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Le xilografie con iscrizioni ebraiche, greche e latine dell'Hypnerotomachia Poliphili: traduzione intertestuale, esegesi dei significati e breve censimento delle varianti  

Lydia Contino Corrarello
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Ottobre 2023, n. 944
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00944.html
Articolo presentato il 19 Settembre 2023, approvato il 17 Ottobre 2023 e pubblicato il 17 Ottobre 2023
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  Hypnerotomachia Poliphili, xilografie n. 13 e 14, le statue «nigerrime»


Figura 1 - Statua del re
Figura 1 - Statua del re





Figura 2 - Statua della regina
Figura 2 - Statua della regina

                      
                      
                      
                      

Parafrasi

Le extremitate dil quale in forma hemicycla formate. Nella posteriora parte hemicycla dil recensito basamento, trovai uno scalinato ascenso di sette gradi ex scalpato scansile sopra la plana superficie. Per la quale avido di novitate io montai. Et verso al riservato quadrangulo, subiecto al perpendicolo dil Ephippio, vidi una porticula excavata. Cosa di magna admiratione, in tanta pugnacitate di materia, et tanto habile intervacuo se praestava, che per alcuni stipiti di metallo al modo scalario infixi, per gli quali commodo ascenso, se concedeva ad intrare nella Elephantina machina exviscerata.

Per la quale cosa di curiosa aviditate grandemente incitato, introgresso montai. Ove cavo tutto et vacuo il maximo et prodigioso monstro, et cavernato il trovai. Excepto, che il medesimo sodo era relicto ancora intestino, quale extimo stava subiecto. Et havea tanta itione, et verso il capo, et verso la parte postrema, quanto che l'homo naturale facea transito. Et quivi nel convexo del dorso suspensa, cum laquei erei ardea una lampada inextinguibile. Cum illuminatione carceraria. Per la quale in questa posterga parte, mirai uno antiquario sepulchro concesso alla propria petra, cum una perfecta imagine virile et nuda, quanto il naturale commune, incoronata, dil Saxo, nigerrima.

Cum gli denti, ochii, et ungue di lucente argento intecti. Sopra stante al sepulchrale coperto inarcuato, et di squammea operatura investito, et di altri exquisiti liniamenti. Monstrava cum uno inaurato sceptro di ramo extenso il bracio, la parte anteriore. Et nella sinistra teniva uno carinato scuto, exacta la forma dal osso capitale equino, inscripto di tri idiomi, cumpicole notule. Hebraeo, Attico, et Latino, di tale sententia.

Per la quale inusitata cosa i' stetti non mediocremente stupido cum alquanto horrore. Diqué non troppo differendo converso ad lo ritorno, vidi il simigliante ardere et lucere un'altra lucerna, come dinanti è dicto. Et facendo transito sopra lo hiato dil salire, ivi verso il capo dill'animale. Et in questo lato ancora una medesima factura di veterrima sepultura trovai. Et la statua supra stante di tutto, quale l'altra, se non che era regina, la quale sublevato il dextrobracio cum l'indice signava la parte retro le sue spalle, et cum l'altro teniva una tabella ritinuta cum il coperto et cum la mano sua indivisa. Nella quale etiam inscripto era tale epigramma in tri idiomi.

Di tanta di relato mirabondo, et degli aenigmati praelegendoli saepicule, dil tutto io restai ignaro, et dilla interpretatione et sophismo significato molto ambiguo. Non era auso perciò alcuna cosa pertentare. Ma quasi incusso da timore in questo loco tetro et illumino, quantunque gli fusse il lucernale lume, niente di manco il solicito desiderio di contemplare la triumphante porta stimulante, più legitima causa fue che quivi non dimorasse, che altro. Diqué sencia altro fare, cum pensiero et proposito per omni modo dapò la contemplatione di essa porta mirabile, un'altra fiata quivi ritornare, et più tranquillamente speculare tale magnificentia de invento dagli humani ingegni, citissimo all'apertura perveni. Et descendando uscivi fora dil eviscerato monstro. Inventione inexcogitabile, et, excesso di faticha, et temerario auso humano, quale Trepano terebrare tanta durecia et contumacia di petra, et evacuare tanta duritudine di materia, overo altre fabrile machine poteron? Concordemente conveniendo il cavato introrso cum la forma exteriore. Finalmente sopra la piacia ritornato, vidi in questo porphyretico basamento in circuito inscalpto dignissimamente tali hieraglyphi.

Le estremità del quale erano delineate con una linea semicircolare. Nella parte posteriore curvilinea del descritto basamento, trovai una scalinata ascendente di sette gradini che salivano sulla superficie piana. Per la quale, avido di novità, salii. E seguendo il verso del quadrato nascosto, sotto la perpendicolare della sella, vidi una porticina scavata. Cosa ammirevole, in tanta tenace materia, e tanto comodo e vuoto si presentava, che tramite alcuni pali di metallo scalabili, per i quali una comoda ascesa permetteva di entrare nella Macchina Elefantina eviscerata.

Perciò, grandemente mosso da una curiosa avidità, montai all'interno. Trovai l'enorme e prodigioso mostro tutto scavato e vuoto e cavo. Ad eccezione di ciò che stava fuori, all'interno, quello stesso corpo era in abbandono. Era molto spazioso, e verso la testa, e verso la parte posteriore, abbastanza che l'uomo naturalmente poteva transitarvi. E qui, nella convessità del dorso sospesa con lacci al soffitto, ardeva una lampada inestinguibile. Con un'illuminazione fioca. Grazie alla quale, in questa parte posteriore, notai un antico sepolcro scolpito nella stessa pietra del Monolite, con una perfetta immagine nerissima virile, incoronata e nuda, a grandezza naturale.

Con i denti, gli occhi e le unghie di lucente argento incastonati. Posto sopra al coperchio arcuato del sepolcro, e ricoperto da una decorazione a squame, e di altri squisiti tratti. Mostrava con uno scettro di legno dorato che gli estendeva il braccio, la parte anteriore. E nella sinistra teneva uno scudo convesso, che aveva la forma esatta dell'osso frontale del cavallo, iscritto in tre idiomi, con piccoli tratti, Ebreo, Greco e Latino, di tale sentenza.

Per tale cosa inconsueta, io stetti grandemente istupidito con un certo terrore. Quindi, non molto diversamente girato intorno, vidi l'ardere e il rilucere simile di un'altra lanterna, come è stato già detto. E aggirando l'apertura della gradinata d'ingresso, lì verso la testa dell'animale. E in questo lato trovai ancora una medesima opera di una antichissima sepoltura. E la statua soprastante a tutto, come l'altra, se non che era una regina, che teneva sollevato il braccio destro con l'indice che segnava la parte dietro alle sue spalle, e con l'altro teneva una tabella infissa sul il coperchio e con la sua mano attaccata. Nella quale c'era anche scritto tale epigramma in tre idiomi.

Di tanta novità degna di un'esposizione colma di stupore, e degli enigmi da leggere e spiegando con attenzione, di tutto ciò restai ignaro, e della interpretazione e del significato sofistico molto ambiguo. Non era perciò prudente proporre nessuna ipotesi. Ma quasi colto da timore in questo luogo sinistro e poco illuminato, nonostante ci fosse la luce della lanterna, niente come il sollecito desiderio di contemplare la ammirevole porta trionfante, la causa più legittima fu che lì non si trovasse altro. Quindi senza fare altro, con pensiero e intento per ogni modo dopo la contemplazione di quella mirabile porta, ritornare qui un'altra volta, e più tranquillamente ammirare tale magnificenza dell'invenzione degli ingegni umani, svelto arrivai all'apertura. E discendendo uscivo fuori dal mostro cavo. Quali Trapano ovvero quali altre macchine operose poterono perforare tanta durezza e resistenza, per togliere tanta solidità della materia, invenzione impensabile, e senza giudizio, eccesso di fatica, e temerario ardimento umano? Concordemente armonioso con la forma esteriore l'interno scavato. Finalmente ritornato alla piazza, vidi su questo basamento di porfido entro un cerchio magistralmente scolpito questi geroglifici.



Trama

Prima di dare spazio alla parafrasi della parte in esame, si vuol ripercorrere la genesi editoriale dell'Hypnerotomachia Poliphili e la sua trama, con un approfondimento degli antefatti più prossimi.

Il testo è diviso in trentotto capitoli e le iniziali di ognuno di essi formano l'acronimo dell'autore che, nonostante le innumerevoli indagini e ipotesi, è rimasto anonimo 1.

Il libro, uscito dalla stamperia di Aldo Manuzio, nel 1499, narra la vicenda onirico-amorosa di Polifilo che, durante il brevissimo arco di tempo dell'aurora, la fase culminante dell'alba, si addormenta sul suo letto e sogna di una strana battaglia d'amore 2.

Il sognatore riferisce di passeggiare in una pianura vasta e amena, per poi avventurarsi, sprovvedutamente, in una «opaca selva». Spaventato dall'oscurità del bosco, prega e, una volta uscitone, cerca di ristorarsi ad una fonte quando ode e segue un canto soave.

Spossato dal lungo cammino, Polifilo vacilla e si ripara sotto l'ombra di una quercia, sotto alla quale riflette sulla mutevolezza dei risvolti fortunosi. In questo stato d'animo, cercando di refrigerarsi con foglie medicamentose, lì dipresso, si riaddormenta e ha una seconda visione onirica.

Terminato il prologo, comincia la vera narrazione fatta di descrizioni di edifici, di templi e di monumenti magnifici delineati da una puntuale terminologia architettonica; di paesaggi composti da giardini botanici illustrati con estrema competenza; di motti, sentenze e scritti geroglifici e poliglotti; di iscrizioni ed epitaffi. Molteplici sono i paragoni con il mondo della mitologia per esprimere quanto la magnificenza e le produzioni dell'ingegno umano che le ha create non hanno eguali; del pantheon classico partecipano, con il dispiegamento di trionfi, le divinità della prosperità, dell'amore e della guerra. Polifilo incontra la regina Euterillyde 3 e le sue ninfe, abitante in un impareggiabile palazzo, per grandiosità e bellezza, che lo affida a Polia, colei che, più di tutto, il protagonista desidera e alla quale pensava ardentemente, mentre si addormenta nel proprio letto, in preda all'inquietudine, nel chiarore dell'aurora. La «pugna d'amore in sogno» 4, termina, sul far del giorno, con il lento dissolversi dell'amoroso incontro con l'amata, con estremo rammarico del protagonista 5.

Si illustra, a questo punto, l'antefatto collocato al capitolo IV e introdotto dalla lettera I che compone il singolare acronimo, nel quale si nasconde l'autore.

Antefatto

Oltrepassata la Magna Porta 6, Polifilo accede in una platea dove, condotto dalla curiosità, si imbatte in tre opere gigantesche: il prodigioso «Caballo & aligero Desultore» o «Equus Infoelicitatis» 7, l'Elefante Obeliscoforo 8 e un «Vastissimo & mirando Colosso» 9. Dopo essersi dedicato al Cavallo e al Colosso, Polifilo torna sui propri passi, per dedicarsi al «nigricante» animale, oggetto nel quale si svolge l'episodio qui indagato.

Prima di introdursi all'interno del pachiderma, ne ammira scrupolosamente l'aspetto, la ricchezza degli ornamenti, la possanza e la solidità che gli permette di sopportare il peso dell'obelisco 10 scolpito nella «petra lacedœmonia verdegiante» 11 che gli grava sul dorso. Polifilo ancora non sa che il luogo nel quale si sta addentrando, altro non è che un monumento funebre di rara bellezza e magnificenza, di memoria romana e che, come i suoi antesignani, è collocato sulla strada maestra, proprio per attirare e impressionare i viandanti. Questo avvenimento scopre il sincretismo polifilesco che mescola l'opulenza della cultura pagana con la sobrietà della camera sepolcrale di natura protocristiana parca e poco illuminata, tipica delle catacombe.

Lungo la curva posteriore dello stilobate, basamento sul quale è collocato l'Elefante, Polifilo scorge un varco 12, nel quale sono stati scavati sette 13 gradini ascendenti che conducono «sopra la plana superficie».

                      
                      
                      
                      

Fig. 3 - Ricostruzione grafica dell'ingresso nel basamento
Fig. 3 - Ricostruzione grafica dell'ingresso nel basamento

                      
                      
                      

Giunto al piano, Polifilo si avvede di un accesso ricavato sotto all'addome del mostro e raggiungibile, tramite una scala a pioli, che forma un corpo unico con tutta la struttura.

L'Elefante obeliscoforo o Catabasi di Polifilo. Descrizione e riflessioni iconografiche

Varcata la soglia della porziuncola, Polifilo si imbatte in uno strano “arredamento”, complesso e misterioso: un sarcofago sovrastato da una figura maschile nuda, scolpita nella pietra lucente e impreziosita con particolari d'argento. Nella semioscurità, tali particolari, capaci di animare la statua, che pare libera di muoversi nello spazio, sollecitano la suscettibilità dell'eroe. Nel grande ornamento acroteriale, sorreggente uno scudo carenato inscritto, Polifilo vi riconosce un re, per la corona che reca sulla testa e lo scettro che tende con la mano destra. Dopo essersi fermato, per dedicarsi ad un'accurata descrizione e aver letto quanto scritto sullo scudo cui il re si appoggia, ripassa davanti all'ingresso diretto verso la parte anteriore della grande camera. Polifilo, nota una seconda composizione simile alla prima, ma sormontata da una donna, nuda anch'essa e con la corona in testa, punta l'indice della mano destra alle sue spalle (sic!) 14 e con la sinistra si sorregge ad uno scudo carenato inscritto.

L'ambiente, in cui si è addentrato Polifilo, appartiene alla serie di luoghi quali gli Inferi, l'Ade, l'Olam degli Ebrei 15 o, comunque, a tutti quelli di dimensione ctonia, nella quale altri, prima di lui, sono scesi, in quanto tappa obbligata lungo un viaggio di formazione che conduce alla rinascita spirituale e morale, e caratterizzato da intenti didattico-formativi.

Da non dimenticare che la discesa agli Inferi è relativamente frequente, nella letteratura indoeuropea, anche se con propositi diversi. Tra i personaggi, piace ricordare il dio Enkidu e la dea Inanna 16, appartenenti alla mitologia assiro-babilonese; Dioniso che, ne Le Rane di Aristofane 17, chiede quale strada conduca agli Inferi; Ercole che, nella dodicesima e più difficile fatica, scende negli Inferi per catturare il cane tricefalo Cerbero; lo stesso Gesù, che non è stato esente dalla catabasi 18, anziché elevare se stesso, vi scende per la salvazione dell'umanità 19.

Nell'Elefante, si compie quella esperienza più comunemente nota come catabasi 20 ovvero la discesa che, nel Sogno di Polifilo, precede il tortuoso ed esteso, seppur temporalmente breve21, articolato processo della anabasi del protagonista.

La lanterna inestinguibile

Tornando ai due gruppi scultorei descritti poc'anzi, è necessario considerare l'atmosfera della loro collocazione. Posti nella semioscurità del ventre del pachiderma, pur correlati, come si vedrà più avanti, sono isolati nel proprio cono di luce che scaturisce da due lanterne sospese sulla volta dell'edificio zoomorfo e li fa emergere dalle tenebre.

La collocazione delle due illustrazioni, riprodotte dall'editore, sulle due facciate della stessa carta, preclude al lettore la possibilità di osservarle in un unico colpo d'occhio 22.

L'impaginazione qui proposta, volta a offrire la disposizione spaziale descritta dall'autore, ha il solo intento di consentire una osservazione d'insieme e non ha intenti correttivi.

Polifilo si ritrova, dunque, in un ambiente illuminato da due lampade inestinguibili, sospese sui punti focali della schiena concava del pachiderma. Nell'antro, la fioca luce vibrante delle lucerne, conferisce una sorta di movimento illusorio alle statue, nere e lucenti, tanto che l'effetto ottiene un grande impatto emotivo nell'animo smarrito, curioso e suscettibile alle forti emozioni del protagonista.

Le zone, così distinte, si animano di toni vivi, suggestivi e quasi teatrali ed è proprio l'illuminazione, parte integrante di ciascuna composizione, a conferire l'apparente dinamicità necessaria allo scopo, quasi ci si trovasse di fronte alle sculture ceree di un Medardo Rosso ante litteram.

Una critica recente 23 accosta la sempiterna illuminazione alla lucerna olybiana. Codeste fonti, indirette e tarde 24, si riferiscono alla sepoltura del filosofo e alchimista patavino, Olibio Massimo, al quale è attribuita la scoperta delle lanterne perpetue, custodite nella sua sepoltura e spentesi una volta venute a contatto con l'aria, a distanza di millecinquecento anni.

Le due ampolle, che secondo la leggenda alimentavano le lampade, erano l'una d'oro e l'altra d'argento e, proprio in riferimento al processo alchemico, come confermano i versi dei due vasi che le contenevano, si riferiscono alla trasmutazione dei metalli comuni nei due materiali preziosi 25.

Le arche sepolcrali

Le due arche sepolcrali, che fanno da base alle statue, rimandano ad una precisa tradizione di rinascita e purificazione 26, come quelle di reimpiego di abito romano e quelle tardo antiche, prodotte nell'area ravennate, classense e modenese 27, e non si possono ignorare i collegamenti tra la zona veneta e quella papale 28.

Le arche sepolcrali, dall'impianto a parallelepipedo, sono rivestite da una copertura a botte decorata con motivi a squame: «Sopra stante al sepulchrale coperto inarcuato, et di squammea operatura investito, et di altri exquisiti liniamenti» 29. La decorazione a squame, in base alla figura retorica della sineddoche 30 che si vuol proporre per questa illustrazione, appartiene alla scuola orientale bizantino-aniconica; usata in sostituzione del monogramma di Cristo o dell'acronimo ΙΧΘΥΣ 31, ritengo che il ruolo salvifico del pesce, come narrano i libri di Giona e di Tobia, o il brano neotestamentario, in cui Gesù si rivolge a Simone dicendogli «μή φοβού ἀπὸ τοῦ νῦν ἀνθρώπους ἔσῃ ζωγρῶν» 32, sia adatto anche in questa occasione.

Le statue acroteriali

Le statue, la cui postura ricorda quella delle statue greche di età arcaica, con una gamba appena più avanzata rispetto all'altra, a conferire dinamicità e illusione di un movimento in atto, qui è amplificata dai gesti della mano che sorregge lo scettro o che indica la propria testa e, ancor di più, ricordano le statue acroteriali dei templi etruschi, come quello di Portonaccio 33 e le decorazioni a tutto tondo della Grecia del VI sec. a.C., modellate senza limiti nella scelta del soggetto e nella collocazione.

La statua del re

Tra le ipotesi, a livello iconografico, riguardo lo scettro d'oro impugnato dal sovrano, non descritto da Polifilo se non come estensione del braccio destro, non è raffigurato né descritto biforcuto 34, come vorrebbe l'interpretazione moralizzata dell'esegeta di Virgilio, Servio 35, che compilò, a cavallo tra il IV e il V secolo, nel suo commento all'Eneide 36. Egli definì, a forma di Y, il ramo che Enea staccò dall'aureo albero da portare in dono all'infera Proserpina; tale espediente, di intento moraleggiante, era funzionale, per forma e numero, al fine di rimarcare la distinzione netta tra la via del bene e la via del male.

La duplice fonte 37, apollinea e dionisiaca a volte menzionata, più che altro di riflessione ottocentesca 38, inizia a trovare una terza via. In queste pagine, Polifilo tenta il superamento dell'aut aut; la cultura biblico-ebraica e quella classica convivono e si fondono, tra testo e immagine.

Nell'Hypnerotomachia Poliphili, non c'è mai l'invito ad una scelta che comporti il dubbio e lo stallo 39, bensì, differentemente dall'eroe virgiliano 40, Polifilo e, con lui, il lettore, dovranno districarsi, con prudenza ed equilibrio, tra molteplici quesiti al fine di vestirsi della Sapienza.

Nell'Hypnerotomachia Poliphili, non sembra ravvisarsi una scelta netta, quanto, piuttosto si evince una preferenza per la mediazione della terza via, cui conducono la prudenza e la concordia 41. Tale predisposizione comincia a definirsi quando, giunto alle Tre Porte, Polifilo varcherà la soglia centrale 42, solo dopo aver provato le altre due; l'Hypnerotomachia Polyphili riconosce il diritto al ripensamento e la facoltà di ritornare sui propri passi e, tramite i molti aforismi disseminati nell'incunabolo, invita alla riflessione e ad una scelta di vita moderata votata alla concordia 43; così «velocitatem sedendo», l'ex libris dello stampatore e i trofei portati durante il trionfo di Cupido 44 che convergeranno nella Prudenza di Tiziano.

L'episodio narrato da Senofonte, riguardo gli anni della giovinezza di Ercole 45, che lo pone al bivio, presso il quale sceglie di dedicarsi al beneficio degli altri e contro le ingiustizie. L'ultimo e più faticoso episodio delle Dodici fatiche colloca l'eroe negli Inferi per catturare il cane tricefalo Cerbero e la presa del ramo d'oro, più volte preceduto dalle leggende egizia e, ancor prima, anche se, in questo contesto, non sembra far parte della bibliografia dell'autore, da quelle, prima sumerica 46 e, poi, assiro-babilonese.

In questo contesto, ritengo che in una contrapposizione tra due, l'autore si prodighi affinché si rifletta e si raggiunga quell'equilibrio, riconoscendo l'esistenza della una terza opzione che bilanci l'ingegno con la sapienza e la forza con l'intelligenza. Si opta e si consigliano soluzioni che sollevino dall'imbarazzo di una scelta discriminante e, potenzialmente, pericolosa, che pone il bivio. Il re sembra indicare un obiettivo univoco, rappresentato dalla direzione dello scettro che è la Sapienza. D'altronde Logistica sarà chiara e diretta, quando si dilungherà sulla convenienza di buttare il «corpacio».

La statua della regina

Nel secondo gruppo scultoreo, corrispettivo del precedente, la statua sommitale sostiene uno scudo inscritto, con la mano sinistra, mentre la destra volge l'indice oltre le proprie spalle o, più verosimilmente, indica la propria testa 47.

L'identità femminile dell'acroterio, già riconosciuta come personificazione della Sapienza 48 e la scritta incisa sullo scudo, cui essa si sostiene, rappresentano il completamento del pensiero.

La nudità

La nudità, che accomuna le due statue ha diversi significati, come vedremo. Per convenienza esplicativa, si anticipa il concetto espresso sullo scudo del Re, in quanto è presente solo a livello iconografico, ma non testuale ed è in contraddizione con la situazione attuale. Infatti, il Re dell'illustrazione è svestito e i suoi unici attributi sono la corona e lo scettro di legno dorato; la frase incisa, come scopriremo, dichiara tutt'altro, rimarcando, tramite i modi e i tempi verbali, che la condizione non è verificata 49.

I Proverbi possono venire in ausilio per interpretare quanto si è anticipato. la Sapienza «…metterà sul tuo capo un ornamento di grazia, ti circonderà di una corona di gloria 50».

Similmente, Ripa, nella sua Iconologia 51, sebbene non annoveri l'Hypnerotomachia Poliphili tra le sue fonti, asserisce che la Sapienza «… si dipinge ignuda, come quella che per se stessa non ha bisogno di molto ornamento né di ricchezze, potendo dire con ragione chi la possiede d'haver seco ogni bene …». La nudità dell'Ingegno è la conditio sine qua non per raggiungere la vera Sapienza 52, che non ha bisogno di adornarsi, benché l'Hyperotomachia Poliphili sia piena di splendori, di ornamenti di alta oreficeria, cosmesi e opere magnificentissime. Riguardo alla nudità in quanto simbolo della purezza, si rimanda alla bibliografia 53.

Lo spazio grafico, i caratteri e il poliglottismo

I tipi per le scritte poliglotte è la capitale quadrata monumentale, lapidaria (cui sembra maggiormente accostarsi quella presente) o libraria di memoria imperiale che, con la sua nettezza di tratto e l'alta leggibilità, conferisce solennità ai messaggi espressi 54.

Le parole spesso non sono distinte, le legature e i nessi sono rari, proprio come accade nella scritta polifilesca 55.

Le lingue utilizzate sono le stesse dell'iscrizione del cartiglio posto sulla croce di Cristo 56, utilizzato solo per le croci dei criminali più pericolosi e ai quali veniva dato risalto a scopo di monito e di dissuasione per i presenti 57.

Tali iscrizioni, nell'antichità, erano adottate anche in occasione di eventi solenni, tanto che le tre lingue, oltre al messaggio espresso, erano portatrici anche di un significato sociale, culturale e religioso.

Nel caso presente, la scritta multilingue dimostra, senza ombra di dubbio, la volontà di diffondere ampiamente il messaggio e di attribuirvi importanza universale, affidando all'Ebraico il ruolo sacrale in quanto lingua delle Scrittura veterotestamentaria; il Latino quello del potere statale-imperiale; il Greco, infine, usato per diffondere il messaggio di Gesù, nei Vangeli.

Henri Tisot, esperto di ebraico, riguardo l'esatta traduzione ebraica   dell'iscrizione fatta compilare da Pilato, ha scoperto che è   grammaticalmente obbligatorio, in Ebraico, scrivere “Gesù il Nazareno e re dei Giudei“ (“ישועהנוצריומלךהיהודים58; “Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” o vocalizzate “Yeshua Hanotsri Wemelek Hayehudim“).
Quindi, come per il latino si ottiene l'acronimo “INRI”
59, per l'Ebraico si ottiene “
יהוה, “YHWH”.
La spiegazione che Giovanni evangelista riserva per l'esposizione del Tetragramma impronunciabile
60, inciso sopra la testa di Gesù crocifisso è proprio l'aver dichiarato di essere il Figlio di   Dio.

Iscrizioni simili, nell'antichità, erano adottate solo in occasione di eventi solenni, come un proclama imperiale tanto che le tre lingue, oltre al messaggio espresso, sono foriere anche di un significato simbolico, dovuto proprio all'idioma utilizzato.

Nella trasmissione dei testi però, il ruolo dei copisti ha influenzato la disposizione degli idiomi.

In questo ampio contesto storico, lo scambio della sequenza delle lingue dimostra, non solo il mutamento del ruolo simbolico ma anche materiale, della considerazione in cui porre le culture parlanti in determinanti periodi socio-politici.

È fondamentale, se non di primaria importanza, il ruolo ecclesiastico-abbaziale che molto ha preservato, nel tempo; altrettanto vero è che la scrittura adottata in quell'ambito non era la capitale romana, ma l'onciale, affermatasi dopo un lungo e lento processo verso il corsivo della scrittura a scapito, forse, della leggibilità e della chiarezza.

Non è un caso che i testi poliglotti, diffusi in periodi successivi, abbiano posto in ultimo grado di importanza la civiltà imperiale, ormai in declino o del tutto tramontata.

Metodo esegetico

Il metodo per impostare la traduzione dei tre idiomi, è proceduta con il riconoscimento dei singoli lemmi e delle loro notazioni grammaticali, per essere, successivamente, inseriti nella norma sintattica. Le diciture poste sugli scudi che sostengono le statue sono l'argomento principale di questa dissertazione che giunge al termine di una lunga premessa, alla quale ci si è dedicati per offrire una migliore comprensione generale dell'argomento e una più attendibile traduzione. Volendo scrivere un testo critico affidabile, i testi da esaminare sono stati disposti in tabelle, ponendo la massima cura nella trascrizione, nel rispetto della norma diplomatista 61. Questo metodo è stato ritenuto necessario per rendere immediatamente riconoscibili i settori di analisi grammaticale e le relative traduzioni letterali. Nei commenti successivi, ci si è occupati dell'analisi logica dei rispettivi scritti, recuperando i significati ottenuti e affiancandoli alle concordanze ritenute pertinenti con la bibliografia coeva presunta. Inoltre, si sono analizzate le traduzioni e le riduzioni, coeve o di poco successive, all'Editio Princeps dell'incunabolo.

Tale sistema ha permesso di constatare che le concordanze lessicali e verbali testimoniano la continuità dei messaggi riportati nelle due iscrizioni e l'unità dei due gruppi scultorei.

Introduzione alla struttura dei motti incisi

L'Hypnerotomachia Poliphily è un testo misto tra prosa (sintassi), poesia (metrica), motti (paratassi) e immagini (iconografia) vale a dire che è caratterizzato da diversi registri espressivo-comunicativi, scelti in base a chi l'autore, di volta in volta, si rivolge o al messaggio che vuole comunicare.

Questa struttura articolata e coerente rende l'incunabolo un grandioso esempio di amalgama tra culture, lingue, letterature, religioni diverse, passate e viventi.

Dopo aver illustrato il cammino di Polifilo e aver “collocato” spazialmente i supporti dei testi poliglotti, si entra nel vivo della trattazione. I due enunciati trilingue, incisi in Ebraico, in«Attico» 62 e in Latino informano, nonostante alcune discrepanze rispetto alle immagini, quanto rappresentano le composizioni.

Scudo del Re: analisi grammaticale dell' iscrizione.

Testo ebraico.

Per una esposizione chiara dell'argomento, si è scelto, in prima istanza, di disporre in forma schematica le trascrizioni, distinguendole in diplomatica; interpretativa, corredata dalle notazioni vocaliche e fonetiche. La traduzione è posta in calce alle tabelle.

Riguardo le incisioni ebraiche, il verso scrittorio della traduzione è stato adeguato a quello della, cosiddetta, lingua semitica 63, ovvero, sinistrorso da destra a sinistra.

Prima di commentare il brano, si aggiunga che non sono mancati i riscontri con il Testo Masoretico (TM), nonché il supporto con le grammatiche, i vocabolari e i dizionari di patristica 64.

Tabella 1.

אם לא כי הבהמה כסתה את בשרי

אזי הייתי ערום הפש ותמצא הניהני

אִם לֹאכִּי הַבְּהֵמָה כִּסְּתָה אֶת בְּשָׂרִי

אזי הָיִיתִי עָרוּם חִפֵּשׂ וַ תִּמְצָא הַנִּיחָני

bsarì 'ēṯ kissᵊṯâ habehemà ki lo im

hanîḥâni ṯimṣē' wa ḥāp̄aśʿārôm hāyîṯî azay


Tabella1. Trascrizione diplomatica, trascrizione vocalizzata, trascrizione fonetica

                            
                            
                            
                            
                            
                            

Tabella grammaticale1.

Radice

Trascrizione

Forma flessa

Traslitterazione

Analisi

Traduzione

אִם

'im

אִם

'im

congiunzione ipotetica

se

לֹא

lō'

לֹא

lō'

particella negativa

non

כִּי

כִּי

congiunzione

per

הַ

ha

הַ

ha

articolo determinativo

la

בְּהֵמָה

bᵊhēmâ

בְּהֵמָה

bhēmâ

nome comune, terza persona femminile singolare

bestia

כָּסָה

ksâ

כִּסְּתָה

kissᵊṯâ

Perfetto intensivo, terza persona femminile singolare

avesse coperto

אֵת

'ēṯ

אּתּ

'ēṯ

rafforzativo del possesso

con

בשר

bśr

בְּשָׂרִ

bᵊśār

nome comune, prima persona maschile singolare

corpo

י-

î

י

î

suffisso possessivo

mio

אָז

ʾāz

אֲזַי

'ăzay

avverbio

a questo punto/allora

הָיָה

hyh

הָיִיתִי

hāyîṯî

verbo essere, perfetto, prima persona singolare

sarei stato

ערום

ʿārôm

עָרוֹם

ʿārôm

aggettivo maschile singolare

nudo

חפשׁ

ḥpsh

חַפֵּשׂ

ḥāp̄aś

Imperativo intensivo,

maschile singolare

cerca

- ו

w

וְ

wa

congiunzione

e

מָצָא

māṣā'

תִּמְצָא

timṣē'

imperfetto,

seconda persona maschile singolare

troverai

חיָנַ

ḥyn

הַנִּיחָנ

hanyhan

perfetto (causativo attivo), seconda persona maschile singolare

lascerai

י-

li

י

î

suffisso pronominale

me


La traduzione è, verosimilmente, la seguente.

Se non (fosse) per la bestia che copre la mia carne

a questo punto io sarei stato nudo cerca troverai mi abbandonerai

Nella versione emendata Pozzi-Ciapponi 65, la locuzione verbale “troverai” è stata modificata sostituendo la mem(מ) con la tet(ט); pertanto si evince che il lemma non è stato riconosciuto e la parola, perdendo di significato, non si lega al contesto.

                                
                                
                                
                                
                                
                                
                                
                                
                                
                                
                                
                                
                                

Testo greco

Tabella 2.


ΓΥΜΝΟΣ ΗΝ, ΕΙ ΜΗ ΑΝ ΘΗΡΙ-

ΟΝ ΕΜΕΚΑΛΥΨΕΝ.ΖΗΤΕΙ.ΕΥ-

ΡΗΣΗ ΔΕ. ΕΑΣΟΝ ΜΕ.

ΓΥΜΝΟΣ ἮΝ, ΕΙ ΜΗ ἌΝ ΘΗΡΙ-

ΟΝ ἘΜΕ ΚΑΛΥΨΕΝ. ΖΗΤΕΙ. ΕὙ-

ΡΕΣΗ ΔΕ. ἜΑΣΟΝ ΜΕ.

Ghimnòs en, ei me an therí-

on, eme kalýpsen. Zetei. Eu-

rése de. Eàson me.


Tabella2. Trascrizione diplomatica, trascrizione normalizzata, trascrizione fonetica secondo Erasmo da Rotterdam.

Tabella grammaticale2.

Radice

Trascrizione

Forma flessa

Trascrizione

Analisi

Traduzione

γυμν-

ghimn-

γυμνός

Ghimnós

maschile nominativo singolare,parte nominale

nudo

σ-σ

s- es

ἦν

en

indicativo imperfetto prima persona singolare

sarei

εἰ

ei

εἰ

ei

particella condizionale

se

μή

me

μή

me

avverbio di negazione

non

ἄν

an

ἄν

an

particella modale, in questo caso (irrealtà nel passato)


θηρ-

ther-

θηρίον

theríon

neutro nominativo singolare, soggetto

bestia

ἐγώ

egò

ἐμὲ

emé

pronome personale, accusativo complemento oggetto

mi

κελ-, κoλ-, κλ-

kel-, kol-, kl-

κᾰ́λυψεν

kálypsen

aoristo indicativo attivo terza persona singolare

coprisse

ζητέ-

zete-

ζήτει

zétei

imperativo seconda persona singolare

cerca

εὑρ-

eur-

εὑρήσῃ

eurése

futuro seconda persona singolare

troverai

δέ

de

δέ

de

avverbio avversativo

ma

ἐι-

éason

ἔασον

éason

infinito futuro neutro seconda persona singolare

lascerai

ἐγώ

egò

μέ

me

enclitica, accusativo complemento oggetto

me

                        
                        
                        
Nella versione greca della Bibbia, l'approccio testuale con l'animale è identico a quello ebraico. Infatti, a בַּהֲמוֹת (bĕhemowth) corrisponde θηρία (thēría), similmente accompagnato dalla forma singolare del verbo 66.

Si predilige questa versione

Nudo 67 sarei, se non fosse le be-

stie a coprirmi. Cerca. Tro-

verai. Mi lascerai68.

Si osserva la presenza della Η (eta) al posto della Ε (epsylon). ΕΥΡΗΣΗ anziché ΕΥΡΕΣΗ.

Testo latino

Tabella 3.

NUDUSESSEM, BESTIANIME

TEXISSET, QUAERE, ET INVE

NIES.MESINITO.

NUDUS ESSEM, BESTIA NI ME

TEXISSET, QUÆRE, ET INVE

NIES. ME SINITO.

Tabella3. Trascrizione diplomatica, trascrizione normalizzata.


Tabella grammaticale3.

Paradigma/tema

Trascrizione

Analisi

Traduzione

nud-

NUDUS

Aggettivo

nudo

sum, es, fui, esse

ESSEM

congiuntivo imperfetto

sarei (fossi)

besti-

BESTIA

nominativo soggetto

bestia

ni

NI

avverbio di negazione

(se) non

ego, mei, mihi, me, me

ME

pronome personale, prima persona singolare, complemento oggetto, accusativo

mi

tego, tegis, texi, tectŭm, tegĕre

tex-

TEXISSET

congiuntivo piuccheperfetto, terza persona singolare

avesse coperto

quaero, quaeris, quaesivi, quaesii, quasitŭm, quaĕrere

QUÆRE

imperativo presente, seconda persona singolare

cerca


ET

congiunzione

e

invenio, is, inveni, inventum, invenire

INVENIES

indicativo, futuro semplice, seconda persona singolare

troverai/conoscerai

ego, mei, mihi, me, me

ME

accusatico, pronome personale complemento, prima persona singolare

mi

sino, sinis, sivi, sitŭm, sinĕre

SINITO

imperativo futuro, seconda persona singolare

lascerai


Si presenta la seguente interpretazione


Nudo sarei, se la bestia non mi

celasse. Cerca e troverai. Mi lascerai 69.

Al termine di questo primo confronto, si ritiene opportuno offrire alcune annotazioni di analisi logica comparata e di analisi del periodo.

Si osservino la formazione del periodo ipotetico nei tre idiomi, e le diverse interpretazioni che ne conseguono.

I modi congiuntivo per l'apodosi e condizionale per la protasi dell'Italiano, non essendo presenti nei tre idiomi in indagine, vengono mutuati, in Ebraico, con il perfetto intensivo, cioè con una formula che esprime un fatto compiuto, indifferentemente se avvenuto nel passato, nel presente o nel futuro, per entrambe le proposizioni; il modo indicativo aoristo, in Greco, per esprimere una condizione conclusasi nel passato, non ulteriormente perfettibile, per l'apodosi e l'imperfetto per la protasi, atta ad esprimere una situazione di incertezza, che può essere diversamente risolvibile. In Latino, l'apodosi è espressa con il congiuntivo al tempo piuccheperfetto 70, in quanto l'azione è precededuta da un'altra compiutasi nel passato e al perfetto, la protasi.

Con queste osservazioni, si evince come le tre lingue, anche in mancanza di un modo dedicato, al pari dell'Italiano, esprimono con chiarezza, il concetto e concordano pienamente nell'intenzione comune.

Nella seconda riga, seguono tre brevissime proposizioni verbali che manifestano, nell'ordine, un'esortazione e due azioni autonome, susseguenti alla prima. Il breve sistema paratattico, non perfettamente sovrapponibile nei tre casi, si pregia dell'organicità del periodo sintattico, mantenendo il tono perentorio e la immediatezza della comunicazione del discorso.

Ora, si osservi come, di volta in volta, le espressioni vengono risolte.

L'Ebraico, si avvale dell'imperfetto 71, detto intensivo attivo 72 che traduciamo, in questo caso, con l'indicativo futuro.

Il Greco, ugualmente, esordisce con l'imperativo, posto a garanzia di quanto avverrà.

Tali promesse sono poste al futuro e al futuro neutro.

Quest'ultima forma verbale appare interessante perché, se la si associa al corpo, che verrà lasciato in favore della testa senza toccarlo, allora l'espressione “mi lascerai”, posta al genere neutro, mette in evidenza un nuovo soggetto parlante e fa intendere che il «corpacio», τò σμα (to soma), prende la parola al posto del re. Non solo, esprime una sorta di vaticinio piuttosto che un comando.

Il Latino supplisce il modo condizionale presente con il congiuntivo imperfetto, esprimendo un dubbio o un'eventualità, come in questo caso. Per le tre proposizioni finali, in Latino come in Greco, si alternano l'imperativo, il futuro semplice, ad esprimere il risultato della ricerca, cui l'ascoltatore è invitato ad impegnarsi e l'imperativo futuro che, in maniera più diretta, in mancanza di un corrispondente in Italiano che deve accontentarsi del futuro semplice, si usa proprio per le sentenze, i proverbi, le leggi, i precetti, le disposizioni testamentarie. Quindi, anche qui, come in Ebraico, non c'è perentorietà nella richiesta.

Il futuro, con l'implicita idea tanto dell'esortazione quanto della realizzabilità, conferma che le tre versioni concordano pienamente, come anticipato, con i propri modi e i propri tempi.

A questo proposito si consideri che l'animale 73, Bəhēmāh 74 (בהמה), offre numerose presenze nel testo biblico. Per le affinità con il brano esaminato, se ne è individuata una in particolare 75, presente nel libro di Giobbe 76, la cui versione ebraica, riferisce di un animale senza dargli un nome ma identificandolo per le sue caratteristiche fisiche. Una creatura non trascurabile, tanto che per esaltarla, non si esita ad usare la forma plurale del sostantivo, behemoth, בַּהֲמוֹת (bĕhemowth), accompagnata dal numero singolare del verbo. Tale espediente, rafforza l'importanza e consolida il ruolo dominante, del già possente e soprannaturale animale.

Non nella versione latina dell'Hypnerotomachia Poliphili, dove l'autore preferisce la concordanza numerica tra il soggetto e il verbo.

La veste annuncia il tempo della salvezza 77.

A questo punto, è possibile inoltrarsi nell'analisi logica comparata dei brani tradotti e al loro commento.

I testi sacri non permettono una identificazione certa della bestia, interpretata, talora, come un elefante 78, un bufalo, un rinoceronte o un ippopotamo, versione, quest'ultima, caldeggiata dal teologo francese Samuel Bochart, nel 1663 79.

Alcune fonti assire e babilonesi menzionano gli elefanti, mentre la Bibbia non sempre ne parla esplicitamente cita però, ben dodici volte l'avorio 80, quale sineddochedi merce preziosa, di scambio o come sinonimo di bellezza e di magnificenza. Nel libro dei Maccabei 81, presente solo nella Septuaginta, si fa riferimento agli elefanti, ma in un contesto affatto diverso da quello qui incontrato. Infatti, l'Elefante obeliscoforo sembra una libera e originale reinterpretazione della macchina da guerra biblica e indiana 82. È, altresì, indicativo come questa trasformazione polifilesca generi il binomio ricchezza-sapienza, senza, al contempo, scadere nell'idolatria, come ottimamente illustra il primo libro dei Re 83.

Lo scudo, sulla cui superficie sono incise le parole “pronunciate” dalla statua, altrimenti muta, chiarisce una condizione definita e conclusa, senza valenza temporale, ma qualitativa e introduce al concetto fondamentale dell'intima connessione tra la sfera fisica e quella psichica dell'uomo (cuore e soma 84). Inoltre esprime una situazione ipotetica che non ha riscontro nella realtà oggettiva, non essendosi verificata.

Se la nudità del re rappresentasse la condizione ipotetica espressa sullo scudo, non vi sarebbe contrasto con il testo. Quindi, la statua, se fosse un periodo letterale, sarebbe una frase ipotetica del terzo tipo, ovvero dell'impossibilità.

Ovviamente, la nudità paventata dalla “statua parlante” non è da riferirsi a quella ellenica, quale modello di perfezione esteriore cui tendere, bensì alla miseria dei costumi, alla vulnerabilità dell'ignoranza e alla umiliazione dell'esilio 85. Differentemente, riferendoci alla Catabasi, San Paolo 86 contrappone al semplice, al nudo chicco di grano la pianta che ne scaturirà, per spiegare che attraverso la morte del corpo terreno, Dio darà vita al corpo risorto.

La nudità condizione fondamentale nella creazione e la sua perdita nel momento del peccato originale, apre le porte alla cura dell'uomo, da parte di Dio e della redenzione. Segno di sincerità e fiducia (uomo-donna, Dio-uomo) 87, dopo la trasgressione, la nudità viene percepita come una vergogna 88, ma anche come consapevolezza, conoscenza, della propria condizione.

La frattura tra uomo e Dio, si sanerà quando Dio rivestirà l'uomo di giustizia, per la sua salvezza.

Ovvero, quando l'uomo sarà rivestito in Cristo, nel nuovo corpo risorto 89.Le squame che rivestono il coperchio del sarcofago rappresenta al nuova veste, ovvero la risurrezione in Cristo, ovvero la resurrezione nella Sapienza, strumento di Dio, presente durante la creazione.

Scudo della Regina: analisi grammaticale dell'iscrizione

Testo ebraico

Tabella 4.

היה מי שתהיה קח מז-האוצר הזה נאות נפשר

שואלתיגעבגופו  אבל אזהיר אוֹתְךָ הסר הראְ

הָיָה מִי שֶׁתִּהְיֶה קַח מז-האוֹצָר הַזֶה נאות נַפְשֶׁךָ

אַזְהָרָ הֵסִר הָרֹא שוְאַלתִּיגַע בְּגוּפוֹ הִזְהִיר אֲבָל

nef-shé-kha keavàt hazzê min-hā 'ôṣārqah shetiyè mi Eyè

bègufò tî ḡavè alaròs hasser othà azhìr Aval



Tabella 4. Trascrizione diplomatica, trascrizione vocalizzata, trascrizione fonetica.

Tabella grammaticale4.

Radice

Trascrizione

Forma flessa

Traslitterazione

Analisi

Traduzione

הָיָה

hāyâ

הָיָה

eyè

imperfetto, seconda persona singolare maschile

eri

מי

מִי

pronome indefinito

chiunque

ש

sh

שֶׁ

she


chi

הָיָה

hāyâ

תִּהְיֶה

tiheyê

futuro(imperfetto), seconda persona singolare maschile

sarai

קַח

qaḥ

קַח

qaḥ

imperativo, seconda persona, maschile singolare

prendi

מן

min

מִן

min

preposizione inseparabile per il moto da luogo, si lega alla parola che precede

da

ה

ha

הָ

prefisso/articolo determinativo

il

אוֹצָר

ôṣār

אוֹצָֽר

o-tsaw'

sostantivo maschile

tesoro

זֶה

הַזֶּֽה

hazzê

aggettivo dimostrativo maschile singolare

questo

אוֹת

אוֹת

נֵאוֹת

nē'ôṯ

presente, terza persona femminile singolare

compiaccia

נֶפֶשׁ

neh'-fesh

נַפְשֶׁ

neh'-fesh

sostantivo, femminile singolare

gola

-ך

- kha

ךָ

- kha

aggettivo possessivo, seconda persona, maschile singolare

tua

אָבַל

āḇal

אֲבָל

awbal'

avverbio

ma

זהר

zōhar

אַזְהָרָה

azhará

interiezione ellittica imperativa

attenzione a

אֵת

'ēṯ

אוֹתְךָ 

'ôṯḵā

pronome personale complemento oggetto

te

סוּר

sûr

הֵסִר

hāsēr

imperativo, seconda persona singolare maschile

rimuovi

הַ

ha

הַ

ha

prefisso/articolo determinativo

il

רֹאשׁ

rō'š

רֹאשׁ

rō'š

sostantivo maschile singolare

capo

וְ־

ve-

וְ

vᵊ'el

congiunzione

e

אֵל

'ēl

אַל

avverbio di negazione

non

יָגַע

yāḡaʿ

תְּיַגַּע

tîḡaʿ

imperfetto (iussivo), seconda persona, maschile singolare

toccherai

ְֵ

be

ְֵ

be

prefisso/articolo determinativo

il

גּוּפָה

gûp̄â

גּוּפַוֹ 

gufo'

sostantivo, femminile singolare

corpo


A seguire, la traduzione.


Chiunque tu eri e sarai prendi da questo tesoro quanto piaccia alla tua gola

Ma attento a te. Rimuovi il capo e non toccherai 90il corpo 91.


Testo greco

Tabella 5.

ΟΣΤΙΣ ΕΙ. ΛΑΒΕ ΕΚ ΤΟΥΔΕ

ΤΟΥΘΗΣΑΥΡΟΥ,ΟΣΟΝ ΑΝ Α

ΡΕΣΚΟΙ.ΠΑΡΑΙΝΩΔΕΩΣ Λ Α -

ΒΗιΣ ΤΗΝ ΚΕΦΑΛΗΝ. ΜΗ Α

ΠΤΟΥ ΣΩΜΑΤΟΣ.

ὍΣΤΙΣ ΕΙ. ΛΑΒΕ ἘΚΤΟΥ ΔΕ

ΤΟΥ ΘΗΣΑΥΡΟΥ, ὍΣΟΝ ἋΝ ἈΡΕΣΚΟΙ.

ΠΑΡΑΙΝΩ ΔΕ ὩΣ ΛΑΒῌΣ ΤΗΝ ΚΕΦΑΛΗΝ.

ΜΗ ἍΠΤΟΥ ΣΩΜΑΤΟΣ.

Òstis ei labè ektou de

tou thesaurou, óson an aréskoi.

Parainò de os làbe ten kefalén.

Me àptou sómatos.



Tabella5. Trascrizione diplomatica, trascrizione normalizzata, trascrizione fonetica secondo Erasmo da Rotterdam.

Tabella grammaticale5.

Radice

Trascrizione

Forma flessa

Traslitterazione

Analisi

Traduzione

ὅς+τις

os+tis

ὅστις  

óstis

pronome personale indefinito

chiunque

σ -σ

s -es

εἶ


ei

indicativo presente, seconda persona singolare

(tu) sia

λαμβᾰ́νω

λαβ-

lambano

lab-

λαβὲ

labè

seconda persona singolare, aoristo attivo, imperativo

prendi

ἐκ, ἐξ

ek, ex

ἐκ + τοῦ

ek + tou

preposizione semplice, complemento di provenienza

dal

ὁ, ἡ, τό

o, e, to,

articolo determinativo maschile singolare, genitivo

δέ

de

δέ

avverbio

ma

ὁ, ἡ, τό

o, e, to,

τοῦ

tou

caso genitivo dell'articolo determinativo maschile singolare

del

θησαυρός

-αυρ-

aur-

θησαυροῦ

thēsauroû

sostantivo maschile singolare, genitivo

tesoro

ὅσον

òson

ὅσον

hóson

avverbio

quanto

ἄν

an

ἄν

án

particella modale, esprime una possibilità futura di quanto si potrebbe fare


αἴρ-ἀρέσκω

air-

ἀρέσκοι


aréskoi

presente, ottativo attivo, terza persona singolare

gradisce

παρά+αἰν-έω

παραινέω

parà+aiv+eo

παραινῶ

parainò

presente attivo, prima persona singolare

avverto

δέ

de

δέ

avverbio (posto sempre in seconda posizione)

ma

ὡς

hos

ὡς

hōs

congiunzione modale/temporale

mentre

λαμβᾰ́νω

λαβ-

lambano

lab-

λάβῃς

labēs

aoristo attivo, congiuntivo, seconda persona singolare

afferri

ὁ, ἡ, τό

o, e, to,

τήν

tḗn

articolo determinativo, femminile singolare, accusativo

la

κεφαλ-

kephal-

κεφαλήν


kephalḗ

sostantivo femminile singolare, accusativo

testa

μή

me

μή

mḗ

avverbio di negazione

non

ἁφ-

aph-

ᾰ̔́πτου

aptou

medio passivo, imperativo, seconda persona singolare

tocca

+ genitivo

σῶμα, σῶματ-

soma, somat-

σώματος

sṓmatos

sostantivo maschile genitivo singolare

corpo


Si traduce nel modo seguente.


Chiunque tu sia. Prendi dal

tesoro, quanto sia gradito.

Ma ti esorto mentre afferri la testa.

Non toccherai il corpo.

Testo latino

Tabella 6.

QVISQVIS ES, QVANTVN

CVNQVE LIBVERIT HV-

IVS THESAVRI SVME. AT-

MONEO. AVFER CAPVT.

CORPVS NE TANGITO.

QUISQUIS ES, QUANTUM

CUMQUE LIBUERIT HU-

IUS THESAURI SUME. AT

MONEO. AUFER CAPUT.

CORPUS NE TANGITO.



Tabella 6. Trascrizione diplomatica, trascrizione normalizzata

Tabella grammaticale6.

Paradigma

Trascrizione

Analisi

Traduzione

quis, quid

QUISQUIS

pronome relativo indefinito, nominativo/ vocativo

chiunque

sum, es, fui, esse

ES


(tu) sia

quantus, -a, -um

QUANTUMCUMQUE

aggettivo indefinito maschile singolare

per quanto

libet,-uit,

lubitum, lubēre

LIBUERIT

congiuntivo perfetto attivo, terza persona singolare

piaccia

hic, haec, hoc

HUIUS

aggettivo dimostrativo, maschile singolare, genitivo, complemento di specificazione

di questo

thesaurus, -i

THESAURI

sostantivo, maschile singolare, genitivo, complemento di specificazione

tesoro

sumo, -is, sumpsi, sŭmptŭm, sumĕre

SUME

imperativo, presente, seconda persona singolare

prendi

at

AT

avverbio

ma

monĕo, -ĕs, monui, monitum, monēre

MONEO

indicativo, presente, prima persona singolare

avverto

aufero, -s, abstuli, ablatum, auferre

AUFER

imperativo, presente, seconda persona singolare

togli

caput, -itis

CAPUT

neutro, nomitativo, singolare

testa

corpus, -oris

CORPUS

neutro, nomitativo, singolare

corpo

ne

NE

avverbio

non

tango, -is, tetigi, tactŭm, tangĕre

TANGITO

indicativo, futuro semplice, seconda persona singolare

toccherai


Si propone la seguente traduzione.


Chiunque tu sia 92,

prendi per quanto piaccia di questo tesoro. Ma

(ti) avverto. Togli la testa.

Il corpo non toccherai.


Si nota l'errore QUANTUNCUNQUE, anziché QUANTUMCUNQUE.

Proposta di analisi logica comparata e del periodo

L'indirizzo della presente trattazione è rivolto alla funzione dei due testi nell'ambito della linguistica storica. Gli scritti poliglotti, inseriti durante una pausa lungo il cammino di Polifilo, si staccano dalla sintassi del testo per esprimere un messaggio più specifico combinando il periodo paratattico, di tradizione biblica adatto alla comunicazione immediata e quello sintattico di tradizione classico-pagana 93, attenta all'espressione e ricca di ritrovati linguistici e retorici. Le iscrizioni, tramite piccoli accorgimenti gerarchici e forme lessicali e verbali, esprimono lo stesso concetto.

Pertanto, l'individuazione della disposizione degli elementi testuali permette di riconoscere quegli accorgimenti retorici che, insieme alla punteggiatura, rivelano il grado di importanza che le tre culture vogliono assegnare agli enunciati.

Il primo brano, suddiviso in più dichiarazioni, esordisce con un periodo ipotetico del terzo tipo o dell'impossibilità e chiude il concetto con una sequenza di tre verbi interdipendenti.

L'Ebraico, prima lingua nell'ordine scrittorio, formula il periodo ipotetico anteponendo la protasi all'apodosi; la lingua mediorientale si esime dall'esprimere con eccessiva energia un comando. Infatti, lo espone gradatamente, preparando alla condizione della nudità, tramite la locuzione avverbiale posta in apertura (se non), in modo da puntare l'attenzione sulla subordinata, complessa e descrittiva (la bestia avesse coperto il mio corpo), che demolisce quella condizione non auspicabile e non manifestata (sarei stato nudo), ulteriormente introdotta da una perifrasi temporale (a questo punto).

Il Greco e il Latino invece, invertendo l'ordine delle due proposizioni, pongono l'accento sull'emotività del protagonista e lo travolgono con la vulnerabilità del soggetto parlante, anteponendo l'aggettivo che compone il predicato nominale d'esordio (nudo, γυμνός).

Il periodo si tinge di emozioni contrastanti; l'umiliazione e la vulnerabilità della statua “parlante”, provocate dall'incipit, brusco e breve (nudo sarei), sono scacciate dal periodo successivo (se la bestia non mi coprisse), rasserenando gli animi.

Per quanto riguarda i tre periodi verbali, il Greco si distingue dalle altre due lingue; addolcisce il carattere perentorio dell'espressione iniziale, con la congiunzione avversativa “ma” posta tra gli ultimi due verbi (Cerca. Troverai ma mi lascerai) e rafforza la subordinazione della seconda proposizione futuro-imperativa alla prima.

L'Ebraico e il Latino, invece, isolano l'ultimo verbo (Cerca e troverai. Mi lascerai) legando le prime due proposizioni verbali tra loro tramite la congiunzione consecutiva, così da focalizzare l'attenzione e fissare la memoria sul compimento del destino che ricorda la predizione, “mi rinnegherai”, che Cristo rivolse a Pietro 94.

Il sacrificio del corpo è necessario, in prospettiva di una nuova Pasqua, quella dell'individuo rinato nella Sapienza.

Le soluzioni linguistiche e sinottiche adottate (paratattica, sintattica e mista), diverse ma equivalenti, garantiscono e dimostrano quanto le posizioni delle locuzioni verbali siano funzionali ad esprimere il nesso causale e determinano la gerarchia che si è instaurata tra esse.

La subordinazione temporale, come conseguenza dell'azione precedente, è sempre garantita e il raggiungimento dell'obiettivo sarà il fondamento dell'intera battaglia amorosa: lasciare il corpo per assurgere alla Conoscenza.

La seconda iscrizione, conseguente e conseguenza della prima, presenta aspetti interessanti riguardo i contenuti dottrinali e le sorti dell'umanità.

La statua femminile, con un complemento di vocazione (chiunque tu sia), si rivolge, senza distinzioni, a chi transita nel luogo e legge; la “voce” della statua che sostiene l'iscrizione esprime una esortazione e una condizione. La sapiente parla al viandante, non si tratta ancora del «viator» chiamato apertamente in causa nel Poliandro 95 e avvinto dai toni malinconici di quel luogo, e offre un'opportunità , ovvero l'esercizio del libero arbitrio (prendi da questo tesoro quanto piaccia) limitato da una condizione (rimuovi il capo e non toccherai il corpo).

Il brano, riletto in chiave biblica alla luce della Rivelazione, suona come l'ammonimento che Dio fece ai progenitori nel giardino dell'Eden, cioè poter disporre di tutto tranne dell'albero della Conoscenza 96 per non “morire di morte” 97. L'interpretazione dell'autore dell'Hypnerotomachia Poliphili, costantemente alla ricerca della Conoscenza, sembra voler riscattare la caducità corporea dell'uomo e vincere quella “morte mortale” provocata proprio dall'albero generatore della vita del quale, ai primordi della Creazione, fu proibito il godimento 98 all'essere vivente umano.

L'apparente dicotomia racchiusa nell'assunto di vita e morte 99, rappresenta uno dei fondamenti dell'incunabolo; contraddire la tradizione biblica: nutrire la mente, posta nella testa 100, cibandosi proprio di quella Conoscenza 101, interdetta all'essere umano, per acquisire invece, la Sapienza, senza morirne, e abbandonando, al contempo, la vita materiale.

Volgendo ad un esame tecnico del testo, si procede per rispetto della simmetria espositiva, con la versione ebraica.

L'esordio, qui presentato come un complemento di vocazione, in Ebraico è espresso con il verbo essere הָיָה (hayàh); al contempo sostantivo 102, il complesso lemma è usato tanto per identificare Dio 103, quanto per esprimere i tre tempi del verbo essere, o meglio, i modi finiti di esso.

Infatti, הָיָה (hayàh, la cui radice è “hyh”) e יְהֹוָה 104 (Yehôvâh, yeh-ho-vaw, la cui radice è “'hwh”), ‎ non condividono la stessa radice היה, ma l'aggiunta del prefisso della prima persona singolare maschile י (jod) 105, ha determinato questo sottile gioco di parole.

Come si riscontra in Esodo, si ottiene la formula con cui Dio si presenta a Mosè: «Io Sono Colui che Sono» e può intendersi anche al futuro «Io Sarò Colui che Sarà» e al passato «Io Sono Stato Colui che È Stato» אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה (Ehyeh hasher Ehyeh) 106.

Questa formula, oltre ad essere una tautologia, è anche un tautogramma, in forma latente.

Alla luce di quanto affermato, si conferma che, nella cultura ebraica, il tempo è un'entità assoluta; pertanto, è, è stato e sarà sono tempi equivalenti 107. Intendiamo la forma base del verbo (qal, leggero), in uso nel dizionario, coniugata al passato - fu, avvenne - e si usa per esprimere un'azione compiuta, indifferentemente se questa sia pertinente al passato, al presente o al futuro 108.

In realtà, in Ebraico, non esiste propriamente il tempo futuro, ma tempi perfetti o imperfetti che, nella nostra lingua, possono essere interpretati tanto al passato quanto al futuro, in base al contesto.

Riguardo il Greco, su questa seconda iscrizione, sembrano potersi sovrapporre anche i motti apollinei, posti sul frontone del tempio di Apollo a Delphi e dei quali è rimasta testimonianza in Platone 109, ovvero Eἶ (sei), qui usato nel complemento vocativo chiunque tu sia (ὅστις   εἶ), rivolto al pellegrino che si reca dal dio in per richiedere un vaticinio; conoscere prima di tutto i propri limiti compiendo scelte consapevoli, ovvero γνῶθι σε αυτόν (conosci te stesso).

Il primo passo «Per conoscere se stessi bisogna prendersi cura della propria anima migliorarla, praticando le virtù » 110 e per fare ciò, Socrate fornisce il metodo per raggiungere l'obiettivo, ovvero guardare un'altra anima in cui alberghi la virtù, cioè quella Conoscenza che la emanciperebbe dalla schiavitù della propria prigionia.

Pertanto, in questa sede, si avverte il diritto di affermare che le due statue si guardano, o meglio, che il Re guarda e indirizza l'attenzione dello spettatore verso la Regina per raggiungere la virtù che gli permetterà di cogliere dal tesoro quanto desidera ma con moderazione, ovvero, senza prendere nulla di troppo (μηδὲν ἄγαν), rappresentato dal corpo, caduco e corruttore.

Altri, dopo Platone, hanno tramandato il cauto monito. Aulo Gellio 111, nel II secolo dopo Cristo, specifica che, per conoscere i propri limiti, bisogna essere prudenti e far conto sulla propria intelligenza, presupposti per la saggezza.

Sulla base di questa ulteriore interpretazione, scorrendo le pagine dell'Hypnerotomachia Poliphili, con particolare attenzione alle illustrazioni e ammettendo che quanto accennato fosse una nozione condivisa dallo scrittore, si proverà ad approfondire lo stesso concetto in riferimento ai trofei recati dalle Ninfe durante il corteo cupidineo 112, con particolare riferimento alle erme tricefale e al signum triceps egiziaco 113.

Il concetto di anima, parola spinosa e degna di nota, in questa seconda iscrizione, in quanto rispecchia la tradizione della trasmissione del testo biblico e delle sue prime traduzioni.

Per questo lemma, si risale all'Ebraico, anche se l'etimo affonda le radici, in tempi ben anteriori la civiltà che ce ne riferisce, proprio là dove la Bibbia colloca la creazione degli esseri viventi, ovvero nella fertile Mesopotamia, tra gli Accadi.

La parola ebraica Neh'-fesh, di preferenza tradotta “gola” 114, rappresenta qualunque essere vivente nella sua integrità e per tale interpretazione, si potrebbe assimilare alla figura retorica della sineddoche.

Tra le accezioni di Neh'-fesh, qui sembra ben calzare quella riferita nella Genesi 115, nella quale, appunto, il testo sacro si riferisce all'essere umano nella sua totalità, in quanto essere vivente. Questo tipo di interpretazione è valida per tutte le creature viventi, animali compresi, in quanto accomunati dal soffio vitale, inteso come atto spontaneo respiratorio 116, legato all'esistenza terrena.

Neh'-fesh, effettivamente, non possiede un vero corrispettivo in Greco e in Latino; l'autore, per rivolgersi al lettore, non ha bisogno di citare la Psychè 117, in quanto nella concezione greco-cristiana, l'essere umano è indiviso, indistinto e inseparabile da se stesso, sia dal punto di vista corporeo che spirituale; ogni caratteristica, contraddittorie e contraddistinte 118 concorrono, parimenti, all'interezza dell'individuo. Sotto questo aspetto, l'anonimo “risolve” le contraddizioni ponendo sullo stesso piano e senza distinzioni gerarchiche, tutti gli aspetti della vita.

Tale accortezza fa capire che l'autore interpreta correttamente tanto la concezione ebraica dell'uomo quanto lo stato indissolubile, della visione cristiana, con il suo Creatore.

Solo a partire dalla Septuaginta 119, elaborata tra il I e il II secolo d.C., si compie il tentativo di traduzione di Neh'-fesh in Psychè, per approdare alla concezione dualistica dell'essere umano, che trasferisce la sua forza vitale nell'immortalità.

Il sintetico invito alla moderazione ricordato dall'oracolo delfico, riaffiora nel «cordiale monito» 120, che collocato alla fine dell'enunciato. Si vuol impartire davvero un ordine? Come si comportano le tre lingue?

È possibile affermare che nella lingua ebraica non cè un'intenzione minacciosa ma, piuttosto, un tentativo di persuasione. Nel pensiero ebraico, non sono previsti comandi veri e propri, bensì sollecitazioni, consigli, richieste. Soprattutto gli ordini negativi, vengono impartiti con una forma propria, tramite l'imperfetto (noi useremmo il, cosiddetto, congiuntivo esortativo) preceduto, secondo il contesto, da due tipi diversi di negazione utilizzando, come in questo caso, la particella אַל־ (-al) 121, che ha valore immediato e particolare che, seguita dal futuro, acquisisce il valore di un comando costruttivo, non una proibizione.

Le lingue occidentali non sono da meno e sfruttano le proprie abilità con successo.

Il Greco trae la formula mediopassiva attiva, μή μου ἅπτου (mé mou áptou, non mi cingere o, letteralmente, non mi vuoi cingere), dal Vangelo secondo Giovanni 122 e ne mantiene il tono garbato della richiesta, a specificare quanto il mutamento alla nuova esistenza, che è il cuore dell'episodio del Noli me tangere 123, è giustificata dal ritorno alla piena dimensione divina di Gesù, nel Padre. Nel caso particolare di questa dissertazione, si cerca il legame della sfera morale e pura, lontana con quella sensoriale e corruttrice.

L'accostamento un po' azzardato, è proposto nell'ottica di avvalorare e sostenere la tesi che, a conclusione del lungo cammino di Polifilo al concepimento di un amore sapienziale (Polia/Sofia, Conoscenza/Sapienza). L'autore trasforma, a mio avviso, il distacco irreversibile della materia sensibile e dello spirito vitale in una realtà diversa, che non si potrà più toccare come prima dell'incontro con Polia-Sapienza. Lo si potrebbe intendere come un cambiamento esperienziale, piuttosto che come un totale allontanamento dovuto alla morte 124, conosciuta dal protagonista prima, nel Poliandro, il cimitero degli amanti 125 e, successivamente, dopo aver spiato il voto fatto da Polia 126 a Diana, dea della Sapienza.

Anche il Latino, con un'espressione prettamente giuridica 127, fa ricorso al futuro, per esprimere una condizione che necessariamente si compirà. Un comando come naturale conseguenza. Nuovamente, come per il primo esame linguistico, si riscontra piena concordanza nelle intenzione espressive e comunicative, utilizzando tutti gli strumenti che le tre lingue offrono, per una comunanza espressiva.

L'anticipazione di quanto avverrà nel corpo nel pachiderma è sintetizzato nel cartiglio affisso sulla fronte dell'edificio zoomeorfo, Cerebrum est in capite 128; all'interno, la statua della regina indica la propria testa, a dispetto di quanto affermi il disorientato Polifilo 129. Non bisogna dimenticare che l'autore dell'HypnerotomachiaPoliphili comunica con il lettore abbinando le immagini al testo. Infatti, l'iscrizione posta sul sarcofago della regina ribadisce e pone l'attenzione sulla testa: AUFER CAPUT, ovvero “togli la testa” che, in seguito, verrà indicata come il vero tesoro 130.

Logistica spiega a Polifilo il significato nascosto delle scritte.

L'Ingegno e la Sapienza sono il Tesoro

Polifilo si trova in cammino con le Muse che lo conducono verso le Tre Porte. Lungo la strada, le fanciulle rispondono e sciolgono alcuni quesiti rimasti insoluti, riguardo l'avventura e lo spavento che ebbe all'interno dell'Elefante Obeliscoforo. La risposta viene fornita al neofita Polifilo, da Logistica, detta la Theofrasta e la Theofilia 131, tra i giardini della dimora della regina Eleuterillide 132, che lo stendardo 133 posto sulla fronte dell'Elefante, nel quale si è introdotto gli ha indicato la via della Conoscenza e che nella mente risiede la vera ricchezza, il vero tesoro, ottenuta con fatica e industria 134, intelligenza e ingegno. La Sapienza acquisita e non il corpo caduco o le ricchezze materiali 135.

A sovrintendere, c'è il libero arbitrio 136, impersonato dalla regina Euterillide, che vigila nella sua terra. La libertà umana è sottoposta alla sovranità di Dio e se, in questo contesto, le corone delle statue esprimono sovranità, come è giusto e logico che sia, Ingegno e Sapienza sono sovrani solo tramite loro. Ecco perché l'essere umano può pregiarsi di esercitare il libero arbitrio. In questo modo si cerca di conciliare fede e ragione 137.

Nel libro della Sapienza, l'ultimo dell'AT e tra i pochi ad essere scritto originariamente in Greco 138, non è riconosciuto dalla Bibbia ebraica (Tanakh), l'autorialità è attribuita, dai biblisti, a re Salomone, ritenuto un esperto in filosofia, religione ed etica. In Sap 2,1, sembra rispondere in modo diretto alla problematica sollevata da Qoelet 139: « Dicono fra loro sragionando: La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi.». Casomai, la Sapienza è la sposa ideale perché unica messa a conoscenza della volontà di Dio e capace di salvare gli uomini, in quanto dominatrice della Storia.

Se questo fosse stato il pensiero guida dell'autore, non è possibile accertarlo ma, la Sapienza, persona distinta da Dio e animata da uno spirito 140, è seduta sul trono accanto allo stesso di Dio 141, così da rendere l'azione divina della creazione dell'uomo e del cosmo, reale e concreta.

Anima della Storia, la Sapienza con la sua luce rinnova la teologia e, in questa nuova ottica, risponde al grande interrogativo dell'uomo, dopo la sua morte. L'orizzonte va oltre il confine terreno e giunge al piano escatologico e alla definizione dell'incorruttibilità dell'anima, che lo rende vicino a Dio, grazie al dono della Sapienza che Egli ha concesso all'uomo 142.

I sarcofagi, che rappresentano la caducità umana 143 sono sottomessi alla Ragione e alla Sapienza, vale a dire che la morte morale e l'ignoranza soccombono alla Sapienza e alla vita, all'amore per la Sapienza e all'amore per la vita.

La Sapienza divina, di ordine superiore e identificata con la rivelazione di Dio, in principio era compresa nell'ordine della creazione, ora innesca un processo di ipostatizzazione della Sapienza stessa. L'importanza della Sapienza è presente anche nei Proverbi sviluppati come antitesi in funzione didattica e pedagogica della Sapienza: azione e sua conseguenza. Nell'Antico Testamento 144si incontrano brevi massime e norme fondate sulla saggezza e sull'esperienza, indovinelli 145 e detti oscuri 146; nel Nuovo Testamento, si incontrano parabole e proverbi 147, piuttosto che un discorso simbolico o una oscura similitudine; si preferisce il discorso chiaro e di facile comprensione 148.

Non bisogna, al contempo, dimenticare che l'Elefante assume una duplice essenza 149, quale simbolo di virtù e ricchezza, come specificherà Leonardo da Vinci e Cesare Ripa 150. Quasi lo stesso elefante, appesantito da ornamenti preziosi, dovesse scuotersi di dosso inutili orpelli ornamentali, per vestirsi di quella ricchezza immateriale, fatta di Sapienza. La nudità della Regina sarà la risposta finale.

Il testo scolpito sullo scudo della regina è decisivo e conclusivo per la comprensione dell'intero episodio che si svolge nel ventre dell'Elefante obeliscoforo. 151.

Le dimensioni, esterna e interna, come noterà il protagonista 152, si rendono pienamente comprensibili, solo ora, ammettendo la loro reciproca relazione, come avviene con i tanti “rebus”, disseminati e illustrati nel testo 153.

Logistica risponde come segue 154.

Parafrasi

Et io sencia morare subiunsi, poscia che il nostro placito confabulamento quivi è divoluto, gratissime comite. Ancora del tutto l'accenso mio disio de intendere compito non essendo, et già che 'l non vi rincrebbe il mio auso, questo ditime ve prego. Ananti el mio horribile spavento, io vidi di temeraria granditudine et arte uno lapideo monstro, che è uno Elephanto. Intrante dunque nel suo inane ventre, trovai duisepulchri, cumscripture di ambigua interpretatione, di trovare thesoro, ma che io spreto il corpo, asportasse il capo. Logistica senza altro cogita mento exponendo alacremente rispose. Poliphile so pienamente quello che inquiri, vorei però che tu sapesti, che non senza grande admiratione di humano ingegno et cum ardente studio et incredibile diligentia fuefabricata quella ingente machina, cum perplexibilitate dello intellecto ad intendere il suo divino concepto. Adverti che sopra del suo fronte depende l'ornato cum quella ancipite descriptione, la quale in materno et plebeo sermone dice. Fatica et industria. Imperoché nel mundo chi vivendo vole thesoro havere, lassi stare el marcescente ocio, significato per il corpatio, et togli la decorata testa, che è quella scriptura et harai thesoro affaticantise cum industria.

Non più praesto finite le sue blande et efficace parole, che perfectamente edocto del tutto, io regratiai la sua affabile benignitate, tamen ancora essendo percupido de investigare tutto quello che per avanti imperfectamente havea compreso, familiarmente cum esse domesticatome, tertio io feci tale requisito. Sapientissima Nympha nel mio exito delle sub terranee caverne, trovai uno antiquario et elegante ponte. Il quale ne le ambe sponde in saxo porphyrito da uno degli lati, et dal altro di Ophytico insculpti alcuni hieraglyphi io vidi. Et di tutti dui fui interprete, ma io restai ignaro solo degli rami, non li conoscendo, che alle corne colligati erano, et poscia perché in porphyrite lapide, et non della simigliante dell'altra parte. E io senza indugiare, dopo che la nostra piacevole conversazione qui esposta, soggiunsi alle graditissime compagne. «Non essendo ancora del tutto soddisfatto l'acceso mio desiderio di capire, e già che ciò non vi rincresca il mio ardimento, ditemi questo vi prego. Prima del mio terribile spavento, io vidi di ardita grandezza e arte un mostro di pietra, cioè un Elefante. Entrando dunque nel suo ventre vuoto, trovai due sepolcri, con scritture dal significato ambiguo, di trovare il tesoro, che io disprezzassi il corpo, asportassi la testa».

Logistica senza (tergiversare) esporre altro pensiero, prontamente rispose. «Oh Polifilo, so perfettamente quello che vai indagando, vorrei però che tu sapessi, che non senza grande ammirazione dell'ingegno umano e con ardente studio e incredibile diligenza quella enorme macchina fu fabbricata, ma con difficoltà dell'intelletto a intendere il suo concetto divino. Osserva che sopra la sua fronte pende un ornamento con quella duplice descrizione, la quale in materno e volgare idioma recita. Fatica e industria. Poiché nel mondo chi vivendo vuole avere il tesoro, lasci piuttosto stare il marcescente, vale a dire il corpo, e togli la decorata testa, che è quella scritta e avrai il tesoro affaticandoti con laboriosità».

Non tanto velocemente, terminate le sue chiare ed efficaci parole, con cui completamente venni istruito, io ringraziai la sua gentile cortesia, benché fossi ancora affascinato dall'investigare tutto quello che prima avevo malamente compreso, familiarmente con esse abituatomi, per la terza volta feci tale interrogazione.

«Sapientissima Nympha, dalla mia uscita dalle caverne sotterranee, trovai un ponte antico ed elegante. Il quale in entrambe le sponde, da un lato di marmo Porfido e, dall'altro lato, di Ophytico, io vidi scolpiti alcuni geroglifici.

E tutti e due potei decifrare, ma io rimasi ignaro solo dei rami, non conoscendoli, che alle corna erano collegati, e poi perché in pietra porfirica, e non dell'altra parte somigliante».

L'eredità di Polifilo

A sostegno delle interpretazioni, figurativa e testuale, oltre alle fonti bibliche e classiche 155, delle quali ci si è avvalsi, la stessa Hypnerotomachia Poliphili ha lasciato, a sua volta una eredità unica 156 che ha dato ampio seguito a quanto fin qui è stato espresso.

Gli adagia polifileschi, tornano in citazioni in ambito architettonico, mpnumentale, decorativo, figurativo e testuale. Si trovano nei giardini di Bomarzo (VT) e sulle transenne dell'università di Salamanca 157, nelle Orationes di Achille Bocchi 158, sul prospetto del palazzo di Alberto III Pio da Carpi 159, negli Emblemata di Andrea Alciati 160, sotto il ritratto di Andrea Doria 161.

Iscrizioni a confronto

Se non considerarsi proprio un'eredità, è senz'altro il successo editoriale dell'opera manuziana, giunta oltre i confini della penisola.

Tra le edizioni, ad esclusione di quelle odierne, comprese quelle d'oltrefrontiera, e quella ad opera dei figli di Aldo Manuzio, datata al 1545, la versione francese, emendata in terza edizione, e quella inglese, sono le uniche di cui ci si occuperà, per motivi temporali coevi e contenutistici, in quanto risultano essere particolarmente interessanti per lo studio comparato al testo.

La prima traduzione d'oltralpe dell'Hypnerotomachia Poliphili, si deve alla cura del francese Jean Martin 162, edita nel 1546. Nel 1600, con il perfezionamento della tecnica a stampa steganografica 163, il testo giunge alla terza edizione, ma con la curatela di François Béroalde de Verville che, arricchendo le descrizioni secondo il gusto del tempo, conferisce al fortunato incunabolo un titolo più complesso. Quest'ultima non può considerarsi una traduzione in senso stretto, quanto, piuttosto, una traduzione libera, che reinterpreta il libro seguendo i criteri di matrice esoterica 164, a partire dal cosiddetto frontespizio che illustra, in chiave alchemica, seguendo le linee guida dell'editore Mathieu Guillemot.

«Le Tableau des riches inventions di Béroalde se, evidentemente, non è del tutto estranea alla HypnerotomachiaPoliphili di Francesco Colonna, è, quindi, più un nuovo avatar che un'immagine precisa: a cominciare dalla costruzione alchimista del frontespizio, si apre una nuova carriera per il libro, quella del "discorso segreto" che non potrà che migliorare la sua più bella reputazione dell'occulto e dell'inaccessibile, e generare nuovi studi che a volte sfiorano la stravaganza. Alla moderna critica l'obbligo di ricollocare in prospettiva della storia del testo queste interpretazioni non tanto sbagliate quanto costruite, a partire dai gusti e dai modi del loro .» 165

Comunque, degli errori ci sono e vorrei mostrarli.

Sullo scudo del re, si avvisano, dopo le prime tre parole, strani spostamenti e dimenticanze che, oltre a modificare visivamente la simmetria delle due righe pensate dall'incisore manuziano, altera la sintassi e il significato del testo ebraico (c'è un tav in penultima posizione in habhemaTha, manca kissta e hanniha diventa hannina con il nun finale).

Poche notazioni grafiche, sia nel distico che nel trittico, riguardo ad alcune lettere, poste in fine della parola, sono allungate come illustrato, come previsto dal ductus ebraico che non ammette l'interruzione della parola e tende a riempire la riga a disposizione. Proprio in riferimento a questa annotazione, nella prima riga del primo distico, la lettera he è stata allungata e ripete la precedente. L'unica lacuna è evidenziata tra le parentesi quadre e riguarda il verbo della protasi del primo distico (avesse coperto); in entrambe le porzioni di testo, le lettere e le parole fraintese sono state poste tra le parentesi quadre.

Tabella confronto 1

אס לא כי הבהמהה [כסתה] את בשרי אזי הייתי עריס

הפש ותמצא הניתין

היה מי שתיהח קח מן האוצה היה

כאוה נפשך אבל אזהיר אותך הסר

הראש ואל תונע בניפו

Neppure il Greco è stato risparmiato da qualche svista o “emendamento”, tanto che ΓΥΜΝΟΣ diventa ΓΥΜΟΝΟΣ, forse per facilitare la pronuncia con un fantomatico O eufonico; ΖΗΤΕΙ è stato riportato come si pronuncia, ZITEI. Non è così per ΛΑΒΗΙΣ (labes, prendi) che viene semplificato in ΛΑΒΗΣ, dimostrando incoerenza nel tentativo di emendare il modello. Pensando alla trascrizione fonetica del motto inscritto sullo scudo del re, ci si sarebbe aspettati un ῌ (eta con iota sottoscritto) o una I.

Per il Latino, l'incipit «NUDUS ESSE» diventa «NUDUS ERAM» e l'apodosi latina, muta in favore di una volgarizzazione francese (latino-gallico!), si vuol intendere che il traduttore ha riportato il periodo latino seguendo la sintassi della propria lingua 166, nonostante la presenza di un modello da copiare. Così facendo, il periodo ipotetico latino rimane in sospeso e l'indicativo sostituendo il congiuntivo, annulla il transito logico della comunicazione. Forse, il precedente che ha permesso l'equivoco è da rintracciare nel Vangelo secondo Matteo, per la presenza della formula «[…] hospes eram, et collegistis me: nudus et cooperuistis me […]» 167

Si nota l'”abbellimento” grafico del dittongo AE in Æ, QUÆRE per QUAERE.

Per quanto riguarda il secondo motto, per ottemperare alla mancanza di spazio, si è usato il carattere minuscolo corsivo, privando della simmetria del modello e cancellando il significato simbolico della capitale romana, cui si è accennato.

Quantuncunque è diventato quantumcunque

Anche l'edizione inglese del 1592, curata dall'editore Waterson, si è discostata dall'originale, riportando altre anomalie, rispetto ai colleghi francesi.

Anche lo stampatore d'oltremanica riproduce il testo aldino apponendo alcune modifiche, sia riguardo la realizzazione delle xilografie, sia nella disposizione dei motti. 168

Dall'accostamento dei testimoni, è emerso che Waterson ha riportato il brano ebraico, posto sullo scudo della regina, seguendo l'andamento destrorso, in uso nella scrittura occidentale. Pertanto, le prime due parole "eyé mi" sono scese all'inizio della riga successiva e, a seguire, le “ultime” tre parole del secondo enunciato formano un terzo capoverso, causando lo stravolgimento del motto, divenuto incomprensibile.

Tabella confronto 2

אס לא כי הבהמה כסתה את בשרי

אזי הייתי ערוס הפש ותמצא הניתני

l'anima aggrada come tesoro questo

chiunque eri il corpo toccherai non e rimuovi

a te attenzione ma

שתהיה [ק]ח מן האוצר הזה נאות נפשך

הסר הראש ואל תיגע בגופי היה מי

אבל אזהיר אותך

Anche per quanto riguarda le iscrizioni greche e latine, si annotano varianti discutibili.

La prima scritta greca esordisce con una L latina, o più opportunamente, con un Γ ribaltato. Seguono, nel secondo motto, alla seconda riga, ΟΣΝΟΝ, anziché ΟΣΟΝ; il poco elegante ΛΑΒΗΙΣ per ΛΑΒΗΙΣ; ΕΟΜΑΤΟΣ per ΣΟΜΑΤΟΣ. Da queste imprecisioni, ma soprattutto dall'ultima, data la “somiglianza” del sigma maiuscolo con la e maiuscola, si evince che i caratteri xilografati nel modello aldino, qui siano stati posti a stampa.

Infine, per il Latino, l'edizione mantiene l'errore QUANTUNQUNQUE.

Appendice - Riassunto dell'opera

L'Hypnerotomachia Poliphili è preceduta dalla dedica e da un carme a Leonardo Crasso 169, scritti in Latino, ad opera di Giovan Battista Scita 170; il riassunto dell'opera, in prosa, rivolto al lettore, e in versi, dedicato a Leonardo Crasso, in volgare, è ad opera dell'autore stesso.

Terminato il preambolo con un articolato indovinello, di Andrea Marone Brixiano 171, l'autore ripropone il frontespizio, con alcune varianti, e privo della coda 172; successivamente, con una nuova dedica, entra nel vivo dell'opera, rivolgendosi direttamente a Polia, «optima operatrice et unica clavigera dilla mente e dil core mio», della quale loda e riconosce le sue eccelse qualità di bellezza e virtù e per le quali implora il suo «amore grazioso» e il suo «benigno favore» 173.


Lector si tu desideri intendere brevemente quello che in quest'opera se contiene, sapi che Poliphilo narra havere in somno visto mirande cose, la quale opera ello per vocabulo graeco la chiama pugna d'amor in somno. Ove lui finge havere visto molte cose antiquarie digne di memoria, et tutto quello lui dice havere visto di puncto in puncto et per proprii vocabuli ello descrive cum elegante stilo, Pyramide, Obelisci, Ruine maxime di edificii. La differentia di columne la sua mensura, gli capitelli, base, epistyli, cioè trabi recti, trabi inflexi, zophori, cioè frisii, coronice cum gli sui ornati. Uno magno caballo. Uno maximo elephanto. Uno colosso, una porta magnifica, cum le mensure et li sui ornamenti, uno spavento, li cinque sentimenti in cinque Nymphe uno egregio bagno, fontane, el palatio della regina che è el libero arbitrio. Uno regio pasto et superexcellente. La varietate di zoie overo petre pretiose et la sua natura. Uno gioco de scachi in ballo a tre mensure de soni. Tre giardini, uno di vitro, uno di seta, uno in laberyntho che è la vita humana uno peristylio latericio. Ove in medio era expressa la trinitate in figure hieroglyphe, cioè sacre scalpture aegyptie. Le tre porte in quale lui rimanse Polia come era di habito et habitudine. Polia el conduce a mirare quatro triumphi mirandi di Iove, le amorose deli Dei. Quelle di poeti, l'affecto et effecto d'amore vario. El triumpho di Vertumno cum Pomona. El sacrificio all'antica di Priapo, uno maraveglioso tempio per arte descripto. Ove furon facti sacrificii cum mirabili riti et religione. Come Polia et lui andorono allo littore aspectare Cupidine, ove era uno tempio destructo. Nel quale Polia suade a Poliphilo el vadi intro a mirare le cose antiche. Et quivi vide molti epitaphii, uno inferno depincto di musaico. Como per spavento de qui se partì et vene da Polia. Et quivi stanti vene Cupidine cum la navicula da sei Nymphe remigata. Nella quale ambo intrati, Amor fece vela cum le sue ale. Et quivi dagli Dii marini et Dee, et Nymphe et monstri li fu facto honore a Cupidine, giunseron all'insula Cytherea, la quale Poliphilo distincto in boschetti, prati, horti, et fiumi, et fonti plenamente la descrive, et li presenti fu fatti a Cupidine et lo accepto dalle Nymphe, et come sopra uno carro triumphante andorono ad uno mirando theatro tuto descripto. In mezo del'insula. Nel mezo dil quale è il fonte venereo di sete columne pretiose, et tutto che ivi fu facto, et venendo Marte d'indi se partirono et andorono al fonte, ove era la sepultura di Adone. Et qui narrano le Nymphe lo anniversario che in memoria faceva Venere. Suadeno poscia le Nymphe a Polia che la narri la sua origine et el suo inamorare. Et questo nel primo libro. Nel secondo Polia narra el suo parentato, la aedificatione de Tarviso, la difficultate del suo inamoramento, et lo foelice exito, et compita la historia cum infiniti et degnissimi accessorii et correlarii, al canto dilla philomela se sveglioe. Vale. Lettore se tu desideri sapere brevemente quello che in quest'opera si contiene, sappi che Polifilo narra di avere visto in sogno mirabili cose, la quale opera egli per vocabolo greco la chiama battaglia d'amore in sogno. Dove egli finge di aver visto molte cose antiche degne di memoria, e tutto quello egli dice di aver visto, punto per punto e per propri vocaboli, egli descrivere con elegante stile, piramidi, obelischi, soprattutto rovine di edifici. Gli ordini di colonna, la sua misura, i capitelli, le basi, gli epistili, cioè architravi e archi, fregi ornati, cioè frisi, cornici con i loro decori. Un grande cavallo. Un grandioso elefante. Un colosso, una porta magnifica, con gli ordini e i suoi ornamenti, uno spavento, i cinque sentimenti in cinque ninfe, un egregio bagno termale, fontane, il palazzo della regina che è il libero arbitrio, un regio pasto e supereccellente. La varietà di gioielli ovvero pietre preziose e la loro natura. Un gioco di scacchi in ballo a tre voci musicali. Tre giardini, uno di vetro, uno di seta, uno in forma di labirinto , che è la vita umana, un peristilio in laterizio dove nel mezzo era espressa la trinità in figure geroglifiche, cioè sacre sculture egizie. Le tre porte nelle quali egli ritrovò Polia nelle sue vesti e nei suoi modi. Polia lo conduce ad ammirare quattro trionfi memorabili di Giove, le amorose amate dagli dèi. Quelle dei poeti, l'affetto e l'effetto di diversi amori. Il trionfo di Vertumno e Pomona. Il sacrificio all'antica di Priapo, un meraviglioso tempio descritto con arte. Dove furono fatti sacrifici con mirabili riti e devozione. Come Polia e lui andarono al lido ad aspettare Cupido, dove c'era un tempio distrutto. Nel quale Polia, convince Polifilo ad entrare per ammirare le antichità. E qui vide molti epitaffi, un inferno realizzato a mosaico. Come, spaventato da qui partì e tornò da Polia. E qui rimasti, arrivò Cupido con la navicella remata da sei ninfe. Nella quale, saliti entrambi, Amore formò una vela con le sue ali. E qui, gli dèi e le dee marini, le ninfe e i mostri onorarono Cupido, giunsero all'isola Citerea, nella quale Polifilo vi distinse boschetti, prati, orti e fiumi e fonti che descrive ampiamente e i doni offerti a Cupido e accolto dalle ninfe e come sopra un carro trionfante andarono verso un mirabile teatro tutto descritto, in mezzo all'isola. Nel quale centro c'è il fonte di Venere di sette colonne 174 preziose, e tutto ciò che lì fu fatto, e venendo Marte quindi partirono e andarono alla fonte, dove c'era la sepoltura di Adone. E qui le ninfe raccontano della commemorazione che faceva Venere in ricordo. Poi, convincono Polia a narrare le sue origini e il suo innamoramento. E questo è il primo libro. Nel secondo, Polia narra della sua famiglia, dell'educazione a Treviso, la difficoltà del suo innamoramento, e del felice epilogo. E terminata la storia, con infiniti e importanti particolari e descrizioni, al canto dell'usignolo 175 si svegliò. Addio

Il libro si chiude con un epitaffio in morte di lei.

                     
                     
                     

NOTE

1 POLIAM FRATER FRANCISCUS COLUMNA PERAMAVIT. L'acrostico per celare il nome dell'autore

2 Si riporta, in appendice, la traduzione del riassunto collocato nella terza pagina dell'incunabolo

3 Quad. iniziale, ch. 3, f.1 l.11

4 Quad. iniziale, ch. 3, f.1 l. 3

5 Quad. F, ch.ii, f.2, ll. 29-32

6 CHUNG 2020

7 DE NICOLA 2020

8 ALFUSO 2013, 2020; CONTINO CORRARELLO 2020

9 Quad. b, ch.vi, f.1, r. 8 e f.2, r. 18; qui, par. Statua della regina, testo ebraico, Polifilo passa per la bocca e giù per la gola (nefesh, in Ebraico) e nel corpo

10 PLINIO 1982, XXXVI, 72, Te hen, raggio di sole, la cui origine è nel vertice, o meglio, nel globo soprastante

11 BORGHINI 1989, pp. 279-281; lapis lacedæmonius, porfido verde di Grecia o Serpentino (così chiamato dagli scalpellini romani, per il suo aspetto che suggerisce l'immagine mimetica della pelle dei serpenti) […] Per le sue caratteristiche petrologiche, dal Porfido verde di Sparta non si ricavano manufatti di medie o grandi dimensioni. […] Sono rari manufatti come piccole colonne o capitelli, ad esempio le colonnette del Battistero di S. Giovanni (Roma) e i due capitelli a foglia d'olivo in S. Apolinnare (Ravenna). A tal proposito, è interessante osservare che il materiale qui riportato sia utilizzato per un'opera imponente, in contrasto con la prassi. Si ritiene che l'area bizantina occidentale del S.R.I., che si dipana lungo l'asse Milano-Ravenna-Roma, che a partire dal VI secolo, si impone con l'imperatore Giustiniano, abbia lasciato la sua influenza per quasi un millennio.

12 La xilografia illustra solo la botola dalla quale emerge Polifilo, ma non l'ingresso nella base, né la scala posta sotto al ventre dell'Elefante

13 ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, p. XVI e HP 37, n. 14, pp. 598-599 e HP 95, n. 2, pp.698-701; Il sette/septe/septeno compare più volte nell'HypnerotomachiaPoliphili e, nella Genesi, il numero esprime il compimento e la perfezione della Creazione. Il concetto dei Sette Cieli affonda le sue radici nel sistema mesopotamico delle volte celesti, viste come cupole formate di pietre preziose che racchiudevano la Terra. Nel Talmud, uno dei testi sacri dell'ebraismo, sono descritti sette cieli (שָׁמַיִםšāmayīm, firmamento), ognuno dei quali con una propria giurisdizione; anche nella cultura araba si è in presenza di sette cieli ( السَّماوات, as-samāwāt, Sette Cieli, Qur'an 65, 12), caratterizzati da un sistema simile a quello ebraico; sette sono i pianeti o cieli fissi nella Commedia di Dante (Par. XXII, 133-135); in Sap 9, la casa della Sapienza ha sette colonne; sette sono le coniugazioni ebraiche, o meglio, sette sono le forme verbali

14 Quad. b, ch. viii, f. 2, l. 2; più verosimilmente, sostenuta dalla lettura del testo, ritengo che la regina indichi la sua testa

15 Sebbene l'Ebraismo si concentri sull'importanza del mondo terreno (העולם הבא Olam Ha'zeh, letteralmente, “questo mondo”), ammette l'esistenza di un aldilà, chiamato ha-'olam ha-ba, o il “mondo a venire”; ma anche “eternità”, Gan Eden, Giardino celeste.

16 KRAMER 1951; HALLO-VAN DICK 1968; PETTINATO 2003

17Aristofane, Le Rane, vv.117-164 (tr. Cantarella), Silvia Maria Chiodi, «Mi scusi: qual è la via per l'aldilà?», in PETTINATO 2003, pp. 11-15

18 Ef 4:10; 1 Cor 15:20; Gv 5:25; Eb 2:14-15; Ap 1:18; Mt 28:7; Lc 24; Gv 20:9; At 2:24-31; 13:32-37; Fl 3:7-11 «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo»; Eb 11,24-26 «Il Regno dei Cieli è anche simile a un mercante che va in cerca di belle perle; e, trovata una perla di gran valore, se n'è andato, ha venduto tutto quello che aveva, e l'ha comprata.». Per questo riferimento, si fa seguito al paragrafo L'Ingegno e la Sapienza sono il Tesoro.

19 Sal 29:10; Gb 19:25; Lc 24:46; At 2:24; mentre, riferimenti indiretti sono stati riconosciuti in At. 2:31; 1Cor 15:12; Eb 9:11-14; Ef 4:10; 1Pt 3:18-20; Fil 2:5-11; Rm 6:4. TOMMASO D'AQUINO, SAN 2014, vol. I, interrogazione 052; 053 art. 1

20ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, HP 39, n. 4, p. 602; HP 40, n. 2, pp. 602-603

21ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, HP 11, p. 501, n.2

22 Ciò non avviene per le edizioni inglese e francese. Cfr. il paragrafo Iscrizioni a confronto

23 ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, HP 39, n.1, p.599

24 Le principali risalgono al 1621, 1623 e al 1694

LICETI 1621, p. 8; PORTENARI 1623, p. 67; FERRARI 1694-99, vol. XII, p. 1001 , col.1, let.D

25BERTUZZI 2013, pp. 399-425

26 ZANKER 2008

27 POGGIALI-GARDINI 2013, p. 103, ill.5

MURATORI 1908, pp. 324-337, fig.1

28 DE SANTIS 2020, pp. 637-666

29 Quad. b, ch. 8, f. 1, ll. 10-12

30 Simili squame decorano la volta di quest'altra arca, condotta in trionfo, sulla quale «una Pyramidale flammula, di foco inestinguibile continua ardeua», TRIVNPHVS QVARTVS, quad. l, ch. iv, f. 2

31 Oppure, ΙΧΘΥΣ

32 Lc 5:10 «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini»

33 Scoperto nel 1916 nel santuario di Portonaccio presso Veio

34 ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, HP 40 nota 2, p.602-603; POZZI-CIAPPONI 1980, p. 31 n. 3, p. 68

35 RAMIRES 2010, p. 20-34

36 JOOST-GAUGIE 1961, vol. II, p. 30, l. VI, vv.136-141

37 Riguardo la duplice valenza del sepolcro e dell'alternativa di fronte al bivio, Polifilo ha l'opportunità di tornare indietro, dopo aver valutato la convenienza o meno della scelta (vedi le Tre porte)

38 NIETSCHE 2011; ID., 2017

39 Il riferimento iconografico va all'episodio giovanile di Ercole al bivio, raffigurato nell'opera di Raffaello, Il sogno del cavaliere, del 1504-1505, in cui la Voluptas e la Virtus, sono in contrapposizione tra loro, ma in armonia, concordemente con i principi del Neoplatonismo.

40 VIRGILIO 1994, VI 637-693

41 Quad. p, ch. vi, f. 2 «una formica che se cresceva in elephanto», ovvero «PACE AC CONCORDIA PARVAER CRESCUNT, DISCORDIA MAXIMAE DECRESCUNT»; «una aquila cum le ale passe,& nella hastula ancorale intricato uno vinculo.», ovvero «MILITARIS PRUDENTIA, SEV DISCIPLINA IMPERII EST TENACISSIMVM VINCVLVM». L'impostazione antitetica e binaria dell'Hypnerotomachia Poliphili è di ordine didattico basato sul principio del monito

42 CONTINO 2015 e CONTINO CORRARELLO 2020, pp. 331-343; quad. g, ch. vii, f.1 e quad. p, ch. v, ch.vi, f.2; ch.ii

43 Quad. p, ch. vi e vii

44 Quad. y, ch. i e ii

45 ARIANI–GABRIELE 1998, vol. II, HP 39-40, pp. 599 – 607; SENECA 1999, lettere 66 e 115; VIRGILIO 1989, V, 344; OVIDIO 1994, II, 1-2, 107-108, in nota.

46 PETTINATO 2003

47 Se Polifilo fraintende il gesto della Regina, stando agli scritti, la Sapienza stessa indica la propria testa verso la quale il Re indica con il ramo aurato. Se l'interpretazione è corretta, come appare, la continuità tra le due statue è palese

48 POZZI-CIAPPONI 1980; CONTINO 2015; CONTINO CORRARELLO 2020 pp. 331-343; ERODOTO 1988, VII 148, p. 671 n.3 «proteggi il capo perché salverà il corpo»; ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, p. 600, n. 3; CALVESI 1980

49 In Tabella grammaticale1, kissᵊṯâ,

50 Proverbi 4:9

51 Ripa 1593

52 Gb 26:6; Eb 4:13; VIRGILIO 1989, IX, 5

53DESSì 2020, pp. 293-312

54 MAGGIORE 2017

55 MARDERSTEIG 1959, pp. 285-307; PETRUCCI 1985, pp. 85-97

56 Gv19:20 «Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco.»

57 La reliquia, ritrovata in una nicchia della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, nel 1492 e conservata in situ, secondo la tradizione sarebbe il cartiglio originario infisso sopra la croce di Cristo. I caratteri compatibili con quelli del I secolo, con scrittura sinistrorsa (comprese le righe in greco e latino), è scritto in Ebraico, Greco e Latino, diversamente da quanto riferito da Giovanni

58 Si rammenta che la lettura è sinistrorsa

59Brown 2010, pp. 963-967; Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων - Iēsûs ho Nazōraîos ho basileùs tôn Iūdaíōn - Gesù di Nazareth, il re dei giudei,supposta scritta latina Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum.

60Al momento della vocazione di Mosè, il nome divino è collegato alla radice verbale ebraica che significa essere: Io sarò Colui che sarò. I LXX hanno tradotto: Io sono Colui che è. Da qui, nasce la speculazione teologica della filosofia greca. La spiegazione presente nell'AT è un gioco di parole, in cui la radice HWH è interpretata in maniera parallela con la radice HYH essere.

Dio non si qualifica come tale, ĕlōhîm אֱלֹהִים , ma con un'ellittica verbale che verrà ripresa in Ap 1:4-8, come suo sviluppo. L'esegeta ebreo, Rashi, nel Medioevo, commentava: Io sarò con loro in questa angustia ciò che sarò con loro quando saranno asserviti ad altri regni. Il gioco si fonda sull'elusione alla domanda. Essere ciò che si è, può significare l'incomparabilità di Dio, che non si lascia circoscrivere neanche nel nome.

61 TOGNETTI 1982; NICOLAJ 2007

62 Quad. b, ch. viii, f. 1, l. 15. La specificazione della koinè attica, credo sia importante per giustificare il carattere di universalità del messaggio che l'autore vuole diffondere

63 La progressione nel campo linguistico in area medio orientale,ad oggi, ha permesso di apporre una serie di correzioni e di ricostruire un quadro più preciso

64 DEIANA-SPREAFICO 2010; DURAND-BURGARETTA 2017; LEON-DUFOUR 1976; LUZZATTO 1853; PEPI-SERAFINI 2006;SPADAFORA 1963; AA.VV. 2000; WEINGREEN 1963

65 POZZI-CIAPPONI 1980, p. 31, illustrazione, Ebraico, 2° riga, 5° parola, 3° lettera ותטצא anziché ותמצא

66 «ἀλλὰ δὴ ἰδοὺ θηρία παρὰ σοί χόρτον ἴσα βουσὶν ἐσθίει», ma allora guarda le bestie selvagge tue pari;

mangia[no] erba come buoi

67 Mt 25:36 «[...] ξένος ἤμην καὶ συνηγάγετέ με,. γυμνὸς καὶ περιεβάλετέ με [...]», straniero mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito; cfr. nota 167

68Gen. 38:16; Es 32:10; Deut 9:14; Giud 11:37; 2Re 15:34 ; Giob 10:20

69 Se è la statua a “parlare”, «mi lascerai» si riferisce al «corpaccio» che Polifilo, dopo aver cercato e trovato, lascerà

70 Il piuccheperfetto latino esprime un'azione compiuta anteriormente ad un'altra, sia nelle forme del passato che del futuro

71 Azione non compiuta

72 Piel è la terza delle sette coniugazioni verbali

73 Bestia, bᵉhêmâh, be-hay-maw', sostantivo femminile; da radice in disuso, probabilmente con significato riferito a un essere incapace di parlare; più appropriatamente un animale muto; specialmente qualsiasi grande quadrupede

74 Il teologo francese Samuel Bochart (1599-1667) fu il primo a suggerire l'identificazione di tale animale con l'ippopotamo.

75 VAUGHAN 2007, p. 111

76 Gb 40: 15 ׃יֹאכֵֽלכַּבָּקָרחָצִירעִמָּךְאֲשֶׁר־עָשִׂיתִיבְהֵמֹותהִנֵּה־נָאhinnênā'hēmôṯ 'ăšerʿāśîṯîʿimmāḵyō 'ḵēl ḥāṣîrka bāqār, behemoth guarda che ho creato per te fieno come un bove mangia)

77 Lc 15:22-24 a cfr Mc 2 : 21; 1 En 61: 13-16; Gius As 14 :12; 15,5

78 BRIGHT 2006. L'autore identifica il Leviatano confrontando la coda del pachiderma

79 BOCHART 1663, vol.II, p. 849

80 1 Re 10:18,22; 22:39; 2 Cr 9:17, 21; Am 3:15; 6:4; Sal 45:8; CC 7:5; Ez 27:6; 15; Ap 18:12

81 1 Mac 6: 30-35, 37; 2 Mac 13:2

82 ZANKER 2008, pp. 312-316

83 I Re 10:23

84 Da confrontare l'ispezione del «Colosso lamentabondo» che precede l'incontro con l'Elefante, quad b, ch vi, f.1; ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, introduzione, p. L

85 Gn 2:25; 3:7; 10 e segg.; Gb 1:21; Mc 14:51 e segg.

86 1 Cor 15:37

87 Gn 2:25

88 Gn 3:7; 10 e segg.

89 Rm 13:14; Gal 3:27; Col 3:9 e segg.; 1 Cor 15:37; 2 Cor 5:1-4

90 Nella comunicazione ebraica, l'imperativo viene sostituito dal futuro, soprattutto con valore esortativo, senza l'intenzione di impartire un ordine tassativo. Non condiviso in ARIANI-GABRIELE 1998, vol. II, HP 41, n. 4, p. 602

91 Col 2:9

92 VIRGILIO 1989 2,148; La presenza di questo gruppo scultoreo, raffigurante appunto un mito pagano, in casa di un cardinale, venne allora giustificata per mezzo di un distico moraleggiante, composto in latino dal cardinale Maffeo Barberini, ed inciso nel cartiglio alla base della statua dal Bernini stesso, il distico recita: “Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae/ fronde manus implet baccas seu carpita maras//” ossia “Chi amando segue le fuggenti forme dei divertimenti,/ alla fine si riempie la mano di fronde e coglie bacche amare//”

93 AUERBACH 1983, pp. 46-47

94 Mt 26:33-34 (ἀπαρνέση με, aparnése me); Mc 14, 30-31 (με ἀπαρνέση, me aparnése); Gv 13, 37-38 (ἀρνέση με, arnése me) = futuro, medio, indicativo, 2° pers. sing.

95 Quad. x, ch. viii, f. 2; quad. y, ch. i, f. 1; saggio in preparazione

96 Sap 3:18

97 Gn 2:17 מִמֶּנּוּ מוֹת תָּמֽוּת tāmûṯ môṯ mimmennû, «αὐτοῦ θανάτῳ ἀποθανεῖσθε autou» thanàto apothanéisthe, lett. di morte morirai

98 עֵדֶן Eden, lett. steppa, spazio aperto, godimento. Il vero Paradiso è nel raggiungimento della Conoscenza

99 apparente morte di Polifilo, quad. A, ch. viii, f. 1 e risveglio/morte del sogno, quad. F,ch. ii, f.2, ll. 29-32, affinché proprio nell'esistenza, cui tornerà il sognatore, egli possa raggiungere il proposito di arricchimento sapienzale

100 Quad. b,ch.vii, f.1, l.8; CONTINO CORRARELLO 2020, p. 589

101 Nella Gn. 2, 7 (TOB h, k); la conoscenza per discernere non solo in senso morale, ma anche pratico, cioè una scienza di carattere universale

102 Fu (essere), esistenza

103 Supra, Lo spazio grafico, i caratteri e il poliglottismo

104 Tisot 2009

105 Già incontrato, come suffisso in mi lascerai

106 Es 3:14

107 Nella parola יהוה si nascondono, semanticamente, tutti e tre tempi del verbo essere: passato, presente e futuro, così che in base alla KABALA, il radicale ammette che i valori divini e temporali si trovino contemporaneamente verificati. Per la consulenza della lingua ebraica, si ringraziano la signora Serena Garramone e il signor Yosef Zeitin

108 La coniugazione dei verbi, in Ebraico, avviene al passato perché si pone importanza sulla qualità dell'azione, se questa, cioè, è completa o incompleta (tempo perfetto o imperfetto)

109 Platone, Alcibiade maggiore, 128d; REALE 2001; COLONNA 2016, pp. 67-69 e 125

110 Platone, Alcibiade maggiore, 130a

111 Noctes Atticae, XVII, 19, 5-6

112 Quad x, ch. viii, f. 2 e quad. y, ch. i e ii

113 In preparazione

114 Anche cuore, sangue; soffio e aria, in quanto elementi esterni necessari alla vita, con la quale è ulteriormente può identificarsi. Elementi però, che, nell'accezione ebraica, si estinguono al termine dell'esistenza terrena

115 Gn 2:7

116 2 Sam 16:14; Es 23:12; 31:17

117 Il sostantivo, che discende dalle altre lingue semitiche, l'accadica (npš) e l'aramaica (nbš), insieme all'Arabo (nfs), esprime la parte materiale, immateriale, spirituale ed eterna di ogni essere vivente e interpreta la vita nella sua interezza

118 Si pensi agli ossimori che costellano l'Hypnerotomachia Poliphili: il piccolo con il grande, la concordia con la discordia, la dinamicità con la stasi, la forza con la debolezza, la nozione con l'ignoranza, l'opulenza con la morigeratezza, la vita con la morte

119 Deu 4:29

120 Quad. C, ch. iii, f. 1

121 2Sam 13:12 -'al (אַל־), dal carattere forte e inequivocabile; invece,-lō' (-לֹא) con valore permanente e universale, è in Es 20:10. Talvolta si aggiunge all'imperativo la particella -na (-נָּא), col senso di “per favore, ti prego”; in genere non viene tradotta. Famoso è Osanna! hoŝi ‘a-na' (אָנָּא הוֹשִׁיעָה), Salva, per favore! in Sal 118:25; 2Re 6:26 (הוֹשִׁיעָה), salva, hôšîʿâ

122 Gv 20:17 «Μή μου ἅπτου»

123 La lettura TOB, ritiene «non mi trattenere» essere la traduzione più probabile

124 Cfr. con la morte apparente di Polifilo, quad. A, ch. viii, f. 1

125 Quad. p, ch. v, f. 1, l. 37

126 Quad. A. ch. viii, f. 1, l. 33

127 Supra, “troverai”

128 Quad. b,ch.vii, f.1, l.8; CONTINO CORRARELLO 2020, p. 589

129 Quad. b,ch.viii, f.2, l.2 « [...] la quale sublevato il dextro bracio cum lindice signava la parte retro le sue spalle.»

130 Quad. h, ch. vi, f. 2

131 Quad.h,ch.iiii, f.2, l.9; Quad. h,ch.v, f.1, l.29; Amante del dio, ispirata dal dio

132 Quad. iniziale, ch. 3, f.1, l. 11, « [...] regina che e el libero arbitrio.»

133 CONTINO CORRARELLO 2020, pp. 569 - 595

134 ARIANI-GABRIELE 1999; CONTINO CORRARELLO 2020

135 Quad. b, ch.vii, f.1, l. 13; quad. h, ch. vi, f.2, ll. 7-30

136 Quad. iniziale, ch. 3, f. 1, l. 11

137 Agostino 2013; Platone 2008; Plotino 2013

138 Periodo del Giudaismo alessandrino (50-20 a.C.). Si è cercato di desumere la datazione del libro da accenni storico politici (Sap 19,16)

139 Ecclesiaste

140 Sap 7:22

141 Sap 9:4

142 Sap 9:19

143 In preparazione

144 PRV 1:20-34; 2:1-11, 4; 6:6-12, 7-9; 14

145 Gdc 14:4-18; Ez 17:2

146 Dn 5:12

147 Paroimia

148 Gv 16:25-29

149 MARINONI 1974, pp.42-43; POLEGRI 2020

150 RIPA 1593-1625, ad vocem

151 Quad. h, ch. vi, ll. 27-29; «[...] Imperoche nel mundo chi uiuendo uole thesoro hauere, lassi stare el marcescente ocio, significato per il corpatio, Et togli la decorata testa, che e quella scriptura &harai thesoro affaticantise cum industria.»

152 Quad. b, ch. viii, f. 2, ll. 15 e 16

153 ALFUSO 2020, p.183 (solo immagine); BONGIOVANNI 2020

154 Nel riportare la traduzione del testo, sono stati individuati i discorsi diretti delimitandoli tra le virgolette caporali.

155 Musei Capitolini, Frammento di fregio romano; Arco degli Argentari, Roma

156 Chi scrive ritiene che l'incunabolo sia da consierare un “super-hapax”

157 REYES 1967; LORENTE 1985, pp. 77-94; NIDER 1998, pp. 63-72

158 Achille Bocchi, Orationes, «ἀνέχου καὶ ἀρέχου», in COLONNA 2016, pp.66, 120-129 e figg. 42-61; BONGIOVANNI 2020

159 COLONNA 2012, pp. 213-221, «NE QUID NIMIS»

160 ALCIATI 2015 , II, LIIII, «Substine, Epictetus dicebat, &abstine»

161 LEONCINI 1993, pp. 249-261, in COLONNA 2012, pp. 191 n. 302; COLONNA 2012, pp. 192-193; Sebastiano del Piombo, Ritratto di Andrea Doria, 1526, Villa del Principe, Genova

162 Traduttore di opere italiane e latine, per primo, tradusse i X libri di architettura di Vitruvio. Con lui, collaborò, negli anni '40 del XVI sec., Sebastiano Serlio del quale inserì, nelle sue traduzioni, i principi dell'architettura serliana

163 Tecnica riscoperta nel 1499 dall'occultista e umanista tedesco Giovanni Tritemio (1462-1516)

164 VERVILLE DE 1600; BERTUZZI 2013

165 FURNO 2008

166 STEINER 1992

167 Mt. 25:36, cfr. nota 67

168 Qui trascritta sulla base della copia anastatica del 1969

169 Per i riferimenti biografici, si rimanda ad ARIANI-GABRIELE 2006, vol.II, HP 1, p. 486; CALVESI 1996, p. 66

170 Per i riferimenti biografici si rimanda a CASELLA-POZZI 1964, pp. 91-94

171 Su Andrea Marone Brixiano, si rinvia ad ARIANI-GABRIELE 2006, vol.II, HP 8,p. 495

172 Quaderno iniziale, ch. 1, f.1; Quad. a, ch. i, f.i. Il secondo paragrafo del primo frontespizio fa riferimento alle conseguenze della riproduzione illecita del libro: «CAUTUM EST, NEQUIS IN DOMINIO ILL.S.V. IMPVNEMENTE HVNC LIBRVM QUEAT IMPRIMERE.» Avvertenza, nessuno possa stampare, impunemente, questo libro (il cui diritto) di proprietà (è) dell'illustrissimo S. V.

173 Quad. a, ch. i, f.ii

174 Supra, Sap 9, il palazzo della Sapienza

175 Philomela, amante della melodia, in OVIDIO 1994, VI vv. 421-674

176 Errata: Lydia Contino Corrarello, Le xilografie con iscrizioni ebraiche, arabe, greche e latine dell'HypnerotomachiaPoliphili: censimento dei significati, degli errori e delle varianti, in Icoxilopoli 2, Bulzoni Editore, Roma, pp. 331-343


                       
                       
                       
                       

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