quale sorge, ma si rinnova per lo sviluppo verticale sottolineato dall’estremità più stretta che sembra riprodurre la cresta di un’onda del mare o una vela issata. Lo sviluppo in altezza crea un movimento verticale che si contrappone all’andamento orizzontale caratteristico dell’assetto urbano della città di Amburgo; così come gli stessi architetti affermano «la Elbphilharmonie si prepara a divenire un punto di riferimento per la città di Amburgo, un elemento che con la propria particolare verticalità rompe la tradizione orizzontale che caratterizza il tessuto urbano esistente, proponendosi come simbolo del rinnovamento urbano della città verso l’area portuale». 3

La struttura in vetro che si sviluppa al di sopra del deposito imprime fin dall’inizio un nuovo skyline, rifuggendo da ogni richiamo precedente grazie all’estremità del tetto a guisa di “creste”, le cui punte dinamiche simulano il movimento del fiume circostante. La stessa struttura in vetro, che a primo impatto risulta essere liscia e lineare, si rivela, dopo uno sguardo più attento, ricca di piccole aperture rese possibili dalle lastre vitree ricurve, che si insinuano armonicamente nel movimento ritmico complessivo esterno. Sono proprio le creste del tetto e le lastre vitree ricurve a costituire con il loro movimento la perfetta rappresentazione geometrica di un frattale (fig. 4).

Fig. 4 - Elbphilharmonie ,27 Febbraio 2017, in PxHere, , Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 4 - Elbphilharmonie ,27 Febbraio 2017, in PxHere, , Foto cortesia di Manuela Macchiarulo

L’impiego del vetro come materiale di rivestimento esterno diviene metafora della trasparenza e della leggibilità, strumento di inclusione dei visitatori, tanto che per la Filarmonica di Amburgo il verbo “costruire” si armonizza con il verbo “includere”.

Da sottolineare come l’intervento architettonico di Herzog e de Meuron non solo abbia riqualificato una area della città abbandonata e desolata, ma abbia anche donato nuova vita alla città di Amburgo. Lo spazio interno della Filarmonica prevede, oltre all’auditorium, una sala per musica da camera, un ristorante, un bar, degli appartamenti, un albergo, un parcheggio e una terrazza panoramica con affaccio sulla zona portuale e su buona parte della città di Amburgo; questo aspetto polifunzionale dello spazio contribuisce a rendere la Filarmonica un edificio inclusivo coerentemente con lo scopo di divenire «una casa per tutti». 4

L’interno della Filarmonica si presenta come un percorso fluido che travolge il visitatore e l’assenza di muri divisori e spazi obbligati consente l’intersezione continua dei vari ambienti; le regole classiche della geometria di Euclide qui sembrano non trovare applicazione ma, al contrario, sembra prevalere l’ampio uso di una pianta asimmetrica. Lo spazio polifunzionale, lontano dalla disposizione classica, richiama il concetto di labirinto, in quanto il fruitore viene chiamato a compiere una scelta di percorso e viene costretto a interagire con la struttura (fig. 5).

Fig. 5 - Elbphilharmonie ,19 Marzo 2017, In PxHere, , Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 5 - Elbphilharmonie ,19 Marzo 2017, In PxHere, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo


La prima affinità con la più antica Filarmonica di Berlino è riscontrabile nello sviluppo della forma esterna, in particolar modo nell’andamento dinamico del tetto, che nel progetto di Scharoun più che una scelta stilistica si configurò come una scelta funzionale (fig. 6).



Fig. 6 - RAIMOND SPEKKING, Philharmonie und Kammermusiksaal Berlin - von oben, 20 luglio 2007, in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 6 - RAIMOND SPEKKING, Philharmonie und Kammermusiksaal Berlin - von oben
20 luglio 2007, in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo


L’adozione di forme concave e convesse, infatti, risultò essere la scelta più congeniale per assecondare la diffusione del suono all’interno dell’auditorium. L’auditorium è il fulcro dell’intero edificio la cui costruzione è legata all’inscindibile rapporto esistente tra spazio, musica e uomo (fig. 7).

Fig. 7 - Orchesterpodium der Berliner Philharmonie, 11 aprile 2006, in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 7 - Orchesterpodium der Berliner Philharmonie, 11 aprile 2006, in Wikimedia Commons
Foto cortesia di Manuela Macchiarulo


L’architetto, la cui attenzione è rivolta ad esaltare il rapporto che intercorre tra questi elementi, realizza di fatto un unicum quando decide di collocare l’orchestra al centro dell’auditorium: una disposizione che non era mai stata adottata prima di allora. L’innovativa disposizione dell’orchestra fu resa possibile da alcune scoperte come la definizione del tempo di riverberazione di Sabine che consentì agli architetti una maggiore libertà esecutiva, svincolandoli dal modello semicircolare dei teatri greci e romani.

L’orchestra posta al centro dell’auditorium garantì una diffusione del suono omogenea e democratica e la Filarmonica di Berlino divenne essa stessa simbolo della rinascita della Germania del dopoguerra. Le eccelse qualità acustiche della sala, riconosciute in tutto il mondo, influenzarono la configurazione degli auditorium successivi.

L’auditorium sviluppato da Hans Scharoun ebbe una notevole influenza anche sulla Filarmonica di Amburgo che per la sua Concert Hall riprende la forma cosiddetta a vigneto e per gli architetti elvetici questa particolare disposizione non solo garantiva una diffusione omogenea del suono ma si configurava come la disposizione più adatta a ricreare un evento sociale (fig. 8).

Fig. 8 - COUFEYRAC, The Orchestra of the Americas performing at the ElbPhilharmonie in Hamburg, 5 Agosto 2018, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Fig. 8 - COUFEYRAC, The Orchestra of the Americas performing at the ElbPhilharmonie in Hamburg
5 Agosto 2018, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo


Il podio (luogo deputato all’orchestra) collocato al centro della sala e la disposizione del pubblico attorno ad esso permettono di ricreare una notevole intimità tra musicisti e pubblico, assurgendo allo stesso tempo a simbolo della comunicazione odierna che avviene tramite il sistema di molti a molti. La struttura dell’auditorium influenza lo sviluppo dello spazio di altri ambienti, ad esempio del foyer, che viene descritto da Alessandro Sassu, in La Philharmonie di Hans Scharoun, come un ambiente libero mai delimitato da pareti e che attraverso le aperture, non sempre individuabili, consente di filtrare all’interno la luce naturale che sottolinea maggiormente la sequenza non-finita dello spazio. Così la luce, in questo spazio destinato alla discussione e alla socialità, sottolinea, in base alla sua differente intensità determinata dall’ora del giorno, aspetti sempre nuovi, permettendo una lettura materica di volta in volta mutevole.

Nel foyer, l’assenza di qualsiasi forma razionale o immediatamente riconoscibile provoca nell’osservatore lo stesso spaesamento che provocherebbe un labirinto con i suoi intricati percorsi. La mancanza di uno spazio simmetrico, di una logica formale apparente e di una ripetitività di elementi strutturali, genera pertanto l’idea di una disarmonia generale, che farebbe rientrare il progetto nella definizione di edifici aritmici. «Non a caso le strutture compositive aritmiche e dissonanti degli architetti espressionisti, da Mendelsohn a Taut, da Scharoun ad Häring, furono le più vicine ai musicisti dodecafonici» 5: König mette in relazione le architetture prive di un modulo ritmico con la musica atonale, la quale si svincola, così come l’architettura, dalle regole tradizionali.

La musica dodecafonica è rappresentata da un metodo compositivo che nega ogni ripetitività, ogni attesa prevista: ogni nota ha un proprio peso musicale, un suo significato espressivo. Per Schönberg, tra i primi a teorizzare il metodo dodecafonico, le dissonanze vanno considerate alla stregua delle consonanze e nessuna nota è sottoposta a leggi d’attrazione; per questo Schönberg impone di non ripetere un suono finché non siano esauriti tutti i dodici suoni della scala cromatica. Allo stesso modo, Scharoun sembra imporsi di non ripetere una cellula spaziale fino a quando non siano state usate tutte le possibilità espressive a disposizione. Ma nell’architettura le cellule base sono più di dodici, ed è per questo che a una prima lettura la Philharmonie comunica un senso di disordine e di angoscia a causa dell’aspetto sempre diverso. Il legame con la musica è ulteriormente espresso dalla funzione stessa della Philharmonie, dal momento che i suoi spazi aritmici sembrano la traduzione concreta della composizione musicale ideata da Arnold Schönberg.

Scharoun può dunque essere considerato un visionario, poiché ha avuto la capacità di allontanarsi dal modello costruttivo imposto e diffuso in Germania sino a quel momento. L’architettura è un linguaggio che si impone sul cittadino avendo la capacità di diffondere messaggi e ideologie attraverso la ricostruzione dei luoghi della comunità e, come qualsiasi espressione artistica, è una forma di comunicazione: nel caso in esame, in Germania fu un formidabile veicolo del potere dittatoriale. L’architettura del regime, infatti, costituì una vera e propria forma di propaganda politica che attinse a forme già codificate di un determinato periodo storico e, rifiutando le innovazioni, si ispirò all’architettura imperiale romana eleggendola a regime di riferimento. Scharoun non lavorò per il governo nazista e solo successivamente mise il suo genio a servizio della ricostruzione che iniziò alla fine del Secondo conflitto mondiale, allo scopo di chiudere quell’infelice (usando un eufemismo) fase storica e donare un volto nuovo alla nascente Germania.

In questo contesto l’opera di Scharoun è capace di racchiudere in un solo edificio tutti gli elementi che diverranno caratterizzanti delle opere architettoniche del nostro secolo. Ogni epoca, come sappiamo, ha le sue peculiarità che diventano oggetto/soggetto in tutti gli ambiti del sapere e si fanno carico di esprimere le tipicità del nostro vivere quotidiano. In questa prospettiva appare piuttosto evidente la contrapposizione fra architettura contemporanea e quella sviluppatasi durante il XX secolo, in quanto l’evoluzione tecnologica ha accelerato i cambiamenti.

Se la contemporaneità è definita liquida e al tempo stesso complessa, è possibile intravedere nell’architettura odierna l’espressione della nascente società; e poiché nella Filarmonica di Berlino sono riscontrabili almeno tre categorie delle quattro individuate da Colonna, è possibile affermare che il processo di liquidità nell’architettura, con tutti gli elementi che lo caratterizzano, non costituisca un fenomeno così recente. Così come precedentemente evidenziato, si può dunque guardare all’architettura liquida come alla naturale prosecuzione di quelle ricerche intraprese dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi da alcuni spiriti creativi.

Tra questi è impossibile non menzionare il duo elvetico, che fin dagli esordi ha codificato i progetti attraverso un linguaggio scevro da citazioni scontate. Il lavoro poliedrico di Herzog e de Meuron, eterogeneo e nello stesso tempo coerente, elabora attraverso la superficie più esterna (la cosiddetta “pelle”) una nuova comunicazione con la quale permea il continuo scambio di messaggi, determinando un flusso di informazioni dall’interno verso l’esterno e viceversa, quasi a voler rappresentare l’interfaccia del nostro secolo: il desktop.

Sicuramente, tra i progetti più significativi, è impossibile non citare la Tate Modern, non solo per la scelta di rimpiegare la struttura preesistente, così come avviene nella Filarmonica di Amburgo, ma per aver riqualificato una zona della città di Londra altrimenti emarginata.

Questo è indubbiamente il ruolo che deve svolgere l’architettura di oggi: dar vita a delle strutture che promuovano l’inclusività di ogni cittadino, creando i luoghi in cui la società possa riconoscersi ed elaborare la propria identità. Alla luce di quanto detto non è dunque un azzardo affermare come la funzione delle forme fluide, tipiche dell’architettura liquida, sia quella di abbracciare quanti più individui possibile, inglobandoli all’interno del proprio spazio, disperdendoli all’interno del suo percorso labirintico e, attraverso i suoi specchi, riflettere i sentimenti della società odierna.





NOTE

1 VIRILIO 2002, pp. 23-30.

2 PUGLISI 2013, p.325.

3 FERRIOLI 2014

4 La Filarmonica sull’acqua di Herzog e de Meuron. Spettacolari immagini da Amburgo. In Artribune, il 14 gennaio 2017
https://www.artribune.com/progettazione/architettura/2017/01/filarmonica-herzog-de-meuron-amburgo/

5 SASSU 1980, p. 19.




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