Hypnerotomachia Poliphili, xilografie n. 13 e 14, le statue «nigerrime»
Figura 1 - Statua del re
Figura 2 - Statua della regina
Parafrasi
Le
extremitate
dil quale in forma hemicycla formate. Nella
posteriora parte hemicycla dil recensito
basamento, trovai uno scalinato ascenso di sette
gradi ex scalpato scansile sopra la plana
superficie. Per la quale avido di novitate io
montai. Et verso al riservato quadrangulo,
subiecto al perpendicolo dil Ephippio, vidi una
porticula excavata. Cosa di magna admiratione, in
tanta pugnacitate di materia, et tanto habile
intervacuo se praestava, che per alcuni stipiti di
metallo al modo scalario infixi, per gli quali
commodo ascenso, se concedeva ad intrare nella
Elephantina machina exviscerata.
Per
la
quale cosa di curiosa aviditate grandemente
incitato, introgresso montai. Ove cavo tutto et
vacuo il maximo et prodigioso monstro, et
cavernato il trovai. Excepto, che il medesimo sodo
era relicto ancora intestino, quale extimo stava
subiecto. Et havea tanta itione, et verso il capo,
et verso la parte postrema, quanto che l'homo
naturale facea transito. Et quivi nel convexo del
dorso suspensa, cum laquei erei ardea una lampada
inextinguibile. Cum illuminatione carceraria. Per
la quale in questa posterga parte, mirai uno
antiquario sepulchro concesso alla propria petra,
cum una perfecta imagine virile et nuda, quanto il
naturale commune, incoronata, dil Saxo, nigerrima.
Cum
gli
denti, ochii, et ungue di lucente argento intecti.
Sopra stante al sepulchrale coperto inarcuato, et
di squammea operatura investito, et di altri
exquisiti liniamenti. Monstrava cum uno inaurato
sceptro di ramo extenso il bracio, la parte
anteriore. Et nella sinistra teniva uno carinato
scuto, exacta la forma dal osso capitale equino,
inscripto di tri idiomi, cumpicole notule.
Hebraeo, Attico, et Latino, di tale sententia.
Per
la
quale inusitata cosa i' stetti non mediocremente
stupido cum alquanto horrore. Diqué non troppo
differendo converso ad lo ritorno, vidi il
simigliante ardere et lucere un'altra lucerna,
come dinanti è dicto. Et facendo transito sopra lo
hiato dil salire, ivi verso il capo dill'animale.
Et in questo lato ancora una medesima factura di
veterrima sepultura trovai. Et la statua supra
stante di tutto, quale l'altra, se non che era
regina, la quale sublevato il dextrobracio cum
l'indice signava la parte retro le sue spalle, et
cum l'altro teniva una tabella ritinuta cum il
coperto et cum la mano sua indivisa. Nella quale
etiam inscripto era tale epigramma in tri idiomi.
Di
tanta
di relato mirabondo, et degli aenigmati
praelegendoli saepicule, dil tutto io restai
ignaro, et dilla interpretatione et sophismo
significato molto ambiguo. Non era auso perciò
alcuna cosa pertentare. Ma quasi incusso da timore
in questo loco tetro et illumino, quantunque gli
fusse il lucernale lume, niente di manco il
solicito desiderio di contemplare la triumphante
porta stimulante, più legitima causa fue che quivi
non dimorasse, che altro. Diqué sencia altro fare,
cum pensiero et proposito per omni modo dapò la
contemplatione di essa porta mirabile, un'altra
fiata quivi ritornare, et più tranquillamente
speculare tale magnificentia de invento dagli
humani ingegni, citissimo all'apertura perveni. Et
descendando uscivi fora dil eviscerato monstro.
Inventione inexcogitabile, et, excesso di faticha,
et temerario auso humano, quale Trepano terebrare
tanta durecia et contumacia di petra, et evacuare
tanta duritudine di materia, overo altre fabrile
machine poteron? Concordemente conveniendo il
cavato introrso cum la forma exteriore. Finalmente
sopra la piacia ritornato, vidi in questo
porphyretico basamento in circuito inscalpto
dignissimamente tali hieraglyphi. |
Le
estremità
del quale erano delineate con una linea
semicircolare. Nella parte posteriore curvilinea del
descritto basamento, trovai una scalinata ascendente
di sette gradini che salivano sulla superficie
piana. Per la quale, avido di novità, salii. E
seguendo il verso del quadrato nascosto, sotto la
perpendicolare della sella, vidi una porticina
scavata. Cosa ammirevole, in tanta tenace materia, e
tanto comodo e vuoto si presentava, che tramite
alcuni pali di metallo scalabili, per i quali una
comoda ascesa permetteva di entrare nella Macchina
Elefantina eviscerata.
Perciò,
grandemente
mosso da una curiosa avidità, montai all'interno.
Trovai l'enorme e prodigioso mostro tutto scavato
e vuoto e cavo. Ad eccezione di ciò che stava
fuori, all'interno, quello stesso corpo era in
abbandono. Era molto spazioso, e verso la testa, e
verso la parte posteriore, abbastanza che l'uomo
naturalmente poteva transitarvi. E qui, nella
convessità del dorso sospesa con lacci al
soffitto, ardeva una lampada inestinguibile. Con
un'illuminazione fioca. Grazie alla quale, in
questa parte posteriore, notai un antico sepolcro
scolpito nella stessa pietra del Monolite, con una
perfetta immagine nerissima virile, incoronata e
nuda, a grandezza naturale.
Con
i
denti, gli occhi e le unghie di lucente
argento incastonati. Posto sopra al coperchio
arcuato del sepolcro, e ricoperto da una
decorazione a squame, e di altri squisiti
tratti. Mostrava con uno scettro di legno
dorato che gli estendeva il braccio, la parte
anteriore. E nella sinistra teneva uno scudo
convesso, che aveva la forma esatta dell'osso
frontale del cavallo, iscritto in tre idiomi,
con piccoli tratti, Ebreo, Greco e Latino, di
tale sentenza.
Per
tale
cosa inconsueta, io stetti grandemente istupidito
con un certo terrore. Quindi, non molto
diversamente girato intorno, vidi l'ardere e il
rilucere simile di un'altra lanterna, come è stato
già detto. E aggirando l'apertura della gradinata
d'ingresso, lì verso la testa dell'animale. E in
questo lato trovai ancora una medesima opera di
una antichissima sepoltura. E la statua
soprastante a tutto, come l'altra, se non che era
una regina, che teneva sollevato il braccio destro
con l'indice che segnava la parte dietro alle sue
spalle, e con l'altro teneva una tabella infissa
sul il coperchio e con la sua mano attaccata.
Nella quale c'era anche scritto tale epigramma in
tre idiomi.
Di
tanta novità degna di un'esposizione colma di
stupore, e degli enigmi da leggere e spiegando con
attenzione, di tutto ciò restai ignaro, e della
interpretazione e del significato sofistico molto
ambiguo. Non era perciò prudente proporre nessuna
ipotesi. Ma quasi colto da timore in questo luogo
sinistro e poco illuminato, nonostante ci fosse la
luce della lanterna, niente come il sollecito
desiderio di contemplare la ammirevole porta
trionfante, la causa più legittima fu che lì non
si trovasse altro. Quindi senza fare altro, con
pensiero e intento per ogni modo dopo la
contemplazione di quella mirabile porta, ritornare
qui un'altra volta, e più tranquillamente ammirare
tale magnificenza dell'invenzione degli ingegni
umani, svelto arrivai all'apertura. E discendendo
uscivo fuori dal mostro cavo. Quali Trapano ovvero
quali altre macchine operose poterono perforare
tanta durezza e resistenza, per togliere tanta
solidità della materia, invenzione impensabile, e
senza giudizio, eccesso di fatica, e temerario
ardimento umano? Concordemente armonioso con la
forma esteriore l'interno scavato. Finalmente
ritornato alla piazza, vidi su questo basamento di
porfido entro un cerchio magistralmente scolpito
questi geroglifici. |
Trama
Prima
di
dare spazio alla parafrasi della parte in esame,
si vuol ripercorrere la genesi editoriale
dell'Hypnerotomachia Poliphili e la sua trama, con
un approfondimento degli antefatti più prossimi.
Il
testo
è diviso in trentotto capitoli e le iniziali
di ognuno di essi formano l'acronimo
dell'autore che, nonostante le innumerevoli
indagini e ipotesi, è rimasto anonimo .
Il
libro,
uscito dalla stamperia di Aldo Manuzio, nel
1499, narra la vicenda onirico-amorosa di
Polifilo che, durante il brevissimo arco di
tempo dell'aurora, la fase culminante
dell'alba, si addormenta sul suo letto e sogna
di una strana battaglia d'amore .
Il
sognatore
riferisce di passeggiare in una pianura vasta e
amena, per poi avventurarsi, sprovvedutamente, in
una «opaca selva». Spaventato dall'oscurità del
bosco, prega e, una volta uscitone, cerca di
ristorarsi ad una fonte quando ode e segue un
canto soave.
Spossato
dal
lungo cammino, Polifilo vacilla e si ripara sotto
l'ombra di una quercia, sotto alla quale riflette
sulla mutevolezza dei risvolti fortunosi. In
questo stato d'animo, cercando di refrigerarsi con
foglie medicamentose, lì dipresso, si riaddormenta
e ha una seconda visione onirica.
Terminato
il
prologo, comincia la vera narrazione fatta di
descrizioni di edifici, di templi e di
monumenti magnifici delineati da una puntuale
terminologia architettonica; di paesaggi
composti da giardini botanici illustrati con
estrema competenza; di motti, sentenze e
scritti geroglifici e poliglotti; di
iscrizioni ed epitaffi. Molteplici sono i
paragoni con il mondo della mitologia per
esprimere quanto la magnificenza e le
produzioni dell'ingegno umano che le ha create
non hanno eguali; del pantheon classico
partecipano, con il dispiegamento di trionfi,
le divinità della prosperità, dell'amore e
della guerra. Polifilo incontra la regina
Euterillyde
e le sue ninfe, abitante in un impareggiabile
palazzo, per grandiosità e bellezza, che lo
affida a Polia, colei che, più di tutto, il
protagonista desidera e alla quale pensava
ardentemente, mentre si addormenta nel proprio
letto, in preda all'inquietudine, nel chiarore
dell'aurora. La «pugna d'amore in sogno» ,
termina, sul far del giorno, con il lento
dissolversi dell'amoroso incontro con l'amata,
con estremo rammarico del protagonista .
Si
illustra,
a questo punto, l'antefatto collocato al capitolo
IV e introdotto dalla lettera I che compone il
singolare acronimo, nel quale si nasconde
l'autore.
Antefatto
Oltrepassata
la
Magna Porta ,
Polifilo accede in una platea dove, condotto
dalla curiosità, si imbatte in tre opere
gigantesche: il prodigioso «Caballo &
aligero Desultore» o «Equus Infoelicitatis» ,
l'Elefante Obeliscoforo
e un «Vastissimo & mirando Colosso» .
Dopo essersi dedicato al Cavallo e al Colosso,
Polifilo torna sui propri passi, per dedicarsi
al «nigricante» animale, oggetto nel quale si
svolge l'episodio qui indagato.
Prima
di
introdursi all'interno del pachiderma, ne
ammira scrupolosamente l'aspetto, la ricchezza
degli ornamenti, la possanza e la solidità che
gli permette di sopportare il peso
dell'obelisco
scolpito nella «petra lacedœmonia verdegiante»
che gli grava sul dorso. Polifilo ancora non
sa che il luogo nel quale si sta addentrando,
altro non è che un monumento funebre di rara
bellezza e magnificenza, di memoria romana e
che, come i suoi antesignani, è collocato
sulla strada maestra, proprio per attirare e
impressionare i viandanti. Questo avvenimento
scopre il sincretismo polifilesco che mescola
l'opulenza della cultura pagana con la
sobrietà della camera sepolcrale di natura
protocristiana parca e poco illuminata, tipica
delle catacombe.
Lungo
la
curva posteriore dello stilobate, basamento
sul quale è collocato l'Elefante, Polifilo
scorge un varco ,
nel quale sono stati scavati sette
gradini ascendenti che conducono «sopra la
plana superficie».
Fig. 3 - Ricostruzione grafica dell'ingresso nel basamento
Giunto
al
piano, Polifilo si avvede di un accesso ricavato
sotto all'addome del mostro e raggiungibile,
tramite una scala a pioli, che forma un corpo
unico con tutta la struttura.
L'Elefante
obeliscoforo
o Catabasi di Polifilo. Descrizione e
riflessioni iconografiche
Varcata
la
soglia della
porziuncola,
Polifilo si imbatte in uno strano
“arredamento”, complesso
e
misterioso: un sarcofago sovrastato da una
figura maschile nuda, scolpita nella pietra
lucente e impreziosita con particolari
d'argento. Nella semioscurità, tali
particolari, capaci di animare la statua, che
pare libera di muoversi nello spazio,
sollecitano la suscettibilità dell'eroe. Nel
grande ornamento acroteriale, sorreggente uno
scudo carenato inscritto, Polifilo vi
riconosce un re, per la corona che reca sulla
testa e lo scettro che tende con la mano
destra. Dopo essersi fermato, per dedicarsi ad
un'accurata descrizione e aver letto quanto
scritto sullo scudo cui il re si appoggia,
ripassa davanti all'ingresso diretto verso la
parte anteriore della grande camera. Polifilo,
nota una seconda composizione simile alla
prima, ma sormontata da una donna, nuda
anch'essa e con la corona in testa, punta
l'indice della mano destra alle sue spalle
(sic!)
e con la sinistra si sorregge ad uno scudo
carenato inscritto.
L'ambiente,
in
cui si è addentrato Polifilo, appartiene alla
serie di luoghi quali gli Inferi, l'Ade,
l'Olam degli Ebrei
o, comunque, a tutti quelli di dimensione
ctonia, nella quale altri, prima di lui, sono
scesi, in quanto tappa obbligata lungo un
viaggio di formazione che conduce alla
rinascita spirituale e morale, e
caratterizzato da intenti didattico-formativi.
Da
non
dimenticare che la discesa agli Inferi è
relativamente frequente, nella letteratura
indoeuropea, anche se con propositi diversi.
Tra i personaggi, piace ricordare il dio
Enkidu e la dea Inanna ,
appartenenti alla mitologia assiro-babilonese;
Dioniso che, ne Le
Rane
di Aristofane ,
chiede quale strada conduca agli Inferi;
Ercole che, nella dodicesima e più difficile
fatica, scende negli Inferi per catturare il
cane tricefalo Cerbero; lo stesso Gesù, che
non è stato esente dalla catabasi ,
anziché elevare se stesso, vi scende per la
salvazione dell'umanità .
Nell'Elefante,
si
compie quella esperienza più comunemente nota
come catabasi
ovvero la discesa che, nel Sogno
di
Polifilo,
precede il tortuoso ed esteso, seppur
temporalmente breve,
articolato processo della anabasi del
protagonista.
La
lanterna
inestinguibile
Tornando
ai
due gruppi scultorei descritti poc'anzi, è
necessario considerare l'atmosfera della loro
collocazione. Posti nella semioscurità del ventre
del pachiderma, pur correlati, come si vedrà più
avanti, sono isolati nel proprio cono di luce che
scaturisce da due lanterne sospese sulla volta
dell'edificio zoomorfo e li fa emergere dalle
tenebre.
La
collocazione
delle due illustrazioni, riprodotte
dall'editore, sulle due facciate della stessa
carta, preclude al lettore la possibilità di
osservarle in un unico colpo d'occhio .
L'impaginazione
qui
proposta, volta a offrire la disposizione spaziale
descritta dall'autore, ha il solo intento di
consentire una osservazione d'insieme e non ha
intenti correttivi.
Polifilo
si
ritrova, dunque, in un ambiente illuminato da due
lampade inestinguibili, sospese sui punti focali
della schiena concava del pachiderma. Nell'antro,
la fioca luce vibrante delle lucerne, conferisce
una sorta di movimento illusorio alle statue, nere
e lucenti, tanto che l'effetto ottiene un grande
impatto emotivo nell'animo smarrito, curioso e
suscettibile alle forti emozioni del protagonista.
Le
zone,
così distinte, si animano di toni vivi,
suggestivi e quasi teatrali ed è proprio
l'illuminazione, parte integrante di ciascuna
composizione, a conferire l'apparente
dinamicità necessaria allo scopo, quasi ci si
trovasse di fronte alle sculture ceree di un
Medardo Rosso ante
litteram.
Una
critica
recente
accosta la sempiterna illuminazione alla lucerna
olybiana.
Codeste fonti, indirette e tarde ,
si riferiscono alla sepoltura del filosofo e
alchimista patavino, Olibio Massimo, al quale
è attribuita la scoperta delle lanterne
perpetue, custodite nella sua sepoltura e
spentesi una volta venute a contatto con
l'aria, a distanza di millecinquecento anni.
Le
due
ampolle, che secondo la leggenda alimentavano
le lampade, erano l'una d'oro e l'altra
d'argento e, proprio in riferimento al
processo alchemico, come confermano i versi
dei due vasi che le contenevano, si
riferiscono alla trasmutazione dei metalli
comuni nei due materiali preziosi .
Le
arche
sepolcrali
Le
due
arche sepolcrali, che fanno da base alle
statue, rimandano ad una precisa tradizione di
rinascita e purificazione ,
come quelle di reimpiego di abito romano e
quelle tardo antiche, prodotte nell'area
ravennate, classense e modenese ,
e non si possono ignorare i collegamenti tra
la zona veneta e quella papale .
Le
arche
sepolcrali, dall'impianto a parallelepipedo,
sono rivestite da una copertura a botte
decorata con motivi a squame: «Sopra
stante
al sepulchrale coperto inarcuato, et di
squammea operatura investito, et di altri
exquisiti liniamenti» .
La decorazione a squame, in base alla figura
retorica della sineddoche
che si vuol proporre per questa illustrazione,
appartiene alla scuola orientale
bizantino-aniconica; usata in sostituzione del
monogramma di Cristo o dell'acronimo ΙΧΘΥΣ ,
ritengo che il ruolo salvifico del pesce, come
narrano i libri di Giona e di Tobia, o il
brano neotestamentario, in cui Gesù si rivolge
a Simone dicendogli «μή φοβού ἀπὸ τοῦ νῦν
ἀνθρώπους ἔσῃ ζωγρῶν» ,
sia adatto anche in questa occasione.
Le
statue
acroteriali
Le
statue,
la cui postura ricorda quella delle statue
greche di età arcaica, con una gamba appena
più avanzata rispetto all'altra, a conferire
dinamicità e illusione di un movimento in
atto, qui è amplificata dai gesti della mano
che sorregge lo scettro o che indica la
propria testa e, ancor di più, ricordano le
statue acroteriali dei templi etruschi, come
quello di Portonaccio
e le decorazioni a tutto tondo della Grecia
del VI sec. a.C., modellate senza limiti nella
scelta del soggetto e nella collocazione.
La
statua
del re
Tra
le
ipotesi, a livello iconografico, riguardo lo
scettro d'oro impugnato dal sovrano, non
descritto da Polifilo se non come estensione
del braccio destro, non è raffigurato né
descritto biforcuto ,
come vorrebbe l'interpretazione moralizzata
dell'esegeta di Virgilio, Servio ,
che compilò, a cavallo tra il IV e il V
secolo, nel suo commento all'Eneide .
Egli definì, a forma di Y, il ramo che Enea
staccò dall'aureo albero da portare in dono
all'infera Proserpina; tale espediente, di
intento moraleggiante, era funzionale, per
forma e numero, al fine di rimarcare la
distinzione netta tra la via del bene e la via
del male.
La
duplice
fonte ,
apollinea e dionisiaca a volte menzionata, più
che altro di riflessione ottocentesca ,
inizia a trovare una terza via. In queste
pagine, Polifilo tenta il superamento dell'aut
aut; la cultura biblico-ebraica e quella
classica convivono e si fondono, tra testo e
immagine.
Nell'Hypnerotomachia
Poliphili,
non c'è mai l'invito ad una scelta che
comporti il dubbio e lo stallo ,
bensì, differentemente dall'eroe virgiliano ,
Polifilo e, con lui, il lettore, dovranno
districarsi, con prudenza ed equilibrio, tra
molteplici quesiti al fine di vestirsi della
Sapienza.
Nell'Hypnerotomachia
Poliphili,
non sembra ravvisarsi una scelta netta,
quanto, piuttosto si evince una preferenza per
la mediazione della terza via, cui conducono
la prudenza e la concordia .
Tale predisposizione comincia a definirsi
quando, giunto alle Tre Porte, Polifilo
varcherà la soglia centrale ,
solo dopo aver provato le altre due;
l'Hypnerotomachia Polyphili riconosce il
diritto al ripensamento e la facoltà di
ritornare sui propri passi e, tramite i molti
aforismi disseminati nell'incunabolo, invita
alla riflessione e ad una scelta di vita
moderata votata alla concordia ;
così «velocitatem sedendo», l'ex
libris
dello stampatore e i trofei portati durante il
trionfo di Cupido
che convergeranno nella Prudenza di Tiziano.
L'episodio
narrato
da Senofonte, riguardo gli anni della
giovinezza di Ercole ,
che lo pone al bivio, presso il quale sceglie
di dedicarsi al beneficio degli altri e contro
le ingiustizie. L'ultimo e più faticoso
episodio delle Dodici fatiche colloca l'eroe
negli Inferi per catturare il cane tricefalo
Cerbero e la presa del ramo d'oro, più volte
preceduto dalle leggende egizia e, ancor
prima, anche se, in questo contesto, non
sembra far parte della bibliografia
dell'autore, da quelle, prima sumerica
e, poi, assiro-babilonese.
In
questo
contesto, ritengo che in una contrapposizione tra
due, l'autore si prodighi affinché si rifletta e
si raggiunga quell'equilibrio, riconoscendo
l'esistenza della una terza opzione che bilanci
l'ingegno con la sapienza e la forza con
l'intelligenza. Si opta e si consigliano soluzioni
che sollevino dall'imbarazzo di una scelta
discriminante e, potenzialmente, pericolosa, che
pone il bivio. Il re sembra indicare un obiettivo
univoco, rappresentato dalla direzione dello
scettro che è la Sapienza. D'altronde Logistica
sarà chiara e diretta, quando si dilungherà sulla
convenienza di buttare il «corpacio».
La
statua
della regina
Nel
secondo
gruppo scultoreo, corrispettivo del precedente, la
statua sommitale sostiene uno scudo inscritto, con
la mano sinistra, mentre la destra volge l'indice
oltre le proprie spalle o, più verosimilmente,
indica la propria testa .
L'identità
femminile
dell'acroterio, già riconosciuta come
personificazione della Sapienza
e la scritta incisa sullo scudo, cui essa si
sostiene, rappresentano il completamento del
pensiero.
La
nudità
La
nudità,
che accomuna le due statue ha diversi
significati, come vedremo. Per convenienza
esplicativa, si anticipa il concetto espresso
sullo scudo del Re, in quanto è presente solo
a livello iconografico, ma non testuale ed è
in contraddizione con la situazione attuale.
Infatti, il Re dell'illustrazione è svestito e
i suoi unici attributi sono la corona e lo
scettro di legno dorato; la frase incisa, come
scopriremo, dichiara tutt'altro, rimarcando,
tramite i modi e i tempi verbali, che la
condizione non è verificata .
I
Proverbi possono venire in ausilio per interpretare
quanto si è anticipato.
la Sapienza «…metterà sul tuo capo un ornamento di
grazia, ti circonderà di una corona di gloria ».
Similmente,
Ripa,
nella sua Iconologia
,
sebbene non annoveri l'Hypnerotomachia Poliphili tra
le sue fonti,
asserisce che la Sapienza «… si dipinge ignuda, come
quella che per se stessa non ha bisogno di molto
ornamento né di ricchezze, potendo dire con ragione
chi la possiede d'haver seco ogni bene …». La
nudità
dell'Ingegno è la conditio
sine
qua non
per raggiungere la vera Sapienza ,
che non ha bisogno di adornarsi, benché
l'Hyperotomachia Poliphili sia piena di splendori,
di ornamenti di alta oreficeria, cosmesi e opere
magnificentissime. Riguardo alla nudità in quanto
simbolo della purezza, si rimanda alla bibliografia
.
Lo
spazio
grafico, i caratteri e il poliglottismo
I
tipi per le scritte poliglotte è la capitale
quadrata monumentale, lapidaria (cui sembra
maggiormente accostarsi quella presente) o
libraria di memoria imperiale che, con la sua
nettezza di tratto e l'alta leggibilità,
conferisce solennità ai messaggi espressi .
Le
parole
spesso non sono distinte, le legature e i
nessi sono rari, proprio come accade nella
scritta polifilesca .
Le
lingue
utilizzate sono le stesse dell'iscrizione del
cartiglio posto sulla croce di Cristo ,
utilizzato solo per le croci dei criminali più
pericolosi e ai quali veniva dato risalto a
scopo di monito e di dissuasione per i
presenti .
Tali
iscrizioni,
nell'antichità, erano adottate anche in occasione
di eventi solenni, tanto che le tre lingue, oltre
al messaggio espresso, erano portatrici anche di
un significato sociale, culturale e religioso.
Nel
caso
presente, la scritta multilingue dimostra, senza
ombra di dubbio, la volontà di diffondere
ampiamente il messaggio e di attribuirvi
importanza universale, affidando all'Ebraico il
ruolo sacrale in quanto lingua delle Scrittura
veterotestamentaria; il Latino quello del potere
statale-imperiale; il Greco, infine, usato per
diffondere il messaggio di Gesù, nei Vangeli.
Henri
Tisot,
esperto di ebraico, riguardo l'esatta
traduzione ebraica dell'iscrizione
fatta compilare da Pilato, ha scoperto che è
grammaticalmente obbligatorio, in
Ebraico, scrivere “Gesù il Nazareno e re dei
Giudei“ (“ישועהנוצריומלךהיהודים“
;
“Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” o vocalizzate
“Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim“).
Quindi, come per il latino si ottiene
l'acronimo “INRI” ,
per l'Ebraico si ottiene “יהוה”,
“YHWH”.
La spiegazione che Giovanni evangelista
riserva per l'esposizione del Tetragramma
impronunciabile ,
inciso sopra la testa di Gesù crocifisso è
proprio l'aver dichiarato di essere il Figlio
di Dio.
Iscrizioni
simili,
nell'antichità, erano adottate solo in occasione
di eventi solenni, come un proclama imperiale
tanto che le tre lingue, oltre al messaggio
espresso, sono foriere anche di un significato
simbolico, dovuto proprio all'idioma utilizzato.
Nella
trasmissione
dei testi però, il ruolo dei copisti ha
influenzato la disposizione degli idiomi.
In
questo
ampio contesto storico, lo scambio della sequenza
delle lingue dimostra, non solo il mutamento del
ruolo simbolico ma anche materiale, della
considerazione in cui porre le culture parlanti in
determinanti periodi socio-politici.
È
fondamentale, se non di primaria importanza, il
ruolo ecclesiastico-abbaziale che molto ha
preservato, nel tempo; altrettanto vero è che la
scrittura adottata in quell'ambito non era la
capitale romana, ma l'onciale, affermatasi dopo un
lungo e lento processo verso il corsivo della
scrittura a scapito, forse, della leggibilità e
della chiarezza.
Non
è
un caso che i testi poliglotti, diffusi in periodi
successivi, abbiano posto in ultimo grado di
importanza la civiltà imperiale, ormai in declino
o del tutto tramontata.
Metodo
esegetico
Il
metodo
per impostare la traduzione dei tre idiomi, è
proceduta con il riconoscimento dei singoli
lemmi e delle loro notazioni grammaticali, per
essere, successivamente, inseriti nella norma
sintattica. Le diciture poste sugli scudi che
sostengono le statue sono l'argomento
principale
di questa dissertazione che giunge al termine
di una lunga
premessa,
alla quale ci si è dedicati per offrire una
migliore comprensione generale
dell'argomento e una più attendibile
traduzione. Volendo scrivere un testo
critico affidabile, i testi da esaminare
sono stati disposti in tabelle, ponendo la
massima cura nella trascrizione, nel
rispetto della norma diplomatista
.
Questo metodo è stato ritenuto necessario
per rendere immediatamente riconoscibili i
settori di analisi grammaticale e le
relative traduzioni letterali. Nei commenti
successivi, ci si è occupati dell'analisi
logica dei rispettivi scritti, recuperando i
significati ottenuti e affiancandoli alle
concordanze ritenute pertinenti con la
bibliografia coeva presunta. Inoltre, si
sono analizzate le traduzioni e le
riduzioni, coeve o di poco successive, all'Editio
Princeps
dell'incunabolo.
Tale
sistema
ha
permesso
di constatare che le concordanze lessicali e
verbali testimoniano la continuità dei
messaggi riportati nelle due iscrizioni e
l'unità dei due gruppi scultorei.
Introduzione
alla
struttura dei motti incisi
L'Hypnerotomachia
Poliphily
è un testo misto tra prosa (sintassi), poesia
(metrica), motti (paratassi) e immagini
(iconografia) vale a dire che è caratterizzato da
diversi registri espressivo-comunicativi, scelti in
base a chi l'autore, di volta in volta, si rivolge o
al messaggio che vuole comunicare.
Questa
struttura
articolata e coerente rende l'incunabolo un
grandioso esempio di amalgama tra culture, lingue,
letterature, religioni diverse, passate e viventi.
Dopo
aver
illustrato il cammino di Polifilo e aver “collocato”
spazialmente i supporti dei testi poliglotti, si
entra nel vivo della trattazione. I
due enunciati trilingue, incisi in Ebraico,
in«Attico»
e in Latino informano, nonostante alcune discrepanze
rispetto alle immagini, quanto rappresentano le
composizioni.
Scudo
del
Re: analisi grammaticale dell' iscrizione.
Testo
ebraico.
Per
una
esposizione chiara dell'argomento, si è scelto, in
prima istanza, di disporre in forma schematica le
trascrizioni, distinguendole in diplomatica;
interpretativa, corredata dalle notazioni
vocaliche e fonetiche. La traduzione è posta in
calce alle tabelle.
Riguardo
le
incisioni ebraiche, il verso scrittorio della
traduzione è stato adeguato a quello della,
cosiddetta, lingua semitica ,
ovvero, sinistrorso da destra a sinistra.
Prima
di
commentare il brano, si aggiunga che non sono
mancati i riscontri con il Testo Masoretico
(TM), nonché il supporto con le grammatiche, i
vocabolari e i dizionari di patristica .
Tabella
1.
אם
לא כי הבהמה כסתה את בשרי
אזי
הייתי ערום הפש ותמצא הניהני
|
אִם
לֹאכִּי
הַבְּהֵמָה
כִּסְּתָה
אֶת
בְּשָׂרִי
אזי
הָיִיתִי
עָרוּם
חִפֵּשׂ וַ תִּמְצָא הַנִּיחָני
|
bsarì
'ēṯ
kissᵊṯâ
habehemà ki lo im
hanîḥâni
ṯimṣē' wa ḥāp̄aśʿārôm hāyîṯî azay
|
Tabella1.
Trascrizione
diplomatica, trascrizione vocalizzata, trascrizione
fonetica
Tabella
grammaticale1.
Radice
|
Trascrizione
|
Forma
flessa
|
Traslitterazione
|
Analisi
|
Traduzione
|
אִם
|
'im
|
אִם
|
'im
|
congiunzione
ipotetica
|
se
|
לֹא
|
lō'
|
לֹא
|
lō'
|
particella
negativa
|
non
|
כִּי
|
kî
|
כִּי
|
kî
|
congiunzione
|
per
|
הַ
|
ha
|
הַ
|
ha
|
articolo
determinativo
|
la
|
בְּהֵמָה
|
bᵊhēmâ
|
בְּהֵמָה
|
bhēmâ
|
nome
comune, terza persona femminile
singolare
|
bestia
|
כָּסָה
|
ksâ
|
כִּסְּתָה
|
kissᵊṯâ
|
Perfetto
intensivo, terza persona femminile
singolare
|
avesse
coperto
|
אֵת
|
'ēṯ
|
אּתּ
|
'ēṯ
|
rafforzativo
del possesso
|
con
|
בשר
|
bśr
|
בְּשָׂרִ
|
bᵊśār
|
nome
comune, prima persona maschile singolare
|
corpo
|
י-
|
î
|
י
|
î
|
suffisso
possessivo
|
mio
|
אָז
|
ʾāz
|
אֲזַי
|
'ăzay
|
avverbio
|
a
questo punto/allora
|
הָיָה
|
hyh
|
הָיִיתִי
|
hāyîṯî
|
verbo
essere, perfetto, prima persona
singolare
|
sarei
stato
|
ערום
|
ʿārôm
|
עָרוֹם
|
ʿārôm
|
aggettivo
maschile singolare
|
nudo
|
חפשׁ
|
ḥpsh
|
חַפֵּשׂ
|
ḥāp̄aś
|
Imperativo
intensivo,
maschile
singolare
|
cerca
|
-
ו
|
w
|
וְ
|
wa
|
congiunzione
|
e
|
מָצָא
|
māṣā'
|
תִּמְצָא
|
timṣē'
|
imperfetto,
seconda
persona maschile singolare
|
troverai
|
חיָנַ
|
ḥyn
|
הַנִּיחָנ
|
hanyhan
|
perfetto
(causativo attivo), seconda persona
maschile singolare
|
lascerai
|
י-
|
li
|
י
|
î
|
suffisso
pronominale
|
me
|
La
traduzione
è, verosimilmente, la seguente.
Se
non
(fosse) per la bestia che copre la mia carne
a
questo punto io sarei stato nudo cerca troverai mi
abbandonerai
Nella
versione
emendata Pozzi-Ciapponi ,
la locuzione verbale “troverai” è stata
modificata sostituendo la mem(מ)
con la tet(ט);
pertanto
si evince che il lemma non è stato
riconosciuto e la parola, perdendo di
significato, non si lega al contesto.
Testo
greco
Tabella
2.
ΓΥΜΝΟΣ ΗΝ, ΕΙ ΜΗ ΑΝ ΘΗΡΙ-
ΟΝ
ΕΜΕΚΑΛΥΨΕΝ.ΖΗΤΕΙ.ΕΥ-
ΡΗΣΗ
ΔΕ. ΕΑΣΟΝ
ΜΕ.
|
ΓΥΜΝΟΣ ἮΝ, ΕΙ ΜΗ ἌΝ ΘΗΡΙ-
ΟΝ
ἘΜΕ ΚΑΛΥΨΕΝ. ΖΗΤΕΙ. ΕὙ-
ΡΕΣΗ
ΔΕ. ἜΑΣΟΝ ΜΕ.
|
Ghimnòs
en, ei me an therí-
on,
eme kalýpsen. Zetei.
Eu-
rése
de. Eàson me.
|
Tabella2.
Trascrizione
diplomatica, trascrizione normalizzata, trascrizione
fonetica secondo Erasmo da Rotterdam.
Tabella
grammaticale2.
Radice
|
Trascrizione
|
Forma
flessa
|
Trascrizione
|
Analisi
|
Traduzione
|
γυμν-
|
ghimn-
|
γυμνός
|
Ghimnós
|
maschile
nominativo singolare,parte nominale
|
nudo
|
σ-ἐσ
|
s-
es
|
ἦν
|
en
|
indicativo
imperfetto prima persona singolare
|
sarei
|
εἰ
|
ei
|
εἰ
|
ei
|
particella
condizionale
|
se
|
μή
|
me
|
μή
|
me
|
avverbio
di negazione
|
non
|
ἄν
|
an
|
ἄν
|
an
|
particella
modale, in questo caso (irrealtà nel
passato)
|
|
θηρ-
|
ther-
|
θηρίον
|
theríon
|
neutro
nominativo singolare, soggetto
|
bestia
|
ἐγώ
|
egò
|
ἐμὲ
|
emé
|
pronome
personale, accusativo complemento
oggetto
|
mi
|
κελ-,
κoλ-, κλ-
|
kel-,
kol-, kl-
|
κᾰ́λυψεν
|
kálypsen
|
aoristo
indicativo attivo terza persona
singolare
|
coprisse
|
ζητέ-
|
zete-
|
ζήτει
|
zétei
|
imperativo
seconda persona singolare
|
cerca
|
εὑρ-
|
eur-
|
εὑρήσῃ
|
eurése
|
futuro
seconda persona singolare
|
troverai
|
δέ
|
de
|
δέ
|
de
|
avverbio
avversativo
|
ma
|
ἐι-
|
éason
|
ἔασον
|
éason
|
infinito
futuro neutro seconda persona
singolare
|
lascerai
|
ἐγώ
|
egò
|
μέ
|
me
|
enclitica,
accusativo complemento oggetto
|
me
|
Nella
versione
greca della Bibbia, l'approccio testuale con
l'animale è identico a quello ebraico.
Infatti, a בַּהֲמוֹת
(bĕhemowth)
corrisponde θηρία (thēría),
similmente
accompagnato dalla forma singolare del verbo .
Si
predilige
questa versione
Nudo
sarei, se non fosse le be-
stie
a
coprirmi. Cerca. Tro-
verai.
Mi
lascerai.
Si
osserva
la presenza della Η (eta) al posto della Ε
(epsylon). ΕΥΡΗΣΗ
anziché
ΕΥΡΕΣΗ.
Testo
latino
Tabella
3.
NUDUSESSEM,
BESTIANIME
TEXISSET,
QUAERE, ET INVE
NIES.MESINITO.
|
NUDUS
ESSEM, BESTIA NI ME
TEXISSET,
QUÆRE, ET INVE
NIES.
ME SINITO.
|
Tabella3.
Trascrizione
diplomatica, trascrizione normalizzata.
Tabella
grammaticale3.
Paradigma/tema
|
Trascrizione
|
Analisi
|
Traduzione
|
nud-
|
NUDUS
|
Aggettivo
|
nudo
|
sum,
es, fui, esse
|
ESSEM
|
congiuntivo
imperfetto
|
sarei
(fossi)
|
besti-
|
BESTIA
|
nominativo
soggetto
|
bestia
|
ni
|
NI
|
avverbio
di negazione
|
(se)
non
|
ego,
mei, mihi, me, me
|
ME
|
pronome
personale, prima persona singolare,
complemento oggetto, accusativo
|
mi
|
tego,
tegis, texi, tectŭm, tegĕre
tex-
|
TEXISSET
|
congiuntivo
piuccheperfetto, terza persona singolare
|
avesse
coperto
|
quaero,
quaeris, quaesivi, quaesii, quasitŭm,
quaĕrere
|
QUÆRE
|
imperativo
presente, seconda persona singolare
|
cerca
|
|
ET
|
congiunzione
|
e
|
invenio,
is, inveni, inventum, invenire
|
INVENIES
|
indicativo,
futuro semplice, seconda persona
singolare
|
troverai/conoscerai
|
ego,
mei, mihi, me, me
|
ME
|
accusatico,
pronome personale complemento, prima
persona singolare
|
mi
|
sino,
sinis, sivi, sitŭm, sinĕre
|
SINITO
|
imperativo
futuro, seconda persona singolare
|
lascerai
|
Si
presenta
la seguente interpretazione
Nudo
sarei,
se la bestia non mi
celasse.
Cerca
e troverai. Mi lascerai .
Al
termine
di questo primo confronto, si ritiene opportuno
offrire alcune annotazioni di analisi logica
comparata e di analisi del periodo.
Si
osservino
la formazione del periodo ipotetico nei tre
idiomi, e le diverse interpretazioni che ne
conseguono.
I
modi congiuntivo per l'apodosi e condizionale
per la protasi dell'Italiano, non essendo
presenti nei tre idiomi in indagine, vengono
mutuati, in Ebraico, con il perfetto
intensivo, cioè con una formula che esprime un
fatto compiuto, indifferentemente se avvenuto
nel passato, nel presente o nel futuro, per
entrambe le proposizioni; il modo indicativo
aoristo, in Greco, per esprimere una
condizione conclusasi nel passato, non
ulteriormente perfettibile, per l'apodosi e
l'imperfetto per la protasi, atta ad esprimere
una situazione di incertezza, che può essere
diversamente risolvibile. In Latino, l'apodosi
è espressa con il congiuntivo al tempo
piuccheperfetto ,
in
quanto
l'azione è precededuta da un'altra compiutasi
nel passato e al perfetto, la protasi.
Con
queste
osservazioni, si evince come le tre lingue, anche
in mancanza di un modo dedicato, al pari
dell'Italiano, esprimono con chiarezza, il
concetto e concordano pienamente nell'intenzione
comune.
Nella
seconda
riga, seguono tre brevissime proposizioni verbali
che manifestano, nell'ordine, un'esortazione e due
azioni autonome, susseguenti alla prima. Il breve
sistema paratattico, non perfettamente
sovrapponibile nei tre casi, si pregia
dell'organicità del periodo sintattico, mantenendo
il tono perentorio e la immediatezza della
comunicazione del discorso.
Ora,
si
osservi come, di volta in volta, le espressioni
vengono risolte.
L'Ebraico,
si
avvale dell'imperfetto ,
detto intensivo attivo
che traduciamo, in questo caso, con
l'indicativo futuro.
Il
Greco,
ugualmente, esordisce con l'imperativo, posto a
garanzia di quanto avverrà.
Tali
promesse
sono poste al futuro e al futuro neutro.
Quest'ultima
forma
verbale appare interessante perché, se la si
associa al corpo, che verrà lasciato in favore
della testa senza toccarlo, allora
l'espressione “mi lascerai”, posta al genere
neutro, mette in evidenza un nuovo soggetto
parlante e fa intendere che il «corpacio», τò
σῶμα
(to
soma), prende la parola al posto del re. Non
solo, esprime una sorta di vaticinio piuttosto
che un comando.
Il
Latino
supplisce il modo condizionale presente con il
congiuntivo imperfetto, esprimendo un dubbio o
un'eventualità, come in questo caso. Per le tre
proposizioni finali, in Latino come in Greco, si
alternano l'imperativo, il futuro semplice, ad
esprimere il risultato della ricerca, cui
l'ascoltatore è invitato ad impegnarsi e
l'imperativo futuro che, in maniera più diretta,
in mancanza di un corrispondente in Italiano che
deve accontentarsi del futuro semplice, si usa
proprio per le sentenze, i proverbi, le leggi, i
precetti, le disposizioni testamentarie. Quindi,
anche qui, come in Ebraico, non c'è perentorietà
nella richiesta.
Il
futuro,
con l'implicita idea tanto dell'esortazione quanto
della realizzabilità, conferma che le tre versioni
concordano pienamente, come anticipato, con i
propri modi e i propri tempi.
A
questo proposito si consideri che l'animale ,
Bəhēmāh
(בהמה),
offre
numerose
presenze nel testo biblico. Per le affinità
con il brano esaminato, se ne è individuata
una in particolare ,
presente nel libro di Giobbe ,
la cui versione ebraica, riferisce di un
animale senza dargli un nome ma
identificandolo per le sue caratteristiche
fisiche. Una creatura non trascurabile, tanto
che per esaltarla, non si esita ad usare la
forma plurale del sostantivo, behemoth, בַּהֲמוֹת
(bĕhemowth),
accompagnata
dal numero singolare del verbo. Tale
espediente, rafforza l'importanza e consolida
il ruolo dominante, del già possente e
soprannaturale animale.
Non
nella
versione latina dell'Hypnerotomachia Poliphili,
dove l'autore preferisce la concordanza numerica
tra il soggetto e il verbo.
La
veste
annuncia il tempo della salvezza .
A
questo punto, è possibile inoltrarsi nell'analisi
logica comparata dei brani tradotti e al loro
commento.
I
testi sacri non permettono una identificazione
certa della bestia, interpretata, talora, come
un elefante ,
un bufalo, un rinoceronte o
un ippopotamo, versione, quest'ultima,
caldeggiata dal teologo francese Samuel
Bochart, nel 1663 .
Alcune
fonti
assire e babilonesi menzionano gli elefanti, mentre
la Bibbia non sempre ne parla esplicitamente cita
però, ben dodici volte l'avorio ,
quale sineddochedi merce preziosa, di scambio o come
sinonimo di bellezza e di magnificenza. Nel libro
dei Maccabei ,
presente solo nella Septuaginta, si fa riferimento
agli elefanti, ma in un contesto affatto diverso da
quello qui incontrato. Infatti, l'Elefante
obeliscoforo sembra una libera e originale
reinterpretazione della macchina da guerra biblica e
indiana .
È, altresì, indicativo come questa trasformazione
polifilesca generi il binomio ricchezza-sapienza,
senza, al contempo, scadere nell'idolatria, come
ottimamente illustra il primo libro dei Re .
Lo
scudo,
sulla cui superficie sono incise le parole
“pronunciate” dalla statua, altrimenti muta,
chiarisce una condizione definita e conclusa, senza
valenza temporale, ma qualitativa e introduce al
concetto fondamentale dell'intima connessione tra la
sfera fisica e quella psichica dell'uomo (cuore e
soma ).
Inoltre
esprime una situazione ipotetica che non ha
riscontro nella realtà oggettiva, non essendosi
verificata.
Se
la
nudità del re rappresentasse la condizione
ipotetica espressa sullo scudo, non vi sarebbe
contrasto con il testo. Quindi, la statua, se
fosse un periodo letterale, sarebbe una frase
ipotetica del terzo tipo, ovvero
dell'impossibilità.
Ovviamente,
la
nudità paventata dalla “statua parlante” non è
da riferirsi a quella ellenica, quale modello
di perfezione esteriore cui tendere, bensì
alla miseria dei costumi, alla vulnerabilità
dell'ignoranza e alla umiliazione dell'esilio
.
Differentemente, riferendoci alla Catabasi,
San Paolo
contrappone al semplice, al nudo chicco di
grano la pianta che ne scaturirà, per spiegare
che attraverso la morte del corpo terreno, Dio
darà vita al corpo risorto.
La
nudità
condizione fondamentale nella creazione e la
sua perdita nel momento del peccato originale,
apre le porte alla cura dell'uomo, da parte di
Dio e della redenzione. Segno di sincerità e
fiducia (uomo-donna, Dio-uomo) ,
dopo la trasgressione, la nudità viene
percepita come una vergogna ,
ma anche come consapevolezza, conoscenza,
della propria condizione.
La
frattura
tra uomo e Dio, si sanerà quando Dio rivestirà
l'uomo di giustizia, per la sua salvezza.
Ovvero,
quando
l'uomo sarà rivestito in Cristo, nel nuovo
corpo risorto .Le
squame
che rivestono il coperchio del sarcofago
rappresenta al nuova veste, ovvero la
risurrezione in Cristo, ovvero la resurrezione
nella Sapienza, strumento di Dio, presente
durante la creazione.
Scudo
della
Regina: analisi grammaticale dell'iscrizione
Testo
ebraico
Tabella
4.
היה
מי שתהיה קח מז-האוצר
הזה נאות נפשר
שואלתיגעבגופו
אבל אזהיר אוֹתְךָ הסר הראְ
|
הָיָה
מִי שֶׁתִּהְיֶה
קַח
מז-האוֹצָר
הַזֶה
נאות נַפְשֶׁךָ
אַזְהָרָ
הֵסִר
הָרֹא שוְאַלתִּיגַע
בְּגוּפוֹ
הִזְהִיר
אֲבָל
|
nef-shé-kha
keavàt
hazzê min-hā 'ôṣārqah shetiyè mi Eyè
bègufò
tî ḡavè alaròs hasser othà azhìr Aval
|
Tabella
4.
Trascrizione diplomatica, trascrizione
vocalizzata, trascrizione fonetica.
Tabella
grammaticale4.
Radice
|
Trascrizione
|
Forma
flessa
|
Traslitterazione
|
Analisi
|
Traduzione
|
הָיָה
|
hāyâ
|
הָיָה
|
eyè
|
imperfetto,
seconda persona singolare maschile
|
eri
|
מי
|
mî
|
מִי
|
mî
|
pronome
indefinito
|
chiunque
|
ש
|
sh
|
שֶׁ
|
she
|
|
chi
|
הָיָה
|
hāyâ
|
תִּהְיֶה
|
tiheyê
|
futuro(imperfetto),
seconda persona singolare maschile
|
sarai
|
קַח
|
qaḥ
|
קַח
|
qaḥ
|
imperativo,
seconda persona, maschile singolare
|
prendi
|
מן
|
min
|
מִן
|
min
|
preposizione
inseparabile per il moto da luogo, si
lega alla parola che precede
|
da
|
ה
|
ha
|
הָ
|
hā
|
prefisso/articolo
determinativo
|
il
|
אוֹצָר
|
ôṣār
|
אוֹצָֽר
|
o-tsaw'
|
sostantivo
maschile
|
tesoro
|
זֶה
|
zê
|
הַזֶּֽה
|
hazzê
|
aggettivo
dimostrativo maschile singolare
|
questo
|
אוֹת
|
אוֹת
|
נֵאוֹת
|
nē'ôṯ
|
presente,
terza persona femminile singolare
|
compiaccia
|
נֶפֶשׁ
|
neh'-fesh
|
נַפְשֶׁ
|
neh'-fesh
|
sostantivo,
femminile singolare
|
gola
|
-ך
|
-
kha
|
ךָ
|
-
kha
|
aggettivo
possessivo, seconda persona, maschile
singolare
|
tua
|
אָבַל
|
āḇal
|
אֲבָל
|
awbal'
|
avverbio
|
ma
|
זהר
|
zōhar
|
אַזְהָרָה
|
azhará
|
interiezione
ellittica imperativa
|
attenzione
a
|
אֵת
|
'ēṯ
|
אוֹתְךָ
|
'ôṯḵā
|
pronome
personale complemento oggetto
|
te
|
סוּר
|
sûr
|
הֵסִר
|
hāsēr
|
imperativo,
seconda persona singolare maschile
|
rimuovi
|
הַ
|
ha
|
הַ
|
ha
|
prefisso/articolo
determinativo
|
il
|
רֹאשׁ
|
rō'š
|
רֹאשׁ
|
rō'š
|
sostantivo
maschile singolare
|
capo
|
וְ־
|
ve-
|
וְ
|
vᵊ'el
|
congiunzione
|
e
|
אֵל
|
'ēl
|
אַל
|
avverbio
di negazione
|
non
|
יָגַע
|
yāḡaʿ
|
תְּיַגַּע
|
tîḡaʿ
|
imperfetto
(iussivo), seconda persona, maschile
singolare
|
toccherai
|
בְֵּ
|
be
|
בְֵּ
|
be
|
prefisso/articolo
determinativo
|
il
|
גּוּפָה
|
gûp̄â
|
גּוּפַוֹ
|
gufo'
|
sostantivo,
femminile singolare
|
corpo
|
A
seguire, la traduzione.
Chiunque
tu
eri e sarai prendi da questo tesoro quanto piaccia
alla tua gola
Ma
attento
a te. Rimuovi il capo e non toccherai il
corpo
.
Testo
greco
Tabella
5.
ΟΣΤΙΣ
ΕΙ. ΛΑΒΕ ΕΚ ΤΟΥΔΕ
ΤΟΥΘΗΣΑΥΡΟΥ,ΟΣΟΝ
ΑΝ Α
ΡΕΣΚΟΙ.ΠΑΡΑΙΝΩΔΕΩΣ
Λ Α -
ΒΗιΣ
ΤΗΝ ΚΕΦΑΛΗΝ. ΜΗ Α
ΠΤΟΥ
ΣΩΜΑΤΟΣ.
|
ὍΣΤΙΣ
ΕΙ.
ΛΑΒΕ ἘΚΤΟΥ ΔΕ
ΤΟΥ
ΘΗΣΑΥΡΟΥ, ὍΣΟΝ ἋΝ ἈΡΕΣΚΟΙ.
ΠΑΡΑΙΝΩ
ΔΕ ὩΣ ΛΑΒῌΣ ΤΗΝ ΚΕΦΑΛΗΝ.
ΜΗ
ἍΠΤΟΥ ΣΩΜΑΤΟΣ.
|
Òstis
ei labè ektou de
tou
thesaurou, óson an aréskoi.
Parainò
de os làbe ten kefalén.
Me
àptou sómatos.
|
Tabella5.
Trascrizione
diplomatica, trascrizione normalizzata,
trascrizione fonetica secondo Erasmo da
Rotterdam.
Tabella
grammaticale5.
Radice
|
Trascrizione
|
Forma
flessa
|
Traslitterazione
|
Analisi
|
Traduzione
|
ὅς+τις
|
os+tis
|
ὅστις
|
óstis
|
pronome
personale indefinito
|
chiunque
|
σ
-ἐσ
|
s
-es
|
εἶ
|
ei
|
indicativo
presente, seconda persona singolare
|
(tu)
sia
|
λαμβᾰ́νω
λαβ-
|
lambano
lab-
|
λαβὲ
|
labè
|
seconda
persona singolare, aoristo attivo,
imperativo
|
prendi
|
ἐκ,
ἐξ
|
ek,
ex
|
ἐκ
+ τοῦ
|
ek
+ tou
|
preposizione
semplice, complemento di provenienza
|
dal
|
ὁ,
ἡ, τό
|
o,
e, to,
|
articolo
determinativo maschile singolare,
genitivo
|
δέ
|
de
|
δέ
|
dé
|
avverbio
|
ma
|
ὁ,
ἡ, τό
|
o,
e, to,
|
τοῦ
|
tou
|
caso
genitivo dell'articolo determinativo
maschile singolare
|
del
|
θησαυρός
-αυρ-
|
aur-
|
θησαυροῦ
|
thēsauroû
|
sostantivo
maschile singolare, genitivo
|
tesoro
|
ὅσον
|
òson
|
ὅσον
|
hóson
|
avverbio
|
quanto
|
ἄν
|
an
|
ἄν
|
án
|
particella
modale, esprime una possibilità futura
di quanto si potrebbe fare
|
|
αἴρ-ἀρέσκω
|
air-
|
ἀρέσκοι
|
aréskoi
|
presente,
ottativo attivo, terza persona singolare
|
gradisce
|
παρά+αἰν-έω
παραινέω
|
parà+aiv+eo
|
παραινῶ
|
parainò
|
presente
attivo, prima persona singolare
|
avverto
|
δέ
|
de
|
δέ
|
dé
|
avverbio
(posto sempre in seconda posizione)
|
ma
|
ὡς
|
hos
|
ὡς
|
hōs
|
congiunzione
modale/temporale
|
mentre
|
λαμβᾰ́νω
λαβ-
|
lambano
lab-
|
λάβῃς
|
labēs
|
aoristo
attivo, congiuntivo, seconda persona
singolare
|
afferri
|
ὁ,
ἡ, τό
|
o,
e, to,
|
τήν
|
tḗn
|
articolo
determinativo, femminile singolare,
accusativo
|
la
|
κεφαλ-
|
kephal-
|
κεφαλήν
|
kephalḗ
|
sostantivo
femminile singolare, accusativo
|
testa
|
μή
|
me
|
μή
|
mḗ
|
avverbio
di negazione
|
non
|
ἁφ-
|
aph-
|
ᾰ̔́πτου
|
aptou
|
medio
passivo, imperativo, seconda persona
singolare
|
tocca
+
genitivo
|
σῶμα,
σῶματ-
|
soma,
somat-
|
σώματος
|
sṓmatos
|
sostantivo
maschile genitivo singolare
|
corpo
|
Si
traduce
nel modo seguente.
Chiunque
tu
sia. Prendi dal
tesoro,
quanto
sia gradito.
Ma
ti
esorto mentre afferri la testa.
Non
toccherai
il corpo.
Testo
latino
Tabella
6.
QVISQVIS
ES, QVANTVN
CVNQVE
LIBVERIT HV-
IVS
THESAVRI SVME. AT-
MONEO.
AVFER
CAPVT.
CORPVS
NE TANGITO.
|
QUISQUIS
ES, QUANTUM
CUMQUE
LIBUERIT HU-
IUS
THESAURI SUME. AT
MONEO.
AUFER
CAPUT.
CORPUS
NE TANGITO.
|
Tabella
6.
Trascrizione diplomatica, trascrizione
normalizzata
Tabella
grammaticale6.
Paradigma
|
Trascrizione
|
Analisi
|
Traduzione
|
quis,
quid
|
QUISQUIS
|
pronome
relativo indefinito, nominativo/
vocativo
|
chiunque
|
sum,
es, fui, esse
|
ES
|
|
(tu)
sia
|
quantus,
-a, -um
|
QUANTUMCUMQUE
|
aggettivo
indefinito maschile singolare
|
per
quanto
|
libet,-uit,
lubitum, lubēre
|
LIBUERIT
|
congiuntivo
perfetto attivo, terza persona singolare
|
piaccia
|
hic,
haec, hoc
|
HUIUS
|
aggettivo
dimostrativo, maschile singolare,
genitivo, complemento di specificazione
|
di
questo
|
thesaurus,
-i
|
THESAURI
|
sostantivo,
maschile singolare, genitivo,
complemento di specificazione
|
tesoro
|
sumo,
-is, sumpsi, sŭmptŭm, sumĕre
|
SUME
|
imperativo,
presente, seconda persona singolare
|
prendi
|
at
|
AT
|
avverbio
|
ma
|
monĕo,
-ĕs, monui, monitum, monēre
|
MONEO
|
indicativo,
presente, prima persona singolare
|
avverto
|
aufero,
-s, abstuli, ablatum, auferre
|
AUFER
|
imperativo,
presente, seconda persona singolare
|
togli
|
caput,
-itis
|
CAPUT
|
neutro,
nomitativo, singolare
|
testa
|
corpus,
-oris
|
CORPUS
|
neutro,
nomitativo, singolare
|
corpo
|
ne
|
NE
|
avverbio
|
non
|
tango,
-is, tetigi, tactŭm, tangĕre
|
TANGITO
|
indicativo,
futuro semplice, seconda persona
singolare
|
toccherai
|
Si
propone
la seguente traduzione.
Chiunque
tu
sia ,
prendi
per
quanto piaccia di questo tesoro. Ma
(ti)
avverto.
Togli la testa.
Il
corpo
non toccherai.
Si
nota
l'errore QUANTUNCUNQUE,
anziché
QUANTUMCUNQUE.
Proposta
di
analisi logica comparata e del periodo
L'indirizzo
della
presente trattazione è rivolto alla funzione
dei due testi nell'ambito della linguistica
storica. Gli scritti poliglotti, inseriti
durante una pausa lungo il cammino di
Polifilo, si staccano dalla sintassi del testo
per esprimere un messaggio più specifico
combinando il periodo paratattico, di
tradizione biblica adatto alla comunicazione
immediata e quello sintattico di tradizione
classico-pagana ,
attenta all'espressione e ricca di ritrovati
linguistici e retorici. Le iscrizioni, tramite
piccoli accorgimenti gerarchici e forme
lessicali e verbali, esprimono lo stesso
concetto.
Pertanto,
l'individuazione
della disposizione degli elementi testuali
permette di riconoscere quegli accorgimenti
retorici che, insieme alla punteggiatura, rivelano
il grado di importanza che le tre culture vogliono
assegnare agli enunciati.
Il
primo
brano, suddiviso in più dichiarazioni, esordisce
con un periodo ipotetico del terzo tipo o
dell'impossibilità e chiude il concetto con una
sequenza di tre verbi interdipendenti.
L'Ebraico,
prima
lingua nell'ordine scrittorio, formula il periodo
ipotetico anteponendo la protasi all'apodosi; la
lingua mediorientale si esime dall'esprimere con
eccessiva energia un comando. Infatti, lo espone
gradatamente, preparando alla condizione della
nudità, tramite la locuzione avverbiale posta in
apertura (se non), in modo da puntare l'attenzione
sulla subordinata, complessa e descrittiva (la
bestia avesse coperto il mio corpo), che demolisce
quella condizione non auspicabile e non
manifestata (sarei stato nudo), ulteriormente
introdotta da una perifrasi temporale (a questo
punto).
Il
Greco
e il Latino invece, invertendo l'ordine delle
due proposizioni, pongono l'accento
sull'emotività del protagonista e lo
travolgono con la vulnerabilità del soggetto
parlante, anteponendo l'aggettivo che compone
il predicato nominale d'esordio (nudo, γυμνός).
Il
periodo
si tinge di emozioni contrastanti; l'umiliazione e
la vulnerabilità della statua “parlante”,
provocate dall'incipit, brusco e breve (nudo
sarei), sono scacciate dal periodo successivo (se
la bestia non mi coprisse), rasserenando gli
animi.
Per
quanto
riguarda i tre periodi verbali, il Greco si
distingue dalle altre due lingue; addolcisce il
carattere perentorio dell'espressione iniziale,
con la congiunzione avversativa “ma” posta tra gli
ultimi due verbi (Cerca. Troverai ma mi lascerai)
e rafforza la subordinazione della seconda
proposizione futuro-imperativa alla prima.
L'Ebraico
e
il Latino, invece, isolano l'ultimo verbo
(Cerca e troverai. Mi lascerai) legando le
prime due proposizioni verbali tra loro
tramite la congiunzione consecutiva, così da
focalizzare l'attenzione e fissare la memoria
sul compimento del destino che ricorda la
predizione, “mi rinnegherai”, che Cristo
rivolse a Pietro .
Il
sacrificio
del corpo è necessario, in prospettiva di una
nuova Pasqua, quella dell'individuo rinato nella
Sapienza.
Le
soluzioni
linguistiche e sinottiche adottate (paratattica,
sintattica e mista), diverse ma equivalenti,
garantiscono e dimostrano quanto le posizioni
delle locuzioni verbali siano funzionali ad
esprimere il nesso causale e determinano la
gerarchia che si è instaurata tra esse.
La
subordinazione
temporale, come conseguenza dell'azione
precedente, è sempre garantita e il raggiungimento
dell'obiettivo sarà il fondamento dell'intera
battaglia amorosa: lasciare il corpo per assurgere
alla Conoscenza.
La
seconda
iscrizione, conseguente e conseguenza della prima,
presenta aspetti interessanti riguardo i contenuti
dottrinali e le sorti dell'umanità.
La
statua
femminile, con un complemento di vocazione
(chiunque tu sia), si rivolge, senza
distinzioni, a chi transita nel luogo e legge;
la “voce” della statua che sostiene
l'iscrizione esprime una esortazione e una
condizione. La sapiente parla al viandante,
non si tratta ancora del «viator» chiamato
apertamente in causa nel Poliandro
e avvinto dai toni malinconici di quel luogo,
e offre un'opportunità , ovvero l'esercizio
del libero arbitrio (prendi da questo tesoro
quanto piaccia) limitato da una condizione
(rimuovi il capo e non toccherai il corpo).
Il
brano,
riletto in chiave biblica alla luce della
Rivelazione, suona come l'ammonimento che Dio
fece ai progenitori nel giardino dell'Eden,
cioè poter disporre di tutto tranne
dell'albero della Conoscenza
per non “morire di morte” .
L'interpretazione dell'autore
dell'Hypnerotomachia Poliphili, costantemente
alla ricerca della Conoscenza, sembra voler
riscattare la caducità corporea dell'uomo e
vincere quella “morte mortale” provocata
proprio dall'albero generatore della vita del
quale, ai primordi della Creazione, fu
proibito il godimento
all'essere vivente umano.
L'apparente
dicotomia
racchiusa nell'assunto di vita e morte ,
rappresenta uno dei fondamenti
dell'incunabolo; contraddire la tradizione
biblica: nutrire la mente, posta nella testa ,
cibandosi proprio di quella Conoscenza ,
interdetta all'essere umano, per acquisire
invece, la Sapienza, senza morirne, e
abbandonando, al contempo, la vita materiale.
Volgendo
ad
un esame tecnico del testo, si procede per
rispetto della simmetria espositiva, con la
versione ebraica.
L'esordio,
qui
presentato come un complemento di vocazione,
in Ebraico è espresso con il verbo essere הָיָה
(hayàh);
al
contempo sostantivo ,
il complesso lemma è usato tanto per
identificare Dio ,
quanto per esprimere i tre tempi del verbo
essere, o meglio, i modi finiti di esso.
Infatti,
הָיָה
(hayàh,
la
cui radice è “hyh”) e יְהֹוָה
(Yehôvâh,
yeh-ho-vaw,
la cui radice è “'hwh”), non condividono la
stessa radice היה,
ma l'aggiunta del prefisso della prima persona
singolare maschile י
(jod)
,
ha determinato questo sottile gioco di parole.
Come
si
riscontra in Esodo, si ottiene la formula con
cui Dio si presenta a Mosè: «Io Sono Colui che
Sono» e può intendersi anche al futuro «Io
Sarò Colui che Sarà» e al passato «Io Sono
Stato Colui che È Stato» אֶהְיֶה
אֲשֶׁר
אֶהְיֶה
(Ehyeh
hasher
Ehyeh) .
Questa
formula,
oltre ad essere una tautologia, è anche un
tautogramma, in forma latente.
Alla
luce
di quanto affermato, si conferma che, nella
cultura ebraica, il tempo è un'entità assoluta;
pertanto, è,
è
stato e
sarà
sono tempi equivalenti .
Intendiamo la forma base del verbo (qal,
leggero), in uso nel dizionario, coniugata al
passato - fu, avvenne - e si usa per esprimere
un'azione compiuta, indifferentemente se questa
sia pertinente al passato, al presente o al futuro
.
In
realtà,
in Ebraico, non esiste propriamente il tempo futuro,
ma tempi perfetti o imperfetti che, nella nostra
lingua, possono essere interpretati tanto al passato
quanto al futuro, in base al contesto.
Riguardo
il
Greco, su questa seconda iscrizione, sembrano
potersi sovrapporre anche i motti apollinei,
posti sul frontone del tempio di Apollo a
Delphi e dei quali è rimasta testimonianza in
Platone ,
ovvero Eἶ (sei), qui usato nel complemento
vocativo chiunque tu sia (ὅστις
εἶ),
rivolto
al pellegrino che si reca dal dio in per
richiedere un vaticinio; conoscere prima di
tutto i propri limiti compiendo scelte
consapevoli, ovvero γνῶθι σε αυτόν (conosci te
stesso).
Il
primo
passo «Per conoscere se stessi bisogna
prendersi cura della propria anima
migliorarla, praticando le virtù »
e per fare ciò, Socrate fornisce il metodo per
raggiungere l'obiettivo, ovvero guardare
un'altra anima in cui alberghi la virtù, cioè
quella Conoscenza che la emanciperebbe dalla
schiavitù della propria prigionia.
Pertanto,
in
questa sede, si avverte il diritto di
affermare che le due statue si guardano, o
meglio, che il Re guarda e indirizza
l'attenzione dello spettatore verso la Regina
per raggiungere la virtù che gli permetterà di
cogliere dal tesoro quanto desidera ma con
moderazione, ovvero, senza prendere nulla di
troppo
(μηδὲν
ἄγαν),
rappresentato
dal corpo, caduco e corruttore.
Altri,
dopo
Platone, hanno tramandato il cauto monito.
Aulo Gellio ,
nel II secolo dopo Cristo, specifica che, per
conoscere i propri limiti, bisogna essere
prudenti e far conto sulla propria
intelligenza, presupposti per la saggezza.
Sulla
base
di questa ulteriore interpretazione, scorrendo
le pagine dell'Hypnerotomachia Poliphili, con
particolare attenzione alle illustrazioni e
ammettendo che quanto accennato fosse una
nozione condivisa dallo scrittore, si proverà
ad approfondire lo stesso concetto in
riferimento ai trofei recati dalle Ninfe
durante il corteo cupidineo ,
con particolare riferimento alle erme
tricefale e al signum
triceps
egiziaco .
Il
concetto
di anima, parola spinosa e degna di nota, in
questa seconda iscrizione, in quanto rispecchia la
tradizione della trasmissione del testo biblico e
delle sue prime traduzioni.
Per
questo
lemma, si risale all'Ebraico, anche se l'etimo
affonda le radici, in tempi ben anteriori la
civiltà che ce ne riferisce, proprio là dove la
Bibbia colloca la creazione degli esseri viventi,
ovvero nella fertile Mesopotamia, tra gli Accadi.
La
parola
ebraica Neh'-fesh,
di
preferenza tradotta “gola” ,
rappresenta qualunque essere vivente nella sua
integrità e per tale interpretazione, si
potrebbe assimilare alla figura retorica della
sineddoche.
Tra
le
accezioni di Neh'-fesh,
qui
sembra ben calzare quella riferita nella
Genesi ,
nella quale, appunto, il testo sacro si
riferisce all'essere umano nella sua totalità,
in quanto essere vivente. Questo tipo di
interpretazione è valida per tutte le creature
viventi, animali compresi, in quanto
accomunati dal soffio vitale, inteso come atto
spontaneo respiratorio ,
legato all'esistenza terrena.
Neh'-fesh,
effettivamente,
non possiede un vero corrispettivo in Greco e
in Latino; l'autore, per rivolgersi al
lettore, non ha bisogno di citare la Psychè ,
in quanto nella concezione greco-cristiana,
l'essere umano è indiviso, indistinto e
inseparabile da se stesso, sia dal punto di
vista corporeo che spirituale; ogni
caratteristica, contraddittorie e
contraddistinte
concorrono, parimenti, all'interezza
dell'individuo. Sotto questo aspetto,
l'anonimo “risolve” le contraddizioni ponendo
sullo stesso piano e senza distinzioni
gerarchiche, tutti gli aspetti della vita.
Tale
accortezza
fa capire che l'autore interpreta correttamente
tanto la concezione ebraica dell'uomo quanto lo
stato indissolubile, della visione cristiana, con
il suo Creatore.
Solo
a
partire dalla Septuaginta ,
elaborata tra il I e il II secolo d.C., si
compie il tentativo di traduzione di Neh'-fesh
in
Psychè, per approdare alla concezione
dualistica dell'essere umano, che trasferisce
la sua forza vitale nell'immortalità.
Il
sintetico
invito alla moderazione ricordato dall'oracolo
delfico, riaffiora nel «cordiale monito» ,
che collocato alla fine dell'enunciato. Si
vuol impartire davvero un ordine? Come si
comportano le tre lingue?
È
possibile affermare che nella lingua ebraica
non cè un'intenzione minacciosa ma, piuttosto,
un tentativo di persuasione. Nel pensiero
ebraico, non sono previsti comandi veri e
propri, bensì sollecitazioni, consigli,
richieste. Soprattutto gli ordini negativi,
vengono impartiti con una forma propria,
tramite l'imperfetto (noi useremmo il,
cosiddetto, congiuntivo esortativo) preceduto,
secondo il contesto, da due tipi diversi di
negazione utilizzando, come in questo caso, la
particella אַל־
(-al)
,
che ha valore immediato e particolare che,
seguita dal futuro, acquisisce il valore di un
comando costruttivo, non una proibizione.
Le
lingue
occidentali non sono da meno e sfruttano le
proprie abilità con successo.
Il
Greco
trae la formula mediopassiva attiva, μή μου
ἅπτου (mé mou áptou, non mi cingere o,
letteralmente, non mi vuoi cingere), dal
Vangelo secondo Giovanni
e ne mantiene il tono garbato della richiesta,
a specificare quanto il mutamento alla nuova
esistenza, che è il cuore dell'episodio del Noli
me
tangere ,
è giustificata dal ritorno alla piena
dimensione divina di Gesù, nel Padre. Nel caso
particolare di questa dissertazione, si cerca
il legame della sfera morale e pura, lontana
con quella sensoriale e corruttrice.
L'accostamento
un
po' azzardato, è proposto nell'ottica di
avvalorare e sostenere la tesi che, a
conclusione del lungo cammino di Polifilo al
concepimento di un amore sapienziale
(Polia/Sofia, Conoscenza/Sapienza). L'autore
trasforma, a mio avviso, il distacco
irreversibile della materia sensibile e dello
spirito vitale in una realtà diversa, che non
si potrà più toccare come prima dell'incontro
con Polia-Sapienza. Lo si potrebbe intendere
come un cambiamento esperienziale, piuttosto
che come un totale allontanamento dovuto alla
morte ,
conosciuta dal protagonista prima, nel
Poliandro, il cimitero degli amanti
e, successivamente, dopo aver spiato il voto
fatto da Polia
a Diana, dea della Sapienza.
Anche
il
Latino, con un'espressione prettamente
giuridica ,
fa ricorso al futuro, per esprimere una
condizione che necessariamente si compirà. Un
comando come naturale conseguenza. Nuovamente,
come per il primo esame linguistico, si
riscontra piena concordanza nelle intenzione
espressive e comunicative, utilizzando tutti
gli strumenti che le tre lingue offrono, per
una comunanza espressiva.
L'anticipazione
di
quanto avverrà nel corpo nel pachiderma è
sintetizzato nel cartiglio affisso sulla
fronte dell'edificio zoomeorfo,
Cerebrum est in capite
;
all'interno, la statua della regina indica la
propria testa, a dispetto di quanto affermi il
disorientato Polifilo .
Non bisogna dimenticare che l'autore
dell'HypnerotomachiaPoliphili comunica con il
lettore abbinando le immagini al testo.
Infatti, l'iscrizione posta sul sarcofago
della regina ribadisce e pone l'attenzione
sulla testa: AUFER CAPUT, ovvero “togli la
testa” che, in seguito, verrà indicata come il
vero tesoro .
Logistica
spiega
a Polifilo il significato nascosto delle
scritte.
L'Ingegno
e
la Sapienza sono il Tesoro
Polifilo
si
trova in cammino con le Muse che lo conducono
verso le Tre Porte. Lungo la strada, le
fanciulle rispondono e sciolgono alcuni
quesiti rimasti insoluti, riguardo l'avventura
e lo spavento che ebbe all'interno
dell'Elefante Obeliscoforo. La risposta viene
fornita al neofita Polifilo, da Logistica,
detta la Theofrasta e la Theofilia ,
tra i giardini della dimora della regina
Eleuterillide ,
che lo stendardo
posto sulla fronte dell'Elefante, nel quale si
è introdotto gli ha indicato la via della
Conoscenza e che nella mente risiede la vera
ricchezza, il vero tesoro, ottenuta con fatica
e industria ,
intelligenza e ingegno. La Sapienza acquisita
e non il corpo caduco o le ricchezze materiali
.
A
sovrintendere, c'è il libero arbitrio ,
impersonato dalla regina Euterillide, che
vigila nella sua terra. La libertà umana è
sottoposta alla sovranità di Dio e se, in
questo contesto, le corone delle statue
esprimono sovranità, come è giusto e logico
che sia, Ingegno e Sapienza sono sovrani solo
tramite loro. Ecco perché l'essere umano può
pregiarsi di esercitare il libero arbitrio. In
questo modo si cerca di conciliare fede e
ragione .
Nel
libro
della Sapienza, l'ultimo dell'AT e tra i pochi
ad essere scritto originariamente in Greco ,
non è riconosciuto dalla Bibbia ebraica (Tanakh),
l'autorialità
è attribuita, dai biblisti, a re Salomone,
ritenuto un esperto in filosofia, religione ed
etica. In Sap 2,1, sembra rispondere in modo
diretto alla problematica sollevata da Qoelet
:
« Dicono
fra
loro sragionando: La nostra vita è breve e
triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore,
e non si conosce nessuno che liberi dagli
inferi.».
Casomai, la Sapienza è la sposa ideale perché
unica messa a conoscenza della volontà di Dio
e capace di salvare gli uomini, in quanto
dominatrice della Storia.
Se
questo
fosse stato il pensiero guida dell'autore, non
è possibile accertarlo ma, la Sapienza,
persona distinta da Dio e animata da uno
spirito ,
è seduta sul trono accanto allo stesso di Dio
,
così da rendere l'azione divina della
creazione dell'uomo e del cosmo, reale e
concreta.
Anima
della
Storia, la Sapienza con la sua luce rinnova la
teologia e, in questa nuova ottica, risponde
al grande interrogativo dell'uomo, dopo la sua
morte. L'orizzonte va oltre il confine terreno
e giunge al piano escatologico e alla
definizione dell'incorruttibilità dell'anima,
che lo rende vicino a Dio, grazie al dono
della Sapienza che Egli ha concesso all'uomo .
I
sarcofagi, che rappresentano la caducità umana
sono sottomessi alla Ragione e alla Sapienza,
vale a dire che la morte morale e l'ignoranza
soccombono alla Sapienza e alla vita,
all'amore per la Sapienza e all'amore per la
vita.
La
Sapienza
divina, di ordine superiore e identificata con
la rivelazione di Dio, in principio era
compresa nell'ordine della creazione, ora
innesca un processo di ipostatizzazione della
Sapienza stessa. L'importanza della Sapienza è
presente anche nei Proverbi sviluppati come
antitesi in funzione didattica e pedagogica
della Sapienza: azione e sua conseguenza.
Nell'Antico Testamento si
incontrano
brevi massime e norme fondate sulla saggezza e
sull'esperienza, indovinelli
e detti oscuri ;
nel Nuovo Testamento, si incontrano parabole e
proverbi ,
piuttosto che un discorso simbolico o una
oscura similitudine; si preferisce il discorso
chiaro e di facile comprensione .
Non
bisogna,
al contempo, dimenticare che l'Elefante
assume una duplice essenza ,
quale simbolo di virtù e ricchezza, come
specificherà Leonardo da Vinci e Cesare
Ripa .
Quasi lo stesso elefante, appesantito da
ornamenti preziosi, dovesse scuotersi di
dosso inutili orpelli ornamentali, per
vestirsi di quella ricchezza immateriale,
fatta di Sapienza. La nudità della Regina
sarà la risposta finale.
Il
testo
scolpito sullo scudo della regina è decisivo e
conclusivo per la comprensione dell'intero
episodio che si svolge nel ventre
dell'Elefante obeliscoforo. .
Le
dimensioni,
esterna e interna, come noterà il protagonista
,
si rendono pienamente comprensibili, solo ora,
ammettendo la loro reciproca relazione, come
avviene con i tanti “rebus”, disseminati e
illustrati nel testo .
Logistica
risponde
come segue .
Parafrasi
Et
io
sencia morare subiunsi, poscia che il nostro
placito confabulamento quivi è divoluto,
gratissime comite. Ancora del tutto l'accenso mio
disio de intendere compito non essendo, et già che
'l non vi rincrebbe il mio auso, questo ditime ve
prego. Ananti el mio horribile spavento, io vidi
di temeraria granditudine et arte uno lapideo
monstro, che è uno Elephanto. Intrante dunque nel
suo inane ventre, trovai duisepulchri,
cumscripture di ambigua interpretatione, di
trovare thesoro, ma che io spreto il corpo,
asportasse il capo. Logistica senza altro cogita
mento exponendo alacremente rispose. Poliphile so
pienamente quello che inquiri, vorei però che tu
sapesti, che non senza grande admiratione di
humano ingegno et cum ardente studio et
incredibile diligentia fuefabricata quella ingente
machina, cum perplexibilitate dello intellecto ad
intendere il suo divino concepto. Adverti che
sopra del suo fronte depende l'ornato cum quella
ancipite descriptione, la quale in materno et
plebeo sermone dice. Fatica et industria.
Imperoché nel mundo chi vivendo vole thesoro
havere, lassi stare el marcescente ocio,
significato per il corpatio, et togli la decorata
testa, che è quella scriptura et harai thesoro
affaticantise cum industria.
Non
più
praesto finite le sue blande et efficace
parole, che perfectamente edocto del tutto, io
regratiai la sua affabile benignitate, tamen
ancora essendo percupido de investigare tutto
quello che per avanti imperfectamente havea
compreso, familiarmente cum esse
domesticatome, tertio io feci tale requisito.
Sapientissima Nympha nel mio exito delle sub
terranee caverne, trovai uno antiquario et
elegante ponte. Il quale ne le ambe sponde in
saxo porphyrito
da uno degli lati, et dal altro di Ophytico
insculpti alcuni hieraglyphi io vidi. Et di
tutti dui fui interprete, ma io restai ignaro
solo degli rami, non li conoscendo, che alle
corne colligati erano, et poscia perché in
porphyrite lapide, et non della simigliante
dell'altra parte. E
io senza indugiare, dopo che la nostra
piacevole conversazione qui esposta, soggiunsi
alle graditissime compagne. «Non essendo
ancora del tutto soddisfatto l'acceso mio
desiderio di capire, e già che ciò non vi
rincresca il mio ardimento, ditemi questo vi
prego. Prima del mio terribile spavento, io
vidi di ardita grandezza e arte un mostro di
pietra, cioè un Elefante. Entrando dunque nel
suo ventre vuoto, trovai due sepolcri, con
scritture dal significato ambiguo, di trovare
il tesoro, che io disprezzassi il corpo,
asportassi la testa».
Logistica
senza
(tergiversare) esporre altro pensiero, prontamente
rispose. «Oh Polifilo, so perfettamente quello che
vai indagando, vorrei però che tu sapessi, che non
senza grande ammirazione dell'ingegno umano e con
ardente studio e incredibile diligenza quella
enorme macchina fu fabbricata, ma con difficoltà
dell'intelletto a intendere il suo concetto
divino. Osserva che sopra la sua fronte pende un
ornamento con quella duplice descrizione, la quale
in materno e volgare idioma recita. Fatica e
industria. Poiché nel mondo chi vivendo vuole
avere il tesoro, lasci piuttosto stare il
marcescente, vale a dire il corpo, e togli la
decorata testa, che è quella scritta e avrai il
tesoro affaticandoti con laboriosità».
Non
tanto
velocemente, terminate le sue chiare ed efficaci
parole, con cui completamente venni istruito, io
ringraziai la sua gentile cortesia, benché fossi
ancora affascinato dall'investigare tutto quello
che prima avevo malamente compreso, familiarmente
con esse abituatomi, per la terza volta feci tale
interrogazione.
«Sapientissima
Nympha,
dalla mia uscita dalle caverne sotterranee, trovai
un ponte antico ed elegante. Il quale in entrambe
le sponde, da un lato di marmo Porfido e,
dall'altro lato, di Ophytico, io vidi scolpiti
alcuni geroglifici.
E
tutti e due potei decifrare, ma io rimasi ignaro
solo dei rami, non conoscendoli, che alle corna
erano collegati, e poi perché in pietra porfirica,
e non dell'altra parte somigliante».
L'eredità
di
Polifilo
A
sostegno delle interpretazioni, figurativa e
testuale, oltre alle fonti bibliche e
classiche ,
delle quali ci si è avvalsi, la stessa
Hypnerotomachia Poliphili ha lasciato, a sua
volta una eredità unica
che ha dato ampio seguito a quanto fin qui è
stato espresso.
Gli
adagia
polifileschi, tornano in citazioni in ambito
architettonico, mpnumentale, decorativo,
figurativo e testuale. Si trovano nei giardini
di Bomarzo (VT) e sulle transenne
dell'università di Salamanca ,
nelle Orationes
di Achille Bocchi ,
sul prospetto del palazzo di Alberto III Pio
da Carpi ,
negli Emblemata
di Andrea Alciati ,
sotto il ritratto di Andrea Doria .
Iscrizioni
a
confronto
Se
non
considerarsi proprio un'eredità, è senz'altro il
successo editoriale dell'opera manuziana, giunta
oltre i confini della penisola.
Tra
le
edizioni, ad esclusione di quelle odierne, comprese
quelle d'oltrefrontiera, e quella ad opera dei figli
di Aldo Manuzio, datata al 1545, la versione
francese,
emendata in terza edizione,
e quella inglese, sono le uniche di cui ci si
occuperà, per motivi temporali coevi e
contenutistici, in quanto risultano essere
particolarmente interessanti per lo studio comparato
al testo.
La
prima
traduzione d'oltralpe dell'Hypnerotomachia
Poliphili, si deve alla cura del francese Jean
Martin ,
edita nel 1546. Nel
1600,
con il perfezionamento della tecnica a stampa
steganografica ,
il testo giunge alla terza edizione, ma con la
curatela di François
Béroalde
de Verville che, arricchendo
le
descrizioni secondo il gusto del tempo, conferisce
al
fortunato incunabolo un titolo più complesso.
Quest'ultima non può considerarsi una traduzione in
senso stretto, quanto, piuttosto, una traduzione
libera, che reinterpreta il libro seguendo i criteri
di matrice esoterica ,
a partire dal cosiddetto frontespizio che illustra,
in chiave alchemica, seguendo le linee guida
dell'editore Mathieu Guillemot.
«Le
Tableau
des riches inventions di
Béroalde
se, evidentemente, non è del tutto estranea
alla HypnerotomachiaPoliphili
di Francesco Colonna, è, quindi, più un nuovo
avatar
che un'immagine precisa: a cominciare dalla
costruzione alchimista del frontespizio, si
apre una nuova carriera per il libro, quella
del "discorso segreto" che non potrà che
migliorare la sua più bella reputazione
dell'occulto e dell'inaccessibile, e generare
nuovi studi che a volte sfiorano la
stravaganza. Alla moderna critica l'obbligo di
ricollocare in prospettiva della storia del
testo queste interpretazioni non tanto
sbagliate quanto costruite, a partire dai
gusti e dai modi del loro .»
Comunque,
degli
errori ci sono e vorrei mostrarli.
Sullo
scudo
del re, si avvisano, dopo le prime tre parole,
strani spostamenti e dimenticanze che, oltre a
modificare visivamente la simmetria delle due
righe pensate dall'incisore manuziano, altera la
sintassi e il significato del testo ebraico (c'è
un tav in penultima posizione in habhemaTha, manca
kissta e hanniha diventa hannina con il nun
finale).
Poche
notazioni
grafiche, sia nel distico che nel trittico,
riguardo ad alcune lettere, poste in fine della
parola, sono allungate come illustrato, come
previsto dal ductus ebraico che non ammette
l'interruzione della parola e tende a riempire la
riga a disposizione. Proprio in riferimento a
questa annotazione, nella prima riga del primo
distico, la lettera he è stata allungata e ripete
la precedente. L'unica lacuna è evidenziata tra le
parentesi quadre e riguarda il verbo della protasi
del primo distico (avesse coperto); in entrambe le
porzioni di testo, le lettere e le parole
fraintese sono state poste tra le parentesi
quadre.
Tabella
confronto
1
אס
לא כי הבהמהה
[כסתה]
את
בשרי אזי הייתי עריס
הפש
ותמצא
הניתין
|
היה
מי שתיהח
קח מן האוצה
היה
כאוה
נפשך אבל
אזהיר אותך הסר
הראש
ואל תונע
בניפו
|
Neppure
il
Greco è stato risparmiato da qualche svista o
“emendamento”, tanto che ΓΥΜΝΟΣ
diventa ΓΥΜΟΝΟΣ,
forse per facilitare la pronuncia con un
fantomatico O eufonico; ΖΗΤΕΙ
è stato riportato come si pronuncia, ZITEI.
Non è così per ΛΑΒΗΙΣ
(labes, prendi) che viene semplificato in
ΛΑΒΗΣ, dimostrando incoerenza nel tentativo di
emendare il modello. Pensando alla
trascrizione fonetica del motto inscritto
sullo scudo del re, ci si sarebbe aspettati un
ῌ (eta con iota sottoscritto) o una I.
Per
il
Latino, l'incipit «NUDUS ESSE» diventa «NUDUS
ERAM» e l'apodosi latina, muta in favore di
una volgarizzazione francese
(latino-gallico!), si vuol intendere che il
traduttore ha riportato il periodo latino
seguendo la sintassi della propria lingua ,
nonostante la presenza di un modello da
copiare. Così facendo, il periodo ipotetico
latino rimane in sospeso e l'indicativo
sostituendo il congiuntivo, annulla il
transito logico della comunicazione. Forse, il
precedente che ha permesso l'equivoco è da
rintracciare nel Vangelo secondo Matteo, per
la presenza della formula «[…] hospes eram, et
collegistis me: nudus et cooperuistis me […]»
Si
nota
l'”abbellimento” grafico del dittongo AE in Æ,
QUÆRE per QUAERE.
Per
quanto
riguarda il secondo motto, per ottemperare alla
mancanza di spazio, si è usato il carattere
minuscolo corsivo, privando della simmetria del
modello e cancellando il significato simbolico
della capitale romana, cui si è accennato.
Quantuncunque
è
diventato quantumcunque
Anche
l'edizione
inglese del 1592, curata dall'editore Waterson, si
è discostata dall'originale, riportando altre
anomalie, rispetto ai colleghi francesi.
Anche
lo
stampatore d'oltremanica riproduce il testo
aldino apponendo alcune modifiche, sia
riguardo la realizzazione delle xilografie,
sia nella disposizione dei motti.
Dall'accostamento
dei
testimoni, è emerso che Waterson ha riportato il
brano ebraico, posto sullo scudo della regina,
seguendo l'andamento destrorso, in uso nella
scrittura occidentale. Pertanto, le prime due
parole "eyé mi" sono scese all'inizio della riga
successiva e, a seguire, le “ultime” tre parole
del secondo enunciato formano un terzo capoverso,
causando lo stravolgimento del motto, divenuto
incomprensibile.
Tabella
confronto
2
אס
לא כי הבהמה כסתה את בשרי
אזי
הייתי ערוס הפש ותמצא הניתני
|
l'anima
aggrada come tesoro questo
chiunque
eri il corpo toccherai non e rimuovi
a
te attenzione ma
|
שתהיה
[ק]ח
מן האוצר הזה נאות נפשך
הסר
הראש ואל תיגע בגופי היה מי
אבל
אזהיר אותך
|
Anche
per
quanto riguarda le iscrizioni greche e latine, si
annotano varianti discutibili.
La
prima
scritta greca esordisce con una L latina, o
più opportunamente, con un Γ ribaltato.
Seguono, nel secondo motto, alla seconda riga,
ΟΣΝΟΝ, anziché ΟΣΟΝ; il poco elegante ΛΑΒΗΙΣ
per ΛΑΒΗΙΣ;
ΕΟΜΑΤΟΣ
per ΣΟΜΑΤΟΣ. Da queste imprecisioni, ma
soprattutto dall'ultima, data la “somiglianza”
del sigma maiuscolo con la e maiuscola, si
evince che i caratteri xilografati nel modello
aldino, qui siano stati posti a stampa.
Infine,
per
il Latino, l'edizione mantiene l'errore QUANTUNQUNQUE.
Appendice
-
Riassunto dell'opera
L'Hypnerotomachia
Poliphili
è preceduta dalla dedica e da un carme a
Leonardo Crasso ,
scritti in Latino, ad opera di Giovan Battista
Scita ;
il riassunto dell'opera, in prosa, rivolto al
lettore, e in versi, dedicato a Leonardo
Crasso, in volgare, è ad opera dell'autore
stesso.
Terminato
il
preambolo con un articolato indovinello, di
Andrea Marone Brixiano ,
l'autore ripropone il frontespizio, con alcune
varianti, e privo della coda ;
successivamente, con una nuova dedica, entra
nel vivo dell'opera, rivolgendosi direttamente
a Polia, «optima operatrice et unica clavigera
dilla mente e dil core mio», della quale loda
e riconosce le sue eccelse qualità di bellezza
e virtù e per le quali implora il suo «amore
grazioso» e il suo «benigno favore» .
Lector
si
tu desideri intendere brevemente quello che in
quest'opera se contiene, sapi che Poliphilo narra
havere in somno visto mirande cose, la quale opera
ello per vocabulo graeco la chiama pugna d'amor in
somno. Ove lui finge havere visto molte cose
antiquarie digne di memoria, et tutto quello lui
dice havere visto di puncto in puncto et per
proprii vocabuli ello descrive cum elegante stilo,
Pyramide, Obelisci, Ruine maxime di edificii. La
differentia di columne la sua mensura, gli
capitelli, base, epistyli, cioè trabi recti, trabi
inflexi, zophori, cioè frisii, coronice cum gli
sui ornati. Uno magno caballo. Uno maximo
elephanto. Uno colosso, una porta magnifica, cum
le mensure et li sui ornamenti, uno spavento, li
cinque sentimenti in cinque Nymphe uno egregio
bagno, fontane, el palatio della regina che è el
libero arbitrio. Uno regio pasto et
superexcellente. La varietate di zoie overo petre
pretiose et la sua natura. Uno gioco de scachi in
ballo a tre mensure de soni. Tre giardini, uno di
vitro, uno di seta, uno in laberyntho che è la
vita humana uno peristylio latericio. Ove in medio
era expressa la trinitate in figure hieroglyphe,
cioè sacre scalpture aegyptie. Le tre porte in
quale lui rimanse Polia come era di habito et
habitudine. Polia el conduce a mirare quatro
triumphi mirandi di Iove, le amorose deli Dei.
Quelle di poeti, l'affecto et effecto d'amore
vario. El triumpho di Vertumno cum Pomona. El
sacrificio all'antica di Priapo, uno maraveglioso
tempio per arte descripto. Ove furon facti
sacrificii cum mirabili riti et religione. Come
Polia et lui andorono allo littore aspectare
Cupidine, ove era uno tempio destructo. Nel quale
Polia suade a Poliphilo el vadi intro a mirare le
cose antiche. Et quivi vide molti epitaphii, uno
inferno depincto di musaico. Como per spavento de
qui se partì et vene da Polia. Et quivi stanti
vene Cupidine cum la navicula da sei Nymphe
remigata. Nella quale ambo intrati, Amor fece vela
cum le sue ale. Et quivi dagli Dii marini et Dee,
et Nymphe et monstri li fu facto honore a
Cupidine, giunseron all'insula Cytherea, la quale
Poliphilo distincto in boschetti, prati, horti, et
fiumi, et fonti plenamente la descrive, et li
presenti fu fatti a Cupidine et lo accepto dalle
Nymphe, et come sopra uno carro triumphante
andorono ad uno mirando theatro tuto descripto. In
mezo del'insula. Nel mezo dil quale è il fonte
venereo di sete columne pretiose, et tutto che ivi
fu facto, et venendo Marte d'indi se partirono et
andorono al fonte, ove era la sepultura di Adone.
Et qui narrano le Nymphe lo anniversario che in
memoria faceva Venere. Suadeno poscia le Nymphe a
Polia che la narri la sua origine et el suo
inamorare. Et questo nel primo libro. Nel secondo
Polia narra el suo parentato, la aedificatione de
Tarviso, la difficultate del suo inamoramento, et
lo foelice exito, et compita la historia cum
infiniti et degnissimi accessorii et correlarii,
al canto dilla philomela se sveglioe. Vale.
Lettore se tu desideri sapere brevemente quello
che in quest'opera si contiene, sappi che Polifilo
narra di avere visto in sogno mirabili cose, la
quale opera egli per vocabolo greco la chiama
battaglia d'amore in sogno. Dove egli finge di
aver visto molte cose antiche degne di memoria, e
tutto quello egli dice di aver visto, punto per
punto e per propri vocaboli, egli descrivere con
elegante stile, piramidi, obelischi, soprattutto
rovine di edifici. Gli ordini di colonna, la sua
misura, i capitelli, le basi, gli epistili, cioè
architravi e archi, fregi ornati, cioè frisi,
cornici con i loro decori. Un grande cavallo. Un
grandioso elefante. Un colosso, una porta
magnifica, con gli ordini e i suoi ornamenti, uno
spavento, i cinque sentimenti in cinque ninfe, un
egregio bagno termale, fontane, il palazzo della
regina che è il libero arbitrio, un regio pasto e
supereccellente. La varietà di gioielli ovvero
pietre preziose e la loro natura. Un gioco di
scacchi in ballo a tre voci musicali. Tre
giardini, uno di vetro, uno di seta, uno in forma
di labirinto , che è la vita umana, un peristilio
in laterizio dove nel mezzo era espressa la
trinità in figure geroglifiche, cioè sacre
sculture egizie. Le tre porte nelle quali egli
ritrovò Polia nelle sue vesti e nei suoi modi.
Polia lo conduce ad ammirare quattro trionfi
memorabili di Giove, le amorose amate dagli dèi.
Quelle dei poeti, l'affetto e l'effetto di diversi
amori. Il trionfo di Vertumno e Pomona. Il
sacrificio all'antica di Priapo, un meraviglioso
tempio descritto con arte. Dove furono fatti
sacrifici con mirabili riti e devozione. Come
Polia e lui andarono al lido ad aspettare Cupido,
dove c'era un tempio distrutto. Nel quale Polia,
convince Polifilo ad entrare per ammirare le
antichità. E qui vide molti epitaffi, un inferno
realizzato a mosaico. Come, spaventato da qui
partì e tornò da Polia. E qui rimasti, arrivò
Cupido con la navicella remata da sei ninfe. Nella
quale, saliti entrambi, Amore formò una vela con
le sue ali. E qui, gli dèi e le dee marini, le
ninfe e i mostri onorarono Cupido, giunsero
all'isola Citerea, nella quale Polifilo vi
distinse boschetti, prati, orti e fiumi e fonti
che descrive ampiamente e i doni offerti a Cupido
e accolto dalle ninfe e come sopra un carro
trionfante andarono verso un mirabile teatro tutto
descritto, in mezzo all'isola. Nel quale centro
c'è il fonte di Venere di sette colonne
preziose, e tutto ciò che lì fu fatto, e venendo
Marte quindi partirono e andarono alla fonte, dove
c'era la sepoltura di Adone. E qui le ninfe
raccontano della commemorazione che faceva Venere
in ricordo. Poi, convincono Polia a narrare le sue
origini e il suo innamoramento. E questo è il
primo libro. Nel secondo, Polia narra della sua
famiglia, dell'educazione a Treviso, la difficoltà
del suo innamoramento, e del felice epilogo. E
terminata la storia, con infiniti e importanti
particolari e descrizioni, al canto dell'usignolo
si svegliò. Addio
Il
libro
si chiude con un epitaffio in morte di lei.
NOTE