L’obiettivo
di
questo elaborato è quello di analizzare la Filarmonica
di Amburgo,
realizzata dagli architetti svizzeri Herzog e De
Meuron, mediante
l’uso di nuove chiavi ermeneutiche: il labirinto, il
frattale e lo
specchio. L’edificio preso in esame verrà poi
confrontato con la
Filarmonica di Berlino, realizzata nella Germania del
secondo
dopoguerra da Hans Scharoun, poiché gli edifici se
messi a confronto
presentano delle affinità, funzionali e strutturali.
L’analisi di
questi due edifici non ha lo scopo di certificare una
stretta
correlazione tra di loro, i quali essendo stati
edificati in periodi
storici diversi presentano ovvie difformità sia dal
punto di vista
strutturale che da quello ideologico. Se infatti la
Filarmonica di
Amburgo esprime al meglio quanto le ricerche
tecnologiche abbiano
influenzato il “fare” progettuale, quella di Berlino
ha in
nuce
alcuni elementi che si potranno sviluppare pienamente
solo con le
conquiste tecnologiche del nostro secolo.
L’autonomia
della
Filarmonica di Amburgo (fig. 1)
Fig. 1 - Elbphilharmonie vista laterale, 19 Marzo 2017, In PxHere
Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
dal modello
precedente, quello di
Berlino (fig. 2),
Fig. 2 - JEAN-PIERRE DALBÉRA, La bâtiment de la Philharmonie, 23 August 2013 in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
costituisce un’idea chiara nella
mente dei due
architetti come essi stessi dichiarano nel sito
ufficiale e come
viene riportato nel libro di Gerhard Mack Herzog
&
De Meuron Elbphilharmonie Hamburg.
L’assenza di testi che abbiano l’intento di analizzare
la
Filarmonica di Amburgo sotto una luce nuova, ovvero
quella liquida, e
che quindi abbiano il fine di inserirla all’interno di
recenti
categorie (e non in quella più generica di
architettura
contemporanea), trova una spiegazione se si considera
la stessa
architettura liquida come un concetto ancora in fieri.
Per
comprendere al
meglio l’architettura realizzata dagli architetti
svizzeri è
necessario partire dall’analisi della complessa
contemporaneità
nella quale questa si sviluppa e prende forma. Una
contemporaneità
che è governata da sistemi complessi, dal caos e dalla
geometria non
euclidea ha bisogno, come sostiene Robert Venturi, di
un’architettura
che si faccia carico di questi cambiamenti e che
includa nella sua
forma i sistemi complessi della realtà. Così come
Cosimo Orban vede
nelle tecnologie il mezzo attraverso il quale l’uomo
si è sempre
evoluto, le odierne scoperte tecnologiche e
scientifiche sono
artefici del continuo cambiamento nel modo di vivere
dell’uomo e
del suo relazionarsi con il mondo esterno.
Oggi,
quindi, l’uomo
reinterpreta continuamente i risultati raggiunti in
precedenza ed è
ciò che accade all’individuo della società liquida
raccontata da
Zygmunt Bauman. Bauman, infatti, ha tentato di
definire la società
contemporanea e la condizione dell’uomo moderno
attraverso la
metafora della liquidità, poiché essa era la più
adatta a
rappresentare quello che lui definisce il periodo di
interregno,
ovvero quella fase di passaggio in cui le vecchie
conoscenze non sono
più adeguate ad affrontare il presente. L’uomo che
vive
nell’interregno, così come l’uomo viaggiatore in
attesa di
intraprendere il proprio viaggio, è pervaso da
sentimenti di
ignoranza, impotenza e umiliazione che nascono nel
momento in cui
comprende l’impossibilità di agire in questo nuovo
ordine sociale.
L’unica
certezza,
infatti, per Bauman sembra
essere
l’incertezza e, come il sociologo polacco, si esprime
Paul
Virillio il quale si riferisce alla contemporaneità
come ad una
quotidianità dell’incidente.
Ma è la
figura
poliedrica di Markos Novak, che dagli anni Ottanta si
è dedicato
allo studio delle interazioni esistenti tra le scienze
informatiche e
le scienze costruttive, a parlare per la prima volta
nel suo testo
Cyberspace.
Primi
passi nelle
realtà virtuali
di un’architettura liquida. Questo concetto viene
descritto da
Novak come un’architettura smaterializzata che, grazie
alle
potenzialità offerte dal cyberspazio, si libera dai
vincoli che
tradizionalmente l’avevano caratterizzata (ovvero le
regole
prospettiche e logiche), divenendo effimera come la
musica. Novak
riflette su quanto la musica nel tempo sia stata
l’arte più
effimera non essendo riproducibile e su come la sua
sopravvivenza
avvenisse solo nella memoria di chi l’aveva eseguita e
di chi
l’aveva udita, ma anche su come, con l’avvento del
digitale,
divenuta anch’essa ormai riproducibile, sia entrata a
far parte
delle arti durevoli. Esattamente il contrario accade
per
l’architettura che, da sempre tangibile e concreta,
sfrutta le
nuove tecnologie per divenire eterea, effimera e
liquida. A chi crede
che il cyberspazio sia un luogo che si oppone a quello
reale e sia
causa dell’alienazione dell’uomo dalla realtà, Novak
risponde
affermando che questo nuovo spazio, fusosi con quello
reale, ha
generato un nuovo spazio, ibrido e geometricamente
complesso,
deformabile e manipolabile in base all’interazione
dell’utente
con esso e che l’uomo per fruirne ha bisogno di
risemantizzare la
realtà.
All’interno
di
questo ampio panorama, gli studi di Stefano Colonna
mettono in luce
quanto il concetto di liquido rapportato
all’architettura non sia
così innovativo, ma sia la prosecuzione di quello che
Giulio Carlo
Argan nel 1930 definì anticlassico, individuandone le
prime
espressioni nelle architetture di Andrea Palladio. La
posizione di
Argan si presenta opposta a quella di Francesco
Milizia il quale
individuava nelle architetture del Palladio non delle
innovazioni ma
degli “errori”. Gli studi di Colonna, quindi,
sottolineano
come il
concetto di architettura liquida costituisca una
trasformazione
evolutiva di quella anticlassica e, di questa
architettura ancora in
fieri, individuano tre elementi ricorrenti: il
labirinto, lo specchio
e il frattale. Per quanto riguarda il primo elemento
gli edifici non
seguono più lo sviluppo classico della planimetria, ma
sperimentano
nuovi sviluppi spaziali che provocano nel visitatore
un senso di
smarrimento; il fruitore di questo nuovo spazio
labirintico, così
come l’uomo liquido, ha perso le vecchie coordinate di
orientamento
per cui gli risultava difficile muoversi all’interno
di esso e,
così come Kierkegaard scrive nel suo aut aut, l’uomo è
chiamato a
compiere una scelta su quale percorso intraprendere.
La seconda
chiave ermeneutica, lo specchio, si avvale delle nuove
tecnologie che
hanno consentito di sfruttare in un modo prima
impensabile le
caratteristiche del materiale, le cui capacità
riflettenti e
opacizzanti consentono la continua osmosi tra interno
ed esterno,
assurgendo a simbolo del continuo scambio di
informazioni tra i due
spazi. Tra gli architetti, Rem Koolhaas è stato uno
dei primi ad
utilizzare il vetro sfruttando in modo innovativo le
sue forme, tanto
da farne la propria cifra distintiva. È stato invece
il matematico
Mandelbrot a coniare nel 1970 il termine di geometria
frattale dopo
aver intuito come queste forme omotetiche, frutto di
esatti calcoli
matematici, fossero le più adatte a rappresentare le
forme
irregolari presenti in natura.
In
quest’ottica la
Filarmonica di Amburgo si discosta dagli edifici
classici, lineari e
dalle forme pure, presentando da subito, nella forma
esterna, la
seconda chiave ermeneutica: lo specchio (fig. 3).
Fig. 3 - RAIMOND SPEKKING, Elbphilharmonie, 14 febbraio 2015 in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
L’edificio,
infatti, all’esterno è avviluppato nello specchio, che
diviene la
“pelle”
della struttura, richiamando la teoria del Puglisi per
cui la
facciata è la pelle dell’architettura. Questo
rivestimento crea un
notevole contrasto con il basamento dal quale si
eleva: la struttura
in vetro, infatti, sorge su un edificio preesistente:
un ex magazzino
in mattoni rossi. L’incontro del vecchio e del nuovo
ha permesso da
una parte di preservare la storia del luogo e
dall’altra di
destinare l’edificio ad una nuova funzione differente
da quella
originaria. La possente struttura preesistente,
trapezoidale in
mattoni rossi, aveva perso la sua principale funzione
di stoccaggio a
partire dagli anni Sessanta del Novecento, così come
l’intera area
portuale di Amburgo che, a seguito del progresso
tecnologico, aveva
perso la funzione di stoccaggio e scambio merci,
trasformandosi in un
quartiere periferico della città, desolato e privo di
attrattiva.
L’edificio costruito ex-novo
desume la propria forma dalla pianta del magazzino sul
quale sorge,
ma si rinnova per lo sviluppo verticale sottolineato
dall’estremità
più stretta che sembra riprodurre la cresta di un’onda
del mare o
una vela issata. Lo sviluppo in altezza crea un
movimento verticale
che si contrappone all’andamento orizzontale
caratteristico
dell’assetto urbano della città di Amburgo; così come
gli stessi
architetti affermano «la Elbphilharmonie si prepara a
divenire un
punto di riferimento per la città di Amburgo, un
elemento che con la
propria particolare verticalità rompe la tradizione
orizzontale che
caratterizza il tessuto urbano esistente, proponendosi
come simbolo
del rinnovamento urbano della città verso l’area
portuale».
La
struttura in
vetro che si sviluppa al di sopra del deposito imprime
fin
dall’inizio un nuovo skyline,
rifuggendo da ogni richiamo precedente grazie
all’estremità del
tetto a guisa di “creste”, le cui punte dinamiche
simulano il
movimento del fiume circostante. La stessa struttura
in vetro, che a
primo impatto risulta essere liscia e lineare, si
rivela, dopo uno
sguardo più attento, ricca di piccole aperture rese
possibili dalle
lastre vitree ricurve, che si insinuano armonicamente
nel movimento
ritmico complessivo esterno. Sono proprio le creste
del tetto e le
lastre vitree ricurve a costituire con il loro
movimento la perfetta
rappresentazione geometrica di un frattale (fig. 4).
Fig. 4 - Elbphilharmonie ,27 Febbraio 2017, in PxHere, , Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
L’impiego del
vetro come materiale di rivestimento esterno diviene
metafora della
trasparenza e della leggibilità, strumento di
inclusione dei
visitatori, tanto che per la Filarmonica di Amburgo il
verbo
“costruire” si armonizza con il verbo “includere”.
Da
sottolineare come
l’intervento architettonico di Herzog e de Meuron non
solo abbia
riqualificato una area della città abbandonata e
desolata, ma abbia
anche donato nuova vita alla città di Amburgo. Lo
spazio
interno
della
Filarmonica
prevede, oltre all’auditorium, una sala per musica da
camera, un ristorante, un bar, degli appartamenti, un
albergo, un
parcheggio e una terrazza panoramica con affaccio
sulla zona portuale
e su buona parte della città di Amburgo; questo
aspetto
polifunzionale dello spazio contribuisce a rendere la
Filarmonica un
edificio inclusivo coerentemente con lo scopo di
divenire «una casa
per tutti».
L’interno
della
Filarmonica si presenta come un percorso fluido che
travolge il
visitatore e l’assenza di muri divisori e spazi
obbligati consente
l’intersezione continua dei vari ambienti; le regole
classiche
della geometria di Euclide qui sembrano non trovare
applicazione ma,
al contrario, sembra prevalere l’ampio uso di una
pianta
asimmetrica. Lo spazio polifunzionale, lontano dalla
disposizione
classica, richiama il concetto di labirinto, in quanto
il fruitore
viene chiamato a compiere una scelta di percorso e
viene costretto a
interagire con la struttura (fig. 5).
Fig. 5 - Elbphilharmonie ,19 Marzo 2017, In PxHere, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
La prima
affinità con la più
antica Filarmonica di Berlino è riscontrabile nello
sviluppo della
forma esterna, in particolar modo nell’andamento
dinamico del
tetto, che nel progetto di Scharoun più che una scelta
stilistica si
configurò come una scelta funzionale (fig. 6).
Fig. 6 - RAIMOND SPEKKING, Philharmonie und Kammermusiksaal Berlin - von oben
20 luglio 2007, in Wikimedia Commons, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
L’adozione
di
forme concave e convesse, infatti, risultò essere la
scelta più
congeniale per assecondare la diffusione del suono
all’interno
dell’auditorium. L’auditorium è il fulcro dell’intero
edificio
la cui costruzione è legata all’inscindibile rapporto
esistente
tra spazio, musica e uomo (fig. 7).
Fig. 7 - Orchesterpodium der Berliner Philharmonie, 11 aprile 2006, in Wikimedia Commons
Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
L’architetto, la
cui attenzione
è rivolta ad esaltare il rapporto che intercorre tra
questi
elementi, realizza di fatto un unicum
quando
decide
di
collocare
l’orchestra al centro dell’auditorium: una
disposizione
che non era mai stata adottata prima di allora.
L’innovativa
disposizione dell’orchestra fu resa possibile da
alcune scoperte
come la definizione del tempo di riverberazione di
Sabine che
consentì agli architetti una maggiore libertà
esecutiva,
svincolandoli dal modello semicircolare dei teatri
greci e romani.
L’orchestra
posta
al centro dell’auditorium garantì una diffusione del
suono
omogenea e democratica e la Filarmonica di Berlino
divenne essa
stessa simbolo della rinascita della Germania del
dopoguerra. Le
eccelse qualità acustiche della sala, riconosciute in
tutto il
mondo, influenzarono la configurazione degli
auditorium successivi.
L’auditorium
sviluppato
da Hans Scharoun ebbe una notevole influenza anche
sulla
Filarmonica di Amburgo che per la sua Concert Hall
riprende la forma
cosiddetta a vigneto e per gli architetti elvetici
questa particolare
disposizione non solo garantiva una diffusione
omogenea del suono ma
si configurava come la disposizione più adatta a
ricreare un evento
sociale (fig. 8).
Fig. 8 - COUFEYRAC, The Orchestra of the Americas performing at the ElbPhilharmonie in Hamburg
5 Agosto 2018, Foto cortesia di Manuela Macchiarulo
Il podio (luogo deputato
all’orchestra) collocato
al centro della sala e la disposizione del pubblico
attorno ad esso
permettono di ricreare una notevole intimità tra
musicisti e
pubblico, assurgendo allo stesso tempo a simbolo della
comunicazione
odierna che avviene tramite il sistema di molti
a
molti.
La struttura dell’auditorium influenza lo sviluppo
dello spazio di
altri ambienti, ad esempio del foyer,
che viene descritto da Alessandro Sassu, in La
Philharmonie
di
Hans
Scharoun, come un ambiente libero mai delimitato da
pareti e che
attraverso le aperture, non sempre individuabili,
consente di
filtrare all’interno la luce naturale che sottolinea
maggiormente
la sequenza non-finita dello spazio. Così la luce, in
questo spazio
destinato alla discussione e alla socialità,
sottolinea, in base
alla sua differente intensità determinata dall’ora del
giorno,
aspetti sempre nuovi, permettendo una lettura materica
di volta in
volta mutevole.
Nel foyer,
l’assenza di qualsiasi forma razionale o
immediatamente
riconoscibile provoca nell’osservatore lo stesso
spaesamento che
provocherebbe un labirinto con i suoi intricati
percorsi. La mancanza
di uno spazio simmetrico, di una logica formale
apparente e di una
ripetitività di elementi strutturali, genera pertanto
l’idea di
una disarmonia generale, che farebbe rientrare il
progetto nella
definizione di edifici aritmici. «Non a caso le
strutture
compositive aritmiche e dissonanti degli architetti
espressionisti,
da Mendelsohn a Taut, da Scharoun ad Häring, furono le
più vicine
ai musicisti dodecafonici» :
König mette in relazione le architetture prive di un
modulo ritmico
con la musica atonale, la quale si svincola, così come
l’architettura, dalle regole tradizionali.
La
musica
dodecafonica è rappresentata da un metodo compositivo
che nega ogni
ripetitività, ogni attesa prevista: ogni nota ha un
proprio peso
musicale, un suo significato espressivo.
Per
Schönberg, tra i primi a teorizzare il metodo
dodecafonico, le
dissonanze vanno considerate alla stregua delle
consonanze e nessuna
nota è sottoposta a leggi d’attrazione; per questo
Schönberg
impone di non ripetere un suono finché non siano
esauriti tutti i
dodici suoni della scala cromatica. Allo stesso modo,
Scharoun sembra
imporsi di non ripetere una cellula spaziale fino a
quando non siano
state usate tutte le possibilità espressive a
disposizione. Ma
nell’architettura le cellule base sono più di dodici,
ed è per
questo che a una prima lettura la Philharmonie
comunica un senso di
disordine e di angoscia a causa dell’aspetto sempre
diverso. Il
legame con la musica è ulteriormente espresso dalla
funzione stessa
della Philharmonie, dal momento che i suoi spazi
aritmici sembrano la
traduzione concreta della composizione musicale ideata
da Arnold
Schönberg.
Scharoun
può dunque
essere considerato un visionario, poiché ha avuto la
capacità di
allontanarsi dal modello costruttivo imposto e diffuso
in Germania
sino a quel momento. L’architettura è un linguaggio
che si impone
sul cittadino avendo la capacità di diffondere
messaggi e ideologie
attraverso la ricostruzione dei luoghi della comunità
e, come
qualsiasi espressione artistica, è una forma di
comunicazione: nel
caso in esame, in Germania fu un formidabile veicolo
del potere
dittatoriale. L’architettura del regime, infatti,
costituì una
vera e propria forma di propaganda politica che
attinse a forme già
codificate di un determinato periodo storico e,
rifiutando le
innovazioni, si ispirò all’architettura imperiale
romana
eleggendola a regime di riferimento. Scharoun non
lavorò per il
governo nazista e solo successivamente mise il suo
genio a servizio
della ricostruzione che iniziò alla fine del Secondo
conflitto
mondiale, allo scopo di chiudere quell’infelice
(usando un
eufemismo) fase storica e donare un volto nuovo alla
nascente
Germania.
In
questo contesto
l’opera di Scharoun è capace di racchiudere in un solo
edificio
tutti gli elementi che diverranno caratterizzanti
delle opere
architettoniche del nostro secolo. Ogni epoca, come
sappiamo, ha le
sue peculiarità che diventano oggetto/soggetto in
tutti gli ambiti
del sapere e si fanno carico di esprimere le tipicità
del nostro
vivere quotidiano. In questa prospettiva appare
piuttosto evidente la
contrapposizione fra architettura contemporanea e
quella sviluppatasi
durante il XX secolo, in quanto l’evoluzione
tecnologica ha
accelerato i cambiamenti.
Se la
contemporaneità è definita liquida e al tempo stesso
complessa, è
possibile intravedere nell’architettura odierna
l’espressione
della nascente società; e poiché nella Filarmonica di
Berlino sono
riscontrabili almeno tre categorie delle quattro
individuate da
Colonna, è possibile affermare che il processo di
liquidità
nell’architettura, con tutti gli elementi che lo
caratterizzano,
non costituisca un fenomeno così recente. Così come
precedentemente
evidenziato, si può dunque guardare all’architettura
liquida come
alla naturale prosecuzione di quelle ricerche
intraprese dalla fine
della Seconda guerra mondiale in poi da alcuni spiriti
creativi.
Tra
questi è
impossibile non menzionare il duo elvetico, che fin
dagli esordi ha
codificato i progetti attraverso un linguaggio scevro
da citazioni
scontate. Il lavoro poliedrico di Herzog e de Meuron,
eterogeneo e
nello stesso tempo coerente, elabora attraverso la
superficie più
esterna (la cosiddetta “pelle”) una nuova
comunicazione con la
quale permea il continuo scambio di messaggi,
determinando un flusso
di informazioni dall’interno verso l’esterno e
viceversa, quasi a
voler rappresentare l’interfaccia del nostro secolo:
il desktop.
Sicuramente,
tra i
progetti più significativi, è impossibile non citare
la Tate
Modern, non solo per la scelta di rimpiegare la
struttura
preesistente, così come avviene nella Filarmonica di
Amburgo, ma per
aver riqualificato una zona della città di Londra
altrimenti
emarginata.
Questo
è
indubbiamente il ruolo che deve svolgere
l’architettura di oggi:
dar vita a delle strutture che promuovano
l’inclusività di ogni
cittadino, creando i luoghi in cui la società possa
riconoscersi ed
elaborare la propria identità. Alla luce di quanto
detto non è
dunque un azzardo affermare come la funzione delle
forme fluide,
tipiche dell’architettura liquida, sia quella di
abbracciare quanti
più individui possibile, inglobandoli all’interno del
proprio
spazio, disperdendoli all’interno del suo percorso
labirintico e,
attraverso i suoi specchi, riflettere i sentimenti
della società
odierna.
NOTE
Vedi anche nel BTA:
USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA
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