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Giardini e parchi in Mesopotamia: paesaggi liminali in miniatura  

Cloe Curcio
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Maggio 2022, n. 929
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00929.html
Articolo presentato il 5 Aprile 2022, approvato il 4 Maggio 2022 e pubblicato il 17 Maggio 2022
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Area Archeologia

Abstract. La tradizione mesopotamica prevede dal III al I millennio a.C. la costruzione di giardini e parchi. Propongo di interpretare questi luoghi come paesaggi pianificati in miniatura e di osservarne le implicazioni liminali, che non sono ancora state prese in considerazione nelle analisi scientifiche dedicate a questi contesti. L'applicazione del modello metodologico del “paesaggio liminale”, proposto da chi scrive, si configura come elemento di originalità. Parchi e giardini vengono connotati come veicoli di programmi ideologici, i cui elementi di continuità e discontinuità possono essere individuati con un approccio diacronico. Questi luoghi si caratterizzano per la compresenza di diverse componenti e funzioni, che concorrono alla loro percezione come zone intermedie e liminali. Questa concettualizzazione dei giardini e dei parchi come spazi di margine, appartenenti contemporaneamente a due o più sfere ideali o reali, da essi messe in relazione in senso aggregativo o oppositivo, è riconoscibile nel corso di tutti e tre i millenni presi in considerazione. La dimensione liminale dei giardini si esplica in tre forme complementari. In primo luogo, i giardini materializzano un confine, simbolico e/o pratico, diventando essi stessi luoghi liminali. In secondo luogo, essi possono essere collocati fisicamente e simbolicamente all'interno di spazi liminali. Infine, essi possono riprodurre degli spazi concettualizzati come liminali.


Parole chiave: giardini; parchi; liminalità; paesaggio; Mesopotamia antica; Assiria.


Paesaggi pianificati in miniatura

La costruzione di spazi destinati ad essere usati come giardini e come parchi zoologici è attestata in Mesopotamia a partire dal Periodo Protodinastico (III millennio a.C.) e si perpetua con continuità fin oltre l'età ellenistica. La grandiosità degli esemplari orientali del I millennio a.C. viene universalmente riconosciuta, tanto da meritare l'inclusione di quelli “pensili” di Babilonia nella lista delle sette meraviglie del mondo antico. 1

Dalla definizione di giardino proposta nel Dizionario di Architettura 2 emergono tre tratti fondamentali che trovano una corrispondenza puntuale nella tradizione vicino-orientale: la “piantagione artificiale”, la delimitazione e la connessione topografica, più o meno diretta, con edifici e spazi urbani.

I giardini vengono spesso definiti in termini di artificialità, contrapposta alla naturalità attribuita al paesaggio. 3 Se tuttavia si parte dal presupposto che quest'ultimo possa essere inteso come un insieme sinergico di elementi culturali e ambientali che concorrono, singolarmente ed in associazione reciproca, alla creazione di un ambiente vissuto e percepito 4, tale equazione non risulta sufficiente per la definizione di questi contesti 5. Un carattere distintivo dei giardini risulta essere la pianificazione dell'interazione tra natura e architettura, che si intrecciano secondo uno schema concettuale preordinato imposto da chi lo progetta, costruendo a loro volta un ambiente vissuto e percepito. Ne consegue che essi possano essere considerati dei paesaggi pianificati in miniatura, atti a materializzare e trasmettere specifici messaggi culturali.

La rivendicazione proprietaria, da parte sia di umani sia di divinità, a cui sono soggetti questi spazi ne permette coerentemente l'interpretazione come veicoli di programmi ideologici e simbolici. Il paesaggio può essere percepito da una pluralità di prospettive, moltiplicabili e non prestabilite, mentre i giardini possono essere fruiti da punti di vista limitati e preordinati 6.

Essi possono essere considerati luoghi, intesi come «una porzione di spazio idealmente o materialmente delimitata» 7. La presenza di un marcatore di confine, più o meno evidente, diventa un carattere centrale nella loro definizione, 8 tanto che in persiano antico vi si fa riferimento come “pairi-daēza” (giardini circondati da mura, gr. paradeisoi), esempi dei quali si trovano dalla capitale achemenide Pasargade alla città nabatea Petra, dai palazzi ellenistici di Vergina a quelli di Alessandria, fino ad essere assimilati nella tradizione architettonica dei califfi abbasidi 9. La delimitazione può essere materializzata con marcatori artificiali, come muretti in terra battuta e staccionate di canne 10, naturali, come gli alberi ad alto fusto 11, o geomorfologici, in relazione alle condizioni ambientali del terreno 12.

I giardini vengono abitualmente descritti come luoghi di dimensioni ridotte 13, caratteristica necessaria poiché lo spazio recintato, urbano o extraurbano che sia, è per definizione finito. I sovrani neoassiri si contraddistinguono per averne costruiti di dimensioni monumentali, come dimostrano per esempio quello di Assurnasirpal II (883-859 a.C.) a sud-ovest di Nimrud, per il quale viene stimata un'estensione di circa 25 km2, 14 e quello di Sargon II (722-705 a.C.), che costeggia il perimetro di Dur-Šarrukin con migliaia di piante aromatiche e da frutto, per una lunghezza di ben 7.460 m. 15

Infine, i giardini si pongono necessariamente in una relazione topografica con lo spazio costruito, urbano ed extraurbano.

Nel III millennio a.C. la maggior parte delle fonti ne attesta la costruzione all'esterno delle cinte murarie ma, parallelamente, la concezione di tali luoghi come estensioni del tessuto urbano 16. L'impianto di giardini all'interno delle città risulta, invece, un'evenienza meno convenzionale, abitualmente legata a momenti di crisi. Un'attestazione in questo senso è offerta dal testo della Maledizione di Akkad, 17 dove al ritratto desolato di una città distrutta, le cui porte sono scardinate e il cui controllo è affidato a briganti e prigionieri, si associa, come dimostrazione ulteriore della barbarie degli invasori stranieri venuti dalle montagne, l'immagine della costruzione di giardini dentro il perimetro delle mura invece che nei territori esterni adiacenti.

All'inizio del II mill. a.C. alcune tavolette dell'archivio di Balmunamḫe di Larsa menzionano, in quel contesto, dei giardini in cui vengono coltivati palme e tamerischi, oppure palme, meli e melograni 18. La città di Borsippa si pregia di avere grandi giardini, che ne rappresentano la floridezza e inorgogliscono i cittadini. Fonti scritte ne attestano la presenza all'interno delle cinte murarie a Kutalla e Babilonia in Epoca Cassita 19. Progressivamente viene quindi ad affermarsi la pratica di costruire questi luoghi anche dentro il perimetro delle mura, sancendo un'evoluzione nella concezione dei giardini “urbani”, prima concettualmente e poi concretamente tali. Con l'inizio del II millennio a.C. la presenza di questi ultimi viene iscritta tra i “criteri d'identità di una città” 20 e, a partire da questo momento, la rigogliosità del giardino diventa una caratteristica emblematica, propiziatoria e dimostrativa della prosperità della città o del Paese stesso 21.

La correlazione di un giardino con la cinta muraria cittadina su un ortostato scolpito neoassiro dal Palazzo Sud-Ovest di Ninive dimostra come questo processo culmini nel I millennio a.C., rendendo ormai possibile considerare questi luoghi come marcatori topografici di un “paesaggio simbolico” 22 condiviso e contestualmente come elementi di rilievo nella definizione dell'identità urbana, al pari delle mura urbiche.

Parchi e giardini si caratterizzano come elaborazioni culturalmente orientate e storicizzate. Ciò sottende un intrinseco dinamismo, che può declinarsi in senso potenzialmente evolutivo o involutivo, e deve essere correlato con i mutamenti subiti dalle società di cui sono espressione, precludendone l'interpretazione in forma statica. 23 La diacronia può dunque essere considerata uno strumento privilegiato e irrinunciabile per lo studio dell'evoluzione delle forme e delle ideologie soggiacenti alla costruzione di questi luoghi, soprattutto nel variegato contesto mesopotamico.

Dal punto di vista pratico, gli elementi costitutivi e prototipici del giardino in Mesopotamia, per lo più ripresi in qualità di archetipi nella descrizione dell'Eden fornita dalla Genesi 24, risultano essere: la delimitazione; la presenza di alberi simbolicamente connotati; la rigogliosità espressa sotto forma della prosperità dei frutti; la presenza di animali; la necessità di irrigazione e la prossimità ai due grandi fiumi di riferimento, riassumibili nell'associazione concettuale e concreta con l'acqua corrente. Un esempio della correlazione di queste componenti può essere riscontrato nell'iconografia di una pixis e di un pettine rinvenuti in una tomba di fine XIV/inizio XIII sec. a.C. ad Assur 25. È degna di nota una caratteristica che differenzia sostanzialmente i giardini mesopotamici e assiri da quelli moderni, vale a dire la mancata distinzione tra piante ornamentali e piante produttive 26, che si concretizza nella loro coesistenza nei medesimi spazi. La definizione tipologica, che si rispecchia nell'eterogeneità lessicale con cui ci si riferisce a questi luoghi, viene operata in relazione a criteri come le modalità di approvvigionamento idrico, la presenza di recinzioni e la funzione auspicata, sia essa rituale, utilitaria o ricreativa 27.


Giardini e liminalità

I giardini vicino-orientali vengono concettualizzati come luoghi intermedi, che appartengono contemporaneamente a due o più contesti, reali o ideali. Gli esseri umani tracciano confini per delimitare spazi fisici e culturali, per definire una comunità in opposizione o in associazione a un'altra, per esprimere la differenza tra una realtà immanente e una trascendente 28. La distanza tra questi concetti opposti è colmata da zone di margine, liminali (dal latino limen, “soglia”) 29, che li mettono in contatto reciproco e di conseguenza attestano la permeabilità dei confini che li separano, e che potremmo considerare alla stregua delle “eterotopie” teorizzate da M. Foucault 30.

Questi confini, intesi come «molteplicità di punti che appartengono simultaneamente allo spazio interno ed esterno» 31, costituiscono delle aree contemporaneamente di separazione e aggregazione culturale la cui stessa elaborazione è concettualmente significativa 32, nel caso in oggetto caratterizzate da una dimensione territoriale. Partendo dal presupposto che in natura non esistono elementi costituenti di per sé dei confini, i quali sussistono solo in relazione all'attività degli umani che li elaborano 33, i concetti di percezione e materializzazione risultano due elementi fondamentali nel riconoscimento degli spazi intermedi.

I giardini assumono una connotazione liminale grazie a specifici marcatori concreti e simbolici. In quest'ultimo senso acquista particolare rilevanza la toponomastica, indice della percezione dei luoghi da parte delle popolazioni che la producono. A Ninive si contano tre porte urbiche (esse stesse luoghi di soglia per eccellenza) i cui nomi sono significativi della relazione con i giardini. Si tratta della Porta del Giardino (o Porta di Sin), la quale presenta un'iscrizione che recita: «Il Dio Igisigsig È Colui Che Fa Prosperare I Frutteti» 34, della «Porta di Adad dell'ambassu», collocata a nord della città, accanto alla precedente, e della «Porta del Giardino della Rampa (mušlâlu)», che si apre sulla cinta occidentale, a sud della cittadella, assecondando il corso del fiume Khosr 35.

La dimensione liminale dei giardini mesopotamici si esplica in tre forme complementari. In primo luogo, i giardini materializzano un confine, simbolico e/o pratico, diventando essi stessi luoghi liminali. In secondo luogo, essi possono essere collocati fisicamente e simbolicamente all'interno di spazi liminali. Infine, essi possono riprodurre degli spazi concettualizzati come liminali.


I giardini come luoghi liminali

Confini simbolici

Il primo confine che viene materializzato nei giardini è di tipo simbolico e consiste nel riconoscimento di uno spazio di incontro e negoziazione tra la sfera divina e quella umana. Tale constatazione è strettamente intrecciata alla loro definizione come paesaggi sacri 36 in miniatura.

W. Andrae ha scritto che tutti i giardini mesopotamici costituiscono spazi sacri 37. La scelta di impiantarli nelle città, presso i templi, i palazzi e i cortili delle dimore private, può essere correlata alla volontà di materializzare un concetto culturale di “paradiso”, inteso come residenza ideale e inaccessibile delle divinità, a cui questi luoghi sono concettualmente ed etimologicamente legati 38. Un esempio in questo senso si ritrova nell'epopea di Gilgamesh, nel momento in cui l'eroe, varcata la soglia simbolica del Monte Mašu da cui sorge e tramonta il sole, custodita da un uomo- ed una donna-scorpione, accede al giardino degli dèi. Questo luogo “altro” viene tratteggiato secondo i concetti culturali di purezza e sacralità elaborati dalla cultura mesopotamica, portati ai massimi estremi nella descrizione di un giardino “ideale” che ipostatizza lo spazio sacro per eccellenza. Propongo infatti di interpretare gli alberi di gemme ammirati dall'eroe 39 in relazione al paradigma culturale che associa al concetto di brillantezza, alla corniola e ai lapislazzuli, ossia ai tre elementi messi in risalto dal testo, un simbolismo cromatico legato alla sfera divina. 40

A partire dal Periodo Protodinastico e nel corso dei millenni successivi è attestata la costruzione da parte dei sovrani mesopotamici di giardini per le divinità, che vengono concettualizzati come offerte alle figure divine titolari dei templi, alle cui architetture risultano associati, disposti nelle corti interne o lungo il perimetro esterno 41. Questa correlazione può essere sia diretta, quando circondano il tempio e sono dunque contigui alla fabbrica sacra, sia indiretta, con l'attribuzione nominale di giardini extraurbani alla gestione templare urbana, creando un rapporto di pertinenza simbolica ma non topografica 42.

Questi contesti sono inequivocabilmente attestati nella città di Assur nel Periodo Medioassiro e a Dur-Kurigalzu nel Periodo Cassita 43. L'allestimento di un giardino extraurbano nel territorio della città sacra di Assur, in relazione all'edificio rituale destinato alla celebrazione della festa del nuovo anno (bit-akītu) 44, è ascritto al sovrano Sennacherib (705-681 a.C.), contestualmente al restauro della struttura. Si tratta di uno dei rari casi in cui la ricostruzione di un giardino è resa possibile dalla documentazione archeologica. La missione tedesca ha potuto risalire alla disposizione originaria delle componenti (Fig. 1),

Fig. 1 - Ricostruzione del giardino interno (nel cortile) ed esterno (perimetrale) dell'edificio rituale (bit-akītu) di Assur, Periodo Neoassiro (in ANDRAE 1952, Tafel 25b)
Fig. 1 - Ricostruzione del giardino interno (nel cortile) ed esterno (perimetrale)
dell'edificio rituale (bit-akītu) di Assur, Periodo Neoassiro (in ANDRAE 1952, Tafel 25b)

riscontrando nel cortile interno e lungo il perimetro dell'edificio la presenza di file regolari di fosse che un tempo ospitavano le radici di un centinaio di cespugli 45 o di alberi a fusto sottile, la cui specie non è più ricostruibile 46. È possibile che questo giardino costituisse una replica di spazi analoghi distrutti da Sennacherib a Babilonia durante la sua conquista nel 689 a.C. 47

Sembra che tutti i templi mesopotamici fossero dotati di un proprio giardino, che poteva essere tanto concreto quanto simbolico, declinato rispettivamente come terreno coltivato con alberi, erbe e fiori o come rappresentazione iconografica su una varietà di supporti eterogenei, ma anche come esposizione temporanea di piante in vaso 48.

I giardini dei templi si caratterizzano come luoghi preposti allo svolgimento di attività rituali nel corso di tutti e tre i millenni presi in esame.

Un Calendario Cultuale della dinastia Ur III menziona offerte in un giardino a Girsu e la presenza di uno spazio omologo (kiri6.maḫ) a Nippur 49. Il sovrano babilonese Nebuchadrezzar (1119–1098 a.C.) attesta la percezione di questi luoghi come spazi in cui raccogliere frutti e legni pregiati da offrire alle divinità 50.

Nell'VIII secolo a.C., Sargon II costruisce un lago artificiale a Dur Sharrukin (Fig. 2),

Fig. 2 - Disegno ricostruttivo del bassorilievo raffigurante il giardino reale di Sargon II a Dur Sharrukin (Khorsabad), con lago artificiale, collina di conifere e altare, Periodo Neoassiro (in BOWE 2015, fig. 2, p. 153)
Fig. 2 - Disegno ricostruttivo del bassorilievo raffigurante il giardino reale di Sargon II
a Dur Sharrukin (Khorsabad), con lago artificiale, collina di conifere e altare,
Periodo Neoassiro (in BOWE 2015, fig. 2, p. 153)

e allestisce un monumento interpretato come altare circondato da conifere sulla sommità di una collinetta artificiale, parte di un giardino la cui collocazione urbana non è certa 51.

Il giardino del palazzo di Ninive al tempo di Assurbanipal (VII sec. a.C.), raffigurato su un rilievo conservato al British Museum (Fig. 3),

Fig. 3 - Raffigurazione dei giardini di Sennacherib a Ninive su un rilievo datato al regno di Assurbanipal ora al British Museum (in NOVÁK 2002, p. 450, fig. 8)
Fig. 3 - Raffigurazione dei giardini di Sennacherib a Ninive su un rilievo datato
al regno di Assurbanipal ora al British Museum (in NOVÁK 2002, p. 450, fig. 8)

si caratterizza per la ricorrenza della centralità dell'altare, a cui conduce l'ampio viale principale, fiancheggiato da diverse specie arboree e attraversato da un corso d'acqua 52.

In entrambi i contesti neoassiri si ritrovano quindi tre elementi rituali dirimenti: gli alberi, molti dei quali venivano utilizzati o invocati in campo rituale; l'acqua, da consacrare come elemento purificatore e dotata di un proprio significato liminale; e l'altare, simbolo della sacralità impressa al luogo e dell'utilizzo di questo spazio per finalità cultuali. 53

La scelta delle specie botaniche da piantare non viene lasciata al caso e risponde a specifiche esigenze simboliche. Le proprietà apotropaiche e rituali ascritte a diverse classi vegetali influenzano in una certa misura la loro selezione. 54 Così, per esempio, i cedri vengono importati dal Libano perché richiamano le imprese di Gilgamesh nella foresta di Ḫumbaba, mentre le palme 55 ed i melograni assurgono a simboli di fertilità e opulenza 56.

Il ruolo centrale della vegetazione come componente inderogabile dei giardini è ulteriormente enfatizzato nella ricostruzione delle associazioni topografiche e percettive della corte interna del bit-akītu di Assur (Fig. 1) per le cui piante è possibile suggerire una funzione liminale. Esse, infatti, vengono innestate di fronte alla cella dell'edificio religioso in modo che siano visibili dalle statue di culto ivi collocate, assurgendo in questo modo ad elementi magico-rituali intermedi che consentono un contatto mediato ed indiretto tra umani e dèi 57.

Il fiume costituisce a sua volta un elemento liminale, in quanto unisce e separa contemporaneamente le due sponde opposte, risultando in questo modo un contesto privilegiato per lo svolgimento delle pratiche rituali. La sua concezione come confine tra cosmo e caos 58 avvalora la correlazione simbolica e materiale instaurata tra giardini e acqua corrente, entrambi considerati aree di margine favorevoli alla comunicazione tra sfere di esistenza diverse.

Non è forse un caso che un detto sumero relativo ai fuorilegge reciti: «You are put in water, the water becomes foul. You are put in a garden, the fruit begins to rot» 59. In virtù della percezione dell'acqua come un elemento di purificazione rituale, la sua associazione in metafora con il giardino fertile (puro, ordinato, legittimo), in opposizione alla frutta che marcisce in presenza dei criminali (impuri, emissari del caos, fuorilegge), assume una rilevanza ideologica da non sottovalutare.

La tradizione mesopotamica di svolgere cerimonie religiose nei giardini viene duramente criticata, quindi indirettamente attestata, anche da fonti giudaiche, che ne stigmatizzano la correlazione con rituali apotropaici e ne mettono in luce un'ulteriore dimensione, legata alla sepoltura e al successivo culto dei sovrani in tali contesti 60. Questa implicazione funeraria è documentata per quanto attiene le corti dei palazzi siriani del II mill. a.C., dove è attestato lo svolgimento di pratiche cultuali rivolte ai defunti o indirizzate a divinità ctonie, come nel caso del dio Resheph, che ad Ugarit (ca. 1400 a.C.) riceveva sacrifici e libagioni nel giardino palatino. 61

L'esistenza di riserve faunistiche è attestata a partire dal Periodo Protodinastico, nella città di Lagash, dove vengono costruite con uno scopo religioso, forse legato al culto della dea Ninḫursag 62. La comunicazione testuale e iconografica associa la caccia dei tori selvatici condotta pubblicamente dai sovrani in questi contesti all'uccisione del Toro del Cielo, entità pienamente liminale, da parte dell'eroe Gilgamesh, per un periodo cronologico significativamente esteso, dal regno di Shulgi (Ur III) al Periodo Neoassiro 63, costruendo un intreccio significativo tra rito e mito.

Analogamente, la caccia ai leoni, parte fondamentale del cerimoniale neoassiro, che si svolgeva negli appositi parchi (ambassu), è stata interpretata come una forma rituale di rappresentazione del mito del dio Ninurta, in cui il re rinforza, al cospetto dei suoi cittadini, la propria sovranità attraverso l'uccisione dei “nemici” ipostatizzati dai leoni, che costituiscono anche i surrogati dei demoni sconfitti dal dio 64.

L'archetipo del “sovrano cacciatore” viene dunque ritualizzato e materializzato nel lungo periodo, costituendo un primo, costante e fondamentale riferimento per l'interpretazione di riserve faunistiche e giardini come spazi liminali, in relazione all'implementazione plurimillenaria di una correlazione paradigmatica tra sovranità, caccia e giardinaggio. 65

Esistono altre forme rituali che trovano nei giardini dei luoghi di espressione privilegiati o quantomeno favorevoli.

Il re babilonese Hammurabi (XIX sec. a.C.), per esempio, sceglie questi contesti come sfondo per alcune cerimonie militari, secondo due testi dell'archivio di Mari che ricordano una parata di portabandiera e la distribuzione di doni del sovrano alle truppe, in quest'ultimo caso nel «giardino di Dilmun» 66.

Nei giardini si svolgono anche le cerimonie d'investitura, che possono avvenire sia su un piano “orizzontale”, da una divinità all'altra, sia su un piano “verticale”, nel caso della trasmissione degli emblemi del potere dagli dèi ai sovrani umani 67. Al loro interno si presta giuramento, con la stessa valenza e sacralità dei voti suggellati nei templi, o si amministra la giustizia, come documentato a Susa 68. Queste attività rituali rafforzano la percezione dei giardini come luoghi favorevoli alla comunicazione tra la sfera umana e quella divina o quantomeno intermedia, garante sovrannaturale e onnisciente degli impegni presi e della validità delle pene comminate.

In sintesi, parchi e giardini presentano una compresenza di elementi culturali (la pianificazione, la delimitazione, la relazione topografica con strutture a carattere religioso) e naturali (la vegetazione, l'acqua corrente, gli animali), che risultano associati in un luogo percepito come sacro e ricondotti, attraverso un processo di ritualizzazione e materializzazione, alla definizione di un paesaggio sacro intrinsecamente liminale.

Il mito di Shukallituda 69 esprime in maniera esemplare questa concezione, presentando il giardino del protagonista come spazio intermedio in cui il giardiniere mortale può incontrare (e violentare) la dea Inanna. Quest'ultima vi giunge dopo aver attraversato diversi confini sia ontologici (il cielo e la terra) sia geografici (Elam e Shubur). Inanna, che appartiene alla sfera divina, può di conseguenza agire sullo stesso piano di realtà dell'essere umano all'interno di uno specifico luogo “di margine”: il giardino.


Confini intracomunitari

Dal punto di vista intracomunitario il principale elemento di liminalità che interessa i giardini è legato al quoziente di accessibilità. Trattandosi, come si è detto, di luoghi delimitati e oggetto di rivendicazioni proprietarie, si assiste all'elaborazione di un confine oppositivo che si concretizza nella dicotomia concettuale tra spazi “permessi” e spazi “proibiti”. Il problema del carattere pubblico o privato dei giardini urbani ed extraurbani gioca un ruolo centrale nella loro interpretazione ed il principio di accessibilità è stato preso in considerazione in diversi studi 70.

Il parco extraurbano di Assurnasirpal II a Nimrud raccoglie ed esibisce diversi animali selvatici ed esotici, tra cui scimmie, elefanti, orsi, rari cervidi e creature acquatiche mediterranee 71, che vengono offerti ai suoi sudditi per suscitarne l'ammirazione 72. Tale dichiarazione induce a presumere un alto grado di accessibilità per questo spazio rivolto alla comunità e ai posteri, costruito con il benestare e per la gloria del dio principale del pantheon assiro, come dimostra l'invocazione «Al cospetto di Aššur queste creature vivano!» a conclusione dell'iscrizione celebrativa 73. Un'ampia parte della cittadinanza doveva inoltre poter assistere alle già citate cacce rituali svolte in questa tipologia di contesti.

Nel I millennio a.C., a Ninive è attestata la presenza di giardini pubblici offerti dal sovrano alla cittadinanza per la coltura di frutteti ed orti, nel quadro di una politica urbanistica che prevede la ripartizione regolamentata dei lotti di terreno, elemento che segna un cambiamento fondamentale rispetto alle epoche precedenti, quando la costruzione di questi spazi in contesti urbani era lasciata all'iniziativa dei privati 74.

I giardini templari si caratterizzano invece per una presunta differenziazione di accessibilità. La frequentazione di quelli interni è proibita alla maggioranza dei mortali, mentre quelli esterni si caratterizzano per una maggiore permeabilità, in quanto atti allo svolgimento di rituali che prevedono una più ampia partecipazione comunitaria, pur se limitatamente a circostanze specifiche 75.

I giardini palatini dei sovrani e quelli domestici dei singoli membri della comunità, da intendere come kitchen gardens 76, sono egualmente privati e dunque inaccessibili ai non autorizzati.

Dal punto di vista intracomunitario, una dimensione aggregativa dei giardini viene invece riscontrata nella loro connotazione come luoghi in cui si assottiglia il confine tra i sessi. In Mesopotamia è attestata una correlazione con la sfera erotica, come attesta un topos letterario ricorrente che associa l'espressione “andare al giardino” all'atto sessuale e si serve di metafore legate al giardinaggio per alludere agli organi riproduttivi maschili e femminili 77. In questo senso acquista ulteriore importanza anche l'associazione concettuale e materiale con l'acqua corrente, a sua volta connotata da un simbolismo erotico 78.


Confini intercomunitari

Il giardino può diventare anche uno strumento di gestione delle relazioni internazionali, ossia un luogo in cui riflettere sulla propria identità comunitaria in relazione a quella di comunità esterne e in cui ostentare la propria superiorità.

I giardini delle popolazioni conquistate vengono razziati e distrutti in quanto simboli della prosperità della cultura che li ha costruiti. Si tratta di una pratica frequentemente attestata dal III al I millennio a.C. 79 e ne costituisce un chiaro esempio la conquista e distruzione di Babilonia e dei suoi giardini da parte del sovrano neoassiro Sennacherib 80. Il suo successore Esarhaddon (681-669 a.C.) include nel bottino importato dalle città sconfitte anche dei giardinieri locali, affinché prendano servizio presso il suo palazzo 81.

L'esportazione e l'importazione da Paesi lontani di specie esotiche, faunistiche o floreali, per arricchire i propri giardini, può invece essere ricondotta sia ad un tributo imposto o ad una forma di bottino sottratto ai regni sconfitti, sia ad uno strumento diplomatico per il mantenimento di buone relazioni internazionali. In entrambi i casi, a mio parere, i giardini e le loro componenti si costituiscono come spazi di elaborazione e negoziazione della propria identità culturale e del rapporto con comunità esterne, declinandolo alternativamente in chiave oppositiva o aggregativa.

La pratica dei regni vassalli di donare ai sovrani stranieri, in occasione delle loro visite, specie animali e vegetali esotiche da collezionare 82 è attestata a partire dal 2000 a.C. Questi esemplari venivano plausibilmente inseriti in spazi appositi distinti dal palazzo propriamente detto, forse extraurbani 83.

Tiglath-Pileser I ricorda con orgoglio di aver ricevuto omaggi da Biblo, Sidone e Arvad, comprendenti un coccodrillo ed una grande scimmia femmina delle regioni costiere 84. Sull'obelisco nero di Salmanassar III sono raffigurate varie scene di tributo al sovrano, tra cui riveste particolare interesse la rappresentazione di animali esotici, accompagnata dall'iscrizione che ricorda l'importazione di una coppia di cammelli «a due gobbe», un elefante indiano e due primati 85.

I luoghi costruiti per ospitare questi esemplari allogeni vengono concettualizzati come spazi «migliori», più fertili, adatti e propizi alla loro rigogliosa esistenza rispetto a quelli d'origine, giustificando la conquista delle terre remote da cui provengono 86.

Nel I millennio a.C. giardini e parchi neoassiri possono essere interpretati come microcosmi pianificati che rappresentano le diverse regioni del mondo attraverso le specie botaniche e faunistiche ivi importate ed esposte. Il carattere “universale” delle città assire, nelle quali coesistono persone, fauna e flora indigene e straniere, costituisce un elemento portante del programma ideologico soggiacente alla costruzione dei giardini, volto a legittimare il dominio del sovrano su ogni angolo dell'ecumene 87. La magnificenza, la grandezza e la fertilità dei giardini neoassiri possono essere identificate come specchi ideali della ricchezza, del potere e del favore divino, ossia dei tratti caratteristici dei sovrani di questo periodo, oltre che come rappresentazioni simboliche dell'impero conquistato. 88

A mio avviso, l'atto di ricreare artificialmente dei paesaggi conquistati e lontani può inserirsi nel più ampio contesto di una reinterpretazione della realtà in relazione ad un preciso programma simbolico ed ideologico. Il sovrano ripropone in forma ordinata, poiché mediata dalla sua azione civilizzatrice, un paesaggio originariamente caotico, in quanto estraneo, ricostruendo artificialmente un habitat naturale non autoctono e rappresentando la sua vittoria e implicita superiorità in maniera concreta e tangibile. Si evidenzia quindi un primo confine ideologico tra ciò che è ordinato/civilizzato/conquistato e ciò che è caotico/barbarico/indipendente, rappresentato in un luogo “altro”, appunto il parco o il giardino, che si costituisce come spazio di negoziazione e intermediazione tra questi due opposti.


Giardini all'interno di spazi liminali

Oltre a costituire spazi liminali, i giardini possono essere collocati in contesti di per sé intermedi, che ne avvalorano l'interpretazione in tal senso.

Si evidenzia in primo luogo il loro accostamento a dei luoghi deputati alle relazioni intercomunitarie, quali la rete idrica di canali, i principali assi viari del regno e le vie processionali con finalità sacro-rituali.

La complessa e articolata rete di canali costruita in Mesopotamia si caratterizza come un sistema di vie d'acqua interrelate, lungo i cui percorsi è documentata la pratica di collocare i giardini. 89 Si tratta in questo caso di una correlazione contestuale e concettuale con delle “strade acquatiche”, che si caratterizzano in primo luogo come elementi associati alla costruzione del paesaggio sacro di cui sopra 90, posti sotto la tutela delle divinità in nome delle quali vengono costruiti, come dimostra a titolo esemplificativo la retorica del sovrano Ur-Nanshe di Lagash 91. In secondo luogo, i canali possono essere intesi come strumenti di collegamento tra sfere diverse, essendo caratterizzati dalla presenza di acqua corrente, delle cui implicazioni liminali si è detto.

Dai versi dell'Inno a Shulgi emerge l'attestazione di un'ulteriore tipologia di giardino extraurbano posto lungo le vie maggiori del regno e associato a spazi intermedi di sosta. In questo caso, i giardini diventano luoghi di incontro intercomunitario, situati in punti topografici significativi, in corrispondenza di “locande” ante-litteram dove i viandanti potevano fermarsi a riposare durante il giorno, ma anche trovare rifugio e sicurezza durante la notte 92.

Un'analoga associazione tra giardini e strade è stata rilevata per quanto riguarda le vie processionali che collegavano i centri urbani ai luoghi di culto extraurbani, come ad Assur e Babilonia, ma anche, in un diverso contesto cronologico e geografico, nel tempio di Apollo a Didima 93.

Un'attestazione ancora più stringente è individuabile per il III e il II mill. a.C., quando i giardini “urbani” trovano dei contesti di costruzione privilegiati nelle zone periferiche delle città, tendenzialmente fuori dalle mura, come il quartiere portuale di Ur 94. Nel caso di centri dotati di cinte murarie doppie, i giardini urbani vengono probabilmente collocati nello spazio tra esse ancora nella seconda metà del II e nel I millennio a.C. 95

Questa specificità topografica mi sembra particolarmente significativa della loro concezione come luoghi liminali, appartenenti contemporaneamente alla sfera urbana e a quella extraurbana, che trovano dunque la collocazione ideale nello spazio ambiguo, indeterminato e “di confine” tra questi opposti, caratteristico dei quartieri periferici.

Un corrispettivo simbolico di questa interpretazione può essere riconosciuto nella decorazione delle soglie palatine neoassire, caratterizzate dalla ricorrenza di motivi floreali, principalmente consistenti in rosette e quadrifogli (Fig. 4),

Fig. 4 - Soglia decorata con motivi floreali apotropaici, ca. VII sec. a.C., probabilmente da Ninive (Metropolitan Museum Accession Number X.153) © The Met Collection API
Fig. 4 - Soglia decorata con motivi floreali apotropaici, ca. VII sec. a.C., probabilmente
da Ninive (Metropolitan Museum Accession Number X.153) © The Met Collection API

con una plausibile valenza apotropaica, in quanto invocazioni della tutela rispettivamente della dea Ishtar e del dio Shamash 96. La collocazione in spazi esplicitamente liminali, quali gli ingressi e le soglie, di queste riproduzioni dei tappeti fioriti e la loro attestata allusione all'invocazione della protezione divina contro minacce naturali e sovrannaturali costituiscono due elementi che possono contribuire all'interpretazione dei giardini concreti.


Giardini che imitano contesti liminali

Infine, alcuni parchi e giardini vengono costruiti a imitazione di spazi concettualizzati come liminali.

In termini architettonici, i giardini vicino-orientali potrebbero essere definiti «naturalistici», quindi caratterizzati da un impianto irregolare e dalla volontà di imitare dei paesaggi «ideali» 97 oppure, come attestato in diversi contesti mesopotamici, reali ed esperibili, ma ideologicamente connotati.

Sargon II, Sennacherib ed Esarhaddon, per esempio, affermano di aver costruito i loro giardini palatini a immagine e somiglianza del Monte Amano, dal quale era tradizione importare il legname pregiato, principalmente legno di cedro, per la costruzione dei templi e dei palazzi.

Il sovrano neobabilonese Nebuchadnezzar II (ca. 605-562 a.C.) afferma che il proprio palazzo «assomiglia ad una montagna», con un plausibile riferimento alla riproduzione di un ambiente montuoso sulla scorta della tradizione assira. In questo caso si tratterebbe, però, dell'importazione della vegetazione propria della catena del Tauro, come querce ed alberi da frutto, in relazione ad un interesse per la cultura dei Medi dettata dalle origini della sua consorte 98.

L'importanza simbolica attribuita alla riproduzione degli ambienti collinari e montani in Assiria è dimostrata e rinforzata dalla complessa e impegnativa opera di sostruzione del terreno pianeggiante, sul quale vengono eretti tumuli artificiali che permettano una correlazione simbolica con le catene montuose 99. Questa assimilazione con i contesti montani prevede comunque un'opera di razionalizzazione dello spazio. I rilievi artificiali vengono terrazzati per creare un sistema di pendenza controllata che consenta un'efficace irrigazione. Il disegno di un rilievo palatino documenta la presenza a Ninive di quattro o cinque terrazze stabilizzanti, con una piantagione progressiva dall'alto in basso di conifere nei livelli superiori, conifere miste a latifoglie al centro e prevalentemente latifoglie nella parte inferiore, secondo un ordine pianificato che rispecchia l'osservazione naturalistica dell'effettiva crescita delle specie arboree nei contesti d'origine 100.

La valenza liminale attribuita dalla cultura mesopotamica ai contesti montuosi merita un breve approfondimento. Il termine kur, montagna, viene utilizzato per indicare sia il regno dei morti, al quale si ritiene che si possa accedere proprio tramite un valico montano, sia la sfera templare, caratterizzata in senso liminale come luogo privilegiato di incontro tra la sfera umana e quella divina, sia i Paesi stranieri, in opposizione concettuale alla patria, kalam 101. Lo spazio di margine così percepito risulta popolato da entità sovrannaturali intermedie, come Ḫumbaba, Anzu, Asag e gli uomini-scorpione, reiteratamente correlate ai monti nella tradizione mitologica e nella pratica rituale a partire dal III mill. a.C. 102 È inoltre attestata la deificazione e personificazione di alcune montagne, rappresentate in forma ibrida con il busto umano e il resto del corpo trasfigurato nel contesto fisico che ipostatizzano, connotate letterariamente con un antropomorfismo somatico e psicologico e concettualizzate come antagonisti divini, come Ebiḫ per Inanna 103 e Saggar per Ninurta 104.

I parchi extraurbani 105 prevedono a loro volta la ricostruzione di ambienti collinari e rocciosi, intervallati da corsi d'acqua e sentieri, costituendo delle repliche pianificate degli habitat naturali della selvaggina e degli animali feroci che ospitano, come attesta per esempio l'ambassu di Sennacherib 106. Ne consegue la rielaborazione di un contesto con forti valenze simboliche in un paesaggio in miniatura, che assomiglia a quello reale, ma è mediato da una meticolosa opera culturale di pianificazione e perciò assume uno scopo apotropaico di affermazione della prevalenza dell'ordine di matrice divina e regale sul caos rappresentato dai nemici e dalle forze ostili, che vengono rispettivamente sconfitte o sottomesse durante le attività di caccia rituale.

Un simile rapporto di replica si può individuare nel caso peculiare della costruzione, intorno al 699 a.C., da parte di Sennacherib, di una palude artificiale (Fig. 5)

Fig. 5 - Rilievo raffigurante la palude ricreata da Sennacherib nel 699 a.C. nella piana extraurbana di Ninive (in FOSTER 1999, p. 70)
Fig. 5 - Rilievo raffigurante la palude ricreata da Sennacherib nel 699 a.C.
nella piana extraurbana di Ninive (in FOSTER 1999, p. 70)

ispirata alle sue campagne militari nella Mesopotamia meridionale, dove questo tipo di ecosistema è molto frequente.

Anche questo contesto viene ricreato con una forte impronta naturalistica, dettata dall'accurata osservazione del paesaggio a cui si ispira. Esso si colloca strategicamente ad est delle mura urbiche di Ninive, in relazione topografica e funzionale con il corso precedentemente deviato del fiume Ḫusur/Khosr, in modo che l'acqua in eccesso durante le esondazioni primaverili possa essere assorbita e filtrata nella piana ninivita 107. Al suo interno viene innestato un vero e proprio canneto e vengono importate delle specie animali proprie dell'habitat paludoso, tra cui aironi, cinghiali 108 e cervi, come si evince dalla rappresentazione di questa palude sullo sfondo del ciclo narrativo raffigurato sui rilievi della Corte VI del Palazzo Sud-Ovest di Ninive 109.

Le aree paludose babilonesi vengono percepite e connotate dagli Assiri come paesaggi infidi, all'interno dei quali nemici e fuorilegge possono trovare facilmente rifugio 110. Oltre a costituire dei teatri di guerra la cui morfologia mette in difficoltà le truppe sargonidi, le paludi sono esplicitamente concettualizzate come luoghi contesi 111. La scelta di Sennacherib di riproporre artificialmente un tale ecosistema in prossimità della capitale si allinea alla proposta interpretativa avanzata per quanto attiene i giardini e i parchi propriamente detti.

Tutti questi contesti assumono una connotazione di liminalità tra la sfera del selvaggio e del domestico, poiché pur riproponendo habitat percepiti come ostili e pericolosi attraverso l'emulazione di spazi montuosi o lagunari e l'allevamento di predatori, si collocano in una dimensione artificiale e mediata. Quest'ultimo fatto consente di garantire una sicurezza inattuabile nei corrispettivi ambienti naturali, implicando una dinamica falsata che presenta gli spazi come potenzialmente vulnerabili/pericolosi, ma praticamente protetti/sicuri, rinforzando l'immagine di un microcosmo dominato dalla forza ordinatrice del sovrano.


Considerazioni conclusive

I giardini mesopotamici possono essere interpretati come costruzioni culturali storicizzate, con diverse implicazioni ideologiche che si perpetuano e si modificano nel tempo. Vengono elaborati nel corso di tre millenni in relazione a specifici paradigmi, alcuni di lunga durata (es. sovrano-cacciatore), altri ascrivibili ad uno specifico contesto storico-geografico (es. i giardini “universali” assiri di I mill. a.C.). Possono essere concettualizzati come luoghi all'interno dei quali è possibile riconoscere dei paesaggi simbolici e, a partire dal II millennio a.C., si costituiscono come criteri di identità delle città, delle quali ipostatizzano floridità e benessere. Si tratta di spazi collocati in relazione topografica con i centri abitati e con gli edifici che li costellano, a livello sia urbano (simbolicamente o concretamente) sia extraurbano, che coniugano componenti naturali e artificiali, concorrenti alla costruzione di un “paesaggio” pianificato, la cui percezione è fortemente orientata da parte del soggetto a cui appartengono e il quale ne regola la fruizione, qualitativa e quantitativa. Possiamo per questo parlare di un “paesaggio in miniatura”, con implicazioni liminali e sacre.

Il riconoscimento di un “paesaggio liminale” è strettamente legato al concetto di “confine”, inteso in senso territoriale come spazio intermedio appartenente contemporaneamente a due o più sfere ideali e/o reali, e della relativa percezione. Si evidenziano tre tipologie di liminalità in relazione ai giardini mesopotamici e assiri.

In primo luogo, essi costituiscono la materializzazione di un confine sia simbolico, tra la realtà umana (tangibile, materiale, esperibile) e quella divina (eterea, immateriale, invisibile, percepibile solo tramite la mediazione dei simboli), sia pratico, a livello intracomunitario (per quanto attiene i criteri di accessibilità e la dimensione erotica) e intercomunitario (poiché rappresentano una delle tante declinazioni possibili delle relazioni internazionali, in senso oppositivo o aggregativo).

In secondo luogo, i giardini possono essere collocati materialmente in una relazione topografica con spazi connotati da una liminalità intrinseca (aree urbane periferiche, vie di comunicazione e canali), o essere rappresentati sulle soglie dei palazzi neoassiri, a loro volta luoghi intermedi per definizione, dove assumono anche un carattere apotropaico.

Infine, parchi e giardini possono riprodurre degli spazi liminali, come le montagne, le paludi e gli habitat naturali degli animali selvatici.

I parametri proposti da chi scrive e sperimentati nel corso del presente studio al fine di leggere questi caratteri, singolarmente ed in associazione reciproca, sono la diacronia e la liminalità, a cui si può correlare anche la sacralità. Attraverso un approccio interdisciplinare, fondato sui metodi dell'archeologia dei paesaggi, si può provare a ricostruire il percorso di elaborazione culturale dei giardini mesopotamici lungo tre millenni, mettendo in luce gli aspetti che li rendono, a tutti gli effetti, paesaggi sacri e liminali in miniatura.

                
                                
                

NOTE

1 Per l'identificazione dei giardini di Babilonia con quelli palatini di Sennacherib, a Ninive, cfr. DALLEY 1993; per la proposta su basi topografiche e archeologiche di una loro collocazione a Babilonia cfr. READE 2000. La loro definizione come “pensili” ha spinto FOSTER 2004, p. 214, a proporne l'interpretazione come «sunken gardens», percepibili come “sospesi” in relazione alla fruizione da parte del pubblico, che li osserverebbe da punti panoramici e terrazze sopraelevate. BOWE 2015, p. 154, suggerisce invece che la costruzione di terrazzamenti progressivi a imitazione dei pendii montani contribuisca a creare l'immagine di un giardino in discesa che potrebbe quindi definirsi “pensile” nel senso più ampio del termine. Secondo LIVERANI 2017, p. 65, questo aggettivo alluderebbe a «parchi reali coperti da un pergolato». Come emerge da questa rapida rassegna, l'individuazione topografica dei c.d. “giardini pensili di Babilonia” ed il significato stesso di tale designazione restano questioni discusse.

2 Dizionario di architettura 1992, p. 272.

3 Per un excursus delle interpretazioni della relazione tra giardino e paesaggio cfr. D'ANGELO 2021, pp. 10 - 12.

4 FARINETTI 2012, p. 9.

5 Cfr. D'ANGELO 2021, p. 12.

6 D'ANGELO 2021, p. 14.

7 FARINETTI 2012, p. 70.

8 Sulla persistente relazione etimologica tra il termine giardino ed il concetto di delimitazione nelle lingue moderne europee con radice indoeuropea cfr. D'ANGELO 2021, p. 13.

9 NOVÁK 2002, pp. 452 - 455; FOSTER 1999, p. 64; FOSTER 2004, p. 209.

10 RAMAZZOTTI 2008, p. 8.

11 KRAMER 1981, pp. 71 - 74.

12 BESNIER 1999, p. 211.

13 D'ANGELO 2021, p. 13.

14 BESNIER 1999, p. 208.

15 STRONACH 1990, p. 172; RAMAZZOTTI 2008, p. 13; BOWE 2015, p. 154.

16 BESNIER 2000, p. 27.

17 Literature of Ancient Sumer 2004, p. 122.

18 BESNIER 1999, p. 201.

19 BESNIER 2000, pp. 31 - 32.

20 BESNIER 2000, p. 30.

21 STRONACH 1990, p. 171.

22 FARINETTI 2012, pp. 73 - 74.

23 I cambiamenti nella percezione del paesaggio, come anche dei “paesaggi in miniatura” oggetto della presente discussione, possono avvenire su una scala temporale lunga, per esempio dal Periodo Protodinastico del III mill. a.C. al Periodo Neoassiro del I mill. a.C., o breve, per esempio all'interno del Periodo Neoassiro, con la cesura nelle modalità di concezione e costruzione dei giardini all'epoca dei Sargonidi individuata da OPPENHEIM 1965, p. 331.

24 ANDRAE 1952, p. 486.

25 ALBENDA 2018, p. 106.

26 LEACH 1982, p. 6.

27 BESNIER 1999, pp. 200 - 201.

28 FABIETTI 2004.

29 Cfr. VAN GENNEP 1909.

30 FOUCAULT 2004.

31 LOTMAN 2005, p. 208.

32 LOTMAN 2005.

33 INGOLD 1993, p. 156.

34 GRAYSON, NOVOTNY 2012, p. 12.

35 BESNIER 2000, p. 39.

36 Per una definizione del paesaggio sacro in termini archeologici, ma in un altro contesto culturale e cronologico (la Grecia di VIII-VII sec. a.C.), cfr. DE POLIGNAC 1996 (I ed. 1984). Per una proposta di applicazione di questo concetto alla Mesopotamia cfr. CURCIO in press.

37 ANDRAE 1952, p. 485.

38 DALLEY 1993, p. 1; BESNIER 1999, p. 206.

39 Gilgamesh, Tavoletta IX, ‘171-176. Cit. in GEORGE 2003, p. 673.

40 Sulla rilevanza dei colori brillanti e luminosi nei contesti apotropaici cfr. DONCEEL-VOÛTE 2018, p. 21. Sull'importanza della lucentezza nel lessico cromatico accadico e sull'associazione dei concetti culturali di purezza e sacralità con la luminosità, attribuita o percepita, in Mesopotamia cfr. WINTER 1994, p. 124; WINTER 1999, p. 46; THAVAPALAN 2018, p. 9. Sul valore apotropaico e liminale dell'associazione rituale tra lapislazzuli e corniola cfr. WINTER 1999, pp. 51 - 52. Per una diversa interpretazione del giardino di gemme, in relazione al parametro di artificialità, cfr. AMRHEIN 2015, p. 99.

41 BESNIER 1999, pp. 202 - 203.

42 BESNIER 2000, p. 29.

43 WISEMAN 1983, p. 138.

44 Sulla cerimonia dell'akītu cfr. COHEN 1993, pp. 397 - 403. Edifici analoghi a quello di Assur, extraurbani e volti alle celebrazioni del nuovo anno, sono attestati anche a Babilonia e Ur (nella vicina Gaeš).

45 ANDRAE 1952, p. 489.

46 DALLEY 1993, p. 6.

47 RAMAZZOTTI 2008, p. 9.

48 AMRHEIN 2015, p. 96.

49 NOVÁK 2002, p. 445.

50 WISEMAN 1983, p. 141.

51 DALLEY 1993, p. 4.

52 DALLEY 1993, p. 9.

53 L'interpretazione come altare del monumento raffigurato non è univoca. FOSTER 2004, p. 216, per esempio legge iconograficamente quello che ho definito altare sulla scorta dell'interpretazione di DALLEY 1993, p. 9, come una stele reale, simbolo in questo caso del manifesto politico del sovrano, utilizzando questa identificazione come elemento che avvalori la contestualizzazione del giardino in un cortile palatino.

54 Molte piante vengono percepite su un duplice piano: quello oggettivo, di osservazione della realtà, che porta alla descrizione quasi scientifica delle caratteristiche reali della vegetazione, e quello simbolico, che mette in relazione gli elementi noti con i concetti culturali di magia e purificazione. Ne costituiscono esempi frequenti ma non esaustivi tamerisco, palma da dattero, pianta-maštakal, pigna dell'abete, erba e nardo, elencate in uno scongiuro rivolto agli dèi della notte citato da BIGA, CAPOMACCHIA 2008, pp. 414 - 415. In ambito rituale, il legno di corniolo e la pianta maštakal vengono descritti in riferimento alle loro caratteristiche fisiche, esaltandone contemporaneamente il carattere liminale: le fronde del corniolo sono percepite come un sistema di collegamento con la sfera celeste, regno del dio An, mentre le sue radici affondano nell'oscurità sotterranea, cfr. WIGGERMANN 1992, p. 83, analogamente alla pianta maštakal, connotata come “sacra” anche in virtù della sua capacità liminale di afferire contemporaneamente a più sfere di esistenza diverse, simbolicamente quella terrena/marina (radici) e quella celeste/divina (rami). Invocazioni simili, con sfumature leggermente diverse nella forma ma sostanzialmente concordi sul ruolo rituale attribuito agli alberi menzionati, si ritrovano anche per il tamerisco, le canne e la pianta elteg-si. Per i testi degli incantesimi riferiti a queste specie vegetali cfr. GOFF 1956, p. 14.

55 CAUBET, MICHEL-DANSAC 2013.

56 BESNIER 1999, p. 209.

57 ANDRAE 1952, pp. 489 - 490.

58 MANDER 2021, pp. 133 - 134.

59 KRAMER 1981, p. 118.

60 WISEMAN 1983, p. 143.

61 DALLEY 1993, p. 3. ANDRAE 1952, p. 494, evoca l'importanza cultuale e la dimensione sacra dei giardini “dei morti”, in analogia con la tradizione occidentale dei giardini cimiteriali (basti pensare al cimitero acattolico di Roma) e con le tombe monumentali nei parchi funerari moghul (India). Si tratta in questo caso di esempi perfetti di eterotopie, su cui cfr. FOUCAULT 2004. La liminalità di questi contesti è insita nella relazione tra vivi e defunti in contesti specificamente individuati, materializzanti questo confine simbolico. In Mesopotamia non sono note attestazioni esplicite di questa tipologia di giardini, al di fuori dell'esperienza siriana ugaritica qui riportata.

62 WATANABE 2002, p. 72.

63 WATANABE 2002, pp. 72 - 75.

64 WATANABE 2002, pp. 76 - 82.

65 L'archetipo del “sovrano giardiniere e cacciatore”, cfr. NOVÁK 2002, pp. 444 - 445, viene elaborato a partire dal Periodo Protostorico e si perpetua ed arricchisce nei millenni successivi, fino a raggiungere l'apogeo nel Periodo Neoassiro. Per approfondire la condizione dei giardinieri (nukaribbu) in Mesopotamia cfr. WISEMAN 1983, p. 143 (con documentazione di ciechi, a Chagar Bazar, e donne che svolgono questa professione) e RAMAZZOTTI 2008.

66 BESNIER 2000, p. 32.

67 BESNIER 1999, p. 205.

68 BESNIER 1999, p. 204.

69 KRAMER 1981, pp. 71 - 74.

70 ANDRAE 1952; OPPENHEIM 1965; AMRHEIN 2015.

71 FOSTER 1999, p. 69.

72 NOVÁK 2002, p. 446.

73 Cfr. LIVERANI 2017, p. 66.

74 BESNIER 2000, p. 44. I giardini pubblici assiri vengono inoltre dotati di sementi e innesti tratti da quelli palatini, cfr. WISEMAN 1983, p. 142.

75 BESNIER 1999, p. 203.

76 LEACH 1982, p. 1.

77 NOVÁK 2002, p. 443.

78 MANDER 2021, p. 135.

79 BESNIER 1999, p. 210.

80 RAMAZZOTTI 2008, p. 8.

81 BOWE 2015, p. 165.

82 Per un'analisi del passaggio dall'esotismo al collezionismo per quanto attiene la costruzione dei giardini botanici nell'VIII sec. a.C., a partire dal regno di Sargon II, cfr. LIVERANI 2017, p. 63; LIVERANI 2018, pp. 108 - 110.

83 DALLEY 1993, p. 3.

84 DALLEY 1993, p. 4.

85 FOSTER 1999, p. 70.

86 BESNIER 1999, p. 210.

87 NOVÁK 2002, p. 452.

88 BESNIER 1999, pp. 209 - 210. Questa nuova forma dei giardini sembra essere di importazione occidentale ma si differenzia sostanzialmente dalle coeve esperienze egizie e mediterranee, caratterizzate come “landscaped gardens”, curatissime e simmetriche, cfr. OPPENHEIM 1965, p. 332. Un precedente storico nella costruzione di giardini che replicano artificialmente l'universo imperiale in miniatura e si rendono veicoli di un programma ideologico oltre che estetico e figurativo può essere individuato nei giardini di Akhenaten ad Amarna, in Egitto (ca. 1340 a.C.), cfr. FOSTER 2004, p. 209. Per un confronto tra l'esperienza mesopotamica e quella egizia in materia di giardini cfr. FOSTER 1999.

89 Per approfondire l'impianto idraulico dei giardini cfr. RAMAZZOTTI 2008, p. 14. Questa correlazione permette di sfruttare la ricostruzione del corso dei canali d'irrigazione per ipotizzare la presenza di giardini costruiti lungo di essi, pur restando nell'impossibilità di collocarli con precisione, cfr. BESNIER 2000, p. 31.

90 CURCIO in press.

91 LIVERANI 2018, p. 41.

92 KRAMER 1981, pp. 285 - 286.

93 ANDRAE 1952, p. 493.

94 BESNIER 2000, pp. 30 - 31.

95 BESNIER 2000, p. 35.

96 FOSTER 2004, p. 213.

97 Dizionario di architettura 1992, p. 272.

98 BOWE 2015, pp. 160 - 165.

99 STRONACH 1990, p. 173.

100 BOWE 2015, p. 155.

101 FELDT 2016, p. 356.

102 WIGGERMANN 1992, p. 155; DRAWNEL 2014, p. 20; FELDT 2016, p. 361.

103 PETTINATO 2001, p. 130; PERDIBON 2020.

104 WIGGERMANN 1992, p. 153.

105 OPPENHEIM 1965, p. 333; WISEMAN 1983, p. 139.

106 NOVÁK 2002, p. 449.

107 GRAYSON, NOVOTNY 2012, p. 20.

108 DALLEY 1993, p. 5.

109 ALBENDA 2018, p. 112.

110 BAGG 2020.

111 BAGG 2020, p. 70.

                    
                    
                    

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