La
figura di Bruno Munari (Fig. 1) si staglia nel panorama artistico e
intellettuale del
Novecento
come personalità eclettica, in grado non soltanto di influenzare
profondamente il suo contemporaneo, ma anche di anticipare tendenze
successive e di lasciarsi alle spalle un'importante e
caleidoscopica eredità. Figura poliedrica, egli non fu “soltanto”
un artista: la sua settantennale carriera creativa lo vede infatti
attivo come sofisticato intellettuale, designer, divulgatore e
scrittore prolifico. Accanto a questo, particolare attenzione va
rivolta alla sua intensa attività pedagogica, spesso trattata con
superficialità - sebbene mai davvero trascurata - volendo nello
specifico soffermarsi sul contributo di Munari alla didattica e alla
letteratura per l'infanzia, i cui tratti distintivi sono
tradizionalmente considerati i libri illustrati (e, nella
fattispecie, le superfici tattili, opere uniche nel loro genere), i
laboratori per bambini, i giocattoli pedagogici, oltreché la
pionieristica invenzione della video-didattica, frutto della
collaborazione dell'artista con scuole e musei di tutto il mondo, e
la cui applicazione definisce il cosiddetto “Metodo Bruno Munari”.
L'analisi
puntuale di tale aspetto dell'opera munariana sembrerebbe pertanto
imprescindibile per trattare non soltanto della personalità e della
lunga carriera dell'artista milanese, ma soprattutto e più in
particolare per avvicinarsi alla comprensione del suo approccio –
ludico, e solo in apparenza disimpegnato – nei confronti dei
piccoli allievi, costantemente invitati e spinti a riappropriarsi del
tavolo del gioco attraverso la manipolazione della materia, creando
collage, dando vita a nuovi oggetti e quindi imparando a rapportarsi
al mondo attraverso modalità che ancora oggi si rivelano essere
assolutamente avanguardistiche.
Fig. 1 - Bruno Munari
Foto cortesia di Maria Esposito
Com'era
fatto, dunque, il mondo in cui muoveva i suoi passi la mente
brillante del giovane Munari? È fondamentale tener presente,
innanzitutto, che con il passaggio dal regime fascista alla
democrazia, la scuola italiana stava vivendo un periodo di profondi
mutamenti. La studiosa Monica Galfrè
mette in luce in che modo i “disastrosi effetti della guerra” si
fossero configurati come vere e proprie minacce per il Paese, anche e
soprattutto rispetto al mondo dell'istruzione inteso nella sua
globalità: furono, questi, anni contrassegnati da una necessaria
defascistizzazione dei libri di testo per bambini, la quale fu
ottenuta tramite un cauto e progressivo allontanamento dalle idee
gentiliane e mediante il ripristino del controllo da parte dei
partiti comunisti e socialisti: l'intervento sulla scuola era
avvertito come assolutamente necessario, e «[...]sentito come una
parte essenziale per la ricostruzione del paese» .
A tale proposito, uno dei primi obiettivi fu quello di ottenere la
riapertura degli istituti scolastici, i quali erano rimasti chiusi a
partire dagli inizi del 1942. Una volta riaperte le scuole, molte
istanze dovettero essere prese in considerazione: prima di tutto fu
necessario definire dei programmi scolastici che ruotassero intorno
ai cardini e agli ideali del pensiero laico e liberale. Ancora,
Galfrè indica come nel contesto delle istituzioni furono introdotte
influenze prima del tutto impensabili se non addirittura bandite,
come ad esempio la didattica montessoriana. Ulteriore supporto alla
libertà di insegnamento e di apprendimento si ottenne quando, nel
1947, si raggiunse la liberalizzazione del mercato dell'editoria.
Cosa
significherà, tutto questo, per Munari?
Meneguzzo,
a riguardo, scrive che «la fine della guerra coincide davvero [...]
con l'inizio di una consapevolezza operativa che come primo atto fa
ritrovare a Munari la libera professione» .
La liberalizzazione del mondo dell'editoria viene percepita da
Munari come una possibilità di apertura a nuove sperimentazioni, e
più in particolare sarà in questo contesto che prenderanno vita i
suoi tentativi di ammodernamento della propria visione, specialmente
per quanto riguarda il campo grafico.
Altro
aspetto fondamentale che verrà accolto da Munari è, di nuovo,
quello sociale: malgrado i tentativi messi in atto dalla Costituente
nella definizione della Costituzione di porre rimedio a questioni
cruciali e fino ad allora mai davvero affrontate - come l'obbligo
scolastico e l'assistenza sociale - permane nel tessuto sociale
italiano una radicale disparità nell'alfabetizzazione, con un
accesso all'istruzione secondaria che continua a presentarsi come
elitario, oltreché esclusivo al solo genere maschile. La disparità
dell'alfabetizzazione rispecchia, com'è intuibile, una disparità
nei salari e di classe, cui si cerca di porre rimedio, tra le altre
cose, anche attraverso l'istituzione di corsi scolastici popolari,
specie nei contesti rurali e contadini. Munari interiorizza ed
elabora queste istanze senza porsi in una posizione di conflitto nei
riguardi delle stesse, ma, al contrario, adattandovisi: le
limitazioni economiche diventano il punto di partenza per l'ideazione
di giocattoli che nascono da materiali di recupero, fornendo in
questo modo un'opportunità di crescita e di apprendimento ai
bambini. Questo nuovo sentire si esprime, in Italia, anche con gli
esempi delle sorelle Agazzi e di Don Milani, il quale, nel suo
“Lettera ad una professoressa” definisce la scuola come un «[...]
ospedale che cura i sani e respinge i malati» :
tutto ciò contribuirà alla nascita di una filosofia scolastica
nuova, anti-elitaria e maggiormente sensibile alle necessità delle
classi sociali sfavorite. Contestualmente, l'Italia vive una
rinascita sul piano industriale che consentirà un miglioramento
delle condizioni di vita di tutti i cittadini, permettendo loro di
partecipare attivamente alla costruzione della nuova forza economica
del paese, non soltanto attraverso il processo di produzione (la
scuola assumerà un ruolo fondamentale per la formazione della nuova
classe operaia), ma anche nel senso di consumatori.
La
scuola pertanto acquisisce un ruolo fondamentale per la coesione
sociale e per la costruzione dell'identità del paese. A tale
proposito è significativo citare l'articolo 9 della Costituzione
Italiana: «La Repubblica promuove lo sviluppo della
cultura e la ricerca
scientifica
e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio
storico e artistico della
Nazione»
.
In tal senso, le istituzioni ripongono particolare attenzione al
ruolo dei musei nel contesto della scuola: molte delle nuove proposte
didattiche da questo momento in poi avranno come riferimento
l'educazione artistica dei discenti, in particolar modo
incoraggiando l'incontro tra il bambino (che vive il museo come un
luogo ad egli lontano, talora finanche noioso) e le opere d'arte.
A
tale proposito, Giuseppe Zago sottolinea come «dopo la caduta del
regime fascista, i musei vennero chiamati ad acquisire un ruolo
centrale in campo educativo all'interno del più ampio progetto di
rinnovamento democratico della società civile» :
l'esperienza museale, pertanto, acquisisce ufficialmente un
fondamentale ruolo didattico e pedagogico allo scopo precipuo di
formare la cultura e l'identità dei piccoli scolari. Anche la
figura dell'insegnante riflette un mutamento che sottende la stessa
intenzione: il maestro non ricoprirà più il ruolo di detentore
della conoscenza, ma piuttosto incoraggerà metodiche ed esperienze
didattiche di tipo collaborativo, allo scopo di costruire
un'esperienza collettiva e condivisa del sapere.
La
radicalità e l'importanza di tali mutamenti investiranno
pienamente la sensibilità di Munari, consentendogli di attraversare
un periodo di studio e di maturazione artistica che lo condurranno,
in ultima analisi, all'elaborazione dei suoi celebri Libri tattili.
Ma
qual è il punto di vista di Munari rispetto allo stato dell'arte
della didattica italiana, in particolar modo nei confronti
dell'insegnamento artistico?
Per
rispondere a questa domanda è necessario fare riferimento ai
numerosi j'accuse
che Munari dissemina in più di uno dei suoi scritti: egli non fatica
a denunciare la totale inadeguatezza del sistema scolastico ed
accademico italiano nei confronti della preparazione artistica dei
discenti, i quali avrebbero ricevuto, secondo l'artista,
un'istruzione piatta, vuota e forzatamente nozionistica, finendo
con l'ottenere un'aridità intellettuale e culturale in quegli
stessi individui che meriterebbero invece di essere opportunamente
accolti e guidati.
Nel
seguente passo particolare attenzione è rivolta alla formazione
degli studenti universitari:
«Noi
abbiamo avuto sempre una educazione a base letteraria. La letteratura
doveva essere la sede della conoscenza, il massimo del sapere. Il
linguaggio è il principale strumento del pensiero, ma non è il
solo. Esso è fatto di una serie di parole messe in fila, secondo un
ordine lineare. Queste parole si possono pronunciare una alla volta,
una dopo l'altra. In natura tutto avviene simultaneamente; se
tentassimo di spiegare tutto quello che percepiamo dalla natura,
simultaneamente con le parole, ne verrebbe fuori un coro informale in
cui ognuno dice parole diverse. Probabilmente questo strumento del
pensiero che è il linguaggio, ci permette di capire solo una parte
del mondo in cui siamo, altri fenomeni li dovremo capire con altri
strumenti. La comunicazione visiva è uno di questi altri.»
Secondo
Munari, una formazione spiccatamente letteraria è una formazione che
tende veicolare un pensiero eccessivamente “lineare”, limitando
le capacità degli individui di raccogliere ed elaborare dati ed
informazioni in modo elastico e anzi forzando le proprie attitudini
creative e immaginative in compartimenti stagni che finiscono con
l'inibire del tutto le qualità intellettuali dei discenti e dei
futuri individui. Prendendo in prestito e confrontandosi anche con
idee mutuate dallo psicologo Rudolf Arnheim ,
Munari ha ragione di credere che la formalizzazione del pensiero,
così come pensata e attuata dalla didattica italiana, finisca con il
limitare le potenzialità non solo dei soggetti minorati o
intellettualmente svantaggiati, ma paradossalmente anche i più
dotati tra i discenti che non si riconoscono negli stretti confini di
un pensiero così forzatamente strutturato.
Questo
particolare tipo di attitudine della didattica, non
sorprendentemente, ha per vittima designata proprio l'educazione
artistica, intesa qui come principale responsabile dello sviluppo
delle facoltà estetiche dello studente. L'insegnamento dell'arte
viene drammaticamente trascurato dalle istituzioni, sulla scia
dell'idea che la scienza debba costituire l'unico “vessillo”
di razionalità ed intelletto e, al contrario, che l'arte sia il
campo d'azione del sentimento e delle passioni: la scuola, quindi,
sarebbe autorizzata ad ostracizzare qualsiasi tipo di educazione
estetica per favorire un'educazione al pensiero razionale. In
questo senso, si pone qui l'antica e mai davvero superata questione
della “separazione dei saperi”, che vuole da un lato l'”arte”,
intesa come espressione di sé,
svago, talora relegata a mero “sfogo” rispetto ad impegni
intellettuali ritenuti più seri, e dall'altro lato la “scienza”,
posta come contraltare nella sfera delle discipline intellettuali. In
questo senso Munari ritiene assolutamente necessario il superamento
di tale opposizione, cercando una soluzione che consideri
un'alternativa “via di mezzo” che preveda l'integrazione dei
due campi dell'attività umana, in modo che l'uno possa servire
l'altro:
«Tutte
le regole della tecnica erano buone regole di comunicazione visiva:
l'accostamento dei colori per ottenere il massimo della
brillantezza o comunque un effetto voluto, le regole di composizione
che arrivano fino alle misure armoniche della sezione aurea, e tutto
ciò che i dadaisti hanno buttato all'aria perché (a ragione)
erano ormai regole inadatte alla nuova sensibilità. Regole
stancamente applicate nelle scuole statiche, regole che appartenendo
al passato diventano pura accademia e infatti l'arte di quei tempi
andava sempre più restringendo la sua funzione di comunicazione
visiva per diventare un fatto di élite, valido solo per competenti
altamente specializzati. Tanto è vero che ancora oggi ci vogliono
gli interpreti (i critici d'arte) per spiegare al pubblico
ignorante che cosa l'artista voleva dire. Di pari passo gli artisti
si sono sempre più chiusi nelle loro torri d'avorio, nei loro
linguaggi segreti e così oggi siamo nel bel mezzo della massima
confusione dalla quale si può uscire solo ristabilendo delle nuove
regole»
Consapevole
del fatto che l'alta formazione accademica in ambito artistico sia
destinata ad una ristrettissima cerchia di eletti, Munari dedicherà
la maggior parte dei propri sforzi al mondo dell'infanzia,
intendendo operare in tal modo una sorta di investimento per le
generazioni future. Le idee di Munari risuonano con quelle di Jean
Piaget, come evidenza Marucci:
«Il
famoso psicologo Piaget ha detto che non si può cambiare la
mentalità di un adulto. Io ho tenuto diversi incontri e conferenze a
livello universitario, in scuole medie, in scuole elementari e
adesso, finalmente, sono arrivato alla scuola materna. È lì che
bisogna operare, altrimenti i bambini sono già condizionati a un
pensiero distorto, a un pensiero chiuso; sono soffocati nelle loro
possibilità creative e fantastiche. Quindi, se si vuole cambiare la
società, è proprio lì che si deve operare per sperare in un mondo
migliore fra qualche generazione»
E
allo stesso tempo, come messo in luce da Gillo Dorfles, Munari
comprende come l'arte sia destinata ad «inserirsi nelle più basse
stratificazioni culturali dopo che la loro vera qualità è stata del
tutto o parzialmente alterata».
In ultima analisi, Munari sente come un'urgenza la necessità di
rimodernare e svecchiare il sistema scolastico, trasformandolo in un
sistema dinamico ed adatto alle nuove esigenze degli studenti, specie
dei bambini: «[...] la nostra scuola è troppo vecchia».
In
conclusione, i bambini devono ricevere un'educazione tout court, e
devono essere incoraggiati a ragionare non soltanto per nozioni e
concetti formalizzati, ma anche attraverso quegli strumenti che sono
indispensabile allo sviluppo di un'attitudine creativa ed
espressiva; accanto a questo, è fondamentale che l'accesso
all'istruzione artistica non sia più appannaggio delle classi più
abbienti, ma che venga garantito a chiunque, specie alle masse più
distanti dalle grandi questioni intellettuali.
Punti
chiave della pedagogia munariana
La
pedagogia munariana può essere intesa come la summa delle molteplici
esperienze di Munari relative al campo dell'arte, del design e
della letteratura: attraverso di esse, l'artista milanese mette a
punto una prospettiva originale, personale e concreta rispetto a
quali possano essere gli strumenti adatti a permettere la formazione
culturale ed individuale di ciascun bambino. Va precisato, tuttavia,
che Munari elabora una pedagogia che non finirà mai col definire
tale, dal momento che egli si considerò lungo tutta la sua carriera
nient'altro che un artista in perenne ricerca. In che senso,
quindi, l'opera di Munari si inserisce a pieno titolo nell'ambito
pedagogico?
La
risposta a questa domanda si trova in numerosi elementi disseminati
lungo la sua intera opera, non soltanto nei suoi più conosciuti
giocattoli, ma in particolare anche in molti degli scritti che
produsse nell'arco della sua vita. La pedagogia, il cui scopo è
quello di considerare l'individuo nella sua totalità, non può
prescindere dal fornire e definire gli strumenti che consentono di
“imparare ad imparare” per poter dare vita ai propri desideri e
dare voce ed espressione alle proprie necessità, quindi in ultima
istanza a formare la personalità dell'individuo.
Munari,
quindi, attraverso i suoi Laboratori, si occupa di adattare ciascuna
esperienza didattica sulla base delle esigenze dei piccoli
destinatari che ne usufruiranno, occupandosi non soltanto dei
contenuti, ma soprattutto prestando particolare attenzione a quello
scrigno polimorfo che è la persona-bambino, sfaccettato e ricco di
timori, emozioni, desideri e necessità.
Pedagogia
dell'apprendimento
Aspetto
fondamentale della pedagogia munariana, quindi, è la centralità
dell'individuo nella sua interezza nel corso del processo di
apprendimento. Pertanto, primario è considerare ed integrare ciascun
aspetto del destinatario della didattica: non vanno tralasciati gli
aspetti sociali, culturali e caratteriali del bambino, che
contribuiscono ciascuno in un modo diverso alla costruzione della
personalità individuale. La pedagogia dell'apprendimento pone al
centro della propria ricerca, assieme a questo concetto, anche il
“principio di unicità” secondo cui ciascun individuo sarebbe
dotato di una «irripetibile originalità, non soltanto nelle
manifestazioni ma anche nelle identità, nella profonda e acuta
percezione della propria totale irriducibilità» .
Accanto
a questo, al bambino è riconosciuto un ruolo attivo nel processo
dell'apprendimento, così come è attribuito un ruolo centrale
all'ambiente ed al contesto entro cui tale processo di muove: in
particolare, la famiglia e la scuola sono ritenute alla stregua di
laboratori di ricerca all'interno dei quali i bambini e gli adulti
sovrappongono, intrecciandoli, i propri processi conoscitivi,
permettendo in questo modo un'evoluzione condivisa giorno dopo
giorno. Una simile dimensione, quindi, favorirebbe non soltanto la
relazione del bambino con il mondo al di fuori di sé (la scuola, la
famiglia, la collettività), ma, attraverso di essa, permetterebbe
l'incontro tra questo e quegli aspetti personali e privati che
costituiscono il mondo interiore di ciascuno: è proprio intorno a
questa idea che si incardina il tentativo di costruire un metodo
conoscitivo dei processi che sono alla base dell'apprendimento, in
consonanza con le teorie dell'apprendimento di Jean Piaget .
Lo psicologo identifica, nel processo conoscitivo, due precisi
momenti, che sono definiti in primo luogo dall'assimilazione
(momento in cui l'individuo riceve degli stimoli da parte
dell'ambiente esterno a sé) e dall'altro l'accomodazione
(momenti in cui quegli stimoli sono adattati e si relazionano a quel
sistema di conoscenze pre-acquisite, consentendo di attuare
meccanismi critici, comparativi e di rielaborazione di quegli stessi
schemi conoscitivi, facendo proprie le nuove conoscenze derivanti dal
processo. Si desume che l'esperienza ricopre un ruolo cruciale,
permettendo all'individuo di mettere in discussione il proprio
assetto di valori e arricchirlo continuamente, in occasione di
ciascuna esposizione.
Le
quattro facoltà munariane: Fantasia, Invenzione, Creatività ed
Immaginazione
Nel
1977 Munari pubblica “Fantasia” (Fig. 2),
testo fondamentale in
cui mette a punto un'indagine intorno a quelle che considera le
quattro facoltà umane che fanno di ciascun individuo una peculiare
unicità, appunto la Fantasia, l'Invenzione, la Creatività e
l'Immaginazione. Il suo lavoro di ricerca prende avvio e si ispira
alla sua stessa esperienza di artista, come egli stesso scrive alla
prima pagina del volume: «questo studio con l'esperienza che mi
viene dall'uso continuato di queste facoltà nel mio lavoro
professionale» .
Fig. 2 - Fantasia, prima edizione, Universale Laterza, 1977
Foto cortesia di Maria Esposito
Che
cos'è dunque, secondo Munari, la Fantasia? Egli la definisce come
«la facoltà̀ più̀ libera delle altre», che «può anche non
tenere conto della realizzabilità o del funzionamento di ciò che
si è pensato» .
Si tratta quindi sì di una forza in grado di stimolare l'individuo
nella genesi di nuovi concetti e pensieri, ma la sua attività e la
sua potenza sono imprescindibili dalle relazioni che sono operate nel
recinto della mente e che riguardano l'ambiente esterno: simboli,
oggetti, figure, persone, linguaggi verbali e non verbali. Il
prodotto della fantasia, dunque, origina dall'integrazione e dalla
relazione che la mente opera a partire dagli elementi che seleziona
nel suo affacciarsi all'ambiente fuori di sé. Questo concetto, che
per Munari sarà fondamentale, è negli stessi anni espresso anche da
Gianni Rodari all'interno del suo libro “Grammatica della
Fantasia“ ,
dove esprime questo stesso concetto tramite il gioco del “Che cosa
succederebbe se…”: ponendosi questa piccola domanda, il bambino
mette in relazione due elementi, oggetti, persone, trasferendo
dall'uno all'altro i significati attraverso la cosiddetta
“ipotesi fantastica”. Come sottolinea lo psicologo David
Ausubel: «ogni apprendimento significativo comporta necessariamente
un trasferimento, perché non si può concepire nessun caso in cui
tale apprendimento non sia influenzato dalla struttura cognitiva
esistente» .
Il bambino, quindi, appreso tale meccanismo cognitivo, lo ripete
indefinitamente applicandolo via via a ciascuno ambito della propria
esperienza, e forgiando in questo modo apparentemente semplice la
propria peculiare personalità, più o meno elastica ed adattabile
quanto più o meno questo meccanismo è ben oliato. Munari vuole
indagare proprio questo aspetto peculiare dei maccanismi cognitivi
dell'infanzia (ma, a ben guardare, che si mantengono vivi anche
nell'adulto), rintracciandone gli aspetti meno evidenti ad un
occhio poco attento: «Pare che il più̀ elementare atto di fantasia
sia quello di rovesciare una situazione, pensare al contrario,
all'opposto, come si dice: il mondo alla rovescia» .
La pedagogia munariana, in questo senso, ancora una volta prova a
sovvertire quel tipo di didattica che, al contrario, opprime la
Fantasia tramite insegnamenti artificiosi, improduttivi e del tutto
inadatti alle esigenze dei piccoli discenti (Fig. 3):
«Quasi
tutti i bambini di questo mondo dipingono le stesse cose. In tutto il
mondo essi dipingono quello che vedono, quello che sanno, quello che
conoscono e cioè un prato, una casa, montagne, un albero e il sole,
Cambierà la forma della casa o dell'albero, ma i soggetti sono più
o meno questi. E se non saranno aiutati a crescere, dipingeranno da
adulti, come hobby, le stesse cose, nello stesso modo» .
La
seconda facoltà che Munari analizza è l'Invenzione: secondo
l'artista, questa si muoverebbe sullo stesso piano cognitivo della
Fantasia, cioè attraverso lo stabilirsi di una «relazione tra ciò
che si conosce, ma finalizzandola ad un uso pratico» ,
tuttavia al contrario della Fantasia, che si muove in assenza di
finalità e in modo potenzialmente assurdo e impossibile,
l'Invenzione ricerca nelle relazioni tra gli elementi un senso
logico che possa servire ad un utilizzo pratico e concreto. Tale
facoltà, quindi, fa sì che l'individuo integri alla Fantasia
elementi e scopi di funzionalità, analizzandone e carpendone le
ragioni, le logiche e i meccanismi che soggiacciono all'interno
della relazione stessa.
La
Creatività, infine, pur comprendendo gli elementi delle prime due
facoltà munariane, le completa conferendogli un significato di
globalità: essa «comprende tutti gli aspetti di un problema, non
solo l'immaginazione come la fantasia, non solo la funzione come
l'invenzione, ma anche l'aspetto psicologico, quello sociale,
economico, umano»
e ancora non perde di sottolinearne l'importanza nell'ambito
dello svecchiamento del sistema didattico e della pedagogia «risponde
a oggettive istanze d'ordine psicologico, d'ordine sociale e
d'ordine filosofico. [...] Non a caso la richiesta di creatività
va di pari passo con la richiesta di una affermazione più autentica
della personalità, di più ampi spazi di libertà, di una
rigenerazione della società mediante una tensione etica, senza la
quale ogni appello alla creatività è vano».
Per
Munari, è fondamentale permettere al bambino di sviluppare la
capacità di esprimersi in piena libertà, ma è ancor più cruciale
educarlo ad acquisire gli strumenti che gli permettano di farlo,
poiché la Creatività non va confusa con il caos, né con la mera
improvvisazione. Il bambino va quindi accompagnato e stimolato in
questo processo attraverso giochi che lo aiutino ad «imparare
qualcosa di nuovo, impadronirsi di tecniche nuove e possano capire le
regole del linguaggio visivo».
Infine,
l'Immaginazione è definita da Munari come quel «mezzo per
visualizzare, per rendere visibile ciò che la fantasia,
l'invenzione e la creatività pensano» .
A
differenza delle tre precedenti facoltà, l'Immaginazione non
necessariamente aggiunge qualcosa di nuovo al pensiero, ma è in
grado di riportare alla mente elementi, persone, eventi che non sono
presenti, ma che sono relegati tipicamente al passato già vissuto.
Antonacci afferma che l'immaginazione è «una capacità empatica
profonda di contatto con le cose e con il mondo» che «Si nutre di
immagini, visioni, di ascolto, e soprattutto capace di percepire e
trovare delle connessioni tra le cose e le persone» .
In
definitiva, grazie all'esercizio ma soprattutto all'educazione di
Fantasia, Invenzione, Creatività ed Immaginazione, è possibile
mettere in discussione in modo critico il significato ed il contenuto
del proprio pensiero, sovvertendo idee e concetti pre-confezionati e
definendo nei bambini, attraverso l'apprendimento, personalità
vive e creatrici.
Fig. 3 - Immagine tratta da “Disegnare un albero”
Foto cortesia di Maria Esposito
Lezioni
di Harvard: nuove soluzioni per nuovi problemi
Gli
interessi di Munari per il mondo della didattica, come già accennato
nei precedenti paragrafi, non guardano esclusivamente alla pedagogia
per i bambini, ma allo stesso modo volgono lo sguardo anche alla
metodologia dell'istruzione destinata ad un pubblico adulto. Pur
afferendo i suoi lavori ad un repertorio pressoché standardizzato di
contenuti e temi (sfogliando i testi munariani destinati agli adulti
è possibile notare la somiglianza tra le attività suggerite a
questi e i consigli e gli esercizi riservati ai laboratori
ludo-didattici destinati ai bambini), egli è in grado di adattarne
di volta in volta l'espressione a seconda di chi sia il
destinatario, fatta forse eccezione per i suoi lavori più tardivi,
nei quali sembra voler gettare la spugna rispetto alla didattica per
adulti, che gli appaiono sempre meno duttili e ottenebrati da
pregiudizi culturali che fanno fatica ad essere sradicati. In
un'intervista del 1997, Silvana Sperati, presidentessa
dell'Associazione Bruno Munari, chiede a Munari se intravede una
possibiltà di crescita e miglioramento anche in tal senso:
«C'è
una possibilità che viene da una via indiretta, quando noi, in un
laboratorio dove sono presenti alcuni adulti, giochiamo con i bambini
o meglio gli insegniamo a fare un gioco, ma senza parlare. Gli
adulti, in un primo momento, si meravigliano e si rendono conto che
si sono espressi male. L'adulto, però fa un po' fatica a correggersi
perché mentre si corregge sa che ha fatto una brutta figura.»
In
ogni caso, Munari ha dedicato parte del proprio lavoro anche alla
didattica per adulti, non soltanto tramite i laboratori di
comunicazione visiva, ma anche tenendo delle vere e proprie lezioni
che hanno lo scopo di formare figure professionali che vanno dal
designer all'operatore estetico: in tal senso, le lezioni vertono
proprio sulla teoria del design, sui principi della comunicazione
visiva, sul disegno industriale, sulle tecniche di realizzazione di
figure, immagini per grafica e pubblicità, nonchè di oggetti.
Purtroppo
non abbiamo a disposizione resoconti puntuali o trascrizioni delle
lezioni tenute da Munari nelle sedi istituzionali, Tuttavia, è
possibile intuire l'approccio all'aula di Munari attraverso una
video-testimonianza interessante di una lezione frontale tenutasi
allo IUAV di Venezia nel 1992, in cui l'artista racconta agli
studenti, disseminando qua e là aneddoti e ironia, qual è il
significato del disegno industriale e quale il suo ruolo nel mondo
culturale.
Ben
più significative sono, invece, le relazioni tenute insieme nelle
“Lezioni di Harvard”, redatto dallo stesso Munari durante la sua
breve attività di docente presso l'Università di Harvard, al
Carpenter Center for the Visual Arts di Cambridge, Massachussetts,
nel 1967, soggiorno durante il quale tenne circa cinquanta lezioni
distribuite in quattro mesi, da febbraio a maggio. A tal proposito,
l'artista provvedeva ad inviare giorno dopo giorno tali report al
giornale milanese «Il Giorno», strutturando una sorta di
corrispondenza quotidiana che andrà a comporre, corredata coi
commenti, le riflessioni e la bibliografia di prima mano di Munari
stesso, il libro che risponde al nome di Design e Comunicazione
visiva (Fig. 4).
Il volume si apre con questa riflessione:
«In
un ambiente ideale, sia dal lato umano che funzionale, ho potuto
sperimentare alcune innovazioni che riguardano il metodo di
insegnamento degli elementi basilari del design e del linguaggio
visivo. Purtroppo il tempo a mia disposizione era troppo breve per
svolgere un corso completo di questi argomenti, tuttavia fu
sufficiente a collaudare quello che io pensavo potesse essere un
nuovo metodo di insegnamento basato non più sugli antichi concetti
di ciò che è bello e ciò che è brutto, ma su ciò che è giusto o
sbagliato, secondo un dato principio formatore».
Fig. 4 - [Da: Design e comunicazione visiva, Economica Laterza, pp. 198-199]
Foto cortesia di Maria Esposito
Il
“principio formatore” cui Munari si riferisce altro non è che
l'applicazione delle quattro facoltà discusse nei precedenti
paragrafi, che secondo l'artista deve quindi guidare
l'apprendimento sovvertendo le vecchie norme accademiche. La platea
studentesca del prestigioso ateneo americano fornì a Munari la
possibilità di “testare” il proprio “principio formatore”
nel contesto di un ambiente multiculturale:
«Gli
studenti di questo corso erano di origine diversa e, probabilmente,
ciò che era bello per un brasiliano poteva non esserlo anche per un
cinese; mentre, dato un principio formatore uguale per tutti, si
poteva controllare e capire se la soluzione era giusta o sbagliata.
Il concetto di bellezza veniva così sostituito da quello di coerenza
formale.»
Munari
sceglie di tenere delle lezioni del tipo “workshop”, piuttosto
che tradizionali lezioni frontali, e decide di impostarle nel modo
seguente: innanzitutto, introduce l'argomento del giorno
descrivendone brevemente le tematiche e fornendo solo input generici,
dopodiché ripartisce gli studenti in gruppi (oppure in singoli)
lasciando che rispondano al progetto assegnato ciascuno in base al
proprio personale sistema di riferimento estetico. Durante lo
svolgimento degli esercizi, l'artista si limita a supervisionare il
lavoro e infine di fare da moderatore di quello che sarà il
dibattito finale in cui gli studenti descrivono e confrontano i
propri risultati. Il tema di ciascun argomento viene stabilito di
volta in volta dalla discussione che si è tenuta in aula, a partire
dalla quale Munari enuclea una serie di temi che porterà
all'attenzione degli studenti nel corso delle successive lezioni.
Un certo numero di lezioni, in particolare, sarà dedicato allo
studio dei segni e delle superfici. Egli stesso scrive:
«Per
la sensibilizzazione delle superfici, dicevamo, gli studenti sono
stati invitati a trasformare con ogni mezzo a loro disposizione e
inventiva, un normale foglio bianco comune e inespressivo. Solo,
però, cercando di modificare la superficie, conservandone
l'uniformità, il che vuol dire senza fare delle composizioni
artistiche. Perchè è molto difficile limitare un problema. Per
imparare bene occorre approfondire tutte quelle cose che l'entusiasmo
giovanile fa sembrare immediatamente superabili. [...]. Questa volta,
con questa ricerca di sensibilizzazione di una superficie, senza
dover esprimere niente, si sono trovati tutti un poco disorientati.»
Gli
studenti, pertanto, sono invitati a produrre pattern
dinamici e vividi, in modo che da questi possano emergere immagini in
movimento, animate, dall'artista ritenute fondamentali per ottenere
un'ideale comunicazione visiva.
Altro
argomento cui Munari dedicherà buona parte del corso è l'analisi
di moduli, forme e strutture, specie attraverso lo studio delle
proprietà intrinseche ai materiali e agli oggetti, nonché delle
loro possibilità di manipolazione, la cui conoscenza è per
l'artista cruciale per diventare dei buoni progettisti e per
comporre immagini plastiche in modo organico, rispecchiando
coerentemente all'esterno la natura delle singole parti. A tale
scopo, Munari si serve proprio dell'esempio della natura, fornendo
ai suoi studenti degli esempi (alberi, fiumi) cui applicare metodi di
indagine sempre nuovi:
«Tutto
ciò avviene nel corso di Visual Studies e gli studenti provano a
ricostruire l'andamento di un fiume, non disegnandolo dal vero o
ricopiandolo da una carta geografica, ma costruendolo per capire
l'andamento di un liquido su di una superficie plastica. Ognuno
prende un foglio di carta bianca, grande, e lo appallottola come se
dovesse buttarlo via, poi lo distende di nuovo. Questo foglio ha
assunto i caratteri plastici di una zona geografica con montagne e
colline e movimenti vari di terreno: è come la buccia di un pezzo
di superficie terrestre. [...] Su questa specie di plastico
geografico gli studenti sono invitati a versare, con delicatezza, un
poco di inchiostro di china diluito al punto da ottenere un grigio
medio. L'inchiostro corre sulla carta come un modello di fiume,
prende sempre la strada più bassa, si ramifica, si allarga dove
trova posto e finalmente si ferma.»
La
restante parte del corso è dedicata, infine, alle tecnologie non
tradizionali preposte alla produzione artistica: a tale scopo, Munari
si servirà, e non soltanto durante le sue lezioni, di fonti
luminose, proiettori indirizzati su schermi plastici allo scopo di
ottenere l'animazione di oggetti tridimensionali, nonché subirà
la fascinazione del nascente settore della computer
graphic,
novità verso la quale, di fronte ai suoi studenti, mostra una
apertura divertita in barba alle ritrosie dei detrattori delle future
arti digitali, nutrendo anzi un certo ottimismo per le possibilità
che ne potranno derivare.
La
progettazione di giocattoli educativi
Com'è
possibile evincere dalla celebre intervista a Bruno Munari da parte
del figlio Alberto, la passione dell'artista per i giocattoli per
bambini risale già alla sua infanzia: «Da ragazzo (e tanto meno da
bambino) non ho mai avuto giocattoli come oggi hanno tutti i bambini,
però me li inventavo e li costruivo con quello che trovavo: un ramo
biforcato e due elastici di gomma diventavano una fionda» ;
a tale proposito, Bebe Restrelli, allieva prima e collaboratrice poi
di Munari, riporta un ricordo particolare dell'infanzia del suo
maestro: «Il mio primo gioco fu un gattino vero, vivo, miagolante,
trovato nel giardino [...]. Questo forse fu il giocattolo più
completo che abbia mai avuto, così pensavo allora, oggi invece mi
viene il sospetto che anche io bambino ero il giocattolo del gatto»
.
Munari sa che la prima dimensione con cui il bambino viene a
contatto, nel momento in cui questi inizia a muovere i primi passi
nel mondo, è quella domestica. Verso la fine degli anni Quaranta,
forse anche grazie all'occasione della nascita di suo figlio
Alberto, l'artista inizia a dedicare parte della propria attività
di ricerca proprio alla progettazione di giocattoli per bambini.
Accanto a questo non bisogna dimenticare che, come già accennato nei
precedenti capitoli, fin dagli esordi della sua carriera il tema del
gioco aveva legato Munari alle tematiche del dadaismo e del
futurismo: questo appare particolarmente evidente guardando alla
progettazione della Tavola
Tattile
(Fig. 5), opera in cui l'artista integra le idee marinettiane con
gli aspetti della comunicazione visiva e soprattutto tattile dei
materiali, immaginando l'opera come uno strumento che possa
costituire, per il bambino, una sorta di paradigma per imparare a
conoscere i mille aspetti sia di se stesso che della realtà
circostante: «la conoscenza del mondo, per un bambino, è di tipo
plurisensoriale. E tra tutti i sensi, il tatto è quello maggiormente
usato, il tatto completa una sensazione visiva e uditiva, dà altre
informazioni utili alla conoscenza di tutto ciò che ci circonda» .
Fig. 5 - Tavola tattile n°16, 1998
Foto cortesia di Maria Esposito
Inoltre
nel 1954 Munari vince il premio italiano del design “Compasso
d'oro” per la realizzazione della scimmietta
Zizì:
si tratta di un lavoro che chiude un'esperienza frutto di molti
anni di ricerca, dove il senso del tatto acquisisce un ruolo
perfettamente centrale nell'opera. La forma originaria della
scimmietta Zizì è in realtà da rintracciare in un giocattolo nato
alcuni anni prima, sotto incarico da parte della Pirelli, ovvero il
gatto
Meo Romeo,
progetto che aveva visto l'artista alle prese con una serie di
nuovi materiali, specie con la gommapiuma:
«La
Pirelli incarica Munari di pensare a un nuovo impiego industriale di
un materiale per quel tempo innovativo: la gommapiuma. L'idea di
armare la gommapiuma di un sottile filo di rame diventa lo spunto per
creare una serie di giocattoli animati. “La gommapiuma dà piacere
al tatto, simula la vita senza implicarne i rischi. Come la simula il
sottile filo metallico che fa da scheletro ai miei animali”»
E
ancora Munari stesso scrive, in Codice Ovvio:
«Mi
feci dare alcuni campioni di questo nuovo materiale e cominciai una
sperimentazione per capire quali altre cose si potevano progettare in
modo che l'oggetto progettato fosse coerente col materiale e con le
sue qualità. La qualità più evidente si manifestava attraverso il
tatto. Un qualunque pezzo di gommapiuma, manipolato da un bambino,
comunica la morbidezza, l'elasticità del materiale che sembra vivo
e che, a un bambino, fa venire in mente la stessa sensazione che si
prova a tenere in braccio un gattino o un piccolo animaletto»
La
scimmietta Zizì può essere considerata come una sorta di “paradigma
materiale” del metodo munariano: il giocattolo nasce come oggetto
inerte e privo di vita, e soltanto grazie all'intervento, alla
partecipazione e alla manipolazione da parte del bambino, diretto
fruitore oltre che destinatario dell'opera, il gioco può prendere
vita e assumere forme potenzialmente infinite. Il concetto di
“infinito” non sarà abbandonato da Munari, ma verrà anzi
ripreso successivamente per la realizzazione di una nuova serie di
giocattoli didattici commissionati dalla ditta di Bruno Danese ed
ideati insieme al pedagogo Belgrano e allo IARD, istituto di ricerca
di processi formativi con lo scopo di rinnovare la didattica
destinata alla scuola d'infanzia ed elementare .
Anche in questo caso, come per la scimmietta Zizì, protagonista
indiscusso è il bambino e la sua capacità di comporre e scomporre i
vari elementi che costituiscono i giochi, realizzando ad ogni
occasione una storia diversa e stimolando in modo sempre nuovo la
creatività, dunque sviluppando il “pensiero progettuale creativo”.
Danese ricorda l'impegno profuso dell'artista nel progetto dei
kit
di materiali e oggetti assemblabili destinati ai bambini, formati da:
«da
una serie di elementi che offrivano al bambino, anche in età
prescolare, la possibilità di poter capire costruendo egli stesso la
forma fondamentale, molto schematica, delle lettere. Attraverso
questi elementi componibili il bambino, secondo Munari, avrebbe
potuto creare, in modo libero, altre composizioni.»
In
definitiva, da questi due esempi è possibile dedurre quale fosse il
“filo conduttore” che guida e ispira Munari nel suo lavoro di
ricerca nella didattica dell'arte per l'infanzia: il bambino non
deve vivere passivamente il prodotto artistico, ma deve interagire
con esso con le sue proprie capacità e i suoi propri mezzi, in modo
da sviluppare una capacità di interagisce con il mondo attraverso il
gioco.
Il
libro illustrato: rappresentazioni visive nella letteratura per
l'infanzia
Munari
frequenta il mondo dell'editoria fin da giovane, come accennato
precedentemente, ricoprendo il ruolo di illustratore tra le fila del
Secondo Futurismo marinettiano. La prima vera esperienza di
illustratore per l'infanzia è da rintracciare nei disegni
realizzati per Aquilotto
implume
di Romeo Giuseppe Toscano del 1929, in cui è possibile ravvisare
ancora una certa influenza futurista, da cui l'artista, come si è
detto, si discosterà definitivamente solo agli inizi degli anni
Quaranta. Nel 1942 Munari pubblicherà il suo primo abecedario con la
casa editrice Einaudi: qui è già possibile intravedere uno stile
nuovo e più personale, che racchiude in maniera germinale tutto ciò
che caratterizzerà la produzione successiva. Le nuove esigenze
espressive di Munari nascono in primo luogo da una profonda
riflessione sullo stato dell'arte della produzione dei libri per
l'infanzia; l'artista è molto critico nei confronti della
produzione a lui contemporanea, e a tale proposito scriverà:
«[...]
Cose che il bambino non può capire sono: il lusso di certe edizioni,
la stampa preziosa, il libro caro, le illustrazioni poco chiare, le
figure non intere (i particolari di una testa ecc.). Che cosa pensa
l'editore? Pensa che i bambini non comprano libri, ma li comperano
i «grandi» i quali regalano libri, non tanto per interessarli a
qualcosa, ma per far bella figura con i loro genitori (non sempre per
fortuna) e quindi il libro sarà costoso, le illustrazioni a tanti
colori non importa anche se brutte perché tanto il bambino non
capisce, è un povero tontolino; l'importante è che l'oggetto
sia vistoso. Un buon libro per bambini, con belle figure espressive,
con una storia giusta, stampato senza lusso, non avrebbe successo
(presso certi genitori) mentre sarebbe molto gradito ai bambini.»
«Un
buon libro per bambini, dai tre ai nove anni, dovrebbe avere una
storia molto elementare e mostrare figure intere, a colori, molto
chiare e precise. I bambini sono dei formidabili osservatori e si
accorgono di tante cose che agli adulti spesso sfuggono.»
Nel
1966, Munari riassume in “Arte come mestiere” tutte le sue idee
riguardo la didattica per l'infanzia e soprattutto la progettazione
di libri destinati ai bambini:
L'attività
di illustratore continua, in questi anni, con la pubblicazione di una
collana per l'infanzia edita da Mondadori (costituita da sette
volumi caratterizzati da disegni semplificati e di immediata
fruibilità da parte dei bambini), dopodiché nel 1960 comincerà la
sua fruttuosa collaborazione con Gianni Rodari, pubblicando per
Einaudi un nuovo abecedario, ricco di caratteristiche del tutto
inedite prese in prestito dalla ormai lunga esperienza di pedagogo
dell'artista: l'Alfabetiere.
In questo lavoro Munari decide innanzitutto di disporre le lettere in
una sequenza diversa da quella tradizionale (a, b, c, d…), ma
piuttosto di ordinarle in ordine di “difficoltà di apprendimento”.
Ogni lettera è accompagnata e corredata con una filastrocca ricca di
allitterazioni e consonanze che hanno lo scopo precipuo di facilitare
la comprensione visiva e la ripetizione dei fonemi:
«Non
mi sono preoccupato del senso logico perché ai bambini non
interessa; sentite cosa dicono nei loro giochi: aliulè chetaprufì
talusinghè tulilem blum tulilem lem blum. Cosa c'è di
interessante in questa sequenza di parole inventate? C'è un ritmo
sonoro e certe vaghe immagini»
Accanto
a questo, Munari intravede la possibilità di attirare l'attenzione
dei piccoli discenti lavorando sulle fattezze del libro stesso,
oggetto affascinante verso cui il bambino mostra spesso una innata
curiosità in quanto materiale da manipolare, sfogliare e conoscere
innanzitutto in modo multisensoriale:
«In
certi casi un bambino di tre anni può già interessarsi alle
immagini di un libro fatto per lui, più avanti si interesserà anche
alla storia, poi leggerà e capirà fatti sempre più complessi. È
ovvio che ci sono fatti e avvenimenti che il bambino non conosce
perché non li ha mai sperimentati e quindi non capirà cosa vuol
dire quando il principe (tipo oggi inesistente) si innamora della
principessa (altro tipo come sopra). Egli fingerà di capire o sarà
interessato ai colori dei vestiti o all'odore della carta stampata,
ma non sarà certamente molto interessato.»
In
questa cornice si materializza l'interesse di Munari per il
“libro-oggetto”, fascinazione che a ben vedere può essere
riconosciuta parzialmente già a partire dal suo periodo futurista:
basti pensare al progetto e all'illustrazione di L'anguria
lirica
(lungo
poema passionale) ,
realizzato con pagine di latta, e soprattutto alla serie dei Libri
illegibili,
la cui realizzazione ha occupato Munari per un lunghissimo periodo di
tempo, dal 1949 fino al 1997. Ancora una volta in collaborazione con
la ditta Danese, nel 1979 Munari progetterà la serie dei Prelibri,
dodici piccoli volumi in formato 10x10 centimetri, tutti intitolati
“Libro” e tutti ideati e costituiti a partire da cartoncini,
pezzetti di cotone, plastica, legno e con contenuti non dissimili da
quelli dei Libri illegibili: non si troveranno, quindi, illustrazioni
e men che meno testi, ma anzi ciascun libro non sarà altro che la
rappresentazione di se stesso, attraverso l'amplificazione delle
caratteristiche fisiche, tattili, cromatiche e sensoriali tout court
dell'oggetto in questione. Il consiglio dell'artista, rivolto
agli educatori dei piccoli destinatari dei suoi Prelibri, era di:
«[…]prenderli
e nasconderli nella casa, nasconderli in modo che il bambino li
scoprisse ogni tanto [...], magari in una poltrona si trova un
oggetto, si tira fuori un pre-libro e si comincia a scoprire che
questo oggetto è un oggetto che ha la forma del libro ma che non è
un libro.»
È
altresì importante ricordare che l'attività di illustratore di
Munari comprende anche una serie di titoli più tradizionali, sebbene
profondamente “munariani” nelle loro espressioni: gli esempi più
rappresentativi sono sicuramente rappresentati ad alcuni libri della
collana Einaudi Tantibambini,
che comprende titoli celebri come Cappuccetto
Rosso, Verde, Giallo, Blu e Bianco
(Fig. 6) o ancora quelli firmati con lo pseudonimo di E. POI come
L'uccellino
Tic Toc
e Dove
andiamo?.
In ultimo, Munari pubblicherà (come sarà discusso più avanti
nell'elaborato) la serie Giocare
con l'arte
per Zanichelli, in cui sono contenute e descritte molte delle
attività proposte nei laboratori munariani e che sono destinati più
precisamente agli educatori che dovranno eventualmente intrattenere e
organizzare attività di questo tipo per i piccoli allievi.
Fig. 6 - Cappuccetto bianco, Einaudi, 1993
Foto cortesia di Maria Esposito
Il
gioco come strumento pedagogico: avvicinare il bambino all'arte
È
il 1974 quando Munari scrive un articolo per Domus
- rivista dedicata alla formazione e alla propedeutica della figura
del designer - intitolato “Proposta
per una scuola di design che comincia dall'asilo”:
il tema qui affrontato sembrerebbe immediatamente stridere rispetto
ai contenuti abituali della testata, specie considerandone il
pubblico di riferimento; tuttavia, ancora una volta, Munari ritiene
essenziale sottolineare anche in questo contesto come la formazione
estetica dei futuri designer debba cominciare a partire
dall'infanzia, allo scopo di sviluppare quanto più precocemente
possibile una sensibilità artistica, e allo stesso tempo auspicando
che la creatività e la progettualità artistiche possano essere
accessibili anche ai non addetti ai lavori .
Munari stesso, già in Codice
Ovvio,
sottolinea l'importanza dell'acquisizione precoce di tali
strumenti critici e metodologici:
«La
conoscenza di questi elementi formativi del linguaggio visivo
concorrerà a formare individui capaci di esprimersi anche nel campo
delle comunicazioni visive di cui l'arte è lo stadio più alto e
personale. La sperimentazione memorizza facilmente i dati e abitua
all'osservazione più esatta delle opere d'arte».
Dopo
appena tre anni, nel 1977, prenderanno vita i primi Laboratorio
d'arte dedicati ai bambini, e in particolare vedrà la luce
“Giocare
con lʼarte”
,
frutto della lunga attività didattica svolta da Munari in
collaborazione con pedagoghi ed altri esperti ,
nonché scuole e musei di tutto il mondo. Prima di passare ad una
trattazione più sistematica dei Laboratori, è essenziale rimarcare
che questi continuano tutt'oggi ad essere realizzati tramite
lʼapplicazione del «Metodo Bruno Munari» da Beba Restelli
presso musei, scuole e biblioteche oltre che nella stessa sede
milanese di via Cavalieri: «la realizzazione di laboratori è il
naturale completamento di quella pedagogia ludica messa in pratica da
Munari decenni prima attraverso la sperimentazione di giochi e
giocattoli e soprattutto di libri» .
Ancora, in Domus,
Munari rimarca lo stesso concetto:
«In
Oriente insegnano ai bambini a costruire gli origami, una
stupidaggine (per molti adulti superficiali) che però permette al
bambino di fare qualcosa partendo da un foglietto di carta colorato
quadrato, lo si piega secondo certe regole, e ne esce un giocattolo
se le pieghe sono fatte bene. Questo abitua alla precisione, alla
osservazione, a capire che esistono delle regole, che seguendo le
regole costruttive tutto è facile: chiunque lo può fare. Si scopre
alla fine che questa stupidaggine è molto educativa. Da noi invece,
a causa di ingorghi culturali nelle menti di certi insegnanti, si
portano i bambini e le bambine a vedere, di colpo, i capolavori
dell'Arte Italiana nei Musei Più Importanti e così si crea un
blocco nei bambini perché essi si rendono conto che non riusciranno
mai a fare delle opere d'arte così belle. Secondo me bisognerebbe
andare per gradi e cominciare come in Oriente con gli origami, con
giochi visivi stimolatori della creatività e della osservazione, con
le strutture modulate che occupano lo spazio tridimensionale in modo
corretto e semplice, con giocattoli da costruire con moduli
combinabili, con pitture non letterarie ma di osservazione del mondo
della comunicazione visiva, dei colori, delle textures ecc. E poi
invitare i bambini a copiarsi, non nel senso di rubare ma di
scambiarsi le esperienze, senza creare competitività, a fare disegni
collettivi, a cambiare spesso strumenti e regole, ad aiutare quelli
che sono in difficoltà di realizzazione e espressione.»
Il
primo vero Laboratorio vede la luce nel periodo 15 marzo – 15
giugno 1977, su iniziativa di Munari in collaborazione con l'allora
sovraintendente della Pinacoteca di Brera, Franco Russoli, nel
contesto del programma Grande
Brera
intrapreso dalla galleria stessa allo scopo di ampliare e migliorare
l'offerta culturale e la sua fruibilità da parte del pubblico:
l'intento del direttore era quello di permettere al museo di
diventare uno «strumento di comunicazione di massa» .
Il Laboratorio consisteva in una serie fissa di incontri
laboratoriali di vario genere: tale pratica sarà sperimentata qui
per la prima volta, e grazie al suo successo ecumenico sarà poi
adottato e rinnovato in moltissime altre realtà museali d'Italia.
È bene ricordare che, contestualmente, gli anni Settanta saranno per
Munari terreno fertile per raccogliere idee e riflessioni sull'arte
e sul metodo della didattica dell'arte, integrando la sua
esperienza diretta da educatore e divulgatore insieme:
«Penso
che un operatore culturale, se fa delle scoperte, deve comunicarle
agli altri e non deve portarsele nella tomba, come fanno certi
artisti con i loro segreti. Io credo molto nella comunicazione tra le
persone e per questo pubblico tanti libri, spiegando in tutti i
particolari come faccio a realizzare certe cose, perché, se c'è
qualcosa di buono, deve essere diffusa in qualunque parte del mondo».
Così,
accanto all'attività didattica rivolta ai bambini, fiorirà anche
la serie di libri editi da Laterza e dedicati invece al pubblico
adulto, veri e propri libri didattici definiti da Meneguzzo come «ad
alto contenuto di parole»
che, come accade per i laboratori e spesso proponendo attività del
tutto sovrapponibili a quelle rivolte ai bambini, hanno lo scopo
precipuo di educare all'arte e di renderla più accessibile a
chiunque lo desideri.
Il
Laboratorio munariano
La
progettazione dei laboratori munariani prende le mosse
dall'esperienza passata, a cominciare dalla progettazione dei
giocattoli per bambini fino a raggiungere i primi libri illustrati.
Il tipico Laboratorio munariano (Fig. 7) si articolava in questo
modo: i bambini venivano innanzitutto raggruppati per età, in modo
che l'offerta didattica potesse meglio adeguarsi alle singole
esigenze dei giovanissimi studenti; a questo punto, i piccoli allievi
cominciavano a partecipare alle aree tematiche di gioco, in
particolare accedendo ad una sala
adibita allo scopo in cui erano sistemati quattro tavoli dotati di
tutti i materiali necessari allo svolgimento delle attività, e
presso i quali venivano quindi illustrate regole, tecniche e
strumenti su cui il Laboratorio stesso si basava. I bambini potevano
scegliere liberamente a quale attività dedicarsi: i più piccoli
erano introdotti alle singole attività mediante dimostrazioni
pratiche piuttosto che con spiegazioni verbali: gli operatori avevano
il compito quindi di dimostrare loro «come si fa a fare» ,
seguendo la linea tracciata da Maria Montessori per cui ai bambini
non va detto “cosa” fare, ma “come” farlo: «aiutami a fare
da me» ;
per i ragazzi di età superiore invece venivano preparati dei
tabelloni esplicativi che venivano posti accanto alle opere d'arte,
di modo che i ragazzi potessero dedurre autonomamente le regole e le
tecniche artistiche che avrebbero dovuto poi applicare. Munari
descrive in modo puntuale le singole attività didattiche in Codice
Ovvio (riedizione 1994) .
I
bambini potevano accedere alla collezione della Pinacoteca solo una
volta che fossero state completate le attività di laboratorio: qui
potevano finalmente entrare in contatto con una grande quantità di
opere, alcune delle quali erano gli originali su cui avevano appena
lavorato, potendo ora interfacciarvisi con le nuove chiavi di lettura
appena apprese:
«Le
tecniche e le regole sono estratte da opere d'arte visiva di
qualunque epoca, antica o recente; e vengono presentate ai bambini
sotto forma di gioco, con spiegazioni più visive che verbali. I
bambini sono liberi di scegliere la tecnica o la regola che più
piace, di sperimentarne anche più di una, e non viene dato nessun
tema da svolgere. La conoscenza attraverso la sperimentazione
stimolerà una progettazione creativa completamente libera».
Fig. 7 - Bruno Munari durante uno dei suoi Laboratori
Foto cortesia di Maria Esposito
L'obiettivo
dei laboratori era dunque quello di presentare ai bambini i linguaggi
dell'arte visiva (i segni, le gabbie, le textures, le forme, i
formati, i colori ... )
stimolando l'innata curiosità dei fanciulli attraverso lo
strumento del gioco, mezzo fondamentale che consente ai giovani
allievi di rapportarsi alla realtà ed al mondo circostante e
sviluppare ciò che lui chiama il «pensiero progettuale infantile»
.
Tuttavia, la novità essenziale del metodo didattico munariano
consisteva, di fatto, in una comunicazione pedagogica del tutto priva
di verbalità, in modo che si favorisse una lettura ed una
interpretazione immediata delle regole e delle tecniche alla base
delle opere, e quindi delle opere stesse, senza che vi fosse la
necessità di interporre tra l'educatore e il bambino alcuna sorta
di intellettualismo. Il Laboratorio ottenne un grande successo, così
che Munari e i suoi collaboratori finirono col costituire un'omonima
associazione (Giocare con l'arte) che dal 1977 al 1983 si è
occupata di promuovere sia corsi di formazione per educatori di
laboratorio che attività laboratoriali vere e proprie.
Il
Laboratorio multisensoriale e l'esempio di Faenza
È
proprio dalla prima esperienza del Laboratorio “Giocare
con l'arte”
della Pinacoteca di Brera che Munari mutua l'esperienza che lo
porterà ad ideare e quindi realizzare i Laboratori multisensoriali
:
l'artista ritiene che i bambini debbano entrare in contatto
dapprima coi principi generali sottintesi al lavoro artistico,
potendo approcciarvisi solo in un secondo momento, dotati di una
nuova consapevolezza. Munari quindi decide di attingere al metodo di
Brera per costruire laboratori sempre più sistematici, offrendo ai
piccoli allievi attività via via più ampie, comprensive non
soltanto di comunicazione visiva sensu
strictu,
ma anche di strumenti tattili, sonori, di design, tessitura, stampe,
materie plastiche e legno. D'ora in poi l'attività di Munari
sarà instancabile, distribuendosi i suoi laboratori in giro per il
mondo (da Tokyo a Parigi, da Milano a Caracas). A tale proposito può
essere utile soffermarsi su uno dei più significativi laboratori
tenuti da Munari in questi anni: il laboratorio di ceramica tenutosi
nel 1979 presso il Museo Internazionale della ceramica di Faenza, che
resiste a tutt'oggi portato avanti da allievi dell'artista
stesso. L'allora direttore Giancarlo Bojani scrive a riguardo:
«Bruno
Munari attirò la mia attenzione quando, verso la fine degli anni
Settanta, sentivo l'esigenza di avvicinare all'arte ceramica,
alle sue tecniche, ai suoi materiali, ai suoi segreti, tanta gente
che poneva quesiti in prevalenza elementari avvicinandosi a un Museo
così specialistico come quello delle Ceramiche in Faenza. Si
trattava di diradare un'aura che impediva anche elementari
conoscenze e prassi, passando attraverso le opere compiute,
storicamente ed esteticamente complesse per significati e
stratificazioni. Munari poteva aiutarmi in questo, con il suo operare
ridotto all'osso della semplicità, talora persino disarmante. Una
metodologia al cui approccio parve doversi ricondurre soprattutto
l'età giovanile, e specialmente infantile, ma con implicazioni
anche vaste verso l'età adulta. Non a caso l'esperienza ha poi
dimostrato che, attraverso e insieme ai giovanissimi, via via
aderissero rispondendo con “umiltà e competenza” anche i grandi,
insegnanti, genitori, allievi, ceramisti.»
Munari
per primo ebbe modo di interfacciarsi alla lavorazione della ceramica
costruendosi attorno una squadra di collaboratori esperti in materia,
dopodiché potè ideare ed allestire giochi ed attività che avessero
lo scopo di far comprendere agli studenti le tecniche di lavorazione
e il valore artistico della collezione presente nel museo. Ai
partecipanti fu quindi dato modo di scegliere una particolare tecnica
cui dedicarsi, tra cui ricordiamo il lucignolo
– tecnica con la quale i bambini vengono introdotti al concetto di
“corto e lungo”; la tecnica
delle palline,
manipolate e modellate dai bambini stessi, allo scopo di introdurli
ai concetti di grandezza, volume, rapporti, concentrazione; la
tecnica
della sfoglia,
sfruttando le caratteristiche fisiche e tintoriali dei vari
materiali, allo scopo di ottenere effetti tattili e visivi combinati
e simultanei (multisensoriali); la trafila
piccola,
per instillare l'idea di tridimensionalità, spazio, equilibrio; le
textures,
ancora una volta per comunicare il valore tattile delle superfici e
dell'effetto visivo che queste creano combinate tra loro .
Ma
qual era, quindi, l'obiettivo del lavoro didattico di Munari, e
quale, più precisamente lo scopo dei Laboratori didattici per
bambini e ragazzi? Ancora una volta, la meta è rappresentata
dall'attività che si interpone tra il fanciullo e il prodotto del
suo lavoro, e il risultato finale acquisisce un rilievo minore
rispetto al processo che ha condotto alla sua realizzazione:
«Ogni
gioco ha le sue regole. Il metodo Munari ci insegna le regole, ma
anche a trasgredirle permettendo così alle varie personalità di
realizzare le loro varianti e quindi a far agire le varie creatività.
Non è tanto il prodotto finale da considerare, bensì il modo di
imparare. Piaget diceva: “Quello che impara un bambino nei primi
anni, resterà per sempre nella sua mente”»
Il
bambino, dunque, rappresenta il destinatario principale dell'attività
didattica munariana:
«Ci
dobbiamo occupare dei bambini e dare ai bambini la possibilità di
formarsi una mentalità più elastica, più libera, meno bloccata,
capace di decisioni. E, direi, anche un metodo per affrontare la
realtà, sia come desiderio di comprensione che di espressione.
Quindi, a questo scopo, vanno studiati quegli strumenti che passano
sottoforma di gioco ma che, in realtà, aiutano l'uomo a
liberarsi.»
La
sperimentazione della video-didattica: l'esperienza di “Costruire
è facile” e de “l'Arte come Gioco”
Come
già accennato, la lunga carriera di Munari fu poliedrica e
multisfaccettata. Uno degli aspetti spesso meno indagati ed
approfonditi rispetto alla didattica munariana in ambito strettamente
artistico è sicuramente quello della pioneristica e fruttuosissima
video-didattica, attraverso cui l'artista esprime pienamente la
propria personalità ormai matura, trascendendo e superando
definitivamente qualsiasi regola pre-confezionata e confermando
ancora una volta il proprio approccio disimpegnato, giocoso e allo
stesso tempo rigoroso e mai puerile nei confronti dei piccoli
allievi.
È
il 1956 quando la RAI affida a Bruno Munari il compito di mettere a
punto una trasmissione unica nel suo genere, che fosse inclusa nel
contesto della TV dei Ragazzi: si tratta del programma Costruire
è facile,
dedicato in particolare (ma non soltanto) ai giovanissimi
telespettatori che abbiano il desiderio di realizzare con le proprie
piccole mani giocattoli, collage, strumenti musicali, bambole e molto
altro imparando a manipolare la materia e a stimolare la propria
creatività. Oltre ad essere l'ideatore della trasmissione, Munari
in persona sarà conduttore d'eccezione; il primissimo episodio, di
cui purtroppo non restano oggi testimonianze dirette, vede Munari
esordire con queste parole:
«Buongiorno
a tutti, anche a quelli che invece di andare a pescare sono stati a
casa a guardare la trasmissione. Quando torneranno quelli che sono
andati a pescare [...] resteranno molto meravigliati nel vedere che
voi, che oggi ci state a vedere, avrete alla fine pescato un pesce
enorme. Grande come questo! Questo che vedete è infatti il pesce
giapponese che costruiremo»
Il
giovane architetto si presenta in studio con «l'immancabile filo
di ferro, dei cartoni, dei pezzi di carta colorati, dei turaccioli,
piccoli, grossi, enormi, forbici, pinze, gesso e matita» ,
spesso aiutato da piccoli attori cui insegna a costruire strumenti di
ogni tipo. Negli archivi RAI è possibile visionare un particolare
episodio di Costruire è Facile, intitolato Lo
Strumento a Corde,
in cui l'artista insegna ai piccoli telespettatori come costruire
una specie di strumento musicale ibrido, che ricorda sia una chitarra
che un ukulele, e che Munari battezza «cosòfono»; ancora, in
Fotomontaggi,
è possibile visionare un Munari alle prese con riviste, ritagli e
pezzi di fotografie utilizzati per creare ciò che egli stesso
denominerà collage.
Molti
anni più avanti, nel 1991, Bruno Munari collabora con Beba Restelli
per la realizzazione di una collana di video-didattica dedicata ai
bambini ed agli educatori (compresi genitori, zii, nonni) edita da
Metamorphosi TV. Si tratta di una raccolta di videocassette
intitolata L'arte
come gioco,
in cui l'artista dedicherà una serie di piccoli corsi
all'apprendimento e alla pedagogia mediata dagli strumenti e dalle
tecniche proprie del medium artistico. Momento cruciale del percorso
video-didattico è l'insegnamento del metodo munariano, basato su
regole rigorose e ben definite, che allo stesso tempo, tuttavia,
offre costantemente uno spiraglio di trasgressione che si adatti a
ciascun caso particolare e che lasci spazio alla liberazione della
personalità e della creatività di ogni singolo allievo: non è
essenziale, pertanto, che il prodotto finale risulti perfetto e
congruo alle regole prestabilite, ma che attraverso la sua stessa
realizzazione il bambino abbia avuto modo di apprendere .
All'interno
della collana si susseguono sei episodi successivi, ciascuno dedicato
ad un particolare strumento proprio del metodo munariano: il Segno,
la
Forma,
il Colore,
le Texture,
il Collage
e la Fotocopia.
Per chiarire ancora meglio l'idea e il metodo che soggiacciono alla
videodidattica munariana, è opportuno dedicare un'analisi più
dettagliata al Collage. Una voce fuori campo all'inizio del video
relativo introduce il Collage definendolo così: «Non è la colla
che fa il collage»
[…] «Il collage è fatto di fantasia e di incontri casuali,
ottenuti scomponendo e ricomponendo, tagliando e strappando fogli,
foto, fotocopie, materiali diversi per colori, texture e forma.»
Il
laboratorio si apre con Munari che, in presenza di piccoli allievi
attori in studio, fa scorrere una serie di opere di grandi artisti
del collage (tra gli altri: Picasso, Braque, Kurt) mentre estrae da
una cartella cartoncini colorati (colore in fogli), scampoli di forme
e colori diversi, e poi cannucce, foglie, riviste, ritagli di
illustrazioni, e si appresta ad accostarli e a scomporli e ricomporli
a piacere, mostrando le infinite possibilità della composizione (un
cane che salta su un'automobile, volti scomposti e fatti a
pezzetti). L'unica regola qui è il procedimento necessario ad
incollare i singoli elementi del collage: bisogna distribuire con
accuratezza la colla sui bordi dei singoli pezzi, per poi pressarli
con cura ed evitare che il risultato secchi.
A
quasi cinquant'anni di distanza dall'attività di Munari, dunque,
è inevitabile considerare quelli che sono stati i risvolti reali e
attuali di tali innovazioni e il loro impatto effettivo sul mondo
dell'arte dei giorni nostri: malgrado siano stati numerosi i
tentativi dell'artista di divulgare nuove idee e suggestioni sul
ruolo dell'artista e del designer all'interno della società,
secondo una visione che fosse più vicina alle necessità reali dei
fruitori, tale impresa non può considerarsi attuata in senso
assoluto. La figura del designer, al giorno d'oggi, è diventata,
se possibile, ancora più elitaria rispetto al passato, così come le
opere d'arte e i musei si sono tramutati in luoghi drammaticamente
distanti dalla sensibilità dei non addetti ai lavori. A dispetto di
quanto sperato da Munari, secondo cui il design sarebbe «[…]
progettazione, più oggettiva possibile, di tutto ciò che forma
l'ambiente dove l'uomo di oggi vive» ,
oggi il mondo dell'arte e del design rimane ancor di più schiavo
delle regole del mercato e delle mode dettate dal momento,
configurando sistemi e modi di lavorare da cui l'artista milanese
ha sempre rifuggito e verso cui, non ne dubito, sarebbe stato ad oggi
estremamente critico. Un secondo punto problematico, che nasce dalle
riflessioni appena delineate, ha invece a che fare in senso più
stretto con l'operato del designer: come precedentemente
sottolineato, in “Arte come mestiere” Munari delinea la figura
del designer nel suo ruolo di un “progettista” di oggetti che
seguano una corrispondenza tra forma, materia e funzione, muovendo
quindi a partire dalle necessità della società e dai bisogni che
l'oggetto deve soddisfare, in assenza di quelle caratteristiche
formali accessorie che l'artista definisce, in senso negativo, come
“stile”. Anche in questo senso, quindi, il pensiero di Munari può
essere considerato del tutto ignorato, se non più semplicemente e
forse più correttamente “superato”.
Per
quanto riguarda l'approccio munariano all'apprendimento proprio
di ciascun bambino, è fondamentale evidenziare la forte componente
inclusiva del metodo dell'artista e dei suoi collaboratori, sempre
rivolti a coinvolgere in modo irriverente, ironico e leggero i
piccoli allievi in attività formative rivoluzionarie, che vanno dai
libri illustrati ai Laboratori, e che ancora oggi continuano ad
essere organizzati in tutto il mondo e a riscuotere enorme successo
sia tra gli operatori della didattica che tra i bambini, fornendo
ancora oggi ai futuri insegnanti ed educatori strumenti innovativi e
nuove strade da percorrere affinché ogni tappa dell'apprendimento
possa essere una fonte sempre viva di curiosità e creatività per
ciascun bambino che un giorno diventerà adulto:
«C'è
sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle
smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio
informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i
bambini guardano con molta severità queste persone che sono
invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro
giochi, giochi semplici e molto seri.»
NOTE
BIBLIOGRAFIA
ANTONACCI
1999
Francesca
ANTONACCI, L'immaginazione
ludica come facoltà conoscitiva,
Milano, Abitare Segeseta, 1999.
ARNHEIM
1974
Rudolf
ARNHEIM, Il
pensiero visivo,
Torino, Einaudi, 1974.
AUSUBEL
1968
David
Paul AUSUBEL, Educazione
e processi cognitivi,
Milano, Franco Angeli, 1968.
BAGLIO
2022
Gino
BAGLIO, Con
Munari è facile costruire,
Radiocorriere, 2022.
BAJ
1990
Enrico
BAJ, Ecologia
dell'arte,
Milano, Rizzoli, 1990.
BOJANI
1994
Giancarlo
BOJANI, Laboratorio
giocare con l'arte,
Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, 1994.
BOJANI
2000
Giancarlo
BOJANI, Munari
– arte come didattica. Atti del convegno di studi, Faenza, 1999,
Firenze, 2000.
BOSONI,
PICCHI 1995
Giampiero
BOSONI, Francesca PICCHI, Marco STRINA, Progetti
di oggetti-tipo. Brevetti di design in Italia 1949-1966,
Domus, 1995.
DORFLES
1962
Gillo
DORFLES, Simbolo,
comunicazione, consumo,
Torino, Einaudi, 1962.
GALFRE'
2017
Monica
GALFRE', Tutti
a scuola! L'istruzione nell'Italia del Novecento,
Roma, Carocci, 2017.
MAFFEI
2008
Giorgio
MAFFEI,
Munari. I libri,
Roma, Corraini, 2008.
MARUCCI
1992
Luciano
MARUCCI,
Un laboratorio di creatività e libertà,
in “Hortus” n. 12, 1992.
MARUCCI
1986
Luciano
MARUCCI, Viaggi
nellʼarte. Creativa mente. Incontro con Bruno Munari,
Ascoli Piceno, Cauda Pavonis, 1986.
MAZZOLIN
2014
Carla
MAZZOLIN, Lʼarte
senza utile di Bruno Munari,
contenuto ne Il Pepe Verde 59, 2014.
MENEGUZZO
1993
Marco
MENEGUZZO, Bruno
Munari,
Bari, Laterza, 1993.
MENEGUZZO
1995
Marco
MENEGUZZO, Bruno
Munari. Opere 1930-1995,
Bergamo, Fumagalli, 1995.
MILANI
1967
Lorenzo
MILANI,
Lettera ad una professoressa,
Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1967.
MUNARI
A. 1986
Alberto
MUNARI, Munari
interroga Munari in occasione della mostra milanese a Palazzo Reale,
IN “Domus”, n. 677, 1986.
MUNARI
B. 1966
Bruno
MUNARI, Arte
come mestiere,
Bari, Laterza, 1966.
MUNARI
B. 1971
ID.,
Codice ovvio,
Torino, Einaudi, 1971.
MUNARI
B. 1974
ID.,
Proposta
per una scuola di design che comincia dall'asilo
, Milano, Domus, 1974.
MUNARI
B. 1977
ID.,
Fantasia,
Bari, Laterza, 1977.
MUNARI
B. 1981
ID.,
Il
laboratorio per bambini a Brera,
Bologna, Collana “Giocare con l'arte”, 1981.
MUNARI
B. 1993
ID.,
Design
e comunicazione visiva,
Bari, Laterza, 1993.
MUNARI
B. 2008
ID.,
I laboratori tattili,
Mantova, Corraini, 2008.
MUNARI
B. 2012
ID.,
Artista
e Designer,
Roma-Bari, Laterza, 2012.
PANIZZA
2009
Laura
PANIZZA, L'incontro
di Bruno Munari con la pedagogia attiva. I fondamenti pedagogici dei
laboratori “Giocare con l'arte”,
in “Ricerche di Pedagogia e Didatica, 4, 2009
<https://rpd.unibo.it/article/download/1547/920>, 2009.
PAPARELLA
1988
Nicola
PAPARELLA, Pedagogia
dell'apprendimento,
Brescia, La Scuola, 1988.
PIAGET
1936
Jean
PIAGET, La
nascita dell'intelligenza nel bambino,
Firenze, La Nuova Italia, 1936.
RODARI
1973
Gianni
RODARI, Grammatica
della fantasia,
Torino, Einaudi, 1973.
RESTELLI
2002
Bebe
RESTELLI, Giocare
con tatto. Per una educazione plurisensoriale secondo il metodo Bruno
Munari®,
Milano, Franco Angeli, 2002.
SPERATI
1997
Silvana
SPERATI, Emozioni
e Sperimentazioni – a colloquio con Bruno Munari,
Rivista del Centro Studi Gianni Rodari, settembre 1997.
TANCHIS
1986
Aldo TANCHIS,
Bruno
Munari,
Milano, Idea Books, 1986.
ZAGO 2017
Giuseppe
ZAGO, L'
educazione extrascolastica nella seconda metà del Novecento. Tra
espansione e rinnovamento (1945-1975),
Milano, Franco Angeli, 2017.
SITOGRAFIA
www.giacomobelloni.com,
Movimento d'Arte Concreta, consultato il 12 Settembre 2022;
http://www.munart.org/,
archivio realizzato da Luca Zaffarano e Roberto Zeni, consultato il
16 Settembre 2022
|