Abstract.
La
tradizione
mesopotamica prevede dal III al I millennio a.C. la
costruzione di
giardini e parchi. Propongo di interpretare questi
luoghi come
paesaggi pianificati in miniatura e di osservarne le
implicazioni
liminali, che non sono ancora state prese in
considerazione nelle
analisi scientifiche dedicate a questi contesti.
L'applicazione del
modello metodologico del “paesaggio liminale”, proposto
da chi
scrive, si configura come elemento di originalità.
Parchi e giardini
vengono connotati come veicoli di programmi ideologici,
i cui
elementi di continuità e discontinuità possono essere
individuati
con un approccio diacronico. Questi luoghi si
caratterizzano per la
compresenza di diverse componenti e funzioni, che
concorrono alla
loro percezione come zone intermedie e liminali. Questa
concettualizzazione dei giardini e dei parchi come spazi
di margine,
appartenenti contemporaneamente a due o più sfere ideali
o reali, da
essi messe in relazione in senso aggregativo o
oppositivo, è
riconoscibile nel corso di tutti e tre i millenni presi
in
considerazione. La dimensione liminale dei giardini si
esplica in tre
forme complementari. In primo luogo, i giardini
materializzano un
confine, simbolico e/o pratico, diventando essi stessi
luoghi
liminali. In secondo luogo, essi possono essere
collocati fisicamente
e simbolicamente all'interno di spazi liminali. Infine,
essi
possono riprodurre degli spazi concettualizzati come
liminali.
Parole
chiave:
giardini;
parchi; liminalità; paesaggio; Mesopotamia antica;
Assiria.
Paesaggi
pianificati
in miniatura
La
costruzione
di spazi destinati ad essere usati come giardini e come
parchi zoologici è attestata in Mesopotamia a partire
dal Periodo
Protodinastico (III millennio a.C.) e si perpetua con
continuità fin
oltre l'età ellenistica. La grandiosità degli esemplari
orientali
del I millennio a.C. viene universalmente riconosciuta,
tanto da
meritare l'inclusione di quelli “pensili” di Babilonia
nella
lista delle sette meraviglie del mondo antico.
Dalla
definizione
di giardino proposta nel Dizionario
di
Architettura
emergono tre tratti fondamentali che trovano una
corrispondenza
puntuale nella tradizione vicino-orientale: la
“piantagione
artificiale”, la delimitazione e la connessione
topografica, più o
meno diretta, con edifici e spazi urbani.
I
giardini vengono spesso definiti in termini di
artificialità,
contrapposta alla naturalità attribuita al paesaggio.
Se tuttavia si parte dal presupposto che quest'ultimo
possa essere
inteso come un insieme sinergico di elementi culturali e
ambientali
che concorrono, singolarmente ed in associazione
reciproca, alla
creazione di un ambiente vissuto e percepito ,
tale equazione non risulta sufficiente per la
definizione di questi
contesti .
Un carattere distintivo dei giardini risulta essere la pianificazione
dell'interazione tra natura e architettura, che si
intrecciano
secondo uno schema concettuale preordinato imposto da
chi lo
progetta, costruendo a loro volta un ambiente vissuto e
percepito. Ne
consegue che essi possano essere considerati dei
paesaggi pianificati
in miniatura, atti a materializzare e trasmettere
specifici messaggi
culturali.
La
rivendicazione
proprietaria, da parte sia di umani sia di divinità,
a cui sono soggetti questi spazi ne permette
coerentemente
l'interpretazione come veicoli di programmi ideologici e
simbolici.
Il paesaggio può essere percepito da una pluralità di
prospettive,
moltiplicabili e non prestabilite, mentre i giardini
possono essere
fruiti da punti di vista limitati e preordinati .
Essi
possono
essere considerati luoghi,
intesi come «una porzione di spazio idealmente o
materialmente
delimitata» .
La presenza di un marcatore di confine, più o meno
evidente, diventa
un carattere centrale nella loro definizione,
tanto che in persiano antico vi si fa riferimento come “pairi-daēza”
(giardini circondati da mura, gr. paradeisoi),
esempi
dei quali si trovano dalla capitale achemenide Pasargade
alla
città nabatea Petra, dai palazzi ellenistici di Vergina
a quelli di
Alessandria, fino ad essere assimilati nella tradizione
architettonica dei califfi abbasidi .
La delimitazione può essere materializzata con marcatori
artificiali, come muretti in terra battuta e staccionate
di canne ,
naturali, come gli alberi ad alto fusto ,
o geomorfologici, in relazione alle condizioni
ambientali del terreno
.
I
giardini vengono abitualmente descritti come luoghi di
dimensioni
ridotte ,
caratteristica necessaria poiché lo spazio recintato,
urbano o
extraurbano che sia, è per definizione finito. I sovrani
neoassiri
si contraddistinguono per averne costruiti di dimensioni
monumentali,
come dimostrano per esempio quello di Assurnasirpal II
(883-859 a.C.)
a sud-ovest di Nimrud, per il quale viene stimata
un'estensione di
circa 25 km2,
e quello di Sargon II (722-705 a.C.), che costeggia il
perimetro di
Dur-Šarrukin con migliaia di piante aromatiche e da
frutto, per una
lunghezza di ben 7.460 m.
Infine,
i
giardini si pongono necessariamente in una relazione
topografica
con lo spazio costruito, urbano ed extraurbano.
Nel
III
millennio a.C. la maggior parte delle fonti ne attesta
la
costruzione all'esterno delle cinte murarie ma,
parallelamente, la
concezione di tali luoghi come estensioni del tessuto
urbano .
L'impianto di giardini all'interno delle città risulta,
invece,
un'evenienza meno convenzionale, abitualmente legata a
momenti di
crisi. Un'attestazione in questo senso è offerta dal
testo della
Maledizione
di Akkad,
dove al ritratto desolato di una città distrutta, le cui
porte sono
scardinate e il cui controllo è affidato a briganti e
prigionieri,
si associa, come dimostrazione ulteriore della barbarie
degli
invasori stranieri venuti dalle montagne, l'immagine
della
costruzione di giardini dentro il perimetro delle mura
invece che nei
territori esterni adiacenti.
All'inizio
del
II mill. a.C. alcune tavolette dell'archivio di
Balmunamḫe di
Larsa menzionano, in quel contesto, dei giardini in cui
vengono
coltivati palme e tamerischi, oppure palme, meli e
melograni .
La città di Borsippa si pregia di avere grandi giardini,
che ne
rappresentano la floridezza e inorgogliscono i
cittadini. Fonti
scritte ne attestano la presenza all'interno delle cinte
murarie a
Kutalla e Babilonia in Epoca Cassita .
Progressivamente viene quindi ad affermarsi la pratica
di costruire
questi luoghi anche dentro il perimetro delle mura,
sancendo
un'evoluzione nella concezione dei giardini “urbani”,
prima
concettualmente e poi concretamente tali. Con l'inizio
del II
millennio a.C. la presenza di questi ultimi viene
iscritta tra i
“criteri d'identità di una città”
e, a partire da questo momento, la rigogliosità del
giardino diventa
una caratteristica emblematica, propiziatoria e
dimostrativa della
prosperità della città o del Paese stesso .
La
correlazione
di un giardino con la cinta muraria cittadina su un
ortostato scolpito neoassiro dal Palazzo Sud-Ovest di
Ninive dimostra
come questo processo culmini nel I millennio a.C.,
rendendo ormai
possibile considerare questi luoghi come marcatori
topografici di un
“paesaggio simbolico”
condiviso e contestualmente come elementi di rilievo
nella
definizione dell'identità urbana, al pari delle mura
urbiche.
Parchi
e
giardini si caratterizzano come elaborazioni
culturalmente
orientate e storicizzate. Ciò sottende un intrinseco
dinamismo, che
può declinarsi in senso potenzialmente evolutivo o
involutivo, e
deve essere correlato con i mutamenti subiti dalle
società di cui
sono espressione, precludendone l'interpretazione in
forma statica.
La diacronia può dunque essere considerata uno strumento
privilegiato e irrinunciabile per lo studio
dell'evoluzione delle
forme e delle ideologie soggiacenti alla costruzione di
questi
luoghi, soprattutto nel variegato contesto mesopotamico.
Dal
punto
di vista pratico, gli elementi costitutivi e prototipici
del
giardino in Mesopotamia, per lo più ripresi in qualità
di archetipi
nella descrizione dell'Eden fornita dalla Genesi
,
risultano essere: la delimitazione; la presenza di
alberi
simbolicamente connotati; la rigogliosità espressa sotto
forma della
prosperità dei frutti; la presenza di animali; la
necessità di
irrigazione e la prossimità ai due grandi fiumi di
riferimento,
riassumibili nell'associazione concettuale e concreta
con l'acqua
corrente. Un esempio della correlazione di queste
componenti può
essere riscontrato nell'iconografia di una pixis
e di un
pettine
rinvenuti in una tomba di fine XIV/inizio XIII sec. a.C.
ad Assur .
È degna di nota una caratteristica che differenzia
sostanzialmente i
giardini mesopotamici e assiri da quelli moderni, vale a
dire la
mancata distinzione tra piante ornamentali e piante
produttive ,
che si concretizza nella loro coesistenza nei medesimi
spazi. La
definizione tipologica, che si rispecchia
nell'eterogeneità
lessicale con cui ci si riferisce a questi luoghi, viene
operata in
relazione a criteri come le modalità di
approvvigionamento idrico,
la presenza di recinzioni e la funzione auspicata, sia
essa rituale,
utilitaria o ricreativa .
Giardini
e
liminalità
I
giardini vicino-orientali vengono concettualizzati come
luoghi
intermedi, che appartengono contemporaneamente a due o
più contesti,
reali o ideali. Gli esseri umani tracciano confini per
delimitare
spazi fisici e culturali, per definire una comunità in
opposizione o
in associazione a un'altra, per esprimere la differenza
tra una
realtà immanente e una trascendente .
La distanza tra questi concetti opposti è colmata da
zone di
margine, liminali (dal latino limen,
“soglia”) ,
che li mettono in contatto reciproco e di conseguenza
attestano la
permeabilità dei confini che li separano, e che potremmo
considerare
alla stregua delle “eterotopie” teorizzate da M.
Foucault .
Questi
confini,
intesi come «molteplicità di punti che appartengono
simultaneamente allo spazio interno ed esterno» ,
costituiscono delle aree contemporaneamente di
separazione e
aggregazione culturale la cui stessa elaborazione è
concettualmente
significativa ,
nel caso in oggetto caratterizzate da una dimensione
territoriale.
Partendo dal presupposto che in natura non esistono
elementi
costituenti di per sé dei confini, i quali sussistono
solo in
relazione all'attività degli umani che li elaborano ,
i concetti di percezione
e materializzazione
risultano due elementi fondamentali nel riconoscimento
degli spazi
intermedi.
I
giardini assumono una connotazione liminale grazie a
specifici
marcatori concreti e simbolici. In quest'ultimo senso
acquista
particolare rilevanza la toponomastica, indice della
percezione dei
luoghi da parte delle popolazioni che la producono. A
Ninive si
contano tre porte urbiche (esse stesse luoghi di soglia
per
eccellenza) i cui nomi sono significativi della
relazione con i
giardini. Si tratta della Porta del Giardino (o Porta di
Sin), la
quale presenta un'iscrizione che recita: «Il Dio
Igisigsig È
Colui Che Fa Prosperare I Frutteti» ,
della «Porta di Adad dell'ambassu»,
collocata
a nord della città, accanto alla precedente, e della
«Porta del Giardino della Rampa (mušlâlu)»,
che
si apre sulla cinta occidentale, a sud della cittadella,
assecondando il corso del fiume Khosr .
La
dimensione
liminale dei giardini mesopotamici si esplica in tre
forme
complementari. In primo luogo, i giardini materializzano
un confine,
simbolico e/o pratico, diventando essi stessi luoghi
liminali. In
secondo luogo, essi possono essere collocati fisicamente
e
simbolicamente all'interno di spazi liminali. Infine,
essi possono
riprodurre degli spazi concettualizzati come liminali.
I
giardini come luoghi liminali
Confini
simbolici
Il
primo
confine che viene materializzato nei giardini è di tipo
simbolico e consiste nel riconoscimento di uno spazio di
incontro e
negoziazione tra la sfera divina e quella umana. Tale
constatazione è
strettamente intrecciata alla loro definizione come
paesaggi sacri
in miniatura.
W.
Andrae
ha scritto che tutti i giardini mesopotamici
costituiscono
spazi sacri .
La scelta di impiantarli nelle città, presso i templi, i
palazzi e i
cortili delle dimore private, può essere correlata alla
volontà di
materializzare un concetto culturale di “paradiso”,
inteso come
residenza ideale e inaccessibile delle divinità, a cui
questi luoghi
sono concettualmente ed etimologicamente legati .
Un esempio in questo senso si ritrova nell'epopea di
Gilgamesh, nel
momento in cui l'eroe, varcata la soglia simbolica del
Monte Mašu
da cui sorge e tramonta il sole, custodita da un uomo-
ed una
donna-scorpione, accede al giardino degli dèi. Questo
luogo “altro”
viene tratteggiato secondo i concetti culturali di
purezza e
sacralità elaborati dalla cultura mesopotamica, portati
ai massimi
estremi nella descrizione di un giardino “ideale” che
ipostatizza
lo spazio sacro per eccellenza. Propongo infatti di
interpretare gli
alberi di gemme ammirati dall'eroe
in relazione al paradigma culturale che associa al
concetto di
brillantezza, alla corniola e ai lapislazzuli, ossia ai
tre elementi
messi in risalto dal testo, un simbolismo cromatico
legato alla sfera
divina.
A
partire dal Periodo Protodinastico e nel corso dei
millenni
successivi è attestata la costruzione da parte dei
sovrani
mesopotamici di giardini per le divinità, che vengono
concettualizzati come offerte alle figure divine
titolari dei templi,
alle cui architetture risultano associati, disposti
nelle corti
interne o lungo il perimetro esterno .
Questa correlazione può essere sia diretta, quando
circondano il
tempio e sono dunque contigui alla fabbrica sacra, sia
indiretta, con
l'attribuzione nominale di giardini extraurbani alla
gestione
templare urbana, creando un rapporto di pertinenza
simbolica ma non
topografica .
Questi
contesti
sono inequivocabilmente attestati nella città di Assur
nel
Periodo Medioassiro e a Dur-Kurigalzu nel Periodo
Cassita .
L'allestimento di un giardino extraurbano nel territorio
della
città sacra di Assur, in relazione all'edificio rituale
destinato
alla celebrazione della festa del nuovo anno (bit-akītu)
,
è ascritto al sovrano Sennacherib (705-681 a.C.),
contestualmente al
restauro della struttura. Si tratta di uno dei rari casi
in cui la
ricostruzione di un giardino è resa possibile dalla
documentazione
archeologica. La missione tedesca ha potuto risalire
alla
disposizione originaria delle componenti (Fig. 1),
Fig. 1 - Ricostruzione del giardino interno (nel cortile) ed esterno (perimetrale) dell'edificio rituale (bit-akītu) di Assur, Periodo Neoassiro (in ANDRAE 1952, Tafel 25b)
riscontrando nel
cortile interno e lungo il perimetro dell'edificio la
presenza di
file regolari di fosse che un tempo ospitavano le radici
di un
centinaio di cespugli
o di alberi a fusto sottile, la cui specie non è più
ricostruibile
.
È possibile che questo giardino costituisse una replica
di spazi
analoghi distrutti da Sennacherib a Babilonia durante la
sua
conquista nel 689 a.C.
Sembra
che
tutti i templi mesopotamici fossero dotati di un proprio
giardino, che poteva essere tanto concreto quanto
simbolico,
declinato rispettivamente come terreno coltivato con
alberi, erbe e
fiori o come rappresentazione iconografica su una
varietà di
supporti eterogenei, ma anche come esposizione
temporanea di piante
in vaso .
I
giardini dei templi si caratterizzano come luoghi
preposti allo
svolgimento di attività rituali nel corso di tutti e tre
i millenni
presi in esame.
Un
Calendario
Cultuale della dinastia Ur III menziona offerte in un
giardino a Girsu e la presenza di uno spazio omologo (kiri6.maḫ)
a Nippur .
Il sovrano babilonese Nebuchadrezzar (1119–1098 a.C.)
attesta la
percezione di questi luoghi come spazi in cui
raccogliere frutti e
legni pregiati da offrire alle divinità .
Nell'VIII
secolo
a.C., Sargon II costruisce un lago artificiale a Dur
Sharrukin
(Fig. 2),
Fig. 2 - Disegno ricostruttivo del bassorilievo raffigurante il giardino reale di Sargon II
a Dur Sharrukin (Khorsabad), con lago artificiale, collina di conifere e altare, Periodo Neoassiro (in BOWE 2015, fig. 2, p. 153)
e allestisce un monumento interpretato come altare
circondato da conifere sulla sommità di una collinetta
artificiale,
parte di un giardino la cui collocazione urbana non è
certa .
Il
giardino
del palazzo di Ninive al tempo di Assurbanipal (VII sec.
a.C.), raffigurato su un rilievo conservato al British
Museum (Fig.
3),
Fig. 3 - Raffigurazione dei giardini di Sennacherib a Ninive su un rilievo datato al regno di Assurbanipal ora al British Museum (in NOVÁK 2002, p. 450, fig. 8)
si caratterizza per la ricorrenza della centralità
dell'altare,
a cui conduce l'ampio viale principale, fiancheggiato da
diverse
specie arboree e attraversato da un corso d'acqua .
In
entrambi
i contesti neoassiri si ritrovano quindi tre elementi
rituali dirimenti: gli alberi, molti dei quali venivano
utilizzati o
invocati in campo rituale; l'acqua, da consacrare come
elemento
purificatore e dotata di un proprio significato
liminale; e l'altare,
simbolo della sacralità impressa al luogo e
dell'utilizzo di
questo spazio per finalità cultuali.
La
scelta
delle specie botaniche da piantare non viene lasciata al
caso
e risponde a specifiche esigenze simboliche. Le
proprietà
apotropaiche e rituali ascritte a diverse classi
vegetali influenzano
in una certa misura la loro selezione.
Così, per esempio, i cedri vengono importati dal Libano
perché
richiamano le imprese di Gilgamesh nella foresta di
Ḫumbaba, mentre
le palme
ed i melograni assurgono a simboli di fertilità e
opulenza .
Il
ruolo
centrale della vegetazione come componente inderogabile
dei
giardini è ulteriormente enfatizzato nella ricostruzione
delle
associazioni topografiche e percettive della corte
interna del
bit-akītu
di Assur (Fig. 1) per le cui piante è possibile
suggerire una
funzione liminale. Esse, infatti, vengono innestate di
fronte alla
cella dell'edificio religioso in modo che siano visibili
dalle
statue di culto ivi collocate, assurgendo in questo modo
ad elementi
magico-rituali intermedi che consentono un contatto
mediato ed
indiretto tra umani e dèi .
Il
fiume
costituisce a sua volta un elemento liminale, in quanto
unisce
e separa contemporaneamente le due sponde opposte,
risultando in
questo modo un contesto privilegiato per lo svolgimento
delle
pratiche rituali. La sua concezione come confine tra
cosmo e caos
avvalora la correlazione simbolica e materiale
instaurata tra
giardini e acqua corrente, entrambi considerati aree di
margine
favorevoli alla comunicazione tra sfere di esistenza
diverse.
Non
è
forse un caso che un detto sumero relativo ai fuorilegge
reciti:
«You are put in water, the water becomes foul. You
are
put in a garden, the fruit begins to rot» .
In
virtù della
percezione dell'acqua come un elemento di purificazione
rituale, la
sua associazione in metafora con il giardino fertile
(puro, ordinato,
legittimo), in opposizione alla frutta che marcisce in
presenza dei
criminali (impuri, emissari del caos, fuorilegge),
assume una
rilevanza ideologica da non sottovalutare.
La
tradizione
mesopotamica di svolgere cerimonie religiose nei
giardini
viene duramente criticata, quindi indirettamente
attestata, anche da
fonti giudaiche, che ne stigmatizzano la correlazione
con rituali
apotropaici e ne mettono in luce un'ulteriore
dimensione, legata
alla sepoltura e al successivo culto dei sovrani in tali
contesti .
Questa implicazione funeraria è documentata per quanto
attiene le
corti dei palazzi siriani del II mill. a.C., dove è
attestato lo
svolgimento di pratiche cultuali rivolte ai defunti o
indirizzate a
divinità ctonie, come nel caso del dio Resheph, che ad
Ugarit (ca.
1400 a.C.) riceveva sacrifici e libagioni nel giardino
palatino.
L'esistenza
di
riserve faunistiche è attestata a partire dal Periodo
Protodinastico, nella città di Lagash, dove vengono
costruite con
uno scopo religioso, forse legato al culto della dea
Ninḫursag .
La comunicazione testuale e iconografica associa la
caccia dei tori
selvatici condotta pubblicamente dai sovrani in questi
contesti
all'uccisione del Toro del Cielo, entità pienamente
liminale, da
parte dell'eroe Gilgamesh, per un periodo cronologico
significativamente esteso, dal regno di Shulgi (Ur III)
al Periodo
Neoassiro ,
costruendo un intreccio significativo tra rito e mito.
Analogamente,
la
caccia ai leoni, parte fondamentale del cerimoniale
neoassiro, che
si svolgeva negli appositi parchi (ambassu),
è
stata interpretata come una forma rituale di
rappresentazione del
mito del dio Ninurta, in cui il re rinforza, al cospetto
dei suoi
cittadini, la propria sovranità attraverso l'uccisione
dei
“nemici” ipostatizzati dai leoni, che costituiscono
anche i
surrogati dei demoni sconfitti dal dio .
L'archetipo
del
“sovrano cacciatore” viene dunque ritualizzato e
materializzato nel lungo periodo, costituendo un primo,
costante e
fondamentale riferimento per l'interpretazione di
riserve
faunistiche e giardini come spazi liminali, in relazione
all'implementazione plurimillenaria di una correlazione
paradigmatica tra sovranità, caccia e giardinaggio.
Esistono
altre
forme rituali che trovano nei giardini dei luoghi di
espressione privilegiati o quantomeno favorevoli.
Il
re
babilonese Hammurabi (XIX sec. a.C.), per esempio,
sceglie questi
contesti come sfondo per alcune cerimonie militari,
secondo due testi
dell'archivio di Mari che ricordano una parata di
portabandiera e
la distribuzione di doni del sovrano alle truppe, in
quest'ultimo
caso nel «giardino di Dilmun» .
Nei
giardini
si svolgono anche le cerimonie d'investitura, che
possono
avvenire sia su un piano “orizzontale”, da una divinità
all'altra, sia su un piano “verticale”, nel caso della
trasmissione degli emblemi del potere dagli dèi ai
sovrani umani .
Al loro interno si presta giuramento, con la stessa
valenza e
sacralità dei voti suggellati nei templi, o si
amministra la
giustizia, come documentato a Susa .
Queste attività rituali rafforzano la percezione dei
giardini come
luoghi favorevoli alla comunicazione tra la sfera umana
e quella
divina o quantomeno intermedia, garante sovrannaturale e
onnisciente
degli impegni presi e della validità delle pene
comminate.
In
sintesi,
parchi e giardini presentano una compresenza di elementi
culturali (la pianificazione, la delimitazione, la
relazione
topografica con strutture a carattere religioso) e
naturali (la
vegetazione, l'acqua corrente, gli animali), che
risultano
associati in un luogo percepito come sacro e ricondotti,
attraverso
un processo di ritualizzazione e materializzazione, alla
definizione
di un paesaggio sacro intrinsecamente liminale.
Il
mito
di Shukallituda
esprime in maniera esemplare questa concezione,
presentando il
giardino del protagonista come spazio intermedio in cui
il
giardiniere mortale può incontrare (e violentare) la dea
Inanna.
Quest'ultima vi giunge dopo aver attraversato diversi
confini sia
ontologici (il cielo e la terra) sia geografici (Elam e
Shubur).
Inanna, che appartiene alla sfera divina, può di
conseguenza agire
sullo stesso piano di realtà dell'essere umano
all'interno di
uno specifico luogo “di margine”: il giardino.
Confini
intracomunitari
Dal
punto
di vista intracomunitario il principale elemento di
liminalità
che interessa i giardini è legato al quoziente di
accessibilità.
Trattandosi, come si è detto, di luoghi delimitati e
oggetto di
rivendicazioni proprietarie, si assiste all'elaborazione
di un
confine oppositivo che si concretizza nella dicotomia
concettuale tra
spazi “permessi” e spazi “proibiti”. Il problema del
carattere pubblico o privato dei giardini urbani ed
extraurbani gioca
un ruolo centrale nella loro interpretazione ed il
principio di
accessibilità è stato preso in considerazione in diversi
studi .
Il
parco
extraurbano di Assurnasirpal II a Nimrud raccoglie ed
esibisce
diversi animali selvatici ed esotici, tra cui scimmie,
elefanti,
orsi, rari cervidi e creature acquatiche mediterranee ,
che vengono offerti ai suoi sudditi per suscitarne
l'ammirazione .
Tale dichiarazione induce a presumere un alto grado di
accessibilità
per questo spazio rivolto alla comunità e ai posteri,
costruito con
il benestare e per la gloria del dio principale del
pantheon assiro,
come dimostra l'invocazione «Al cospetto di Aššur queste
creature vivano!» a conclusione dell'iscrizione
celebrativa .
Un'ampia parte della cittadinanza doveva inoltre poter
assistere
alle già citate cacce rituali svolte in questa tipologia
di
contesti.
Nel
I
millennio a.C., a Ninive è attestata la presenza di
giardini
pubblici offerti dal sovrano alla cittadinanza per la
coltura di
frutteti ed orti, nel quadro di una politica urbanistica
che prevede
la ripartizione regolamentata dei lotti di terreno,
elemento che
segna un cambiamento fondamentale rispetto alle epoche
precedenti,
quando la costruzione di questi spazi in contesti urbani
era lasciata
all'iniziativa dei privati .
I
giardini templari si caratterizzano invece per una
presunta
differenziazione di accessibilità. La frequentazione di
quelli
interni è proibita alla maggioranza dei mortali, mentre
quelli
esterni si caratterizzano per una maggiore permeabilità,
in quanto
atti allo svolgimento di rituali che prevedono una più
ampia
partecipazione comunitaria, pur se limitatamente a
circostanze
specifiche .
I
giardini palatini dei sovrani e quelli domestici dei
singoli membri
della comunità, da intendere come kitchen
gardens
,
sono egualmente privati e dunque inaccessibili ai non
autorizzati.
Dal
punto
di vista intracomunitario, una dimensione aggregativa
dei
giardini viene invece riscontrata nella loro
connotazione come luoghi
in cui si assottiglia il confine tra i sessi. In
Mesopotamia è
attestata una correlazione con la sfera erotica, come
attesta un
topos
letterario ricorrente che associa l'espressione “andare
al
giardino” all'atto sessuale e si serve di metafore
legate al
giardinaggio per alludere agli organi riproduttivi
maschili e
femminili .
In questo senso acquista ulteriore importanza anche
l'associazione
concettuale e materiale con l'acqua corrente, a sua
volta connotata
da un simbolismo erotico .
Confini
intercomunitari
Il
giardino
può diventare anche uno strumento di gestione delle
relazioni internazionali, ossia un luogo in cui
riflettere sulla
propria identità comunitaria in relazione a quella di
comunità
esterne e in cui ostentare la propria superiorità.
I
giardini delle popolazioni conquistate vengono razziati
e distrutti
in quanto simboli della prosperità della cultura che li
ha
costruiti. Si tratta di una pratica frequentemente
attestata dal III
al I millennio a.C.
e ne costituisce un chiaro esempio la conquista e
distruzione di
Babilonia e dei suoi giardini da parte del sovrano
neoassiro
Sennacherib .
Il suo successore Esarhaddon (681-669 a.C.) include nel
bottino
importato dalle città sconfitte anche dei giardinieri
locali,
affinché prendano servizio presso il suo palazzo .
L'esportazione
e
l'importazione da Paesi lontani di specie esotiche,
faunistiche o
floreali, per arricchire i propri giardini, può invece
essere
ricondotta sia ad un tributo imposto o ad una forma di
bottino
sottratto ai regni sconfitti, sia ad uno strumento
diplomatico per il
mantenimento di buone relazioni internazionali. In
entrambi i casi, a
mio parere, i giardini e le loro componenti si
costituiscono come
spazi di elaborazione e negoziazione della propria
identità
culturale e del rapporto con comunità esterne,
declinandolo
alternativamente in chiave oppositiva o aggregativa.
La
pratica
dei regni vassalli di donare ai sovrani stranieri, in
occasione delle loro visite, specie animali e vegetali
esotiche da
collezionare
è attestata a partire dal 2000 a.C. Questi esemplari
venivano
plausibilmente inseriti in spazi appositi distinti dal
palazzo
propriamente detto, forse extraurbani .
Tiglath-Pileser
I
ricorda con orgoglio di aver ricevuto omaggi da Biblo,
Sidone e
Arvad, comprendenti un coccodrillo ed una grande scimmia
femmina
delle regioni costiere .
Sull'obelisco nero di Salmanassar III sono raffigurate
varie scene
di tributo al sovrano, tra cui riveste particolare
interesse la
rappresentazione di animali esotici, accompagnata
dall'iscrizione
che ricorda l'importazione di una coppia di cammelli «a
due
gobbe», un elefante indiano e due primati .
I
luoghi costruiti per ospitare questi esemplari allogeni
vengono
concettualizzati come spazi «migliori», più fertili,
adatti e
propizi alla loro rigogliosa esistenza rispetto a quelli
d'origine,
giustificando la conquista delle terre remote da cui
provengono .
Nel
I
millennio a.C. giardini e parchi neoassiri possono
essere
interpretati come microcosmi pianificati che
rappresentano le diverse
regioni del mondo attraverso le specie botaniche e
faunistiche ivi
importate ed esposte. Il carattere “universale” delle
città
assire, nelle quali coesistono persone, fauna e flora
indigene e
straniere, costituisce un elemento portante del
programma ideologico
soggiacente alla costruzione dei giardini, volto a
legittimare il
dominio del sovrano su ogni angolo dell'ecumene .
La magnificenza, la grandezza e la fertilità dei
giardini neoassiri
possono essere identificate come specchi ideali della
ricchezza, del
potere e del favore divino, ossia dei tratti
caratteristici dei
sovrani di questo periodo, oltre che come
rappresentazioni simboliche
dell'impero conquistato.
A
mio avviso, l'atto di ricreare artificialmente dei
paesaggi
conquistati e lontani può inserirsi nel più ampio
contesto di una
reinterpretazione della realtà in relazione ad un
preciso programma
simbolico ed ideologico. Il sovrano ripropone in forma
ordinata,
poiché mediata dalla sua azione civilizzatrice, un
paesaggio
originariamente caotico, in quanto estraneo,
ricostruendo
artificialmente un habitat
naturale non autoctono e rappresentando la sua vittoria
e implicita
superiorità in maniera concreta e tangibile. Si
evidenzia quindi un
primo confine ideologico tra ciò che è
ordinato/civilizzato/conquistato e ciò che è
caotico/barbarico/indipendente, rappresentato in un
luogo “altro”,
appunto il parco o il giardino, che si costituisce come
spazio di
negoziazione e intermediazione tra questi due opposti.
Giardini
all'interno
di spazi liminali
Oltre
a
costituire spazi liminali, i giardini possono essere
collocati in
contesti di per sé intermedi, che ne avvalorano
l'interpretazione
in tal senso.
Si
evidenzia
in primo luogo il loro accostamento a dei luoghi
deputati
alle relazioni intercomunitarie, quali la rete idrica di
canali, i
principali assi viari del regno e le vie processionali
con finalità
sacro-rituali.
La
complessa
e articolata rete di canali costruita in Mesopotamia si
caratterizza come un sistema di vie d'acqua interrelate,
lungo i
cui percorsi è documentata la pratica di collocare i
giardini.
Si tratta in questo caso di una correlazione contestuale
e
concettuale con delle “strade acquatiche”, che si
caratterizzano
in primo luogo come elementi associati alla costruzione
del paesaggio
sacro di cui sopra ,
posti sotto la tutela delle divinità in nome delle quali
vengono
costruiti, come dimostra a titolo esemplificativo la
retorica del
sovrano Ur-Nanshe di Lagash .
In secondo luogo, i canali possono essere intesi come
strumenti di
collegamento tra sfere diverse, essendo caratterizzati
dalla presenza
di acqua corrente, delle cui implicazioni liminali si è
detto.
Dai
versi
dell'Inno
a
Shulgi
emerge
l'attestazione di un'ulteriore tipologia di giardino
extraurbano
posto lungo le vie maggiori del regno e associato a
spazi intermedi
di sosta. In questo caso, i giardini diventano luoghi di
incontro
intercomunitario, situati in punti topografici
significativi, in
corrispondenza di “locande” ante-litteram
dove i viandanti potevano fermarsi a riposare durante il
giorno, ma
anche trovare rifugio e sicurezza durante la notte .
Un'analoga
associazione
tra giardini e strade è stata rilevata per quanto
riguarda le vie processionali che collegavano i centri
urbani ai
luoghi di culto extraurbani, come ad Assur e Babilonia,
ma anche, in
un diverso contesto cronologico e geografico, nel tempio
di Apollo a
Didima .
Un'attestazione
ancora
più stringente è individuabile per il III e il II mill.
a.C., quando i giardini “urbani” trovano dei contesti di
costruzione privilegiati nelle zone periferiche delle
città,
tendenzialmente fuori dalle mura, come il quartiere
portuale di Ur .
Nel caso di centri dotati di cinte murarie doppie, i
giardini urbani
vengono probabilmente collocati nello spazio tra esse
ancora nella
seconda metà del II e nel I millennio a.C.
Questa
specificità
topografica mi sembra particolarmente significativa
della loro concezione come luoghi liminali, appartenenti
contemporaneamente alla sfera urbana e a quella
extraurbana, che
trovano dunque la collocazione ideale nello spazio
ambiguo,
indeterminato e “di confine” tra questi opposti,
caratteristico
dei quartieri periferici.
Un
corrispettivo
simbolico di questa interpretazione può essere
riconosciuto nella decorazione delle soglie palatine
neoassire,
caratterizzate dalla ricorrenza di motivi floreali,
principalmente
consistenti in rosette e quadrifogli (Fig. 4),
Fig. 4 - Soglia decorata con motivi floreali apotropaici, ca. VII sec. a.C., probabilmente da Ninive (Metropolitan Museum Accession Number X.153) © The Met Collection API
con una
plausibile
valenza apotropaica, in quanto invocazioni della tutela
rispettivamente della dea Ishtar e del dio Shamash .
La collocazione in spazi esplicitamente liminali, quali
gli ingressi
e le soglie, di queste riproduzioni dei tappeti fioriti
e la loro
attestata allusione all'invocazione della protezione
divina contro
minacce naturali e sovrannaturali costituiscono due
elementi che
possono contribuire all'interpretazione dei giardini
concreti.
Giardini
che
imitano contesti liminali
Infine,
alcuni
parchi e giardini vengono costruiti a imitazione di
spazi
concettualizzati come liminali.
In
termini
architettonici, i giardini vicino-orientali potrebbero
essere
definiti «naturalistici», quindi caratterizzati da un
impianto
irregolare e dalla volontà di imitare dei paesaggi
«ideali»
oppure, come attestato in diversi contesti mesopotamici,
reali ed
esperibili, ma ideologicamente connotati.
Sargon
II,
Sennacherib ed Esarhaddon, per esempio, affermano di
aver
costruito i loro giardini palatini a immagine e
somiglianza del Monte
Amano, dal quale era tradizione importare il legname
pregiato,
principalmente legno di cedro, per la costruzione dei
templi e dei
palazzi.
Il
sovrano
neobabilonese Nebuchadnezzar II (ca. 605-562 a.C.)
afferma
che il proprio palazzo «assomiglia ad una montagna», con
un
plausibile riferimento alla riproduzione di un ambiente
montuoso
sulla scorta della tradizione assira. In questo caso si
tratterebbe,
però, dell'importazione della vegetazione propria della
catena del
Tauro, come querce ed alberi da frutto, in relazione ad
un interesse
per la cultura dei Medi dettata dalle origini della sua
consorte .
L'importanza
simbolica
attribuita alla riproduzione degli ambienti collinari e
montani in Assiria è dimostrata e rinforzata dalla
complessa e
impegnativa opera di sostruzione del terreno
pianeggiante, sul quale
vengono eretti tumuli artificiali che permettano una
correlazione
simbolica con le catene montuose .
Questa assimilazione con i contesti montani prevede
comunque un'opera
di razionalizzazione dello spazio. I rilievi artificiali
vengono
terrazzati per creare un sistema di pendenza controllata
che consenta
un'efficace irrigazione. Il disegno di un rilievo
palatino
documenta la presenza a Ninive di quattro o cinque
terrazze
stabilizzanti, con una piantagione progressiva dall'alto
in basso
di conifere nei livelli superiori, conifere miste a
latifoglie al
centro e prevalentemente latifoglie nella parte
inferiore, secondo un
ordine pianificato che rispecchia l'osservazione
naturalistica
dell'effettiva crescita delle specie arboree nei
contesti d'origine
.
La
valenza
liminale attribuita dalla cultura mesopotamica ai
contesti
montuosi merita un breve approfondimento. Il termine kur,
montagna, viene utilizzato per indicare sia il regno dei
morti, al
quale si ritiene che si possa accedere proprio tramite
un valico
montano, sia la sfera templare, caratterizzata in senso
liminale come
luogo privilegiato di incontro tra la sfera umana e
quella divina,
sia i Paesi stranieri, in opposizione concettuale alla
patria, kalam
.
Lo spazio di margine così percepito risulta popolato da
entità
sovrannaturali intermedie, come Ḫumbaba, Anzu, Asag e
gli
uomini-scorpione, reiteratamente correlate ai monti
nella tradizione
mitologica e nella pratica rituale a partire dal III
mill. a.C.
È inoltre attestata la deificazione e personificazione
di alcune
montagne, rappresentate in forma ibrida con il busto
umano e il resto
del corpo trasfigurato nel contesto fisico che
ipostatizzano,
connotate letterariamente con un antropomorfismo
somatico e
psicologico e concettualizzate come antagonisti divini,
come Ebiḫ
per Inanna
e Saggar per Ninurta .
I
parchi extraurbani
prevedono a loro volta la ricostruzione di ambienti
collinari e
rocciosi, intervallati da corsi d'acqua e sentieri,
costituendo
delle repliche pianificate degli habitat
naturali della selvaggina e degli animali feroci che
ospitano, come
attesta per esempio l'ambassu
di Sennacherib .
Ne consegue la rielaborazione di un contesto con forti
valenze
simboliche in un paesaggio in miniatura, che assomiglia
a quello
reale, ma è mediato da una meticolosa opera culturale di
pianificazione e perciò assume uno scopo apotropaico di
affermazione
della prevalenza dell'ordine di matrice divina e regale
sul caos
rappresentato dai nemici e dalle forze ostili, che
vengono
rispettivamente sconfitte o sottomesse durante le
attività di caccia
rituale.
Un
simile
rapporto di replica si può individuare nel caso
peculiare
della costruzione, intorno al 699 a.C., da parte di
Sennacherib, di
una palude artificiale (Fig. 5)
Fig. 5 - Rilievo raffigurante la palude ricreata da Sennacherib nel 699 a.C. nella piana extraurbana di Ninive (in FOSTER 1999, p. 70)
ispirata alle sue
campagne militari
nella Mesopotamia meridionale, dove questo tipo di
ecosistema è
molto frequente.
Anche
questo
contesto viene ricreato con una forte impronta
naturalistica,
dettata dall'accurata osservazione del paesaggio a cui
si ispira.
Esso si colloca strategicamente ad est delle mura
urbiche di Ninive,
in relazione topografica e funzionale con il corso
precedentemente
deviato del fiume Ḫusur/Khosr, in modo che l'acqua in
eccesso
durante le esondazioni primaverili possa essere
assorbita e filtrata
nella piana ninivita .
Al suo interno viene innestato un vero e proprio canneto
e vengono
importate delle specie animali proprie dell'habitat
paludoso, tra cui aironi, cinghiali
e cervi, come si evince dalla rappresentazione di questa
palude sullo
sfondo del ciclo narrativo raffigurato sui rilievi della
Corte VI del
Palazzo Sud-Ovest di Ninive .
Le
aree
paludose babilonesi vengono percepite e connotate dagli
Assiri
come paesaggi infidi, all'interno dei quali nemici e
fuorilegge
possono trovare facilmente rifugio .
Oltre a costituire dei teatri di guerra la cui
morfologia mette in
difficoltà le truppe sargonidi, le paludi sono
esplicitamente
concettualizzate come luoghi contesi .
La scelta di Sennacherib di riproporre artificialmente
un tale
ecosistema in prossimità della capitale si allinea alla
proposta
interpretativa avanzata per quanto attiene i giardini e
i parchi
propriamente detti.
Tutti
questi
contesti assumono una connotazione di liminalità tra la
sfera
del selvaggio e del domestico, poiché pur riproponendo habitat
percepiti come ostili e pericolosi attraverso
l'emulazione di spazi
montuosi o lagunari e l'allevamento di predatori, si
collocano in
una dimensione artificiale e mediata. Quest'ultimo fatto
consente
di garantire una sicurezza inattuabile nei corrispettivi
ambienti
naturali, implicando una dinamica falsata che presenta
gli spazi come
potenzialmente vulnerabili/pericolosi, ma praticamente
protetti/sicuri, rinforzando l'immagine di un microcosmo
dominato
dalla forza ordinatrice del sovrano.
Considerazioni
conclusive
I
giardini mesopotamici possono essere interpretati come
costruzioni
culturali storicizzate, con diverse implicazioni
ideologiche che si
perpetuano e si modificano nel tempo. Vengono elaborati
nel corso di
tre millenni in relazione a specifici paradigmi, alcuni
di lunga
durata (es. sovrano-cacciatore), altri ascrivibili ad
uno specifico
contesto storico-geografico (es. i giardini “universali”
assiri
di I mill. a.C.). Possono essere concettualizzati come
luoghi
all'interno dei quali è possibile riconoscere dei
paesaggi
simbolici e, a partire dal II millennio a.C., si
costituiscono come
criteri di identità delle città, delle quali
ipostatizzano
floridità e benessere. Si tratta di spazi collocati in
relazione
topografica con i centri abitati e con gli edifici che
li costellano,
a livello sia urbano (simbolicamente o concretamente)
sia
extraurbano, che coniugano componenti naturali e
artificiali,
concorrenti alla costruzione di un “paesaggio”
pianificato, la
cui percezione è fortemente orientata da parte del
soggetto a cui
appartengono e il quale ne regola la fruizione,
qualitativa e
quantitativa. Possiamo per questo parlare di un
“paesaggio in
miniatura”, con implicazioni liminali e sacre.
Il
riconoscimento
di un “paesaggio liminale” è strettamente legato
al concetto di “confine”, inteso in senso territoriale
come
spazio intermedio appartenente contemporaneamente a due
o più sfere
ideali e/o reali, e della relativa percezione. Si
evidenziano tre
tipologie di liminalità in relazione ai giardini
mesopotamici e
assiri.
In
primo
luogo, essi costituiscono la materializzazione di un
confine
sia simbolico, tra la realtà umana (tangibile,
materiale,
esperibile) e quella divina (eterea, immateriale,
invisibile,
percepibile solo tramite la mediazione dei simboli), sia
pratico, a
livello intracomunitario (per quanto attiene i criteri
di
accessibilità e la dimensione erotica) e
intercomunitario (poiché
rappresentano una delle tante declinazioni possibili
delle relazioni
internazionali, in senso oppositivo o aggregativo).
In
secondo
luogo, i giardini possono essere collocati materialmente
in
una relazione topografica con spazi connotati da una
liminalità
intrinseca (aree urbane periferiche, vie di
comunicazione e canali),
o essere rappresentati sulle soglie dei palazzi
neoassiri, a loro
volta luoghi intermedi per definizione, dove assumono
anche un
carattere apotropaico.
Infine,
parchi
e giardini possono riprodurre degli spazi liminali, come
le
montagne, le paludi e gli habitat
naturali degli animali selvatici.
I
parametri proposti da chi scrive e sperimentati nel
corso del
presente studio al fine di leggere questi caratteri,
singolarmente ed
in associazione reciproca, sono la diacronia e la
liminalità, a cui
si può correlare anche la sacralità. Attraverso un
approccio
interdisciplinare, fondato sui metodi dell'archeologia
dei
paesaggi, si può provare a ricostruire il percorso di
elaborazione
culturale dei giardini mesopotamici lungo tre millenni,
mettendo in
luce gli aspetti che li rendono, a tutti gli effetti,
paesaggi sacri
e liminali in miniatura.
NOTE
Per l'identificazione dei giardini di Babilonia con
quelli palatini di Sennacherib, a Ninive, cfr. DALLEY
1993; per la proposta su basi topografiche e
archeologiche di una loro collocazione a Babilonia cfr.
READE 2000. La loro definizione come “pensili” ha spinto
FOSTER 2004, p. 214, a proporne l'interpretazione come «sunken
gardens»,
percepibili come “sospesi” in relazione alla fruizione
da parte del pubblico, che li osserverebbe da punti
panoramici e terrazze sopraelevate. BOWE 2015, p. 154,
suggerisce invece che la costruzione di terrazzamenti
progressivi a imitazione dei pendii montani contribuisca
a creare l'immagine di un giardino in discesa che
potrebbe quindi definirsi “pensile” nel senso più ampio
del termine. Secondo LIVERANI 2017, p. 65, questo
aggettivo alluderebbe a «parchi reali coperti da un
pergolato». Come emerge da questa rapida rassegna,
l'individuazione topografica dei c.d. “giardini pensili
di Babilonia” ed il significato stesso di tale
designazione restano questioni discusse.
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