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Il Vitra Design Museum di Frank O. Gehry: il primo museo liquido  

Elisabetta Pucci
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 24 Maggio, n. 930
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00930.html
Articolo presentato il 19 Maggio 2022, approvato il 22 Maggio 2022 e pubblicato il 24 Maggio 2022
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Il museo liquido non è solo un semplice contenitore neutro destinato alla conservazione e all'esposizione di beni di valore e interesse storico-scientifico, ma è produttore e diffusore di conoscenza, spazio generatore di emozioni e di esperienze, riflesso della società contemporanea, liquida e in divenire. Il 1989 fu l'anno che segnò la nascita del primo museo liquido, l'anno in cui il Vitra Design Museum entrò nella storia dell'architettura

Il Vitra Design Museum è stato progettato dall'architetto Frank Gehry (1929-) ed è situato nel villaggio tedesco di Weil am Rhein, oltre il confine con la città di Basilea, in Svizzera.
È proprio in questo angolo remoto della Germania, in un museo di modeste dimensioni, che nasce l'architettura museale liquida.

Negli anni Ottanta, il canadese naturalizzato americano Gehry si era già fatto un nome come architetto decostruttivista, ma fu solo con il Vitra Design Museum, il suo primo edificio realizzato in Europa, che si verificò un cambiamento palpabile nella sua estetica.

Il museo rappresenta una transizione tra i progetti decostruttivisti dell'architetto e l'inizio di quegli studi sulle forme che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.

Gehry stesso racconta che il Vitra Design Museum ha rappresentato per lui un'epifania:

«Amo le forme che creo nei miei bozzetti e non avevo mai pensato di poterne tirare fuori dei veri e propri edifici.

La prima costruzione del genere che ho realizzato è il museo Vitra in Germania». 1


La storia del museo è legata all'azienda Vitra, leader nel settore della produzione di mobili di design, fondata nel 1934 da Willi Fehlbaum, originariamente proprietario di un negozio di complementi di arredo a Basilea. Nel 1950 la produzione fu spostata da Birsfelden, Svizzera, a Weil am Rhein, Germania. 2

Grazie all'acquisizione dei diritti sulla produzione di Charles e Ray Eames e di George Nelson dall'americano Herman Miller, alla metà degli anni Cinquanta venne inaugurata la produzione di arredi di design, primo passo di un progetto che nel tempo ha permesso alla Vitra di disporre del più completo e significativo scenario della produzione moderna d'oltreoceano. 3

Nel 1981, a seguito di un terribile incendio che distrusse gran parte delle strutture produttive, il figlio di Willi Fehlbaum, Rolf, decise di ricostruire gli stabilimenti creando un complesso di architettura contemporanea unico: il Campus Vitra.

Rolf affidò nel 1981 il progetto della struttura produttiva a Nicholas Grimshaw, che progettò inoltre un piano generale unificato per lo sviluppo dell'intera area. 4

Poco tempo dopo, però, questo programma omogeneo fu sostituito dall'idea di un collage grazie al dialogo tra Fehlbaum e Gehry. A posteriori Rolf Fehlbaum definì l'effetto dell'incendio come «un atto di distruzione creativa». 5

Rolf negli anni successivi coinvolse, per la realizzazione degli altri fabbricati del Campus, architetti che avrebbero raggiunto la fama mondiale: Frank Gehry, Zaha Hadid, Tadao Ando, Jean Prouvé, Herzog & de Meuron, SANAA, Renzo Piano, Alvaro Siza e molti altri.

L'importanza delle architetture di Weil risiede nel loro carattere episodico, nel loro essere tessere uniche di un mosaico preciso; quello che si realizza è una sorta di parco tematico all'interno del quale, come in un giardino fantastico, il sentimento dominante è quello della scoperta, dello stupore; uno spazio in cui ogni singolo oggetto vive della sua propria capacità evocativa, tanto più manifesta quanto più conflittuale è il confronto che è capace di generare.

È nel raffronto reciproco, più che in quello con il contesto, che i singoli edifici stabiliscono un sistema di relazioni ogni volta diverso e volutamente oppositivo.

Come ha più volte dichiarato lo stesso Fehlbaum, un solo architetto non sarebbe stato in grado di restituire a questo luogo quella vitalità e quel carattere urbano che deriva da tale confronto. 6

Il contributo di Gehry al Campus arrivò alla fine degli anni Ottanta. Nel corso dei suoi, allora, tre decenni di attività, Vitra aveva accumulato una notevole collezione di sedie e altri pezzi di arredamento. L'azienda aveva inizialmente progettato di ospitare questi articoli in una semplice struttura a forma di capannone, fornendo sia l'esposizione al pubblico che le strutture di stoccaggio. Durante il processo di progettazione, tuttavia, questo semplice mandato divenne più ambizioso; quello che era stato immaginato come uno spazio espositivo per una collezione privata si è evoluto nel Vitra Design Museum, un'organizzazione indipendente dedicata alla ricerca, alla diffusione e alla divulgazione del design. 7

Nel 1984 i figli di Willi Fehlbaum per celebrare il suo settantesimo compleanno commissionarono a Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen una scultura intitolata Balancing Tools.

Durante il progetto Rolf Fehlbaum riuscì, tramite la coppia di scultori, ad entrare in contatto con l'architetto Frank Gehry. La scelta di affidare a Frank Gehry la progettazione del piccolo museo dedicato alla collezione di sedie raccolte da Fehlbaum nel corso degli anni conferma l'interesse dell'azienda tedesca nei confronti di quelle sperimentazioni della cultura americana che vedono la California un laboratorio d'eccezione: dagli Eames a Gehry il passo sembra essere breve.

Questo interesse privilegiato, peraltro, già consolidato con la politica aziendale relativa alla produzione di oggetti di design (Gehry era stato contattato in principio per disegnare una seduta da realizzare in cartone pressato, Little Beaver), condizionerà concretamente la costruzione di tutto il campus aziendale Vitra presso Weil, stabilendone contenuti e strategie. 8

Con il suo movimento animato e i suoi volumi frastagliati che sembrano rompere le regole della geometria, il Vitra Design Museum è diventato una novità sensazionale nei circoli architettonici così come nel pubblico più ampio. 9

Il Vitra Design Museum è un bell'esempio di fusione immacolata di forma e funzione, vanta una modesta facciata di gesso bianco, un tetto di zinco e una struttura volumetrica composta da varie forme geometriche. 10 (Fig. 1)

Fig. 1 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989<br>
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Fig. 1 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix

Il museo diviene manifesto della politica del marchio Vitra: contemporaneità, complessità, diversità. La posizione isolata al centro di un grande lotto lasciato a verde (serviva inizialmente la zona cuscinetto fra gli stabilimenti e la grande arteria autostradale che lambisce la proprietà), la vicinanza della scultura Balancing Tools di Claes Odenburg e Coosje van Bruggen, ma soprattutto lo stile di Gehry sono i tre elementi sinergici che danno vita a un'architettura assolutamente decontestualizzata. Bianco, scolpito, confusionario, il museo con la sua dinamicità incessante, quasi esasperante, scuote la tranquillità della campagna tedesca. 11

In virtù della sua singolare conformazione l'opera, oltre ad assolvere egregiamente la sua funzione specifica di luogo deputato all'esposizione dei prodotti Vitra, appare esso stesso come un oggetto espositivo, simbolo dell'azienda e della sua attività. L'architetto infatti, supportato dalle potenzialità tecniche ed espressive del calcestruzzo, ha voluto creare un organismo complesso la cui forte caratterizzazione formale lo fa apparire come una scultura installata nel giardino dello stabilimento. 12

Il museo ha aperto le sue porte al pubblico nel 1989 e da allora ha goduto di ampi consensi. La sua composizione fluida e dinamica di volumi interconnessi ha generato un'impressione immediata e duratura; Paul Heyer, scrittore e critico di architettura, ha lodato l'edificio descrivendolo come:

«Un continuo turbinio mutevole di forme bianche all'esterno, apparentemente senza relazione tra loro, con all'interno un'interazione dinamicamente potente, a sua volta direttamente espressiva del movimento esterno. Come una totalità si risolve in un coerente insieme intrecciato.»

Gehry aveva raggiunto la fama come architetto decostruttivista, il suo corpo di lavoro a quel tempo rifiutava la fredda monumentalità del modernismo, cercando invece l'integrità con l'ambiente circostante e creando spazi che si rapportassero più chiaramente alla scala umana.

Questa filosofia era forse meglio esemplificata dalla sua casa a Venice, California, con le sue sporgenze frastagliate e oblique di catene e vetro. In effetti, il suo primo lavoro era quasi esclusivamente composto da linee rette e angoli, lontano dallo stile ondulato e scultoreo che ha adottato da allora. Fu solo con il Vitra Design Museum che lo stile ormai caratteristico di Gehry cominciò ad emergere. 13

Da quel momento le sue opere superarono i principi del razionalismo, dichiarando un approccio creativo di tipo scultoreo e organico; la sua architettura rifiutò i vincoli della geometria euclidea esaltando i valori plastici dei volumi, in un apparente caos compositivo.

Qualunque sia la posizione da cui si guarda l'architettura unica di Gehry, non si può negare che sia diventata una sensazione globale, una sensazione che è nata nella dimensione modesta di un museo in un campus di una fabbrica in un angolo discreto della Germania. 14

È lo stesso Rolf Fehlbaum a descrivere il museo come novità assoluta, un progetto chiave sia per la carriera di Gehry che per l'evoluzione di tutta l'architettura contemporanea.

«Che io sappia si trattò del primo edificio ispirato alla libertà espressiva della nuova scuola architettonica. La scala a forma di serpente ad esempio, per me rappresentava una novità assoluta. Io vengo dalla Svizzera un paese statico, dall'architettura statica e il fascino dell'opera risiedeva proprio nel fatto che c'era qualcosa di bizzarro e un po' caotico. In sostanza servì a liberare energie da cui sarebbe scaturito un nuovo ordine». 15

Il Vitra Design Museum sorge in mezzo a una pianura che conserva ancora tracce di campi coltivati. Ma l'agricoltura è in recessione, a causa dell'invasione dell'industria, e il paesaggio ha perso carattere, tanto che lo si può definire anonimo e affermare, persino, che l'architetto, di fronte adesso, non avverta l'influenza di un preciso contesto. 16

Con ciò si può sostenere che Gehry in questo museo si è potuto esprimere con la massima libertà ed essere realmente se stesso. Con il suo intervento Gehry ha conferito al sito una sistemazione planivolumetrica che stabilisce un rapporto formale e visivo tra i vari edifici tale da caratterizzare il luogo in modo immediatamente riconoscibile. (Fig. 2)

Fig. 2 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989<br>
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen
Fig. 2 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen

Nell'area di progetto preesistevano due fabbricati, uno ospitante gli uffici amministrativi, l'altro destinato alla cromatura dei mobili. Il primo, risalente al 1950, è stato rivitalizzato da un teatrale ingresso progettato dall'architetto cecoslovacco Eva Jiricna.

Il secondo, un grande capannone in stile high-tech, è stato costruito nel 1981 su disegno dell'architetto londinese Nicholas Grimshaw. Il progetto di completamento di Gehry si compone di tre parti principali: un nuovo stabilimento per il montaggio, la conservazione e la distribuzione delle sedie (Factory Building); la Vitra Design Museum Gallery (Fig. 3 e Fig. 4)

Fig. 3 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989<br>
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen
Fig. 3 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen



Fig. 4 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989<br>
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen
Fig. 4 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Bettina Matthiessen

e un'area d'ingresso con l'abitazione del custode, parcheggi e attrezzature ausiliarie.

Il Vitra Design Museum è posizionato in modo da essere inquadrato prospetticamente dai due angoli dello stabilimento retrostante che si presentano articolati e sinuosi come gli stessi elementi architettonici del piccolo organismo espositivo. 17

Il museo è il primo edificio che si incontra entrando all'interno dell'area aziendale e si presenta immediatamente come un oggetto introverso inaccessibile.

Indifferente al contesto e in diretto confronto con la mega-scultura Balancing Tools, l'edificio è realizzato attraverso l'assemblaggio di volumi che, apparentemente senza relazione, descrivono nello spazio una polimorfica scultura bianca. 18

Il Vitra è un edificio a pianta rettangolare in cui tutti gli elementi apparentemente accessori (scale, rampe, lucernari, tettoie) si incastrano uno sull'altro collidendo sulla scatola di base. Alla tecnica dello spaziare, del fendere, del dividere che aveva caratterizzato altre sperimentazioni di questo architetto, si sostituisce ora il movimento opposto: un collidere e scontrarsi delle parti. Mentre prima lo spazio era catturato attorno ai volumi, ora lo sforzo e tutto nel lancio di linee forza nell'atmosfera circostante. (Fig. 5 e Fig. 6)

Fig. 5 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989<br>
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Fig. 5 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix



Fig. 6 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989<br>
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Fig. 6 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix

Il collidere dei pezzi sul nucleo centrale comporta due conseguenze: da una parte il progetto tende nella scelta dei materiali alla monomatericità; dall'altra ancora più spettacolari spazi interni caratterizzano le sue opere. Sono fluidi e interconnessi (eppure, come vedremo, sapientemente suddivisi) e la luce, penetrando attraverso i volumi, prende geometrie varie e affascinanti. 19

Come un oggetto caduto dal cielo o emerso dal terreno, la piccola costruzione museale si lascia avvicinare con circospezione. Sono assenti finestre, tagli e qualsiasi bucatura, a eccezione della piccola porta d'accesso localizzata al di sotto di un enorme pensilina sospesa, che, con la sua profonda ombra, tende a nasconderne la fastidiosa presenza. 20

Al piano terra si trovano due sale per esposizioni temporanee, una biblioteca utilizzata anche come sala conferenze, un ripostiglio ed alcune stanze di servizio, per un totale di circa 800 m². Al piano superiore un solo ambiente, destinato ad ospitare la collezione permanente, si affaccia sui vuoti dei piani inferiori. I diversi livelli sono collegati da due rampe e da un ascensore posizionato nella piccola torre ad est. 21

Sono le esigenze funzionali di questi spazi che hanno contribuito a dettare le dimensioni delle torri volumetriche, dei ponti e dei cubi che compongono la forma dell'edificio, ma la loro disposizione era evidentemente dettata dal desiderio di creare un senso di intrigo spaziale.

Il museo non è né completamente angolare né completamente curvo, ma un misto, con volumi di entrambe le nature che si intersecano ad angoli poco profondi in tutta la struttura. Le curve inclinate, rifinite in gesso bianco, sono probabilmente un riferimento alla Notre Dame du Haut di Le Corbusier del 1955, situata nelle vicinanze, oltre il confine francese.

La placcatura in lega di zinco che copre il tetto e alcuni piani delle pareti, non solo fa riferimento al vicino edificio industriale di Nicholas Grimshaw, ma richiama le opere successive di Gehry, che saranno rivestite interamente di metalli lucidi.

L'inclusione delle curve, oltre a fare riferimento a Notre Dame du Haut, potrebbe anche essere ispirata dalla vicina fabbrica Vitra: gli elementi focali sono curve dolci e ampie. Questo, forse, voleva implicare la sensazione di un movimento collettivo, adatto a un luogo di produzione industriale. 22

L'edificio di Gehry ha inoltre un legame con il Goetheanum di Rudolf Steiner che si trova a pochi chilometri di distanza. Quest'ultimo è stato costruito nel 1928 e fu la prima costruzione in cemento della storia moderna. Invece delle sculture scavate e modellate nel legno, il Goetheanum venne creato col cemento armato con soluzioni di assoluta avanguardia tecnica e artistica. Steiner stesso lo definì «un edificio vivente posto all'interno di un corpo plastico».

Possiamo cogliere altre influenze osservando i volumi che, seppure sottoforma di citazione, riecheggiano una certa produzione architettonica degli anni Venti e Trenta.

Le rampe curve, i corpi aggettanti ed i piani obliqui che ricordano per esempio alcune opere di Hans Schauron, soprattutto quelle costruite per le esposizioni di Stoccarda e del Werkbund.

Il paragone è riferito soltanto all'immagine esteriore dell'edificio e non riguarda l'aspetto distributivo né tantomeno quello costruttivo.

Gehry infatti sembra quasi voler scherzare con delle forme del passato utilizzandole più come «icone» che come elementi architettonici veri e proprio.

A differenza di ciò che succedeva negli anni del funzionalismo, quando l'ossatura portante in calcestruzzo armato era chiaramente percepibile e intimamente connessa con la forma e la distribuzione interna, nel museo Vitra ogni parete diventa portante permettendo una enorme duttilità planimetrica e liberando la volumetria da qualsiasi vincolo strutturale, al punto da rendere l'edificio plasmabile come una scultura. 23

La realizzazione della struttura portante del museo, dissimulata dall'intricato gioco dei volumi, ha richiesto l'adozione di un sistema costruttivo misto.

Gli ambienti espositivi, le rampe di collegamento ed il vano ascensore, caratterizzati da una maggiore articolazione spaziale, sono stati realizzati con pareti verticali portanti costituite da pannelli prefabbricati in calcestruzzo armato e da alcuni elementi in muratura armata. Per le zone di servizio, di forma regolare, sono stati l'utilizzati tradizionali telai in calcestruzzo armato con tamponature in muratura.

I lucernari, la volta, le travi ed i solai, sempre in calcestruzzo armato, sono stati gettati in opera. L'immagine finale delle scatole murarie sospese nel vuoto, sortisce un effetto di grande stupore ulteriormente accentuato dalla apparente assenza degli elementi di sostegno. Tale risultato è dovuto alla perizia nella messa in opera del calcestruzzo, della quale lo stesso architetto si compiace, e all'abilità nell'esaltare le possibilità tecniche delle lastre prefabbricate di produzione corrente. Le pareti sono state interamente intonacate utilizzando un particolare tipo d'impasto per ottenere la perfetta riuscita dell'effetto plastico degli angoli. 24

Sebbene la sua disposizione sia relativamente semplice, la rete di sale espositive del Vitra Design Museum, illuminate dall'alto, è in realtà sorprendentemente complessa.

Un'apertura rettangolare nel tetto della sala principale al piano terra permette la vista dalla balaustra al piano della galleria. Tre delle quattro sale espositive sono collegate da generose aperture nelle pareti e nei soffitti, creando un continuo gioco spaziale tra le stanze. Lo spazio è costruito in modo tale che i visitatori incontrino nuove viste in altre sale espositive ad ogni svolta e abbiano la sensazione di muoversi all'interno di un unico spazio piuttosto che un insieme di stanze separate. 25

Gli interni, dinamicamente intrecciati, sono pensati come un sistema di vasi comunicanti, sia per le funzioni che ospitano, sia per l'assenza di un percorso predeterminato: il visitatore, una volta varcato l'ingresso, perde qualsiasi riferimento spaziale ed è coinvolto in una dimensione mutevole e instabile. 26

Il desiderio di unità che percepiamo all'interno è ripreso anche all'esterno. Nei progetti precedenti di Gehry si può osservare una procedura di smembramento e ricomposizione che, ci permette perfino di alludere a Morandi e alle sue nature morte per spiegare la sua idea di architettura. Un'architettura in cui predominavano i valori plastici e visivi, finanche pittoreschi, ma, all'improvviso, qui nel Vitra, Gehry abbandona tale modo di pensare e comporre.

Nel Vitra, ci troviamo di fronte a un'architettura che non possiamo chiamare frammentaria e che dobbiamo, piuttosto, leggere come unitaria, continua, mobile e liquida.

A questo desiderio di unità si deve la scelta di estendere il manto di stucco su tutto l'edificio, senza che, in esso, si ritrovi quella diversità di materiali incontrata nelle sue opere precedenti. 27

Per questo progetto Gehry infatti adotta esclusivamente due materiali e due colori: l'intonaco per le murature e la lamiera zincata per le coperture.

La scelta dell'intonaco bianco per tutte le superfici interne ed esterne tende a esaltarne la plasticità, affidando alla mutevolezza delle forme la caratterizzazione del progetto. 28

Nel Vitra è più difficile segregare, isolare, identificare quali siano state le forme primarie, gli elementi che, così chiaramente, apparivano negli altri suoi progetti.

In questo caso, la cosa è molto più complessa. Lo stucco bianco e lo zinco sono adoperati in maniera da rendere difficoltoso distinguere tra interno ed esterno, tra verticale e orizzontale.

Non potendo individuare gli elementi che lo compongono, l'edificio ci appare come pura realtà spaziale. (Fig. 7)

Fig. 7 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989<br>
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix
Fig. 7 - Fank O. GEHRY, Vitra Design Museum, 1989
© Vitra Design Museum, Foto: Thomas Dix

Si potrebbero stabilire paralleli con opere plastiche delle avanguardie, in cui lo scultore - un Pevsner un Naum Gabo, un Moore - cerca di comunicarci la possibilità di modellare gli spazi. Questa idea di modellare lo spazio porta, alla fine, a una figuratività in cui l'unità prevale e in cui il movimento rappresenta un attributo indispensabile. È un cambiamento notevole e fa sì che il Vitra si imponga come progetto chiave nella storia dell'architettura contemporanea.

Gehry non parte dall'interno, dalla sezione, non distingue tra spazio interno ed esterno e proprio come avviene in un guanto -dove è difficile stabilire se a prevalere sia il vuoto in cui entra la mano o l'involucro che delimita il vuoto-, non è facile attribuire priorità a uno di essi nel processo creativo.

Nel Vitra non c'è una vera e propria separazione tra dentro e fuori tra interno ed esterno.

Gehry vuole che nella sua architettura, non sia più possibile riconoscere tale distinzione e ci mostra la possibilità di costruire una realtà in cui l'esterno, impossessandosi del movimento, e l'interno, insistendo sulla continuità e l'unità, sia nel riflesso di una sola cosa: di uno spazio liquido. 29

Per quanto riguarda l'illuminazione interna due degli angoli della sala espositiva superiore sono tagliati, permettendo alla luce del giorno di entrare dall'alto e creare uno spazio molto originale dove le atmosfere e le intensità della luce cambiano continuamente.

Il dinamismo scultoreo dell'esterno del Vitra Design Museum è ripreso nelle complesse strutture del soffitto dell'interno della sala espositiva superiore. Oltre alla volta a crociera, un'altra caratteristica degna di nota è l'apertura sul tetto che immette della grande luce che si protende in modo impressionante nello spazio sottostante. 30

Il gioco della luce naturale sui volumi architettonici contribuisce alla riuscita dell'effetto plastico. Mentre all'esterno complica ulteriormente l'articolato movimento delle masse provocando ombre nette e profonde, all'interno inaspettatamente la luce, penetrando nell'edificio attraverso gli ampi lucernari dalle svariate forme e inclinazioni, si diffonde gradatamente lungo le pareti negli ambienti museali rendendo visivamente più spaziose le già ampie sale d'esposizione. 31

Il Vitra Design Museum ha introdotto un nuovo modo di pensare e progettare l'architettura ed è lo stesso Gehry a raccontare come il progetto del museo abbia rappresentato un punto di svolta nella sua carriera:

«È stata sicuramente una sfida. Volevo davvero che l'esterno dell'edificio esprimesse la circolazione all'interno. È così che sono finito con le scale a chiocciola e i tetti storti. Non avevo mai fatto niente del genere prima e allora i computer a malapena avevano un ruolo nella mia vita. Se guardi da vicino l'edificio, puoi vedere che la curva non è continua, ma ha una piccola piegatura. Questo mi ha fatto arrabbiare. Non riuscivo a crederci e ho studiato i disegni più e più volte, ma i costruttori mi hanno mostrato come i miei disegni risultassero in una curva [...] Poi siamo andati da varie aziende tecnologiche per chiedere se avessero strumenti che potessero aiutarci. Da quel punto di vista, la costruzione del Vitra Design Museum è stata il punto di partenza per la mia espansione nelle nuove tecnologie. Il museo è stato sicuramente un punto di svolta importante nel mio lavoro. Ma non solo in termini di tecnologia informatica. Anche il mio linguaggio architettonico e il mio modo di costruire sono cambiati. Inoltre ho dovuto capire come collegare il museo alla fabbrica dietro di esso. Ciò ha aperto la strada a un nuovo modo di pensare al contesto. Come crei un contesto? E in che misura gli edifici si riflettono l'un l'altro? Sembrava sbagliato non trasferire l'architettura scultorea del museo all'intero complesso. Le ali scultoree della fabbrica riflettono il linguaggio del museo e, se osservi il complesso dalla strada, sembra un unico edificio». 32

Nel museo, Gehry cerca, volutamente, di addentrarsi in un nuovo territorio, abbandonando quello già esplorato. Gehry ha appreso, nel corso della sua carriera, a lavorare con libertà, ma nel Vitra tale libertà non si traduce in mera negazione, come accade nel caso di alcuni suoi epigoni che, facendosi scudo del decostruttivismo, si accontentano e compiacciono della semplice e meccanica infrazione delle regole. Non c'è nulla di più lontano dalla semplificazione e dalla ripetizione meccanica dell'architettura del Vitra. L'architetto non distingue tra spazio interno ed esterno, assistiamo al tentativo di eliminare la separazione tra dentro e fuori, tra interno ed esterno.

Gehry vuole che, nella sua architettura, non sia più possibile riconoscere tale distinzione e ci mostra la possibilità di costruire una realtà in cui l'esterno, impossessandosi del movimento, e l'interno, insistendo sulla continuità e l'unità, siano il riflesso di una sola cosa: di uno spazio fluido e indefinibile. 33


L'idea è di sottrarre all'anonimato il senso di un edificio per farlo entrare in una definizione visuale plastica così da percepirlo nella sua determinazione funzionale simbolica. Un'operazione iconografica che sconvolge il versante quieto e impersonale del paesaggio esistente per far emergere un aspetto performativo dell'architettura: un'immissione di prestazione iconica che viene elaborata con il raggiungimento di una nuova immagine nel panorama urbano.

Di questa addizione che porta eccitazione e tensione nel paesaggio dato, Gehry si è fatto paladino sin dagli inizi del suo lavoro, sia quando con l'innesto sorprendente e meravigliante tra due architetture, nella sua casa a Santa Monica, ha immesso una dinamica in insiemi prima intangibili, sia quando ha condotto, nel Vitra Design Museum, Weil am Rhein, 1987-1989, un attacco spiazzante, se non demolitore alla logica e alla razionalità monolitica dell'architettura, sottraendosi a  essa con un'esplosione vitalistica dei volumi, così da rendere aperta e differente, a trecentosessanta gradi, l'intera costruzione. 34

Il Vitra Design Musuem infatti rappresenta una struttura a dir poco visionaria, un'unione di forme irregolari e contrasti di angoli acuti e curve sinuose, capace di inserirsi in questo dibattito tra forma e funzione, tra arte e architettura ridefinendone le regole.

È lo stesso Mateo Kries, direttore del Vitra Design Museum, a fornire un contesto sul perché questo museo è così importante per l'architettura museale.

«Quando guardiamo l'edificio del museo dall'esterno, tutti gli elementi che si vedono hanno una funzione. Quindi non è una scultura che ha il solo scopo di piacere esteticamente, ma si è sviluppata dall'interno, il che significa che c'era un programma di funzioni che dovevano essere soddisfatte all'interno dell'edificio e Gehry ha reso queste funzioni visibili all'esterno. Per esempio, all'esterno vi è una torre ovvero la torre dell'ascensore. Abbiamo un elemento eccezionale sul tetto dell'edificio, ovvero un cubo che porta la luce del giorno dall'alto negli spazi espositivi.

Ci sono poi questi elementi di forma organica sulla facciata dell'edificio, che hanno anch'essi una funzione perché comprendono le scale del museo e le rampe per salire al primo piano». 35

Il Vitra Design Museum evidenzia come la trama della veste conferisca all'architettura la sua identità sociale funzionale, il suo porsi e il suo esserci. Rispetto al carattere riduttivo e minimo di molta architettura precedente, che viveva in una logica essenzialmente di privazione iconografica a favore di materiali e di forme assolute e metafisiche, prive di figura, se non quella della geometria pura e lineare, al punto tale da rimuovere persino qualsiasi implicazione cromatica che, agendo per contrasto, non fosse omogenea, le architetture di Gehry fanno riferimento a una magnificenza formale volumetrica, cromatica e figurale che comporta un alto valore espressivo36

Il Vitra rappresenta una novità assoluta nel panorama dell'architettura museale, apre le porte a quella libertà espressiva che caratterizzò la nuova scuola architettonica.

Per Gehry è la stessa architettura ad assumersi il compito di comunicare dei messaggi attraverso due canali: l'allestimento e l'architettura, il contenuto e il contenitore.

Nel Vitra Design Museum però non vi è un prevalere dell'uno sull'altro, Gehry progetta un museo che non solo riesce a rispondere alle esigenze formali ma si fa esso stesso opera d'arte, contenitore e contenuto. L'architetto all'interno del Vitra ha creato una serie di spazi di carattere che sono l'antitesi della blanda flessibilità neutra, ma che offrono ancora oggi una cornice distintiva per le mostre che ospitano. Mentre all'esterno avendo sostituito la soglia univoca della facciata con una pluralità di ondulazioni e di aculei, di tagli e di incastri, Gehry è riuscito a trasformare l'edificio in un elemento plastico centrato sugli squarci e su gli orifizi, sulle pieghe e sulle superfici, rendendolo un'estensione scultorea dalle sorprendenti qualità estetiche, oltre che funzionali.


Gehry tenta di creare qualcosa di differente che non è degradazione caotica, ma un tentativo di conciliare l'espressività con la funzionalità per uscire da un tutto indifferenziato ed entrare in un'alterità capace di abbracciare il costruito con il decostruito, l'organicità con la virtualità, il proliferante con l'unico, arrivando a un'intensificazione estrema dell'oscillare linguistico in architettura. 37

Frank Gehry riunisce la forza scultorea, il senso dello spazio cavo e frastagliato, in un'estetica che guarda all'evolversi turbinoso della società. I progetti si costruiscono in un'incessante sperimentazione dei materiali più diversi, entrano in contatto con i luoghi in maniera provocatoria e coraggiosa, propongono una espressività dirompente, fluida e dinamica. È il lavoro di un genio che rompe i margini consolidati e convenzionali della propria disciplina per ridefinirne il ruolo, per riattualizzarne il senso. 38

L'architetto progetta delle costruzioni che si offrono allo spettatore come entità animate che usano dispositivi curvilinei, innesti inattesi e superfici colorate e speculari per dare una dinamica al progetto, che appare come un'immagine aperta dalle infinite possibilità percettive e interpretative.

Gehry genera un nuovo modo d'intendere l'architettura, sintomo di una critica all'irrigidimento dei limiti lineari semplici e geometrici, astratti e riduttivi, progettando delle costruzioni che sono continui atti e gesti di apertura, se non di rottura.

La poetica di Gehry è in opposizione al rigore formale ed etico dell'architettura del Movimento Moderno: le forme non debbono essere pure, né i materiali nobili; ben vengano la frattura, il caos e i materiali poveri.

La perdita di originalità con l'approdo ad una fredda banalità aveva portato al capolinea il Movimento Moderno. Noto è il titolo del libro di Peter Blake “la forma segue il fiasco” che ne sottolinea la fine riprendendo la celebre frase "la forma segua la funzione", alla base di tutta la teoria funzionalista americana.

Se un coerente razionalismo architettonico nega, attraverso la standardizzazione, l'ipotesi di espressività e di singolarità per paura di essere fagocitato dalla ridondanza e dall'immersione nel sensazionale, Gehry si dichiara al contrario interessato a un continuo metabolismo compositivo.

Qui ogni elemento si fa mutante, perché assume tutti i possibili paradigmi passati e futuri che comportano l'utilizzazione di qualsiasi forma di liberazione progettuale. Muovendosi in questa direzione Gehry è capace di ritornare alla creatività che era tipica dell'inizio del XX secolo, quando le ricerche espressioniste e futuriste, costruttiviste e surreali, dadaiste e pop avevano modo di esprimere la propria vocazione alla costruzione di una soggettività, concatenata con le mutazioni tecnologiche iconiche della nostra epoca. Egli giunge ad un'espressività che porta all'arricchimento del soggettivo in architettura. Non più sparizione, né fusione, tramite forme e colori spenti, ma esaltazione e distinzione, creativa e scultorea, che evidenziano l'unicità del costruito. 39

Gehry – afferma Zevi – impersona il concetto che separa la modernità dall'inerzia tradizionale.

Non vuole che l'architettura assuma un mero valore compensatorio e consolatorio rispetto alla vita, rifugiandosi nelle apparenti certezze della geometria elementare, dei parallelepipedi, degli angoli retti, degli ambienti chiusi, che esprimono la paura del nuovo, del diverso, dell'instabile e del disarmonico, del disordinato e del nevrotico represso. Sa che l'esistenza è conflittuale, densa di slanci e cadute, contraddittoria, e intende presentarla nell'ambito di una progettualità «disturbata», mutevole, perdendo i connotati di un risultato razionale, di un processo dettato da esigenze di carattere funzionalistico. Ciò tende a rompere i parametri generativi tipici dell'architettura del Movimento Moderno. 40

Con i suoi edifici Gehry tenta un'uscita dall'impasse di un'architettura astratta e devitalizzata, che tende a congiurare contro la soggettività e l'identità dell'edificio ormai arrivato a definire solo una funzionalità iper-logica e sociologica che “uccide” l'essere per azzerare le sue incandescenze e i suoi scarti irregolari. In antitesi propone un luogo d'emotività che permetta l'ingresso della libertà e dell'espressività. 41

Queste riflessioni si concretizzano alla fine degli anni Ottanta del Novecento nel progetto del Vitra Design Museum. Il museo è un'opera di apertura ad un nuovo ciclo. Le traiettorie nello spazio, la capacità di sagomare masse sinuose dinamiche che rimbombano nell'aria e deformano l'atmosfera, le linee forza e le collisioni ricordano la plastica futurista. 42

L'esplorazione architettoniche di Gehry nel Vitra Museum verificano concretamente il rapporto tra scultura e architettura; qui forma e funzione sembrano arrivare a confondersi e a contaminarsi definitivamente permettendo all'arte e l'architettura di trarre un vantaggio reciproco da questo dialogo. Questo processo di sintesi è ben evidenziato nell'edificio di Weil am Rhein anche dall'assenza di un progetto per l'allestimento della collezione: le sedute sono sospese come fossero dei “mobiles” in un continuo rimando con le forme dell'architettura. 43

Gehry in un'intervista infatti racconta di aver avuto molta libertà nel progettare il Vitra Design Museum:

«Se progetti un edificio per oggetti tridimensionali, hai molta più libertà. Puoi anche posizionare i mobili su superfici in pendenza, spostarli, staccarli dalle pareti e interagire con l'architettura. Nei musei d'arte, soprattutto quelli destinati ai dipinti, spesso ci si preoccupa del possibile effetto invadente dell'architettura perché si ha la sensazione che questo crei un conflitto con le mostre». 44

Gehry attraverso il Vitra mette in cammino l'architettura, le dà nuova vita e la indirizza verso una fluidità aperta che si nutre dello smontaggio metodico e analitico dell'architettura moderna, portando per la prima volta alla creazione di forme che possono definirsi liquide.

                      
                      
                      
                      

NOTE

1 Su tale argomento si veda POLLAK 2005.

2 Su tale argomenta si veda VITRA 2008.

3 ARGENTERO, DARDI 2007, p. 18.

4 VITRA 2008, p. 6.

5 LO RICCO, MICHELI 2003, p. 164.

6 ARGENTERO, DARDI 2007, p. 34.

7 FIEDERER 2017.

8 ARGENTERO, DARDI 2007, p. 52.

9 KRIES, p. 12.

10 SANTANA 2020.

11 LO RICCO, MICHELI 2003, p. 165.

12 L'INDUSTRIA ITALIANA DEL CEMENTO 1992, p. 186.

13 FIEDERER 2017.

14 Ibidem 2017.

15 POLLACK 2005.

16 MONEO 2005, p. 248.

17 L'INDUSTRIA ITALIANA DEL CEMENTO 1992, pp. 187-188.

18 ARGENTERO, DARDI 2007, p. 52.

19 SAGGIO 2010, p. 391.

20 ARGENTERO, DARDI 2007, p. 52.

21 L'INDUSTRIA ITALIANA DEL CEMENTO 1992, p. 188.

22 FIEDERER 2017.

23 L'INDUSTRIA ITALIANA DEL CEMENTO 1992, pp. 189-191.

24 Ibidem 1992, p. 191.

25 VITRA 2008, pp. 242-243.

26 ARGENTERO, DARDI 2007, p. 54.

27 MONEO 2005, p. 249.

28 ARGENTERO, DARDI 2007, p. 53.

29 Su tale argomento si veda MONEO 2005.

30 VITRA 2008, pp. 244-245.

31 L'INDUSTRIA ITALIANA DEL CEMENTO 1992, p. 192.

32 CORTI 2019.

33 MONEO 2005, pp. 250-251.

34 CELANT 2009, pp. 16-17.

35 HILL 2020.

36 CELANT 2009, p. 17.

37 Ibidem, p. 14.

38 SAGGIO 1997, p. 5.

39 CELANT 2009, pp. 26-27.

40 ZAMBELLI 2007, p. 1547.

41 CELANT 2009, p. 15.

42 SAGGIO 1997, p. 56.

43 ARGENTERO DARDI 2007, p. 53.

44 CORTI 2019.

                            
                      

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SITOGRAFIA

SIDNEY POLLACK 2005

Sidney POLLACK, Frank Gehry - Creatore di sogni,

<https://www.youtube.com/watch?v=kGi4VjmnxqQ> visitato in data 22/03/2022

                        
                        

Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA




                    
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