Il
museo liquido non è solo un semplice contenitore
neutro destinato alla conservazione e all'esposizione
di beni di valore e interesse storico-scientifico, ma
è produttore e diffusore di conoscenza, spazio
generatore di emozioni e di esperienze, riflesso della
società contemporanea, liquida e in divenire. Il
1989
fu l'anno che segnò la nascita del primo museo
liquido, l'anno in cui il Vitra Design Museum entrò
nella storia dell'architettura
Il
Vitra
Design Museum è stato progettato dall'architetto
Frank Gehry (1929-) ed è situato nel villaggio
tedesco di Weil am Rhein, oltre il confine con la
città di Basilea, in Svizzera.
È proprio in questo angolo remoto della Germania, in
un museo di modeste dimensioni, che nasce
l'architettura museale liquida.
Negli
anni
Ottanta, il canadese naturalizzato americano Gehry
si era già fatto un nome come architetto
decostruttivista, ma fu solo con il Vitra Design
Museum, il suo primo edificio realizzato in Europa,
che si verificò un cambiamento palpabile nella sua
estetica.
Il
museo
rappresenta una transizione tra i progetti
decostruttivisti dell'architetto e l'inizio di
quegli studi sulle forme che lo hanno reso celebre
in tutto il mondo.
Gehry
stesso
racconta che il Vitra Design Museum ha rappresentato
per lui un'epifania:
«Amo
le
forme che creo nei miei bozzetti e non avevo mai
pensato di poterne tirare fuori dei veri e propri
edifici.
La
prima costruzione del genere che ho realizzato è il
museo Vitra in Germania».
La
storia
del museo è legata all'azienda Vitra,
leader nel settore della produzione di mobili
di design, fondata nel 1934 da Willi Fehlbaum,
originariamente proprietario di un negozio di
complementi di arredo a Basilea. Nel 1950 la
produzione fu spostata da Birsfelden, Svizzera, a
Weil am Rhein, Germania.
Grazie
all'acquisizione
dei diritti sulla produzione di Charles e Ray Eames
e di George Nelson dall'americano Herman Miller,
alla metà degli anni Cinquanta venne inaugurata la
produzione di arredi di design, primo passo di un
progetto che nel tempo ha permesso alla Vitra di
disporre del più completo e significativo scenario
della produzione moderna d'oltreoceano.
Nel
1981,
a seguito di un terribile incendio che
distrusse gran parte delle strutture
produttive, il figlio di Willi Fehlbaum,
Rolf, decise di ricostruire gli stabilimenti
creando un complesso di architettura
contemporanea unico: il Campus Vitra.
Rolf
affidò
nel 1981 il progetto della struttura
produttiva a Nicholas
Grimshaw,
che progettò inoltre un piano generale
unificato per lo sviluppo dell'intera area.
Poco
tempo
dopo, però, questo programma omogeneo fu sostituito
dall'idea di un collage grazie al dialogo tra
Fehlbaum e Gehry. A posteriori Rolf Fehlbaum definì
l'effetto dell'incendio come «un atto di distruzione
creativa».
Rolf
negli
anni successivi coinvolse, per la realizzazione
degli altri fabbricati del Campus, architetti che
avrebbero raggiunto la fama mondiale: Frank
Gehry, Zaha
Hadid, Tadao
Ando, Jean Prouvé, Herzog
& de Meuron, SANAA,
Renzo Piano, Alvaro
Siza e molti altri.
L'importanza
delle
architetture di Weil risiede nel loro carattere
episodico, nel loro essere tessere uniche di un
mosaico preciso; quello che si realizza è una sorta
di parco tematico all'interno del quale, come in un
giardino fantastico, il sentimento dominante è
quello della scoperta, dello stupore; uno spazio in
cui ogni singolo oggetto vive della sua propria
capacità evocativa, tanto più manifesta quanto più
conflittuale è il confronto che è capace di
generare.
È
nel raffronto reciproco, più che in quello con il
contesto, che i singoli edifici stabiliscono un
sistema di relazioni ogni volta diverso e
volutamente oppositivo.
Come
ha
più volte dichiarato lo stesso Fehlbaum, un solo
architetto non sarebbe stato in grado di restituire
a questo luogo quella vitalità e quel carattere
urbano che deriva da tale confronto.
Il
contributo
di Gehry al Campus arrivò alla fine degli anni
Ottanta. Nel corso dei suoi, allora, tre decenni di
attività, Vitra aveva accumulato una notevole
collezione di sedie e altri pezzi di arredamento.
L'azienda aveva inizialmente progettato di ospitare
questi articoli in una semplice struttura a forma di
capannone, fornendo sia l'esposizione al pubblico
che le strutture di stoccaggio. Durante il processo
di progettazione, tuttavia, questo semplice mandato
divenne più ambizioso; quello che era stato
immaginato come uno spazio espositivo per una
collezione privata si è evoluto nel Vitra Design
Museum, un'organizzazione indipendente dedicata alla
ricerca, alla diffusione e alla divulgazione del
design.
Nel
1984
i figli di Willi Fehlbaum per celebrare il suo
settantesimo compleanno commissionarono a Claes
Oldenburg e Coosje van Bruggen una scultura
intitolata Balancing Tools.
Durante
il
progetto Rolf Fehlbaum riuscì, tramite la coppia di
scultori, ad entrare in contatto con l'architetto
Frank Gehry. La scelta di affidare a Frank Gehry la
progettazione del piccolo museo dedicato alla
collezione di sedie raccolte da Fehlbaum nel corso
degli anni conferma l'interesse dell'azienda tedesca
nei confronti di quelle sperimentazioni della
cultura americana che vedono la California un
laboratorio d'eccezione: dagli Eames a Gehry il
passo sembra essere breve.
Questo
interesse
privilegiato, peraltro, già consolidato con la
politica aziendale relativa alla produzione di
oggetti di design (Gehry era stato contattato in
principio per disegnare una seduta da realizzare in
cartone pressato, Little
Beaver),
condizionerà
concretamente la costruzione di tutto il campus
aziendale Vitra presso Weil, stabilendone contenuti
e strategie.
Con
il
suo movimento animato e i suoi volumi frastagliati
che sembrano rompere le regole della geometria, il
Vitra Design Museum è diventato una novità
sensazionale nei circoli architettonici così come
nel pubblico più ampio.
Il
Vitra
Design Museum è un bell'esempio di fusione
immacolata di forma e funzione, vanta una modesta
facciata di gesso bianco, un tetto di zinco e una
struttura volumetrica composta da varie forme
geometriche.
(Fig.
1)
Fig. 1 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Il
museo
diviene manifesto della politica del marchio Vitra:
contemporaneità, complessità, diversità. La
posizione isolata al centro di un grande lotto
lasciato a verde (serviva inizialmente la zona
cuscinetto fra gli stabilimenti e la grande arteria
autostradale che lambisce la proprietà), la
vicinanza della scultura Balancing Tools di Claes
Odenburg e Coosje van Bruggen, ma soprattutto lo
stile di Gehry sono i tre elementi sinergici che
danno vita a un'architettura assolutamente
decontestualizzata. Bianco, scolpito, confusionario,
il museo con la sua dinamicità incessante, quasi
esasperante, scuote la tranquillità della campagna
tedesca.
In
virtù
della sua singolare conformazione l'opera, oltre ad
assolvere egregiamente la sua funzione specifica di
luogo deputato all'esposizione dei prodotti Vitra,
appare esso stesso come un oggetto espositivo,
simbolo dell'azienda e della sua attività.
L'architetto infatti, supportato dalle potenzialità
tecniche ed espressive del calcestruzzo, ha voluto
creare un organismo complesso la cui forte
caratterizzazione formale lo fa apparire come una
scultura installata nel giardino dello stabilimento.
Il
museo
ha aperto le sue porte al pubblico nel 1989 e da
allora ha goduto di ampi consensi. La sua
composizione fluida e dinamica di volumi
interconnessi ha generato un'impressione immediata e
duratura; Paul Heyer, scrittore e critico di
architettura, ha lodato l'edificio descrivendolo
come:
«Un
continuo
turbinio mutevole di forme bianche all'esterno,
apparentemente senza relazione tra loro, con
all'interno un'interazione dinamicamente potente, a
sua volta direttamente espressiva del movimento
esterno. Come una totalità si risolve in un
coerente insieme intrecciato.»
Gehry
aveva
raggiunto la fama come architetto decostruttivista,
il suo corpo di lavoro a quel tempo rifiutava la
fredda monumentalità del modernismo, cercando invece
l'integrità con l'ambiente circostante e creando
spazi che si rapportassero più chiaramente alla
scala umana.
Questa
filosofia
era forse meglio esemplificata dalla sua casa a
Venice, California, con le sue sporgenze
frastagliate e oblique di catene e vetro. In
effetti, il suo primo lavoro era quasi
esclusivamente composto da linee rette e angoli,
lontano dallo stile ondulato e scultoreo che ha
adottato da allora. Fu solo con il Vitra Design
Museum che lo stile ormai caratteristico di Gehry
cominciò ad emergere.
Da
quel
momento le sue opere superarono i principi del
razionalismo, dichiarando un approccio creativo di
tipo scultoreo e organico; la sua architettura
rifiutò i vincoli della geometria euclidea esaltando
i valori plastici dei volumi, in un apparente caos
compositivo.
Qualunque
sia
la posizione da cui si guarda l'architettura unica
di Gehry, non si può negare che sia diventata una
sensazione globale, una sensazione che è nata nella
dimensione modesta di un museo in un campus di
una fabbrica in un angolo discreto della Germania.
È
lo stesso Rolf Fehlbaum a descrivere il museo come
novità assoluta, un progetto chiave sia per la
carriera di Gehry che per l'evoluzione di tutta
l'architettura contemporanea.
«Che
io
sappia si trattò del primo edificio ispirato alla
libertà espressiva della nuova scuola
architettonica. La scala a forma di serpente ad
esempio, per me rappresentava una novità assoluta.
Io vengo dalla Svizzera un paese statico,
dall'architettura statica e il fascino dell'opera
risiedeva proprio nel fatto che c'era qualcosa di
bizzarro e un po' caotico. In sostanza servì a
liberare energie da cui sarebbe scaturito un nuovo
ordine».
Il
Vitra
Design Museum sorge in mezzo a una pianura che
conserva ancora tracce di campi coltivati. Ma
l'agricoltura è in recessione, a causa
dell'invasione dell'industria, e il paesaggio ha
perso carattere, tanto che lo si può definire
anonimo e affermare, persino, che l'architetto, di
fronte adesso, non avverta l'influenza di un preciso
contesto.
Con
ciò
si può sostenere che Gehry in questo museo si è
potuto esprimere con la massima libertà ed essere
realmente se stesso. Con il suo intervento Gehry ha
conferito al sito una sistemazione planivolumetrica
che stabilisce un rapporto formale e visivo tra i
vari edifici tale da caratterizzare il luogo in modo
immediatamente riconoscibile. (Fig. 2)
Fig. 2 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen
Nell'area
di
progetto preesistevano due fabbricati, uno ospitante
gli uffici amministrativi, l'altro destinato alla
cromatura dei mobili. Il primo, risalente al 1950, è
stato rivitalizzato da un teatrale ingresso
progettato dall'architetto cecoslovacco Eva Jiricna.
Il
secondo,
un grande capannone in stile high-tech, è stato
costruito nel 1981 su disegno dell'architetto
londinese Nicholas Grimshaw. Il progetto di
completamento di Gehry si compone di tre parti
principali: un nuovo stabilimento per il montaggio,
la conservazione e la distribuzione delle sedie
(Factory Building); la Vitra Design Museum Gallery
(Fig. 3 e Fig. 4)
Fig. 3 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen
Fig. 4 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen
e un'area d'ingresso con
l'abitazione del custode, parcheggi e attrezzature
ausiliarie.
Il
Vitra
Design Museum è posizionato in modo da essere
inquadrato prospetticamente dai due angoli dello
stabilimento retrostante che si presentano
articolati e sinuosi come gli stessi elementi
architettonici del piccolo organismo espositivo.
Il
museo
è il primo edificio che si incontra entrando
all'interno dell'area aziendale e si presenta
immediatamente come un oggetto introverso
inaccessibile.
Indifferente
al contesto e in diretto confronto con la
mega-scultura Balancing Tools, l'edificio è
realizzato attraverso l'assemblaggio di volumi che,
apparentemente senza relazione, descrivono nello
spazio una polimorfica scultura bianca.
Il
Vitra
è un edificio a pianta rettangolare in cui tutti gli
elementi apparentemente accessori (scale, rampe,
lucernari, tettoie) si incastrano uno sull'altro
collidendo sulla scatola di base. Alla tecnica dello
spaziare, del fendere, del dividere che aveva
caratterizzato altre sperimentazioni di questo
architetto, si sostituisce ora il movimento opposto:
un collidere e scontrarsi delle parti. Mentre prima
lo spazio era catturato attorno ai volumi, ora lo
sforzo e tutto nel lancio di linee forza
nell'atmosfera circostante. (Fig. 5 e Fig. 6)
Fig. 5 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Fig. 6 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Il
collidere
dei pezzi sul nucleo centrale comporta due
conseguenze: da una parte il progetto tende nella
scelta dei materiali alla monomatericità; dall'altra
ancora più spettacolari spazi interni caratterizzano
le sue opere. Sono fluidi e interconnessi (eppure,
come vedremo, sapientemente suddivisi) e la luce,
penetrando attraverso i volumi, prende geometrie
varie e affascinanti.
Come
un
oggetto caduto dal cielo o emerso dal terreno, la
piccola costruzione museale si lascia avvicinare con
circospezione. Sono assenti finestre, tagli e
qualsiasi bucatura, a eccezione della piccola porta
d'accesso localizzata al di sotto di un enorme
pensilina sospesa, che, con la sua profonda ombra,
tende a nasconderne la fastidiosa presenza.
Al
piano
terra si trovano due sale per esposizioni
temporanee, una biblioteca utilizzata anche come
sala conferenze, un ripostiglio ed alcune stanze di
servizio, per un totale di circa 800 m². Al piano
superiore un solo ambiente, destinato ad ospitare la
collezione permanente, si affaccia sui vuoti dei
piani inferiori. I diversi livelli sono collegati da
due rampe e da un ascensore posizionato nella
piccola torre ad est.
Sono
le
esigenze funzionali di questi spazi che hanno
contribuito a dettare le dimensioni delle torri
volumetriche, dei ponti e dei cubi che compongono la
forma dell'edificio, ma la loro disposizione era
evidentemente dettata dal desiderio di creare un
senso di intrigo spaziale.
Il
museo
non è né completamente angolare né completamente
curvo, ma un misto, con volumi di entrambe le nature
che si intersecano ad angoli poco profondi in tutta
la struttura. Le curve inclinate, rifinite in gesso
bianco, sono probabilmente un riferimento alla Notre
Dame du Haut di Le Corbusier del 1955, situata nelle
vicinanze, oltre il confine francese.
La
placcatura
in lega di zinco che copre il tetto e alcuni piani
delle pareti, non solo fa riferimento al vicino
edificio industriale di Nicholas Grimshaw, ma
richiama le opere successive di Gehry, che saranno
rivestite interamente di metalli lucidi.
L'inclusione
delle
curve, oltre a fare riferimento a Notre Dame du
Haut, potrebbe anche essere ispirata dalla vicina
fabbrica Vitra: gli elementi focali sono curve dolci
e ampie. Questo, forse, voleva implicare la
sensazione di un movimento collettivo, adatto a un
luogo di produzione industriale.
L'edificio
di
Gehry ha inoltre un legame con il Goetheanum di
Rudolf Steiner che si trova a pochi chilometri di
distanza. Quest'ultimo è stato costruito nel 1928 e
fu la prima costruzione in cemento della storia
moderna. Invece delle sculture
scavate e modellate nel legno, il Goetheanum venne
creato col cemento
armato con soluzioni di assoluta avanguardia
tecnica e artistica. Steiner
stesso lo definì «un edificio
vivente posto all'interno di un corpo plastico».
Possiamo
cogliere
altre influenze osservando i volumi che, seppure
sottoforma di citazione, riecheggiano una certa
produzione architettonica degli anni Venti e Trenta.
Le
rampe
curve, i corpi aggettanti ed i piani obliqui che
ricordano per esempio alcune opere di Hans Schauron,
soprattutto quelle costruite per le esposizioni di
Stoccarda e del Werkbund.
Il
paragone
è riferito soltanto all'immagine esteriore
dell'edificio e non riguarda l'aspetto distributivo
né tantomeno quello costruttivo.
Gehry
infatti sembra quasi voler scherzare con delle forme
del passato utilizzandole più come «icone» che come
elementi architettonici veri e proprio.
A
differenza di ciò che succedeva negli anni del
funzionalismo, quando l'ossatura portante in
calcestruzzo armato era chiaramente percepibile e
intimamente connessa con la forma e la distribuzione
interna, nel museo Vitra ogni parete diventa
portante permettendo una enorme duttilità
planimetrica e liberando la volumetria da qualsiasi
vincolo strutturale, al punto da rendere l'edificio
plasmabile come una scultura.
La
realizzazione
della struttura portante del museo, dissimulata
dall'intricato gioco dei volumi, ha richiesto
l'adozione di un sistema costruttivo misto.
Gli
ambienti
espositivi, le rampe di collegamento ed il vano
ascensore, caratterizzati da una maggiore
articolazione spaziale, sono stati realizzati con
pareti verticali portanti costituite da pannelli
prefabbricati in calcestruzzo armato e da alcuni
elementi in muratura armata. Per le zone di
servizio, di forma regolare, sono stati l'utilizzati
tradizionali telai in calcestruzzo armato con
tamponature in muratura.
I
lucernari, la volta, le travi ed i solai, sempre in
calcestruzzo armato, sono stati gettati in opera.
L'immagine finale delle scatole murarie sospese nel
vuoto, sortisce un effetto di grande stupore
ulteriormente accentuato dalla apparente assenza
degli elementi di sostegno. Tale risultato è dovuto
alla perizia nella messa in opera del calcestruzzo,
della quale lo stesso architetto si compiace, e
all'abilità nell'esaltare le possibilità tecniche
delle lastre prefabbricate di produzione corrente.
Le pareti sono state interamente intonacate
utilizzando un particolare tipo d'impasto per
ottenere la perfetta riuscita dell'effetto
plastico degli angoli.
Sebbene
la
sua disposizione sia relativamente semplice, la rete
di sale espositive del Vitra Design Museum,
illuminate dall'alto, è in realtà sorprendentemente
complessa.
Un'apertura
rettangolare
nel tetto della sala principale al piano terra
permette la vista dalla balaustra al piano della
galleria. Tre delle quattro sale espositive sono
collegate da generose aperture nelle pareti e nei
soffitti, creando un continuo gioco spaziale tra le
stanze. Lo spazio è costruito in modo tale che i
visitatori incontrino nuove viste in altre sale
espositive ad ogni svolta e abbiano la sensazione di
muoversi all'interno di un unico spazio piuttosto
che un insieme di stanze separate.
Gli
interni,
dinamicamente intrecciati, sono pensati come un
sistema di vasi comunicanti, sia per le funzioni che
ospitano, sia per l'assenza di un percorso
predeterminato: il visitatore, una volta varcato
l'ingresso, perde qualsiasi riferimento spaziale ed
è coinvolto in una dimensione mutevole e instabile.
Il
desiderio
di unità che percepiamo all'interno è ripreso anche
all'esterno. Nei progetti precedenti di Gehry si può
osservare una procedura di smembramento e
ricomposizione che, ci permette perfino di alludere
a Morandi e alle sue nature morte per spiegare la
sua idea di architettura. Un'architettura in cui
predominavano i valori plastici e visivi, finanche
pittoreschi, ma, all'improvviso, qui nel Vitra,
Gehry abbandona tale modo di pensare e comporre.
Nel
Vitra,
ci troviamo di fronte a un'architettura che non
possiamo chiamare frammentaria e che dobbiamo,
piuttosto, leggere come unitaria, continua, mobile e
liquida.
A
questo desiderio di unità si deve la scelta di
estendere il manto di stucco su tutto l'edificio,
senza che, in esso, si ritrovi quella diversità di
materiali incontrata nelle sue opere precedenti.
Per
questo
progetto Gehry infatti adotta esclusivamente due
materiali e due colori: l'intonaco per le murature e
la lamiera zincata per le coperture.
La
scelta
dell'intonaco bianco per tutte le superfici interne
ed esterne tende a esaltarne la plasticità,
affidando alla mutevolezza delle forme la
caratterizzazione del progetto.
Nel
Vitra
è più difficile segregare, isolare, identificare
quali siano state le forme primarie, gli elementi
che, così chiaramente, apparivano negli altri suoi
progetti.
In
questo
caso, la cosa è molto più complessa. Lo stucco
bianco e lo zinco sono adoperati in maniera da
rendere difficoltoso distinguere tra interno ed
esterno, tra verticale e orizzontale.
Non
potendo
individuare gli elementi che lo compongono,
l'edificio ci appare come pura realtà spaziale.
(Fig. 7)
Fig. 7 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Si
potrebbero
stabilire paralleli con opere plastiche delle
avanguardie, in cui lo scultore - un Pevsner un Naum
Gabo, un Moore - cerca di comunicarci la possibilità
di modellare gli spazi. Questa idea di modellare lo
spazio porta, alla fine, a una figuratività in cui
l'unità prevale e in cui il movimento rappresenta un
attributo indispensabile. È un cambiamento notevole
e fa sì che il Vitra si imponga come progetto chiave
nella storia dell'architettura contemporanea.
Gehry
non
parte dall'interno, dalla sezione, non distingue tra
spazio interno ed esterno e proprio come avviene in
un guanto -dove è difficile stabilire se a prevalere
sia il vuoto in cui entra la mano o l'involucro che
delimita il vuoto-, non è facile attribuire priorità
a uno di essi nel processo creativo.
Nel
Vitra
non c'è una vera e propria separazione tra dentro e
fuori tra interno ed esterno.
Gehry
vuole
che nella sua architettura, non sia più possibile
riconoscere tale distinzione e ci mostra la
possibilità di costruire una realtà in cui
l'esterno, impossessandosi del movimento, e
l'interno, insistendo sulla continuità e l'unità,
sia nel riflesso di una sola cosa: di uno spazio
liquido.
Per
quanto
riguarda l'illuminazione interna due degli angoli
della sala espositiva superiore sono tagliati,
permettendo alla luce del giorno di entrare
dall'alto e creare uno spazio molto originale dove
le atmosfere e le intensità della luce cambiano
continuamente.
Il
dinamismo
scultoreo dell'esterno del Vitra Design Museum è
ripreso nelle complesse strutture del soffitto
dell'interno della sala espositiva superiore. Oltre
alla volta a crociera, un'altra caratteristica degna
di nota è l'apertura sul tetto che immette della
grande luce che si protende in modo impressionante
nello spazio sottostante.
Il
gioco
della luce naturale sui volumi architettonici
contribuisce alla riuscita dell'effetto plastico.
Mentre all'esterno complica ulteriormente
l'articolato movimento delle masse provocando ombre
nette e profonde, all'interno inaspettatamente la
luce, penetrando nell'edificio attraverso gli ampi
lucernari dalle svariate forme e inclinazioni, si
diffonde gradatamente lungo le pareti negli ambienti
museali rendendo visivamente più spaziose le già
ampie sale d'esposizione.
Il
Vitra
Design Museum ha introdotto un nuovo modo di pensare
e progettare l'architettura ed è lo stesso Gehry a
raccontare come il progetto del museo abbia
rappresentato un punto di svolta nella sua carriera:
«È
stata sicuramente una sfida. Volevo davvero che
l'esterno dell'edificio esprimesse la circolazione
all'interno. È così che sono finito con le scale a
chiocciola e i tetti storti. Non avevo mai fatto
niente del genere prima e allora i computer a
malapena avevano un ruolo nella mia vita. Se guardi
da vicino l'edificio, puoi vedere che la curva non è
continua, ma ha una piccola piegatura. Questo mi ha
fatto arrabbiare. Non riuscivo a crederci e ho
studiato i disegni più e più volte, ma i costruttori
mi hanno mostrato come i miei disegni risultassero
in una curva [...]
Poi
siamo andati da varie aziende tecnologiche per
chiedere se avessero strumenti che potessero
aiutarci. Da quel punto di vista, la costruzione del
Vitra
Design
Museum è stata il punto di partenza per la mia
espansione nelle nuove tecnologie. Il museo è stato
sicuramente un punto di svolta importante nel mio
lavoro. Ma non solo in termini di tecnologia
informatica. Anche il mio linguaggio architettonico
e il mio modo di costruire sono cambiati. Inoltre ho
dovuto capire come collegare il museo alla fabbrica
dietro di esso. Ciò ha aperto la strada a un nuovo
modo di pensare al contesto. Come crei un contesto?
E in che misura gli edifici si riflettono l'un
l'altro? Sembrava sbagliato non trasferire
l'architettura scultorea del museo all'intero
complesso. Le ali scultoree della fabbrica
riflettono il linguaggio del museo e, se osservi il
complesso dalla strada, sembra un unico edificio».
Nel
museo,
Gehry cerca, volutamente, di addentrarsi in un nuovo
territorio, abbandonando quello già esplorato. Gehry
ha appreso, nel corso della sua carriera, a lavorare
con libertà, ma nel Vitra tale libertà non si
traduce in mera negazione, come accade nel caso di
alcuni suoi epigoni che, facendosi scudo del
decostruttivismo, si accontentano e compiacciono
della semplice e meccanica infrazione delle regole.
Non c'è nulla di più lontano dalla semplificazione e
dalla ripetizione meccanica dell'architettura del
Vitra. L'architetto non distingue tra spazio interno
ed esterno, assistiamo al tentativo di eliminare la
separazione tra dentro e fuori, tra interno ed
esterno.
Gehry
vuole
che, nella sua architettura, non sia più possibile
riconoscere tale distinzione e ci mostra la
possibilità di costruire una realtà in cui
l'esterno, impossessandosi del movimento, e
l'interno, insistendo sulla continuità e l'unità,
siano il riflesso di una sola cosa: di uno spazio
fluido e indefinibile.
L'idea
è
di sottrarre all'anonimato il senso di un edificio
per farlo entrare in una definizione visuale
plastica così da percepirlo nella sua determinazione
funzionale simbolica. Un'operazione iconografica che
sconvolge il versante quieto e impersonale del
paesaggio esistente per far emergere un aspetto
performativo dell'architettura: un'immissione di
prestazione iconica che viene elaborata con il
raggiungimento di una nuova immagine nel panorama
urbano.
Di
questa
addizione che porta eccitazione e tensione nel
paesaggio dato, Gehry si è fatto paladino sin dagli
inizi del suo lavoro, sia quando con l'innesto
sorprendente e meravigliante tra due architetture,
nella sua casa a Santa Monica, ha immesso una
dinamica in insiemi prima intangibili, sia quando ha
condotto, nel Vitra Design Museum, Weil am Rhein,
1987-1989, un attacco spiazzante, se non demolitore
alla logica e alla razionalità monolitica
dell'architettura, sottraendosi a essa con
un'esplosione vitalistica dei volumi, così da
rendere aperta e differente, a trecentosessanta
gradi, l'intera costruzione.
Il
Vitra
Design Musuem infatti rappresenta una struttura a
dir poco visionaria, un'unione di forme irregolari e
contrasti di angoli acuti e curve sinuose, capace di
inserirsi in questo dibattito tra forma e funzione,
tra arte e architettura ridefinendone le regole.
È
lo stesso Mateo Kries, direttore del Vitra Design
Museum, a fornire un contesto sul perché questo
museo è così importante per l'architettura museale.
«Quando
guardiamo
l'edificio del museo dall'esterno, tutti gli
elementi che si vedono hanno una funzione. Quindi
non è una scultura che ha il solo scopo di piacere
esteticamente, ma si è sviluppata dall'interno, il
che significa che c'era un programma di funzioni che
dovevano essere soddisfatte all'interno
dell'edificio e Gehry ha reso queste funzioni
visibili all'esterno. Per esempio, all'esterno vi è
una torre ovvero la torre dell'ascensore. Abbiamo un
elemento eccezionale sul tetto dell'edificio, ovvero
un cubo che porta la luce del giorno dall'alto negli
spazi espositivi.
Ci
sono
poi questi elementi di forma organica sulla facciata
dell'edificio, che hanno anch'essi una funzione
perché comprendono le scale del museo e le rampe per
salire al primo piano».
Il
Vitra
Design Museum evidenzia come la trama della veste
conferisca all'architettura la sua identità sociale
funzionale, il suo porsi e il suo esserci. Rispetto
al carattere riduttivo e minimo di molta
architettura precedente, che viveva in una logica
essenzialmente di privazione iconografica a favore
di materiali e di forme assolute e metafisiche,
prive di figura, se non quella della geometria pura
e lineare, al punto tale da rimuovere persino
qualsiasi implicazione cromatica che, agendo per
contrasto, non fosse omogenea, le architetture di
Gehry fanno riferimento a una magnificenza formale
volumetrica, cromatica e figurale che comporta un
alto valore espressivo
Il
Vitra
rappresenta una novità assoluta nel panorama
dell'architettura museale, apre le porte a quella
libertà espressiva che caratterizzò la nuova scuola
architettonica.
Per
Gehry
è la stessa architettura ad assumersi il compito di
comunicare dei messaggi attraverso due canali:
l'allestimento e l'architettura, il contenuto e il
contenitore.
Nel
Vitra
Design Museum però non vi è un prevalere dell'uno
sull'altro, Gehry progetta un museo che non solo
riesce a rispondere alle esigenze formali ma si fa
esso stesso opera d'arte, contenitore e contenuto.
L'architetto all'interno del Vitra ha creato una
serie di spazi di carattere che sono l'antitesi
della blanda flessibilità neutra, ma che offrono
ancora oggi una cornice distintiva per le mostre che
ospitano. Mentre all'esterno avendo sostituito la
soglia univoca della facciata con una pluralità di
ondulazioni e di aculei, di tagli e di incastri,
Gehry è riuscito a trasformare l'edificio in un
elemento plastico centrato sugli squarci e su gli
orifizi, sulle pieghe e sulle superfici, rendendolo
un'estensione scultorea dalle sorprendenti qualità
estetiche, oltre che funzionali.
Gehry
tenta
di creare qualcosa di differente che non è
degradazione caotica, ma un tentativo di conciliare
l'espressività con la funzionalità per uscire da un
tutto indifferenziato ed entrare in un'alterità
capace di abbracciare il costruito con il
decostruito, l'organicità con la virtualità, il
proliferante con l'unico, arrivando a
un'intensificazione estrema dell'oscillare
linguistico in architettura.
Frank
Gehry
riunisce la forza scultorea, il senso dello spazio
cavo e frastagliato, in un'estetica che guarda
all'evolversi turbinoso della società. I progetti si
costruiscono in un'incessante sperimentazione dei
materiali più diversi, entrano in contatto con i
luoghi in maniera provocatoria e coraggiosa,
propongono una espressività dirompente, fluida e
dinamica. È il lavoro di un genio che rompe i
margini consolidati e convenzionali della propria
disciplina per ridefinirne il ruolo, per
riattualizzarne il senso.
L'architetto
progetta
delle costruzioni che si offrono allo spettatore
come entità animate che usano dispositivi
curvilinei, innesti inattesi e superfici colorate e
speculari per dare una dinamica al progetto, che
appare come un'immagine aperta dalle infinite
possibilità percettive e interpretative.
Gehry
genera
un nuovo modo d'intendere l'architettura, sintomo di
una critica all'irrigidimento dei limiti lineari
semplici e geometrici, astratti e riduttivi,
progettando delle costruzioni che sono continui atti
e gesti di apertura, se non di rottura.
La
poetica
di Gehry è in opposizione al rigore formale ed etico
dell'architettura del Movimento Moderno: le forme
non debbono essere pure, né i materiali nobili; ben
vengano la frattura, il caos e i materiali poveri.
La
perdita
di originalità con l'approdo ad una fredda banalità
aveva portato al capolinea il Movimento Moderno.
Noto è il titolo del libro di Peter Blake “la forma
segue il fiasco” che ne sottolinea la fine
riprendendo la celebre frase "la forma segua la
funzione", alla base di tutta la teoria
funzionalista americana.
Se
un
coerente razionalismo architettonico nega,
attraverso la standardizzazione, l'ipotesi di
espressività e di singolarità per paura di essere
fagocitato dalla ridondanza e dall'immersione nel
sensazionale, Gehry si dichiara al contrario
interessato a un continuo metabolismo compositivo.
Qui
ogni
elemento si fa mutante, perché assume tutti i
possibili paradigmi passati e futuri che comportano
l'utilizzazione di qualsiasi forma di liberazione
progettuale. Muovendosi in questa direzione Gehry è
capace di ritornare alla creatività che era tipica
dell'inizio del XX secolo, quando le ricerche
espressioniste e futuriste, costruttiviste e
surreali, dadaiste e pop avevano modo di esprimere
la propria vocazione alla costruzione di una
soggettività, concatenata con le mutazioni
tecnologiche iconiche della nostra epoca. Egli
giunge ad un'espressività che porta
all'arricchimento del soggettivo in architettura.
Non più sparizione, né fusione, tramite forme e
colori spenti, ma esaltazione e distinzione,
creativa e scultorea, che evidenziano l'unicità del
costruito.
Gehry
–
afferma Zevi – impersona il concetto che separa la
modernità dall'inerzia tradizionale.
Non
vuole
che l'architettura assuma un mero valore
compensatorio e consolatorio rispetto alla vita,
rifugiandosi nelle apparenti certezze della
geometria elementare, dei parallelepipedi, degli
angoli retti, degli ambienti chiusi, che esprimono
la paura del nuovo, del diverso, dell'instabile e
del disarmonico, del disordinato e del nevrotico
represso. Sa che l'esistenza è conflittuale, densa
di slanci e cadute, contraddittoria, e intende
presentarla nell'ambito di una progettualità
«disturbata», mutevole, perdendo i connotati di un
risultato razionale, di un processo dettato da
esigenze di carattere funzionalistico. Ciò tende a
rompere i parametri generativi tipici
dell'architettura del Movimento Moderno.
Con
i
suoi edifici Gehry tenta un'uscita dall'impasse di
un'architettura astratta e devitalizzata, che tende
a congiurare contro la soggettività e l'identità
dell'edificio ormai arrivato a definire solo una
funzionalità iper-logica e sociologica che “uccide”
l'essere per azzerare le sue incandescenze e i suoi
scarti irregolari. In antitesi propone un luogo
d'emotività che permetta l'ingresso della libertà e
dell'espressività.
Queste
riflessioni
si concretizzano alla fine degli anni Ottanta del
Novecento nel progetto del Vitra Design Museum. Il
museo è un'opera di apertura ad un nuovo ciclo. Le
traiettorie nello spazio, la capacità di sagomare
masse sinuose dinamiche che rimbombano nell'aria e
deformano l'atmosfera, le linee forza e le
collisioni ricordano la plastica futurista.
L'esplorazione
architettoniche
di Gehry nel Vitra Museum verificano concretamente
il rapporto tra scultura e architettura; qui forma e
funzione sembrano arrivare a confondersi e a
contaminarsi definitivamente permettendo all'arte e
l'architettura di trarre un vantaggio reciproco da
questo dialogo. Questo processo di sintesi è ben
evidenziato nell'edificio di Weil am Rhein anche
dall'assenza di un progetto per l'allestimento della
collezione: le sedute sono sospese come fossero dei
“mobiles” in un continuo rimando con le forme
dell'architettura.
Gehry
in
un'intervista infatti racconta di aver avuto molta
libertà nel progettare il Vitra Design Museum:
«Se
progetti
un edificio per oggetti tridimensionali, hai molta
più libertà. Puoi anche posizionare i mobili su
superfici in pendenza, spostarli, staccarli dalle
pareti e interagire con l'architettura. Nei musei
d'arte, soprattutto quelli destinati ai dipinti,
spesso ci si preoccupa del possibile effetto
invadente dell'architettura perché si ha la
sensazione che questo crei un conflitto con le
mostre».
Gehry
attraverso
il Vitra mette in cammino l'architettura, le dà
nuova vita e la indirizza verso una fluidità aperta
che si nutre dello smontaggio metodico e analitico
dell'architettura moderna, portando per la prima
volta alla creazione di forme che possono definirsi
liquide.
NOTE