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Pietro Colonna il Galatino come fonte dottrinale di alcuni programmi figurativi: analisi di diverse ipotesi  

Ilenia Perretta
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Giugno 2023, n. 939
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00939.html
Articolo presentato il 13 Giugno 2023, approvato il 14 Giugno 2023 e pubblicato il 19 Giugno 2023
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Galatino traghettatore di idee: cultura ebraica e gioachimismo
Pietro Galatino si è rivelato essere un personaggio perfettamente inserito tanto nella cerchia degli intellettuali del suo tempo, quanto nel clima di generico fermento culturale a lui contemporaneo (compreso quello che iniziava a riguardare alla cultura ebraica con maggiore entusiasmo). Questi aspetti ci forniscono diverse indicazioni rilevanti perché in primis ci aiutano a comprendere articolati legami e, in secondo luogo, non rendono arduo il parere secondo il quale il minorita possa aver avuto delle influenze e dato degli apporti teorici in campo artistico; difatti, il prestigio del galatinese potrebbe aver raggiunto un apice così alto, soprattutto nella Roma del suo tempo, tanto che le sue opere scritte (qualche tematica in particolare soprattutto) sarebbero state riproposte in forma figurativa da alcuni grandi artisti di inizio Cinquecento. Si vedrà, in altri casi, come invece il suo contributo sarà più indiretto ma non per questo meno incisivo.

A tal proposito è necessaria una premessa: il Galatino si faceva portavoce di una letteratura specifica, quella profetica, che da tempo stava influenzando le rappresentazioni artistiche. La situazione culturale era suggestionata continuamente dal 1524, l'anno della congiunzione dei Pesci; in aggiunta a ciò, si viveva una fase temporale in cui si riscoprivano figure profetiche (come Gioacchino da Fiore) anche e forse soprattutto dopo l'apertura dell'Apocalypsis Nova attribuita al beato Amedeo. Insomma, il profetismo di inizio Cinquecento condizionava insistentemente la letteratura e i programmi figurativi e, in tale contesto, le opere del minorita, con la forza d'urto che le caratterizzava, potrebbero non aver fatto eccezione.
In questa epoca di rinnovata attenzione verso grandi pensatori profetici, uno dei principali propulsori di tali argomenti potrebbe essere stato, dunque, proprio Pietro Colonna il Galatino le cui opere contengono forse il maggior numero di informazioni riguardanti quell'epoca relative al patrimonio di idee racchiuse nel mondo iconografico degli affreschi della Cappella Sistina, delle Stanze di Raffaello 1 e della Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio.
La critica che si è occupata della figura del minorita ha quasi sempre omesso questo aspetto: difatti, nei grandi intellettuali che ne hanno fatto tema di studio o nei biografi del Seicento non troviamo pressoché alcun riferimento a questo argomento. Una delle ragioni che giustificherebbe questo potrebbe essere un dato di non poco conto: mutato il clima culturale, il Galatino sarebbe stato guardato con più sospetto, soprattutto nel periodo precedente e successivo al Concilio di Trento; quest'ultimo, infatti, «oppone al dinamismo dell'interpretazione una nozione oggettivistica e contenutistica di tradizione, ponendo freni alla stessa circolazione del testo biblico… Il secolo che era cominciato con la vigorosa proposta avanzata da tutte le parti di un ritorno alla lettera e allo spirito del testo biblico come premessa di un rinnovamento della cristianità termina con la costituzione di blocchi teologico-culturali antitetici, in cui alla Scrittura viene affidato il peso di costruzioni scolastiche sproporzionate 2»; la fama del frate, per tali ragioni, iniziò a vacillare; bisogna, però, aggiungere che essa resterà duratura tra coloro che continueranno ad alimentare la letteratura profetica, come il Postel, o tra i predicatori che troveranno nel De Arcanis un valido strumento per continuare a combattere contro gli ebrei e svelare gli arcana delle Scritture 3.
In tal senso, quindi, agli occhi della critica è sembrato azzardato vedere in questo personaggio una fonte dottrinale di grandi rappresentazioni artistiche; d'altra parte, però, va ribadito che il Galatino perse considerazione solo in seguito, perché fu un protagonista attivo del suo tempo e, nel giudizio dei suoi contemporanei, per la sua vasta erudizione biblica e la conoscenza delle lingue orientali, un uomo di alta dignità culturale; fu un considerevole testimone dell'impatto delle profezie e alla luce di ciò le recenti ricerche di alcuni studiosi sembrano voler chiudere un cerchio pensando al galatinese come a un teologo impegnato su più fronti e, dunque, anche su quello artistico.

È necessario poi aggiungere un altro dettaglio: Pietro Colonna era un grande esperto di cultura ebraica; in essa, come ha sottolineato il Sermoneta, «acquista grande rilievo la figura del profeta, anche per la capacità che egli ha di tradurre in immagini, adeguate alla capacità di comprensione dell'uomo comune, le verità che inesauribilmente egli attinge dalle Scritture con l'intento di promuovere il progresso dell'umanità verso il suo finale perfezionamento. Il profeta, primo fra tutti Mosè, dopo aver acquisito tutte le scienze, prima riesce a tramutare le immagini in concetti astratti e poi, di nuovo, i concetti astratti in immagini. La capacità di rendere concrete e palpabili le verità astratte per poterle trasmettere all'uomo comune gli permetterà di agire all'interno del conglomerato sociale entro cui vive per natura e di aiutare così l'umanità ad avvicinarsi al raggiungimento del suo fine… Vate inspirato, il profeta-filosofo sarà capace di estrarre dal testo rivelato le infinite e inesauribili verità in esso contenute, verità sempre nuove che affiorano in ogni generazione 4».
In tale descrizione rientra a pieno diritto anche il Galatino che, con il fine di ricercare la veritas e l'antica sapienza, rilegge i testi e li reinterpreta alla luce di questo obbiettivo; fatto ciò, li espone al giudizio del pubblico che, così, avrà ora davanti a sé la spiegazione di molti arcana e la correzione di alcuni errori delle Sacre Scritture. In qualche modo, dunque, anche il Galatino, teologo, filosofo e profeta, riesce a convertire le sue parole in immagini, immagini di una Chiesa più giusta, che ha necessità di essere riformata partendo proprio da tali precisi presupposti.
A tutto questo va poi annessa un'altra riflessione: nei programmi figurativi sopra citati è sempre presente e costante, in svariate maniere, il riferimento al pensiero di Gioacchino da Fiore. Il Galatino è debitore nei confronti di questa figura per diverse tematiche e soprattutto per la questione delle Sei Età del mondo. Non sembra, in considerazione di tutto questo, inverosimile pensare che il minorita possa essere stato una sorta di traghettatore di queste idee e che alcuni dei grandi artisti del periodo siano stati in grado di recepirle. Vedremo, infatti, che si tratterà di ipotesi che riguardano pittori e luoghi non casuali.

Una teologia che interpreta la Bibbia con un metodo quasi allegorizzante può essere tradotta in immagini più facilmente di un pensiero teologico che si serve in primo luogo di concetti filosofici, quasi sempre astratti 5. In qualche modo il Galatino riuscì a utilizzare un'esegesi tanto filosofica quanto allegorizzante e ciò spiega, in effetti, l'idea del suo contributo ad alcune pitture romane del periodo. Difatti, alcuni concetti vengono esplicitati seguendo i precetti di dotti come Gioacchino da Fiore, le cui opere erano dense di riferimenti visivi che accompagnavano gli insegnamenti elencati; oltre a ciò, il minorita fa spesso riferimento al tedesco Johannes Reuchlin che negli scritti utilizza temi allegorizzanti (come quello della scala) o al Benigno Salviati; quest'ultimo in particolare sarà coinvolto in uno dei tre luoghi che verranno analizzati insieme alla personalità del cardinale Carvajal.
In conclusione, quindi, si può affermare che non escludere il fronte artistico quando si parla degli influssi di una personalità come quella del Galatino sembra, come si vedrà, la corretta interpretazione di una figura tanto complessa quanto autorevole negli anni e negli spazi a lui contemporanei.


La Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio

Il primo luogo da esaminare è la chiesa romana di San Pietro in Montorio e, di naturale conseguenza per tale ricerca, la personalità del cardinale Bernardino Lòpez Carvajal.

«Il cenobio gianicolense celebra la sacralità di uno spazio legato a esperienze esistenziali differenti che ne hanno rinnovato e rilanciato l'importanza. Ciò ha determinato anche l'aggiornamento degli insediamenti cultuali, da quelli più antichi, semplici ricordi del passaggio dell'apostolo Pietro, alle strutture destinate all'edificazione di quelle testimonianze dedicate alla vita monastica. Strutture che divengono a loro volta teatro del rapporto con il divino: nella prima fondazione celestina Pietro del Morrone, poi pontefice e santo, avrebbe resuscitato il priore (1280), mentre nel monastero francescano Amedeo Menez de Silva successivamente beato, rapito in estasi avrebbe scritto la profezia dell'avvento del pastore angelico nella caverna corrispondente al luogo della crocifissione di san Pietro. Dopo la morte del frate (1482) la componente messianica e apocalittica del suo apostolato sarà ripresa e utilizzata dal cardinale Bernardino López de Carvajal, ambasciatore dei Re Cattolici spagnoli Isabella e Ferdinando presso la Curia pontificia. Il prelato seppe utilizzare la profezia come strumento di propaganda e di promozione sulla scena politica internazionale della Corona spagnola, sostenitrice e propagatrice della cristianità. Alle figure di Amedeo e di Bernardino si legano la fase rinascimentale del monastero e della chiesa e la costruzione del Tempietto. Allo stesso ambiente culturale si deve riferire il ciclo decorativo della chiesa 6». La valorizzazione della chiesa, dunque, assunse un ruolo strategico con Carvajal che operava seguendo un unico fine: assicurare ai Re Cattolici il riconoscimento del loro protagonismo sul piano internazionale tramite la creazione dell'immagine della monarchia messianica, capace di rinnovare, sostenere e diffondere il cristianesimo 7.
Rispetto a San Pietro in Montorio, Carvajal è coinvolto in altre due questioni: la prima, di massima importanza, riguarda il fatto che egli assistette all'apertura dell'Apocalypsis Nova del beato Amedeo; la seconda, invece, interessa la Cappella Borgherini. Difatti, nel 1516, il ricco mercante fiorentino Pierfrancesco Borgherini, un amadeita in ottimi rapporti con Carvajal, commissionò la decorazione di questa cappella a Sebastiano del Piombo che lavorò probabilmente sulla base di disegni forniti da Michelangelo per rappresentare la Flagellazione sull'altare, la Trasfigurazione nel catino e Isaia e Matteo sopra l'arcone esterno. Gli affreschi furono conclusi intorno al 1524 e diedero inizio a una nuova fase pittorica che illustrava quella contemporanea aspirazione di rinnovamento della Chiesa, tematica molto cara a Pietro Galatino che ne fece l'assunto principale soprattutto nelle sue opere De Ecclesia destituta e De Ecclesia restituta.
Partendo dalla prima raffigurazione, vediamo il Cristo legato a una colonna al centro di una sala colonnata, circondato da quattro figure maschili, due per lato, che alzano in aria le fruste. A sinistra di tale scena, ma ben separati, si trovano le due figure monumentali dei Santi Pietro e Francesco; sopra, nella mezza cupola, c'è la Trasfigurazione che mostra Cristo nella stessa scala di quello sottostante; sebbene queste due scene siano separate da una cornice dipinta, entrambe le figure di Cristo sono allineate sullo stesso asse in modo che esista una chiara relazione tra i due affreschi. Appena sopra il cornicione, in basso a sinistra della Trasfigurazione, troviamo le figure dei Santi Pietro e Giovanni con l'apostolo Giacomo dalla parte opposta; tutti e tre guardano il Cristo e, sopra di loro, sono sovrastati dalle mezze figure di Matteo ed Elia.
Le due immagini combinate di Flagellazione e Trasfigurazione possono essere considerate un riferimento alla gloria che segue la passione, ma anche, soprattutto la seconda, alla bolla con la quale Callisto III istituì la festa della Trasfigurazione per celebrare la battaglia di Belgrado in cui l'Europa (e quindi la Cristianità) trionfò contro i nemici-eretici turchi. È chiaro, poi, che quest'ultimo tema assunse un significato nuovamente vivace durante gli anni del papato di Leone X, momento in cui i turchi stavano ancora una volta minacciando i confini dell'Europa cristiana; va ricordato, a tal proposito, che anche il Galatino fu coinvolto nella questione vivendo in prima persona l'attacco turco alla città di Otranto. Quest'ipotesi di significato, avanzata soprattutto da Kokot, si basava anche su una dichiarazione precisa: il pontefice, infatti, si riferiva alla mahometanorum arma come a un flagelllum 8.
In ogni caso, anche Hirst suggerì che il programma visivo facesse allusione alla nuova minaccia turca del 1516 e, a tal proposito, inserì nella vicenda anche il cardinale spagnolo Carvajal che nel 1517 fece parte di una commissione papale designata per pianificare un attacco al nemico turco. Questa cappella in San Pietro in Montorio, però, oltre a questo tema, ha un programma significativo se questo viene considerato in relazione al contesto degli ambienti riformisti francescani del primo Cinquecento, in particolare quello dei Frati Minori (di cui faceva parte Pietro Colonna il Galatino); essi, difatti, si occupavano della questione e della verità storica. In una Roma che viveva quell'intenso clima di attesa apocalittica di cui si è detto in precedenza, questi francescani riponevano le loro speranze in profezie che promettevano un rinnovamento della Chiesa e una nuova età di pace e gioia raggiungibile con l'ausilio del Papa Angelico 9. Se è vero che il cardinale Carvajal fu al centro di queste vicende e in qualche modo possa essere considerato responsabile dell'ideazione del programma pittorico, è anche vero che le idee che si prenderanno in esame erano già in circolazione e presenti nei testi del Galatino.
È necessario partire da una premessa: un testo, cioè l'Apocalypsis Nova, sembra essere la chiave per comprendere il messaggio centrale rappresentato nella Cappella Borgherini; si tratta, però, di un'opera che ebbe una notevole influenza su dotti del periodo come Carvajal stesso, Galatino, Benigno Salviati e molti altri, tutti animati da un'intensa volontà di rinnovamento clericale e dalla speranza della conversione di tutti i non credenti. Questo tipo di profezia, non nuova nel mondo religioso, derivava però da una tradizione originata e diffusa da Gioacchino da Fiore: in particolare la sua idea della Terza Età prevedeva infatti un periodo di pace perfetta, di conversione dei miscredenti, di perfezionamento delle regole della vita ecclesiastica e, anche se non esplicitamente, l'arrivo di un papa riformatore. Furono i Frati Minori a impadronirsi di queste idee gioachimite e, di conseguenza, Pietro Galatino divenne quasi una guida dei concetti di Gioacchino.

Rispetto all'Apocalypsis Nova, poi, va ricordato che sotto l'altare della chiesa di San Pietro in Montorio è dipinto un libro chiuso dal quale fuoriesce un foglietto che riporta la scritta Aperietur in tempore, cioè il motto che compare nell'Apocalypsis Nova che non doveva essere aperto finché non fosse giunto il tempo voluto da Dio, che si stabilì fosse arrivato nel 1502. La presenza del cartiglio e di questo suo criptico messaggio consente di collegare l'intera simbologia della decorazione della cappella con le attese millenaristiche tornate attuali nel secondo e nel terzo decennio del Cinquecento 10.
«Sotto l'altare c'è, quindi, il libro con l'Aperietur in tempore, ma al di sopra, nell'arcone trionfale, c'è una composizione abbastanza singolare, dove i libri chiusi sono addirittura due. Sull'arcone compaiono due personaggi che devono essere un profeta (Isaia) e un evangelista (Matteo protettore dei banchieri, professione del committente Borgherini), in quanto la dialettica fra le profezie dell'Antico Testamento e la loro realizzazione nel Nuovo è uno dei maggiori significati della cappella. Dunque, nella parte sinistra dell'arcone, un libro chiuso è tenuto dall'angelo, che lo indica a Matteo, e un altro invece è tenuto da Matteo stesso, chiuso, ma con un suo dito a far da segnalibro. L'angelo mostra all'evangelista il libro che contiene tutti gli arcani della fede, quel libro da cui attingere per conoscere le verità divine, ma Matteo invece con l'indice dell'altra mano indica all'angelo molto chiaramente la scena che si svolge sotto di loro, con il Christus triumphans posto al di sopra del Christus patiens 11».
Secondo Stefania Pasti, quindi, il disegno salvifico e profetico non è da ricercare soltanto nel libro chiuso ma nella figura stessa del Cristo, sia nella sua passione che nella sua gloria. Qualunque disegno vaticinatore parte da ciò e tende a ciò, nonostante ogni epoca abbia le sue particolari profezie. Così, il motto dipinto su quel foglietto sotto l'altare non andrebbe letto come riferimento unico al testo in sé da aprire al momento opportuno, ma anche come la rivelazione graduale dell'intero disegno divino e profetico 12.
Tralasciando momentaneamente l'idea secondo cui alla base di questi affreschi vi siano soltanto l'Apocalypsis Nova, il cardinale Carvajal e le idee gioachimite, studi recenti hanno avanzato il parere secondo cui il De Arcanis Catholicae Veritatis di Galatino sia la chiave per comprendere la scelta di entrambi i soggetti della Cappella Borgherini, mentre il Commento delle Sentenze di Pietro Lombardo di Egidio da Viterbo sia il testo chiave per la comprensione del significato della scena della Trasfigurazione 13.
Rispetto al De Arcanis l'ipotesi proposta dalla Pasti vedrebbe tutto il Libro IV (quello in cui il minorita galatinese affronta la maggiore eresia ebraica e cioè la credenza in due distinti Messia) in stretto rapporto con le scene dipinte da Sebastiano del Piombo: «Questo è quanto è raffigurato nella Cappella Borgherini, in una dialettica imprescindibile fra il Libro e quel che il Libro rivela, la visione dell'unico Messia Uomo-Dio. Uomo sofferente e Dio glorioso. Passione e teofania sono reciprocamente necessarie e compresenti nell'unico Messia figlio di Dio, unico Redentore. I deliramenta ebraici sul fatto che il messia non sia ancora venuto, o, peggio ancora, che i messia siano due, uno che soffre e uno che è nella gloria, sono irrevocabilmente confutate dalla corretta lettura dei testi come è dimostrato con la parola scritta, e con la meravigliosa visione del Dio incarnato, sia sofferente che glorioso, dell'immagine dipinta.
Come abbiamo visto, le due immagini cristologiche sono comprese fra due libri chiusi, che si possono congiungere in un'ideale diagonale che attraversa tutta la cappella dall'alto al basso: nei libri sono contenute le profezie, e il loro avverarsi e rivelarsi nel tempo, se il tempo è correttamene interpretato. E in mezzo c'è la visione che è la realizzazione lampante delle profezie stesse. La dialettica è anche fra l'altra figura che si trova sull'arcone trionfale, il profeta Isaia con il suo rotolo: egli ha predetto la venuta di Cristo e la sua passione, e l'evangelista ha testimoniato l'avverarsi delle sue profezie 14». La Pasti ha spiegato anche che le due raffigurazioni, Flagellazione e Trasfigurazione, non siano casuali: rispetto alla prima il Galatino dedica al tema molte pagine, ricordando come gli ebrei sbaglino nel pensare al Messia come a un re ricco e potente e non umile; questa scena è quella che, dunque, meglio rappresenta un'altra verità posta davanti agli occhi di chi commette questo errore di interpretazione. Per quanto riguarda la seconda, invece, sarebbe stata scelta per rendere visivamente l'unità del Messia nella duplicità delle sue nature e nella sua doppia veste di Patiens e Triumphans e cioè il momento in cui, ancora rivestito dal suo corpo di uomo, il Cristo si mostra allo stesso tempo vero Dio.
Altro elemento della raffigurazione da ricollegare alle parole del Galatino sarebbe la colonna presente nella scena inferiore che crea l'asse di collegamento con il Cristo trionfante. Le antiche scritture riportavano l'assunto secondo cui la terra poggia su dodici colonne, ma Eleazaro affermava che è su una sola colonna che sta il mondo, Giusto è il suo nome e Giusto sarebbe infatti il fondamento del mondo. Secondo il minorita, come riportato nel De Arcanis, entrambe le affermazioni sono veritiere poiché trasponendole, le dodici colonne diventano i dodici apostoli, ma la Colonna unica, quella che sosterebbe il mondo, sarebbe il Messia che viene definito, infatti, il Giusto 15. Ancora una volta un altro dettaglio del programma figurativo della Cappella Borgherini vuole mostrare il concetto di unione e di unicum.
Le ipotesi della Pasti si inseriscono in un discorso più ampio; nel concepire lo schema pittorico per la cappella, la Trasfigurazione potrebbe essere stata scelta per le sue allusioni alla Seconda Venuta di Cristo poiché questo tema era stato da lungo tempo associato al ritorno del Signore dai Padri della Chiesa. Si pensi, in particolare, a Giovanni Crisostomo che interpretò, nel commento al Vangelo di San Matteo, la Trasfigurazione come prefigurazione della Seconda Venuta 16.
Forse, il contributo del Galatino potrebbe essere stato utilizzare questo assunto in un contesto di idee gioachimite: il Secondo Avvento rappresenterebbe, in tal senso, non il ritorno del Cristo ma la riforma della Chiesa e il suo rinnovamento. Seguendo questo schema, la Flagellazione starebbe a rappresentare il flagello e il castigo che devono subire la Chiesa e la società per i propri peccati. Il tema, anche in tal caso, non sarebbe quindi nuovo, ma ideato da Gioacchino da Fiore e ripreso poi anche nelle prediche dal Savonarola 17. Alle idee gioachimite apparterebbe anche la rappresentazione dei due profeti in alto, nei pennacchi della navata: la figura di Isaia profetizzò infatti la flagellazione del Signore, quella di Ezechiele, invece, un tempio purificato pieno della gloria di Dio e dell'unico Pastore inviato a regnare sul popolo unito di Dio. Questo Pastore era Cristo, considerato ovviamente capo della Chiesa, ma la considerazione può essere estesa anche al Papa. Ancora una volta, Gioacchino da Fiore e l'Apocalypsis Nova sembrano essere le due fonti dottrinali principali per il programma figurativo. La decorazione della Cappella Borgherini sarebbe stata progettata, dunque, per affermare la convinzione che la Chiesa necessitava di un rinnovamento urgente: il tempo della rinascita era considerato vicino, Cristo sarebbe tornato presto nella gloria per inaugurare questa nuova età d'oro e di pace 18.
Alla luce di quanto detto fino ad ora le ipotesi generate seguono sostanzialmente tre filoni. Partendo da quello più recente, esso considera il De Arcanis del minorita Pietro Galatino la matrice di ispirazione per il lavoro di Sebastiano del Piombo e ciò a causa di tematiche presenti nello scritto e riportate nel programma figurativo. Un secondo indirizzo vede, invece, la personalità del cardinale Bernardino Carvajal come fonte dottrinale principale e questo in vista dei suoi rapporti con la Chiesa (a lui, infatti, venne affidata la Chiesa di San Pietro in Montorio e a lui, forse, va ascritta la commissione del Tempietto) e con la personalità del Borgherini, ma anche per il suo legame con l'Apocalypsis Nova, testo aperto per sua volontà nel 1502. Infine, la terza corrente di pensiero che si è tentato di delineare in tale sede prevede che la personalità del Carvajal sia certamente coinvolta, ma che soprattutto quella del Galatino possa essere la vera protagonista. Non si intende, con ciò, affermare che alcuni temi delle opere del minorita siano rappresentati nella Cappella in forma visiva (fatto effettivamente ammissibile), ma che la sua figura sia quella che ha fatto concretamente da tramite tra le vecchie idee di Gioacchino da Fiore (e diversi antichi profeti) e gli anni a lui contemporanei animati dalle stesse aspirazioni di riforma.
Come si è detto in precedenza, il galatinese può essere considerato un traghettatore di idee: con le sue opere non fece altro, infatti, che riproporre al pubblico e confermare antiche teorie medievali; non è un caso, infatti, che questo personaggio sia animato tanto dalle vecchie tradizioni quanto dalle nuove istanze culturali del suo tempo. In tal caso specifico, quindi, Pietro Galatino potrebbe essere stato colui che, insieme al Carvajal, avrebbe esplicitato nozioni passate in un programma figurativo adatto alle esigenze di quel periodo storico. Se, poi, le rappresentazioni di Sebastiano del Piombo sembrano realmente riprendere alcuni concetti del De Arcanis questo non fa altro che confermare ulteriormente quanto Galatino fosse, in ogni caso, presente dietro il programma della Cappella: sia come fonte diretta, sia come divulgatore di precisi concetti. Va ricordato, infine, come egli fosse molto legato al testo dell'Apocalypsis Nova e che, come lo stesso Carvajal, anche lui arrivò a considerarsi il Pastor Angelicus profetizzato per il miglioramento della Chiesa. Il tema della Cappella Borgherini sembra essere riassunto proprio in questo concetto.



La Cappella Sistina
La personalità del Galatino, secondo le ricerche di alcuni studiosi come Heinrich Pfeiffer, sarebbe una delle protagoniste all'interno della Cappella Sistina e si inserirebbe tra le numerose e svariate fonti dottrinali presenti. Si tenterà, quindi, di delineare brevemente i punti di contatto tra il teologo e il programma figurativo, ma verranno necessariamente esclusi da questa dissertazione numerosi elementi che richiederebbero sede e spazi diversi.
Il primo aspetto da considerare, il quale è ormai quasi un filo conduttore dell'analisi svolta fino ad ora, è che Pietro Colonna è considerabile appunto un importante propagatore di idee gioachimite: per cui, se anche nella Sistina assistiamo alla messa in scena di alcuni concetti dell'abate calabrese Gioacchino da Fiore, sembra probabile che a far da tramite tra le richieste del papato, gli artisti e le antiche tradizioni medievali possa essere stato ancora una volta il galatinese (secondo altri, invece, questo ruolo sembrerebbe spettare a Egidio da Viterbo o Benigno Salviati, due figure comunque legate al minorita, ma che nelle loro opere hanno presentato meno rimandi all'abate da Fiore).
L'opera di Gioacchino che gli studi ritengono essere la più influente per il programma iconografico della Sistina è il suo Liber de Concordia Veteri ac Novi Testamenti del 1183 circa, costituito da una prefatio seguita da cinque libri; materia di essi è principalmente la volontà di dimostrare che le figure veterotestamentarie sono una prefigurazione di quelle successive e quindi comprovare la presenza di una sorta di simmetria e di un collegamento tra Vecchio e Nuovo Testamento.
Rispetto a questa tematica, la studiosa Silvia Danesi Squarzina si è espressa a favore affermando che il pensiero dell'abate calabrese ebbe un momento di straordinario splendore grazie a Sisto IV prima e Giulio II poi soprattutto per le idee rappresentate nella Sistina: «la cappella divenne la grande raffigurazione visiva delle Sacre Scritture come storia universale dell'umanità, secondo i contenuti del Liber de Concordia. La Bibbia non costituisce una semplice cornice narrativa, bensì è materia strutturale, portante di un disegno in parte profetico 19». Il tema delle pareti, quindi, seguendo lo schema gioachimita rappresenterebbe la costante influenza e consequenzialità tra Vecchio e Nuovo Testamento.
Nello specifico, per la connessione tra il testo gioachimita e alcune scene della Cappella si rimanda agli studi di Malcolm Bull 20.
Una sola rappresentazione in particolare verrà presa a titolo esemplificativo in esame: si tratta del pennacchio che riporta la storia della Crocifissione di Aman; è un soggetto insolito poiché, secondo la Vulgata di San Girolamo, Aman non fu crocifisso ma impiccato ad un albero. Se inizialmente si era pensato che l'immagine dipinta seguisse il testo dantesco che descrive l'uomo come crocifisso 21, ancora una volta Gioacchino da Fiore sembra essere la reale fonte: egli, infatti, scrive che Aman, per ordine del re, fu appeso alla croce che lui stesso aveva preparato per Mardocheo. Secondo lo schema gioachimita, però, questo evento prevedeva un secondo livello di lettura più complesso e profondo poiché con esso si poteva intendere l'ascesa al potere di Mardocheo, che prefigurava a sua volta l'elevazione del grande papa previsto nella Terza Età 22.
L'episodio in questione è tratto dal libro di Ester: Ester, nipote di Mardocheo e sposa di Assuero, riesce ad ottenere l'abrogazione di un decreto di strage degli Ebrei e la condanna del persecutore Aman. La scena rappresentata da Michelangelo è tripartita: a sinistra la condanna di Aman vestito di giallo, a destra la ricompensa di Mardocheo insieme a Ester, al centro Aman in croce. Tornando all'interpretazione gioachimita, Aman rappresenterebbe altresì l'Anticristo che, in croce, diventerebbe immagine uguale e contraria del Cristo.
Tali riferimenti, se da un lato dimostrano quanto l'artista fosse a conoscenza del Liber de Concordia, al contempo ci pongono nella posizione di chiederci come l'artista conoscesse così bene quel testo. L'ipotesi è, appunto, che una figura di un consigliere come quella di Pietro Galatino (o un teologo con il suo medesimo bagaglio culturale) possa aver fatto da intermediaria perché in primis la posizione del minorita galatinese nei confronti delle storie di tradizione ebraica era ben consolidata e lo rendeva, a quel tempo, uno dei massimi esperti in materia; in secondo luogo, inoltre, perché è altamente improbabile che il programma sia stato redatto senza alcuni consigli teologici. Questo soprattutto perché, rispetto a tale specifica scena, Michelangelo indicò un preciso e non semplice collegamento: la Crocifissione di Aman, in base al posto che le viene assegnato all'interno dell'intero programma figurativo, va interpretata seguendo uno schema preciso; il suo corrispettivo dall'altra parte dell'altare, infatti, è il Serpente di bronzo, un episodio che sembra essere la prefigurazione della Passione perché come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo 23. Ecco che allora le due scene si uniscono e dialogano fra loro seguendo lo schema di cui si è detto in precedenza.

Chiaramente, le idee di Gioacchino da Fiore sono costanti in molte delle raffigurazioni dei cicli pittorici della Sistina, e andando ancora nel particolare un ulteriore dettaglio va preso in considerazione per poter esplicitare un collegamento con Pietro Galatino; egli, in tal caso, per ragioni cronologiche, non può essere troppo coinvolto direttamente con l'impianto iconografico di cui si tratterà, ma allo stesso tempo diverrà un lecito protagonista anche di questa vicenda.
Si consideri, quindi, l'affresco dipinto intorno al 1492 dal Perugino raffigurante il Ritorno di Mosè in Egitto e, tra il resto, anche il tentativo di uccisione di Mosè per mano dell'angelo di Dio; in Mosè sono rappresentati tutti gli apostoli della fede e i predicatori che non hanno voluto imporre ai pagani i più severi comandamenti di Cristo; Zippora rappresenterebbe la Chiesa e non la semplice moglie e, quindi, non sarebbe Mosè colui che da lei è definito sposo di sangue, ma il figlio. Infatti, «lo sposo della Chiesa è ancora Cristo. Essa lo definisce sposo di sangue perché è stata salvata per mezzo del sangue di Cristo. Così, i figli della Chiesa, dopo la circoncisione dei loro vizi e dopo che essi hanno portato a compimento la loro vita con le opere buone, vengono detti non più figli, ma sposi, perché in cielo sono uniti a colui che sulla terra viene chiamato ed è realmente lo Sposo 24».

La menzione dello sposo di sangue costituisce il vero motivo per il quale l'affresco si trova sulla parete di destra, dietro il trono papale 25. Difatti, in Pietro Galatino troveremo (in aggiunta a quanto già detto fino ad ora) l'idea secondo cui il papa, come rappresentante di Cristo, è da considerarsi sposo di tutta la Chiesa: «quia quum sit Christi vicarius, qui naturam sibi humanam in virginis ecclesiae sponsus est 26». La relazione sposa-sposo, come si è già anticipato, è anch'essa di matrice gioachimita e ritorna negli scritti del dotto pugliese. Appurato, dunque, che Gioacchino da Fiore possa essere stato utilizzato come fondamento teologico e filosofico anche per il vecchio ciclo della Sistina, non sorprende ritrovare, in seguito, le sue idee tanto nei testi del minorita galatinese, quanto in altre raffigurazioni del nuovo ciclo che sembrerebbero basate sulle posizioni di quest'ultimo.
Secondo Silvia Danesi Squarzina, una grande novità introdotta dall'abate è una visione della fede come grandioso processo storico 27: se, infatti, durante il periodo medievale il pensiero di stampo agostiniano nutriva la convinzione scoraggiante che con la venuta di Cristo si fosse giunti al culmine di ogni cosa e che si dovesse, quindi, attendere solo il suo definitivo ritorno e il giudizio universale, con Gioacchino qualcosa cambia; egli chiamava la chiesa a ridestarsi in una età nuova nel segno dello Spirito, terza fase in cui egli articola la storia dell'umanità, dopo il periodo del Padre (retto dalla legge) e del Figlio (retto dalla grazia) 28. Queste tematiche si ritroveranno, come già segnalato, anche nell'opera del Galatino.

Passando ad un altro tema che, invece, potrebbe dimostrare la presenza del minorita come fonte dottrinale, è merito di Heinrich Pfeiffer aver fatto un'importante riflessione. «Entrando nella Cappella Sistina noi entriamo in un mondo tutto per i teologi… quando si prende un volume di un discepolo del “maestro in sacra pagina” Antonio da Pinerolo, cioè Pietro Galatino, ci si trova incredibilmente tutto ciò che serve a interpretare la Sistina - e questi volumi sono solo manoscritti, non sono mai stampati - e così apprendiamo per esempio che dopo Cristo il Papa è lo sposo della Chiesa… e così gli altri commentatori ci aiutano a comprendere i significati della Sistina 29». Con queste parole lo studioso Pfeiffer introduce la sua dissertazione rispetto ai consiglieri teologici di Michelangelo e, come primo nome, inserisce nel paradigma proprio Pietro Colonna il Galatino 30.
Nello specifico l'ipotesi portata avanti verte in tal caso su un preciso punto: la concezione del cielo secondo la teologia del tempo. Difatti, nelle opere romane del Rinascimento esistono importanti riferimenti al cielo descritto nel quarto giorno della Creazione e alle luci create da Dio: pensiamo, appunto, per esempio al cielo azzurro stellato che decorava la volta della Cappella Sistina. Cosa si intendeva esprimere a quel tempo, a livello teologico, con l'immagine del cielo? Per esempio, secondo il minorita galatinese il cielo contiene molti misteri, perché, in quanto simbolo delle Sacre Scritture come esse è caratterizzato dalla varietà: «sub coeli nomine multa continentur mysteria, prout scripturarum exposcit diversitas. Quia et si anagogice quidem ecclesia triunphas, allegorice vero ecclesia militans, quae instar triunphantis instituta est, … per coelum hoc loco designetur. Tropologice tamen, prout (scilicet) scriptura in se ipsam per reflexionem convertitur, per coelum hic aliud quam sacrae scripturae sacramentum, non intellegitur 31». Quindi, Galatino applica la dottrina dei molteplici sensi della Scrittura e distingue nel senso anagogico (che porta all'elevazione) la Chiesa trionfante dei santi dalla Chiesa militante che troverebbe corrispondenza nella parola cielo letta alla luce del senso allegorico della Scrittura. In senso tropologico e morale cielo significa, invece, la Sacra Scrittura per il fatto che mediante la riflessione essa si rivolge verso se stessa 32.
In generale, per questo tipo di dotti, la parola cielo ha sempre racchiuso più significati e la questione risulta ben evidente ancora a fine Cinquecento: se visioniamo, infatti, i volumi di Gerolamo Laureto leggiamo che coelum può significare Dio, Cristo, gli angeli, le cose spirituali in generale, la Vergine Maria, gli Apostoli, i predicatori, i Profeti, la Chiesa stessa, ma anche la Sacra Scrittura (come nel caso di Galatino). Rispetto a quest'ultima interpretazione si può affermare che la Sacra Scrittura può essere definita il cielo dal quale Dio parla agli uomini; seguendo tale schema la Sapienza sarebbe quindi rappresentata dal Sole, la Scienza dalla Luna e i Padri, con i loro esempi e con le loro virtù, dalle stelle.
Tornando alla Sistina, Michelangelo avrebbe sostituito il vecchio cielo con un altro cielo, cioè il cielo delle stelle con quello della Scrittura veterotestamentaria così considerato da Gioacchino da Fiore prima e Pietro Colonna il Galatino poi.
In conclusione, la figura di questo frate minorita potrebbe essere considerata la naturale prosecuzione delle idee gioachimite e, dunque, uno dei consulenti di artisti come Michelangelo; si tratta, in tal senso, di un erudito coinvolto, in quegli anni, nella realizzazione di un progetto figurativo che concretizzasse idee del passato e le rendesse attuali nella Roma profetica del tempo. D'altro canto, la questione non sorprende se si riflette nuovamente sull'alto ruolo culturale raggiunto dal Galatino all'interno dei circoli religiosi e filosofici della Roma di Giulio II e Leone X. Ancora una volta, come precisato anche nel caso della decorazione della Cappella Borgherini, la presenza di Galatino in questi luoghi non sembra essere tangibile se si cercano palesi confronti tra le sue opere e le rappresentazioni pittoriche analizzate. Il suo apporto, dunque, non è visibile nella trasposizione diretta delle sue parole o delle sue idee, quanto piuttosto nella sua cultura intrisa di concetti medievali e di stampo anche profetico che sembra essere stata ben percepita dagli artisti a lui contemporanei.


La Stanza della Segnatura
Le ricerche del teologo e critico d'arte Heinrich Pfeiffer hanno avuto come tema di studio oltre alla Cappella Sistina anche le quattro Stanze vaticane di Raffaello. La dissertazione a cui si fa riferimento (del 1970) si concentra soprattutto sul cercare di delineare le fonti dottrinali fino a quel momento proposte riassumendole sostanzialmente in tre punti: c'è chi pensava che ad elaborare il programma concettuale delle pareti fosse stato un domenicano o diversi rappresentanti della scuola tomista (in tal caso l'ipotesi verte su Olivero Carafa e Tommaso de Vio); c'è chi sosteneva i francescani (forse il cardinale Marco Vigerio); c'è chi favoriva, infine, il mondo di umanisti come Sigismondo de' Conti o Fedra 33.
L'apporto originale di questo intervento, in ogni caso, fu individuare come possibile consigliere una nuova figura, cioè quella dell'agostiniano Egidio da Viterbo, specialmente per uno specifico testo, cioè il discorso tenuto davanti al Papa e alla curia intitolato Libellus de invento orbe terrarum et Tabrobane insula, de Lusitani Regis victoria, de aurea aetate. La prima parte di esso è una dissertazione sull'età dell'oro; l'oratore informa il lettore sull'assunto secondo il quale il creato è corporeo e incorporeo e in quanto corporeo è composto dei quattro elementi di fuoco, aria, acqua e terra, in perenna lotta fra loro. Secondo i primi studi di Pfeiffer questa parte del testo era da ricollegarsi ad alcuni elementi presenti nella Stanza della Segnatura: il rapporto con i quattro elementi, però, non era affatto nuovo visto che anche il Vasari descrivendo la figura allegorica della Filosofia, posta sul soffitto sopra la Scuola di Atene, la considerava la raffigurazione dei quattro. In seguito, anche Edgar Wind e André Chastel videro in tale studio il principio coordinatore di tutti gli affreschi della Stanza e vollero mettere ogni parete in rapporto con uno degli elementi: la giurisprudenza con la terra, la Scuola con l'acqua, il Parnaso con l'aria, la Disputa con il fuoco 34.
Tornando al testo di Egidio da Viterbo, in esso egli delineò anche il motivo delle quattro virtù cardinali: dopo il diluvio, l'umanità era colma di tensioni e per avversarle Noè avrebbe inventato una nuova dottrina: contro la paura che proviene dalla terra ci si può munire della fortezza, contro la cupidigia che nasce dall'acqua si può utilizzare la temperanza, la prudenza va impiegata, invece, contro le malattie sorte dall'aria e la giustizia contro la libidine che arriva dal fuoco.
Arrivato a ciò, alla fine del suo intervento, il critico stesso delinea però dei punti discordanti: per quanto si possa presumere che Egidio da Viterbo potesse essere stato d'aiuto nella creazione del programma iconografico, vi sono delle questioni di non poco conto da evidenziare; innanzitutto il suo compito di Generale degli Agostiniani occupava tutto il suo tempo; i suoi scritti non mostrano alcuna familiarità con la Divina Commedia o con le opere di Bonaventura che invece hanno un ruolo chiave per le Stanze; non ci sono prove, infine, che abbia effettivamente mai avuto contatti con Raffello. Chiunque sia stato il personaggio che ha aiutato da un punto di vista teologico, costui, conclude Pfeiffer, si è dovuto servire comunque delle idee di Egidio 35. Vi sono, infatti, delle convergenze che non fanno escludere il suo influsso del tutto.
Di recente gli studi del critico d'arte hanno provato a includere anche altri teologi nel paradigma dei possibili nomi e, tra essi, appare anche quello di Pietro Colonna il Galatino. Come per il caso della Sistina, anche in questa circostanza il punto principale della sua dissertazione è la definizione di cielo. In particolare, la Disputa di Raffaello sarebbe un cielo da interpretare secondo molteplici accezioni; si possono, così, attribuire all'affresco tutti e tre i sensi della parola cielo nel modo in cui sono stati esposti dal minorita galatinese. Seguendo tale idea, nella parte superiore vedremmo raffigurata in senso anagogico la Chiesa trionfante, in quella inferiore in senso allegorico la Chiesa militante; i santi disposti a due a due sul banco di nuvole, invece, sarebbero una rappresentazione della Sacra Scrittura da considerarsi, quindi, in senso tropologico, simbolo del cielo 36.
Il passo di Galatino di nostro interesse, infatti, riporta scritto che «chi vuole dunque penetrare nei misteri di Dio, nella contemplazione delle cose divine, dopo aver lasciato dietro di sé le opere della carne, deve salire in spirito al cielo di questa Scrittura, affinché, come rapito con Paolo fino al terzo cielo ed entrato in questa porta aperta della stessa Scrittura, veda le parole arcane che all'uomo non è permesso pronunciare perché troppo sublimi 37». Questo passo sembrerebbe collegare direttamente il testo del minorita alla rappresentazione visiva, ma anche in tal caso è necessaria prudenza perché, come nel caso di Egidio da Viterbo, non ci sono dimostrazioni di incontri diretti con l'artista; allo stesso tempo, però, sono testimoniati i contatti tra Pietro Colonna e il pontefice committente e quindi diventerebbero più probabili i legami indiretti.
Oltre a ciò, un ulteriore fattore ricollegherebbe la personalità del frate minorita e i suoi scritti con la Stanza. Un tema importante, infatti, riguarda la Chiesa edificata con pietre vive nel senso che la costruzione, per la prima volta, prese forma con Cristo e gli Apostoli. Troviamo espressa questa dottrina nella Prima Lettera di San Pietro: «Stringetevi a lui, la pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta da Dio e preziosa davanti a lui. Lasciatevi impiegare come pietre vive per un edificio spirituale». Il tutto è stato accolto anche dal libro diciottesimo de La città di Dio di Agostino e sviluppato da numerosi teologi. Entrambi i concetti espressi in questo passo, cioè il rifiuto della pietra da parte dei costruttori e l'edificio fatto di pietre vive, trovano ampio sviluppo in Pietro Galatino 38. Nell'opera De Ecclesia restituta, infatti, il minorita scrive: «Diremo ora qualcosa riguardo alle pietre che compongono la struttura del tempio. Con esse si intendono designati tutti gli elementi con i quali viene edificata la Chiesa militante 39». L'affresco della Disputa del Sacramento in particolare sarebbe caratterizzato proprio dall'idea della costruzione della Chiesa con pietre vive; Winner, infatti, precisando le idee stesse di Pfeiffer, scrive che: «il pensiero immaginativo originale di Raffaello dell'edificio della Chiesa fatto di pietre vive in cielo si trasforma in un'allegoria dell'edificazione del Corpus Domini, precisamente della chiesa, il Corpus mysticum costituito da membra vive. Il Corpus Domini, il pane vivo sull'altare e il corpo divino di Cristo come immagine dell'uomo perfetto in cielo dominano la composizione definitiva, sospingendo, così l'allegoria architettonica sullo sfondo 40».
Da questa prospettiva, come già analizzato in precedenza e soprattutto nel Capitolo Secondo, notiamo come il Galatino si inserisca come di consueto in una tradizione consolidata (si era visto, per esempio, il caso di Guglielmo Durante e la sua descrizione di Chiesa costituita da pietre vive). Ancora una volta, non sorprende che tale nome si inserisca a pieno diritto tra le ammissibili fonti dottrinali di importanti programmi iconografici o come traghettatore di idee passate. Insieme ad Egidio da Viterbo, quindi, il francescano può essere considerato quanto meno una figura chiave di eminente teologo e predicatore della corte pontificia il cui influsso potrebbe essere stato ricevuto, come dimostrano i dettagli sopra citati, dai grandi artisti del suo tempo.
Utilizzando uno dei concetti principali di Ernest Gombrich possiamo affermare, a ragion veduta, che alcune di queste rappresentazioni abbandonassero il regno della pura espressione a favore di uno comunicativo. Sul modello della relazione locutore-ascoltatore che concerne l'attività verbale, si fonda una relazione trasmettitore-ricevitore che presuppone l'esistenza di un codice perché l'esperienza del messaggio abbia un senso. In tal caso, come in quello della Sistina e della Cappella Borgherini, il codice è l'importanza della scrittura; non si allude, con tale definizione, solo alle Sacre Scritture o a quei testi di verità storica tanto celebrati dai dotti del tempo (e anche dal Galatino stesso), ma all'importanza dei testi di teologia e filosofia contemporanei ad artisti come Raffaello, Michelangelo, Sebastiano del Piombo e tanti altri. Difatti, si è tentato di riassumere ipotesi e di fondarne di nuove, ma entrambe le cose sulla base dei testi del Galatino per la specifica ricerca.
Il codice, dunque, presuppone un registro preciso di conoscenza e ciò ha il vantaggio di portarci a considerare probabili le teorie fino ad ora esposte, perché fondate, appunto, su un assunto preciso: l'importanza dei testi di quegli anni, a volte originali, a volte riadattamenti di dottrine e teorie precedenti. Raccogliendo questi motivi, avremo gli strumenti per creare nuovi punti di vista, partendo però da una base comune secondo la quale è irrealistico concepire l'idea secondo cui tali rappresentazioni artistiche non abbiano necessitato la presenza filosofica e teologica di alcune figure. Nel qual caso, all'espressione veicolata dalle immagini si aggiungerà una lezione imposta dalle scritture che potrebbero esservi dietro.




Approfondimenti cronologici
Per meglio definire il ruolo di Pietro Colonna in tali questioni è utile un approfondimento di stampo prettamente cronologico; con ciò si intende, infatti, dimostrare l'effettivo coinvolgimento del frate minorita nelle opere d'arte sopra elencate.
L'ipotesi di un Galatino traghettatore di idee gioachimite poggia, oltre che sulla quantità di concetti comuni (presenti tanto nelle opere dell'abate Gioacchino da Fiore quanto nel galatinese e, di conseguenza, nei programmi figurativi citati), anche su dati pragmatici. Nello specifico, infatti, artisti come Sebastiano del Piombo, Michelangelo e Raffaello sembrerebbero essere stati guidati da una o più figure che ben conoscevano queste antiche tradizioni filosofiche medievali. Si è proposta, dunque, la figura del minorita come consigliere teologico e come base dottrinale.
Partendo dalla Cappella Borgherini in San Pietro in Montorio, la datazione degli affreschi sembra oscillare tra il 1516 (anno in cui Sebastiano del Piombo richiede, tramite una lettera, i disegni preparatori a Michelangelo) e il 1524. Precedentemente si è detto che la tematica della Cappella, partendo dal punto di vista delle ricerche della Pasti, sembrerebbe essere riassunta nel concetto di unità: il Cristo della Passione unito al Cristo della Trasfigurazione, l'idea di un unico Messia e la consequenziale correzione dell'errore ebraico, i libri chiusi collegati dalla teoria di svelamento graduale delle profezie e del disegno divino ecc. Questo concetto di unione potrebbe derivare, a tal punto, proprio dal De Arcanis di Galatino, la fondamentale opera a stampa del minorita terminata intorno al 1516 e date alle stampe da Gershom Soncino nel 1518.
A livello cronologico, dunque, questa prima ipotesi che prevede l'intervento diretto di Pietro Colonna nell'ideazione del programma figurativo o il coinvolgimento indiretto (dunque soltanto la trasposizione di alcune sue idee in immagini, senza il suo necessario intervento) sarebbe da reputare corretta o quantomeno ammissibile. Il De Arcanis, infatti, iniziò a circolare sotto forma di manoscritto anche prima di essere stampato e le idee in esso contenute erano il risultato di un contesto storico-politico ben preciso: si ricorda, infatti, che il pontefice stesso, insieme ad altri dotti del tempo, ne avevano richiesto l'urgente stesura; nel dettaglio, la correzione delle depravationes degli ebrei era una tematica molto avvertita dagli intellettuali e dalla curia. Se, allora, la Cappella Borgherini può essere intesa come la rappresentazione della veritas cristiana e se l'opera che sembra farle da base fu finita e stampata proprio in quegli anni, l'intervento del Galatino si palesa anche di più.
Passando alla decorazione della Cappella Sistina, si è detto invece che la presenza del minorita sembrerebbe manifestarsi di riflesso: gli storici dell'arte concordano sul principio secondo il quale molti degli affreschi (sia del vecchio che del nuovo ciclo) derivino dal pensiero di Gioacchino da Fiore; Pietro Galatino era un ottimo conoscitore delle idee di quest'ultimo e, seguendo lo schema, il frate potrebbe essere stato il diffusore di quelle nozioni medievali. Le opere di cui si è trattato, nello specifico La Crocifissione di Aman e in generale la Volta della Sistina per il concetto di cielo non trovano corrispondenza cronologica con le opere del minorita. Nel 1526 egli compone il De Sacra Scriptura Recte Interpretando, opera in cui effettivamente troviamo dei punti di contatto con le pitture michelangiolesche come, a titolo esemplificativo, il concetto di cielo inteso come Sacra Scrittura; concetto che ha portato all'ipotesi secondo la quale l'artista avrebbe sostituito al vecchio cielo uno nuovo, quello rappresentante la Scrittura veterotestamentaria. Il discorso di coinvolgimento allora sembrerebbe logico, se non fosse che, però, il ciclo di affreschi della Volta della Sistina viene portato a termine intorno al 1512, momento in cui Galatino è impegnato nella messa a punto di altre idee teologiche. Secondo il parere di chi scrive, però, ciò non pregiudicherebbe il suo intervento, anche se probabilmente parziale. Difatti, quando Pietro Colonna scrive questi passi nel 1526 ne è già a conoscenza e la questione potrebbe essere confermata dall'ultimo esempio figurativo proposto, cioè la Disputa del Sacramento di Raffaello; anche per questo affresco la dissertazione si è concentrata sul significato che ottiene la parola cielo nel contesto figurativo; siamo intorno al 1509-1510 e, pressoché negli stessi anni della Volta di Michelangelo, ancora una volta il cielo assume il significato di Sacra Scrittura. Provando a escludere forzature cronologiche, si potrebbe ipotizzare, dopo quanto detto fino ad ora, che il Galatino avesse già in mente questi concetti, che li avesse quindi potuti divulgare a questi artisti e, infine, raccoglierli in un'opera scritta. Tale posizione spiegherebbe un intervento precedente, ma plausibile, e un'opera (quindi la base dottrinale) scritta invece in seguito.
Bisogna, in conclusione, fare chiarezza su un ultimo punto; trattando della Stanza della Segnatura, si è affrontato anche il discorso che riguarda il concetto di Chiesa costruita con pietre vive; si è detto, poi, che in particolare nella Disputa del Sacramento potrebbe essere mostrata proprio tale idea. L'opera nella quale il Galatino affronta l'argomento in modo diretto è il De Ecclesia Destituta (Libri I- IV) che gli studiosi datano intorno agli anni precedenti al 1524. Si noti che, anche in tale circostanza, è presente una dissonanza tra la datazione dell'affresco (1509-1510) e quella del manoscritto. A questo proposito, però, a differenza del caso precedente, si può avanzare un'ulteriore ipotesi che vada oltre il fatto che il minorita potesse già trattare simili idee e averle proposte in forma scritta solo in seguito perché impegnato con altre questioni (turchi, ebrei, profezie); come già ricordato, infatti, il principio di Chiesa costruita con pietre vive risulta essere presente nella tradizione medievale e, in particolare, in dotti come Gioacchino da Fiore, Guglielmo Durante ecc. È necessario tenere a mente quanto la figura del Galatino possa essere ricostruita soltanto se si tiene conto anche del peso culturale e storico che dava alle tradizioni e agli scritti degli antichi; fatto ciò, ancora una volta il suo intervento si spiegherebbe in questa chiave. Anche se, concretamente, non era stata ancora scritta un'opera con idee da trasporre in immagini, erano presenti e ben consolidati alcuni principi che un uomo di alto prestigio come il Galatino non aveva difficoltà a proporre ugualmente. Dunque, secondo tale ricerca, il suo coinvolgimento si dimostrerebbe logico ed evidente se considerato da questi punti di vista e seguendo questi dati.

          
          
          
          

NOTE

1 PFEIFFER 2000, p.13

2 PALADINI 2004, p.150

3 Ibidem

4 SERMONETA 1983, p.282

5 PFEIFFER 2000, p.16

6 CANTORE 2017, p.13

7 Ivi, p.73

8 JUNGIC 1988, p.67

9 JUNGIC 1988, p.68

10 SQUARZINA 2009, p.49

11 PASTI 2016, pp.9-11

12 Ibidem

13 Ibidem

14 Ibidem

15 GALATINO 1518, libro III, XXIII

16 JUNGIC 1988, p.72

17 Ivi, p. 73

18 Ivi, p.79

19 SQUARZINA 2009, p.50

20 BULL 1988, pp.597-605

21 ALIGHIERI, Purgatorio XVII, 25-30
«Poi piovve dentro all'alta fantasia
Un crocifisso dispettoso e fiero
Nella sua vista, e cotal si morìa»

22 BULL 1988, p.601

23 WIND 1938, p.246

24 PFEIFFER 2020, p.22

25 Ivi, p. 30

26 GALATINO, Cod. Vat. Lat. 5569, 164v.

27 SQUARZINA 2013, P.39

28 Ivi, p.40

29 PFEIFFER 2013, p.46

30 In studi precedenti, però, si favorivano Egidio da Viterbo o Sante Pagnini

31 GALATINO, Cod. Vat. Lat. 5580, 34r.

32 PFEIFFER 2013, p.48

33 PFEIFFER 1970, p.31

34 Ivi, p. 35

35 Ivi, p.41

36 PFEIFFER 2020, p.14

37 GALATINO, Cod. Vat. Lat. 5580, 35v.
«Qui vult ergo Dei arcana inspicere, ac coelestia contemplari: relictis inferius carnis operbus, debet in spiritu ad huiusce scripturae caelum ascendere: ut cum Paulo usque ad tertium raptus, ostiumque hoc ipsius scripturae apertum ingressus, videat arcana verba: quae prae eorum excellentia, non licet homini loqui».

38 PFEIFFER 2020, p.54

39 GALATINO, Cod. Vat. Lat. 5568, 230r.
«nunc de iis lapidibus qui ad eius strucruram pertinebant nonnihil dicamus. Per quos electi omnes, ecquibus militans ecclesia construitur significati sunt: iuxta illud, tamquam lapides vivi superaedificamini in domos spirituale»

40 PFEIFFER 2020, p.337

            
            
            
            

BIBLIOGRAFIA STAMPATI

BULL 1988

Malcolm BULL, The iconography of the Sistine Chapel ceiling, in “The Burlington Magazine”, Vol. 130, 1988, pp. 597-605


CANTORE 2017
Flavia CANTORE, Il Tempietto di Bramante nel monastero di San Pietro in Montorio, Roma, Edizioni Quasar, 2017


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Silvia DANESI SQUARZINA, Pauperismo francescano e magnificenza antiquaria nel programma architettonico di Sisto IV, in Sisto IV e Giulio II mecenati e promotori di cultura. Atti del Convegno Internazionale di studi, a cura di S.Bottaro, A. Dagnino, G. Rotondi Terminiello (Savona, 1985), Savona, 1989, pp. 7-26


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EAD., Un ritratto di Sebastiano del Piombo in collezione Cini e l'acronimo N.M.T.O.C.S. decifrato, in “Storia dell'arte”, Vol. 122-123, 2009, pp. 45-58


DANESI 2013
EAD., Michelangelo nella Sistina. Le Scritture come storia dell'umanità e profezia del presente, in “Michelangelo e la Sistina, l'arte e l'esegesi biblica”, Roma, Gangemi Editore, 2013, pp.35-45


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Pietro GALATINO, Opus toti Christianae Reipublicae maxime utile, de arcanis catholicae veritatis, contra obstinatissimam Iudaeorum nostrae tempestatis perfidiam: ex Talmus, aliisque hebraicis libris nuper excerptum: et quadruplici lignarum genere eleganter congestum, Ortonae Maris, Per Hieron Soncinum, 1518


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Josephine JUNGIC, Joachimist Prophecies in Sebastiano del Piombo's Borgherini Chapel and Raphael's Transfiguration, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, Vol. 51, 1988, pp.66-83


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Stefania PASTI, Sebastiano del Piombo e la Cappella Borgherini: la sua fonte nel De Arcanis Catholicae Veritatis di Pietro Galatino, 2016
https://www.academia.edu/31545483/ (consultato il 21/ 07/ 2021)


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ID., La sistina svelata: iconografia di un capolavoro, Milano, Jaca Book, 2020


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BIBLIOGRAFIA MANOSCRITTI

Manoscritti consultati


Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV)
Biblioteca Ambrosiana (BA)
Collegio di S. Isidoro degli Irlandesi di Roma (CSIDIDR)

Biblioteca Angelica di Roma (BADR)




Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV)
Galatino Pietro, Ad divinum Leonem X Pont. Opt. Max. Petri Galatini Minoritani Reverendissimi Domini Card. Sanctor. Quatuor Coronatorum capellani, libellus de morte consolatorius, in obitu illustrissimi Principis Laurentii Medicis ducis Urbini, Cod. Vat. Lat. 3190


Galatino Pietro, Minoritae, servi inutilis Domini nostri Iesu Christi in beatissimi Iohannis apostoli et evangelistae apocalypsim ad verum et proprium sensum commentaria in decem discreta libros, ac invictissimo Carolo quinto Romanorum imperatori, semper Augusto dicata, Cod. Vat. Lat. 5567


Galatino Pietro, Minoritae, poenitentiarii apostolici ac Domini nostri Iesu Christi servi inutilis de ecclesia destituta opus in octo discretum libros. Generalis in totum opus prefatio. Prima Pars, Cod. Vat. Lat. 5568


Galatino Pietro, Minoritae, poenitentiarii apostolici ac Domini nostri Iesu Christi servi inutilis de ecclesia destituta, in qua reliqui quatuor continentur libri, Secunda Pars, Cod. Vat. Lat. 5569


Galatino Pietro, Minoritae Poenitentiarii apostolici, Domini Iesu Christi servi inutilis, de vera theologia prima pars, Paulo III Pont. Max. iure dicata, Cod. Vat. Lat. 5570

Galatino Pietro, De vera Theologia, tertia pars, Cod. Vat. Lat. 5572


Galatino Pietro, De vera Theologia, quarta pars, Cod. Vat. Lat. 5573


Galatino Pietro, De vera Theologia, quinta pars, Cod. Vat. Lat. 5574


Galatino Pietro, Minoritae, indagini atque inutilis servi Iesu Christi, opus de Ecclesia instituta in, treis distinctum libros: ac Paulo III Pont. Max. dicatum, Cod. Vat. Lat. 5575


Galatino Pietro, Minoritae, poenitentiarii apostolici ac servi Iesu Christi opus de Ecclesia restituta in cinque distinctum libros, Cod. Vat. Lat. 5576


Galatino Pietro, Minoritae poenitentiarii apostolici, domini nostri Iesu Christi servi inutilis atque indigni de homine opusculum, toti ominum comunitati admodum utile. Reverendissimo Domino D. Nicolau Rodulpho, Diacono Cardinali tituli S. Mariae in Cosmodin merito dicatum, Cod. Vat. Lat. 5577


Galatino Pietro, Minoritae servisi inutilis Iesu Christi de Angelico Pastore opusculum ex sacra veteris et novi testamenti scriptura excerptum, Cod. Vat. Lat. 5578


Galatino Pietro, Ad Domini Leonem X pontificem maximum Petri Galatini minoritae Reverendissimi Domini Dom. Leurentii Pucj Sacrosantae Romanae Ecclesiae tituli Sanctorum cuatuor Coronatorum Presbyter Cardinalis Capelani libellus perquam brevissumus de Re publica christiana pro vera eiusdem reipublicae reformatione, pregressu ac felici ad recuperanda Christianorum loca expeditione, nuper per modum orationis editus, Cod. Vat. Lat. 5578


Galatino Pietro, De sacra Scriptura recte interpretanda opus, vocatum Ostium apertum, Henrico VIII regi Angliae dedicatum, Cod. Vat. Lat. 5580



Collegio di S. Isidoro degli Irlandesi di Roma (CSIDIDR)

Galatino Pietro, De vera Theologia, prima et secunda pars, Cod. For. 52

Galatino Pietro, De vera Theologia, quintam partem et Tractum, Cod. For. 54

Galatino Pietro, De vera Theologia, tertiam et quartam partem, Cod. For. 60

Biblioteca Ambrosiana (BA)

Galatino Pietro, Minoritae servi inutilis Iesu Christi, opus de ecclesia restituita in treis distinctum libros, Cod. 0 147 sup.

Galatino Pietro, Minoritae servi inutilis Iesu Christi, opus de ecclesia instituta, Cod. P 87 sup.


Biblioteca Angelica di Roma (BADR)
Galatino Pietro, Oratio Ordinis Minorum, Sacrae Theologiae profissoris, Sanctissimo Iulio Secundo Pontifici Maximo dicta, Cod. 488






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Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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