Chi
non
rischia sta imitando o ripetendo,
chi
vuole invadere un campo nuovo deve affrontare
l'ignoto.
Sergio
Musmeci
L'architettura
italiana
ha una lunga storia di evoluzione, caratterizzata dal
fiorire di numerose correnti e figure importanti che
hanno
contribuito allo sviluppo dell'ingegneria italiana.
Tra le varie fasi
che hanno segnato l'evoluzione dell'architettura
italiana, gli anni
tra il 1940 e il 1970 sono stati particolarmente
significativi grazie
alla Scuola Italiana di Ingegneria. Alcune delle
figure più
importanti che hanno contribuito a questa evoluzione
sono state
Riccardo Morandi (1902-1989), Pier Luigi Nervi
(1891-1979), Silvano
Zorzi (1921-1994) e Sergio Musmeci (1926-1981). In
particolare,
Sergio Musmeci si è distinto come un visionario,
caratterizzato da
una ricerca formale personale e innovativa. Purtroppo,
la sua
genialità è stata trascurata dalla Storia
dell'Architettura
Italiana, forse a causa della sua volontà di inserirsi
coerentemente
nella modernità. Nonostante ciò, il contributo di
Sergio Musmeci
alla storia dell'architettura italiana è indubbiamente
di grande
valore e merita di essere riscoperto e valorizzato.
Nel 2003, il
Centro Archivi di Architettura del Museo Nazionale
delle arti del XXI
secolo di Roma ha ricevuto l'archivio di Sergio
Musmeci e di sua
moglie e collaboratrice Zenaide Zanini. Questo
prezioso contributo è
stato affiancato dai fondi archivistici di molti altri
ingegneri e
architetti di rilievo internazionale del Novecento,
tra cui Pier
Luigi Nervi. Il Museo delle arti del XXI secolo,
firmato da Zaha
Hadid Architects, si è fatto carico di preservare e
promuovere
costantemente queste importanti raccolte, consentendo
così alla
straordinaria eredità di Sergio Musmeci di essere
riscoperta e
valorizzata. La condivisione di pochi ma importanti
soggetti
provenienti da diverse realtà, tra cui il fratello di
Sergio,
Alberto, e accademici di discreta fama nel panorama
critico
dell'architettura italiana, come Bruno Zevi
(1918-2000), Manfredi
Nicoletti (1930-2017), Sergio Poretti (1944-2017) e
Tullia Iori
(1969), ha contribuito a diffonderne la conoscenza e
l'apprezzamento
del lavoro. L'analisi dell'opera di Sergio Musmeci
rappresenta una
dimostrazione straordinaria dell'intreccio tra arte e
matematica,
forma e calcolo strutturale, architettura e
ingegneria: discipline
umane apparentemente distanti che invece hanno radici
comuni. Sergio
Musmeci, insieme a poche altre menti illuminanti, ha
cercato di
conciliare queste discipline, realizzando opere
pionieristiche non
solo rispetto alle nuove tecnologie portate dai
moderni strumenti di
calcolo elettronico, non ancora disponibili ai suoi
tempi, ma anche
per quanto riguarda la ricerca critico-formale in
relazione al vivere
contemporaneo, in continua evoluzione, poliedrico,
fluido, liquido e
senza nome.
Fig. 1 - PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA ARCHIVIO SERGIO MUSMECI E ZENAIDE ZANINI MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO ROMA. COLLEZIONE MAXXI ARCHITETTURA La bozza del progetto rappresenta una visione avveniristica e audace
di un ponte sospeso che attraversa le acque dello Stretto, offrendo un collegamento stabile tra le due regioni e un'importante soluzione ai problemi di trasporto. La struttura è caratterizzata da linee curve e affusolate, che ne esaltano la bellezza e l'eleganza è stata fonte di grande ispirazione per gli ingegneri e gli architetti di tutto il mondo e rappresenta un esempio di genio creativo e di pensiero innovativo nel campo dell'ingegneria civile.
La
sua
straordinaria capacità di trovare l'approvazione di
pochi ma
eccellenti ingegneri e critici dell'architettura è
testimoniata
dalle singolari realizzazioni del Ponte sul Basento
(1971-1976) e
dalla progettazione del Ponte sullo Stretto di Messina
(1969). Grazie
alla sua opera, Sergio Musmeci ha contribuito a
gettare le basi per
una nuova architettura, in grado di fondere l'estetica
e la
funzionalità in maniera mai vista prima.
LA
SCUOLA
ITALIANA DI INGEGNERIA, CENNI STORICI
Nella
storia
dell'ingegneria e dell'architettura, la scoperta del
cemento
armato da parte di François Hennebique nell'Ottocento
ha
rappresentato una pietra miliare fondamentale. Questa
innovativa
tecnologia ha permesso la realizzazione di opere
straordinarie e il
suo impatto è stato notevole anche in Italia. Un
esempio di successo
è rappresentato dal ponte del Risorgimento a Roma
(1909-1911), opera
progettata dall'Impresa di Giovanni Antonio Porcheddu,
che ha potuto
beneficiare della collaborazione di Hennebique. Dopo
la Prima Guerra
Mondiale (1915-1918), il brevetto del cemento armato è
stato
sciolto, rendendo questo materiale a disposizione di
giovani
ingegneri e architetti, soprattutto in Italia, dove
l'aspetto
artigianale della lavorazione del cemento armato ha
trovato
particolare favore.
L'invasione dell'Etiopia da parte dell'Italia fascista
nel
1936 causò numerose sanzioni internazionali da parte
della Società
delle Nazioni, tra cui il divieto di importare
materiali bellici
dall'estero, come l'acciaio, il cotone e il ferro. In
risposta,
il regime fascista decise di promuovere una politica
di
autosufficienza economica del Paese, sviluppando nel
settore edilizio
tre linee di costruzione da parte degli ingegneri. Una
parte di essi
tornò alla costruzione in stile antico romano,
un'altra parte
cercò sostituti all'acciaio, mentre l'ultima parte
iniziò una
serie di sperimentazioni volte a ridurre drasticamente
l'uso
dell'acciaio. Proprio da queste sperimentazioni
nacquero,
soprattutto nel secondo dopoguerra, le due linee di
ricerca che
caratterizzano i protagonisti della Scuola di
Ingegneria Italiana: la
resistenza per forma, preferita da Arturo Danusso
(1880-1968) e Pier
Luigi Nervi; e la precompressione, utilizzata da
Gustavo Colonnetti
(1886-1968), Riccardo Morandi e Silvano Zorzi.
Durante
il
periodo di sperimentazione ingegneristica del Secondo
Dopoguerra,
caratterizzato da una scarsità di materiali importati,
Pier Luigi
Nervi, insieme ad Arturo Danusso, segue la linea della
resistenza per
forma. L'obiettivo è di creare una struttura
resistente non basata
sulla massa, quindi non su grandi quantità di cemento
e armatura, ma
sulla resistenza data da forme sottili sagomate in
modo tale da
ottenere una grande inerzia. Nervi e Danusso si
allontanano dal
calcolo tradizionale, ponendo maggiore fiducia nella
natura e nel suo
modo di operare nell'ambiente. Cominciano quindi ad
osservarla e a
imitarla, progettando modelli in scala e arrivando,
nel caso di
Nervi, a inventare un sistema autarchico basato
sull'utilizzo del
ferrocemento e sulla prefabbricazione strutturale.
Grazie a questo
approccio innovativo, Nervi diventa forse l'unico
architetto italiano
del secolo a raggiungere una vera fama internazionale
,
riconosciuto per l'applicazione della “correttezza
strutturale”
in ciascun progetto e realizzazione di opere:
costruire in modo
corretto e senza sprechi. Pier Luigi Nervi corrisponde
alla figura di
un artefice umanistico ricoprendo in maniera
poliedrica numerosi
ruoli: teorico, sperimentatore, inventore, progettista
e costruttore.
La sua ricerca, focalizzata sull'ottimizzazione e
sulla
funzionalità architettonica, è fertile grazie alla sua
educazione
umanistica: è dall'appassionata osservazione delle
cattedrali
gotiche che nasce nella sua mente scientifica la “nuda
statica
nerviana”: lo scheletro strutturale non più celato «grida
a
pieni polmoni come nelle cattedrali gotiche che lo
stesso Nervi
amava tanto osservare e in cui ogni elemento si lega
inesorabilmente
all'altro in un ordine spaziale essenziale chiaro e
coerente»
.
Il grande merito di Nervi è quello di aver trovato un
modo di
mettere in opera il materiale calcestruzzo con
prefabbricazioni
strutturali molto sofisticate e raffinate, che hanno
avuto come
conseguenza formale un'analogia con l'atteggiamento
verso il
progetto di alcuni maestri del passato, che conferisce
alle opere di
Nervi un sapore antico che le pone fuori dal tempo, ed
è quindi
legittimo confrontare per certi versi il Palazzo dello
Sport di Roma
(1958-1960) non solo con il Pantheon romano (112-124
d.C.), ma anche
con la gigantesca cupola di Hagia Sophia a
Costantinopoli (532 –
537 d.C.).
Le
ricerche
strutturali dell'Ingegneria Italiana hanno raggiunto
il loro
apice durante gli anni del Boom Economico, ovvero tra
il 1958 e il
1963. Questo periodo, dal punto di vista
storico-ingegneristico, ha
visto la realizzazione delle grandi opere di
costruzione
dell'Autostrada del Sole (1959-1964) e degli impianti
dedicati ai
Giochi della XVII Olimpiade (1960), entrambe di enorme
portata
storica.
In
particolare,
Riccardo Morandi ha dedicato la sua ricerca e
sperimentazione alla costruzione di ponti e,
soprattutto, di
coperture a luce libera. Questo lavoro è stato una
reazione alla
situazione autarchica del periodo, in cui Morandi ha
cercato di
perseguire una linea di pensiero diversa da quella di
Nervi, ovvero
di non limitarsi ad osservare la Natura ma di
diventare un aiutante
di essa. Morandi, insieme ai suoi collaboratori
Colonnetti e Zorzi,
ha operato direttamente sul materiale, in questo caso
il
calcestruzzo, cercando di modificarne le
caratteristiche intrinseche.
In questo modo, Morandi ha insegnato al calcestruzzo «a
cambiare, a resistere anche a sollecitazioni in
trazione, a
comportarsi meglio»
.
Grazie a queste innovazioni, Morandi è stato in grado
di realizzare
strutture uniche ed eccezionali: a prescindere dalla
recente e
tragica sorte, il ponte strallato omogeneizzato di
Morandi
(1963-1967) è uno dei simboli della Scuola Italiana di
Ingegneria,
con la sua caratteristica manifestazione del proprio
funzionamento
statico attraverso figure astratte «in
cui
l'aspetto parziale del fenomeno strutturale che
viene
rappresentato (con teatrale chiarezza) è proprio
quello
dell'equilibrio statico: la contrapposizione delle
forze esterne il
gioco di pesi e contrappesi, di spinte e
controspinte. Il congegno di
aste tra loro collegate si percepisce come un
plastico diagramma di
forze» .
Il pensiero di
Morandi si
differenzia in particolar modo dai componenti della
Scuola per il suo
forte scientismo: l'unico sapere valido dell'ingegnere
è quello
delle scienze fisiche e sperimentali: svalutando
quindi ogni altra
forma di sapere che non accetti i metodi propri di
queste scienze,
ogni progetto e realizzazione di Morandi è fermamente
permeata di
progresso e razionalità.
Le strutture di Morandi sono rappresentative,
tradizionali,
artigianali, e soprattutto raccontano il successo del
Paese al mondo.
L'orgoglio di Morandi per il suo lavoro di ingegnere è
esemplificato
in una pubblicità del pastificio Barilla del 1966 ,
che celebra il Made in Italy e che vede protagonisti
il regista
Federico Fellini, la cantante Mina, Pietro Gherardi
come scenografo e
regista, e le strutture strallate omogeneizzate degli
hangar degli
aerei di Fiumicino (1967-1970) progettate da Morandi.
Come
Morandi,
anche Silvano Zorzi (1921-1994) è un esperto di
cemento
armato precompresso con cui ha collaborato per tutta
la sua carriera,
a partire dal secondo dopoguerra. L'approccio
industrializzato di
Zorzi cerca di rimanere fedele all'italianità, senza
cadere
nell'omologazione seriale. Mentre Nervi e Morandi
concepiscono le
loro strutture come grandi sculture inserite in un
contesto
territoriale, Zorzi si presenta come designer
industriale: progetta
prodotti funzionali senza mai compromettere la qualità
artigianale,
riproducibili in serie ma in quantità limitata. Il suo
approccio
industriale a conduzione familiare, privata,
flessibile e capace di
organizzare il ciclo produttivo adattandosi ai nuovi
prototipi è
stato un esempio di eccellenza nella storia
dell'ingegneria italiana.
Il
percorso
professionale di Silvano Zorzi è caratterizzato da una
formazione di alto livello: i suoi studi al
Politecnico Federale di
Losanna rappresentano un punto di svolta cruciale
nella sua carriera.
Qui Zorzi viene formato dalle preziose lezioni di
Gustavo Colonnetti,
che influenzano in modo determinante il suo approccio
alla
progettazione. Grazie ai suoi studi in Svizzera, Zorzi
sviluppa una
profonda conoscenza della soluzione strutturale del
cemento armato
precompresso e del design, che avrà modo di applicare
soprattutto
durante i lavori per la realizzazione dell'Autostrada
del Sole.
Grazie alla sua formazione non convenzionale presso il
Politecnico
Federale di Losanna, Silvano Zorzi diventa un pioniere
nella
creazione di nuovi macchinari e metodi di costruzione
nell'Italia del
dopoguerra. Una delle sue più importanti invenzioni è
la cassaforma
auto-varante, che applica ad esempio nella
realizzazione del Viadotto
sul Torrente Fichera (1970-1972). Questo sistema è un
cantiere
mobile con un abitacolo progettato per avanzare in
maniera
progressiva, permettendo la posa dell'impalcato senza
la necessità
di utilizzare ponteggi o opere provvisionali che
potrebbero
ostacolare il processo di costruzione. Secondo Zorzi «il
progettista
non deve seguire la metodologia del momento,
piuttosto
egli deve anticiparne gli sviluppi diventando
protagonista delle
innovazioni» ,
per questo motivo egli deve aggiungere alla sua
professione nuovi
campi interdisciplinari come l'imprenditorialità, non
solo
determinando i procedimenti costruttivi ma conoscere
anche le
macchine coinvolte e sapere come sfruttarle secondo le
esigenze,
preventivando infine costi e tempi di realizzazione
dell'opera, «la
buona impostazione di un progetto deve essere frutto
di un travaglio
inventivo personale che coinvolge conoscenze e
coscienza. L'opera
deve essere funzionale e configurarsi allo stesso
tempo come un
armonico e durevole inserimento nell'ambiente e
costituire una
visione di per sé appagante».
SERGIO
MUSMECI
In
seguito
a questa breve ma doverosa premessa sul panorama
storico,
culturale e tecnologico in cui si inseriscono i primi
tre Maestri
della Scuola Italiana di Ingegneria, è possibile
sviluppare un
ragionamento più completo sull'ultimo ma non meno
importante
componente di tale Scuola, Sergio Musmeci (Roma, 1926
– Roma,
1981). Viene ricordato come il più giovane e il più
visionario
protagonista della Scuola Italiana di Ingegneria .
La musica, l'astronomia, l'aeronautica, la
navigazione, la
matematica e la filosofia sono le principali passioni
che lo hanno
ispirato nella formulazione del suo originale
pensiero, passato
alquanto inosservato rispetto a quello di altri
protagonisti del
Novecento, ma molto stimato da coloro che hanno avuto
la grande
fortuna di conoscerlo e anche la mentalità per
comprenderlo: primo
fra tutti suo fratello Alberto.
La
personale
ricerca di Musmeci trova un primo avvio durante i suoi
studi di ingegneria civile, che si concludono in sede
di laurea
presso La Sapienza (1948)
con una tesi sulle strutture resistenti delle volte
sottili, che gli
procura, tra l'altro, la medaglia d'oro per miglior
laureato
dell'anno. Lo studio sulle strutture che resistono
alle
sollecitazioni esterne grazie alla loro forma
svilupperà in Musmeci
il suo interesse primario per la «creazione
di
nuove forme architettoniche fortemente espressive
del loro
contenuto strutturale»
che porterà avanti in progetti e concrete
realizzazioni per tutta la
sua breve ma intensa carriera. Il profondo interesse
di Musmeci verso
le volte sottili lo coinvolgerà per tutta la vita
tanto da
allontanarlo dai suoi maestri e primi collaboratori
professionali:
Pier Luigi Nervi
e Riccardo Morandi
per i quali, invece, la forma costituiva il dato
intuitivo di
partenza, così come per la maggior parte dei
progettisti del
Novecento .
Pertanto, Musmeci e Zenaide Zanini, sua collaboratrice
e consorte, a
partire dalla seconda metà del Novecento cominciano ad
elaborare
progetti esterni allo studio Nervi, avviando inoltre
lo “Studio
Sergio Musmeci”, con Mario Desideri .
Nel
periodo
di docenza presso la Facoltà di architettura di Roma,
intraprende in maniera ancora teorica le sue ricerche
sulle strutture
minime e su «altri
temi legati alla
ricerca di una forma derivante da soluzioni
strutturali atipiche»
.
Lo ricordano con affetto gli esigui ma appassionati
allievi del corso
facoltativo da lui presieduto, Ponti
e
Grandi Strutture ,
e ne rievocano le sue particolari lezioni sullo studio
del movimento,
per il quale era solito portare ad esempio l'astronave
toroidale
rotante del film “2001
- Odissea
nello Spazio” di
Stanley Kubrick.
Inoltre, ricordano le sue proiezioni di «immagini
di
opere o eventi creati in natura […] conchiglie,
foglie, alberi,
bolle di sapone, liquidi colorati in movimento per
vedere le forme
generate dalla loro interazione»
,
sviluppi diretti del pensiero di Nervi, acquisiti
durante la sua
esperienza lavorativa presso il suo studio, che vedeva
«nei
calici di certi fiori, nei gusci di uova, di
insetti, di crostacei,
in una infinita varietà di conchiglie»
mirabili esempi offerti dalla natura.
I
principali critici, intellettuali e collaboratori che
al tempo hanno
conosciuto e compreso l'ingegno di Sergio Musmeci sono
Bruno Zevi,
Manfredi Nicoletti e Carlo La Torre. Il legame tra
Sergio Musmeci e
Bruno Zevi, formatosi durante il periodo in cui
entrambi insegnavano
presso l'Università di Roma, non era solo basato su
una forte
amicizia, ma anche su una comune visione non
convenzionale
dell'architettura moderna in Italia, come dimostrato
dalle loro
corrispondenze. Bruno Zevi, in diverse occasioni, ha
espresso il suo
apprezzamento per il pensiero di Musmeci, che tuttavia
ha faticato a
essere riconosciuto nel mondo accademico, come
evidenziato in un
articolo de "L'Espresso". In questo pezzo, Zevi ha
criticato la chiusura della comunità universitaria «barricata
nel
conformismo delle competenze e indifferente a
qualsiasi scandalo»
che respinge Musmeci
in un concorso
a cattedra, per una «accusa
paradossale:
“troppo artista”»
.
Il giudizio sulla figura di
Sergio
Musmeci è spesso contraddittorio e suscita opinioni
divergenti tra i
critici. Da un lato, viene criticato per la sua
visione
anticonvenzionale che rappresenta una minaccia per gli
ingegneri
ancorati alle formule di calcolo anacronistiche e per
gli architetti
evasivi e rifugiati nella post-modernità. D'altro
canto, viene
apprezzato per aver cercato di unire le figure
dell'ingegnere e
dell'architetto, due professioni che spesso procedono
in modo
separato. Bruno Zevi, in particolare, ha sostenuto la
memoria di
Musmeci in diverse occasioni, ritenendo che il suo
lavoro e le sue
intenzioni fossero troppo innovativi per essere
pienamente compresi e
accettati. In questo contesto, Zevi critica aspramente la corporazione universitaria italiana.
Manfredi
Nicoletti,
architetto, saggista e accademico, collabora
costantemente
con Musmeci al quale dedicherà anche un saggio. In
esso, descrive
l'affascinante personalità di Musmeci: uno «scienziato-artista»
dotato di una vasta cultura poliedrica, autore di
progetti e opere
originali, ideatore di «teorie
trasgressive»
tra cui il concetto di limite e la conseguente teoria
delle forme
limite, che non è mai stata fatta fino a quel momento
e che secondo
Nicoletti «si
avvicina molto a come
opera la natura» .
Nicoletti viene profondamente affascinato dalla sua
originalità,
proveniente dalla ricchezza di saperi e di interessi
diversi, «la
sua forza segreta era in quello che lui chiama
“studiare alla
Rousseau”, un vagabondare fra libri e argomenti
spesso scelti a
caso traendone un succo personale senza limiti di
tempo e di
disciplina» .
Infine,
Carlo
La Torre dedica un'importante intervista a Musmeci,
registrata e dattiloscritta
che riporta in maniera dettagliata e diretta la vita
di Musmeci,
dall'infanzia alle ultime collaborazioni con colleghi
architetti.
Vengono riportati e spiegati puntualmente i progetti e
le teorie di
Musmeci con intense e profonde digressioni filosofiche
sul pensiero
contemporaneo e futuro dell'ingegneria e
dell'architettura
italiana. In essa Musmeci viene descritto come un uomo
«profondo
in un campo specifico, ma dai molteplici interessi,
fondamentali per
approfondire il suo campo specifico»
,
caratterizzato quindi da una profonda
interdisciplinarità negli
interessi, che da una base accademica prettamente
scientifica si
ampliano in campi illimitati e vari.
La
principale
elaborazione teorica di Sergio Musmeci si basa sulla
ricerca di una forma che esprima il flusso delle forze
nello spazio
senza confinarle in forme preconcette sorde a quello
che era il loro
compito, la loro esistenza strutturale. Il
ragionamento di Musmeci
sulla forma parte dalla consapevolezza che
l'applicazione principale
della scienza delle costruzioni si basa su un corpus
di epoca
rinascimentale: «intuiamo
la forma
della struttura e pensiamo che questa struttura vada
bene, poi usiamo
la scienza delle costruzioni per verificare se i
limiti di
sollecitazione ammissibili per il materiale che
abbiamo usato si
adattano effettivamente o meno a questa forma».
Secondo
Musmeci, questo è uno svilimento della scienza delle
costruzioni, relegata al ruolo di verifica e non di
strumento di
invenzione. Con la teoria delle forme limite, Musmeci
ribalta le
incognite e i termini noti per sviluppare
l'espressione formale più
essenziale delle forze in gioco nello spazio,
attraverso la ricerca
di forme minime che assolvono pienamente il loro
compito strutturale
primario utilizzando la minima quantità di materiale e
di spazio. In
questo modo, le forze interne che attraversano la
struttura sono
evidenti nella forma stessa della struttura: non sono
nascoste o
racchiuse nel volume di una morfologia concepita
astrattamente
secondo pregiudizi estetici e statici, in cui la
maggior parte del
materiale e dello spazio utilizzati sono del tutto
superflui .
Il
processo
progettuale teorizzato da Musmeci è assai vicino a
come
opera semplicemente la natura intorno a noi: «l'impiego
delle
risorse è legato a dei minimi assoluti, e molto
probabilmente
è questa la rara bellezza a cui approdano le forme
della natura»
.
Musmeci, con il suo inedito impegno di strutturista,
elabora la
teoria del minimo strutturale e la ricerca delle forme
minimali, il
cui obiettivo principale era quello di trovare delle
soluzioni in
grado di assolvere il ruolo strutturale, impiegando
una ridottissima
quantità di spazio e di materia: «esattamente
come
avrebbe fatto Dio o, se a lui non vogliamo credere,
la Natura,
che difatti tende al minimo strutturale e cioè alla
efficienza, il
minimo di materia, quindi, non è un esercizio di
pura eleganza, ma è
assumersi la responsabilità di perseguire il disegno
del Cosmo. Un
imperativo soprattutto etico»
.
Fig. 2 - STUDIO PER UNA COPERTURA, ANNI CINQUANTA ARCHIVIO SERGIO MUSMECI E ZENAIDE ZANINI MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO, ROMA COLLEZIONE MAXXI ARCHITETTURA Uno schizzo, rimasto a livello preliminare di una grande copertura, forse una sala per la musica o uno spazio per il pubblico che testimonia la sperimentazione più organica e fluida delle forme che rimandano chiaramente al mondo della natura.
Ma
guardare
la natura ha un limite intrinsecamente logico che
spinge
Musmeci a osservarla, ma non imitarla: «il
problema
della crescita impone delle condizioni di forma: le
nostre
strutture non crescono, ma vengono costruite. Però
ci sono dei temi
biologici paragonabili alle costruzioni»
.
Nella sperimentazione più organica e fluida delle
forme che
rimandano chiaramente al mondo della natura,
trova una testimonianza particolarmente esaustiva uno
studio preliminare di uno studio di conchiglia Corculum
Cardissa, per
progettare «una
grande copertura, forse una sala per la musica o uno
spazio per il
pubblico» .
IL
PONTE
SUL BASENTO
Riportando
la
notevole esperienza di Sergio Musmeci nella ricerca
della forma
ideale e dell'ottimizzazione della materia, il Ponte
sul Basento
rappresenta una delle sue maggiori realizzazioni
strutturali. La
forma adottata non può essere catalogata come un
classico arco, ma
come una volta a compressione uniforme, con una
struttura
tridimensionale che permette «l'espressione
dell'effettivo
fluire delle forze nello spazio tridimensionale,
punto per punto, attraverso un continuo comporsi di
forze e di
tensioni» .
La creazione di Musmeci rappresenta quindi una
struttura altamente
innovativa che si discosta dal tradizionale schema
stabilito a priori
di elementi piani accostati tra loro. La realizzazione
del progetto
altamente innovativo del Ponte sul Basento trova le
sue radici nella
tesi di laurea di Sergio Musmeci, incentrata sullo
studio delle volte
sottili e sulla valorizzazione della tradizione
costruttiva degli
antichi romani. Tale studio approfondito ha permesso a
Musmeci di
sviluppare soluzioni ingegneristiche altamente
innovative, che
tuttavia non sarebbero state possibili senza una piena
consapevolezza
della tradizione classica. In questo modo, Musmeci è
riuscito a
coniugare la sua creatività e la sua inventiva con la
conoscenza e
il rispetto della storia e della cultura
dell'architettura e
dell'ingegneria.
Il
Ponte
ha come obiettivo progettuale quello di esprimere la
teoria del
minimo, che mira a realizzare una struttura con la
forma ottimale per
ridurre al minimo lo spreco di materiale. La forma del
ponte è stata
derivata dalle condizioni specifiche dell'ambiente in
cui si trova,
in modo da fondersi perfettamente con il paesaggio
circostante e
diventare un simbolo iconico della regione.
Interessante il lavoro di
elaborazione preliminare sui modelli, per cui sono
stati utilizzati
una serie di strumenti empirici e non tradizionali
perché la
situazione storica era caratterizzata dall'assenza di
tutte quelle
strumentazioni di cui oggi possiamo disporre grazie
alle capacità di
elaborazione dei computer. La fase di elaborazione
preliminare dei
modelli è stata affrontata con strumenti empirici e
non
tradizionali, in assenza delle tecnologie informatiche
odierne. La
complessità della forma richiedeva una teoria
matematica avanzata
per la fase di calcolo strutturale, che Sergio Musmeci
ha sviluppato
autonomamente per il progetto.
Fig. 3 - PONTE SUL BASENTO, POTENZA, 1967-1980, MODELLO ARCHIVIO SERGIO MUSMECI E ZENAIDE ZANINI MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO ROMA, COLLEZIONE MAXXI ARCHITETTURA Lavoro di elaborazione preliminare sui modelli del ponte sul Basento per cui sono stati utilizzati una serie di strumenti empirici non tradizionali data l'assenza di tutte quelle strumentazioni di cui oggi possiamo disporre grazie alle capacità di elaborazione dei computer. Il primo modello del Ponte sul Basento è costituito da una membrana di soluzione saponata con un po’ di glicerina per ridurne l'evaporazione, formata tra un sistema di fili opportunamente predisposti e messi in tensione dalla membrana stessa.
Fig. 4 - PONTE SUL BASENTO, POTENZA, 1967-1980 MODELLO, ARCHIVIO SERGIO MUSMECI E ZENAIDE ZANINI MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO ROMA. COLLEZIONE MAXXI ARCHITETTURA Il secondo modello del Ponte sul Basento è stato ottenuto tendendo un pezzo di gomma con i bordi rinforzati da cordoni pure in gomma all’interno di un telaio rigido.
I
primi modelli sono stati realizzati con una membrana
di soluzione
saponata e un pezzo di gomma con bordi rinforzati da
cordoni, seguiti
da un modello in metacrilato in scala 1:100 e un
modello in
micro-calcestruzzo in scala 1:10, sottoposti a prove
statiche presso
l'Istituto Sperimentale Modelli e Strutture di
Bergamo.
Fig. 5 - PONTE SUL BASENTO, POTENZA, 1967-1980, CANTIERE ARCHIVIO SERGIO MUSMECI E ZENAIDE ZANINI MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO ROMA. COLLEZIONE MAXXI ARCHITETTURA Testimonianza del massiccio cantiere di legno utilizzato per la costruzione del Ponte sul Basento.
La
costruzione
del Ponte ha richiesto tecniche insolite per
un'infrastruttura autostradale, molto simili a quelle
utilizzate per le
imbarcazioni, per generare una forma organica ed
espressiva
dell'efficienza strutturale.
Fig. 6 - PONTE SUL BASENTO, POTENZA, 1967-1980 ARCHIVIO SERGIO MUSMECI E ZENAIDE ZANINI MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO ROMA. COLLEZIONE MAXXI ARCHITETTURA Particolare fotografico della struttura del ponte sul Basento che evidenzia la leggerissima sagoma finale della struttura.
La
leggerissima
sagoma finale del ponte si pone in una situazione
dialettica e antitetica con il massiccio cantiere di
legno utilizzato
per la sua costruzione che lascia impresse sulla
superficie, come una
memoria da tramandare, le sagomature dei listelli
usati per fare la
cassaforma di legno su ponteggio Innocenti, tipico del
cantiere
italiano degli anni Settanta.
Fig. 7 - PONTE SUL BASENTO, POTENZA, 1967-1980 ARCHIVIO SERGIO MUSMECI E ZENAIDE ZANINI MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO ROMA. COLLEZIONE MAXXI ARCHITETTURA Particolare fotografico della struttura del ponte sul Basento che ne evidenzia la dicotomia poetica: una ragnatela leggerissima ma anche un animale estinto in cui entriamo nella pancia come il ventre di una balena.
In
questo
modo il ponte presenta una nuova dicotomia: appare da
una
parte una membrana leggerissima con una superficie
sottile,
equicompressa, ma è anche la rugosa superficie di un
antico
cantiere. Una ragnatela leggerissima, ma anche un
animale estinto in
cui entriamo nella pancia come il ventre di una
balena: si può
passare all'interno del ponte, viverlo da dentro
camminando sotto l'impalcato .
La forma ottimale teorizzata da Musmeci risulta anche
a livello
concreto una forma estremamente organica, che la mente
percepisce
come qualcosa che si trova nella sfera naturale del
mondo animale
preistorico.
Una forma caratterizzata da linee ora svettanti ora
che scivolano in
un'unica linea danzante della struttura. Un guscio
organico di forme
flessuose, futuristiche pur basate su una tradizione
di maestri come
Gaudì e Nervi :
la conoscenza di un processo ingegneristico
tradizionale ha dato modo
a Musmeci di invertirlo per creare una forma
membranale minimale e
polimorfica, senza una denominazione precisa. Una
forma che Musmeci
stesso, in maniera inconsapevolmente inedita, chiama
fluida ,
secondo la quale le forze possono convogliarsi in modo
naturale su
tutta la struttura, una forma che ad oggi i libri di
testo non
riescono a posizionale in un contesto architettonico
preciso, e
quindi liquidano a «una
parentesi
anomala nella storia dell'ingegneria del XX secolo»
.
La
struttura,
attraverso la sua forma e l'iterazione intorno ad
essa,
fornisce un'informazione completa sulla propria
funzione: il
fruitore si trova in una situazione di riconoscere
l'oggetto in una
realtà concreta e in una lettura non solo visuale ma
anche
percettiva a livello razionale e immaginativo,
comunica attraverso un
coinvolgimento del corpo e della mente arrivando a
muovere emozioni.
In questo modo, la struttura diviene anche scultura,
in quanto
vincolo di una comunicazione fra l'oggetto
architettonico e la
facoltà intuitiva del fruitore che si trova a
muovercisi intorno sia
fisicamente che mentalmente arrivando a concepire il
flusso
dell'informazione «dalla
quale
dipende la comprensione dell'oggetto e in ordine
alla quale
esso assume un significato»
.
Sergio
Musmeci
incarna la sintesi perfetta tra ingegneria,
architettura e
cultura italiana, in quanto incarna pienamente il
matematico
visionario che utilizza i materiali come strumenti
sofisticati per le
sue strutture. È un pensatore teorico con capacità
innovative,
soprattutto per quanto riguarda la forma. Musmeci
assume il ruolo di
una figura visionaria che guarda costantemente al
futuro e riconosce
la necessità di strumenti di calcolo più
automatizzati: la sua
formazione, la sua ricerca e, soprattutto, il luogo in
cui ha
vissuto, la terra in cui si è sviluppata la civiltà
classica, la
più importante cultura di tutti i tempi, sono motivi
esaustivi per
considerare questo ingegnere, vissuto ai margini dei
centri culturali
e autore di poche opere, un protagonista della storia
dell'architettura italiana del XX secolo.
L'attività di Sergio Musmeci rimane ancora
parzialmente in ombra
rispetto a quella di altri protagonisti
dell'ingegneria del
Novecento, sia perché un male incurabile lo porta a
scomparire
prematuramente all'età di cinquantaquattro anni, sia
perché le
sue ricerche, i suoi progetti e le sue realizzazioni
non furono
comprese appieno dai contemporanei.
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