Si
possono ormai ritenere indubbi lo spessore e la fama
di Fulvio Orsini (1529-1600), per oltre trent'anni
fedele servitore dei Farnese, e di Pirro Ligorio (1513
circa-1583), pittore ed architetto eruditissimo
protetto della famiglia estense. Nell'ultimo secolo
sono stati diversi i contributi dedicati a Orsini, ma
questi consistono quasi sempre in rapide citazioni o
indagini circoscritte e connesse a ricerche su
tematiche più ampie, più o meno strettamente
relazionate alla figura dell'erudito romano. Dal canto
suo, Pirro Ligorio ha indubbiamente sofferto una
cattiva fortuna critica nelle fonti letterarie
antiche, ritardando soltanto al secolo scorso l'avvio
di indagini - ancora incomplete – su un tanto
complesso personaggio. Tra le lacune presenti negli
studi orsiniani e ligoriani, vi è quella riguardante i
rapporti assai proficui che intercorsero tra i due
antiquari nella seconda metà del Cinquecento a Roma:
il presente contributo vuole quindi tentare, una volta
ripercorse le rispettive formazioni e i rapporti con i
Farnese, di rilevare i punti di tangenza dei loro
studi, sottolineare analogie e differenze presenti
nelle loro collezioni, nell'approccio all'Antico e
alle diverse fonti documentarie, nonché nel cogliere
le preziose opportunità che offrì a entrambi la
capitale pontificia.
«Come
un gentilhuomo che compra per la delettatione
solamente»: Fulvio Orsini antiquario e collezionista
alla corte farnesiana
Come
racconta
Giuseppe Castiglione nella biografia a lui dedicata
,
a riconoscere per primo in Orsini una notevole e
precoce inclinazione per gli studi umanistici è
Gentile Delfini, che sin dall'ammissione di Fulvio
al chiericato di San Giovanni in Laterano nel 1539
ne diviene protettore e precettore, garantendogli
contatti con altri illustri eruditi dell'epoca. Nel
1553 le buone relazioni tra il Delfini e i Farnese
favoriscono l'inizio dell'attività di Orsini presso
la corte del cardinale Ranuccio: questi affida allo
studioso, ammirato «non solo per la competenza
filologica, ma anche per le qualità morali», la
direzione della propria biblioteca (CELLINI 2010). Una volta
defunto Ranuccio nel 1565, Fulvio passa al servizio
del cardinale Alessandro Farnese, divenendo altresì
responsabile della cura e della conservazione delle
raccolte di famiglia. Orsini, che risiede
stabilmente al secondo piano del palazzo a Campo de'
Fiori, incrementa le collezioni farnesiane con
acquisti assai mirati nel mercato antiquario: tale
opportunità gli procura tutti gli strumenti utili
alle sue ricerche, che giovano a un tempo della
consultazione dei testi della biblioteca Farnese e
di quelli della propria costituenda raccolta
personale. Fulvio Orsini arriverà presto a essere un
punto di riferimento importante nell'ambiente
intellettuale romano, che non esita a consultarsi
con l'eccezionale e poliedrica erudizione dello
studioso. Gli ottimi rapporti che Orsini sa
intessere con uomini dotti di fama internazionale
consentono scambi culturali assai fecondi e la
pubblicazione di numerose opere a stampa; tra i
personaggi più noti in contatto con l'umanista,
ricordiamo Carlo Sigonio, Pietro Vettori, Gian
Vincenzo Pinelli, Antonio Agustìn, Pedro Chacon,
Giusto Lipsio, Onofrio Panvinio, Pirro Ligorio,
Girolamo Mercuriale. Fulvio stringe una forte
amicizia anche con il cardinal de Granvelle, che
condivide il desiderio di consentire l'accesso alle
collezioni Farnese «non solo a studiosi locali, ma anche ai giovani provenienti dalle
varie regioni d'Europa in visita a Roma» (CELLINI 2010).
Le
raccolte del cardinale Alessandro passano in eredità
al nipote Odoardo nel 1589, il quale conferma un ormai
anziano Orsini nei suoi incarichi. Fulvio serve
fedelmente i suoi protettori sino alla morte e il
testamento redatto di suo pugno il 21 gennaio del 1600
salderà tutti i suoi
debiti di riconoscenza maturati nel corso della vita:
se la preziosa raccolta personale di manoscritti e
opere a stampa è lasciata in dono alla Biblioteca
Vaticana, al cardinale Odoardo è offerta la
ricchissima e variegata collezione di opere d'arte,
già conservata a palazzo Farnese (si veda CELLINI 2010; MATTEINI 2013).
«Un
antiquario, il quale è il primo di Roma, [...]
eccellentissimo [...] non nella professione sola
delle medaglie, ma de' disegni, nelle fortificazioni
et in molte cose»: gli incarichi e il ruolo di Pirro
Ligorio nell'Urbe
Come
ricorda
Giovanni Baglione ,
suo primo biografo, Pirro nasce dalla nobile
famiglia Ligoria del Seggio di Porta Nuova tra il
1512 e il 1513 ;
è necessario considerare anzitutto questo suo
appartenere a una casata aristocratica per giungere
a una corretta lettura critica dell'architetto
napoletano: le fonti letterarie ci restituiscono il
profilo di un uomo spesso insofferente, che difende
ferocemente la propria libertà intellettuale e solo
i suoi speciali privilegi di nascita potevano
giustificare una simile condotta in un semplice
artista di metà Cinquecento .
Poco
si
conosce della sua formazione: scrive Baglione che
«attese da piccolo a gli studii delle lettere, come
anche al disegno, e alla pittura»; lascia ancora
giovanissimo la città natale per raggiungere la
capitale pontificia già intorno al 1534, dove si
dedica inizialmente alla pittura: la prima
commissione ufficiale è per l'arcivescovo di
Benevento Francesco della Rovere .
Realizza quindi nel 1544 circa l'affresco con la Danza
di
Salomè
nell'Oratorio di San Giovanni Decollato e negli
stessi anni, complice la frequentazione
dell'Accademia dello studio dell'architettura
fondata da Claudio Tolomei, entra in familiarità con
i letterati della Roma farnesiana (Antonio Agustìn, Ottavio Bagatto, Pietro Bembo, Annibal Caro, Angelo Colocci, Benedetto Egio, Gabriele Faerno, Francesco Maria Molza, Onofrio Panvinio) .
Nel 1548 Ligorio diventa membro della Congregazione
dei Virtuosi al Pantheon e dall'anno successivo fino
al 1555 è al servizio del cardinale di Ferrara
Ippolito d'Este in qualità di pittore, architetto e
antiquario. Nel 1552 avvia la costruzione del
Palazzo Torres (oggi Lancellotti) a piazza Navona.
Ottenuta grande fama di conoscitore a seguito
dell'edizione dell'Urbis
Romae
situs (1552),
nel
1553 pubblica per i tipi del Tramezzino una breve
sezione delle sue Antichità
di
Roma,
l'ambiziosissimo progetto editoriale che ha reso
celebre Ligorio pur senza mai giungere a
pubblicazione: concepito nella vantaggiosa
frequentazione dell'entourage
farnesiano ed ispirato dalle imprese di ampio
respiro che questo incoraggiava, doveva consistere
in un'opera mastodontica, nella quale sfruttare
tutte le sue competenze tecniche, topografiche e
archeologiche, supportato da opportuni studi
letterari.
Dal
1555
al 1559 è l'architetto di papa Paolo IV, incaricato
della costruzione del Casino all'interno del
Boschetto in Vaticano, cantiere portato a compimento
soltanto sotto il pontificato successivo; tra il
1559 e il 1566 dirige invece per Pio IV i lavori di
restauro della Basilica Lateranense, occupandosi
frattanto dell'arredo del Teatro del Belvedere e
della sistemazione del cortile della Pigna. Alla
morte di Michelangelo conquista la nomina di primo
architetto della Fabbrica di San Pietro ,
carica che perde alla scomparsa di Pio IV «con l’accusa di malversazione e di aver gravemente manomesso il progetto michelangiolesco» (OCCHIPINTI 2007, p. LXI). Incarcerato e caduto in disgrazia,
costretto a vendere i dieci libri manoscritti della
sua enciclopedia antiquaria ad Alessandro Farnese,
ritrova la protezione del cardinale di Ferrara, che
gli consente di continuare, tra il 1567 e il 1568,
l'opera intrapresa a Tivoli nei giardini di Villa
d'Este. Trasferitosi definitivamente a Ferrara, vi
muore nel 1583.
1.
Il rapporto coi Farnese
Fulvio
Orsini è legato ai Farnese da un rapporto che si può
definire a tutti gli effetti “simbiotico”. Come
anticipato, l'ingresso di Fulvio al palazzo di Campo
dei Fiori è incoraggiato dal canonico suo precettore
Gentile Delfini, che lo raccomanda per le eccezionali
doti morali e la precoce competenza
filologico-antiquaria: non sorprende dunque
l'immediato affido di un incarico prestigioso come
quello di bibliotecario di corte da parte del
cardinale Ranuccio, cui si aggiungerà nel 1565 la
carica di curatore delle raccolte familiari; la
rilevanza e la consistenza di queste ultime è
interamente merito della costante e sapiente
consulenza di Fulvio, delle sue efficaci ed oculate
trattative nel mercato antiquario contemporaneo. È
proprio in questi anni che emerge più che mai la
sopraccitata natura “simbiotica”del legame tra il
bibliofilo e i Farnese: come essi traggono profitto
dalla straordinaria competenza di Orsini nella
gestione e nella crescita delle loro collezioni
librarie e artistiche, così Fulvio ne ricava linfa
vitale per gli studi e la creazione di una propria
raccolta archeologica e di preziosi manoscritti.
È
importante soffermarsi sulla specifica scelta
dell'erudito di lasciare in eredità la sua
collezione di antichità e opere d'arte alla famiglia
che ha servito con tanta dedizione per tutta la
vita: una simile donazione non può essere
superficialmente definita un gesto di mera
gratitudine verso i suoi protettori e ciò è
comprovato da un'eloquente chiosa di Orsini stesso
nel proprio testamento: se Odoardo non avesse
accettato il lascito, Fulvio ne imponeva la vendita
in blocco, da concludersi nel più breve arco
temporale possibile. Le ragioni delle sue volontà
sono insite nella precisa intenzione dell'antiquario
di accrescere e mantenere, per quanto in suo potere,
l'integrità delle collezioni farnesiane nella loro
sede originaria, la “scuola pubblica” aperta agli
studiosi di tutta Europa
che aveva progettato insieme al cardinal De
Granvelle ;
ove ciò non fosse possibile, desiderava che le
proprie raccolte continuassero a servire da efficace
supporto alla ricerca di nuovi eruditi.
Altrettanto
notevoli
e contraccambiate sono la fiducia e la stima che
Pirro Ligorio nutre per i Farnese. L'amicizia tra
Orsini e l'architetto napoletano garantisce a
quest'ultimo il libero accesso alla biblioteca e
alle collezioni custodite nel palazzo di Campo dei
Fiori, privilegio che Pirro sfrutta al pari di
Fulvio nella propria formazione; ma c'è di più:
Ligorio deve frequentare la corte farnesiana anche
per prendere parte alle riunioni dell'Accademia di
Claudio Tolomei, che lì ha sede e di cui si parlerà
nel dettaglio più avanti. La profondità del legame
che l'artista arriva a coltivare negli anni con la
potente famiglia romana si misura specialmente nel
momento in cui Ligorio, finito il periodo di
carcerazione a Tor di Nona, il 4 settembre 1565
scrive immediatamente una lettera di sfogo e
gratitudine ad Alessandro Farnese, che mai aveva
dubitato della sua innocenza – lo stesso cardinale,
insieme agli Este (e sempre su raccomandazione del
Farnese) ,
sarà l'unico ad affidare a Pirro nuove commissioni
quando ormai pare inesorabile la sua disgrazia nella
capitale pontificia, una volta perduto l'incarico
per la fabbrica di San Pietro .
Nel 1573, quando ormai Ligorio si è trasferito
stabilmente a Ferrara, non smette di sperare
ardentemente in un ritorno a Roma, città che sente
di aver lasciato come in esilio, implorando Orsini
di intercedere presso il cardinale Alessandro ;
purtroppo, per quanto abbia «forse più desiderio di
chiunque altro di vedere Messer Ligorio tornare a
Roma», questi sarà costretto a declinare una
richiesta che giunge a lui tardiva :
per quanto concerne la prosecuzione dei lavori alla
basilica di San Pietro, il cardinale ha già avanzato
ben due raccomandazioni per un altro architetto,
mentre il cantiere di Caprarola è giunto a un punto
tale da non richiedere ulteriori maestranze.
2.
La formazione e l'approccio all'Antico
Le
formazioni di Orsini e Ligorio differiscono
notevolmente fra loro, e ciò influenza in buona parte
i rispettivi rapporti con l'Antico.
L'eruditissimo
Gentile
Delfini avvia personalmente Fulvio agli studi
storico-letterari; sin dalla giovinezza, ha il
privilegio di interfacciarsi con umanisti di
prim'ordine come Angelo Colocci (i cui Horti
Colotiani
costituiscono, a quell'altezza cronologica, uno dei
luoghi principali per l'incontro tra studiosi). In
riferimento al periodo di formazione, lo stesso
Orsini si definisce anzitutto come un appassionato
bibliofilo, versato soprattutto nelle lettere
greche, «di cui ha conoscenza diretta e una
padronanza inusuale per la Roma del tempo» (CELLINI 2010); così si
legge infatti nella lettera scritta a Baccio Valori
il 4 luglio del 1587: «Spetialmente ho hauto amori
alli libri, delli quali posso dire haver conseguito
quello che da molti curiosi et in molto tempo era
stato ragunato [...] Non tanto nelle cose latine
quanto nelle greche ancora, havendo io
segnalatissimi libri scritti anticamente et
modernamente di mano di essi autori, come di
Bessarione, di Gaza, dell'uno et l'altro Lascari, et
de' latini et volgari principalissimi [...] Nelle
[cose] greche ho hauto maestri della natione istessa
et de' primi». La consultazione della biblioteca e
delle collezioni d'antichità dei Farnese, a partire
dagli anni Cinquanta, faranno il resto: la
possibilità di studiare da vicino e con grande
accuratezza una delle raccolte archeologiche più
notevoli dell'Urbe, il confronto con gli insigni
antiquari che frequentano il palazzo di Campo dei
Fiori nutrono sempre più le trasversali competenze
di Orsini. Nell'attenta ricerca di manufatti antichi
autentici da conquistare per sé e i Farnese, nonché
nella stesura delle opere a stampa, Fulvio si
dimostrerà un uomo nel quale «è impossibile scindere
lo studioso dal collezionista» (CELLINI 2004).
Ad
un
tempo ammirato e vittima di velenose insinuazioni,
Pirro non vanta, a differenza di Fulvio,
l'istruzione tipica dell'umanista rinascimentale, a
partire dal mancato studio del greco e del latino:
più che teorico-letteraria, la sua formazione è
principalmente orientata a renderlo un buon pittore
e disegnatore, e sono soprattutto le opportunità che
solo Roma può offrirgli a forgiare la sua
eccezionale competenza antiquaria, dallo studio
diretto delle rovine a prestigiosi incarichi e
relazioni. Consapevole dei pregiudizi della
committenza contemporanea, è ciononostante deciso a
superare Vitruvio e la stessa lezione dell'Antico,
insofferente alla sterile pedanteria di qualsiasi
regola: è per giungere a tale obiettivo che mette in
atto i brillanti artifici che gli costeranno
l'ingiusta fama di falsario; come felicemente
sottolineato dal Pinci ,
per Ligorio «immaginare è più importante che
conoscere»: la disinvoltura con cui arricchisce il
lessico architettonico antico non è capricciosa
licenza, ma necessità creativa.
3.
Le opere a stampa
La
differenza
sostanziale tra l'approccio di Ligorio e il metodo
orsiniano è quanto mai evidente se si analizzano le
opere a stampa del bibliotecario di casa Farnese.
Fulvio, contrariamente a Pirro,
è un filologo rigoroso, che separa chiaramente eventuali integrazioni moderne dalle fonti antiche, riproducendone fedelmente anche le lacune per non comprometterne la comprensione e nuovi
commenti critici (si pensi, per fare solo qualche
esempio, a opere come il Virgilius e
i Carmina,
o alla fortunatissima riedizione del Festus).
L'assoluto rifiuto di contraffazioni, l’ambizione di integrare e rettificare la letteratura emergono già nelle Imagines et elogia virorum illustrium del 1570, e si confermano particolarmente nel Familiae Romanae quae reperiuntur in antiquis numismatibus del 1577, opera nodale per la numismatica moderna (Cfr. CELLINI 2004).
La
distanza
tra i due antiquari si misura dunque anche nel
constatare quanto claudicante appare il modus
operandi
dell'architetto
napoletano
nel redigere il suo trattato sulle Antichità
di
Roma,
se rapportato al rigore metodologico di Orsini. La
natura onnivora e poco organizzata degli interessi
letterari di Ligorio, coniugata all'inconsapevolezza
della portata teologica o dottrinaria delle fonti
consultate, sfocia in una summa
magmatica e farraginosa di difficile comprensione
per i filologi moderni e di dubbia attendibilità già
per molti antiquari suoi contemporanei, consci della
scarsa padronanza di greco e latino dell'autore .
4.
Le collezioni
Tanto
Orsini quanto Ligorio creano negli anni romani una
propria collezione, mossi più da specifiche necessità
di studio che da un desiderio di affermazione e
prestigio. Tuttavia, la composizione e l'utilizzo
delle due raccolte differiscono in diversi punti, sui
quali è importante soffermarsi.
La
collezione di Fulvio Orsini
Il
testamento
di Fulvio Orsini, depositato presso il notaio
Quintiliano Gargari, fa riferimento a un inventario
scritto personalmente dallo studioso, che enumera e
descrive minuziosamente tutti i pezzi della propria
collezione, annotandone perfino la persona da cui ha
comprato ogni singola opera, nonché il prezzo pagato
per la stessa (se donata, ne riporta una stima
economica e il nome del donatore). Se l'originale di
tale documento non è stato ancora rintracciato,
Pierre de Nolhac ne rinvenne una copia contemporanea
alla Biblioteca Ambrosiana di Milano ,
tra i manoscritti di Giovanni Vincenzo Pinelli,
amico intimo di Orsini che assai probabilmente
ricevette, presso la propria dimora padovana, una
copia dell'inventario dal suo autore: l'affidabilità
dell'esemplare è confermata non solo dalle tavole
preliminari che forniscono i totali, pagina per
pagina, dei prezzi indicati per ciascun oggetto, ma
anche dal costante utilizzo che ne fece il Pinelli
nei propri studi. L'inventario della collezione
Orsini, di cui risulta chiara l'importanza anche
solo osservandone il numero di componenti, appare
suddiviso in sette diversi capitoli (più ulteriori
ripartizioni per le medaglie): pietre incise (oltre
400 pezzi); tavole e disegni (circa 113); iscrizioni
(più di 150); marmi (fino a 58 busti e rilievi);
medaglie d'oro (70), d'argento (580 nell'inventario,
ma Fulvio ne possedeva oltre 1900) e di bronzo (più
di 500) (Ibidem).
Il
culto
degli uomini illustri (antichi e moderni, di cui si
procura anche libri e manoscritti) guida
l'abbondante maggioranza degli acquisti
dell'erudito, che colleziona di preferenza oggetti
che offrono un interesse iconografico :
il desiderio di conoscere l'aspetto fisico di poeti
e filosofi era avvertito profondamente nel mondo
romano, tant'è vero che i loro ritratti ornavano le
biblioteche pubbliche e private; nel XVI secolo si
ritrovano casi di biblioteche decorate non da
soggetti religiosi (come d'uso a quell'altezza
cronologica) ma da filosofi antichi: fra esse, vi
sono quelle del cardinale Pio da Carpi, di Alfonso
d'Este, di Alessandro de' Grandi e dello stesso
Orsini. Nella sua "libraria superiore" sistema la
collezione epigrafica, comprendente perlopiù
iscrizioni greche (solo in misura minore quelle
coeve e latine); nella "libreria grande" colloca
invece, entro diciotto scansie, sette "tavole",
venti piccoli busti antichi e centoquaranta
iscrizioni lapidee; le pareti sono coperte fino a
metà altezza da scaffali in legno, mentre nella
parte rimanente sono accostati quadri e iscrizioni;
in ogni scansia è posto, accanto alle sue opere, il
busto-ritratto dello scrittore classico che si
riteneva rappresentato .
Un
primo,
parziale tentativo di studio sistematico
dell'inventario della collezione Orsini è stato
compiuto da Michel Hochmann ,
che sottolinea anzitutto l'ingente numero di
ritratti presenti tra le pitture: tali opere
raffigurano soprattutto figure vicine al
collezionista, dai Farnese (si veda il ritratto di
Paolo III del Tiziano e quelli dei cardinali
Alessandro e Ranuccio) a Gentile Delfini, da Pietro
Bembo (di cui riesce a conquistare alcuni pezzi
della prestigiosa collezione) e Antonio Agustìn al
cardinale Sirleto; fra i ritratti di uomini e donne
illustri si annoverano uno di Laura e due rarissimi
di Giulia Gonzaga, più un insieme rimarchevole di
ritratti di papa Clemente VII (perlopiù realizzati
nella bottega di Sebastiano del Piombo). Non mancano
effigi di artisti, come avviene spesso nelle
collezioni cinquecentesche (si ricordino, fra tutte,
quelle dei veneziani Gabriel e Andrea Vendramin, o
ancora quella di Giacomo Contarini). Tra le pitture,
Fulvio possiede anche un certo numero di copie,
molte commissionate da lui stesso (è il caso dei
dipinti richiesti a Daniele da Volterra): tra esse,
curiosa è una serie di quadri dedicati a dettagli
della Madonna
di
Loreto
di Raffaello e della Flagellazione
di Sebastiano del Piombo.
Segue,
nel
contributo citato di Hochmann, un rapido esame della
nutrita raccolta di esemplari grafici ,
che si colloca in un momento alquanto precoce
dell'attenzione al disegno e al suo valore
documentario nelle ricerche antiquarie; solo una
maggioranza di essi è illustrata nell'inventario
conservato a Napoli e non sempre attribuita
correttamente dal collezionista. L'umanista
conferisce a disegni e dipinti pari dignità, tant'è
vero che li espone ben in vista tra “stanze”,
camerini, studiolo, “guardarobba” (e non, come d'uso
all'epoca, in appositi album), sistemati in cornici
di noce od ebano (solo raramente di colore bianco) e
talora incollati su una tavola di legno o su una
tela .
Nella raccolta spiccano le copie da Michelangelo,
quasi certamente conquistate grazie all'amicizia con
Giulio Clovio; notevole è la ricca serie di disegni
eseguiti da Raffaello Sanzio e allievi; non mancano
esemplari degli artisti cari alla famiglia Farnese
(Tiziano, i già citati Buonarroti e Clovio, Jacopino
del Conte, Daniele da Volterra) e di quelli
rappresentativi del gusto proprio dei cardinali
Odoardo e Alessandro (fra cui Parmigianino, Bertoja,
Correggio, Annibale Carracci, Lorenzo Sabatini,
Orazio Samacchini, Federico Zuccari, Perin del Vaga,
Sebastiano del Piombo). Un interessantissimo disegno
della collezione Orsini, identificato tra quelli
pervenuti a Napoli, è il tanto prezioso quanto
fragile Fanciullo
morso
dal gambero
di Sofonisba Anguissola, ottenuto da "S.r Bernard.o
pittore" (forse proprio Bernardino Campi di Cremona,
maestro della pittrice). A Capodimonte si trova la
punta di diamante della raccolta grafica di Fulvio,
ossia i cartoni originali di Michelangelo: un
frammento del Gruppo
di
armigeri
preparatorio per il corrispondente particolare
dell'affresco sulla parete destra della Cappella
Paolina, un altro ancora raffigurante Venere
con
Amore
(nella composizione ideata per Bartolomeo Bettini);
di inestimabile valore è anche il cartone di
Raffaello raffigurante Mosé
davanti
al roveto ardente,
preparatorio per uno degli affreschi sul soffitto
della stanza di Eliodoro in Vaticano, e ancora uno
di mano dell'allievo Giovan Francesco Penni
effigiante la Madonna
del
Divino Amore.
Al British Museum si conserva invece un altro
importante cartone della collezione orsiniana,
attribuito dall'umanista al Buonarroti (ma che la
critica ascrive al Condivi), raffigurante La
Madonna,
san Giuliano e altre figure,
purtroppo molto danneggiato. Da non trascurare,
infine, è l'importanza di libri di disegni come il
Codice Vaticano Latino 3439, inizialmente di
proprietà di Onofrio Panvinio e solo in un secondo
momento passato nelle mani di Fulvio: gli
straordinari rilievi in esso presenti, attribuibili
almeno a due diverse mani, furono raccolti e
organizzati per soggetto dal suo primo proprietario,
che forse li avrebbe utilizzati come materiale per
le sue Antiquitates
Romanae.
Il contenuto del codice è assai variegato: studi
dedicati a monumenti egizi, ludi antichi, triclini,
divinità, abbigliamento, cose militari, ma di
particolare interesse è la ricca sezione riservata
alla topografia di Roma, testimonianza grafica
preziosissima per la ricostruzione di monumenti
andati perduti (come il Tempio della Fortuna
Primigenia a Palestrina) ,
parzialmente dispersi (è il caso della Forma
Urbis
e dei suoi frammenti)
o ancora rinvenuti ma che necessitano di ulteriori
indagini per la ricostruzione del loro assetto
originario (per esempio l'Ara
pacis
Augustae)
.
Non può sfuggire ad un lettore attento come tanto la
scelta dei soggetti quanto la precisa organizzazione
dei fogli per tematica rispondano agli interessi e
alle direttive dell'Accademia di Claudio Tolomei,
che dovette influenzare a più livelli gli studi
orsiniani.
Per
quanto
concerne la raccolta di gemme Orsini, una delle più
note e studiate del XVI secolo ,
il suo nucleo principale è oggi conservato nel Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, mentre un
ulteriore, pregevole gruppo di esemplari si trova
nella sezione glittica dell'Ermitage ;
incrociando i dati forniti dall'inventario
dell'umanista e dal confronto dei calchi della
collezione Farnese, si vanno ad unire ai pezzi già
rintracciati dal Nolhac dozzine di altre gemme .
Nonostante la buona fede del collezionista, questi
incorre non di rado in attribuzioni dubbie: per
esempio, nel caso di personaggi del mito,
l'identificazione si fonda pressoché esclusivamente
sulle fonti letterarie e appare, in alcuni casi,
arbitraria; per quanto concerne invece personaggi
storici, alcuni fraintendimenti poggiano su una
"sopravvalutazione o mancata comprensione di aspetti
antiquari" .
Nell'inventario
di
Orsini non manca una collezione di marmi, nella
quale le rappresentazioni a bassorilievo sono ben
distinte da quelle a tutto tondo; tra i rilievi si
ritrovano alcuni presunti ritratti di uomini
illustri dell'antichità greca e romana ,
mentre fra gli esemplari a tutto tondo si annoverano
genericamente delle “figure”, senza indicarne le
dimensioni ;
le erme sono definite "teste...con petto di
termine", altri pezzi sono indicati
approssimativamente come "teste"; si citano anche
due tavole fittili decorate e un piccolo nucleo di
antichità egizie. Dalle edizioni successive
dell'inventario emerge che la raccolta scultorea di
Orsini crebbe ulteriormente grazie all'acquisizione
di molti altri ritratti di uomini illustri, alcuni
provenienti dalle collezioni Cesi e Garimberti.
Per
quanto
riguarda infine la vastissima collezione numismatica
di Fulvio, anche in questo caso, particolare
attenzione è stata riservata agli esemplari che
documentano ritratti di filosofi o celebri
personalità del mondo antico. Risulta purtroppo
difficile distinguere, dalle descrizioni
inventariali e dalle riproduzioni nelle Imagines
et
elogia virorum illustrium,
i pezzi appartenuti al biblofilo poi confluiti nella
raccolta Farnese e oggi al Museo Archeologico di
Napoli; alcuni passarono già nel XVII secolo nei
tesori di Francesco Gottifredi, antiquario di
Cristina di Svezia, per giungere quindi al
Medagliere Vaticano e subire infine il trasferimento
a Parigi per mano delle milizie francesi (CELLINI 2004).
Osservando
quindi le raccolte di Orsini, ciò che emerge è il
profilo di un umanista deciso a superare la cesura tra
le varie discipline per giungere a «una concezione
unitaria di scienza dell'Antichità» (CELLINI 2004); l'intero
patrimonio conquistato con fatica nel corso della vita
è costantemente oggetto di pubblicazioni scientifiche
non solo da parte di Fulvio stesso, ma anche dalla sua
cerchia di amici – Pirro Ligorio compreso.
La
collezione di Pirro Ligorio
Molto
più
complesso è ricostruire la collezione
dell'architetto napoletano. Per quanto dovesse
essere più circoscritta di quella orsiniana,
ciononostante Fulvio in
primis
è tra gli antiquari più consapevoli del suo valore e
della prima stesura del manoscritto sulle Antichità
di
Roma,
tanto da insistere sull'urgenza della compravendita
per i Farnese prima che Ligorio lasciasse per sempre
la capitale pontificia .
Le trattative dovevano essere già aperte nel 1566, e
il 17 gennaio 1567 Orsini può annunciare finalmente
all'amico Agustìn che «il cardinale ha comprato i
libri e le monete di Pirro Ligorio» .
Un inventario del 1588 informa che sia i manoscritti
sia le medaglie acquistate dall'artista saranno più
tardi sistemati a palazzo Farnese in un grande e
prezioso mobiletto di legno, lo “studiolo”
commissionato al francese Flaminio Boulanger nel
1578.
Similmente
a
Fulvio, Pirro costruisce la sua raccolta numismatica
in funzione dei suoi interessi di ricerca, ma a
differenza del bibliotecario di casa Farnese non si
limita a consultare esemplari autentici, provenienti
anche da altre collezioni contemporanee (quella
degli Este, dei Farnese e naturalmente quella
orsiniana), ma anzi di frequente si avvale anche
delle imitazioni all'antica forgiate da esperti
medaglisti del Rinascimento come Giovanni da Cavino,
Valerio Belli, Alessandro Cesati, Giangiacomo
Bonzagna detto il Parmense. L'architetto, dotato di
una certa padronanza della glittica, non manca di
interpretare con spirito critico le fonti antiche e
moderne a sua disposizione, o ancora di integrare
frammenti di iscrizioni in maniera differente dai
contemporanei .
A
mancare del tutto, all'interno delle raccolte
ligoriane, sono gli esemplari di grafica. Per quanto
riguarda il rapporto di Pirro con il disegno, è
d'altra parte egli stesso a spiegare il valore a lui
sempre conferito, «non per farme nell'arte della
pittura profettevole, ma per possere esprimere le
cose antiche, o' d'edificij in prospettiva et
proffilo» :
si tratta dunque più di un esercizio “visivo” e
creativo che non manuale, ai fini della
progettazione architettonica e della profonda
comprensione dei fabbricati antichi. Tale priorità
emerge anche nelle descrizioni che di lui forniscono
le fonti letterarie: non è un caso se, in una
lettera del 10 aprile 1568, un inviato ferrarese
raccomanda l'architetto napoletano anzitutto come
«eccellentissimo nella professione delle medaglie»
(cioè come antiquario) e in secondo luogo come
encomiabile disegnatore .
Notevolissimo è tuttavia, in Ligorio, il rapporto
tra la produzione grafica e le sue conquiste in
ambito cartografico, di cui si tratterà nel
paragrafo seguente.
5.
La cartografia
Sin
dagli
anni della formazione romana, Pirro sviluppa una
consistente padronanza nella topografia, specie
grazie ai frequenti contatti con Antonio da Sangallo
il Giovane .
La
sua
singolare capacità di osservazione e il disegno dei
ruderi antichi sono sempre guidati da uno speciale
interesse topografico, a differenza di quanto spesso
avviene negli architetti contemporanei (si pensi,
solo per nominarne alcuni, a Dosio, ai Sangallo, ai
Peruzzi); ciò risponde all'esigenza, presente già da
inizio secolo, di ricostruire il più efficacemente
possibile l'immagine di Roma antica: dall'impresa di
Raffaello voluta da papa Leone X (arrestata alla
prematura morte dell'artista) alle mappe del Fauno e
di Marliano ,
fino ad arrivare alla carta del Bufalini, Ligorio ha
a sua disposizione dei precedenti punti di
riferimento cui affiancare l'apporto dato dalle
fonti letterarie e dalla numismatica.
Nel
1552
l'architetto napoletano pubblica la sua prima pianta
dell'Urbe, illustrandone i monumenti principali; nel
1561 avrebbe invece visto la luce il più grande
sforzo ricostruttivo mai realizzato sino a quel
momento :
la mappa che l'architetto napoletano dà alle stampe
in quell'anno si discosta dalla rigorosa ricerca del
verismo e dalle città ideali tipiche del
Rinascimento, per dedicarsi piuttosto a una
prodigiosa invenzione architettonica, supportata da
tutta la sua erudizione e in buona parte convalidata
dalle moderne indagini archeologiche; la tecnica
assonometrico-prospettica a volo d'uccello consente
di godervi appieno di tutti gli edifici, reali e
immaginati, che Ligorio ha delineato nel volto da
lui concepito di Roma antica (Cfr. PINCI 1998, p.42).
Tra
il
1552 e il 1558 Pirro pubblica anche diverse
incisioni effigianti ricostruzioni di monumenti
antichi, frutto delle ricognizioni archeologiche
nell'Urbe dell'ultimo decennio. A tali pubblicazioni
avrebbe dovuto seguire quella dei 40 volumi sulle Antichità
di
Roma
ma, come noto, non sarà mai possibile per l'artista
dare integralmente alle stampe la sua opera
monumentale, che cura per tutta la vita con immensa
curiosità e «gravissima fatica di assiduità e
vigilanza» ;
ciononostante, e a dispetto della cattiva fortuna
critica di cui ha sofferto l'architetto,
notevolissimo sarà l'influsso dei suoi studi
cartografici nei secoli successivi.
Risalendo
a
inizio anni Cinquanta l'ingresso di Orsini alla
corte farnesiana, e dunque non avendo ancora avuto
modo di consolidare la sua fama di conoscitore ed
erudito, è automaticamente da escludere un supporto
alla stesura almeno della prima mappa di Roma del
Ligorio, contrariamente a quanto accaduto per la
pianta di Étienne Du Perac del 1574 ;
l'interesse che il bibliofilo nutriva anche per
l'ambito della cartografia è ulteriormente
dimostrato dalla già citata sezione del Codex
Ursinianus
dedicata
ai
frammenti della Forma
Urbis
severiana, testimonianza grafica del monumento più
unica che rara nel panorama cinquecentesco .
6.
L'Accademia dello studio dell'architettura
È
necessario approfondire infine l'importanza che per
i due antiquari ebbe l'Accademia dello studio
dell'architettura fondata da Claudio Tolomei
a Roma nel 1542 circa: ancora troppo spesso confusa
con l'Accademia della Virtù istituita dallo stesso
umanista senese, essa ha avuto un ruolo privilegiato
nello sviluppo delle indagini ligoriane e nella
formulazione dell'innovativo metodo di approccio
all'Antico di Orsini.
Per
quanto
ancora non indagate approfonditamente, le ambizioni
del sodalizio guidato da Tolomei ebbero una
risonanza internazionale. Esso non era
un'istituzione ufficiale, ma piuttosto un'informale
rete di membri provenienti da più parti d'Europa .
Come
già
segnalato da Coffin ,
non può trattarsi di un caso se negli anni '40 del
XVI secolo, proprio quando nasce il sodalizio di
Tolomei, Ligorio sta raccogliendo materiale per la
sua imponente enciclopedia sul patrimonio antico;
d'altra parte, almeno due suoi amici fanno parte del
circolo erudito (Francesco Maria Molza e Guillaume
Philandrier). Notevole è anche il fatto che, se
molti membri dell'accademia di Tolomei non portano a
compimento buona parte del loro programma, Ligorio
redige almeno 12 volumi su soggetti che, come si è
visto, erano oggetto di studio da parte
dell'accademia fondata dall'umanista senese: si
tratta di 10 manoscritti a Napoli, uno a Parigi
(BNP, MS it. 1129), e un altro a Oxford (Bodleian
Library, MS Canonici Ital. 138). Inoltre, se è
evidente che Pirro disegnatore non condivide il
particolare metodo di rilevamento dei monumenti
antichi adottato dalla rete di Tolomei (mirato a una
restituzione dei ruderi scevra di interpretazioni o
integrazioni), va pure sottolineato che i volumi
napoletani si dimostrano molto influenzati dalle
ambizioni dell'Accademia, presentandosi infatti come
una sorta di «embrione di enciclopedia del mondo
antico», concernente sia i temi archeologici
tradizionali (numismatica, epigrafia) sia
«trattazioni più generali sulla mitologia, sulla
geografia, sugli usi e costumi (dall'abbigliamento
fino alle cerimonie funebri), sulla metrologia,
sugli oggetti d'uso, sulle navi» .
Un
commento
critico, filologico ed antiquario a Vitruvio, nonché
una raccolta enciclopedica sulla vita
nell'antichità, sono obiettivi condivisi anche dalla
Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, di cui
Ligorio diviene membro nel dicembre del 1548. Sempre
negli anni '40 del secolo, l'artista prende parte
anche all'Accademia degli Sdegnati, egualmente
rilevante per l'impostazione di alcune parti dei
libri sulle Antichità
di
Roma,
specialmente quelle basate sulla lettura dei testi
antichi; fondata da Girolamo Ruscelli e Tomaso Spica
(affiancati probabilmente da Claudio Tolomei), ciò
che accomuna i suoi membri è l'amore per tutto
quanto abbia a che fare con il mondo antico – ed è
proprio la feroce indignazione per la crescente
spoliazione e distruzione di fabbricati antichi
durante il pontificato di Paolo III a dare nome
all'istituzione. Vagenheim ha dimostrato che la
partecipazione di Pirro all'Accademia degli Sdegnati
fu nodale specialmente per la conoscenza delle fonti
greche impiegate per creare nuove interpretazioni
iconografiche delle anticaglie rinvenute da scavi o
create ad
hoc (LOFFREDO, VAGENHEIM 2019, p. 29).
È
necessario però sottolineare, in conclusione, che
eccezion fatta per la Congregazione dei Virtuosi al
Pantheon, per i circoli eruditi dell'Agustìn e del
Cardinale Farnese, il concetto che Ligorio aveva del
rapporto fra intellettuali era quello di una società
esclusiva, quasi di una setta segreta; negli anni
ferraresi, Pirro Ligorio aveva istituito anche una
sorta di “accademia per corrispondenza” con Fulvio
Orsini, definita da Madonna
dei "Virtuosi dell'Antiquaria" o dei "cavalieri
della Santa Antichità" .
LEGENDA
AST=
Archivio di Stato di Torino
BAV=
Biblioteca Apostolica Vaticana
BNP=
Biblioteca Nazionale di Parigi
NOTE
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