Galatino traghettatore di idee: cultura ebraica e gioachimismo
Pietro Galatino si è rivelato essere un personaggio
perfettamente inserito tanto nella cerchia degli intellettuali del
suo tempo, quanto nel clima di generico fermento culturale a lui
contemporaneo (compreso quello che iniziava a riguardare alla cultura
ebraica con maggiore entusiasmo). Questi aspetti ci forniscono
diverse indicazioni rilevanti perché in primis ci
aiutano a comprendere articolati legami e, in secondo luogo, non
rendono arduo il parere secondo il quale il minorita possa aver avuto
delle influenze e dato degli apporti teorici in campo artistico;
difatti, il prestigio del galatinese potrebbe aver raggiunto un apice
così alto, soprattutto nella Roma del suo tempo, tanto che le sue
opere scritte (qualche tematica in particolare soprattutto) sarebbero
state riproposte in forma figurativa da alcuni grandi artisti di
inizio Cinquecento. Si vedrà, in altri casi, come invece il suo
contributo sarà più indiretto ma non per questo meno incisivo.
A tal proposito è necessaria una premessa: il Galatino si faceva
portavoce di una letteratura specifica, quella profetica, che da
tempo stava influenzando le rappresentazioni artistiche. La
situazione culturale era suggestionata continuamente dal 1524, l'anno
della congiunzione dei Pesci; in aggiunta a ciò, si viveva una fase
temporale in cui si riscoprivano figure profetiche (come Gioacchino
da Fiore) anche e forse soprattutto dopo l'apertura
dell'Apocalypsis Nova attribuita al beato Amedeo. Insomma,
il profetismo di inizio Cinquecento condizionava insistentemente la
letteratura e i programmi figurativi e, in tale contesto, le opere
del minorita, con la forza d'urto che le caratterizzava, potrebbero
non aver fatto eccezione. In questa epoca di rinnovata attenzione
verso grandi pensatori profetici, uno dei principali propulsori di
tali argomenti potrebbe essere stato, dunque, proprio Pietro Colonna
il Galatino le cui opere contengono forse il maggior numero di
informazioni riguardanti quell'epoca relative al patrimonio di idee
racchiuse nel mondo iconografico degli affreschi della Cappella
Sistina, delle Stanze di Raffaello
e della Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio. La critica
che si è occupata della figura del minorita ha quasi sempre omesso
questo aspetto: difatti, nei grandi intellettuali che ne hanno fatto
tema di studio o nei biografi del Seicento non troviamo pressoché
alcun riferimento a questo argomento. Una delle ragioni che
giustificherebbe questo potrebbe essere un dato di non poco conto:
mutato il clima culturale, il Galatino sarebbe stato guardato con più
sospetto, soprattutto nel periodo precedente e successivo al Concilio
di Trento; quest'ultimo, infatti, «oppone al dinamismo
dell'interpretazione una nozione oggettivistica e contenutistica di
tradizione, ponendo freni alla stessa circolazione del testo biblico…
Il secolo che era cominciato con la vigorosa proposta avanzata da
tutte le parti di un ritorno alla lettera e allo spirito del testo
biblico come premessa di un rinnovamento della cristianità termina
con la costituzione di blocchi teologico-culturali antitetici, in cui
alla Scrittura viene affidato il peso di costruzioni scolastiche
sproporzionate »;
la fama del frate, per tali ragioni, iniziò a vacillare; bisogna,
però, aggiungere che essa resterà duratura tra coloro che
continueranno ad alimentare la letteratura profetica, come il Postel,
o tra i predicatori che troveranno nel De Arcanis un valido
strumento per continuare a combattere contro gli ebrei e svelare gli
arcana delle Scritture .
In tal senso, quindi, agli occhi della critica è sembrato azzardato
vedere in questo personaggio una fonte dottrinale di grandi
rappresentazioni artistiche; d'altra parte, però, va ribadito che
il Galatino perse considerazione solo in seguito, perché fu un
protagonista attivo del suo tempo e, nel giudizio dei suoi
contemporanei, per la sua vasta erudizione biblica e la conoscenza
delle lingue orientali, un uomo di alta dignità culturale; fu un
considerevole testimone dell'impatto delle profezie e alla luce di
ciò le recenti ricerche di alcuni studiosi sembrano voler chiudere
un cerchio pensando al galatinese come a un teologo impegnato su più
fronti e, dunque, anche su quello artistico.
È necessario poi aggiungere un altro dettaglio: Pietro Colonna era
un grande esperto di cultura ebraica; in essa, come ha sottolineato
il Sermoneta, «acquista grande rilievo la figura del profeta, anche
per la capacità che egli ha di tradurre in immagini, adeguate alla
capacità di comprensione dell'uomo comune, le verità che
inesauribilmente egli attinge dalle Scritture con l'intento di
promuovere il progresso dell'umanità verso il suo finale
perfezionamento. Il profeta, primo fra tutti Mosè, dopo aver
acquisito tutte le scienze, prima riesce a tramutare le immagini in
concetti astratti e poi, di nuovo, i concetti astratti in immagini.
La capacità di rendere concrete e palpabili le verità astratte per
poterle trasmettere all'uomo comune gli permetterà di agire
all'interno del conglomerato sociale entro cui vive per natura e di
aiutare così l'umanità ad avvicinarsi al raggiungimento del suo
fine… Vate inspirato, il profeta-filosofo sarà capace di estrarre
dal testo rivelato le infinite e inesauribili verità in esso
contenute, verità sempre nuove che affiorano in ogni generazione ».
In tale descrizione rientra a pieno diritto anche il Galatino che,
con il fine di ricercare la veritas e l'antica sapienza,
rilegge i testi e li reinterpreta alla luce di questo obbiettivo;
fatto ciò, li espone al giudizio del pubblico che, così, avrà ora
davanti a sé la spiegazione di molti arcana e la correzione
di alcuni errori delle Sacre Scritture. In qualche modo, dunque,
anche il Galatino, teologo, filosofo e profeta, riesce a convertire
le sue parole in immagini, immagini di una Chiesa più giusta, che ha
necessità di essere riformata partendo proprio da tali precisi
presupposti. A tutto questo va poi annessa un'altra
riflessione: nei programmi figurativi sopra citati è sempre presente
e costante, in svariate maniere, il riferimento al pensiero di
Gioacchino da Fiore. Il Galatino è debitore nei confronti di questa
figura per diverse tematiche e soprattutto per la questione delle Sei
Età del mondo. Non sembra, in considerazione di tutto questo,
inverosimile pensare che il minorita possa essere stato una sorta di
traghettatore di queste idee e che alcuni dei grandi artisti del
periodo siano stati in grado di recepirle. Vedremo, infatti, che si
tratterà di ipotesi che riguardano pittori e luoghi non casuali.
Una teologia che interpreta la Bibbia con un metodo quasi
allegorizzante può essere tradotta in immagini più facilmente di un
pensiero teologico che si serve in primo luogo di concetti
filosofici, quasi sempre astratti .
In qualche modo il Galatino riuscì a utilizzare un'esegesi tanto
filosofica quanto allegorizzante e ciò spiega, in effetti, l'idea
del suo contributo ad alcune pitture romane del periodo. Difatti,
alcuni concetti vengono esplicitati seguendo i precetti di dotti come
Gioacchino da Fiore, le cui opere erano dense di riferimenti visivi
che accompagnavano gli insegnamenti elencati; oltre a ciò, il
minorita fa spesso riferimento al tedesco Johannes Reuchlin che negli scritti utilizza temi allegorizzanti
(come quello della scala) o al Benigno Salviati; quest'ultimo in
particolare sarà coinvolto in uno dei tre luoghi che verranno
analizzati insieme alla personalità del cardinale Carvajal. In
conclusione, quindi, si può affermare che non escludere il fronte
artistico quando si parla degli influssi di una personalità come
quella del Galatino sembra, come si vedrà, la corretta
interpretazione di una figura tanto complessa quanto autorevole negli
anni e negli spazi a lui contemporanei.
La Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio
Il primo luogo da esaminare è la chiesa romana di San Pietro in
Montorio e, di naturale conseguenza per tale ricerca, la personalità
del cardinale Bernardino Lòpez Carvajal.
«Il cenobio gianicolense celebra la sacralità di uno spazio legato
a esperienze esistenziali differenti che ne hanno rinnovato e
rilanciato l'importanza. Ciò ha determinato anche l'aggiornamento
degli insediamenti cultuali, da quelli più antichi, semplici ricordi
del passaggio dell'apostolo Pietro, alle strutture destinate
all'edificazione di quelle testimonianze dedicate alla vita
monastica. Strutture che divengono a loro volta teatro del rapporto
con il divino: nella prima fondazione celestina Pietro del Morrone,
poi pontefice e santo, avrebbe resuscitato il priore (1280), mentre
nel monastero francescano Amedeo Menez de Silva successivamente
beato, rapito in estasi avrebbe scritto la profezia dell'avvento
del pastore angelico nella caverna corrispondente al luogo della
crocifissione di san Pietro. Dopo la morte del frate (1482) la
componente messianica e apocalittica del suo apostolato sarà ripresa
e utilizzata dal cardinale Bernardino López de Carvajal,
ambasciatore dei Re Cattolici spagnoli Isabella e Ferdinando presso la Curia
pontificia. Il prelato seppe utilizzare la profezia come strumento di
propaganda e di promozione sulla scena politica internazionale della
Corona spagnola, sostenitrice e propagatrice della cristianità. Alle
figure di Amedeo e di Bernardino si legano la fase rinascimentale del
monastero e della chiesa e la costruzione del Tempietto. Allo stesso
ambiente culturale si deve riferire il ciclo decorativo della chiesa
».
La valorizzazione della chiesa, dunque, assunse un ruolo strategico
con Carvajal che operava seguendo un unico fine: assicurare ai Re
Cattolici il riconoscimento del loro protagonismo sul piano
internazionale tramite la creazione dell'immagine della monarchia
messianica, capace di rinnovare, sostenere e diffondere il
cristianesimo .
Rispetto a San Pietro in Montorio, Carvajal è coinvolto in altre due
questioni: la prima, di massima importanza, riguarda il fatto che
egli assistette all'apertura dell'Apocalypsis Nova del
beato Amedeo; la seconda, invece, interessa la Cappella Borgherini.
Difatti, nel 1516, il ricco mercante fiorentino Pierfrancesco
Borgherini, un amadeita in ottimi rapporti con Carvajal, commissionò
la decorazione di questa cappella a Sebastiano del Piombo che lavorò
probabilmente sulla base di disegni forniti da Michelangelo per
rappresentare la Flagellazione sull'altare, la
Trasfigurazione nel catino e Isaia e Matteo sopra
l'arcone esterno. Gli affreschi furono conclusi intorno al 1524 e
diedero inizio a una nuova fase pittorica che illustrava quella
contemporanea aspirazione di rinnovamento della Chiesa, tematica
molto cara a Pietro Galatino che ne fece l'assunto principale
soprattutto nelle sue opere De Ecclesia destituta e De
Ecclesia restituta. Partendo dalla prima raffigurazione, vediamo il Cristo legato a una colonna al centro di una sala
colonnata, circondato da quattro figure maschili, due per lato, che
alzano in aria le fruste. A sinistra di tale scena, ma ben separati,
si trovano le due figure monumentali dei Santi Pietro e Francesco;
sopra, nella mezza cupola, c'è la Trasfigurazione che mostra Cristo nella stessa scala di quello sottostante; sebbene
queste due scene siano separate da una cornice dipinta, entrambe le
figure di Cristo sono allineate sullo stesso asse in modo che esista
una chiara relazione tra i due affreschi. Appena sopra il cornicione,
in basso a sinistra della Trasfigurazione, troviamo le figure dei
Santi Pietro e Giovanni con l'apostolo Giacomo dalla parte opposta;
tutti e tre guardano il Cristo e, sopra di loro, sono sovrastati
dalle mezze figure di Matteo ed Elia. Le due immagini combinate di
Flagellazione e Trasfigurazione possono essere considerate un
riferimento alla gloria che segue la passione, ma anche, soprattutto
la seconda, alla bolla con la quale Callisto III istituì la festa
della Trasfigurazione per celebrare la battaglia di Belgrado in cui
l'Europa (e quindi la Cristianità) trionfò contro i
nemici-eretici turchi. È chiaro, poi, che quest'ultimo tema
assunse un significato nuovamente vivace durante gli anni del papato
di Leone X, momento in cui i turchi stavano ancora una volta
minacciando i confini dell'Europa cristiana; va ricordato, a tal
proposito, che anche il Galatino fu coinvolto nella questione vivendo
in prima persona l'attacco turco alla città di Otranto.
Quest'ipotesi di significato, avanzata soprattutto da Kokot, si
basava anche su una dichiarazione precisa: il pontefice, infatti, si
riferiva alla mahometanorum arma come a un flagelllum .
In ogni caso, anche Hirst suggerì che il programma visivo facesse
allusione alla nuova minaccia turca del 1516 e, a tal proposito,
inserì nella vicenda anche il cardinale spagnolo Carvajal che nel
1517 fece parte di una commissione papale designata per pianificare
un attacco al nemico turco. Questa cappella in San Pietro in
Montorio, però, oltre a questo tema, ha un programma significativo
se questo viene considerato in relazione al contesto degli ambienti
riformisti francescani del primo Cinquecento, in particolare quello
dei Frati Minori (di cui faceva parte Pietro Colonna il Galatino);
essi, difatti, si occupavano della questione e della verità storica.
In una Roma che viveva quell'intenso clima di attesa apocalittica
di cui si è detto in precedenza, questi francescani riponevano le
loro speranze in profezie che promettevano un rinnovamento della
Chiesa e una nuova età di pace e gioia raggiungibile con l'ausilio
del Papa Angelico .
Se è vero che il cardinale Carvajal fu al centro di queste vicende e
in qualche modo possa essere considerato responsabile dell'ideazione
del programma pittorico, è anche vero che le idee che si prenderanno
in esame erano già in circolazione e presenti nei testi del
Galatino.
È necessario partire da una premessa: un testo, cioè
l'Apocalypsis Nova, sembra essere la chiave per comprendere
il messaggio centrale rappresentato nella Cappella Borgherini; si
tratta, però, di un'opera che ebbe una notevole influenza su dotti
del periodo come Carvajal stesso, Galatino, Benigno Salviati e molti
altri, tutti animati da un'intensa volontà di rinnovamento
clericale e dalla speranza della conversione di tutti i non credenti.
Questo tipo di profezia, non nuova nel mondo religioso, derivava però
da una tradizione originata e diffusa da Gioacchino da Fiore: in
particolare la sua idea della Terza Età prevedeva infatti un periodo
di pace perfetta, di conversione dei miscredenti, di perfezionamento
delle regole della vita ecclesiastica e, anche se non esplicitamente,
l'arrivo di un papa riformatore. Furono i Frati Minori a
impadronirsi di queste idee gioachimite e, di conseguenza, Pietro
Galatino divenne quasi una guida dei concetti di Gioacchino.
Rispetto all'Apocalypsis Nova, poi, va ricordato che
sotto l'altare della chiesa di San Pietro in Montorio è dipinto un
libro chiuso dal quale fuoriesce un foglietto che riporta la scritta
Aperietur in tempore, cioè il motto che compare
nell'Apocalypsis Nova che non doveva essere aperto
finché non fosse giunto il tempo voluto da Dio, che si stabilì
fosse arrivato nel 1502. La presenza del cartiglio e di questo suo
criptico messaggio consente di collegare l'intera simbologia della
decorazione della cappella con le attese millenaristiche tornate
attuali nel secondo e nel terzo decennio del Cinquecento . «Sotto
l'altare c'è, quindi, il libro con l'Aperietur in tempore,
ma al di sopra, nell'arcone trionfale, c'è una composizione
abbastanza singolare, dove i libri chiusi sono addirittura due.
Sull'arcone compaiono due personaggi che devono essere un profeta
(Isaia) e un evangelista (Matteo protettore dei banchieri,
professione del committente Borgherini), in quanto la dialettica fra
le profezie dell'Antico Testamento e la loro realizzazione nel
Nuovo è uno dei maggiori significati della cappella. Dunque, nella
parte sinistra dell'arcone, un libro chiuso è tenuto dall'angelo,
che lo indica a Matteo, e un altro invece è tenuto da Matteo stesso,
chiuso, ma con un suo dito a far da segnalibro. L'angelo mostra
all'evangelista il libro che contiene tutti gli arcani della fede,
quel libro da cui attingere per conoscere le verità divine, ma
Matteo invece con l'indice dell'altra mano indica all'angelo
molto chiaramente la scena che si svolge sotto di loro, con il
Christus triumphans posto al di sopra del Christus patiens ».
Secondo Stefania Pasti, quindi, il disegno salvifico e profetico non
è da ricercare soltanto nel libro chiuso ma nella figura stessa del
Cristo, sia nella sua passione che nella sua gloria. Qualunque
disegno vaticinatore parte da ciò e tende a ciò, nonostante ogni
epoca abbia le sue particolari profezie. Così, il motto dipinto su
quel foglietto sotto l'altare non andrebbe letto come riferimento
unico al testo in sé da aprire al momento opportuno, ma anche come
la rivelazione graduale dell'intero disegno divino e profetico
. Tralasciando
momentaneamente l'idea secondo cui alla base di questi affreschi vi
siano soltanto l'Apocalypsis Nova, il cardinale Carvajal e
le idee gioachimite, studi recenti hanno avanzato il parere secondo
cui il De Arcanis Catholicae Veritatis di Galatino sia la
chiave per comprendere la scelta di entrambi i soggetti della
Cappella Borgherini, mentre il Commento delle Sentenze di Pietro
Lombardo di Egidio da Viterbo sia il testo chiave per la
comprensione del significato della scena della Trasfigurazione
. Rispetto
al De Arcanis l'ipotesi proposta dalla Pasti vedrebbe tutto
il Libro IV (quello in cui il minorita galatinese affronta la
maggiore eresia ebraica e cioè la credenza in due distinti Messia)
in stretto rapporto con le scene dipinte da Sebastiano del Piombo:
«Questo è quanto è raffigurato nella Cappella Borgherini, in una
dialettica imprescindibile fra il Libro e quel che il Libro rivela,
la visione dell'unico Messia Uomo-Dio. Uomo sofferente e Dio
glorioso. Passione e teofania sono reciprocamente necessarie e
compresenti nell'unico Messia figlio di Dio, unico Redentore. I
deliramenta ebraici sul fatto che il messia non sia ancora
venuto, o, peggio ancora, che i messia siano due, uno che soffre e
uno che è nella gloria, sono irrevocabilmente confutate dalla
corretta lettura dei testi come è dimostrato con la parola scritta,
e con la meravigliosa visione del Dio incarnato, sia sofferente che
glorioso, dell'immagine dipinta. Come abbiamo visto, le due
immagini cristologiche sono comprese fra due libri chiusi, che si
possono congiungere in un'ideale diagonale che attraversa tutta la
cappella dall'alto al basso: nei libri sono contenute le profezie,
e il loro avverarsi e rivelarsi nel tempo, se il tempo è
correttamene interpretato. E in mezzo c'è la visione che è la
realizzazione lampante delle profezie stesse. La dialettica è anche
fra l'altra figura che si trova sull'arcone trionfale, il profeta
Isaia con il suo rotolo: egli ha predetto la venuta di Cristo e la
sua passione, e l'evangelista ha testimoniato l'avverarsi delle
sue profezie ».
La Pasti ha spiegato anche che le due raffigurazioni, Flagellazione e
Trasfigurazione, non siano casuali: rispetto alla prima il Galatino
dedica al tema molte pagine, ricordando come gli ebrei sbaglino nel
pensare al Messia come a un re ricco e potente e non umile; questa
scena è quella che, dunque, meglio rappresenta un'altra verità
posta davanti agli occhi di chi commette questo errore di
interpretazione. Per quanto riguarda la seconda, invece, sarebbe
stata scelta per rendere visivamente l'unità del Messia nella
duplicità delle sue nature e nella sua doppia veste di Patiens
e Triumphans e cioè il momento in cui, ancora rivestito dal
suo corpo di uomo, il Cristo si mostra allo stesso tempo vero Dio.
Altro elemento della raffigurazione da ricollegare alle parole
del Galatino sarebbe la colonna presente nella scena inferiore che
crea l'asse di collegamento con il Cristo trionfante. Le antiche
scritture riportavano l'assunto secondo cui la terra poggia su
dodici colonne, ma Eleazaro affermava che è su una sola colonna che
sta il mondo, Giusto è il suo nome e Giusto sarebbe infatti il
fondamento del mondo. Secondo il minorita, come riportato nel De
Arcanis, entrambe le affermazioni sono veritiere poiché
trasponendole, le dodici colonne diventano i dodici apostoli, ma la
Colonna unica, quella che sosterebbe il mondo, sarebbe il Messia che
viene definito, infatti, il Giusto .
Ancora una volta un altro dettaglio del programma figurativo della
Cappella Borgherini vuole mostrare il concetto di unione e di
unicum. Le ipotesi della Pasti si inseriscono in un
discorso più ampio; nel concepire lo schema pittorico per la
cappella, la Trasfigurazione potrebbe essere stata scelta per le sue
allusioni alla Seconda Venuta di Cristo poiché questo tema era stato
da lungo tempo associato al ritorno del Signore dai Padri della
Chiesa. Si pensi, in particolare, a Giovanni Crisostomo che
interpretò, nel commento al Vangelo di San Matteo, la
Trasfigurazione come prefigurazione della Seconda Venuta .
Forse, il contributo del Galatino potrebbe essere stato utilizzare
questo assunto in un contesto di idee gioachimite: il Secondo Avvento
rappresenterebbe, in tal senso, non il ritorno del Cristo ma la
riforma della Chiesa e il suo rinnovamento. Seguendo questo schema,
la Flagellazione starebbe a rappresentare il flagello e il castigo
che devono subire la Chiesa e la società per i propri peccati. Il
tema, anche in tal caso, non sarebbe quindi nuovo, ma ideato da
Gioacchino da Fiore e ripreso poi anche nelle prediche dal Savonarola
.
Alle idee gioachimite apparterebbe anche la rappresentazione dei due
profeti in alto, nei pennacchi della navata: la figura di Isaia
profetizzò infatti la flagellazione del Signore, quella di
Ezechiele, invece, un tempio purificato pieno della gloria di Dio e
dell'unico Pastore inviato a regnare sul popolo unito di Dio.
Questo Pastore era Cristo, considerato ovviamente capo della Chiesa,
ma la considerazione può essere estesa anche al Papa. Ancora una
volta, Gioacchino da Fiore e l'Apocalypsis Nova sembrano
essere le due fonti dottrinali principali per il programma
figurativo. La decorazione della Cappella Borgherini sarebbe stata
progettata, dunque, per affermare la convinzione che la Chiesa
necessitava di un rinnovamento urgente: il tempo della rinascita era
considerato vicino, Cristo sarebbe tornato presto nella gloria per
inaugurare questa nuova età d'oro e di pace . Alla
luce di quanto detto fino ad ora le ipotesi generate seguono
sostanzialmente tre filoni. Partendo da quello più recente, esso
considera il De Arcanis del minorita Pietro Galatino la
matrice di ispirazione per il lavoro di Sebastiano del Piombo e ciò
a causa di tematiche presenti nello scritto e riportate nel programma
figurativo. Un secondo indirizzo vede, invece, la personalità del
cardinale Bernardino Carvajal come fonte dottrinale principale e
questo in vista dei suoi rapporti con la Chiesa (a lui, infatti,
venne affidata la Chiesa di San Pietro in Montorio e a lui, forse, va
ascritta la commissione del Tempietto) e con la personalità del
Borgherini, ma anche per il suo legame con l'Apocalypsis
Nova, testo aperto per sua volontà nel 1502. Infine, la terza
corrente di pensiero che si è tentato di delineare in tale sede
prevede che la personalità del Carvajal sia certamente coinvolta, ma
che soprattutto quella del Galatino possa essere la vera
protagonista. Non si intende, con ciò, affermare che alcuni temi
delle opere del minorita siano rappresentati nella Cappella in forma
visiva (fatto effettivamente ammissibile), ma che la sua figura sia
quella che ha fatto concretamente da tramite tra le vecchie idee di
Gioacchino da Fiore (e diversi antichi profeti) e gli anni a lui
contemporanei animati dalle stesse aspirazioni di riforma.
Come si è detto in precedenza, il galatinese può essere considerato un
traghettatore di idee: con le sue opere non fece altro, infatti, che
riproporre al pubblico e confermare antiche teorie medievali; non è
un caso, infatti, che questo personaggio sia animato tanto dalle
vecchie tradizioni quanto dalle nuove istanze culturali del suo
tempo. In tal caso specifico, quindi, Pietro Galatino potrebbe essere
stato colui che, insieme al Carvajal, avrebbe esplicitato nozioni
passate in un programma figurativo adatto alle esigenze di quel
periodo storico. Se, poi, le rappresentazioni di Sebastiano del
Piombo sembrano realmente riprendere alcuni concetti del De
Arcanis questo non fa altro che confermare ulteriormente quanto
Galatino fosse, in ogni caso, presente dietro il programma della
Cappella: sia come fonte diretta, sia come divulgatore di precisi
concetti. Va ricordato, infine, come egli fosse molto legato al testo
dell'Apocalypsis Nova e che, come lo stesso Carvajal,
anche lui arrivò a considerarsi il Pastor Angelicus
profetizzato per il miglioramento della Chiesa. Il tema della
Cappella Borgherini sembra essere riassunto proprio in questo
concetto.
La Cappella Sistina La personalità del
Galatino, secondo le ricerche di alcuni studiosi come Heinrich
Pfeiffer, sarebbe una delle protagoniste all'interno della Cappella
Sistina e si inserirebbe tra le numerose e svariate fonti dottrinali
presenti. Si tenterà, quindi, di delineare brevemente i punti di
contatto tra il teologo e il programma figurativo, ma verranno
necessariamente esclusi da questa dissertazione numerosi elementi che
richiederebbero sede e spazi diversi. Il primo aspetto da
considerare, il quale è ormai quasi un filo conduttore dell'analisi
svolta fino ad ora, è che Pietro Colonna è considerabile appunto un
importante propagatore di idee gioachimite: per cui, se anche nella
Sistina assistiamo alla messa in scena di alcuni concetti dell'abate
calabrese Gioacchino da Fiore, sembra probabile che a far da tramite
tra le richieste del papato, gli artisti e le antiche tradizioni
medievali possa essere stato ancora una volta il galatinese (secondo
altri, invece, questo ruolo sembrerebbe spettare a Egidio da Viterbo
o Benigno Salviati, due figure comunque legate al minorita, ma che
nelle loro opere hanno presentato meno rimandi all'abate da
Fiore). L'opera di Gioacchino che gli studi ritengono essere la
più influente per il programma iconografico della Sistina è il suo
Liber de Concordia Veteri ac Novi Testamenti del 1183 circa,
costituito da una prefatio seguita da cinque libri; materia di
essi è principalmente la volontà di dimostrare che le figure
veterotestamentarie sono una prefigurazione di quelle successive e
quindi comprovare la presenza di una sorta di simmetria e di un
collegamento tra Vecchio e Nuovo Testamento.
Rispetto a questa tematica, la studiosa Silvia Danesi Squarzina si è espressa a favore
affermando che il pensiero dell'abate calabrese ebbe un momento di
straordinario splendore grazie a Sisto IV prima e Giulio II poi
soprattutto per le idee rappresentate nella Sistina: «la cappella
divenne la grande raffigurazione visiva delle Sacre Scritture come
storia universale dell'umanità, secondo i contenuti del Liber
de Concordia. La Bibbia non costituisce una semplice
cornice narrativa, bensì è materia strutturale, portante di un
disegno in parte profetico ».
Il tema delle pareti, quindi, seguendo lo schema gioachimita
rappresenterebbe la costante influenza e consequenzialità tra
Vecchio e Nuovo Testamento. Nello specifico, per la connessione
tra il testo gioachimita e alcune scene della Cappella si rimanda
agli studi di Malcolm Bull .
Una sola rappresentazione in particolare verrà presa a titolo
esemplificativo in esame: si tratta del pennacchio che riporta la
storia della Crocifissione di Aman; è un soggetto insolito
poiché, secondo la Vulgata di San Girolamo, Aman non fu
crocifisso ma impiccato ad un albero. Se inizialmente si era pensato
che l'immagine dipinta seguisse il testo dantesco che descrive
l'uomo come crocifisso ,
ancora una volta Gioacchino da Fiore sembra essere la reale fonte:
egli, infatti, scrive che Aman, per ordine del re, fu appeso alla
croce che lui stesso aveva preparato per Mardocheo. Secondo lo schema
gioachimita, però, questo evento prevedeva un secondo livello di
lettura più complesso e profondo poiché con esso si poteva
intendere l'ascesa al potere di Mardocheo, che prefigurava a sua
volta l'elevazione del grande papa previsto nella Terza Età
. L'episodio
in questione è tratto dal libro di Ester: Ester, nipote di Mardocheo
e sposa di Assuero, riesce ad ottenere l'abrogazione di un decreto
di strage degli Ebrei e la condanna del persecutore Aman. La scena
rappresentata da Michelangelo è tripartita: a sinistra la condanna
di Aman vestito di giallo, a destra la ricompensa di Mardocheo
insieme a Ester, al centro Aman in croce. Tornando
all'interpretazione gioachimita, Aman rappresenterebbe altresì
l'Anticristo che, in croce, diventerebbe immagine uguale e
contraria del Cristo.
Tali riferimenti, se da un lato dimostrano
quanto l'artista fosse a conoscenza del Liber de Concordia,
al contempo ci pongono nella posizione di chiederci come
l'artista conoscesse così bene quel testo. L'ipotesi è,
appunto, che una figura di un consigliere come quella di Pietro
Galatino (o un teologo con il suo medesimo bagaglio culturale) possa
aver fatto da intermediaria perché in primis la posizione del
minorita galatinese nei confronti delle storie di tradizione ebraica
era ben consolidata e lo rendeva, a quel tempo, uno dei massimi
esperti in materia; in secondo luogo, inoltre, perché è altamente
improbabile che il programma sia stato redatto senza alcuni consigli
teologici. Questo soprattutto perché, rispetto a tale specifica
scena, Michelangelo indicò un preciso e non semplice collegamento:
la Crocifissione di Aman, in base al posto che le viene
assegnato all'interno dell'intero programma figurativo, va
interpretata seguendo uno schema preciso; il suo corrispettivo
dall'altra parte dell'altare, infatti, è il Serpente di
bronzo, un episodio che sembra essere la prefigurazione della
Passione perché come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo .
Ecco che allora le due scene si uniscono e dialogano fra loro
seguendo lo schema di cui si è detto in precedenza.
Chiaramente, le idee di Gioacchino da Fiore sono costanti in molte
delle raffigurazioni dei cicli pittorici della Sistina, e andando
ancora nel particolare un ulteriore dettaglio va preso in
considerazione per poter esplicitare un collegamento con Pietro
Galatino; egli, in tal caso, per ragioni cronologiche, non può
essere troppo coinvolto direttamente con l'impianto iconografico di
cui si tratterà, ma allo stesso tempo diverrà un lecito
protagonista anche di questa vicenda. Si consideri, quindi,
l'affresco dipinto intorno al 1492 dal Perugino raffigurante il
Ritorno di Mosè in Egitto e, tra il resto, anche il tentativo
di uccisione di Mosè per mano dell'angelo di Dio; in Mosè sono
rappresentati tutti gli apostoli della fede e i predicatori che non
hanno voluto imporre ai pagani i più severi comandamenti di Cristo;
Zippora rappresenterebbe la Chiesa e non la semplice moglie e,
quindi, non sarebbe Mosè colui che da lei è definito sposo di
sangue, ma il figlio. Infatti, «lo sposo della Chiesa è ancora
Cristo. Essa lo definisce sposo di sangue perché è stata salvata
per mezzo del sangue di Cristo. Così, i figli della Chiesa, dopo la
circoncisione dei loro vizi e dopo che essi hanno portato a
compimento la loro vita con le opere buone, vengono detti non più
figli, ma sposi, perché in cielo sono uniti a colui che sulla terra
viene chiamato ed è realmente lo Sposo ».
La menzione dello sposo di sangue costituisce il vero motivo per il
quale l'affresco si trova sulla parete di destra, dietro il trono
papale .
Difatti, in Pietro Galatino troveremo (in aggiunta a quanto già
detto fino ad ora) l'idea secondo cui il papa, come rappresentante
di Cristo, è da considerarsi sposo di tutta la Chiesa: «quia quum
sit Christi vicarius, qui naturam sibi humanam in virginis ecclesiae
sponsus est ».
La relazione sposa-sposo, come si è già anticipato, è anch'essa
di matrice gioachimita e ritorna negli scritti del dotto pugliese.
Appurato, dunque, che Gioacchino da Fiore possa essere stato
utilizzato come fondamento teologico e filosofico anche per il
vecchio ciclo della Sistina, non sorprende ritrovare, in seguito, le
sue idee tanto nei testi del minorita galatinese, quanto in altre
raffigurazioni del nuovo ciclo che sembrerebbero basate sulle
posizioni di quest'ultimo. Secondo Silvia Danesi Squarzina, una
grande novità introdotta dall'abate è una visione della fede come
grandioso processo storico :
se, infatti, durante il periodo medievale il pensiero di stampo
agostiniano nutriva la convinzione scoraggiante che con la venuta di
Cristo si fosse giunti al culmine di ogni cosa e che si dovesse,
quindi, attendere solo il suo definitivo ritorno e il giudizio
universale, con Gioacchino qualcosa cambia; egli chiamava la chiesa a
ridestarsi in una età nuova nel segno dello Spirito, terza fase in
cui egli articola la storia dell'umanità, dopo il periodo del
Padre (retto dalla legge) e del Figlio (retto dalla grazia) .
Queste tematiche si ritroveranno, come già segnalato, anche
nell'opera del Galatino.
Passando ad un altro tema che, invece, potrebbe dimostrare la
presenza del minorita come fonte dottrinale, è merito di Heinrich
Pfeiffer aver fatto un'importante riflessione. «Entrando nella
Cappella Sistina noi entriamo in un mondo tutto per i teologi…
quando si prende un volume di un discepolo del “maestro in sacra
pagina” Antonio da Pinerolo, cioè Pietro Galatino, ci si trova
incredibilmente tutto ciò che serve a interpretare la Sistina - e
questi volumi sono solo manoscritti, non sono mai stampati - e così
apprendiamo per esempio che dopo Cristo il Papa è lo sposo della
Chiesa… e così gli altri commentatori ci aiutano a comprendere i
significati della Sistina ».
Con queste parole lo studioso Pfeiffer introduce la sua dissertazione
rispetto ai consiglieri teologici di Michelangelo e, come primo nome,
inserisce nel paradigma proprio Pietro Colonna il Galatino .
Nello specifico l'ipotesi portata avanti verte in tal caso su un
preciso punto: la concezione del cielo secondo la teologia del tempo.
Difatti, nelle opere romane del Rinascimento esistono importanti
riferimenti al cielo descritto nel quarto giorno della Creazione e
alle luci create da Dio: pensiamo, appunto, per esempio al cielo
azzurro stellato che decorava la volta della Cappella Sistina. Cosa
si intendeva esprimere a quel tempo, a livello teologico, con
l'immagine del cielo? Per esempio, secondo il minorita galatinese
il cielo contiene molti misteri, perché, in quanto simbolo delle
Sacre Scritture come esse è caratterizzato dalla varietà: «sub
coeli nomine multa continentur mysteria, prout scripturarum exposcit
diversitas. Quia et si anagogice quidem ecclesia triunphas,
allegorice vero ecclesia militans, quae instar triunphantis instituta
est, … per coelum hoc loco designetur. Tropologice tamen, prout
(scilicet) scriptura in se ipsam per reflexionem convertitur, per
coelum hic aliud quam sacrae scripturae sacramentum, non intellegitur
».
Quindi, Galatino applica la dottrina dei molteplici sensi della
Scrittura e distingue nel senso anagogico (che porta all'elevazione)
la Chiesa trionfante dei santi dalla Chiesa militante che troverebbe
corrispondenza nella parola cielo letta alla luce del senso
allegorico della Scrittura. In senso tropologico e morale cielo
significa, invece, la Sacra Scrittura per il fatto che mediante la
riflessione essa si rivolge verso se stessa . In
generale, per questo tipo di dotti, la parola cielo ha sempre
racchiuso più significati e la questione risulta ben evidente ancora
a fine Cinquecento: se visioniamo, infatti, i volumi di Gerolamo
Laureto leggiamo che coelum può significare Dio, Cristo, gli
angeli, le cose spirituali in generale, la Vergine Maria, gli
Apostoli, i predicatori, i Profeti, la Chiesa stessa, ma anche la
Sacra Scrittura (come nel caso di Galatino). Rispetto a quest'ultima
interpretazione si può affermare che la Sacra Scrittura può essere
definita il cielo dal quale Dio parla agli uomini; seguendo tale
schema la Sapienza sarebbe quindi rappresentata dal Sole, la Scienza
dalla Luna e i Padri, con i loro esempi e con le loro virtù, dalle
stelle. Tornando alla Sistina, Michelangelo avrebbe sostituito il
vecchio cielo con un altro cielo, cioè il cielo delle stelle con
quello della Scrittura veterotestamentaria così considerato da
Gioacchino da Fiore prima e Pietro Colonna il Galatino poi. In
conclusione, la figura di questo frate minorita potrebbe essere
considerata la naturale prosecuzione delle idee gioachimite e,
dunque, uno dei consulenti di artisti come Michelangelo; si tratta,
in tal senso, di un erudito coinvolto, in quegli anni, nella
realizzazione di un progetto figurativo che concretizzasse idee del
passato e le rendesse attuali nella Roma profetica del tempo. D'altro
canto, la questione non sorprende se si riflette nuovamente sull'alto
ruolo culturale raggiunto dal Galatino all'interno dei circoli
religiosi e filosofici della Roma di Giulio II e Leone X. Ancora una
volta, come precisato anche nel caso della decorazione della Cappella
Borgherini, la presenza di Galatino in questi luoghi non sembra
essere tangibile se si cercano palesi confronti tra le sue opere e le
rappresentazioni pittoriche analizzate. Il suo apporto, dunque, non è
visibile nella trasposizione diretta delle sue parole o delle sue
idee, quanto piuttosto nella sua cultura intrisa di concetti
medievali e di stampo anche profetico che sembra essere stata ben
percepita dagli artisti a lui contemporanei.
La Stanza della Segnatura Le ricerche del
teologo e critico d'arte Heinrich Pfeiffer hanno avuto come tema di
studio oltre alla Cappella Sistina anche le quattro Stanze vaticane
di Raffaello. La dissertazione a cui si fa riferimento (del 1970) si
concentra soprattutto sul cercare di delineare le fonti dottrinali
fino a quel momento proposte riassumendole sostanzialmente in tre
punti: c'è chi pensava che ad elaborare il programma concettuale
delle pareti fosse stato un domenicano o diversi rappresentanti della
scuola tomista (in tal caso l'ipotesi verte su Olivero Carafa e
Tommaso de Vio); c'è chi sosteneva i francescani (forse il
cardinale Marco Vigerio); c'è chi favoriva, infine, il mondo di
umanisti come Sigismondo de' Conti o Fedra .
L'apporto originale di questo intervento, in ogni caso, fu
individuare come possibile consigliere una nuova figura, cioè quella
dell'agostiniano Egidio da Viterbo, specialmente per uno specifico
testo, cioè il discorso tenuto davanti al Papa e alla curia
intitolato Libellus de invento orbe terrarum et Tabrobane insula,
de Lusitani Regis victoria, de aurea aetate. La prima parte di
esso è una dissertazione sull'età dell'oro; l'oratore informa
il lettore sull'assunto secondo il quale il creato è corporeo e
incorporeo e in quanto corporeo è composto dei quattro elementi di
fuoco, aria, acqua e terra, in perenna lotta fra loro. Secondo i
primi studi di Pfeiffer questa parte del testo era da ricollegarsi ad
alcuni elementi presenti nella Stanza della Segnatura: il rapporto
con i quattro elementi, però, non era affatto nuovo visto che anche
il Vasari descrivendo la figura allegorica della Filosofia, posta sul
soffitto sopra la Scuola di Atene, la considerava la raffigurazione
dei quattro. In seguito, anche Edgar Wind e André Chastel videro in
tale studio il principio coordinatore di tutti gli affreschi della
Stanza e vollero mettere ogni parete in rapporto con uno degli
elementi: la giurisprudenza con la terra, la Scuola con l'acqua, il
Parnaso con l'aria, la Disputa con il fuoco . Tornando
al testo di Egidio da Viterbo, in esso egli delineò anche il motivo
delle quattro virtù cardinali: dopo il diluvio, l'umanità era
colma di tensioni e per avversarle Noè avrebbe inventato una nuova
dottrina: contro la paura che proviene dalla terra ci si può munire
della fortezza, contro la cupidigia che nasce dall'acqua si può
utilizzare la temperanza, la prudenza va impiegata, invece, contro le
malattie sorte dall'aria e la giustizia contro la libidine che
arriva dal fuoco. Arrivato a ciò, alla fine del suo intervento, il
critico stesso delinea però dei punti discordanti: per quanto si
possa presumere che Egidio da Viterbo potesse essere stato d'aiuto
nella creazione del programma iconografico, vi sono delle questioni
di non poco conto da evidenziare; innanzitutto il suo compito di
Generale degli Agostiniani occupava tutto il suo tempo; i suoi
scritti non mostrano alcuna familiarità con la Divina Commedia o con
le opere di Bonaventura che invece hanno un ruolo chiave per le
Stanze; non ci sono prove, infine, che abbia effettivamente mai avuto
contatti con Raffello. Chiunque sia stato il personaggio che ha
aiutato da un punto di vista teologico, costui, conclude Pfeiffer, si
è dovuto servire comunque delle idee di Egidio .
Vi sono, infatti, delle convergenze che non fanno escludere il suo
influsso del tutto. Di recente gli studi del critico d'arte
hanno provato a includere anche altri teologi nel paradigma dei
possibili nomi e, tra essi, appare anche quello di Pietro Colonna il
Galatino. Come per il caso della Sistina, anche in questa circostanza
il punto principale della sua dissertazione è la definizione di
cielo. In particolare, la Disputa di Raffaello sarebbe un cielo da interpretare secondo molteplici accezioni; si
possono, così, attribuire all'affresco tutti e tre i sensi della
parola cielo nel modo in cui sono stati esposti dal minorita
galatinese. Seguendo tale idea, nella parte superiore vedremmo
raffigurata in senso anagogico la Chiesa trionfante, in quella
inferiore in senso allegorico la Chiesa militante; i santi disposti a
due a due sul banco di nuvole, invece, sarebbero una rappresentazione
della Sacra Scrittura da considerarsi, quindi, in senso tropologico,
simbolo del cielo .
Il passo di Galatino di nostro interesse, infatti, riporta scritto
che «chi vuole dunque penetrare nei misteri di Dio, nella
contemplazione delle cose divine, dopo aver lasciato dietro di sé le
opere della carne, deve salire in spirito al cielo di questa
Scrittura, affinché, come rapito con Paolo fino al terzo cielo
ed entrato in questa porta aperta della stessa Scrittura, veda le
parole arcane che all'uomo non è permesso pronunciare perché troppo
sublimi ».
Questo passo sembrerebbe collegare direttamente il testo del minorita
alla rappresentazione visiva, ma anche in tal caso è necessaria
prudenza perché, come nel caso di Egidio da Viterbo, non ci sono
dimostrazioni di incontri diretti con l'artista; allo stesso tempo,
però, sono testimoniati i contatti tra Pietro Colonna e il pontefice
committente e quindi diventerebbero più probabili i legami
indiretti. Oltre a ciò, un ulteriore fattore ricollegherebbe la
personalità del frate minorita e i suoi scritti con la Stanza. Un
tema importante, infatti, riguarda la Chiesa edificata con pietre
vive nel senso che la costruzione, per la prima volta, prese forma
con Cristo e gli Apostoli. Troviamo espressa questa dottrina nella
Prima Lettera di San Pietro: «Stringetevi a lui, la pietra viva,
rigettata dagli uomini, ma scelta da Dio e preziosa davanti a lui.
Lasciatevi impiegare come pietre vive per un edificio spirituale».
Il tutto è stato accolto anche dal libro diciottesimo de La città
di Dio di Agostino e sviluppato da numerosi teologi.
Entrambi i concetti espressi in questo passo, cioè il rifiuto della
pietra da parte dei costruttori e l'edificio fatto di pietre vive,
trovano ampio sviluppo in Pietro Galatino .
Nell'opera De Ecclesia restituta, infatti, il minorita
scrive: «Diremo ora qualcosa riguardo alle pietre che compongono la
struttura del tempio. Con esse si intendono designati tutti gli
elementi con i quali viene edificata la Chiesa militante ».
L'affresco della Disputa del Sacramento in particolare
sarebbe caratterizzato proprio dall'idea della costruzione della
Chiesa con pietre vive; Winner, infatti, precisando le idee stesse di
Pfeiffer, scrive che: «il pensiero immaginativo originale di
Raffaello dell'edificio della Chiesa fatto di pietre vive in cielo si
trasforma in un'allegoria dell'edificazione del Corpus Domini,
precisamente della chiesa, il Corpus mysticum costituito da membra
vive. Il Corpus Domini, il pane vivo sull'altare e il corpo divino di
Cristo come immagine dell'uomo perfetto in cielo dominano la
composizione definitiva, sospingendo, così l'allegoria
architettonica sullo sfondo ».
Da questa prospettiva, come già analizzato in precedenza e
soprattutto nel Capitolo Secondo, notiamo come il Galatino si
inserisca come di consueto in una tradizione consolidata (si era
visto, per esempio, il caso di Guglielmo Durante e la sua descrizione
di Chiesa costituita da pietre vive). Ancora una volta, non sorprende
che tale nome si inserisca a pieno diritto tra le ammissibili fonti
dottrinali di importanti programmi iconografici o come traghettatore
di idee passate. Insieme ad Egidio da Viterbo, quindi, il francescano
può essere considerato quanto meno una figura chiave di eminente
teologo e predicatore della corte pontificia il cui influsso potrebbe
essere stato ricevuto, come dimostrano i dettagli sopra citati, dai
grandi artisti del suo tempo.
Utilizzando uno dei concetti principali di Ernest Gombrich possiamo affermare, a ragion veduta, che alcune di
queste rappresentazioni abbandonassero il regno della pura
espressione a favore di uno comunicativo. Sul modello della relazione
locutore-ascoltatore che concerne l'attività verbale, si fonda una
relazione trasmettitore-ricevitore che presuppone l'esistenza di un
codice perché l'esperienza del messaggio abbia un senso. In tal
caso, come in quello della Sistina e della Cappella Borgherini, il
codice è l'importanza della scrittura; non si allude, con tale
definizione, solo alle Sacre Scritture o a quei testi di verità
storica tanto celebrati dai dotti del tempo (e anche dal Galatino
stesso), ma all'importanza dei testi di teologia e filosofia
contemporanei ad artisti come Raffaello, Michelangelo, Sebastiano del
Piombo e tanti altri. Difatti, si è tentato di riassumere ipotesi e
di fondarne di nuove, ma entrambe le cose sulla base dei testi del
Galatino per la specifica ricerca.
Il codice, dunque, presuppone un registro preciso di conoscenza e ciò ha il vantaggio di portarci a
considerare probabili le teorie fino ad ora esposte, perché fondate,
appunto, su un assunto preciso: l'importanza dei testi di quegli
anni, a volte originali, a volte riadattamenti di dottrine e teorie
precedenti. Raccogliendo questi motivi, avremo gli strumenti per
creare nuovi punti di vista, partendo però da una base comune
secondo la quale è irrealistico concepire l'idea secondo cui tali
rappresentazioni artistiche non abbiano necessitato la presenza
filosofica e teologica di alcune figure. Nel qual caso,
all'espressione veicolata dalle immagini si aggiungerà una lezione
imposta dalle scritture che potrebbero esservi dietro.
Approfondimenti cronologici Per meglio
definire il ruolo di Pietro Colonna in tali questioni è utile un
approfondimento di stampo prettamente cronologico; con ciò si
intende, infatti, dimostrare l'effettivo coinvolgimento del frate
minorita nelle opere d'arte sopra elencate. L'ipotesi di un
Galatino traghettatore di idee gioachimite poggia, oltre che sulla
quantità di concetti comuni (presenti tanto nelle opere dell'abate
Gioacchino da Fiore quanto nel galatinese e, di conseguenza, nei
programmi figurativi citati), anche su dati pragmatici. Nello
specifico, infatti, artisti come Sebastiano del Piombo, Michelangelo
e Raffaello sembrerebbero essere stati guidati da una o più figure
che ben conoscevano queste antiche tradizioni filosofiche medievali.
Si è proposta, dunque, la figura del minorita come consigliere
teologico e come base dottrinale. Partendo dalla Cappella
Borgherini in San Pietro in Montorio, la datazione degli affreschi
sembra oscillare tra il 1516 (anno in cui Sebastiano del Piombo
richiede, tramite una lettera, i disegni preparatori a Michelangelo)
e il 1524. Precedentemente si è detto che la tematica della
Cappella, partendo dal punto di vista delle ricerche della Pasti,
sembrerebbe essere riassunta nel concetto di unità: il Cristo
della Passione unito al Cristo della Trasfigurazione, l'idea di un
unico Messia e la consequenziale correzione dell'errore ebraico, i
libri chiusi collegati dalla teoria di svelamento graduale delle
profezie e del disegno divino ecc. Questo concetto di unione potrebbe
derivare, a tal punto, proprio dal De Arcanis di Galatino, la
fondamentale opera a stampa del minorita terminata intorno al 1516 e
date alle stampe da Gershom Soncino nel 1518.
A livello cronologico, dunque, questa prima ipotesi che prevede l'intervento
diretto di Pietro Colonna nell'ideazione del programma figurativo o
il coinvolgimento indiretto (dunque soltanto la trasposizione di
alcune sue idee in immagini, senza il suo necessario intervento)
sarebbe da reputare corretta o quantomeno ammissibile. Il De
Arcanis, infatti, iniziò a circolare sotto forma di manoscritto
anche prima di essere stampato e le idee in esso contenute erano il
risultato di un contesto storico-politico ben preciso: si ricorda,
infatti, che il pontefice stesso, insieme ad altri dotti del tempo,
ne avevano richiesto l'urgente stesura; nel dettaglio, la
correzione delle depravationes degli ebrei era una tematica
molto avvertita dagli intellettuali e dalla curia. Se, allora, la
Cappella Borgherini può essere intesa come la rappresentazione della
veritas cristiana e se l'opera che sembra farle da base fu
finita e stampata proprio in quegli anni, l'intervento del Galatino
si palesa anche di più. Passando alla decorazione della Cappella
Sistina, si è detto invece che la presenza del minorita sembrerebbe
manifestarsi di riflesso: gli storici dell'arte concordano sul
principio secondo il quale molti degli affreschi (sia del vecchio che
del nuovo ciclo) derivino dal pensiero di Gioacchino da Fiore; Pietro
Galatino era un ottimo conoscitore delle idee di quest'ultimo e,
seguendo lo schema, il frate potrebbe essere stato il diffusore di
quelle nozioni medievali. Le opere di cui si è trattato, nello
specifico La Crocifissione di Aman e in generale la Volta
della Sistina per il concetto di cielo non trovano corrispondenza
cronologica con le opere del minorita. Nel 1526 egli compone il De
Sacra Scriptura Recte Interpretando, opera in cui effettivamente
troviamo dei punti di contatto con le pitture michelangiolesche come,
a titolo esemplificativo, il concetto di cielo inteso come Sacra
Scrittura; concetto che ha portato all'ipotesi secondo la quale
l'artista avrebbe sostituito al vecchio cielo uno nuovo, quello
rappresentante la Scrittura veterotestamentaria. Il discorso di
coinvolgimento allora sembrerebbe logico, se non fosse che, però, il
ciclo di affreschi della Volta della Sistina viene portato a termine
intorno al 1512, momento in cui Galatino è impegnato nella messa a
punto di altre idee teologiche. Secondo il parere di chi scrive,
però, ciò non pregiudicherebbe il suo intervento, anche se
probabilmente parziale. Difatti, quando Pietro Colonna scrive questi
passi nel 1526 ne è già a conoscenza e la questione potrebbe essere
confermata dall'ultimo esempio figurativo proposto, cioè la
Disputa del Sacramento di Raffaello; anche per questo affresco
la dissertazione si è concentrata sul significato che ottiene la
parola cielo nel contesto figurativo; siamo intorno al 1509-1510 e,
pressoché negli stessi anni della Volta di Michelangelo, ancora una
volta il cielo assume il significato di Sacra Scrittura. Provando a
escludere forzature cronologiche, si potrebbe ipotizzare, dopo quanto
detto fino ad ora, che il Galatino avesse già in mente questi
concetti, che li avesse quindi potuti divulgare a questi artisti e,
infine, raccoglierli in un'opera scritta. Tale posizione
spiegherebbe un intervento precedente, ma plausibile, e un'opera
(quindi la base dottrinale) scritta invece in seguito. Bisogna,
in conclusione, fare chiarezza su un ultimo punto; trattando della
Stanza della Segnatura, si è affrontato anche il discorso che
riguarda il concetto di Chiesa costruita con pietre vive; si è
detto, poi, che in particolare nella Disputa del Sacramento
potrebbe essere mostrata proprio tale idea. L'opera nella quale il
Galatino affronta l'argomento in modo diretto è il De Ecclesia
Destituta (Libri I- IV) che gli studiosi datano intorno agli anni
precedenti al 1524. Si noti che, anche in tale circostanza, è
presente una dissonanza tra la datazione dell'affresco (1509-1510)
e quella del manoscritto. A questo proposito, però, a differenza
del caso precedente, si può avanzare un'ulteriore ipotesi che vada
oltre il fatto che il minorita potesse già trattare simili idee e
averle proposte in forma scritta solo in seguito perché impegnato
con altre questioni (turchi, ebrei, profezie); come già ricordato,
infatti, il principio di Chiesa costruita con pietre vive risulta
essere presente nella tradizione medievale e, in particolare, in
dotti come Gioacchino da Fiore, Guglielmo Durante ecc. È necessario
tenere a mente quanto la figura del Galatino possa essere ricostruita
soltanto se si tiene conto anche del peso culturale e storico che
dava alle tradizioni e agli scritti degli antichi; fatto ciò, ancora
una volta il suo intervento si spiegherebbe in questa chiave. Anche
se, concretamente, non era stata ancora scritta un'opera con idee
da trasporre in immagini, erano presenti e ben consolidati alcuni
principi che un uomo di alto prestigio come il Galatino non aveva
difficoltà a proporre ugualmente. Dunque, secondo tale ricerca, il
suo coinvolgimento si dimostrerebbe logico ed evidente se considerato
da questi punti di vista e seguendo questi dati.
NOTE
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nostrae tempestatis perfidiam: ex Talmus, aliisque hebraicis libris
nuper excerptum: et quadruplici lignarum genere eleganter congestum,
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1938 Edgar WIND, The Crucifixion of Haman, in “Journal
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BIBLIOGRAFIA MANOSCRITTI
Manoscritti
consultati
Biblioteca
Apostolica Vaticana (BAV) Biblioteca Ambrosiana
(BA) Collegio di S. Isidoro degli Irlandesi di Roma (CSIDIDR)
Biblioteca
Angelica di Roma (BADR)
Biblioteca
Apostolica Vaticana (BAV) Galatino Pietro, Ad divinum
Leonem X Pont. Opt. Max. Petri Galatini Minoritani Reverendissimi
Domini Card. Sanctor. Quatuor Coronatorum capellani, libellus de
morte consolatorius, in obitu illustrissimi Principis Laurentii
Medicis ducis Urbini, Cod. Vat. Lat. 3190
Galatino
Pietro, Minoritae, servi inutilis Domini nostri Iesu Christi in
beatissimi Iohannis apostoli et evangelistae apocalypsim ad verum et
proprium sensum commentaria in decem discreta libros, ac invictissimo
Carolo quinto Romanorum imperatori, semper Augusto dicata, Cod.
Vat. Lat. 5567
Galatino
Pietro, Minoritae, poenitentiarii apostolici ac Domini nostri Iesu
Christi servi inutilis de ecclesia destituta opus in octo discretum
libros. Generalis in totum opus prefatio. Prima Pars, Cod. Vat.
Lat. 5568
Galatino
Pietro, Minoritae, poenitentiarii apostolici ac Domini nostri Iesu
Christi servi inutilis de ecclesia destituta, in qua reliqui quatuor
continentur libri, Secunda Pars, Cod. Vat. Lat. 5569
Galatino
Pietro, Minoritae Poenitentiarii apostolici, Domini Iesu Christi
servi inutilis, de vera theologia prima pars, Paulo III Pont. Max.
iure dicata, Cod. Vat. Lat. 5570
Galatino Pietro, De
vera Theologia, tertia pars, Cod. Vat. Lat. 5572
Galatino
Pietro, De vera Theologia, quarta pars, Cod. Vat. Lat. 5573
Galatino
Pietro, De vera Theologia, quinta pars, Cod. Vat. Lat. 5574
Galatino
Pietro, Minoritae, indagini atque inutilis servi Iesu Christi,
opus de Ecclesia instituta in, treis distinctum libros: ac Paulo III
Pont. Max. dicatum, Cod. Vat. Lat. 5575
Galatino
Pietro, Minoritae, poenitentiarii apostolici ac servi Iesu Christi
opus de Ecclesia restituta in cinque distinctum libros, Cod. Vat.
Lat. 5576
Galatino
Pietro, Minoritae poenitentiarii apostolici, domini nostri Iesu
Christi servi inutilis atque indigni de homine opusculum, toti ominum
comunitati admodum utile. Reverendissimo Domino D. Nicolau Rodulpho,
Diacono Cardinali tituli S. Mariae in Cosmodin merito dicatum,
Cod. Vat. Lat. 5577
Galatino
Pietro, Minoritae servisi inutilis Iesu Christi de Angelico
Pastore opusculum ex sacra veteris et novi testamenti scriptura
excerptum, Cod. Vat. Lat. 5578
Galatino
Pietro, Ad Domini Leonem X pontificem maximum Petri Galatini
minoritae Reverendissimi Domini Dom. Leurentii Pucj Sacrosantae
Romanae Ecclesiae tituli Sanctorum cuatuor Coronatorum Presbyter
Cardinalis Capelani libellus perquam brevissumus de Re publica
christiana pro vera eiusdem reipublicae reformatione, pregressu ac
felici ad recuperanda Christianorum loca expeditione, nuper per modum
orationis editus, Cod. Vat. Lat. 5578
Galatino
Pietro, De sacra Scriptura recte interpretanda opus, vocatum
Ostium apertum, Henrico VIII regi Angliae dedicatum, Cod. Vat.
Lat. 5580
Collegio
di S. Isidoro degli Irlandesi di Roma (CSIDIDR)
Galatino
Pietro, De vera Theologia, prima et secunda pars, Cod. For.
52
Galatino
Pietro, De vera Theologia, quintam partem et Tractum, Cod.
For. 54
Galatino
Pietro, De vera Theologia, tertiam et quartam partem, Cod.
For. 60
Biblioteca
Ambrosiana (BA)
Galatino
Pietro, Minoritae servi inutilis Iesu Christi, opus de ecclesia
restituita in treis distinctum libros, Cod. 0 147 sup.
Galatino
Pietro, Minoritae servi inutilis Iesu Christi, opus de ecclesia
instituta, Cod. P 87 sup.
Biblioteca
Angelica di Roma (BADR) Galatino Pietro, Oratio Ordinis
Minorum, Sacrae Theologiae profissoris, Sanctissimo Iulio Secundo
Pontifici Maximo dicta, Cod. 488
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